Aria e idee nuove nel PD

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Rassegna dei valori, temi e dilemmi sfidanti per la sinistra contemporanea Dino Bertocco 1

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Rassegna dei valori, temi e dilemmi sfidanti per la sinistra contemporanea

Dino Bertocco

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Presentazione (1, 2) - slide 11, 12 -

Reimpaginare la Storia con i giovani – slide 13 -

L’attiva impoliticita’ dei giovani – slide 14 -

I giovani vanno ascoltati e coinvolti – slide 15 -

Il senso del dialogo intergenerazionale – slide 16 -

Identita’, cultura e memoria storica – slide 17 -

Il potere delle identita’ – slide 18 -

Le radici dell’io – slide 19 -

Il giudizio di Taylor sulla contemporaneita’ (1, 2) – slide 20, 21 -

La trappola della nostalgia – slide 22 -

Yuval Levin spiega che il messaggio di Trump più che essere populista è un messaggio «desolato e nostalgico» - slide 23 -

Esercizio ad una lettura critica della contemporaneita’ – slide 24 -

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Le tracce e la costruzione di identita’ - slide 25 -

La suggestione ideologica e l’intelligenza critica – slide 26 -

Remo Bodei: «La Rivoluzione francese è finita, gli intellettuali non servono più, ma la vita è ricerca della ragione» (1, 2, 3) - slide 27, 29, 29 -

De Mauro, l’intellettuale pubblico – slide 30 -

Il senso perduto della storia - slide 31 -

Abbiamo ancora bisogno della storia? - slide 32 -

Ripensare con sincerita’ l’italia - slide 33 -

Quando lo storico rilegge (anche) la sua esperienza - slide 34 -

La ragione dell'incredibile silenzio sull'ultimo libro di Galli della Loggia (1, 2) - slide 35, 36 -

L’identita’ difficile nel romanzo italiano dell’Ottocento - slide 37 -

Riconoscerci parlandoci - slide 38 -

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Il cammino dell’emancipazione - slide 39 -

Gap culturale e problema storico di classe dirigente - slide 40 -

L’italia alla ricerca del principe - slide 41 -

Cercasi élite disperatamente per cittadini insoddisfatti di chi li sta rappresentando (un libro per comprenderne le ragioni) (1,2) - slide 42, 43 -

Cercasi egemonia culturale: sara’ il Volta buono? (la mission della fondazione renziana) - slide 44 -

Nuove egemonie. In che senso la reinvenzione dell’Europa può arrivare dall’Italia - slide 45 -

Un sistema politico logorato - slide 46 -

La Costituzione «impossibile» - slide 47 -

La crisi di sistema che attanaglia il paese - slide 48 -

La frattura che debilita il paese - slide 49 -

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Un problema storico-culturale di ceto politico locale - slide 50 -

Le mani (pulite?) sulla politica - slide 51 -

L’asimmetria Magistratura – Rappresentanza politica - slide 52 -

Il peso del corporativismo - slide 53 -

Il peso dei privilegi - slide 54 -

La fenomenologia della casta diffusa (che sopravvive beatamente) - slide 55 -

Il peso della corruzione - slide 56 -

La «corrutela» un male antico (leggi «Democrazia ideale e democrazia reale» di Francesco De Sanctis) - slide 57 -

L’insorgenza dei populismi nostrani: Bossi & Grillo - slide 58 -

Eppure la «mano pubblica» puo’ fare bene - slide 59 -

Percio’ la Politica ha bisogno dello sguardo lungo - slide 60 -

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….e di liberare una visione regolatrice - slide 61 -

Ma i partiti sono in un vicolo cieco - slide 62 -

…con effetti nocivi sulla governance - slide 63 -

Un ritratto (con molti scattti) - slide 64 -

Una testimonianza professionale (e pessimista) dall’esterno - slide 65 -

Lavori in corso per riformare il partito - slide 66 –

Ossimoro, pregiudizio o constatazione? – slide 67 -

La visione nostalgica dell’eterno ritorno - slide 68 -

I conti con la nuova cittadinanza digitale - slide 69 -

Il PD ed il congresso che non c’e’ - slide 70 -

Cassese: tutti si fanno sentire nessuno discute - slide 71 -

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I contributi alla rigenerazione del PD - slide 72 -

Il deleterio complesso dei migliori - slide 73 -

La sindrome da sinistrati - slide 74 -

Ci siamo persi nella Terza via…. - slide 75 -

La madre «di sinistra» e’ sempre incinta di: ribelli, Cicisbei, pavoncelli e coatti - slide 76 -

Nell’album di famiglia - slide 77 -

Progressisti su Marte (i dubbi semantici E. Galli della Loggia) - slide 78 -

…ed «en marche» in Europa - slide 79 –

No, però, «verso l’estremo» - slide 80 -

Sinistra europea cercasi - slide 81 -

Temi e dilemmi della democrazia contemporanea - slide 82 -

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David Ragazzoni: Leader sì, ma di che genere? - slide 83 -

Partito personale addio - slide 84 -

Nuovo modello di leadership (1, 2,) – slide 85, 86 -

Leadership emergente (1, 2) - slide 87, 88 -

La (prima) stagione renziana (1, 2) - slide 89, 90 -

Evitare il mnemonicidio - slide 91 -

Ripartire dal civismo - slide 92 -

1974: sotto la cenere dei movimenti…. - slide 93 -

Il prezioso lascito di Todorov - slide 94 -

Da tradurre in opere… - slide 95 -

Ripensando (ed estendendo) la cittadinanza politica - slide 96 -

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….ed aprendoci al sentimento della condivisione - slide 97 -

….esprimendoci con un nuovo protagonismo (nella sfera ampliata della liberta’) - slide 98 -

Non possiamo non dirci europei - slide 99 -

E con una cittadinanza «molteplice» - slide 100 -

Uno sguardo disincantato - slide 101 -

Benedetta globalizzazione (1, 2) - slide 102, 103 -

Crescita, disuguaglianza e malessere - slide 104 -

Valutare con ottimismo razionale - slide 105 -

La crescita, in ogni caso, continuera’ - slide 106 -

Innovazione tecnologica? Non abiamo ancora visto niente - slide 107 -

Inarrestabile la connettivita’ nel mondo - slide 108 -

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Una fluttuazione che amplifica le possibilita’ di cambiamento - slide 109 -

Ma, nel tumultuoso avanzamento c’e’ chi corre e chi resta indietro - slide 110 -

Dilatazione e focalizzazione - slide 111 -

La fine dell’uguaglianza? - slide 112 -

No, ma bisogna reimparare l’alfabeto - slide 113 -

Il lavoro faticoso di interpretazione dei dati - slide 114 -

Educazione alla cittadinanza terrestre - slide 115 -

Ed ora la sfida più importante (opportunita’ per tutti) - slide 116 -

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Le slide che compongono questa Presentazione rappresentano la continuazione e l’estensione della riflessione avviata con l’articolo pubblicato in:

http://www.dinobertocco.it/congresso-pd-aria-e-idee-nuove-dai-circoli-al-nazareno/

Con esse mi propongo di dare un contributo alla riflessione e discussione programmatiche avviate con l’Assemblea del Lingotto che prodotto non solo una positiva “ricarica sentimentale”, ma anche un Documento congressuale ricco, risultante sia dall’apporto congiunto di esperti e militanti sia dalle indicazioni che la concreta sperimentazione della strategia riformista è stata realizzata nei mille giorni del governo Renzi.

Esso, il documento, per quanto ben formulato e pur affrontando con un linguaggio fresco ed efficace i molti temi dell’agenda politica, richiama esplicitamente l’esigenza di approfondimento e, su talune questioni cruciali, presenta ampi margini di integrazione ed arricchimento.

Già nell’ambito del dibattito congressuale in corso e di quello – contiguo - che si svolge all’interno delle componenti politiche fuoriuscite dal PD che continuano imperterrite nell’opera di denigrazione della leadership renziana, sono emersi interrogativi che esigono repliche e puntualizzazioni.

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Molti dei “dubbi e rimproveri” e parecchie delle “recriminazioni ex post” che si ascoltano e si leggono in questo periodo sono sicuramente determinati da un mix di fraintendimenti e strumentalizzazioni che possono essere compresi ed interpretati solo se si scava sulle diverse matrici ideologico-culturali e sui diversificati orizzonti ideali che hanno, finora, orientato la variegata platea di dirigenti, militanti, amministratori, parlamentari impegnati nell’esperienza decennale del Partito Democratico.

Per questa ragione la successione delle slide è particolarmente finalizzata ad esplorare (attraverso considerazioni, commenti, indicazioni bibliografiche, link ad articoli e documenti in rete) gli argomenti di carattere storico-culturale che fanno da sfondo alle polemiche che caratterizzano la tribolata vita della sinistra italiana e che, verosimilmente, condizioneranno la maturazione ed il consolidamento del futuro centrosinistra.

Nella Presentazione non mancano i giudizi, ma il format e la scelta dei temi esposti sono prioritariamente tesi ad alimentare la riflessività e la consapevolezza delle tensioni e delle vere e proprie fratture politico-culturali che gravano sulla governance di un Partito che si trova ad esercitare enormi responsabilità in un contesto politico-istituzionale e scio-economico il cui degrado non è stato ancora pienamente focalizzato da molta parte della nomenclatura partitica.

L’unilateralità e lo schematismo dell’impostazione sono da un lato necessitati, ma dall’altro rappresentano un’occasione, per quanti lo riterranno utile, di suggerire chiavi di lettura, correzioni, smentite, valutazioni critiche che aiutino a comprendere meglio “i valori, temi e dilemmi sfidanti per la sinistra contemporanea”.

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In un appassionato discorso per ilconferimento delle lauree tenuto alKenyon College il 21 maggio 2005,David F. Wallace iniziò l’intervento conl’impiego di una storiella dal saporeparabolico: i protagonisti sono duegiovani pesci che nuotano e a un certopunto incontrano un pesce anziano cheva nella direzione opposta, fa un cennodi saluto e dice:”Salve ragazzi. Com’èl’acqua?” I due pesci giovani nuotanoun altro po’, poi uno guarda l’altro e fa:”Che cavolo è l’acqua?” (David F.Wallace, Questa è l’acqua – Einaudi2009)

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Documento Preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2018)sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2017/01/13/0021/00050.html#ITA

Le illusioni di Obama sui millenials, una generazione «altruista» che sta rottamando il liberalismo

L’insospettabile ingenuità dei nativi digitali (Federico Rampini):

http://www.dinobertocco.it/linsospettabile-ingenuita-dei-nativi-digitali/

L’identità politica dei giovani a metà tra l’Io e il Noi. Tra i Millennials che nei sondaggi preferiscono Corbyn e Sanders è in attoun nuovo orientamento: sono sensibili all’etica e attenti alla collettività (Mauro Magatti):

http://www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_12/identita-politica-giovani-corbyn-sanders-tendenze-sondaggi-be90dd0a-d0ed-11e5-9819-2c2b53be318b.shtml

DOXA - Corriere economia 28 novembre 2016: oggi il 76 % degli italiani è convinto che i giovani avranno nel prossimo futuro una posizione sociale ed economica peggiore di quella dei propri genitori

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Intervento di Anna Ascani Assemblea PD 18.12.2016

http://www.unita.tv/focus/assemblea-pd-intervento-di-anna-ascani/

Intervista ad Anna Ascani:

http://quozientegiovani.it/2017/02/01/anna-ascani-i-giovani-vanno-ascoltati-e-coinvolti-nei-processi-decisionali/#_ftn1

The danger of deconsolidation

http://www.journalofdemocracy.org/sites/default/files/Foa%26Mounk-27-3.pdf

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Che età abbiamo? Quanti più argomenti si avanzano per affrontare questo interrogativo in apparenza semplice, tanto più risulta difficile trovare una risposta. Infatti, la nostra crescita avviene simultaneamente in ambiti differenti: da un punto di vista biologico, psicologico, sociale; cresciamo anche nella sfera più generale di una cultura, all’interno di una storia che ci precede e che ci sopravvivrà. Osservati attraverso queste prospettive, molti aspetti dell’epoca contemporanea sembrerebbero suggerire che siamo più vecchi che mai; al contrario, Robert Pogue Harrison ritiene che stiamo diventando sempre più giovani: nelle nostre concezioni, nella mentalità, nei comportamenti. Viviamo, insomma, in un’era di giovinezza. Spaziando brillantemente attraverso le culture e la storia, la filosofia e la letteratura, questo libro ripercorre i modi in cui gli spiriti della giovinezza e della vecchiaia hanno interagito tra loro dall’antichità fino ai nostri giorni. Harrison mutua dal linguaggio scientifico il concetto di neotenia, ossia il mantenimento di caratteristiche giovanili anche nell’età adulta, e lo estende all’ambito culturale, sostenendo che l’impulso giovanile è essenziale per sviluppare un indirizzo innovativo nel campo della cultura e per mantenere viva la genialità. Al tempo stesso, tuttavia, la giovinezza – che Harrison vede protrarsi come mai prima d’ora – non può fare a meno, per compiere la sua opera, della stabilità e della saggezza dei più vecchi e delle istituzioni: «Se il genio libera le novità del futuro, la saggezza eredita i lasciti del passato, rinnovandoli nel tempo stesso in cui li tramanda». Vincitore negli Stati Uniti del prestigioso Bridge Award nel 2015, L’era della giovinezza è una inebriante, raffinatissima escursione, ricca di idee e di spunti, che solo una penna acuta come quella di Robert Pogue Harrison poteva concepire. Un libro da cui nessuno che sia alle prese con la diffusa ossessione della giovinezza potrà prescindere.

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“Ci sono persone che pensano che la cosa più importante e pratica di un uomo è ancora la sua visione del mondo» Gilbert Keith Chesterton

Stiamo vivendo una sorta di decadenza del sentimento storico, quando non addirittura uno spiccato sentimento antistorico

Fare i conti con il naufragio delle identità: «Dobbiamo abbandonare la retorica della diversità e sposare quella dei diritti di base. La sinistra deve smetterla con i bagni transgendere e ricominciare a parlare di solidarietà» (Mark Lilla):

https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161204/281603830085758

Reazionario o protestatario il populismo ha due facce (Maurizio Ferrera e Luis Moreno):

https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161218/281655369720227

Destra batte sinistra 2-0. I liberisti creano i poveri, i populisti ne cavalcano l’ira e gli eredi della socialdemocrazia non toccano palla (Michele Salvati):

https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20161127/281547995497176

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Castells analizza la politica della società globale in rete nel XXI secolo: il terrorismo islamico e il nuovo unilateralismo americano; le mobilitazioni no global e la crisi mondiale del neoliberismo. Alla perdita di senso provocata dall'istantaneità dei flussi finanziari e mediatici, le comunità umane reagiscono riaffermando aspetti della propria identità e rivendicando col conflitto spazi e agibilità politica e culturale nel mondo globalizzato. Alla spinta democratica si contrappone l'azione dei fondamentalismi religiosi, in guerra totale contro una civiltà cosmopolita di cui desiderano l'estinzione. Questo scenario globale sempre più caotico produce la crisi di legittimità della politica: lo stato-nazione non garantisce più né sicurezza né benessere, mentre il dibattito democratico tende a svuotarsi per essere assorbito dallo spazio dei media

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Obiettivo del libro è quello di spogliare l'immagine moderna dell'io dall'artificialità che spesso le deriva da un approccio privo di spessore storico, per restituirle tutta la pregnanza culturale e morale che ad essa è propria, facendone il punto d'incontro delle infinite dimensioni di cui è intessuta la vicenda umana. Per dare conto della ricchezza e della complessità storica dell'idea moderna di io, l'autore ne ripercorre la genesi dimostrando come essa è emersa da immagini precedenti dell'identità umana. I personaggi e le svolte che scandiscono l'itinerario tracciato da Taylor sono gli stessi di cui è intessuta la storia della filosofia. Ma alla definizione di uomo moderno hanno contribuito anche autori lontani dalla filosofia vera e propria

Il perno di Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna è quindi l’uomo inteso come «animale che si autointerpreta» e che va colto nella sua dimensione storica, nella sua trama relazionale, nelle circostanze in cui è «gettato»

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Charles Taylor osserva con preoccupazione «l’avanzata del lato sbagliato della questione dell’identità», dove per lato sbagliato intende il fronte che va da Donald Trump a Vladimir Putin passando per Marine Le Pen e Geert Wilders. E’ una coalizione trasversale ed eterogenea tenuta insieme da una comune concezione particolarista: «Assistiamo a una serie di battaglie nella società globale fra identità particolari, anguste e sospettose verso l’altro e un altro tipo di identità che trae beneficio dalla connessione con l’altro. Contrariamente a quanto pensano i fautori dell’individualismo liberale, la società democratica acuisce il bisogno di identità collettive, la gente ha bisogno di essere parte di qualcosa di più grande: il problema è ridefinire l’identità in modi che sono compatibili con l’apertura all’alterità»

Di fronte alla deflagrazione della questione identitaria sullo scenario geopolitico, Taylor si sforza di inquadrare l’uomo «così com’è», per utilizzare impropriamente un’espressione della scuola fenomenologica. E questo uomo «può essere osservato più compiutamente in uno schema antropologico e politico in cui l’apertura all’altro è possibile». Il filosofo non s’adagia sulla contrapposizione manichea e obamiana che divide la storia nella sponda giusta e in quella sbagliata, dove in fondo i giusti sono quelli che accettano lo schema del liberalismo e gli sbagliati tutti gli altri, ma naviga con cautela alla ricerca di una terza via, quella dell’identità dialogica, dove l’io scopre se stesso all’interno di una trama di relazioni

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Dobbiamo cercare di capire perché invece sta avendo successo il paradigma dell’identità come ripiegamento, chiusura e contrapposizione. Sono certamente in atto forze storiche profondissime e difficili da indagare, che hanno a che fare con la condizione dell’uomo moderno, ma queste sono potenziate da ragioni di tipo economico. Nella rust belt o fra gli operai francesi ci sono moti di reazioni e malcontento che ci dicono che, fra le altre cose, l’occidente non ha fatto abbastanza per contrastare gli effetti della crisi finanziaria del 2008. Molti che hanno subìto gli effetti peggiori di quella crisi ora si sentono dimenticati, esclusi. Queste considerazioni impongono, a un primo livello, risposte di tipo politico, ma più in profondità c’è la questione della concezione della nostra identità, che è aperta e dialogica, oppure chiusa e autoreferenziale

L’idea del progresso come destino ineluttabile è sempre stata un’illusione, e la democrazia è stata anche molto arrogante in questo: se c’è una cosa che questo momento politico mostra è che un sistema democratico non garantisce nemmeno la sua stessa sopravvivenza, figurarsi la sua affermazione come stadio finale della storia. Taylor fa alcuni esempi dell’eccesso di fiducia accordata allo schema liberale e democratico: «Abbiamo delegato la formazione della nostra identità a meccanismi globali e impersonali che hanno mostrato parecchi effetti collaterali. Gli accordi commerciali internazionali, ad esempio, in linea di principio vanno nella direzione dell’apertura ma nei fatti avvantaggiano le grandi corporation. In modo analogo, l’idea della ‘mano invisibile’ e dell’autoregolamentazione dei mercati è molto pericolosa, ma Adam Smith lo sapeva bene, e nei suoi scritti è molto più cauto nel presentare le sue teorie di come lo rappresentiamo. Il mercato è una cosa buona che ha dato tanta prosperità, ma i giudizi morali delle persone devono essere la base della società, non il funzionamento, anche efficiente, di un meccanismo impersonale». «Gli assoluti che il liberalismo vuole incarnare rivelano un’implicita concezione dell’uomo che è falsa e riduttiva: l’io è concepito come un agente astorico, pura capacità di azione e scelta, ma così le distinzioni fra persone si perdono». Il mondo identitario dei Trump e dei Putin va letto dunque sullo sfondo della grande disillusione liberale: «Credere che un ordine liberale possa infine arrivare a riconciliare gli esseri umani è terribile».

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“The Fractured Republic: Renewing America’s ocial Contract in the Age of Individualism”: è un libro che si colloca nel filone di Robert Putnam e Charles Murray, che con i loro saggi – “OurKids” e “Coming Apart” – hanno spiegato com’è cambiata la società americana, e quali risposte dovrebbe offrire la politica.

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La politica americana è intrappolata nella nostalgia, filtra il mondo attuale con gli occhi umidi, lasciandosi cullare dal ricordo – dal rimpianto – di un gigantesco “com’eravamo”. I liberal sono nostalgici dell’uguaglianza economica degli anni 50 e 60, mentre la destra rimpiange una comunanza culturale che oggi non ritrova più. Quella era l’età della coesione e del consolidamento, “l’ideale inconsapevole di un’America di successo”, scrive Brooks, e oggi che frammentazione e decentralizzazione hanno avuto la meglio – come dimostrano i grafici presenti nel saggio di Levin, nonché l’avanzata di movimenti che disperdono voti, aspirazioni e speranze in mille pezzi – regna lo spaesamento. Come nella vita, di fronte alla confusione, ci si rifugia nel passato, la nostalgia diventa un sospiro permanente, e la realtà si trasforma in uno specchio che non riflette più nulla di riconoscibile. Secondo Levin, la politica della nostalgia sta tradendo gli americani del XXI secolo, perché i partiti spesso non riconoscono quanto sia cambiata l’America, l’individualismo e la liberalizzazione hanno avuto un costo in termini di solidarietà, coesione, ordine sociale: abbiamo più possibilità di scelta, ma questo comporta una minore stabilità, una minore unità. I leader politici vanno a caccia dei colpevoli, e li ritrovano nelle banche, negli immigrati, o in quelli che Donald Trump chiama, senza fronzoli, “morons”, imbecilli. Ma secondo Levin, la frammentazione della vita del paese deve essere affrontata sfruttando la potenza di una nazione dinamica, differente al suo interno, decentralizzata. Il revival americano, di cui si sente la necessità dopo tanti saggi e tante politiche incentrate sul declino, riparte dalle comunità, dalle iniziative locali, da un processo dal basso verso l’alto reso virtuoso dal fatto che, a livello micro, sei costretto a guardare in faccia i destinatari delle tue scelte. Si sente riecheggiare la “Big Society” che i conservatori britannici lanciarono anni fa, concetto potente di rinascita culturale che non è mai stato sufficientemente spiegato da poter sfociare in azioni concrete. In un passaggio del suo libro Levin spiega che il messaggio di Trump più che essere populista è un messaggio “desolato e nostalgico”. Con l’ascesa di questo candidato repubblicano si segna “la fine disastrosa di un’epoca” intrappolata nella nostalgia di un passato remoto e incentrata – a differenza del populismo in senso stretto che pensa che l’establishment sia troppo potente – sulla debolezza del sistema centrale, sulla debolezza della politica. Secondo Levin i conservatori sono più titolati a liberarsi dalla trappola della nostalgia, in quanto i liberal sono fieri del loro istinto nostalgico, ma per farlo è necessario iniziare dal basso, rimettendo assieme così, occhi negli occhi, i pezzi di una cultura nazionale spezzata.Dino Bertocco 23

Jan Assman, LA MEMORIA CULTURALE. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche

Loredana Sciolla, SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI

Raymond Aron, L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI

Antonio Gramsci, GLI INTELLETTUALI

Pierluigi Battista, I CONFORMISTI. L’estinzione degli intellettuali d’Italia

Alberto Asor Rosa, IL GRANDE SILENZIO. Intervista sugli intellettuali

Edmondo Berselli, VENERATI MAESTRI. Operetta immorali sugli intellettuali d’Italia

Alfonso Berardinelli, CHE INTELLETTUALE SEI?

Dodici Apostati, DODICI CRITICI DELL’IDEOLOGIA ITALIANA

Una nuova cultura politica?

http://www.pandorarivista.it/articoli/una-nuova-cultura-politica/Dino Bertocco 24

L’egittologo Jan Assman indaga le relazioni fra i tre temi del ricordo, dell’identità e della perpetuazione culturale, cioè del costituirsi della tradizione

Il manuale della prof. Sciolla fornisce un quadro unitario del campo degli studi sociologici sulla fenomenologia dei processi culturali, indagando i principali modelli in base ai quali tali fenomeni e processi vengono compresi e spiegati

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Il conributo metodico e storico che conserva il fascino di uno scrutatore appassionato e partecipe della funzione degli intellettuali

Un documento fondamentale per contrastare le tentazioni che spingono gli uomini intelligenti ad adottare le «idee stupide» per abbreviare i processi del convincimento e della progettualità politica

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HTTP://WWW.REPUBBLICA.IT/CULTURA/2017/01/08/NEWS/REMO_BODEI_LA_RIVOLUZIONE_FRANCESE_E_FINITA_GLI_INTELLETTUALI_NON_SERVONO_PIU_MA_LA_VITA_E_RICERCA_DEL

LA_RAGIONE_-155612989/(…) Bodei è un uomo mite che ha scritto un libro sull’ira. È un ateo che ha scritto un libro su Dio. Ed è anche un uomo tutto di un pezzo che ha recentemente pubblicato Scomposizioni.

Come affronti le ragioni dell’avversario?

«Tentando di comprenderle. Il miglior modo per dialogare è cercare punti di contatto e dove non ci sono argomentare il dissenso. Poi, sai, le prospettive possono cambiare e con esse le nostre convinzioni. Scrissi Scomposizioni trent’anni fa. Ho aggiunto parti nuove. In misura del fatto che da allora la realtà è profondamente mutata».

Verso che direzione?

«La prima cosa che mi viene in mente è che l’epos di una società liquida sia tramontato. Stiamo riscoprendo la durezza della crisi e la spigolosità della realtà. Come si fa a non tenerne conto?» E di che altro devi tener conto?

«Ti ricordo quello che diceva Francis Fukuyama una decina di anni fa: la storia è finita. La democrazia e il liberalismo hanno vinto».

Fu un grande abbaglio.

« Niente è più sotto controllo. Le guerre si moltiplicano. La politica è un cumulo di macerie. La finanza spadroneggia. E noi ci siamo consolati, tra ironia e desiderio, dicendo che il mondo era liquido, la società liquida, le parole liquide. Ti pare che viviamo immersi in un bagno di acqua calda? L’unica cosa che si è davvero dissolta è il modello di organizzazione sociale che aveva al centro la politica».

(…….)

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Cosa l’ha sostituita?

«Il mercato che, come si può vedere, è da tempo diventato una potenza autonoma. Mentre sul piano della democrazia si assiste al tramonto della rappresentanza».

C’è il capo e ci sono le folle.

«Il fenomeno è tutt’altro che nuovo. E ha permesso la nascita dei totalitarismi. I quali hanno inventato la categoria del sublimepolitico: un capo che la folla sente contemporaneamente molto lontano e molto vicino. A me ha sempre colpito che un tipetto comeGoebbels alla fin fine riuscisse a parafrasare in qualche modo Kant».

(……)

Se la situazione è come la descrivi, che cosa proponi?

«Non mi chiedere ricette: la figura dell’intellettuale critico, incisivo sul terreno civile e della politica ha perso importanza».

Vale anche per il filosofo?

«Non fa eccezione. Nel momento in cui uscivano dalla loro stanza e si chinavano ad analizzare la società e la politica — come fecero Locke, gli illuministi, Kant, Hegel, Marx e nel Novecento Gramsci, Russell, Hannah Arendt — svolgevano una funzione di riflessione e di critica intellettuale».

Perché questa funzione è venuta meno?

«Si è chiusa un’era, cominciata con la Rivoluzione francese: gli intellettuali non costituiscono più il polo di un’alleanza con le masse per rovesciare insieme lo stato delle cose».

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È una crisi che fa parte del generale tramonto delle élite?

«Si sta andando verso un “mondo nuovo” più inquietante di quello che i nostri padri spirituali pensavano. Mi viene in mente una frase di Keynes: “ L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”. Siamo davanti a qualcosa che non ci aspettavamo che accadesse».

(….)

Credi in Dio?

«Sono tranquillamente ateo. Ma capisco che in un mondo nel quale molte cose sfuggono la religione può essere una forma di consolazione. Con Franco Fortini frequentammo per anni l’arcivescovado di Milano. Spesso si discuteva con il Cardinal Martini e un giovane Ravasi, biblista agguerrito. Detto ciò sento molto il senso del sacro».

Che definizione ne daresti?

« Per me il sacro è lo stupore e l’inquietudine di essere in un mondo senza volerlo. Ho un corpo e contemporaneamente vivo qualcosa che non mi appartiene del tutto. Mi sento ospite della vita e il sacro ne manifesta il rispetto e il timore».

E la filosofia cos’è per te?

«Per le cose che stiamo dicendo è una forma di igiene mentale; un aiuto a orientarsi nel mondo. È un insegnamento che ho appreso da Gadamer quando studiai con lui a Heidelberg». (......)

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Una terza caratteristica di De Mauro come intellettuale è quella così bene disegnata da Antonio Gramsci in uno dei suoi Quaderni del carcere: «Il modo di essere del nuovo intellettuale [consiste] nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, persuasore permanente». De Mauro, convinto che la lingua sia in funzione dell’eguaglianza dei cittadini e della loro partecipazione al sistema politico, importante per l’accesso non solo al sapere ma anche al potere, come mezzo della democrazia, ha sempre unito la teoria alla pratica, o cercando di migliorare il linguaggio della burocrazia con l’attività da lui svolta per il Codice di stile amministrativo o riscrivendo la bolletta dell’Enel o quale ministro dell’Istruzione

(Sabino Cassese)

http://www.corriere.it/cultura/17_aprile_01/tullio-de-mauro-linguista-morto-ricordo-c8934662-16e7-11e7-8391-fba9d6968946.shtml

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Trascurare la conoscenza del passato ci rende più vulnerabili e meno liberi (LA LETTURA/Corriere della Sera 31 dicembre 2016):

- Fulvio Cammarano: la storia è da tempo relegata alla funzione di un sia pure importante e diffuso passatempo, narrazione di un passato che in quanto tale può essere fonte di nostalgia o repulsione, ma comunque senza rilevanza nella soluzione dei problemi contemporanei

- David Armitage: per certi versi la storia è molto popolare, come mostrano i film, i romanzi e le fiction televisive di ambientazione storica. Le pubblicazioni di storia rivolte ad un vato pubblico godono di ottima salute, almeno nel mondo di lingua inglese….Ma paradossalmente questa fame di storia raccontata si accompagna a una crescente resistenza, perfino a un’ignoranza, nei confronti della storia come risorsa critica per orientarsi nei nostri tempi problematici. L’ascesa del populismo, e anche di alcune forme di autoritarismo, in Europa e negli Stati Uniti, è un importante segno di questa lacuna. Le generrazioni che non hanno più memoria del periodo tra le due Guerre, della Grande Depressione o della Seconda guerra mondiale, sembrano ripetere alcuni errori catastrofici del passato, che la storia potrebbe e dovrebbe insegnare a evitare…

http://www.corriere.it/la-lettura/16_dicembre_29/storia-conversazione-fulvio-cammarano-david-armitage-la-lettura-0b32852e-cdd1-11e6-b7f4-62190597806c.shtml

La storia può avere un ruolo pubblicoma deve aggiornare i suoi linguaggi. Maurizio Ridolfi interviene sugli argomenti trattati nell’intervista di Fulvio Cammarano a «la Lettura». La Public History, oltre i circuiti accademici, è la frontiera del futuro

http://www.corriere.it/la-lettura/16_luglio_18/storia-cammarano-ridolfi-giannuli-sissco-4513e18c-4cc8-11e6-b4d6-1a2d124027e8.shtml

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…ed allora: come suscitare ancora interesse per la storia che non si riduca a riportare tutto all’Europa e al suo passato? Le narrazioni del passato non i dicono molto in merito alle radici del nostro mondo globalizzato. Lo stesso vale per le produzioni dell’industria del l’intrattenimento: dai videogiochi a sfondo storico alle serie televisive che raramente prpongono chiavi interpretative per comprendere il presente

Serge Gruzinski espone nel suo volume le ragioni di una storia capace di far dialogare criticamente passato e presente e il cui sguardo sia in grado di decentrarsi. Una storia globale, che ci invita a riconsiderare da nuovi punti di vista una tappa fondamentale per l’umanità: il Rinascimento

Con la conquista degli Oceani, attraverso la scoperta di altri mondi, l’Europa prende coscienza di se stessa, gli orizzonti si ampliano, le idee cominciano a circolare, mentre iniziano ad articolarsi le prime reti commerciali mondiali. La storia di questo cambiamento illumina, attraverso numerose esperienze concrete, il presente multiforme in cui siamo entrati con la globalizzazione

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Il Paese sta vivendo il momento giusto per rivisitare criticamente i caratteri originari (positivi e negativi) della storia italiana: la crisi infatti afferisce ai molti nodi e contraddizioni affrontati finora in modo non risolutivo: il ruolo debordante della politica e di uno Stato impiccione ed ineffficiente, le grandi fratture ideologico-culturali e territoriali, slanci e fragilità nei rapporti con l’Europa e con il mondo, il gravame di un passato di arretratezze e divisioni…Il libro curato da E. G. Della Loggia costituisce una rassegna non esaustiva, ma sicuramente efficace delle questioni con cui fare i conti, affrontate con una molteplicità di apporti culturali e scientifici che offre una efficace chiave interpretativa ed una convincente visione d’insieme

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L’autore racconta come il cambiamento/tradimento è stato vissuto, iinterpretato e concettualizzato nella recente storia politica italiana e, ripercorrendo anche la sua stessa esperienza e le molte polemiche che lo hanno coinvolto nei principali passaggi della vicenda ideologica del Paese, posa uno sguardo severo sulla storia intellettuale e culturale italiana, colta nei suoi inconfessati cambiamenti di fronte, le sue quasi sempre tacite abiure, suoi pregiudizi, le sue bugie. Insomma su tutto ciò che rende ancora difficili le scelte di cambiamento…E tale atteggiamento critico viene ricambiato dall’omertoso silenzio di molta parte dell’intellighenzia strapaesana

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HTTP://WWW.ILFOGLIO.IT/CULTURA/2017/04/01/NEWS/PERCHE-NESSUNO-PARLA-DELL-ULTIMO-LIBRO-DI-GALLI-DELLA-LOGGIA-127879/

La ragione dell’incredibile silenzio sull’ultimo libro di Galli della Loggia Nel novembre dell’anno scorso è uscito (presso il Mulino) un importante libro di Ernesto Galli della Loggia, Credere, tradire, vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica, ricco di analisi acute, che inducono a rimeditare gli snodi essenziali della storia della cosiddetta Prima Repubblica. Un libro importante, ho detto. Ma un libro – ecco una cosa che mi ha molto colpito – sul quale è scesa una coltre di silenzio: nel senso che la grande stampa italiana lo ha del tutto ignorato. Nessuna recensione, che io sappia: né su Repubblica, né sulla Stampa, né sul Sole 24 Ore, e via enumerando. Eppure i nostri grandi giornali si affrettano a parlare anche di libri di scarso pregio. Nel caso del libro di Galli, no: non vale la pena di spendere su di esso nemmeno una parola (e si tratta di un’opera di uno dei più autorevoli editorialisti del Corriere della Sera!). Vale la pena di chiedersi: perché? Io ho un sospetto: che il silenzio con cui il libro di Galli della Loggia è stato punito sia dovuto al fatto che egli critica a fondo la politica seguita dal Pci in Italia dal secondo Dopoguerra in poi, e per converso mette in rilievo le molte novità positive della politica di Craxi. Apriti cielo! Chi osa criticare Enrico Berlinguer, depositario della moralità politica? – continua -

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Ma l’autore ha la sfrontatezza di ricordare che nel 1984, intervistato a Mixer da Giovanni Minoli, alla domanda su chi fosse la personalità internazionale cui andava la sua preferenza, Berlinguer rispose: Janos Kadar (nel 1984!); mentre in quegli anni (ricorda il nostro autore) erano protagonisti sulla scena europea personaggi come Willy Brandt e Helmut Schmidt, François Mitterrand e Olof Palme. Prima dell’avvento di Craxi alla segreteria del Psi, ricorda ancora Galli della Logia, il segretariosocialista De Martino dichiarò che non avrebbe mai più partecipato in modo organico ad alcun governo che non comprendesse anche i comunisti. “Un’autocertificazione di subalternità di cui è difficile, credo, trovare un esempio analogo nell’intera storia politica europea”. Molti anni dopo la caduta di Craxi, un intellettuale socialista lucidissimo, Luciano Cafagna (che non aveva mai ceduto alle lusinghe del potere), scrisse che Craxi aveva avuto di mira fin dall’inizio una cosa “chiarissima e costantementepresente: sostituire una leadership socialista ‘socialdemocratica’ a quella comunista che aveva prevalso per un intero periodo storico nella sinistra italiana”. Galli della Loggia, citando questo giudizio di Cafagna, lo fa proprio, e aggiunge: “Con Craxi,insomma, l’egemonia del Pci sulla sinistra italiana, fino ad allora incontrastata, anzi progressivamente accresciutasi, minacciava di andare in frantumi e ciò avveniva – cosa massimamente insopportabile – per un processo nato all’interno della sinistra stessa. Allora e sempre questa sarebbe stata la sua vera colpa”. Craxi, dunque, come critico e avversario tenace dei miti (tutti fallaci) del comunismo. Apriti cielo! Ma come osa Galli della Loggia riconoscere i meriti di Craxi? Craxi era un demonio, una canaglia, uncialtrone (come lo definì il segretario di Berlinguer Tonino Tatò), Berlinguer, invece, era un santo. Ma ci sono altre cose assai salutari nel bellissimo libro di Galli della Loggia, che urtano la communis opinio della quasi totalità degli intellettuali italiani. Come quando egli ricorda che Altiero Spinelli, appena eletto come “indipendente di sinistra” nelle liste comuniste, affermò che il “compromesso storico” era lo strumento più idoneo per superare niente di meno in tutte le democrazie europee il meccanismo dell’al ternanza che ne caratterizzava il quadro politico-parlamentare. “Col gioco dell’al ternanza – scrisse Spinelli – i governi di sinistra sono labili, o durano a lungo, come vediamo in Inghilterra e in Germania, ma a patto di mettere da parte ogni velleità innovatrice e di limitarsi, praticamente, a gestire la società così com’è. […] L’alternanza è diventata sinonimo di impotenzainnovatrice e riformatrice”. Parola di Spinelli. Caspita, che liberale! O come quando Galli della Loggia ridimensiona fortementeun altro “mostro sacro”, presentato di recente, in occasione della sua scomparsa, come uno dei padri della cultura italiana della seconda metà del Novecento: Tullio De Mauro. L’autore ricorda che De Mauro, in un libro che raccoglieva i suoi scritti giornalistici degli anni Settanta (Le parole e i fatti, Editori Riuniti, 1977), deprecava come una “forma di studio che fa diventare ‘amici del padrone’ […] lo studio come acquisizione individualistica di nozioni che consentono di emergere nella competizionesociale”, ovvero “lo studio egoistico finalizzato al successo nella società borghese”, e definiva “inutili scorie registri, votiindividuali […] e in prospettiva le stesse pareti divisorie delle aule”. Vere e proprie idiozie (di sapore sessantottesco) che si stenta a credere che siano state scritte. E altre perle si potrebbero citare (riportate nel libro di cui parliamo) di “il lustri maestri”. Caro Ernesto Galli della Loggia, ma Lei come si permette?

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…le Confessioni, dunque, si offrono al lettore come un’appassionata e luminosa profezia nella quale passato e futuro sono gli elementi di una relazione alchemica che trasforma l’uno nell’altro, e vogliono essere il romanzo del risorgimento dell’Italia prima che esso sia avvenuto. A cose fatte il disegno che Nievo aveva generosamente concepito, come un sogno, apparirà tanto lontano dal vero da non indicare un traguardo, quanto piuttosto rinnovare illusioni e speranze ormai definitivamente deluse dagli accadimenti, e così oggi, centocinquant’anni dopo, siamo ancora a fare i conti con un capolavoro sconosciuto che pure è nostro come nessun altro

(Cesare De Michelis, Corriere del Veneto, 22 gennaio 2017)

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L’indagine sulla lenta conquista collettiva della conoscenza e dell’uso parlato della lingua, in rapporto con le grandi tendenze della società italiana postunitaria ha significato e significa tuttora «guardare in faccia» la realtà italiana

Il decrescente, ma persistente (e cangiante nella sua espressione) analfabetismo, la lenta e faticosa scolarizzazione, la prima industrializzazione, le migrazioni interne e l’urbanizzazione, la diffusione della stampa, le scarse letture, la nascita e l’incidenza di cinema, radio, televisione, costituiscono il «calco» da cui partire per leggere ed aggiornare la mappa socio-culturale del Paese odierno, attraversato da un mutamento di segno diverso, ma che ne scopre le debolezze e criticità

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«Credo che sia ricorrente l’isolamento dei gruppi intellettuali che cercano di diffondere diagnosi sull’arretratezza culturale del paese. Ereditiamo una lungatradizione. E in questo filone di denuncia troviamo persone molto diverse fra loro, il comunista Antonio Gramsci, il liberalsocialista Guido Calogero, il catttolico Lorenzo Milani.»

Tullio De Mauro ha riflettuto sullo stato della cultura diffusa in Italia e ne definisce il significato in termini più ampi rispetto ad accezioni troppo chiuse in ambiti umanistico-letterari. Fra gli aspetti negativi c'è una arretratezza strutturale verso cui, da un lato, le classi dirigenti dimostrano scarsa attenzione (le politiche scolastiche e formative e i tassi nazionali di alfabetizzazione ne sono una testimonianza diretta), dall'altro, la società dei letterati, autorevole dal punto di vista del suo prestigio sociale, è sempre stata autoreferenziale (con pochi "eretici" al suo interno) e non colma la distanza che la separa dal paese reale.

Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce):

http://www.lastampa.it/2017/01/10/blogs/il-villaggio-quasi-globale/il-per-cento-degli-italiani-analfabeta-legge-guarda-ascolta-ma-non-capisce-MDZVIPwxMmX7V4LOUuAEUO/pagina.html

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Giuseppe Gangemi – Giuseppe Zaccaria, PER UNA CLASSE DIRIGENTE EUROPEA. Il futuro dei laureati di Scienze politiche

De Rita, INTERVISTA SULLA BORGHESIA – a cura di Antonio Galdo

Giulio Sapelli, CHI COMANDA IN ITALIA

Antonio Galdo, SARANNO POTENTI? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente italiana

Giuseppe De Rita - Antonio Galdo, L’ECLISSI DELLA BORGHESIA

Carlo Carboni, SOCIETA’ CINICA. Le classi dirigenti italiane nell’epoca dell’antipolitica

Pietrangelo Buttafuoco, BUTTANISSIMA SICILIA. Dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina

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Il potere in Italia è allo stato gassoso, senza un centro e senza una vertebrazione

E’ solo fondato sul denaro, quindi instabile e non in grado di ottenere una legitimazione

I partiti si sono trasformati in strutture di dominio personalistiche

La solitudine è, quindi, la cifra di un potere via via disgregantesi in un’Italia sempre più frammentata

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Tempi di dannazione per “élite” ed “elitismo” e boati di disgusto per chi pronuncia quelle parole senza scherno e senza rendere omaggio alle “masse”. Questi sono gli anni della “casta” e della diffusa repulsione che essa raccoglie nel mondo. Eppure la risposta a questa melmosa crisi delle “classi dirigenti” (altro concetto ora infetto, un tempo glorioso) potrebbe anche vedere una rivincita delle teorie di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, italiani famosi nel mondo per le rispettive teorie, della “classe politica” e delle “élite”: una minoranza di governanti al comando di una maggioranza di governati.

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Eppure è chiaro a tutti i realisti democratici, da Joseph Schumpeter a Robert Dahl, da Norberto Bobbio a GiovanniSartori, passando per Lasswell, Aron, e arrivando fino alle generazioni successive dei Gianfranco Pasquino e EvaEtzioni Halevy, che anche la democrazia prevede una minoranza ben organizzata che esercita il potere su unamaggioranza, che è, al confronto, sparsa e meno organizzata. L’atto stesso di votare è un gesto elitista che delega ilpotere a una minoranza (Nadia Urbinati, Democrazia rappresentativa, Donzelli). L’idea di un governo diretto delpopolo, attraverso le assemblee o i referendum, o addirittura il “cervello sociale” della rete (Casaleggio), non sono piùche miti. Il “direttismo” (conio di Sartori) è una illusione perché suppone una competenza e una informazione deicittadini, possibili solo in situazioni ideal-tipiche

Il passaggio che ha creato lo sconquasso nelle relazioni tra governanti e governati è quello rappresentato dallaesplosione di un fattore che era rimasto implicito nella teoria delle élite: il nazionalismo metodologico, l’area nazionalestatale in cui era concepito l’esercizio del potere. Lo sfondo era delimitato perché il potere aveva confini, era“cartografico”, mentre la globalizzazione ha prodotto una deterritorializzazione, denazionalizzazione, unafluidificazione del potere che lascia alle classi dirigenti “cartografiche” e alle loro campagne elettorali l’arduo compitodi reggere la marea in condizioni di impotenza. Hanno qui le radici vari processi degenerativi di un’epoca in cui«ristabilire la visibilità delle frontiere serve a placare l’ansia». Muri ben radicati per terra sono la risposta, a voltepolitica, a volte solo retorica, di fronte al libero fluttuare di forze che appaiono minacciose e incontrollate

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Dalla Rai alla nascita dell’Aspen renziano. Può il renzismo essere qualcosa di diverso dal “nuovismo”? Discussione avviata dal Direttore del Foglio Claudio Cerasa

http://www.ilfoglio.it/politica/2016/02/19/news/puo-il-renzismo-essere-qualcosa-di-diverso-dal-nuovismo-cercasi-egemonia-culturale-92907/

http://www.corriere.it/cultura/16_febbraio_22/egemonia-ha-bisogno-un-idea-necessario-restarle-fedeli-af16a554-d8da-11e5-842d-faa039f37e46.shtml

http://www.ilfoglio.it/articoli/2016/02/25/news/ma-quale-egemonia-culturale-qui-ce-solo-una-banale-lotta-di-potere-93128/

http://www.ilfoglio.it/politica/2016/02/22/news/puo-esistere-un-egemonia-del-renzismo-il-corriere-risponde-al-foglio-92968/

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Al direttore - C’è un brutto film di qualche anno fa in cui Nicholas Cage cerca disperatamente di andar via da un villaggio infame delMidwest e non ci riesce. Ogni volta che sembra che sia riuscito a metterselo alle spalle, succede qualcosa che lo riporta tra le quattro stradeimpolverate di Red Rock. La politica italiana a Red Rock c’è rimasta per vent’anni. Sempre impantanata negli stessi dibattiti e nelle stessetrincee, dalle riforme istituzionali all’articolo 18. Ora, si può pensare quello che si vuole degli ultimi due anni, ma è difficile negare chesiamo finalmente usciti dal villaggio. Basta questo per dire che siamo sull’orlo di una nuova egemonia culturale, l’ambizione che ClaudioCerasa ha fin troppo generosamente attribuito a Volta in occasione dell’avvio delle nostre attività? A mio avviso no. Ma ciò non significa cheabbia ragione Ernesto Galli della Loggia quando, sul Corriere, ribatte a Cerasa che la classe dirigente attuale non produrrà maiun’egemonia culturale perché “manca l’idea”, vale a dire la cornice d’insieme nella quale inquadrare le singole mosse per costruire unpercorso leggibile e coerente. A me sembra che sia vero esattamente il contrario. Certo, non esistono più le super-pillole teoriche di untempo. Quei manualetti delle istruzioni che contenevano tutte le domande e tutte le risposte. Però, rispetto al ventennio perduto dellaSeconda Repubblica, una discontinuità forte, sul piano dell’“idea”, c’è. E consiste nella semplice volontà di puntare fino in fondo su unmodello italiano, culturale e produttivo, che ha una sua specificità e va riformato anche in profondità, ma per rafforzarlo, non peromologarlo ad altri. In questo sta la differenza con gli ultimi vent’anni: quando Berlusconi tagliava i fondi alla cultura e cancellava la storiadell’arte dalle scuole superiori e la sinistra, o i tecnici, pensavano che il legno storto italiano andasse raddrizzato per farlo aderire aun’ideale di normalità importato dall’estero. Non dico che tutte le scelte compiute negli ultimi due anni siano coerenti con questo obiettivo,ma una linea riconoscibile esiste. E lo dimostrano sia il grado di polarizzazione del dibattito pubblico italiano tra chi ci crede e chi no, sia itoni con i quali la stampa di tutta Europa ha commentato il secondo anniversario del governo in carica. Un po’ dappertutto, i progressistisospesi tra l’immobilismo di Hollande e il ritorno al passato di Corbyn si chiedono se l’Italia non stia per caso producendo un’alternativasostenibile, capace di rimettere in movimento la società senza soccombere sotto i colpi dei movimenti populisti ed euroscettici. Ora è chiaroche la risposta a questa domanda non c’è ancora. Però il fatto stesso che venga posta significa che esiste lo spazio per una scommessa. Inuna fase di disorientamento su scala continentale, nella quale i vecchi centri di iniziativa politica e culturale hanno cessato di funzionare, cisono i margini per immaginare che un contributo decisivo alla reinvenzione dell’Europa venga dall’Italia? Non solo inin termini di governo,ma anche di stimoli, di idee edi iniziative tangibili? Volta nasce per accompagnare questa scommessa. Si tratta di affrontare un’emergenzaculturale, più che di affermare una qualsiasi presunta egemonia. In un paese più abituato alle inaugurazioni che alle manutenzioni, solo iltempo dirà se ne saremo stati capaci. Di una cosa, però, siamo certi. Anche in questo campo, i vecchi occhiali servono a poco. Chiunque pensiche l’impatto di un movimento si misuri ancora in termini di manifesti e di riviste, di intellettuali organici e di manualetti di pret-à penser èvittima di n’illusione ottica. L’importanza del lavoro culturale non è diminuita. Al contrario si è per molti versi accresciuta, ma segue oggipercorsi completamente diversi, che bisogna avere il coraggio di esplorare senza pregiudizi. Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi ancorauna volta sul sentiero mille volte battuto che conduce a Red Rock.

Giuliano Da Empoli Presidente del Centro studi Volta

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Una Costituzione «impossibile»

La crisi di sistema che attanaglia il Paese

La frattura che debilita il Paese

Un problema storico-culturale di ceto politico locale

Le mani (pulite?) sulla politica

Il rapporto asimmetrico tra Magistratura e Ceto politico

Il peso del corporativismo

Il peso dei privilegi

La fenomenologia della casta diffusa

Il peso della corruzione

La «corrutela» un male antico

Le insorgenze populiste nostrane: Bossi & Grillo

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…l’Italia del dopoguerra ha così avuto un regime di assemblea, e piuttosto che garantire diritti individuali, la costituzione è stata usata per propagandare valori. Una distorsione in cui sonno precipitati tutti i poteri costituzionali: il potere giudiziario è diventato tutore della oralità; quello esecutivo è prigioniero non – come nei sistemi parlamentari compiuti – della maggioranza ,ma dell’opposizione; il parlamento è sede di accordi corporativi, non legislatore ma camera degli interessi…La crisi costituzionale dell’Italia degli anni ‘90 (!!) ha dunque radici profonde, a cui può far fronte solo una nuova assemblea costituente (‘95)

Dobbiamo augurarci che l’Europa non si sfasci perché se ciò accadesse, mentre altre democrazie reggerebbero, la nostra sarebbe a rischio. Anche per colpa di alcune indistruttibili (e false) idee di senso comune propagandate da certa «cultura alta». Mi riferisco alla cultura costituzionale italiana, e alla colpa di molti dei suoi più illustri esponenti: avere avallato l’idea secondo cui le democrazie non avrebbero bisogno di governi forti (secondo questa concezione il governo forte sarebbe l’anticamera di un regime autoritario). Una falsità: le democrazie muoiono, quando arrivano i momenti davvero difficili, se i governi sono troppo deboli per fronteggiare la sfida.

Angelo Panebianco: La polemica nei confronti dei costituzionalisti

http://www.corriere.it/opinioni/17_marzo_13/grande-illusione-coalizioni-0fb07178-0761-11e7-96f4-866d1cd6e503.shtml

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Per capire la crisi di sistema che sta vivendo il nostro Paese occorre andare indietro nel tempo, fino alle origini, ai nodi irrisolti dell’intera vicenda storica nazionale. La guerra civile ideologica che ha sempre inquinato il raporto tra forze di governo e di opposizione – dall’Italia liberale a quella repubblicana – ha impedito il normale avvicendamento tra due schieramenti stabili e l reciproca legittimazione dei partiti cosicchè il cambiamento è passato attraverso traumatiche crisi di regime. Anche il primo esempio di alternanza di governo, che ha posto fine al ciclo storico dei regimi blocccati, è avvenuto solo nel segno di una profonda crisi di sistema. Crisi che si ripete oggi, a distanza di venti anni, con il naufragio del bipolarismo sorto dalle elezioni del 1994

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(……)

Secondo: nel Mezzogiorno la qualità delle istituzioni risulta in generale più bassa. Tutte le province meridionali sono caratterizzate da istituzioni deboli: il sud costa di più per pensioni di invalidità (rimedio all’inoccupazione); le regioni e i comuni del sud hanno un numero di dipendenti e una spesa per abitante superiori a quelli del nord (e nonostante questo sono sotto – amministrate); il costo della politica per abitante è maggiore nel sud (ciononostante le esigenze del Mezzogiorno si fanno ascoltare meno a livello nazionale); le prefetture del sud costano per abitante più di quelle del nord (nonostante ciò c’è una evidente carenza di stato nel Mezzogiorno); le regioni del sud pagano corrispettivi per posto-chilometro per trasporto molto più elevati che quelle del nord (ma la dotazione di infrastrutture di trasporto nel sud è palesemente inferiore a quella del nord). A causa di questo divario di rendimento delle istituzioni, in larga misura derivante dal loro “sfruttamento” individualistico, in contraddizione con la loro missione di cura dell’interesse pubblico (conta il “posto”, non la “funzione”), le risorse meridionali sono meno utilizzate. Contrariamente al modello marxiano, sono le istituzioni che incidono sull’economia, non viceversa: giustizia, sanità, sicurezza, ordine pubblico influenzano sviluppo economico e benessere collettivo. Ci si può chiedere se questa non sia anche responsabilità del pensiero meridionalistico, che ha posto sempre l’accento sull’aspetto economico, astraendolo dalle complessive condizioni di contesto, dall’ambiente istituzionale e sociale.

dal discorso tenuto da Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale, alla “Assemblea nazionale sul Mezzogiorno”, promossa da governo, regione e Unioncamere che ha avuto luogo a Napoli lo scorso 12 novembre 2016

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La Sicilia delle tasse perdute

e dei soldi pubblici svaniti

http://www.corriere.it/opinioni/17_marzo_20/sicilia-tasse-perdute-5eac2610-0cdd-11e7-a6d7-4912d17b7d3e.shtml

L’affaire siciliano denunciato dall’articolo di Paolo Mieli

L’impareggiabile Presidente Crocetta nel teatro dei pupi

De Magistris, il sindaco guaglione arruffapopolo

Il Presidente Emiliano, tra xilella, Consorzi di bonifica, metanodotto e Che Guevara

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…ancora una volta le posizioni polemiche assunte dalle diverse parti ignorano la centralità della sfera pubblica e la logica che presiede al suo funzionamento. L’indignazione da più parti precipitosamente espressa verso le esternazioni del pm Gherardo Colombo si è infatti esplicitamente riferita a unaconcezione dello Stato democratico di tipo tradizionale, con i tre poteri nettamente circoscritti, fra i quali il potere giudiziario occupa un ruolo subordinato perché non è espressione del consenso popolare, inteso come consenso elettorale. Non si è distinto dagli altri il consenso pubblico, o lo si è considerato come mera anticipazione, o appendice, del consenso eletorale; non invece, com’è, istituzione che propone una sua logica autonoma, in obbedienza alla quale i principali soggetti pubblici, (….) si sono mossi e scontrati; e dalla quale quindi si possono esercitare poteri a volte più forti di quelli che si voglionno eserrcitare sul fondamento dei numeri del consenso elettorale

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L’intervento di Biagio De Giovanni al Lingotto:

https://www.youtube.com/watch?v=hlujFZXGabw

Fermare la magistratura militante. Chi tradisce quell’immagine di terzietà che il giudice dovrebbe sempre preservare. Argomenti fuffa con cui i pm giustifcano il proprio protagonismo. Catalogo:

http://www.ilfoglio.it/cronache/2016/05/13/fermare-la-magistratura-militante___1-v-141931-rubriche_c976.htm

La contabilità di Mani pulite non dimostra la corruzione, ma il fallimento della rivoluzione per via giudiziaria

http://www.ilfoglio.it/cronache/2017/02/20/news/mani-pulite-tangentopoli-i-numeri-di-un-fallimento-121305/

La giustizia non va? Colpa dei politici (Carlo Nordio)

http://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/carlo_nordio_procura_venezia_pensione-2247000.html

Metodo «naming and shaming»

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Cosa frena lo sviluppo in Italia? Perché cresciamo più lentamente dei nostri partner europei? Per comprenderlo bisogna focalizzare la trama della legislazione italiana, nazionale e regionale, che soffoca la concorrenza in Italia: una normativa intricata che contrasta con le regole antitrust e che alimenta i mille interessi corporativi che bloccano l’economia del nostro Paese, uno spaccato misconosciuto in cui, accanto alle più note categorie «forti», proliferano privilegi e protezioni per mestieri meno visibili e individuati

Solo una società ed un’economia più libere cosituiscono il presupposto necessario ed indispensabile per garantire la creazione di maggiore ricchezza alle generazioni future

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Quello delle rendite perenni e spropositate, dei vitalizi scandalosi e delle poltrone perpetue è il più odioso dei vizi nazionali. Pubblici e privati: perché chi entra nel circolo vizioso del potere burocratico finisce per rimanervi felicemente intrappolato per sempre. Ci sono dirigenti pubblici pressochè inamovibili anche ben oltre la pensione, boiardi che hanno portato al collasso aziende del parastato e sono stati premiati con nuove poltrone di prestigio. Ed un’infinita platea di personaggi che possono contare su infinite prebende e inappellabili incarichi a vita, a cui la politica garantisce sistemazioni eterne con vitalizi da favola.

La colpa spesso è delle regole. Regole sbagliate, assurde, scritte per un mondo che non c’è più o forse non c’è mai stato. Regole che hanno spalancato un abisso fra il Palazzo e il paese. Per rimettere in moto l’Italia si deve ripartire da qui. Mettere in discussione i privilegi eterni.

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Dal Corriere della Sera, 19.3.1017, Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella: Sprechi e tagli mancati

http://www.corriere.it/cronache/17_marzo_19/sprechi-tagli-mancati-1c7e9f78-0c1c-11e7-a9ee-e937d2fc7af8.shtml

19,2 %: è il calo delle spese della Camera dal 2007 al 2017; sono passate dal 1053 milioni a 961 milioni di euro

18 %: è il calo delle spese del Senato, passate da 582,2 milioni di euro nel 2007 a 532,5 mulioni nel 2017

13,2 %: è il calo delle spese del Quirinale dal 2018 al 2017; sono passate da 241,6 milioni a 236,8milioni

I dipendenti alla Camera sono scesi da 1.839 a 1.170 ma il costo delle pensioni è salito a 267, 8 milioni

Il tetto degli stipendi: Renzi l’aveva fissato a 240.000 euro, ma è stato inteso al netto delle tasse

Le Province (per le quali la legge Delrio ha abolito il suffragio universale per l’elezione dei Consigli provinciali)non hanno prodotto alcun risparmio bensì il caos organizzativo-gestionale

I consiglieri regionali inquisiti per l’uso disinvolto dei rimborsi hanno superato quota 500

I vitali dei parlametari restano un macigno impressionante: un euro di entrate undici di uscite

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Può sconcertare, ma è utile leggere la testimonianza di un protagonista di primo piano di un settore strategico quale la costruzione delle grandi opere, nella quale vengono descritte le regole dell’illecito, come si sono codificate, strutturate e diffuse a tutti i comparti dell’economia.

Si può meglio comprendere come cattivo mercato e cattiva politica si sono contaminati e reciprocamente legittimati. Come si è saldato il sodalizio criminale tra imprenditoria incapace e pubbblica amministrazione incomptetente.

Ne risulta che «la corruzione è un reato ma è anche un modello mentale, una struttura culturale»

E se il contrasto e la punizione del reato sono compito della magistratura, il cambiamento del sistema compete all’intera società: per necessità etica, senza dubbio, ma soprattutto per convenienza econnomica…

Dove nasce la nostra corruzione (Ernesto G. Della Loggia):

http://www.corriere.it/cultura/16_aprile_26/illegalita-diffusa-8d1721f4-0b1b-11e6-9420-98e198fcd5e0.shtml

Dino Bertocco 56

I mali analizzati da De Sanctis sono riassumibili in uno, la «corruttela politica», che tutti gli altri genera e perpetua. Le manifestazioni della malattia da lui descritte sono quelle proprie di una «democrazia recitativa», dove le istituzioni parlamentari non sono animate da genuino spirito democratico.

Manifestazione della corruttela politica, al tempo di De Sanctis, è una vita pubblica ristretta «in gruppi più o memo numerosi, più o meno attivi, secondo gli interessi che li tira» mentre la «grande maggioranza delle classi anche intelligenti non vi partecipa», guarda «con cert’aria d’indifferenza, e quasi disprezzo gli uomini politici, quelli cioè che usano i diritti loro concessi dallo Statuto, come se la politica fosse privilegio di pochi, e non dovere di tutti». In tale situazione di «atonia o indifferenza politica», si formano consorterie che «sempre in nome del paese», mirano solo «a fare gli interessi di questa o quella consorteria. Onde nasce che il paese non vede colà che centri di corruzione, e dopo i disinganni diviene scettico, indifferente e maldicente,confondendo tutti in una sola condanna».

«Oramai - continuava De Sanctis - siamo giunti a questo, che non sappiamo più cosa è Destra e cosa è Sinistra, e cosa vogliamo e dove andiamo». Cosicché «spesso vediamo un uomo mutare le sue idee e dire l’opposto da un dì all’altro, e non se ne vergogna lui e nessuno se ne vergogna per lui». Da questa confusione, nascono governi con maggioranza legale, ma non reale: per essere reale, cioè «una sincera espressione del paese», la maggioranza parlamentare deve avere «almeno queste due qualità, un sentimento sviluppatissimo degli interessi generali, e l’opinione incontestata di moralità e d’incorruttibilità», perché il paese non solo vuole una maggioranza «dove sia vivo il sentimento degli interessi generali, ma vuole moralità e incorruttibilità anche nei singoli membri». Se invece il governo «cade in mano a quelli che sanno meglio lusingare le moltitudini», concludeva De Sanctis, «al di sopra delle masse, e in nome delle masse, si forma uno strato di falsa democrazia, che le sfrutta, corrotta e corruttrice». Quando ciò accade, governano «non le moltitudini e non le alte classi», ma una classe «che unisce insieme i vizi delle une e delle altre ed è il peggiore elemento della società».

Da sincero amico della democrazia, nel primo degli articoli, De Sanctis aveva avvertito: «Forse il male è men grave che a me non pare. Ma, piccolo o grande, il male c’è, e il primo metodo di cura è di riconoscerlo francamente».

Dalla recensione di Emilio Gentile, Il Sole 24 Ore Domenica, 26 marzo 2017

Dino Bertocco 57

La semplicità lessicale, popolare e dialettale agita contro l’arroganza delle classi colte e urbane si trasforma nel suo contrario: l’arroganza della semplicità

Per capire il successo del nuovo populismo digitale è necessario seguire in parallelo il percorso di Grillo e l’evoluzione della società italiana e dei media degli ultimi 20 anni

Dino Bertocco 58

Chi è l’imprenditore più prolifico? Chi finanzia la ricerca che produce le tecnologie più rivoluzionarie? Qual è il motore dinamico di settori come la green economy, le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la farmaceutica? Lo Stato. E’ lo Stato nelle economie più avanzate, a farsi carico del rischio di investimento iniziale all’origine delle nuove tecnologie

Lo Stato imprenditore, soprattutto nella memoria delle sue «disfunzioni» verificatesi in Italia, rappresenta una contraddizione in termini, una presenza ingombrante di cui si pensa necessario disfarsi. Il libro della Mazzuccato ci aiuta ad identificarne –invece - la funzione utile e basilare per generare una condizione di prosperità futura

Dino Bertocco 59

Domanda: Nel libro Il popolo e gli dei Lei delinea il progressivo divorzio tra élites (politiche, economiche…) e popolo. In uno sguardo retrospettivo, con riferimento al ruolo della politica e al suo rapporto con la società nella storia italiana del dopoguerra, Lei sembra riconoscere alla politica un ruolo duplice. Da un lato un ruolo di accompagnamento e promozione dello sviluppo sociale e della crescita economica; dall’altro di essere all’origine, o comunque di aver aggravato, alcune delle tendenze che stanno alla base di certi problemi della società italiana di oggi. Potrebbe chiarire meglio questa complessa relazione?

De Rita: Torno agli anni Settanta, che un giorno qualcuno dovrà studiare meglio. Negli anni Settanta il ruolo della politica fu discusso a lungo, anche perché tutto ribolliva intorno a noi: c’era la paura della pistolettata quando uscivi dal cancello, gli scioperi generali del 1969 e poi del 1972. C’era un casino infernale. La politica che faceva, che doveva fare? Eppure c’era qualcosa di più profondo che stava accadendo, anche rispetto al tema della fermezza contro il terrorismo.

Ci fu una lunga discussione tra Andreotti e Moro sulle loro rivistine politiche. Nella rivista dei morotei Moro scrisse che in una società come quella degli anni Settanta, caratterizzata da capacità di movimento e sviluppo economico dato anche dalla piccola impresa, la politica dovesse orientare i processi, accompagnarli verso un fine, dare loro un orientamento, una direzione. Con ciò si riaffermava l’idea morotea del primato della politica: la politica deve guidare la società. Andreotti rispose, nel maggio del 1973, sulla sua rivista “Concretezza”, dicendo invece che compito della politica non era quello di orientare la società ma solo di rassomigliarle, perché solo rassomigliandole si prendono i voti.

Questo nodo non è mai stato risolto. I due hanno avuto destini diversi. Dopo la morte di Moro, quattro anni dopo, nessuno avrebbe preso il suo ruolo ed ereditato la capacità morotea di fare disegni. Lo stesso Berlinguer non era nelle condizioni politiche di fare grandi disegni. Andreotti, d’altra parte, continuava a rassomigliare alla società, non aveva alcun problema. Così siamo andati avanti con una politica che è diventata sempre più simile alla società sino all’arrivo di Berlusconi e poi di Renzi, che avevano mostrato l’intenzione di restituire alla politica un primato. Lo stesso Berlusconi disse di voler cambiare tutto e di fatto non ha cambiato niente. Però vi era una stanchezza diffusa nei confronti di tutto il sistema precedente, dovuta all’idea che il tran tran andreottiano basato sul tentativo di assomigliare alla società conducesse a una politica inerme e inerte. Assomigliando alla società non devi far nulla. Il consenso dato a Berlusconi nel 1993 e poi anche a Renzi, nasceva dalla convinzione che fosse arrivato uno che si sarebbe ripreso la responsabilità di riorientare la società nel suo complesso. Non saprei dire quanto questo sia possibile, o quanto questo sia in qualche modo passibile di un certo successo, ma ho forti dubbi al riguardo. Alla fine si continua sempre ad assomigliare alla società. Per fare politica bisogna prima di tutto capire la società, ma se si vuole dare un imprinting esterno ad essa, rivendicando un primato della politica, allora serve una politica delle riforme. Di tanto in tanto viene rivendicato questo primato della politica ma poi questo proposito in genere fallisce.

Dino Bertocco 60

La politica italiana ha bisogno di un nuovo inizio, dopo essere rimasta bloccata per vent’anni, a destra e a sinistra, a causa di gruppi dirigenti invecchiati, screditati, più dediti all’autoconservazione che a salvare il Paese dal declino. Il cambiamento necessario, però, non può essere generato dalla somma di speculari debolezza, né dall’antipolitica che la assedia, ma da una nuova generazione di leader e attivisti determinata a ridare forza e dignità alle istituzioni democratiche creando finalmente le premesse di una normale democrazia dell’alternanza. Con partiti non più drogati dal finanziamento pubblico o da quello di qualche autocrate, aperti alla partecipazione, capaci di raccogliere il pensiero di molti ed alimentare processi decisionali all’insegna del pluralismo. Con un Parlamento reso meno costoso e più forte dal superamento del bicameralismo, con meno chiacchiere in Transatlantico e più lavoro nelle Commissioni, indennità trasparenti secondo standard europei, un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i singoli parlamentari e il primo Ministro. Ma …..

….se il veleno del proporzionalismo iniettato dai giudici della Corte Costituzionale entrasse in circolo, allora sì che, di fronte alla moltiplicazione dei partiti e a un Parlamento incapace di decidere, olti comincerebbero a dire che è meglio liberarrsi della politica democratica invece di liberarla

Dino Bertocco 61

I partiti hanno compiuto uno sforzo titanico,plurisecolare, per essere accettati, e una voltaaffermatisi pienamente vedono sfumare i loroprestigio, la loro credibilità, la loro considerazione.Tanta fatica per arrivare al centro del sistema edesserne i legittimi protagonisti per poi crollare dischianto travolti dalla perdita di contatto con lasocietà civile.

Fanno pensare anche a Leviatani ai quali sonno stateaffidate sempre più funzioni, concessi sempre piùpooteri, lasciati sempre più ampi spazi di intervento.

Esseri giganteschi, se non proprio mostruosi, che inpreda ad una fagia di potere anno «colonizzato» lasocietà e drenato risorse pubbliche dallo Statodiventandone parte più che controparte. Come sonogiunti a questo? Il loro vero peccato è che nonincarnano più gli ideali di passione e dedizione, diimpagno e convinzioni che sbandieravano comeconnnaturati alla loro esistenza

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Pubblicato nel 2007 Pubblicato nel 2016

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Pubblicato nel 2013 18 Autori specialisti

Il voto del 2013 ha – in ogni caso –rappresentato una cesura politica che ha evidenziato il nuovo volto non solo della politica, ma anche della società italiana, con una «destrutturazione» dell’assetto complessivo del Paese che rappresenta un autentico rebus per le scelte di tutti i protagonisti della governance.

Il merito del libro è di fornire le schede informative su tutte le questioni emerse e persistenti e le chiavi di lettura per affrontarle con un approccio più consapevole, documentato e non condizionato dalla chiacchiera social e giornalistica schiacciata sulla cronaca

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Pubblicato nel 2017L’autore insegna Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna e dal 2013 è Parlamentare (eletto nelle liste del PD, ora milita in SI)

Quello del Prof. Galli è un (efficace) racconto con lo «sguardo di un intellettuale che si sforza di capire la politica reale». Un’analisi che sceglie di gettare luce sulla politica italiana con un mezzo ormai desueto e percio provocatorio: non un tweet o un post su Facebook, ma un libro. Dalla Camera dei Deputati, e con gli occhi del filosofo della politica, egli esplora e spiega quattro anni di legislatura, dalle elezioni politiche del 2013 al referendum costituzionale del 2016. il ruolo crescente del Movimento 5 Stelle, la radicalizzazione della Lega di Salvini, l’avvento di Renzi e la trasformazione del PD fino all’esito del Referendum costituzionale sono le tappe di una narrazione riflessiva che decifra la storia in tempo reale e unisce i fatti in un percorso dotato di senso. E spiega perché la politica sta andando incontro ad una profonda metamorfosi. Come anche altri Paesi europei, secondo Galli l’Italia assomiglia sempre meno ad una democrazia. Le istituzioni del sistema rappresentativo rimangono apparentemente intatte, mentre si svuotano della loro funzione e sono superate dal ppulismo che viene sia dall’alto sia dal basso. La democrazia si deforma così un una post-democrazia e rischia di diventare una pseudodemocrazia

Dino Bertocco 65

Ossimoro, pregiudizio o constatazione?

La visione nostalgica dell’eterno ritorno

I conti con la nuova cittadinanza digitale

Il PD ed il congresso che non c’e’

Cassese: tutti si fanno sentire nessuno discute

I contributi alla rigenerazione del PD

Il deleterio complesso dei migliori

La sindrome da sinistrati

Ci siamo persi nella Terza via….

La madre «di sinistra» e’ sempre incinta di: ribelli, cicisbei, pavoncelli e coatti

Dino Bertocco 66

I partiti hanno compiuto uno sforzo titanico, plurisecolare per essere accettati, e una volta affermatisi pienamente vedono sfumare il loro prestigio, la loro credibilità, la loro considerazione. Tanta fatica per arrrivare al centro del sistemaed esserne i legittimi protagonisti per poi crollare di schianto travolti dalla perdita di contatto con la società civile. Fanno pensare anche a Leviatani ai quali sono state afffidate sempre più funzioni, concessi sempre più poteri, lasciati sempre più spazi di intervento. Esseri giganteschi, se non proprio mostruosi, che in preda ad una fagia di potere hanno «colonizzato» la società e drenato risorse pubbliche dalo Stato diventandone parte più che controparte. Come sono giunti a questo? Il loro vero peccato è che non incarnano più quegli ideali di passione e dedizione, di impegno e convinzioni che hanno sbandierato per molto tempo come connaturati alla loro esistenza

Dino Bertocco 67

Più volte è stata annunciata la scomparsa del partito come istituto distintivo delle democrazie cotemporanee. E molti analisti hanno descritto le trasformazioni della politica celebrando l’apparizione di nuovi attori della società civile desttinati a occupare lo spazio abbandonnato dalle grandi organizzazioni di massa. In realtà, con adatamenti e innovazioni, i partiti hanno saputo resistere alle sfide del mutamento sociale e per questa loro attitudine alla metamorfosi essi continuano ancora oggi a operare come essenziali veicoli della politica. I movimenti, i comitato, la rete, la personalizzazione del potere d’altro canto non riescono a durare nel tempo come eficaci surrogati del partito.

Dino Bertocco 68

Prima la televisione, poi le nuove tecnologie digitali e quindi i socialnetwork hanno sbaragliato le forme tradizionali della rappresentanza e della partecipazione politica, ridimensionando in modo strutturale il ruolo dei tradizionali partiti di massa. Con i loro smartphone i cittadini possono partecipare al dibatttito e intervenire sulle scelte senza passare attraverso i filtri, meccanismi, momenti istituzionalizzati. Inevitabile per i nuovi leader politici adottare espedienti comunicativi più idonei al rapporto diretto con l’elettore, percorrendo le strade dei nuovi sentiment per attrarre i voti e mantenere vivo l’interesse per la proposta politica.

La politica tende inevitabilmente ad adattarsi al senso comune e alle atmosfere dominanti che, nel tempo presente, tendono a rendere più praticabile e seducente lo stile populista che appare inestricabilmente legato all’appello diretto al cittadino.

In questo contesto i partiti politici richiedono sia una reimpostazione organizzativa e digitale che una reimpaginazione della loro funzione e del loro rapporto con iscritti ed elettori

Dino Bertocco 69

FORSE chi ha immaginato l’architettura organizzativa del Pd ha rivolto il suo pensiero al “cavaliere inesistente” di Italo Calvino: una armatura vuota e per questo perfetta. L’allegoria dello scrittore, affascinante nella sua fantasia, male si adatta però alla realtà della politica. Il Partito democratico presenta una anomalia organizzativa che non ha pari tra i grandi partiti europei: non prevede un congresso nazionale. Se si cerca la parola congresso nel suo statuto lo si ritrova soltanto per i livelli locali. Non è previsto un congresso nazionale dove si discutano, per giorni, le varie posizioni e si votino documenti e dirigenti.

Quella che viene chiamata convenzione nazionale non serve altro che a certificare il numero minimo di voti ottenuti nei circoli locali da ciascun candidato al fine di accedere alle primarie. Tutto si riduce al momento delle primarie, al voto per un candidato. Di dibattiti corali e solenni nemmeno l’ombra. Eppure la storia dei partiti è contrassegnata da momenti collettivi, teatri di scontri e svolte. Come separare l’accettazione della democrazia da parte della Spd tedesca dal “mitico” congresso di Bad Godesberg? O il distacco del Pci dal comunismo? O ancora, il congresso di An a Fiuggi nel 1995? Sono momenti rituali, carichi di emotività e di passione politica, dove vengono sanciti passaggi decisivi.

Tutto questo non può verificarsi nel Pd per la semplice ragione che il “congresso nazionale” non esiste, è un’araba fenice. Eppure si parla di questa entità mitica: in realtà, siamo di fronte a un “congresso inesistente”. In nessun luogo i contendenti si incontreranno per presentare a una platea di delegati i loro programmi. E questo nonostante che i partiti da cui nacque il Pd — Ds e Margherita — vedessero in questa assise il momento più importante della vita del partito. Nel 2007, infatti, alla vigilia del congresso del Lingotto, come segnala una ricerca di Aldo Di Virgilio e Paola Bordandini, i delegati dei due partiti consideravano l’assise nazionale cruciale per la definizione della linea politica e per la discussione delle mozioni, rispettivamente, nell’80-90 e nel 65-75 per cento dei casi.

Di tutto questo non c’è più traccia nel Pd. Il dibattito non ha una sede di partito dove esprimersi. Ogni candidato fa gara a sé, senza incontrarsi o scontrarsi con gli altri aspiranti segretari. Tutto è rimandato alle primarie. Il partito è esautorato della sua funzione propria di scelta del leader. Ci penseranno i cittadini. La modalità di scelta della leadership introduce tre problemi: la personalizzazione esasperata della competizione, la diminuzione dello spazio per la deliberazione collettiva e la creazione del consenso, la sottovalutazione della democrazia delegata. Sono aspetti connessi e vanno tutti in una direzione, quella plebiscitaria, delle assemblee che applaudono più o meno contente il vincitore, senza farsi distrarre da tanti discorsi. Questi problemi affiorano in molti partiti nelle democrazie occidentali. Ma non c’è alcun gaudio nel mal comune. Lasciare briglia sciolta a queste tendenze significa fare il gioco dei populisti.

Il Pd non ha fatto tesoro dell’esperienza delle precedenti primarie quando le tensioni accumulate sono poi venute a galla con effetti dirompenti; non ha compreso che solo un processo di scelta collettiva, magari divisiva ma non a scompartimenti stagni come accade ora quando i contendenti si incontreranno, semmai, solo in uno studio tv, potrebbe ridurre il tasso di conflittualità interna. Difficile invocare serenità e condivisione quando il processo decisionale semina tempesta. Ma c’è dell’altro. L’assenza di un momento collettivo, da sempre rappresentato dal congresso nazionale, non solo depaupera i membri del partito di una opportunità di identificazione nel progetto della leadership, ma rende sempre più atomizzata la scelta politica. Le democrazie non vivono solo nel momento elettorale. Vivono se la polis non è deserta, abbandonata perché è diventato inutile incontrarsi e confrontarsi. Perché basta un clic. Ogni passo, anche involontario, verso questa direzione impoverisce la democrazia.

Dino Bertocco 70

I partiti erano i canali di trasmissione della domanda politica dalla società civile allo Stato. Erano le scuole dove si formava la classe politica e si selezionavano i governanti. Ora sono diventati movimenti, reti che cavalcano o formano gli umori della società civile, senza guidarla verso obiettivi di medio o lungo termine. Una volta la base dei partiti era amplissima: i tre maggiori partiti nell’immediato secondo Dopoguerra avevano circa 10 milioni di iscritti. Molti di questi si riunivano nelle sedi locali per discutere. Ora gli iscritti, la base dei partiti esistenti, si è rarefatta (sembra che il Pd non abbia più di 400 mila iscritti). Non c’è lavoro collettivo. Le persone sono “volti nella folla”, per ripetere il titolo di un famoso libro americano di sociologia. La rete permette di comunicare, ma è la rivincita dell’individuo. Quello che una volta era un discorso da bar, ora può avere una diffusione generale. La radio e i giornali aprono “sportelli di dialogo” con ascoltatori e lettori, dando spazio alla voce dell’individuo, non al dibattito collettivo. Tutti si fanno sentire, nessuno discute, mette a confronto le proprie idee, cerca di convincere ed è pronto a farsi convincere.

Da il foglio 22 marzo 2017

Dino Bertocco 71

Valter Veltroni, E SE NOI DOMANI. L’Italia e la sinistra che vorrrei

Stefano Allievi, CHI HA UCCISO IL PD (e cosa si può fare per salvare quel che ne resta)

Claudio Cerasa, LE CATENE DELLA SINISTRA

Fabrizio Barca, LA TRAVERSATA. Una nuova idea di partito e di governo

Fabrizio Barca - Piero Ignazi, IL TRIANGOLO ROTTO. Partiti, società e Stato

Goffredo Bettini, LA DIFFICILE STAGIONE DELLA SINISTRA. Impraticabilità di campo?

Dino Bertocco 72

A quasi 10 anni dalla sua publicazione il pmnphlet di Ricolfi resta una lettura propedeutica per ogni tentativo di liberare il «popolo di sinistra» dalle false credenze e comode mitologie, retaggio della vecchia subcultura comunista: mancanza di rispetto per la verità, attitudine a mascherare i fatti, la tendenza ad orientare l’informazione in funzione dell’interesse di parte. La sinistra, per legittimare un’autentica vocazione di forza di governo deve rifiutare gli atteggiamenti presuntuosi ed arroganti, da un lato, ed acquisire la capacità di ascoltare ed intendere, osservare il mondo senza filtri ideologici, capire la società italiana frequentandola assiduamente

Dino Bertocco 73

Edmondo Berselli ci ha lasciato in eredità uno straordinario manuale di autocoscienza e sopravvivenza dedicato a quei poveri disgraziati con la vocazione a «restare minoranza permanente», con l’alibi loro suggerito dagli scienziati che «si è di sinistra per via del dna (c’è di mezzo un dannato gene altruista): come dire che si è fessi per natura»! La prosa corrosiva ed intonata al pessimismo era dedicata a commentare amaramente la sonante sconfitta elettorale del 2008, ma costituisce una sorta di diagnosi impietosa utile e valida per tutte le stagioni perché formula un’invocazione atualissima: «Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un’idea»…Ad osservare con disincanto le più recenti vicende interne al Partito Democratico, ci si sente ancor più grati all’intelligenza ed alla squisita umanità di uno splendido emiliano a cui, la prematura dipartita, ha se non altro evitato di assistere alle ultime manifestazioni di tafazzismo che, con preveggenza, ci ha aiutato ad interpretare e valutare: «L’unica vera risorsa è l’ironia, che consente di dire a noi stessi, per consolazione, come in un vecchio film di Totò: - Sinistri si nasce. E anch’io, modestamente, lo nacqui»

Dino Bertocco 74

L’intervento di Mauro Magatti al Lingotto:

https://www.youtube.com/watch?v=RO7AR7z84NI

Una sintesi da trovare tra crescita e democrazia

http://www.corriere.it/cultura/16_dicembre_04/sintesi-trovare-16d189b8-b984-11e6-91a1-37861f72a51f.shtml

Nel tempo (della globalizzazione) la sinistra neoprogressista è diventata la paladina di un progetto che punta a tecnicizzare e burocratizzare porzioni sempre più grandi della vita sociale e personale. su questa via, essa ha finito con perdere contatto con la società e le sue fatiche, producendo elites frede e distaccate commbattendo solo battaglie di principio che difendono un’idea di giustizia e uguaglianza astratta e eramente procedurale, lontanissima dai bisogni reali della genere. Semplicemente perché, come dice Slavoj Zizek, «l’altro reale» – che è sempre brutto sporco e cattivo – è di fatto rimosso e tenuto alla larga dietro la coltre delle retoriche del politically correct. Una sinistra che, raccogliendo i propri consensi ormai quasi esclusivamente tra i cei medi istruiti e professiolizzati, sembra non avere più alcuna idea di «popolo»

Dino Bertocco 75

Bertinotti…. De Magistris….Vendola….

Fratoianni….Scotto…. Speranza….Ingroia….

Casarini…Di Maio…. Di Battista…. Salvini….

Civati…D’Attorre…. Grillo…. Landini…

http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_10/mieli-buchignani-ribelli-d-italia-e0ccefb0-d742-11e6-94ea-40cbfa45096b.shtml

http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/litalia-ha-sempre-nostalgia-delle-sue-rivoluzioni-met-1365659.html

Dino Bertocco 76

Un libro che si rivela necessario per comprendere l’Italia del NO, quella in cui fatica ad affermarsi una cultura politica riformista; che spiega perché abbiamo avuto il più grande Partito comunista dell’Occidente e non è riuscita a mettere radici una solida socialdemocrazia di tipo europeo

Vi emerge con nitidezza come, al di là della volontà di uomini, partiti, elite intellettuali, spesso mossi da sincere intenzioni di rinnovamento e di giustizia sociale, il richiamo alla rivoluzione abbia avuto esiti deleteri e abbia costituito un ostacolo rispetto all’affermazione di una cultura politica autenticamente democratica e riformista

Si tratta non di mera storiografia, bensì della documentazione utile per dipanare alcuni dei temi e dilemmi che angustiano il cosidetto Centroinistra ed in particolare il Partito Democratico alla ricerca di dotarsi di una cultura in grado di supportarne, in una fase storica di profondo cambiamento, il progetto per affrontare con efficacia le impegnative sfide della contempporaneità

Dino Bertocco 77

Il fatto è che la Sinistra è nata ed è vissuta assai a lungo credendo che il cammino della Storia fosse caratterizzato di per sé, seppure tra le strettoie del capitalismo, da un elemento di Progresso (che voleva dire rischiaramento delle menti, avanzata della ragione e della civiltà, affermazione della libertà). E che proprio perciò prima o poi una tale Storia all’insegna del Progresso si sarebbe conclusa con la vittoria della Sinistra stessa, sua rappresentante per antonomasia. Ogni novità — tecnologica, di costume, di mentalità — s’inseriva in questo corso provvidenziale: da qui la sua tendenza a stare comunque dalla parte del nuovo. Specialmente se tale novità non riguardava l’ambito della fabbrica dove c’era sempre il sospetto che essa, invece, facesse gli interessi del «padrone». Ma escluso questo caso, in generale la Sinistra era convinta di non potere che essere comunque a favore di tutto ciò che sapesse di rottura, di ampliamento della sfera individuale così come di aumento dell’autodeterminazione collettiva, di non potere che favorire la «democratizzazione» di qualunque istituzione. La Sinistra, insomma, non poteva che cavalcare comunque l’onda dei tempi.

Solo che a un certo punto i tempi sono sembrati smentire tutte le previsioni, e la Storia ha deviato dal suo corso. Il capitalismo ha cominciato a funzionare con un numero sempre minore di operai, i «padroni» sono diventati democratici, le vecchie idee sono state mandate in soffitta senza problemi, il ceto medio da conservatore che era si è mutato in «riflessivo», e il Progresso non ha incontrato più ostacoli. Ha preso il comando e ha cominciato a dettare legge. Peccato che la Sinistra però non riesca ad accorgersene: convinta addirittura di intimorire qualcuno, essa pensa ancora di dirsi «progressista». Proprio mentre contro il Progresso si ode dappertutto, sempre più vicino e crescente, il rumore di confuse, paurose, rivolte.

http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_09/progresso-declino-sinistra-9f0535a8-0436-11e7-9858-d74470e8bbec.shtml

Dino Bertocco 78

E’ ancora possibile una proposta di sinistra riformatrice, europeista e, soprattutto, vincente? Per avere una risposta occorre partire da Parigi, e dalla corsa sempre più lanciata di Emmanuel Macron, passato in poco tempo da outsider a cavallo su cui puntare nella prossima campagna elettorale. Con la vittoria di Benoît Hamon nelle primarie del Partito socialista, ha prevalso un’idea di sinistra in netta discontinuità con l’azione riformista di Hollande, e del governo guidato da Manuel Valls di cui era parte, fino all’anno scorso, Emmanuel Macron, ministro dell’Industria. C’è però da chiedersi quanto una proposta di questo genere possa far breccia nel corpo elettorale: Hamon dice cose giuste su ecologia e lotta alle disuguaglianze, ma nelle sue parole riecheggiano totem del passato (le 35 ore da portare a… 32) o idee ambiziose ma di molto dubbia fattibilità (come il reddito universale). Ecco perché guardare a Macron. Perché la sua piattaforma è certamente di sinistra (anche se lui vuole andare oltre...), ma di una sinistra capace di fare i conti con la realtà, di approvare riforme capaci di lottare contro le rendite, di dare più opportunità, di aumentare la competitività del paese, e soprattutto di non rinchiudersi negli steccati ideologici del passato. Macron del resto ha indirettamente conteso e occupato, almeno in parte, proprio lo spazio politico di Manuel Valls. Non stupisce allora che anche vari riformisti del Partito socialista guardino con inte resse proprio a Macron: stando ai sondaggi, è l’unico in grado di potersela giocare con Fillon e Le Pen al ballottaggio. Hamon e il Ps viaggiano infatti tra il 10 e il 15 per cento: rischiamo cioè di avere l’ulteriore riprova che l’autolesionismo di una sinistra che per cinque anni ha combattuto il proprio governo può servire a vincere delle primarie ma molto probabilmente non paga nelle “secondarie”, cioè le presidenziali. Né a Parigi, né altrove… Ma c’è dell’altro. Macron sta conducendo una campagna coraggiosa e innovativa, specie per i canoni francesi, basata su parole d’ordine quali liberalizzazioni (in un paese ancora chiuso e corporativo), Europa (in un paese in cui il “sovranismo” di vario genere è sempre stato forte) e globalizzazione (da governare attraverso un’altra Ue, in un paese con crescenti tendenze protezionistiche). E’ una sfida a testa alta alle politiche della paura e della chiusura, a chi vorrebbe erigere muri e frontiere e distruggere l’Unione europea, pensando di tornare a un bel mondo che fu che, se mai c’è stato, certamente non tornerebbe. Più sovranismo nazionale per noi europei, infatti, significa più povertà e meno opportunità per tutti. Possiamo recuperare sovranità solo insieme, con un’Unione migliore. Cosa c’è di interessante per noi nella corsa di Macron? Due osservazioni su tutte. La prima: che la sinistra o è europeista e internazionalista o non è sinistra. Non credo sia casuale che la sua campagna stia decollando: ogni volta che la sinistra sceglie di inseguire i populismi e i nazionalismi, finisce per sembrare la brutta copia di qualcun altro, e si sa che gli elettori preferiscono l’originale. La seconda: quando la sinistra smette di fare i conti con la realtà, e dunque con una chiara prospettiva di governo, è condannata alla semplice testimonianza. Vale a ogni latitudine: da Corbyn a Podemos, passando ovviamente per la gauche de la gauche francese. Purtroppo, la tentazione di abbandonare il pragmatismo per tornare tra le braccia dell’ortodossia è forte in tutta la sinistra europea. Però se Corbyn guida il Labour, se Podemos sopravanza il Psoe, se Hamon batte Valls, è perché la sinistra più radicale dimostra comunque di aver capito l’inquietudine della nostra società. Sia le soluzioni della sinistra radicale, sia quelle degli estremisti di destra hanno un punto di forza: dimostrano alla gente di aver capito le loro paure, le loro insicurezze, la loro sfiducia. Le soluzioni proposte forse non vanno lontano nella realtà. Ma senza dubbio riavvicinano agli elettori. Invece la sinistra riformista in questi anni è sembrata allontanarsi o sottovalutare proprio quelle paure, quelle insicurezze, quella sfiducia. La sfida per i riformisti è quella di dimostrare che le risposte radicali sono sbagliate, e che le giuste domande di cambiamento, inclusione e sicurezza meritano risposte concrete: nuove protezioni per chi ha più bisogno, nuove opportunità per chi merita di più. E sopratutto non deve incarnare il sistema immobile, ma il cambiamento possibile. La strada è lunga… En Marche.

Sandro Gozi, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Pd (lettera al Direttore del Foglio)

Dino Bertocco 79

La sinistra critica – scrivono gli autori – ha cercato di ricompattarsi raffigurando il neo liberalismo come il proprio nemico principale. In questo modo, si è immersa nella configurazione ideologica dell’estrema destra e da quel momento in poi la critica al neoliberismo è diventata una critica alle società moderne e all’interno di quella configurazione ideologica il tutto si è caricato di significati nazionalisti

Questo slittamento ideologico ha permesso di trasformare la critica al liberalismo economico in una critica al liberalismo politico, alla socialdemocrazia, alla democrazia tout court. A tal riguardo bisogna anche constatare che l’inflessione nazionalista data alla critica del liberalismo dall’estrema destra è stata ampiamente ripresa da intellettuali, giornalisti e personalità politiche provenienti dalla sinistra, così che, sempre più spesso, il riferimento a questa figura critica che associa la stigmatizzazione del liberalismo e del potere della finanza all’odio delle istituzioni europee della democrazia, alla difesa del popolo nazionale, si trova ripreso da movimenti di estrema sinistra che non si distinguono più dall’estrema destra, se non per la loro attenzione compassionevole ai migranti: residuo dell’antico internazionalismo proletario, ormai finito nel dimenticatoio della storia

In sostanza, l’estrema sinistra attuale rimane passiva di fronte a una situazione politica in cui è in posizione di inferiorità, e rinunciando a dedicare attenzione al presente si rivolge a un passato a cui non smette di dar lustro e a un avvenire lontano che non si capisce bene come potrà realizzare

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Massimo D’Alema, NON SOLO EURO. Democrazia, lavoro, urguaglianza. Una nuova frontiera per l’Europa

Enrico Letta, CONTRO VENTI E MAREE. Idee sull’Europa e sull’Italia

Uwe Heuser, MISTER SCHULZ IL BERSAGLIO SBAGLIATO – Corriere della Sera Economia, 20 marzo 2017

Valerio Castronovo, IL PSOE SENZA BUSSOLA E SENZA LEADER.L’era Zapatero è ormai un ricordo,Consensi del partito colati a picco – Il Sole 24 Ore 2 marzo 2017

Valerio Castronovo, ALLA SPD MANCA IL PRAGMATISMO DI SCHRÖDER – Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2017

Valerio Castronovo, REGNO UNITO. LA SINISTRA RADICALE. Quella spina nel fianco del Labour in trincea, 1 febbraio 2017

Perché le critiche di D’Alema e Bersani a Renzi sono solo sfasciste. Parla Luciano Pellicani (di sinistra italiana ed europea)

http://formiche.net/2014/09/05/renzi-bersani-pd-parla-pellicani/

Dino Bertocco 81

https://www.slideshare.net/dinobertocco1/temi-e-dilemmi-della-democrazia-contemporanea

https://www.slideshare.net/dinobertocco1/rigenerare-la-democrazia

http://tedxtalks.ted.com/video/La-prossima-democrazia-Rodolfo;search%3Atedxbologna

http://www.filosofia.rai.it/articoli/carlo-galli-internet-e-la-politica/18972/default.aspx

http://www.fondazionefeltrinelli.it/wp-content/uploads/2016/06/Democrazie-in-transizione-A-cura-di-Nadia-Urbinati-1.pdf

Giovanni Sartori, DEMOCRAZIA. Che cosa è

Gustavo Zagrebelsky, IMPARARE LA DEMOCRAZIA

Nadia Urbinati, AI CONFINI DELLA DEMOCRAZIA

Ilvo Diamanti, DEMOCRAZIA IBRIDA

Raffaele Simone, COME LA DEMOCRAZIA FALLISCE

Gérald Bronner LA DEMOCRAZIA DEI CREDULONI

Sabino Cassese, LA DEMOCRAZIA ED I SUOI PROBLEMI

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Per quanto avvincenti, simili letture spesso deformano gli argomenti che intendono rivisitare, con la conseguenza di legittimare, attraverso le armi nobili del pensiero, fenomeni che meriterebbero invece un esame critico più attento. Ne è un esempio l’esaltazione quasi feticistica della leadership, sovente osservata attraverso lenti weberiane

L’Italia degli ultimi anni ha sperimentato tanto il governo dei burocrati quanto l’esaltazione acritica del Cesare. Gli esiti del primo sono stati deludenti, le conseguenze della seconda sono stati drammatici. Soprattutto, l’Italia degli ultimi anni ha vissuto le conseguenze, già paventate da Heller, di una “religione politica del genio senza genio”, ovvero di un culto della personalità carismatica priva di autentiche qualità di capo. Nonostante ciò, il nostro paese continua, a fasi alterne, a subire la fascinazione per l’uomo forte e solo al comando, dotato di capacità pseudo-taumaturgiche, oppure ad ascoltare le sirene dell’utopia tecnocratica, di quanti promettono una politica fondata sul “know how” e su una rappresentanza di tipo professionale anziché di natura politica. I limiti di entrambe le prospettive sono evidenti. Solo un sistema dei partiti rinnovato, capace di essere palestra di democrazia e luogo di raccordo tra il versante dell’opinione e quello della volontà, può consentire di salvare la democrazia rappresentativa italiana dai suoi nuovi nemici, di ripensarne le strutture istituzionali al di là di motivazioni ideologiche, di restituire lo scettro all’unico vero sovrano democratico – i cittadini.

Da:Utopie/41- Fondazione Giangiacomo Feltrinelli – DEMOCRAZIE IN TRANSIZIONE (a cura di Nadia Urbinati)

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Il partito personale piace sempre meno, anche se l’opinione pubblica è, costantemente, alla ricerca di leader carismatici in grado di traghettare il Paese fuori dalle secche. La speranza è d’incontrare veri leader: trasparenti nelle cose che fanno, riflessivi e decisi nelle scelte, capaci di ascoltare le persone e dare l’esempio. Un allenatore che sa circondarsi dei migliori, per perseguire, con caparbietà, un ideale, un progetto di Italia futura.

Il partito personale, con quel mix di personalizzazione, centralizzazione organizzativa e professionalizzazione, di cui parlava diciassette anni fa Mauro Calise nel suo famoso libro Il Partito P ersonale, non soddisfa più gli italiani. L’idea del gruppo politico strutturato e conformato intorno al leader piace solo al 28% del Paese

A rendere inviso questo modello di partito sono diversi fattori. Al primo posto troviamo il tema della “cor te”intorno al capo (72%).

Il venir meno della simpatia per il partito personale, non intacca il bisogno di leader carismatici, capaci di personificare attese, speranze, ambizioni

La scena politica nazionale, nel corso degli ultimi quattro lustri, ha offerto un vasto campionario di personalità politiche, da cui, gran parte del Paese è rimasta delusa. A determinare il senso di sconforto è stata, secondo l’opinione pubblica, la tendenza a difendere i propri privilegi, a sentirsi superiori agli altri, a curare il proprio tornaconto di potere, a circondarsi di corti e persone accondiscendenti, a essere opachi nella gestionale e a ridurre le forme di collegialità, condivisione e partecipazione

Tratto da Indagine SWG pubblicata su l’Unità del 19 marzo 2017

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Riflettori puntati sull’affermazione di leader forti. Sostenuta senza mezzi termini da Grillo, è incarnata nell’attualità daldecisionista Trump e da Marine Le Pen, candidata-presidente a donna forte francese che sfida Europa e Nato.

Secondo “La Politica” di Aristotele, che si può considerare un testo evangelico per le democrazie moderne, la debolezza delleclassi medie è la causa dell’ascesa di capi demagoghi- tiranni al tempo, “uomini forti” oggi. Accade quando in un Paese i ricchidiventano sempre più ricchi e potenti e, al contempo, aumenta il disagio sociale tra la maggioranza della popolazione. Una società diseguale, secondo Aristotele, radicalizza la democrazia e incoraggia estremismi tirannici. La preminenza della medietà sociale, al contrario, dà stabilità alla politica, equilibrio alla democrazia. Questa è la spiegazione sociologica all’insorgenza di Trump negli Usa, dove le classi medie hanno preso un’indiscutibile batosta dalla terza rivoluzione tecnologica (Ict) -risparmiatrice di lavoro ripetitivo - e poi dalla crisi economico-finanziaria. La debolezza delle classi medie spiega anche l’ascesa di Putin, uomo forte in una Russia in cui le disuguaglianze economiche sono le più elevate al mondo: l’1% più ricco degli adultipossiede il 75% della ricchezza nazionale(Global Wealth Report 2016); e ancora, la vittoria schiacciante di Modi - uomo forte inIndia - nel 2014, contro il partito del Congresso, che aveva dominato per decenni senza una lotta efficace alla povertà.

Si tratta di capi che sanno andare direttamente al popolo per via plebiscitaria, cercando di dis-intermediare il rapporto tra istituzioni politiche e popolo “sovrano”. Sfruttano (ma anche compensano) il discredito delle nomenclature di partito e la sfiducia diffusa verso le élite democratiche ormai implose, accusate dal popolo di autoreferenzialità e soprattutto di non averlo protetto con efficacia dalle conseguenze della crisi economico-finanziaria. È da questo mood popolare che nasce il risentimento anti-establishment anche di Brexit.

Se c’è un trend verso l’uomo “forte”, vanno tuttavia tenute in conto le diversità di contesto. Trump si può spiegare anche con lo spiccato “nuovismo” degli statunitensi o con un pregiudizio di genere nei confronti della sua rivale. Putin con una propensione storica dei russi allo zar, si chiami Pietro Romanov, Stalin o Putin. Modi, orgoglio hindu, anche con appartenenze religiose.Differente è anche il caso della Merkel, che spicca in un’Europa a forte trazione tecnocratica, ma affetta da gravi squilibri tra Stati (“le due velocità”) e da nanismo politico su scala globale. Il mondo che l’Europa ha dominato per oltre quattro secoli, uscito dal letargo, con la sua crescita giovane e dinamica l’ha infiltrata e irrevocabilmente ridimensionata.

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Le differenze permangono anche tra leader occidentali atlantici. Trump vince sfruttando il proverbiale nuovismo americano, puntando sul risentimento delle classi medie e sul disagio sociale diffuso. Merkel, al contrario, si è affermata per l’orientamento conservatore degli europei e per una miglior tenuta della classe media rispetto a quella degli Stati Uniti.

A dispetto di tutte queste differenze, è innegabile che ci sia una tendenza, anche in Occidente, verso capi forti, che riducono i partiti a organizzazioni personali e le élite a stuoli di fedeli nominati. Anche i media - odierno scenario della politica - non hanno bisogno di partiti né di élite, ma di pochi leader dei quali poter esaltare ambizioni, fascino, carisma e, soprattutto, il potenziale anti-casta. La personalità del leader può persino trascendere il contenuto del messaggio politico, il che ovviamente crea incertezza, come nel caso di Trump o in quello della Le Pen.

Modi, primo leader tra quelli delle democrazie rappresentative a essersi affermato tre anni fa in quanto “uomo forte” e “messia dei poveri”, con provvedimenti come la recente demonetizzazione o l’introduzione di una tassa unica sui beni (sostituendo i mille balzelli dei singoli stati), può essere preso a esempio di coerenza con i suoi intenti programmatici. Sta forgiando un nuovo blocco sociale di potere e alimenta il suo carisma populista con la demonetizzazione, che ha lo scopo di colpire la ricchezza indebita da evasione fiscale, illegalità e corruzione: obiettivi che piacciono a un’India che conta il 42% dei poveri del pianeta e in cui l’1% della popolazione adulta più ricca ha ben il 59% della ricchezza nazionale. Modi rilancia il potere centrale nazionale di cui è a capo.

Questo nazionalismo sovranista è un driver comune per tutti i potenti leader populisti: con mille sfumature diverse rende gli slogan di Modi analoghi a “Prima l’America” di Trump o all’esumazione della grandeur nazionale della Le Pen). Assume, tuttavia, connotati e significati diversi: forse un passo avanti per la policentrica India, ancora con i piedi d’argilla sul piano della modernizzazione; un passo indietro per la nazione guida dell’Occidente, che non può permettersi chiusure nazionaliste alla Trump. Sarebbe, infine, un anacronismo gollista nella Francia europea del XXI secolo.

Nel mondo globale, le politiche protezioniste e dei “muri”, come le bugie, hanno le gambe corte.

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Prima pubblicazione: gennaio 2015 Prima pubblicazione: febbraio 2015

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Prima edizione: marzo 2015 Prima edizione: marzo 2017

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Le slide del Prof. Fortis costituiscono una documentazione importante per esprimere una valutazione obiettiva, cioè non inquinata dalla retorica ottimistica né dal pregiudiziale criticismo, riguardo i «mille giorni» della governance renziana del Paese, naturalmente restando sul terreno dell’analisi macroeconomica

https://www.youtube.com/watch?v=l90H6LVHAfQ

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Virtù civiche e tolleranza costituiscono le basi della democrazia:

«L’incontro con l’altro: genio della Repubblica (1946-2016)» - Mostra per celebrare il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica italiana con il referendum del 2 giugno 1946, organizzato a Rimini nell’ambito del Meeting di Comunione e Liberazione

Solidarietà e innovazione per sentirci sicuri

http://www.corriere.it/opinioni/16_ottobre_30/solidarieta-gli-sfollati-0cd29784-9e0b-11e6-9ab9-47f866be7cc7.shtml

Richard Sennet, IL DECLINO DELL’UOMO PUBBLICO

Tzvetan Todorov, LA VITA COMUNE. L’uomo è un essere sociale

Gregorio Arena, CITTADINI ATTIVI

Etienne Balibar, CITTADINANZA

RICHARD Sennet, INSIEME: RITUALI, PIACERI, POLITICHE DELLA COLLABORAZIONE

Mauro Magatti – Chiara Giaccardi, GENERATIVI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI. Manifesto per la società dei liberi

Laura Boella – Marc Augè (a cura di Lorenzo Biagi), ETICA CIVILE: ORIZZONTI

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Non erano ancora arrivati gli anni del riflusso e tanto meno lasocietà liquida declinata da Bauman che R. Sennet avevaintravisto il «baco» di un declino che avrebbe inciso sugliindividui e sulla loro partecipazione ad una piena cittadinanza.Egli scrutava l’intrecciarsi di un’esasperata ricerca diprotagonismo ed autenticità personale con l’impoverimentoprogressivo della vita pubblica. Una fenomenologia socialearrivata alle sue estreme consegenze del disagio contemporaneoin cui riscontriamo e soffriamo la sterilità delle relazioniinterpersonali e la «freddezza» della vita comunitaria checonsideriamo come i mali caratterizzanti un’epoca nella qualeinternet e la blogosfera ci hanno resi più social, madeterritorializzati ed allontanati dai vincoli del rapporto diretto.Con questa osservazione perspicace, provocatoria econtrocorrente, una quarantina di anni fa l’autore si imponevasulla scena culturale con uno dei più importanti libri di sociologiainterpretativa del secondo Novecento e coglieva, al di là dellemode del momento, tendenze fondamentali che caratterizzano lasocietà contemporanea. Si pensi al nesso tra la cultura delnarcisismo e l'indebolimento dell'individuo che ha come esitol'uomo flessibile, infinitamente adattabile e manipolabile.Nell'impresa di tracciare le linee di una storia del rapportoindividuo-società nel mondo moderno, fino alla rotturadell'equilibrio tra pubblico e privato e alla deriva intimistica cheparadossalmente svuota di significato anche la sfera personale,Sennet ripercorre la sfera sociale del Settecento e dell'Ottocento,combinando in un grande affresco il mondo del teatro e dellastrada, l'abbigliamento e l'urbanistica, la vita politica e la vitaamorosa, illustrandoci una sceneggiatura nella quale , molti annidopo, scoprirà – con un altro libro anticipatore – il riaffacciarsi didinamiche (più) incoraggianti, ovvero la ripresa dell’aggregazionee dell’apprezzamento del costruire insieme…

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In memoria di Todorov

http://www.glistatigenerali.com/letteratura/in-memoria-di-tzvetan-todorov

LA VITA COMUNE

L’uomo è un essere sociale

Se ne è andato da qualche settimana, ma l’opera di Tzvetan Todorov è destinata ad ampliare ed intensificare la sua funzione culturale e pedagogica per un mondo assillato dalla frammentazione e tentazione autocratica che costituiscono la scorciatoia per affrontare i laceranti processi di una globalizzazione nella quale – invece – lui ci aiuterà ad intravvedere la inelutttabile e benefica prosecuzione della «Vita comune». Ed il suo raffinato approccio antropologico ci sarà prezioso viatico per esplorare non il posto dell’uomo nella società bensì – invertendo i termini –quello che la società occupa nell’uomo; la forza del suo pensiero e delle sue analisi ci accompagneranno nell’abbracciare l’avventura di un’esistenza umana minaccciata non dal rischio dell’isolamento – perché l’isolamento è impossibile – bensì dalle rappresentazioni individualistiche che di essa ci vengono propinate, con suggestioni che inaridiscono la vita umana ed oscurano la nostra incompletezza originaria che possiamo affrontare solo alla relazione con gli altri, di cui abbiamo un naturale bisogno

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La ripartenza con il civismo significa trarre ispirazione dall’opera todoroviana e tradurla nella quotidianità della cittadinanza attiva i cui confini ed effetti pratici sono sempre più estesi. Ed il prof. G. Arena ce ne dà conto non solo con un testo che esplora le implicazioni sociali e politico-amministrative della pratica della sussidiarietà, ma anche con la presenza attiva attraverso l’attività del Laboratorio ad essa dedicato:

www.labsus.org

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Il significato di cittadinanza attiva fa un un salto valoriale ed operativo quando l’impegno (inteso come diritto e responsabilità) entra nell’ambito politico-istituzionale. Perché implica fare i conti con le tensioni che la vita democratica affronta con le rivendicazioni di uguaglianza e libertà da cui essa trae origine. E nel tempo che viviamo la cittadinanza vive una contraddizione molto forte tra la vocazione universale dei principi a cui tende – sulla spinta della globalizzazione – ed i vincoli ed i dispositivi selettivi che regolanol’appartenenza alle diverse comunità politiche. La dinamica di inclusione ed esclusione continua a generare drammatiche asimmetrie, a operare aperture e chiusure soprattutto oggi, in un momento di particolare fragilità dello spazio pubblico e di trasformazione della sovranità nazionale. Etienne Balibar parte da tale consapevolezza per orientare l’ideazione di nuove procedure e modalità di arricchire la cittadinanza, ovvro «democratizzare la democrazia»

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Dal «cielo» della elaborazione di Todorov al terreno osservato da Sennet, la distanza è più breve di quella che le diverse discipline adottate possano far presumere: dalla vita sociale alla collaborazione il passo è breve. Ed essa, la collaborazione, è una qualità innata dell'uomo, che fin da neonato è in grado di cooperare con la madre. La sua pratica costituisce essenzialmente un'arte, un'abilità sociale, e richiede un suo rituale, che va dal semplice dire grazie alle più sofisticate forme di diplomazia. È necessaria per operare con persone che non ci somigliano, non conosciamo, magari non ci piacciono e possono avere interessi in conflitto con i nostri. È quindi un'abilità fondamentale per affrontare la più urgente delle sfide dell'oggi, ossia vivere con gente differente nel mondo globalizzato. Nonostante ciò è poco considerata nella società occidentale che le preferisce il modello della competizione individualistica o quello della chiusura di tipo tribale. Richard Sennett discute del perché ciò accada e che cosa si possa fare per porvi rimedio, visto che per prosperare le società hanno bisogno di quello scambio da cui si può trarre beneficio reciproco e mutuo soccorso. In un'indagine di ampio respiro, insieme antropologica, sociologica, storica e politica, mostra che cosa si intenda per collaborazione, spaziando dalle gilde medioevali al social networking fino alle motivazioni che spingono l'uomo a cooperare con i propri simili, traendone soddisfazione e piacere.

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Il flusso interiore delle energie finalizzate ad intensificare e qualificare l’empowerment (civismo & cittadinanza) è condizionato – però – dalla potenza dei grandi apparati tecno-economici e di quella della (latente) volontà di «potenza soggettiva», sollecitata alla disinibizione ed alla apertura a tutto, trasformando – alla fine – i desideri in ricerca compulsiva del godimento e della performance, anticamera dell’insoddisffazione e della depressione. La proposta formulata nel «manifesto» è di adottare la «libertà generativa» che si manifesta nell’arte, nel lavoro cooperativo, nel volontariato, in certi modelli di imprenditorialità, nel’artigianato. Dunque la generatività come nuovo immaginario della libertà che ci libera da noi stessi. E questo diventa (anche) il modo per riformare il nostro modello di sviluppo e rinnovare la democrazia. Superando l’individualismo della società dei consumi ed entrando nella società che genera.

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Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea – Roma 25 marzo 2017:

«Per il prossimo decennio vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione»

https://www.tpi.it/mondo/italia/testo-nuova-dichiarazione-firmata-roma-leader-ue

Giuseppe De Rita: Dobbiamo abbandonare la retorica del SUPERSTATO. Servono dei nuovi obiettivi condivisi da tutti, come quelli realizzati da chi lavorò agli accordi preliminari della firma di 60 anni fa

http://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2017/03/26/32/dobbiamo-abbandonare-la-retorica-del-super-stato_U43300331217446acC.shtml

Sergio Fabbrini: La vera sfida è l’Unione federale – Il Sole 24 Ore 26 feffraio 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-02-26/la-vera-sfida-l-europa-e-l-unione-federale-111857.shtml?uuid=AEEXHYd

Franco Gallo: L’Europa in deficit di scelte e democrazia – Il Sole 24 Ore 27 febbraio 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-02-26/l-europa-deficit-scelte-e-democrazia-200341.shtml?uuid=AEEVDTb

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Se non vogliamo retrocedere a un’identificazione etnica o di tipo religioso-ideologico (con l’approdo ai fondamentalismi razziali o religiosi), ci troviamo di fronte ad una sfida tanto imbarazzante quanto affascinante da affrontare. Quella cioè di ricostruire un’identità collettiva come che si esprime attraverso un’articolazione complessa: come appartenenza multipla a livello cittadino, regionale, nazionale ed europeo. Parafrasando Franco Battiato dovremo evitare di «cercare un baricentro unico», bensì sviluppare una cittadinanza con diversi equilibri all’interno di un terreno comune riconosciuto come tale

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HTTP://WWW.PANDORARIVISTA.IT/ARTICOLI/INTERVISTA-DONALD-SASSOON/

Donald Sassoon è uno dei maggiori storici viventi. Sassoon è nato al Cairo e ha studiato a Parigi, Milano, Londra e negli Stati Uniti. Ha conseguito un PhD al Birkbeck College di Londra sotto la supervisione di Eric J. Hobsbawm, è Professore Emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra. A Sassoon si devono importanti studi quali: Cento anni di socialismo (Editori Riuniti 1997), un’analisi di ampio respiro del ruolo della sinistra nell’Europa occidentale nel corso del Novecento e La cultura degli europei. Dal 1800 a oggi (Rizzoli 2008), una monumentale indagine comparativa delle opere che hanno costruito l’immaginario europeo degli ultimi secoli; è anche autore di diversi saggi sulla storia d’Italia, fra cui Togliatti e la via italiana al socialismo (Einaudi 1980) e Come nasce un dittatore (Rizzoli 2010). Attualmente sta lavorando sul ruolo del capitalismo globale nel periodo 1880-1914.

Abbiamo deciso di porre a Sassoon alcune domande partendo dalla situazione attuale dell’Europa e del processo di integrazione, dall’emergere dei nazionalismi, per poi proseguire, sulla scia dei suoi studi, con uno sguardo storico rivolto alla storia del socialismo europeo e alla storia italiana del secondo Novecento. La considerazione dell’ultimo trentennio non può che mettere in luce una crisi delle prospettive di tipo socialista -crisi che si manifesta negli anni Settanta e Ottanta e i cui effetti ultimi vediamo ancora oggi-, di cui Sassoon cerca di indagare le cause. Si tratta di un contributo disincantato che fornisce numerosi elementi per la discussione e che va tenuto in seria considerazione anche e sopratutto da chi non volesse condividerne le amare conclusioni.

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I dati, prima di tutto i dati:

Nel 1960 il Prodotto lordo del mondo era inferiore ai diecimila miliardi di dollari; nel 2013 è arrivato a 57 mila (Fonte Banca mondiale)

Il Pil procapite (valore unitario il dollaro del 1990) è rimasto attorno ai 500 dollari tra il 1630 e il 1830. poi, con la rivoluzione industriale è iniziato a salire: duemiladollari nel 1950; a quel punto si è impennato e nel 2008 era 7.614

Nel 1820 la povertà assoluta riguardava il 94 % della popolazione del pianeta, nel 2001 il 21 % e meno del 10 % secondo l’analisi più recente della World Bank

La mortalità infantile (sotto i cinque anni) è crollata tra il 1960 e il 2012, da 260per mille nati vivi a 25 in Mediooriente e Africa del Nord, da 248 a 60 nell’Asia del Sud, da 250 a 98 nell’Africa Subsahariana, da 182 a 68 nel mondo nel suo complesso (Fonte Unicef)

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Il numero di morti per anno a causa di eventi atmosferici estremi è calato dai 485 mila nel decennio 1920-1929 ai 35 mila del periodo 2000-2008

La popolazione mondiale che viveva in regimi democratici era il 12 % nel 1901, salita al 52% nel 2009

Pensare all’elefante: la globalizzazione ci ha fatti più ricchi e più uguali. La più grande guerra alla povertà della storia dell’umanità - di Luciano Capone, il foglio 6 febbraio 2017

http://www.ilfoglio.it/economia/2017/02/06/news/pensare-allelefante-la-globalizzazione-ci-ha-fatti-piu-ricchi-e-piu-uguali-118737/

L’elefante della diseguaglianza - di Dario Di Vico, La Lettura, 5 marzo 2017

https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20170305/281603830256238

Siamo meno poveri, più sani ma non siamo affatto felici - di Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore, 6 novembre 2016

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-01-09/siamo-meno-poveri-piu-sani-ma-non-siamo-affatto-felici-111227.shtml?uuid=ADaNOATC

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“Negli ultimi 50 anni non ci siamo mai fermati, nel mondo le persone sono più ricche, più intelligenti, più uguali, più libere, abbiamo aria più pulita, salute migliore e più democrazie”. Non sarà il miglior mondo possibile, ma ascoltando Matt Ridley e i dati che snocciola si capisce che viviamo nel miglior mondo esistito. Ridley è un intellettuale poliedrico, zoologo, giornalista (è stato responsabile della sezione scientifica dell’Economist), divulgatore scientifico, studioso di economia. Ma soprattutto è “un ottimista razionale”, come dice il titolo del suo libro che stranamente ha avuto un successo globale, perché in genere sui temi dell’ambiente e dello sviluppo è il catastrofismo che si vende. Lo scrittore britannico fa l’esempio di Lester Brown, un celebre ambientalista, che nella sua carriera di profeta di sventure ha previsto che non saremmo riusciti a sfamare la popolazione mondiale nel 1974, nel 1981, nell 1984, nel 1994 e nel 2007. E invece è successo il contrario: “Qualunque cosa dica Lester Brown, fate il contrario”, chiosa Ridley. : “Stiamo nutrendo il pianeta molto meglio di 50 anni fa. Meno persone soffrono la fame mentre la popolazione globale è raddoppiata”.

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«Nei prossimi vent’anni l’uomo potrà fare più progressi che nei precedenti 200, grazie a tre fattori concomitanti: una gamma di tecnologie in crescita esponenziale, dall’intelligenza artificiale alla stampa 3D; lo studio scientifico di uno stato mentale ottimale che amplifica le potenzialità; l’iper-xonnessione della popolazione che abilita meccanismi come il crowdsourcing»

Steven Kotler, autore-giornalista-imprenditore. Le sue attività sono dedicate all’esplorazione delle connessioni tra capacità umane, tecnologia e coscienza

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Sono quattro i fattori che determineranno una nuova (lunga) stagione di successo della «useful knowledege», la miscela di scienza e tecnologia che ha creato le basi dello sviluppo plurisecolare dall’illuminismo in poi:

Competizione: facilita il progresso perché nessuno vuole restare indietro. Gli americani sono forti in genetica, i tedeschi in chimica, gli israeliani nel software. Rispetto al passato, però, oggi un’invenzione fatta in un singolo posto, si diffonde istantaneamente in tutto il mondo

«Artificiale reveletion»: gli strumenti che amplificano i nostri sensi di esseri umani, permettendoci di osservare ed elaborare meglio e quindi di favorire gli avanzamenti scientifici

Costi di accesso: il grande merito dell’ICT è avrli fortemente ridotti. Abbiamo Big Data, Open Data e tecnologie di ricerca delle informazioni straordinariamenteprecise

Incentivi per chi fa ricerca: gli innovatori continuano ad essere gratificati con fama e denaro, anche se poco rispetto ai benefici delle loro invenzioni. I brevetti sono un meccanismoabbastanza efficace, e premi come il Nobel danno notorietà mondiale e duratura

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Parag Khanna è uno stratega geopolitico che non ha osservato la progrediente connettività del mondo da uno studio di ricercatore, bensì spostandosi verso i luoghi più disparati, individuando i mutamenti epocali che stanno investendo il mondo. Migrazioni, Megalopoli, Zone economiche speciali, Comunicazionie cambiamenti climatici che stanno ridisegnando la geografia planetaria. Gli Stati non sono più definiti dai loro confini, bensì dai flussi di persone e legami finanziari, commerciali ed energetici che quotidianamente li attraversano. Nello scenario dello scontro tra potenze e di un «forsennato tiro alla fune», nel mondo le linee che lo connettono sono di più di quelle che lo dividono

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Ciò che possiamo osservare è lo spostamento del potere, da Ovest a Est e da nord a Sud, dai Palazzi al cyberspazio, dai colossi industriali alle agili start up della disruption digitale e della sharing economy. Seppur non acclarato ed universale, anche dagli uomini alle donne.

Il potere sta diventando più debole ed effficmero; più acile da conquistare, ma più difficile da esercitare e più semplice da perdere

Che detiene il potere lo conserva erigendo imponenti barriere, ma oggi le forze rivali smantellano quelle barriere più rapidamente e facilemente che mai

Per poi scoprire una volta conquistato il comando, la loro stessa vulnerabilità

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Nello scenario meticolosamente indagato e portato in superficie attraverso dati e tabelle esplicativi, approfonditi e rigorosi, emergono da un lato un quadro dell’evoluzione dell’umanità complessivamente positivo, dall’altro le disuguaglianze stridenti ed originate dallo stesso sviluppo economico impetuoso ed inarrestabile: gli individui, i gruppi sociali, i Paesi che vanno avanti per primi, per definizione lasciano indietro gli altri

Vedi: Michele Salvati, MENO POVERI E PIU’ SANI. NON TUTTI, La Lettura-Corriere della Sera 10.5.2015

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Democrazia è insieme il nome di una forma di governo e di un ideale politico e morale. Questa doppia natura dà alla parola un significato complesso, con la conseguenza che alla democrazia chiediamo a volte troppo e a volte troppo poco. Le chiediamo troppo quando confondiamo il suo ethos universalistico con un progetto politico di espansione. Le chiediamo troppo poco quando la identifichiamo con l’appartenenza etnica, mortificandone il si-gnificato inclusivo ed egualitario. Nel primo caso, estendiamo la democrazia oltre i confini territoriali dello Stato per farne un progetto di governo globale o, che è ancora peggio, di democratizzazione forzata. Nel secondo caso, rischiamo di trasformarla in un governo di privilegiati che accetta di avere al suo interno residenti, che tuttavia non hanno gli stessi diritti dei cittadini. La democrazia ha dunque una difficile relazione con i confini, siano essi ideologici o territoriali, e tale difficoltà è all’ori-gine della sua schizofrenia. Le contraddizioni insite nella stessa nozione di democrazia sono alla base di questo acuto volumetto di una delle maggiori teoriche della politica contemporanee, che si interroga sui dilemmi di uno Stato democratico nell’era della globalizzazione. L’universalismo dei valori democratici autorizza a legittimare una democrazia cosmopolita? La giusta esigenza di autonomia politica che la democrazia contiene autorizza i paesi democratici a farsi missionari di democrazia? L’universalismo democratico di cui i paesi dell’Occidente vanno fieri può accettare di non prevedere politiche di inclusione rivolte agli immigrati ?

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Lo slancio verso le «magnifiche sorti e progressive» della globalizzazione non ci deve far perdere di vista le radici della liberaldemocrazia che hanno incoraggiato e sospinto l’internazionalizzazione dello sviluppo. Ciò significa riportare al centro il valore dell’uguaglianza che ha animato la rivoluzione americana e quella francese, pena l’incrinarsi della credibilità dello stesso «modello politico». Oggi con l’acutizzarsi delle disuguaglianze, la vita democratica risulta impoverita con il rischio del prevalere delle sperequazioni sociali e delle conseguenti pulsioni politiche alle scorciatoie (opposte) tecnocratiche e/o populiste. Si tratta, al contrario, di riaffermare il principio dell’uguaglianza come garanzia di coesione sociale, come fattore di sviluppo e di crescita, riconoscendone la convenienza economica accanto alla plausibilità morale. Non solo all’interno dei singoli Paesi, ma anche nelle relazioni tra gli Stati, in particolare nell’Unione Europea, oggi sempre meno comunità di uguali e sempre più espressione dell’egemonia tedesca. Tale svolta etico-politica va assunta partendo dall’orgogliosa consapevolezza dei valori fondativi e identitari della democrazia occidentale, anche in competizione con lo stesso modello cinese, verosimilmente destinato prima o poi a scontrarsi con le sue contraddizioni: dall’uguaglianza totalitaria alla disuguaglianza totale

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Il merito del libretto di Ainis è di farci scendere dalle nuvole del dibattito valorial-ideologico-politologico e farci camminare sul terreno delle ingiustizie, delle tensioni e contraddizioni in cui i piccoli passi, le buone pratiche di «piccola uguaglianza» fra categorie e blocchi sociali, a vantaggio dei gruppi più deboli, determinano un effettivo miglioramento e illuminano i percorsi e la progettualità più vasti necessari per invertire uno stato di cose intollerabile, per passare dalla denuncia alla propposta operativa ed alle azioni concrete che hanno la valenza di provocare effetti inattesi e dirompenti

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http://tempofertile.blogspot.it/2015/10/branko-milanovic-chi-ha-e-chi-non-ha.html#!/2015/10/branko-milanovic-chi-ha-e-chi-non-ha.html

http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2016/07/piketty-la-sinistra-luguaglianza-p.reichlin.pdf

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Percepire l’interdipendenza Acquisire un alfabeto inedito

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McKinsey: le macchine sostituiranno l’uomo nel 49% dei lavori

http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2017-01-14/mckinsey-macchine-sostituiranno-l-uomo-49percento-lavori-101852.shtml?uuid=ADyh8xYC

L’operaio torna in paradiso

https://interestingpress.blogspot.it/2017/01/loperaio-torna-in-paradiso.html#!/2017/01/loperaio-torna-in-paradiso.html

Il rapporto della Casa Bianca sull’intelligenza artificiale

http://www.controcorrenteblog.com/2017/01/13/rapporto

-casa-bianca-intelligenza-artificiale/

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