Pd spunti d'innovazione

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Gruppo consiliare di Alessandria L'evoluzione dei modelli di enti locali: verso il superamento del modello incrementale. 11 maggio 2013 a cura di Ezio Guerci

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Lo sviluppo dei modelli degli enti locali: dalla regolamentazione alla regolazione.

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Gruppo consiliare di Alessandria

L'evoluzione dei modelli di enti locali: verso il superamento

del modello incrementale.

11 maggio 2013

a cura di Ezio Guerci

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1. TEMI E PERCORSI DELL’INNOVAZIONE DEI SISTEMI TERRITORIALI

1.1. Il modello incrementale

Per comprendere in visione d’insieme alcune delle problematiche che il sistema dei nostri enti locali deve affrontare, abbiamo cercato di utilizzare un modello di raffigurazione delle dinamiche che hanno interessato (e stanno tuttora interessando) i nostri enti, senza avere ambizioni di carattere scientifico, ma, piuttosto, cercando di sintetizzare e raffigurare processi che sono parte delle esperienze e delle acquisizioni cognitive degli operatori pubblici, a qualunque titolo impegnati negli enti.

Con questa premessa (che invitiamo a mantenere sempre presente nell’esame del modello proposto!), possiamo provare a descrivere un fenomeno tipicamente riscontrabile nei nostri enti: la natura incrementale delle loro prestazioni.

Nel tempo, cioè, abbiamo assistito ad una costante crescita quantitativa delle prestazioni a qualunque titolo fornite dagli enti locali, impegnati ad affrontare l’aumento delle richieste d’intervento formulate nei loro confronti, senza, per altro, abbandonare gli ambiti d’intervento precedentemente (e in qualche modo) soddisfatti1.

Basterebbe ricordare la storia delle esperienze di governo locale, soprattutto a far data dagli anni ’70, per ravvivare in noi le fasi di sviluppo di questo modello, a cominciare dalla nascita delle Regioni, dal conseguente avvio della prima fase di produzione legislativa regionale, per proseguire con la riforma del sistema socio-assistenziale, la stagione delle municipalizzazioni, i nuovi poteri in materia di pianificazione e governo del territorio, e così via.

Il tipico approccio alla definizione dei programmi elettorali (prima) e dei programmi di mandato (successivamente) tende a prefigurare l’aumento delle risposte alle attese di prestazioni sorgenti da una comunità locale2.

1 Per comprendere il fenomeno dobbiamo soffermarci sulle dinamiche riguardanti le diverse percezioni dei bisogni.

Sono bisogni impliciti quelli che l’utente-cliente non evidenzia perché la loro soddisfazione è data per scontata, al punto da non generare particolare valutazioni positive. A fronte però della non corrispondenza della prestazione di servizio a questo tipo di bisogno, l’insoddisfazione dell’utente-cliente sarà totale.

I bisogni espliciti sono quelli che l’utente-cliente evidenzia chiaramente, nelle diverse forme che gli sono possibili. Essi sono rilevabili attraverso indagini conoscitive, il contatto diretto, l’analisi dei comportamenti. La soddisfazione dell’utente-cliente è direttamente proporzionale al riscontro che egli ritrova nel servizio erogato rispetto alle attese formulate.

Sono bisogni latenti quelli che l’utente-cliente non è in grado di percepire (e quindi di esprimere) fino al momento in cui non riesce a cogliere i benefici che derivano dalla loro soddisfazione. La mancata soddisfazione di questi bisogni non determina conseguenze negative nel giudizio dell’utente-cliente, mentre i benefici che derivano dalla loro soddisfazione sono notevoli. L’individuazione dei bisogni latenti è resa possibile dallo sviluppo di attività di ricerca e di innovazione.

Ebbene, i bisogni dell’utenza (sia essa potenziale ovvero acquisita) di un determinato servizio sono in continua evoluzione tendenzia lmente spostandosi essi dalla condizione di latenza a quella di implicitezza, transitando dalla fase in cui essi sono espressi in modo esplicito.

Gli abitanti di un nuovo quartiere saluteranno positivamente l’attivazione di una nuova linea di autobus che risponde ad un b isogno (esplicito) di mobilità. Successivamente, questo bisogno sarà considerato implicito, quindi non più direttamente espresso (ma se il servizio venisse sospeso le reazioni sarebbero fortemente negative) e la cognizione dei nuovi bisogni sarà rivolta agli attributi di puntualità, di maggior frequenza delle corse, di pulizia dei mezzi, e così via. Quando anche questi elementi di miglioramento del servizio saranno acquisiti, i bisogni che li sottendono entreranno nella sfera dei bisogni impliciti e la prestazione attesa si rivolgerà verso, ad esempio, una maggiore velocità dei collegamenti con la predisposizione di corsie preferenziali, la realizzazione di fermate più accoglienti, l’installazione di indicatori del tempo di attesa del mezzo successivo, l’integrazione del pagamento del parcheggio della propria auto con l’uso del mezzo pubblico, e via di seguito, in una continua trasmigrazione dei livelli cognitivi del bisogno e in una costante evoluzione della domanda prestazionale.

2 Nel diagramma che segue (Diagramma 1) è raffigurato questo processo. In esso si evidenzia come il passaggio da un tempo T1 (ad esempio l’inizio del mandato di un sindaco) ad un tempo T2 (ad esempio la conclusione del suo mandato), sia stato normalmente accompagnato dal la crescita del livello di prestazioni erogate dall’ente (P2-P1), in sostanziale invarianza del quadro erogativo precedente.

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E tuttavia, ben prima dei vincoli di bilancio imposti soprattutto dalle ultime leggi finanziarie, questo meccanismo iniziò ad evidenziare una serie di criticità, connesse in particolare alla transizione da un modello di acquisizione delle risorse finanziarie, prima basato sui trasferimenti dallo Stato, ad un modello che vede gli enti locali (soprattutto i comuni) impegnati ad alimentare il complesso dei loro interventi quasi esclusivamente attraverso le risorse acquisite con il sistema della fiscalità locale e con le entrate da tariffe.

E’ esperienza comune come questo percorso abbia aggiunto una variabile al modello ricordato nel diagramma precedente: l’aumento di prestazioni doveva accompagnarsi ad una tendenziale invarianza del prelievo impositivo locale.

Questo nuovo fattore ha contribuito a determinare di per sé significativi interventi di razionalizzazione organizzativa e gestionale, tesi ad accrescere i livelli di efficienza del sistema erogativo soprattutto attraverso la crescita dei suoi livelli di produttività.

Per altro, il livello di criticità del modello cresce se nello schema concettuale di riferimento viene aggiunta la curva delle prestazioni attese3 .

Non bisogna scomodare Maslow4 per avere coscienza dell’andamento della curva e del rischio che il differenziale

Diagramma 1

Liv

ell

o d

i p

resta

zio

ni

ero

gate

TempoT0 T1 T2

P1

P2

3 Diagramma 2

T0 T1 T2

P1

P2

F1-F2

B

Liv

ell

o d

i p

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zio

ni

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gate

Liv

ell

o i

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ivo

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cale

Livello di prestazioni necessarie

Tempo

4 Secondo la teoria della motivazione di Maslow, i bisogni umani sono ordinati in una gerarchia formata da cinque livelli:

- Bisogni fisiologici

- Bisogni di sicurezza

- Bisogni di amore e appartenenza

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tra la curva delle prestazioni fornite e quella delle prestazioni necessarie (ci piace questa definizione, più di quella di prestazioni attese, che richiede l’effettiva percezione del bisogno e l’identificazione dell’ente locale come soggetto in grado di soddisfarlo) tenda ad aumentare.

1.2. La crisi del modello incrementale

Questo insieme di fattori determina una sostanziale crisi del modello incrementale d’intervento degli enti locali.

Essa si concretizza attraverso alcuni sintomi piuttosto evidenti nella concreta esperienza quotidiana, soprattutto dei nostri comuni.

- Progressivo irrigidimento delle strutture erogative e delle scelte relative all’allocazione delle risorse (reiterazione programmatica) – Si tratta di un ben noto fenomeno attraverso il quale un servizio, un’attività o un intervento vengono di anno in anno reiterati perché sono state consolidate le relative strutture erogative o perché non sussistono le condizioni relazionali affinché vengano privati i soggetti di riferimento dei benefici derivanti da quello specifico intervento. La conseguenza inevitabile di questo fattore è la tendenziale ipertrofia delle strutture erogative (siano esse interne o frutto di processi di esternalizzazione che vedano l’ente in funzioni proprietarie) e la progressiva rigidità del bilancio.

- Progressiva riduzione degli ambiti di decisione degli organi – E’ una conseguenza direttamente connessa al primo fattore. La natura incrementale delle prestazioni erogate determina inevitabilmente il progressivo assottigliamento delle disponibilità reali di decisione da parte degli organi di governo, relativamente all’allocazione delle risorse.

- Inerzia nei confronti del cambiamento – E’ inevitabile come i fattori di rigidità sopra evidenziati determinino una sostanziale inerzia nei confronti del cambiamento e dei processi d’innovazione, determinandosi spesso negli enti (a livello di strutture organizzative) o nei processi relazionali (interni all’ente e tra l’ente e l’ambiente esterno) strutture consolidate che tendono a riprodurre se stesse, a prescindere dal quadro di priorità rilevabile.

- Squilibrio nella destinazione delle risorse (rispetto ai livelli di protezione) – Quando il fattore precedente riguarda i bisogni delle persone, appare evidente come possano determinarsi, nel tempo, squilibri tra le risposte fornite positivamente e quelle non fornite (o fornite solo parzialmente) alle necessità rilevate, con conseguenti livelli differenziati di protezione tra soggetti sociali, frutto solo della sovrapposizione storica delle decisioni e non di precise scelte di priorità. Può succedere, cioè, che un bisogno, ancorché considerato prioritario nella scala di valutazione programmatica, non trovi risposte efficaci, perché le risorse sono totalmente assorbite dagli interventi precedentemente attivati in risposta ad altri bisogni, la cui priorità attualizzata sia considerata di grado inferiore.

- Squilibrio territoriale – E’ ben conosciuta la forte differenziazione esistente in termini di protezione sociale, di qualità della vita, di occasioni di sviluppo tra una realtà territoriale e l’altra. In parte essa è il frutto della decisiva importanza che i sistemi di welfare locale hanno assunto nel creare condizioni di qualità dello sviluppo locale in rapporto alle “assenze” che evidenziava il modello di protezione implementato a livello nazionale. In parte, come sappiamo, esso deriva dalle differenti situazioni di contesto entro le quali gli attori hanno operato. Conosciamo, quindi la problematica connessa al raggiungimento di standard minimi di protezione che garantiscano livelli più

- Bisogni di stima e status

- Bisogni di autoattualizzazione (creare e realizzare se stessi)

Un gruppo di bisogni diviene completamente operante solo quando il gruppo di bisogni immediatamente inferiore è largamente soddisfatto.

Successivamente sono giunte critiche a questa scala di identificazione, perché semplificherebbe in maniera drastica i reali b isogni dell'uomo e, soprattutto, il loro livello di "importanza".

La scala sarebbe perciò più corretta in termini prettamente funzionali alla semplice sopravvivenza dell'individuo che in termini di affermazione sociale. Si tratterebbe perciò di bisogni di tipo psicofisiologico, più che psicologico in senso stretto.

Altre critiche vertevano sul fatto che la successione dei livelli potrebbe non corrispondere ad uno stato oggettivo condivisibile per tutti i soggetti. Inoltre, una scala di bisogni essenziali che considera la realizzazione affettiva e la sessualità come bisogni tra i meno essenziali, nega l'evidenza che l'essere umano stesso si costituisce proprio in conseguenza della pratica della sessualità.

Lo stesso Maslow nel libro Toward a Psychology of Being del 1968 aggiungerà alcuni livelli che aveva inizialmente ignorato.

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omogenei tra le aree più avanzate e quelle che hanno avuto minori occasioni di sviluppo5. Meno indagate, invece, sono le ricadute in termini di modelli di funzionamento di tali problematiche. E’ evidente, infatti, come nelle realtà meno avanzate si determini nei confronti degli enti un’attesa prestazionale inferiore rispetto a quella riscontrabile negli enti in cui l’estensione dei livelli di protezione è stata maggiore, con la conseguenza che oltre al già ricordato gap tra prestazioni fornite e prestazioni necessarie, nelle realtà meno avanzate sia inferiore anche il livello delle prestazioni attese, per cui può sussistere l’apparente paradosso che una comunità locale fornita di livelli di protezione e di qualità della vita elevati possa essere molto più insoddisfatta del proprio governo locale di quanto non sia la comunità di un’area marginale, solo perché sono differenti i livelli di percezione delle prestazioni attese.

1.3. Le azioni tradizionali

Le risposte tradizionali e consolidate (tradizionali e consolidate rispetto alle realtà più avanzate!) che il sistema degli enti locali ha saputo dare alle criticità del modello presentato sono sostanzialmente riferite a sei linee di azione:

- l’esternalizzazione gestionale dei servizi

- la ricerca costante di nuovi e maggiori livelli di efficienza

- la ricerca di nuove forme di finanziamento

- i processi riorganizzativi e di sviluppo delle risorse umane

- lo sviluppo di sistemi di programmazione e controllo

- lo sviluppo di sistemi di qualità nell’erogazione dei servizi.

Vediamole nel merito.

L’esternalizzazione gestionale dei servizi

Molto, e forse invano, si è discusso al fine di giungere ad un’univoca ed esaustiva definizione di servizio pubblico e cioè di quell’ambito di intervento della pubblica amministrazione destinato al soddisfacimento di una fascia di bisogni normali di una collettività, al fine di rendere normale l’esistenza dell’individuo, in relazione con il livello di benessere collettivo raggiunto o raggiungibile6.

Questa ricerca ha permesso di approfondire temi di particolare interesse, soprattutto per le implicazioni di carattere giuridico-amministrativo che essi determinavano.

Per altro, l’orientamento del presente lavoro induce a dare per acquisita la conoscenza dei servizi pubblici locali così come risultante dall’esperienza quotidiana di amministratori, tecnici e cittadini e cioè come l’insieme delle prestazioni che il Comune fornisce alla collettività attraverso i suoi organismi e che sono finalizzate a fornire le infrastrutture sociali necessarie per lo svolgimento delle varie dimensioni della vita: economica, sociale, individuale.

Tali prestazioni hanno natura diversificata, avendo alcune un prevalente carattere economico-imprenditoriale (prestazioni a domanda individuale, orientate a migliorare il livello di qualità della vita contro il pagamento di un prezzo); altre a contenuto socio assistenziale (funzioni di welfare administration in cui non sempre si realizza uno scambio in senso proprio, perché la controprestazione non è diretta e, in taluni casi, può anche non esistere) e altre ancora di natura istituzionale e di interesse generale

5 Si intendono in tal senso non solo le problematiche conosciute di rapporto tra la realtà del Centro-Nord del Paese e quella del Sud, ma anche quella spesse volte meno rappresentata del rapporto tra istituzioni locali in grado di governare compiutamente i processi ed enti min ori che non raggiungono la soglia minima organizzativa e finanziaria sufficiente per garantire il quadro di prestazioni necessarie.

6 D’Anna R. - I problemi della direzione strategica dell’impresa di pubblici servizi - Giappichelli - Torino - 1990.

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(prestazioni che intendono salvaguardare e promuovere l’ambiente di riferimento, nonché regolamentare, vigilare e garantire l’ordinato svolgersi del vivere sociale).

Più interessante, per il prosieguo delle nostre elaborazioni, ci pare l’approfondimento relativo alle caratteristiche distintive dei servizi pubblici.

Potremmo così riassumerle:

1. funzione sociale: oggetto della prestazione è il soddisfacimento di un bisogno della collettività, secondo un principio di giustizia sociale che viene assunto come essenziale nella definizione delle priorità d’intervento;

2. regolamentazione: la corretta attuazione del principio di giustizia sociale rende necessaria un’attenta attività di controllo pubblico che si esercita con un ampio ventaglio di modalità d’intervento (la decisione relativa all’assunzione del servizio, la scelta delle forme di gestione, i criteri di definizione delle tariffe e delle modalità di erogazione, ...) che mirano a definire e salvaguardare gli elementi di garanzia rispetto alla fruibilità comunitaria del servizio;

3. capillarità: il servizio deve essere il più possibile accessibile a tutti i membri della comunità locale, reso cioè disponibile in maniera diffusa e fruibile in tutto il territorio di riferimento;

4. modalità di partecipazione del cittadino-utente: il ruolo che il cittadino-utente assume rispetto alla fase di programmazione ed erogazione dei servizi pubblici è di fondamentale importanza perché è strumento di verifica della rispondenza del servizio ai bisogni della collettività e, nel contempo, presupposto fondamentale di costante legittimazione sociale del governo locale. La partecipazione si realizza attraverso la possibilità di espressione dei bisogni, la conoscenza e l’accettazione delle regole determinate dagli organi di governo comunali, la formulazione di suggerimenti, il controllo sostanziale nelle fasi di produzione del servizio e la collaborazione nel far rispettare le regole stabilite e nel promuovere una sorta di autoeducazione sull’utilizzazione del servizio7.

Ora, la capacità della Pubblica Amministrazione in generale, e dei nostri Comuni nello specifico, di adempiere attraverso le sue prestazioni alla finalità di soddisfare le esigenze che fanno capo, a seconda dei casi, a singoli individui, a gruppi di essi o all’intera collettività, ne sostanzia la sua efficacia e, nel contempo, la sua legittimazione sociale quale espressione di governo nel quale la collettività medesima deve potersi riconoscere.

Ebbene, la ricerca di qualità, efficienza ed economicità nella gestione dei servizi aveva spinto gli enti a ricercare forme di gestione che potessero garantire il più facile raggiungimento dei livelli prestazionali attesi, stante le difficoltà che le procedure amministrative interne agli enti generavano nelle normali attività gestionali.

La grande stagione delle aziende municipalizzate per la gestione di servizi a rilevanza imprenditoriale caratterizzò così soprattutto gli anni ’70 e ‘80.

Successivamente fu avviata una stringente fase di trasformazione delle aziende municipalizzate (dal 1990 evolute in aziende speciali) in società di capitali, alla ricerca di contenitori in grado di permettere una sinergia pubblico-privato che garantisse maggiori livelli di efficienza gestionale.

7 D’Anna R. - op. cit.

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Ecco, però, che le azioni tendenti a favorire la concorrenza anche nel mercato dei servizi pubblici, hanno progressivamente ridisegnato la natura pubblicistica di alcuni servizi (si veda, ad esempio, la vendita del metano) e le forme di gestione dei servizi stessi.

Ad oggi, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:

a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi generali relativi ai contratti pubblici;

b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.

In deroga alle modalità di affidamento ordinario, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

La ricerca costante di nuovi e maggiori livelli di efficienza

Lo sforzo compiuto è stato significativo, anche se i traguardi raggiunti sono molto diversificati a seconda delle diverse realtà esaminate. Basta ricordare le considerazioni sviluppate in precedenza per comprendere la portata delle ricerche di miglioramento effettuate.

Le direttrici sulle quali si sono mossi gli enti, oltre a quelle già ricordate dei processi di esternalizzazione, riguardano soprattutto:

- l’introduzione di nuove tecnologie dell’informazione nella gestione dei processi operativi e delle relazioni cittadino-ente;

- la terziarizzazione di molte fasi del processo erogativo;

- l’attuazione di politiche di acquisto di beni e servizi o di appalti di lavori sempre più “stringenti” rispetto agli standard consolidati;

- un’attività di semplificazione procedurale, tale da limitari i costi delle transazioni interne;

- l’attuazione di politiche di premialità della produttività delle organizzazioni e dei singoli dipendenti;

- l’attuazione di politiche tariffarie a sostegno degli equilibri economici dei servizi, ma anche in grado di disincentivare sprechi e abusi.

Va da sé come si sia trattato spesso di scelte imposte dalla ricerca defatigante di equilibri di bilancio sempre più complessi da raggiungere e da mantenere.

Tuttavia, questo specifico fattore, come vedremo in seguito, è tra quelli che sollecitano maggiormente un generale ripensamento dei modi d’essere e di operare degli enti.

La ricerca di nuove forme di Lo sviluppo di nuovi approcci procedurali e l’adozione di nuovi strumenti

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finanziamento d’intervento (project financing, concessioni di costruzione e gestione, cartolarizzazioni immobiliari, ….)ha scandito lo sviluppo del decennio 1995-2005 che ha visto gli enti cercare di rispondere alle sollecitazioni derivanti da una contrazione delle tradizionali risorse di bilancio.

A ben vedere, a fianco di esperienze positive, in quegli stessi anni si sono attuate temerari impieghi di strumenti finanziari (i c.d. “derivati”) che non sempre hanno risposto alla domanda di corretta ed efficace gestione, anzi causando ricorrenti pericoli d’indebitamento occulto estremamente rischioso per i bilanci degli enti stessi.

E’ evidente, per altro, come il tema delle risorse disponibili, se non affrontato, rischia di vanificare gli aneliti di un nuovo autonomismo federalista e le aspirazioni ad un protagonismo dei governi locali.

Il federalismo fiscale, avviato di recente con l’approvazione di una legge-delega ampiamente condivisa (o quantomeno non contrastata) si propone come una delle risposte possibili, ancorché problematiche a quest’esigenza.

I processi riorganizzativi e di sviluppo delle risorse umane

Questo elemento ha rappresentato e rappresenta tuttora la principale risposta ai bisogni di innovazione che il quadro descritto richiedeva.

Al di là delle facili ironie sulle disfunzioni del lavoro pubblico, è piuttosto evidente come la realtà dei comuni possa essere considerata la meno deteriore rispetto all’insieme della Pubblica Amministrazione italiana, stante il livello di pressione diretta esercitato dai cittadini, la natura dei servizi erogati, la maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali dovuta alla forte contiguità tra i bisogni degli elettori e gli eletti.

Gli assi portanti di tali processi, nelle esperienze attuate, sono stati rappresentati:

- dai processi di outsourcing, esternalizzazioni gestionali effettuate attraverso la nascita di strutture societarie di diretta emanazione degli enti, ovvero attraverso appalti di servizi;

- dalla nascita di strutture per la gestione associata di servizi o l’esercizio associato di funzioni amministrative. Si tratta, come sappiamo, di rispondere ai limiti dimensionali e finanziari degli enti (soprattutto di quelli di minori dimensioni)creando strutture organizzative unificate in grado di raggiungere la soglia organizzativa sufficiente, ovvero di mettere a fattor comune le scarse risorse economiche disponibili. Significativa, nell’esperienza piemontese, ad esempio, è stata la nascita dei consorzi socio-assistenziali, che ha rappresentato una chiave di volta importante nella modellazione del sistema di protezione locale. L’associazionismo intercomunale è trattato nella specifica parte del presente lavoro;

- lo sviluppo di sistemi tecnologici di supporto, soprattutto nell’ambito delle tecnologie dell’informazione, che hanno permesso di modificare i processi di lavoro e l’interazione tra i cittadini e le organizzazioni degli enti;

- la rilevazione, l’analisi e il ridisegno dei processi operativi e dei procedimenti amministrativi,soprattutto orientato alla semplificazione amministrativa, al contenimento dei costi e allo sviluppo di sistemi di qualità, alla definizione di tempi certi di conclusione dell’iter delle pratiche, alla trasparenza del

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procedimento;

- il ridisegno delle strutture organizzative interne e dei conseguenti ruoli dirigenziali e direttivi. Il passaggio epocale avviato nel 1992, con il decreto legislativo 29/93, di privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego ha reso possibile un’evoluzione significativa delle organizzazioni dei nostri enti. Fino a quel momento, la gestione delle organizzazioni interne e dei rapporti di lavoro era regolata da leggi o da regolamenti ed atti amministrativi da queste derivanti, creando in tal modo un’estrema rigidità delle strutture e dei meccanismi di funzionamento. La stagione delle “piante organiche” o quella del “non mi compete”; quella delle nomine dei capiufficio effettuate solo sulla base dell’anzianità di servizio, anche senza merito, o quella delle mansioni regolate per legge, incominciava ad avere i giorni contati;

- l’adozione di nuovi sistemi di gestione delle risorse umane, conseguenza della progressiva privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e dell’inserimento negli enti di sistemi premianti collegati sempre più al livello di prestazioni fornite e di risultati raggiunti. La sottoscrizione di contratti di lavoro sostanzialmente equiparabili a quelli di comparti privati comportò l’introduzione di nuovi principi nelle organizzazioni interne, a cominciare da sconosciuti livelli di flessibilità nella richiesta di mansioni esigibili dai dipendenti;

- l’assunzione di un importante corpus di competenze da parte dei dirigenti e dei responsabili dei servizi nei comuni minori, con la conseguente modificazione radicale del ruolo degli organi di governo, impegnati in prioritarie funzioni d’indirizzo e di controllo anziché di gestione;

Lo sviluppo di sistemi di programmazione e controllo

E’ una conseguenza obbligata dell’ultimo asse descritto nella sezione precedente. In realtà l’implementazione di questi sistemi è anche direttamente connessa alla modificazione del ruolo del sistema dei partiti e dei sistemi elettorali.

E’ evidente, infatti, come nella fase politico-istituzionale precedente, l’elaborazione programmatica venisse effettuata dai singoli partiti e i governi locali rappresentassero la sintesi di programmi d’intervento formulati in rappresentanza degli interessi del target elettorale di riferimento.

La fine di quella funzione dei partiti richiese lo sviluppo di un’autonoma capacità di elaborazione programmatica a livello di singoli enti.

Le problematiche connesse a questo specifico ambito, per altro, sono di tale rilevanza da suggerire la definizione di una specifica Parte del presente documento.

Lo sviluppo di sistemi di qualità nell’erogazione dei servizi.

L’attività di gestione orientata alla qualità dei servizi comunali può essere convenzionalmente articolata in fasi distinte che tuttavia vanno viste in ambito circolare rimanendo esse costantemente attive durante l’intero processo di produzione del servizio.

Possiamo così elencarle:

1. la rilevazione e l’analisi dei bisogni e delle aspettative dell’utente-cliente (qualità attesa);

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2. la progettazione qualitativa e quantitativa del sistema di erogazione dei servizi e la definizione dei loro standard operativi (qualità progettata);

3. l’erogazione dei servizi (qualità prestata);

4. il controllo e la rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti-clienti (qualità percepita).

Partendo da queste considerazioni, si sono sviluppate negli enti esperienze di grande rilevanza tendenti ad affrontare l’insieme delle dimensioni della qualità ricordate o alcune di esse in particolare.

Le declinazioni più ricorrenti sono state gli sviluppi di sistemi di customer satisfaction e di qualità erogativa di prodotto/servizio, con una duplice proiezione di attenzione verso i bisogni dei cittadini e la rilevazione della loro percezione di qualità dei servizi erogati e verso i processi erogativi.

Il valore della customer satisfaction nei comuni consiste nell’individuare il potenziale di miglioramento dell’amministrazione, nonché dei fattori su cui si registra lo scarto maggiore tra ciò che l’amministrazione è stata in grado di realizzare e ciò che gli utenti si aspettano di ricevere dalla stessa amministrazione.

I controlli qualità di prodotto e servizio sono elementi di primaria importanza in un sistema di pianificazione e controllo, atti alla realizzazione di una strategia, nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia, orientata alla piena soddisfazione delle parti interessate − in primis, per un’amministrazione pubblica, la cittadinanza − ma anche al rispetto delle buone norme tecniche e amministrative, all’orientamento al risultato finale e, non ultimo, al miglioramento continuo.

L’articolazione presentata, peraltro, è da considerarsi arbitraria, perché, in sostanza, nella realtà degli enti le linee ricordate sono state attivate in modo integrato (o totalmente, o per alcune di esse).

E tuttavia essa permette di sviluppare una riflessione di carattere generale.

Tutte le azioni d’innovazione sopra citate si muovono sostanzialmente in un’ottica di crescita dei livelli di produttività e di qualità prestazionale del “sistema”, ma, sostanzialmente, non mettono in discussione il modello incrementale.

Il modello di risposta (anche nelle migliori esperienze) si conferma orientato ad una metodologia decisionale top-down, attraverso la quale la definizione degli ambiti d’intervento e la conseguente dislocazione delle risorse continua a seguire l’impostazione ricordata e ad evidenziare (più o meno attenuate) le stesse criticità.

Le azioni d’innovazione, insomma, agiscono in prevalenza sul quadro erogativo consolidato, operando spesso a livello d’innovazione di processo piuttosto che non introducendo elementi di discontinuità a livello di posizionamento degli enti. Il riferimento vero delle azioni di riforma continua ad essere l’insieme delle prestazioni consolidate, invece che le dinamiche della curva dei bisogni.

E’ ovvio come tale impostazione possa determinare benefici anche importanti rispetto alla situazione preesistente, ma un’attenta osservazione non può evitare di evidenziare come essa non contribuisca a risolvere in modo decisivo la problematica connessa al differenziale tra prestazioni erogate e curva dei bisogni-prestazioni necessarie.

Il problema vero è che anche questi processi d’innovazione prefigurano un ruolo centrale ed esclusivo dell’ente nella predisposizione e nell’attuazione dei programmi d’intervento destinati a costruire i livelli di protezione e di qualità della vita delle comunità locali, che, in una prospettiva di lungo respiro, non potrà più essere realisticamente possibile.

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E tuttavia, ancora una volta dobbiamo ricordare come esista una forte differenziazione nella realtà degli enti locali italiani: se queste considerazioni sono valide nelle realtà più avanzate, in altre, soprattutto nel sud del Paese, l’intervento diretto degli enti contribuisce spesso a sostenere (ancorché in modo artificioso) i pur bassi livelli occupazionali e a garantire fondamentali azioni di ridistribuzione della ricchezza.

Ne consegue, dunque, come non possano essere sviluppate considerazioni valide per tutte le realtà locali e come i processi di riforma debbano comunque tener conto del livello di posizionamento del singolo ente nella scala evolutiva prefigurata.

1.4. Le prospettive evolutive: verso un nuovo modello di ente locale

Le prospettive evolutive della realtà degli enti locali italiani sembrano doversi orientare, dunque, verso il progressivo superamento del modello incrementale precedentemente descritto.

Si tratta di una sfida non di poco conto, che agisce su sfere ampie e variegate degli elementi costitutivi dell’attuale modello: dalle relazioni istituzionali ai meccanismi di creazione del consenso politico; dalle relazioni sindacali al rapporto con il mercato, e così via.

Non è realistico pensare che la transizione dal vecchio modello ad uno nuovo possa avvenire, se non con processi di lungo periodo e di ampio respiro, in grado di determinare e mettere a frutto approcci culturali innovativi, ma appare necessario prefigurare, appunto, l’avvio di tali processi.

Di seguito cercheremo di evidenziare alcuni paradigmi costitutivi di un nuovo modello possibile del percorso necessario per la sua concretizzazione.

1.4.1. Lo sviluppo di sistemi di pianificazione e programmazione strategica

Lo sviluppo di sistemi di pianificazione e programmazione strategica rappresenta uno degli ambiti che caratterizzano maggiormente gli attuali percorsi d’innovazione e di riforma degli enti locali.

I mutamenti intervenuti negli assetti interni delle competenze (nuovo ruolo degli organi di governo e nuovi rapporti tra organi e dirigenza); la necessità di dar vita a percorsi di sviluppo dei nuovi concetti di governance; l’esigenza inderogabile di azioni positive a favore di nuovi modelli di sviluppo locale; la sollecitazione verso il pieno utilizzo dei nuovi strumenti di pianificazione urbana e territoriale; la valorizzazione del quadro generale dei servizi pubblici locali e l’esigenza di una forte innovazione delle forme di gestione, anche attraverso nuovi modelli di sussidiarietà orizzontale; rappresentano solo alcuni dei fattori che determinano una spinta positiva verso nuovi modelli decisionali.

Rispetto alle forme tradizionali di pianificazione, la pianificazione strategica urbana8 configura un modello evoluto, di nuova generazione9.

Si delinea, proprio in questa fase, il passaggio dalla dimensione del government, inteso come definizione unilaterale e prescrittiva degli obiettivi, alla dimensione della governance, intesa come regolazione negoziale degli interessi: il passaggio, possiamo dire, dalla dimensione della regolamentazione a quella della regolazione. 10 8 Per pianificazione politica, o strategica, si intende prevalentemente la individuazione dei bisogni delle collettività amministrate, che vanno soddisfatti attraverso l’assolvimento di specifiche funzioni, e la selezione di quelli ritenuti prioritari e che possono essere soddisfatti, totalmente o parzialmente, nel breve o medio periodo, dati i vincoli imposti da risorse sempre scarse per la molteplicità dei bisogni pubblici. In altri termini, come per qualsiasi impresa, con la pianificazione strategica vengono decise finalità e strategie dell’amministrazione pubblica. Per programmazione si intende invece, come noto, la selezione e scelta dei programmi ed eventuali progetti da porre in essere per soddisfare i bisogni selezionati nella fase di pianificazione strategica.

9 Una prima generazione di strumenti faceva riferimento ad una amministrazione pubblica che agisce unilateralmente, collocandosi in una posizione asimmetrica rispetto ai soggetti cui non spetta la competenza decisionale: un soggetto pubblico, dunque, che esprime una razionalità forte, prescrittiva, formale, se necessario sanzionatoria.

Una seconda generazione di strumenti introduce nel disegno pianificatorio e nel processo decisionale la dimensione della complessità: la razionalità di questi strumenti è ancora "illuministica" e considera la dimensione pubblica "naturalmente" deputata a fare sintesi fra istanze divergenti e sola interprete e titolare dell’interesse generale.

Una generazione più recente e più avanzata di strumenti di pianificazione riflette, invece, una razionalità debole, che assum e la dimensione della complessità e dell’incertezza e la pluralità degli interessi come valori da tutelare e come opportunità per la costruzione di obiettivi condivisi.

10 Si determina in tal modo, conseguentemente, una diversa e variabile declinazione della dimensione del consenso: se la dimensione del consenso è del tutto irrilevante per gli strumenti di prima generazione, nel caso degli strumenti di seconda generazione essa è intesa com e passaggio formale, necessario per garantire l’adesione ad un’ipotesi programmatoria della quale il soggetto pubblico rimane esclusivo titolare.

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Il carattere peculiare del nuovo processo di pianificazione strategica sta nella sua dimensione partecipativa, vale a dire nel suo essere impostato, costruito e, poi, tradotto operativamente attraverso una relazione strutturata fra i portatori di interessi della città. Ciò significa, insomma, non negare, ma esplicitare e utilizzare la complessità come una risorsa e il carattere anche conflittuale degli interessi come valore ad elevato potenziale.

Orbene, appare evidente come in carenza di approccio strategico alla definizione delle politiche di governo degli enti locali si corra il forte rischio di definizione di un posizionamento degli enti stessi non coerente con le risultanze di una corretta fase diagnostica.

Va, peraltro, rilevato come solo lo sviluppo di fattori di conoscenza può permettere la qualificazione della fase di programmazione strategica degli enti e la costante azione di monitoraggio sia dell’evoluzione delle dinamiche sociali, ambientali-territoriali, economico-produttive che costituiscono la fase di diagnosi territoriale, sia delle ricadute delle politiche di governo in termini di trasformazione della realtà governata, per i fattori di diretto controllo dell’azione di governo locale. 11

Quest’idea forza, dunque, sottende lo sviluppo di un sistema di governance locale che faccia della raccolta, della sistematizzazione e della diffusione della conoscenza il presupposto fondante dei processi decisionali riguardanti la vita della comunità.

1.4.2. La riclassificazione degli ambiti d’intervento

Da tutte le considerazioni precedentemente formulate si determina una conseguenza che ha connotati di grande problematicità.

E’ molto probabile, come abbiamo visto, che un’attenta analisi di posizionamento strategico, determini un significativo differenziale tra le priorità che l’analisi dei bisogni ha individuato e il tipo di risposte che l’ente eroga [squilibrio nella destinazione delle risorse (rispetto ai livelli di protezione)].

Il fenomeno è molto diffuso, perché il tipico impianto dei servizi pubblici locali, soprattutto dei servizi alla persona12, nasce attorno alla metà degli anni ’70, appunto in applicazione della prima fase di produzione legislativa regionale e delle esperienze più avanzate di modellazione del welfare locale.

Ebbene, aldilà delle pur importanti innovazioni gestionali intervenute, quel tipo di impianto, e la conseguente ripartizione delle risorse organizzative e finanziarie sottesa, è rimasto sostanzialmente immutato, anche se, invece, sono mutati in modo importante i bisogni delle nostre comunità, se la percentuale degli anziani rispetto all’insieme della popolazione si è radicalmente modificata, se si sono affacciati nuovi bisogni, in allora non esistenti13 se, da una parte è cresciuto il reddito medio delle famiglie14 e dall’altra si affacciano nuove povertà, la cui dimensione è spesso sconosciuta.15

A fianco di questi fenomeni risiedono anche altri aspetti di criticità, in particolare connessi all’inaccettabilità delle risposte parziali erogate dagli enti. Se la dimensione sociale dei servizi si è radicalmente spostata dalla funzione redistributiva del reddito ad una che potremmo chiamare, recuperando una vecchia formulazione, dei “diritti di cittadinanza”, per l’importante contributo che essi determinano sia sulla qualità della vita delle persone, sia sulle prospettive di sviluppo di una comunità, sia sul tessuto connettivo di partecipazione democratica, allora non sono più accettabili discriminazioni nelle soglie di accesso e priorità collegate alla sola capacità d’intervento dell’ente16.

Nel caso degli strumenti di terza generazione, la dimensione del consensus building è coessenziale al processo pianificatorio-programmatorio, interessandone ogni fase: quella della diagnosi, quella della definizione delle strategie e degli obiettivi, quella dell’attuazione.

11 Si veda la Parte II.

12 Asili nido e servizi alla prima infanzia, scuole dell’infanzia, colonie, centri d’incontro per giovani e anziani, informagiov ani, assistenza domiciliare agli anziani, residenze per anziani, soggiorni climatici, università della terza età, …

13 Si pensi, a puro titolo di esempio, alle problematiche connesse ai fenomeni migratori.

14 Con conseguente spostamento verso l’alto nella piramide di Maslow.

15 Le analisi ISTAT confermano un aumento del numero delle famiglie con reddito al di sotto della soglia di povertà. Si assiste inoltre alla nascita di nuovi fenomeni, connessi al passaggio di nuclei familiari da una condizione di relativo benessere ad una di forte disagio, ad esempio in relazione alle necessità di assistenza di anziani non auto sufficienti o con patologie invalidanti e che non trovino risposta nell’assistenza pubb lica, comunque sempre più costosa, anche per gli utenti.

16 Tipico è l’esempio degli asili nido. In quasi tutte le città dove sono stati aperti, si è assistita ad una progressiva modificazione dalla natura assistenziale del servizio (tesa a promuovere l’inserimento lavorativo delle donne, attraverso un affrancamento delle “funzioni riproduttive”), ad una di carattere più marcatamente educativo. Se così è non si comprende come gli enti (o, viceversa, i cittadini) possano accettare che l’accesso al servizio

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Quest’insieme di fattori determina la necessità che i governi locali affrontino una fase di riclassificazione dei loro ambiti d’intervento favorendo la progressiva destrutturazione dei loro modelli erogativi storicamente determinati17 e per costruirne di nuovi, più aderenti ai nuovi bisogni e alle nuove emergenze che non trovino già positive risposte dal mercato, dal terzo settore, dalla cooperazione tra i cittadini stessi.18

E’ evidente a tutti come si tratti di un’impostazione che mette in discussione gli elementi fondanti delle tradizionali logiche di governo, al di là delle caratterizzazioni politiche che le influenzano.

E tuttavia, non essendo prevedibili aumenti significativi delle risorse finanziarie disponibili per gli enti, se non con un’ulteriore, inaccettabile crescita della pressione fiscale locale, non sembrano essere evidenti altre strade, rispetto a quelle in qualche modo ricordate, per portare a sintesi la crisi evidente del tradizionale modello incrementale.

In modo paradossale si potrebbe affermare come questa nuova sfida debba essere un terreno d’impegno più per le forze politiche che promuovono un ruolo forte del pubblico a difesa di un rinnovato stato sociale che per quelle forze che, invece, sostengono un disegno strategico di disimpegno dell’intervento pubblico teso a favorire una diminuzione del prelievo fiscale ed impositivo e l’utilizzo delle risorse liberate per una alimentazione delle risposte di mercato.

In questo quadro, se l’insieme dei fenomeni inerziali esistenti19 fosse prevalente rispetto alle pulsioni d’innovazione, avrebbe come conseguenza il costante, progressivo distacco della realtà degli enti dai bisogni reali, una crescita dei fenomeni di disagio che non trovano risposta, una disaffezione verso le possibili istanze di partecipazione democratica.

1.5. Verso un nuovo modello di rapporto pubblico-privato

Come abbiamo visto, la più evidente conseguenza delle considerazioni che abbiamo cercato di sviluppare è rappresentata proprio dalla necessità di mettere a punto nuovi modelli concettuali di rapporto tra i soggetti pubblici (i sistemi degli enti locali, in particolare) e il grande arcipelago dei soggetti privati (sistema delle imprese, cooperazione, terzo settore, …).

Si tratta di una sfida di grande portata, perché agisce su molti degli elementi costitutivi del nuovo modello di ente locale:

- la definizione dei quadri di programmazione strategica e, conseguentemente delle scelte inerenti i modelli di sviluppo urbano (in generale) e le proposte puntuali di trasformazione;

- il progressivo passaggio di funzioni, compiti e servizi dall’ambito pubblico alla sfera “privatistica”;

- la forte innovazione gestionale dei servizi che rimangono a “titolarità” pubblica, ma che richiedono elevati livelli di efficienza e di qualità erogativa;

- la forte innovazione dei modelli organizzativi interni agli enti, con lo sviluppo dei sistemi di facility management.

Tuttavia, rischieremmo di rendere inefficace questa enunciazione se non evidenziassimo come la concretizzazione di questo nuovo modello concettuale sia ben lungi dall’essere consolidata, o, in qualche caso, addirittura intrapresa.

Spesso si riscontra come rimangano vivi in molti degli attori del sistema retaggi culturali e stilemi comportamentali che non agevolano questo tipo di percorso. Si badi, non solo tra gli amministratori o i dirigenti comunali, impegnati diffusamente a difendere un ruolo di sovraordinazione rispetto alle scelte programmatiche che nulla a che a vedere con i nuovi modelli di governance urbana e che rischia di far perdere importanti

sia riservato a percentuali molto limitate della domanda potenziale (tipicamente 25-40%), anche per il fatto che i costi della fase erogativa a carico della collettività sono di rilevante dimensione. L’insieme dei due fattori (costi a carico della fiscalità locale e limitatezza nelle possibilità di accesso al servizio) rappresenta una miscela di grande criticità.

17 Si badi, non per diminuire i livelli di protezione, ma per promuovere risposte alternative all’erogazione diretta dei servizi.

18 Dando così senso al principio di sussidiarietà orizzontale che contribuisce a definire i nuovi livelli di governance locale.

19 Da qualunque parte essi vengano osservati: dei cittadini che in questo momento traggono i più elevati benefici per il tipo di risposte fornite; degli operatori degli enti, che, spesso, evidenziano poca propensione ai nuovi termini di flessibilità d’impiego richiesti; degli s tessi amministratori, quando privilegiano l’utilizzo dei tradizionali meccanismi di consenso elettorale.

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occasioni di sviluppo alle proprie realtà locali, ma anche all’interno del sistema delle imprese, spesso impegnato ad estendere al massimo il proprio posizionamento rispetto agli ambiti tradizionali di relazione con gli enti piuttosto che a promuovere innovazione e sperimentazione.

Siamo tutti consapevoli che l’introduzione di nuovi strumenti di definizione programmatica e di intervento richiede livelli di padronanza di metodiche gestionali e amministrative non sempre conosciute e la cui padronanza è difficile da raggiungere, ma un conto è aver acquisito fino in fondo i fattori di motivazione che stanno alla base del nuovo modello d’intervento, altro conto è pensare che l’innovazione possa rappresentare un fattore marginale nelle prospettive evolutive degli enti e delle imprese.

In questo senso diventa facile intuire come i migliori risultati in questa direzione si potranno ottenere solo se nelle diverse realtà locali (attenzione all’importanza delle reali condizioni di contesto locale!) si determineranno alleanze forti tra i soggetti promotori d’innovazione, qualunque sia il loro ruolo, in grado di prefigurare e dare corpo alle trasformazioni necessarie.

2. LA SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE

2.1. Il cardine della costruzione di un nuovo modello: la sussidiarietà orizzontale

Il quadro di riferimento tratteggiato in precedenza ci permette di affrontare con più facilità la disamina di uno degli elementi fondanti il processo d’innovazione che sta di fronte alla Pubblica Amministrazione in generale e ai sistemi pubblici locali, in particolare: la sussidiarietà orizzontale.

2.1.1. Il principio di sussidiarietà nella Costituzione

Il nuovo articolo 118 della Costituzione20 introduce nella Carta fondamentale il principio di sussidiarietà nella duplice accezione che lo caratterizza di sussidiarietà verticale e di sussidiarietà orizzontale:

“118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”

Molto si è scritto sulla sussidiarietà verticale, principio che è stato alla base del processo di decentramento amministrativo avviato con l’approvazione della legge 59/97 (la “Bassanini I”) e poi proseguito con l’emanazione degli atti normativi nazionali e regionali di attuazione, il che ci esime dall’affrontare il tema in questa trattazione.

Molto rimane ancora da dire (e da fare!), invece, rispetto all’altra declinazione del principio di sussidiarietà: la sussidiarietà orizzontale21.

20 Così come risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 4 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

21 Tale principio trova una formulazione, ormai diventata classica, nell'enciclica "Quadragesimo Anno" (1931) di Pio XI dove si dice che "siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno ed u no sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle".

Il principio di sussidiarietà, successivamente ripreso in altre encicliche papali e in documenti ufficiali della Chiesa - basti richiamare la "Pacem in Terris" (1963) di Giovanni XXIII o la "Centesimus Annus" (1991) di Papa Wojtyla - era stato già formulato da Rosmini nella "Filosofia della politica", dove leggiamo che "il governo civile opera contro il suo mandato, quand'egli si mette in concorrenza con i cittadini, o colla società ch'essi stringono

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L’introduzione nella carta costituzionale di questo nuovo principio rappresenta nel contempo la conclusione di un percorso avviato con l’approvazione delle leggi 142/90 e 241/9022 e proseguito con l’approvazione della citata legge 59/97, fino al suo pieno recepimento attraverso le modifiche introdotte dalla legge 265/99 nell’ordinamento degli enti locali23, poi letteralmente riprese dal decreto legislativo 267/2000.

Il dibattito svoltosi in seno alla Commissione Bicamerale per la riforma della Costituzione ha evidenziato come dalla curvatura ideologica che si imprime al principio ne discendono conseguenze applicative assai diverse.

Nel giugno del 1997 viene approvato il seguente testo dell’art. 56:

“Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dalla autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni, Province, Regioni e Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli interessi dei cittadini, secondo il criterio di omogeneità e di adeguatezza delle strutture organizzative rispetto alle funzioni medesime”. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato, secondo i principi di omogeneità e adeguatezza”

A novembre il testo viene così modificato:

“Nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, province, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione”. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato, secondo i principi di omogeneità e adeguatezza”.

In questa formulazione il testo giunge all’esame della Camera dei deputati e qui il dibattito raggiunge l’apice della ideologizzazione, caratterizzato proprio dal contrasto sui “soggetti” della sussidiarietà.

Quel che ci preme sottolineare, in questa sede, è che la formulazione adottata in Costituzione rappresenta, appunto, la sintesi comunque rivoluzionaria rispetto a un’impostazione dei rapporti tra Stato e Cittadino così come li abbiamo conosciuti.

Per di più, rispetto alle analisi che abbiamo sviluppato nella prima parte del presente lavoro, è facile constatare come tutti i fattori d’innovazione che abbiamo prefigurato per il superamento della crisi del modello incrementale d’intervento pubblico, possano fare perno anche sulla piena affermazione del principio di sussidiarietà orizzontale.

E tuttavia, pur in presenza di una nitida percezione concettuale degli scenari che si possono aprire, essi appaiono ancora di grande complessità attuativa, soprattutto per le asperità connesse da una parte ad assetti giuridici di riferimento che ancora si frappongono ad un’estesa opera d’innovazione, dall’altra al permanere di modelli culturali di riferimento che ostacolano con vigore le azioni di riforma. insieme per ottenere qualche utilità speciale; molto più quando, vietando tali imprese agli individui e alle loro società, ne riserva a sé il monopolio". In breve: lo Stato "faccia quello che i cittadini non possono fare".

La "Filosofia della politica" di Rosmini è del 1839. Dieci anni più tardi, nel 1849, J. S. Mill pubblica "On Liberty", ben consapevole che "i mali cominciano quando invece di fare appello alle energie e alle iniziative di individui e associazioni, il governo si sostituisce ad essi quando invece di informare, consigliare e, all'occasione, denunciare...". Su questa linea si sono mossi i grandi liberali del nostro secolo: Carl Menger, Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Karl Popper - tra altri. Scrive Havek: "E' totalmente estranea ai principi base di una società libera l'idea secondo la quale tutto ciò di cui il pubblico ha bisogno debba essere soddisfatto da organizzazioni obbligatorie". Il vero liberale, ad avviso di Havek, deve auspicare il maggior numero possibile di associazioni volontarie, di quelle organizzazioni "che il falso individualismo di Rousseau e la Rivoluzione francese vollero sopprimere". E, infine, Karl Popper: "Io sostengo che una delle caratteristiche della società aperta è di tenere in gran conto (...) la libertà di associazione e di proteggere e anche di incoraggiare la formazione di sotto-società libere, ciascuna delle quali possa sostenere differenti opinioni e credenze".

22 Confronta G. Arena – “Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’Articolo 118, u.c. della Costituzione”, testo inserito nella presente dispensa.

23 Legge 142/90 - Art. 2 - (Autonomia dei comuni e delle province)

1. Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome.

2. Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.

3. La provincia, ente locale intermedio fra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne prom uove e ne coordina lo sviluppo.

4. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa ed amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica.

5. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.

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Ciò nonostante è possibile già oggi passare da una fase di mera dichiarazione d’intenti ad una più specifica attività di declinazione attuativa dei percorsi prefigurati, come sta facendo ad esempio la Regione Lombardia, che nel panorama nazionale appare quella più impegnata a ricercare di sperimentare proprio in questi ambiti d’innovazione.

2.1.2. La declinazione del concetto di sussidiarietà orizzontale

In diverse realtà, i concetti che sono stati sviluppati in precedenza riguardo la sussidiarietà orizzontale hanno assunto specifiche connotazioni o “modelli guida”:

1. Pura esternalizzazione dei servizi - l’ente pubblico mantiene programmazione e leve strategiche e affida l’esecuzione del servizio ai privati. Dal punto di vista dei soggetti privati, l’attività svolta in convenzione con l’ente pubblico esaurisce l’orizzonte operativo e strategico del soggetto convenzionato.

2. Sussidiarietà “per progetti” - le leve strategiche dell’intervento restano in mano all’ente pubblico, la stipula di una convenzione avviene dopo l’espletamento di una gara nella quale esso fissa gli obiettivi di fondo e assegna le risorse senza coinvolgersi nella programmazione dei singoli servizi. L’approvazione del progetto da parte dell’ente pubblico influenza, ma non determina, l’attività e la sopravvivenza dei soggetti privati convenzionati.

3. Valorizzazione delle iniziative dei privati - l’ente pubblico riconosce e sostiene, per via legislativa, le iniziative di privati che si impongano all’attenzione della società in quanto benemerite ed eccellenti. Il soggetto sussidiato progetta e realizza secondo l’originalità del suo metodo; l’ente pubblico, sostenendolo senza ingerenza, gli consente di mantenere nelle proprie mani quelle leve strategiche che danno dignità e forza alla sua compagine.

4. Redistribuzione delle risorse senza apparato istituzionale di gestione - la pubblica amministrazione restituisce ai privati l’iniziativa in quei settori nella quale lo richiedono e si mostrano preparati. Gli strumenti utilizzabili a tal fine sono: il voucher; il buono servizio; la riduzione fiscale.

Gli esempi concreti di sviluppo dei modelli sono ormai diffusamente riscontrabili, anche solo mantenendo il riferimento a realtà regionali24.

24 In campo sociale:

- La riforma della sanità

- Il “buono scuola”

- Il buono socio sanitario

- La legge sulla famiglia

- La riforma dei servizi per l’impiego

- I patti locali per la sicurezza

Questo è l’ambito in cui, ad esempio, alcune Regioni hanno operato in modo più esteso: è stata posta al centro la famiglia e intorno sono stati costruiti i raccordi con i sistemi di aiuto sanitario e sociale. Si tratta di una scelta coraggiosa che, per altro, va presidiata con grande attenzione per evitare che un’eventuale debolezza intrinseca del soggetto centrale di riferimento (appunto, la famiglia o il soggetto che esprime un bisogno) si trasformi in una subalternità nei confronti dell’offerta di mercato.

In campo economico-produttivo:

- Il voucher tecnologico

- I distretti industriali

- Le antenne per l’internazionalizzazione delle imprese

- Lo sviluppo del capitale umano e della competitività

- Il nuovo sistema della formazione professionale

In campo infrastrutturale e territoriale:

- Il project financing

- Il governo del territorio

- I Progetti integrati di sviluppo locale

- I programmi di prevenzione e protezione civile

- Le politiche per la montagna e l’agricoltura

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Gli ambiti di ricerca ricordati, però, (con esclusione del primo, che, forse, difficilmente possiamo far rientrare nell’ambito della sussidiarietà orizzontale) tendono in alcuni casi a rappresentare una concezione dell’innovazione molto legata ad un’idea di sussidiarietà considerata come momento di regolazione dei rapporti tra ente locale e privato sociale ovvero di una sua marginalizzazione al settore servizi sociali.

Così, ovviamente, non è e non deve essere. L’orizzonte di riferimento deve essere rappresentato dalla creazione di un vero e proprio sistema sussidiario locale, un sistema costituito da soggetti pubblici e privati che collaborino attraverso una rete di relazioni per produrre valore pubblico.

Per sua intrinseca natura, quindi, il sistema non ha limiti tematici di operatività, anzi, i successi più consolidati di esperienze concrete risiedono proprio sulla qualificazione della funzione di pianificazione strategica e sulla conseguente identificazione dei percorsi di posizionamento competitivo del territorio che da essa possono scaturire.

Queste stesse esperienze sono caratterizzate da un ruolo attivo e propositivo degli Enti nell’incentivare la partecipazione attiva dei cittadini, del sistema delle imprese e degli altri attori sociali, mediante la creazione di meccanismi e occasioni di partecipazione (incontri, riunioni, raccolta di feedback, comitati consultivi) e dal tentativo da parte degli Enti di attivare meccanismi di iniziativa e di partecipazione propositiva stabili e continuativi anche grazie all’ampio ricorso a forme di comunicazione e promozione adeguate.

E’ piuttosto evidente come, stante le caratteristiche ricordate e la necessità di determinare un’efficace rete di relazioni per produrre valore pubblico quale elemento fondante di un sistema di sussidiarietà locale, ogni Comune, per la natura delle sue competenze e per le caratteristiche del sistema istituzionale, debba guardare al resto degli enti e delle autonomie funzionali che costituiscono il sistema pubblico locale, come ai primi interlocutori di riferimento.

Spetterà alla parte di definizione dei programmi d’intervento la traduzione concreta di questi concetti, ma è fondamentale riaffermare come il primo terreno d’impegno per la definizione di nuovi modelli di governance basati su nuovi concetti di valore pubblico e su una rete intersoggettiva di attori in grado di attivare una diversa e più efficace catena del valore, passa in primo luogo attraverso una nuova dimensione delle politiche di sviluppo territoriale adottate dall’insieme degli enti e, quindi, da metodologie di rapporto nella fase di loro definizione del tutto differenti da quelle tradizionali.

Non a caso, le esperienze di sussidiarietà orizzontale più citate ad esempio sono proprio quelle connesse a nuovi impianti metodologico-concettuali di pianificazione strategica-territoriale.25

La piattaforma di relazione “pubblico-pubblico” diventa, dunque, la premessa fondamentale dell’apertura di credito reciproca pubblico-privato, laddove il termine privato è declinabile nelle mille accezioni personali o collettive di volta in volta impiegabili.

Proprio su questi terreni si giocano le possibilità concrete di sviluppo dei nuovi modelli: nella qualificazione progressiva dei soggetti che debbono interloquire in terreni di confronto spesso inesplorati, che richiedono la messa in discussione di ruoli consolidati e strumenti di relazione spesso sconosciuti.

“Le reti sussidiarie pubblico privato si rilevano particolarmente efficaci e difficilmente sostituibili quando sono in grado di integrare risorse e garantire progettualità tipiche di una particolare area territoriale generando risultati non facilmente ottenibili con altri sistemi di erogazione non radicati sul territorio oppure realizzabili consumando una quantità di risorse molto più alta.”26

I ricercatori si sono sforzati di elaborare guide operative per supportare la fase d’implementazione di un nuovo sistema,27 ma è evidente come saranno le condizioni localmente riscontrabili a determinare scansioni temporali e di

25 Una per tutte: l’esperienza del PTCP della Provincia di Bologna.

26 Maurizio Maccarini – Progetti di sussidiarietà orizzontale nella scala locale - 2007

27 Riportiamo, per esemplificazione il Decalogo della sussidiarietà perché “Pubblico” e “Privato” ridefiniscano il proprio ruolo

Fase conoscitiva:

1. Sviluppo di strumenti conoscitivi per identificare i bisogni sociali

2. Sviluppo di strumenti conoscitivi per identificare le risposte agli stessi già fornite dalla società civile

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contenuti realistici.

Di certo si apre un terreno nuovo d’iniziativa per tutti gli enti locali: dar vita ad azioni di promozione di una cultura dell’innovazione basata sui nuovi concetti di sussidiarietà orizzontale, di superamento progressivo del modello incrementale d’intervento, di sviluppo di una capacità di lettura dei bisogni molto più profonda, estesa e condivisa, di capacità di ridiscussione profonda di finalità e metodologie d’intervento.

E’ un passaggio obbligato, che richiederà anche una significativa disponibilità a mettere in discussione tradizionali metodologie di formazione delle decisioni e a valutare i conosciuti meccanismi di creazione del consenso.

Si tratta, cioè, di assumere un ruolo d’impulso del processo, alla ricerca di possibili alleanze con altri soggetti in grado di aiutare la fase di stimolo, ma anche quello di mediazione, facilitazione, garanzia, che, per altro, è tipico della funzione istituzionale di qualsiasi Comune.

3. Identificazione delle “politiche” degli enti normatori sulla base dei primi due fattori identificati (politica della non sostituzione; creazione di reti di soggetti; formazione come stimolo alla creatività sociale; diffusione di best practices;…)

4. Progettazione di atti normativi di supporto o stimolo all’attività della società civile volta alla semp lificazione amministrativa

Fase attuativa:

5. Programmazione di interventi pubblici botton up nella forma dei “call for papers”

6. Valorizzazione degli enti più vicini ai cittadini

7. Strumenti convenzionali di relazione pubbblico-privato non standardizzati nell’indicazione dei servizi da fornire

8. Pluralismo nella fornitura di servizi

9. Finanziamento di formazioni sociali o enti del profit e del non profit già esistenti

Fase di controllo:

10. Controlli sulla qualità dei servizi ex ante (accreditamento) ed ex post (rendicontazione e consumer satisfaction)