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ARCHIVIO ROMANZO 38

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Collana a cura di Lino Leonardi
L’edizione è il risultato del lavoro del «Gruppo Guiron» promosso da
Fondazione Ezio Franceschini, Firenze Università di Siena, Dottorato in Filologia romanza
(poi Filologia e critica) Universität Zürich, Romanisches Seminar
Université de Liège, Transitions
Prospetto dell’opera:
I Roman de Meliadus, parte prima II Roman de Meliadus, parte seconda III Raccordo e Continuazione del Roman de Meliadus IV Roman de Guiron, parte prima V Roman de Guiron, parte seconda VI Continuazione del Roman de Guiron VII Suite Guiron
IL CICLO DI GUIRON LE COURTOIS
ROMANZI IN PROSA DEL SECOLO XIII
EDIZIONE CRITICA DIRETTA DA
IV
Fondazione Ezio Franceschini ONLUS via Montebello 7 I-50123 Firenze
tel. +39.055.204.97.49 fax +39.055.230.28.32 [email protected] www.fefonlus.it
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Cette publication Open Access a été soutenue financièrement par le Fonds national suisse de la recherche scientifique
Quest’opera è stata anche stampata (ISBN 978-88-8450-969-7) con il contributo di
Università di Siena, Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne
(Fondi PRIN 2015, progetto 2015RWTT2C_001)
Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze
L’étape de la prépresse a été soutenue par le Fonds national suisse de la recherche scientifique
ISBN 978-88-8450-985-7 DOI 10.36167/AR38PDF
© 2020 - SISMEL · Edizioni del Galluzzo e Fondazione Ezio Franceschini ONLUS
& the Authors
INTRODUZIONE
00 1. ANALISI LETTERARIA 003 1.1. Il Roman de Guiron 006 1.2. Caratteri generali 008 1.3. Un romanzo “individualista” 0010 1.4. Il racconto primo e i racconti secondi 0015 1.5. Dove inizia il Roman de Guiron 0018 1.6. Tecnica narrativa e intreccio 0024 1.7. Lo sguardo dell’autore
0 2. NOTA AL TESTO 028 2.1. I testimoni (parte prima) 37 2.2. La trasmissione del testo 41 2.3. Costituzione del testo e dell’apparato critico 44 2.3.1. Legenda del testo critico 44 2.3.2. Legenda dell’apparato critico 45 2.4. Criteri di trascrizione
3. NOTA LINGUISTICA 047 3.1. Grafie 48 3.2. Vocali 50 3.3. Consonanti 52 3.4. Morfologia 54 3.5. Elementi di sintassi
56 RIASSUNTO
ROMAN DE GUIRON PARTE PRIMA
97 I. Il torneo al Castello delle Due Sorelle 148 II. Danain si separa da Guiron 151 III. L’assalto alla scorta della dama di Malohaut 211 IV. Avventure di Danain sulle tracce dei fratelli della
Terra Straniera 272 V. Avventure di Lac sulle tracce di Guiron 291 VI. Lac e Faramont nella torre di Danydain 301 VII. Guiron e la dama di Malohaut finalmente soli 318 VIII. Meliadus e i racconti di Heryan 407 IX. Meliadus alla torre di Danydain 578 X. Una beffa ai danni del Morholt 590 XI. Il Morholt imprigionato 637 XII. Danain si innamora di Bloie 680 XIII. Avventure di Danain innamorato e ritorno di
Guiron 709 XIV. Danain di nuovo alla ricerca di Guiron 711 XV. Lac e Galvano ospiti in una torre 741 XVI. Guiron sfidato dal figlio di un valvassore 780 XVII. Avventure di Guiron e racconti sulla prigionia
841 NOTE DI COMMENTO FILOLOGICO E LETTERARIO
863 GLOSSARIO
883 SIGLE DEI MANOSCRITTI E DELLE STAMPE DEL «CICLO DI GUIRON LE COURTOIS»
885 BIBLIOGRAFIA
891 INDICE DEI NOMI DI PERSONAGGI, LUOGHI E ISTITU- ZIONI MENZIONATI NEL TESTO
SOMMARIO
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L’EDIZIONE DEL «GRUPPO GUIRON»
Questo volume fa parte dell’edizione critica del ciclo di romanzi che la tradizione letteraria europea ha conosciuto sotto il nome di Guiron le Courtois. Composto verosimilmente tra il 1235 e il 1240, dopo il Lancelot-Graal e il Tristan en prose, ma entrato subito a far parte dell’immaginario arturiano nella cultura europea, il Guiron non è mai stato pubblicato in epoca moderna. Il compimento di questa prima edizione è stato possibile grazie a un gruppo di gio- vani filologhe e filologi che hanno avuto il coraggio di seguirci nell’impresa, la lucidità di elaborare collettivamente un nuovo modello di interpretazione della tradizione manoscritta e di costi- tuzione del testo, e la costanza di portare a termine l’enorme lavo- ro. Al momento di licenziare l’edizione, prima di lasciare la parola a ciascuno di loro, ci sia consentito esporre brevemente la storia del progetto e le linee generali di metodo che ne hanno guidato la realizzazione.
Il Ciclo di Guiron le Courtois
Guiron le Courtois è un ciclo di romanzi in prosa (Roman de Meliadus, Roman de Guiron, Suite Guiron, più numerose espansioni collaterali) il cui successo si deve a un’idea semplice. Protagonisti della storia sono gli antenati dei cavalieri della Tavola Rotonda, noti a tutti i lettori del Lancelot-Graal e del Tristan en prose: Lot il padre di Gauvain, Urien il padre di Yvain, Lac il padre di Erec, e soprattutto Meliadus, il padre di Tristano, tutti personaggi già celebri prima del Guiron, ma celebri di riflesso, grazie alla gloria dei loro figli. Lo stesso Guiron, che diventa il protagonista nel secon- do romanzo, e con lui molti altri personaggi del ciclo, non aveva- no alcun passato letterario, ma erano mescolati ai personaggi tra- dizionali, collocati da sempre nell’epoca di Artù. Guiron le Courtois è così il ciclo dei padri, che mostra l’universo arturiano al momen- to della sua prima formazione. La ricetta ha funzionato, e il successo fu immediato e diffuso, a
giudicare dal gran numero di manoscritti e di frammenti conser-
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vati. Straordinaria e precoce è la presenza del Guiron in Italia, dove evidentemente l’opera era stata molto apprezzata, fin dalla prima notizia che ne abbiamo, nel 1240 alla corte di Federico II. Non pochi manoscritti conservati sono di origine italiana, e già nel sec. XIII il testo fu parzialmente tradotto. In Francia il suo successo è documentato anche da manoscritti più tardi e da più di un’edizio- ne a stampa, e il tentativo del fiorentino Luigi Alamanni, che a metà Cinquecento mise in ottava rima le avventure di Guiron per Francesco I ed Enrico II, è una conferma della durata di questa fortuna. Infine il Guiron, più che il Lancelot o il Tristan, è stato fon- damentale per la ripresa del romanzo francese nella poesia cavalle- resca italiana, visto il ruolo cruciale che ha avuto nell’ispirare i capolavori del Boiardo e dell’Ariosto.
Gli studi precedenti
A tale successo letterario non ha corrisposto un analogo interes- se da parte della filologia ottocentesca. Anche gli studiosi che ave- vano per primi valorizzato i romanzi in prosa, come Paulin Paris o Eilert Löseth, giudicavano il Guiron come un insieme narrativo disordinato e confuso: non aveva un asse principale come il Graal nel ciclo della Vulgata, né un elemento unificatore come la traiet- toria biografica nel Tristan en prose. All’impostazione centrifuga delle molteplici linee narrative tipiche del Guiron si aggiungeva un’altra caratteristica singolare: se del Lancelot e del Tristan si rico- noscono più versioni, la tradizione manoscritta del Guiron presenta una molteplicità di configurazioni diverse, tale da rendere difficile talvolta ragionare in termini di aggiunta o omissione di episodi rispetto a una trama unitaria. Inoltre, alcuni nuclei propri dello sviluppo narrativo guironiano si ritrovano in altri contesti, legati alle vicende di Tristano o di Merlino, o danno luogo a compila- zioni e riorganizzazioni della materia narrativa. Per una prima analisi di questo panorama condotta direttamente
sui manoscritti si deve attendere il grande lavoro di Roger Lathuillère (1966). Identificate e numerate in una lunga Analyse 289 unità narra- tive documentate nella tradizione manoscritta, egli poté descrivere le diverse seriazioni presenti nei testimoni. Tale sistema di riferimento, utilissimo per orientarsi nel labirinto della tradizione, ha finito per sostituirsi al testo stesso, in assenza di un’edizione integrale. L’analisi di Lathuillère aveva privilegiato, come punto di rife-
rimento, il manoscritto fr. 350 della BnF, l’unico testimone del sec. XIII che contenesse sia il Roman de Meliadus sia il Roman de
Guiron: caratteristiche che lo candidavano a rappresentare lo stato originario dell’insieme testuale, che sarebbe stato poi disgregato o accresciuto nel corso della trasmissione. Fu dunque la sequenza di episodi di questo autorevole manoscritto a essere definita da Lathuillère come «version de base» e a costituire il primo e princi- pale blocco della sua numerazione (paragrafi 1-135). Questa solu- zione non si fondava però su una classificazione dei manoscritti, ritenuta da Lathuillère impossibile, nonostante Limentani (1962) avesse disegnato uno stemma per una breve porzione del testo. La valorizzazione del manoscritto 350 e della sua versione del
testo era più che sufficiente, nella prassi della filologia francese, per individuare in esso il manoscritto di base per la futura edizione. A partire dagli anni Settanta alcune tesi in Sorbona proposero edizio- ni parziali fondate su questo testimone: in particolare Venceslas Bubenicek, dopo aver dedicato la sua tesi di dottorato all’edizione parziale della Suite Guiron (1985), aveva continuato a lavorare sui due romanzi principali, proponendo l’edizione di alcune parti – sempre sulla base di 350 – nella sua tesi di abilitazione (1998) e approfondendo alcuni aspetti testuali con interventi in congressi e miscellanee fino circa all’anno 2000, senza però condurre l’edizio- ne alla stampa.
Il «Gruppo Guiron»
Negli anni successivi si registra un rinnovato interesse per il Guiron su scala internazionale: esce un’antologia diretta da Richard Trachsler (2004), si susseguono gli studi sui manoscritti italiani di Fabrizio Cigni (2003, 2006), e infine tre tesi discusse nel 2008, alla Sorbona da Sophie Albert, a Siena da Nicola Morato, a Losanna da Barbara Wahlen, sono pubblicate nel 2010, e aprono una nuova fase della ricerca sul nostro romanzo, con prospettive che permet- tono di superare la sistemazione proposta da Lathuillère. In particolare, il lavoro di Nicola Morato proponeva una nuova
sistemazione complessiva dell’intera tradizione manoscritta: l’analisi insieme narrativa e filologica di una realtà testuale così frammentata e complessa ha modificato il quadro interpretativo entro cui legge- re il Guiron. Tra i principali risultati, la definizione dell’insieme testuale come un ciclo, elaborato e diffuso in più fasi di cui si può ricostruire lo sviluppo; la negazione del carattere originario di 350, composito, testualmente poco corretto e sospetto di contaminazio- ne; la classificazione per loci critici di tutti i testimoni del Roman de Meliadus, distribuiti in gruppi e sottogruppi tramite errori e inno-
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L’EDIZIONE DEL «GRUPPO GUIRON»
vazioni comuni, fino a configurare un’ipotesi di genealogia gene- rale della tradizione. Infine, questa nuova interpretazione dei dati fondata su argomenti filologici suggeriva una via per impostare l’e- dizione critica, ancora attesa dalla comunità degli studiosi. Partendo da questo nuovo scenario, si è costituito il gruppo di
ricerca che ha preso il nome di «Gruppo Guiron». Sotto la nostra direzione, e con il coordinamento di Nicola Morato, vi hanno aderito alcuni studiosi di materia guironiana (Fabrizio Cigni e Bar- bara Wahlen) e alcuni esperti di tradizioni manoscritte antico- e medio-francesi (Anne Schoysman e Fabio Zinelli), e poi nel corso degli anni hanno assunto la maggior parte del lavoro ricercatrici e ricercatori più giovani, impegnati nel dottorato o post-doc: dopo Claudio Lagomarsini, che ha pubblicato la sua tesi sulle Aventures des Bruns (2014) e l’edizione dei testi poetici inseriti nel ciclo (2015), per la parte filologica e ecdotica Luca Cadioli, Massimo Dal Bianco, Sophie Lecomte, Francesco Montorsi, Elena Stefanel- li, Marco Veneziale, Véronique Winand, per l’analisi delle minia- ture Ilaria Molteni e Noëlle-Christine Rebichon. Tre gli obiettivi del gruppo, tra di loro strettamente comple-
mentari: un nuovo catalogo dei manoscritti, uno studio complessi- vo della tradizione testuale, un’edizione critica. Su questi tre fronti le ricerche si sono sviluppate nel corso degli ultimi dieci anni, e hanno via via perfezionato l’analisi e approfondito le ipotesi inter- pretative. Si sono studiati in dettaglio alcuni manoscritti, sia dal punto di vista codicologico e linguistico sia per l’apparato decora- tivo. Claudio Lagomarsini (2018) ha allargato la classificazione dei manoscritti per loci critici al secondo romanzo del ciclo, il Roman de Guiron, arrivando a delineare una configurazione genealogica in parte diversa per la prima e la seconda parte del romanzo, ma sostanzialmente stabile nelle sue linee principali, e in grado di dar conto dei principali fenomeni di trasmissione del testo lungo tutto l’arco cronologico della sua diffusione. Si è infine formulato un modello di edizione critica che cercasse di rappresentare l’insieme della tradizione, e lo si è prima sperimentato nelle edizioni di Lago- marsini (2014 e 2015), poi lo si è adattato alle sezioni principali del ciclo nelle tesi di dottorato di Marco Veneziale (Roma-Zurigo 2015), Elena Stefanelli (Siena 2016), Sophie Lecomte (Namur- Siena 2018). Il procedere dell’edizione in questi lavori, così come nella tesi di master di Véronique Winand (Liegi 2016), ha fornito ulteriori elementi per perfezionare la classificazione dei manoscritti. Questa triplice linea di ricerca si è accompagnata a una riflessio-
ne metodologica unitaria. Il principio di fondo che ha guidato il
LINO LEONARDI - RICHARD TRACHSLER
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nostro lavoro è stato il tentativo di affrontare la tradizione testuale del Ciclo di Guiron le Courtois applicando alle più aggiornate analisi dei singoli codici (struttura materiale, stratigrafia linguistica, rap- porto testo-immagine) il punto di vista di una filologia diacronica: l’esigenza di rispondere alle domande della stemmatica tradizionale (quali sono i rapporti tra i manoscritti? quale la genesi dei testi?) ci ha spinto a rinnovare quegli strumenti, a calibrare per questa par- ticolare tradizione i concetti di errore, di rifacimento, di contami- nazione, a coniugarli con l’analisi narrativa delle macro-varianti che caratterizzano la trasmissione del romanzo in prosa. Facendo tesoro della grande tradizione di studi sul ciclo di Lancelot-Graal e sul Tristan en prose, la nostra ricerca si è però sviluppata in un senso diverso rispetto alle edizioni Micha e Ménard, e diverso quindi anche dall’impostazione data da Lathuillère per il Guiron le Cour- tois. Gli stemmi hanno infine consentito di proporre un modello di costituzione del testo che superi i vincoli e le aporie del mano- scritto di base, per offrire un’edizione più aperta a rappresentare l’evoluzione testuale della prosa guironiana. Di questo nuovo modello di analisi filologica che si è andato
costruendo negli anni abbiamo discusso in varie sedi internaziona- li, dal 2011 in poi. I principali risultati di questo lungo lavoro col- lettivo sono stati riuniti in una raccolta di prolegomena all’edizione, a cura di Luca Cadioli e Sophie Lecomte (2018), che costituisce il fondamento generale a tutti i volumi previsti per il testo critico. Nel 2015, dopo trent’anni dalla discussione della sua tesi, Ven-
ceslas Bubenicek ha fatto uscire l’edizione della seconda metà della Suite Guiron e di alcuni excerpta della continuazione del Meliadus. Malgrado le dimensioni del libro, si tratta di una porzione margi- nale del ciclo. L’introduzione mostra che Bubenicek non ha modificato l’impostazione ricevuta a suo tempo dal suo maestro Lathuillère, per cui, in mancanza di una classificazione dei mano- scritti, la versione di 350 (definita ancora «version de base» o «ver- sion principale») continua a essere considerata il punto di partenza della tradizione del Guiron. Sia per il metodo, sia per il merito, è un’impostazione per noi difficilmente condivisibile.
Genealogia e storia della tradizione
La classificazione dei manoscritti, perfezionata nel corso dell’e- dizione, ha consentito di individuare le principali linee di sviluppo della tradizione manoscritta, dalla formazione dei tre nuclei poi riuniti in un ciclo, tra l’archetipo e i primi snodi delle principali
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L’EDIZIONE DEL «GRUPPO GUIRON»
famiglie, tra Francia, Italia e Borgogna, fino alle ultime espansioni del ciclo al di là dei propri confini originari, con le compilazioni, le continuazioni e gli innesti di altre opere. Non quindi una ver- sione di base e più versioni particolari, ma un sistema articolato di più redazioni, una pre-ciclica per il Meliadus, diverse cicliche per il Meliadus e per il Guiron, una isolata per la Suite Guiron, fonte di compilazioni come le Aventures des Bruns. Naturalmente, non tutti i passaggi di questa storia testuale si
sono potuti illuminare con la stessa sicurezza, e su alcuni punti ci siamo limitati a delineare le ipotesi più probabili, secondo i dati a disposizione. Ma molti aspetti cruciali sono stati definiti con argo- menti solidi, tanto da poter disegnare un sistema coerente di stem- mi (i grafici si trovano nelle introduzioni a ciascun volume, e per comodità sono riprodotti anche in un foglio estraibile, prima degli indici). I manoscritti che tramandano il Meliadus si dividono in due
famiglie. Nella prima (α) troviamo riuniti i manoscritti non ciclici, compresi fra la fine del sec. XIII e la fine del XIV e tutti di pro- venienza italiana, da Genova al Veneto, dalla corte angioina di Napoli alla Milano viscontea; nella seconda (β) tutti i manoscritti ciclici, che sono invece di provenienza francese e fiamminga e risalgono al secolo successivo, dalla metà del XIV alla fine del XV, fino alla stampa Galliot du Pré (1528). β si divide in due sottogrup- pi, ulteriormente suddivisi al loro interno: γ riunisce manoscritti di area parigina, mentre i rappresentanti di δ si diffondono per lo più nel Nord-Est, fino alle Fiandre. La posizione di 350, l’unico testi- mone antico esemplato in Francia, a Arras, non è del tutto defini- bile: molti indizi lo affiancano a β, sotto un modello comune a entrambi che chiamiamo β°, ma da altri indizi 350 sembra cono- scere anche una fonte di tipo α, da cui derivano senza dubbio i suoi inserti di mano italiana. I manoscritti non frammentari di α (F L1 V2) trasmettono una
versione lunga del romanzo, caratterizzata da una sezione finale che racconta la guerra tra Artù e Meliadus che, sconfitto e fatto prigioniero, aiuta poi Artù a respingere l’invasione dei Sassoni. Questa narrazione si trova anche in 350 e in un sottogruppo di β, che chiamiamo δ1: ma in 350 è in un inserto di mano italiana che dipende da α, in δ1 deriva sempre da una fonte di tipo α, dimostrando che il sottogruppo ha abbandonato il suo modello di tipo β. Il Meliadus lungo risale quindi sicuramente al caposti- pite α e si dimostra originario, con tutta probabilità precedente la
LINO LEONARDI - RICHARD TRACHSLER
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formazione del ciclo. È questa la versione che pubblicheremo, in due volumi. Sempre nell’ambito della famiglia α si agganciano al nucleo ori-
ginario alcuni importanti sviluppi testuali, che pubblicheremo a parte: il terzo romanzo del ciclo, la Suite Guiron, attestata in forma isolata dall’antico A1 (e per un’altra porzione da 5243), e una con- tinuazione del Meliadus presente in F. È probabilmente da attribuire a Rustichello da Pisa una compilazione che deriva dal testo della Suite Guiron, le Aventures des Bruns, pubblicate da Claudio Lagomar- sini nel 2014 come prima edizione-pilota del «Gruppo Guiron». Tra β° e β si è costituito il ciclo, con l’inserimento di narrazioni
di raccordo tra il Meliadus e il Guiron di cui è impossibile ricostrui- re con certezza l’estensione originaria. In tutti i discendenti di β° troviamo una serie di episodi, che ne faceva quindi sicuramente parte. Ma tra il Meliadus e questo nucleo di raccordo originario, 350 ha una lacuna che potrebbe risalire a β°, mentre β trasmette un’ulteriore serie di episodi che paiono inseriti per colmare una lacuna analoga; al di sotto di β, δ1 ha accorciato questo secondo nucleo per agganciarlo al Meliadus lungo. A queste tre forme assunte dal ciclo si aggiunge infine un ulteriore testo di raccordo, trasmesso da un testimone quattrocentesco isolato e privo dei due romanzi, che sembra però attingere a fonti autorevoli (Mod2). L’insieme di queste diverse strutture di raccordo sarà riunito in un volume della nostra serie. Lo stemma del Roman de Guiron conferma le linee genealogiche
all’interno di β°, già intraviste da Limentani. Due autorevoli mano- scritti, entrambi francesi del sec. XIII, che contengono solo questo romanzo si inseriscono nei due rami: a quello di 350 si affianca Mar, lacunoso e innovativo, a β si affianca Pr, più regolare e corretto. La stampa di Antoine Vérard (1503 ca.) discende da δ1. La struttura dello stemma cambia circa a metà del romanzo: anche qui 350 ha una lacuna, mentre al racconto di β si contrappone una redazione alternativa trasmessa da tre nuovi manoscritti, di provenienza italia- na, che conservano soltanto la seconda parte del romanzo e indivi- duano una nuova famiglia indipendente, ε. È un ramo che si dimo- stra molto autorevole, soprattutto nel suo rappresentante più com- pleto e antico (L4), ma le due versioni divergenti non sembrano ori- ginarie, e potrebbero essersi anche qui generate per reagire a una lacuna corrispondente al passaggio da un tomo all’altro. Anche Mar e δ1, per questa seconda parte del Guiron, si spostano sotto ε. L’in- sieme del romanzo, con le versioni divergenti, è stampato in questi due volumi a cura di Claudio Lagomarsini e Elena Stefanelli.
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L’EDIZIONE DEL «GRUPPO GUIRON»
Come il Meliadus, anche il Guiron era rimasto in origine senza un finale, e anch’esso presenta in alcuni manoscritti una continua- zione, che prosegue per un centinaio di fogli soltanto in L4 (cui si aggiunge il frammentario X). Con ogni verosimiglianza anche questa continuazione, come quella dell Meliadus, non è originaria, ma fa parte organica della trasmissione del Guiron ancora nel sec. XIII: ad essa sarà dedicato un volume a parte. Analizzare l’insieme della tradizione manoscritta del ciclo guiro-
niano con gli strumenti della filologia stemmatica e dell’analisi nar- rativa ha dunque consentito di interpretare, alla luce dei risultati della classificazione, sia la dinamica testuale della lezione sia la genesi e lo sviluppo strutturale del ciclo. Ne emerge un quadro geo-cro- nologico che non è stato possibile finora disegnare per il Lancelot- Graal o per il Tristan en prose, e che dà la misura delle potenzialità euristiche e storiografiche offerte dallo strumento stemmatico, al di là della funzione, pur fondamentale, di guida nella scelta delle reda- zioni da pubblicare e nella costituzione del testo critico.
L’edizione critica
La presente edizione si propone di adottare un metodo non più abituale per la filologia dei romanzi in prosa, anzi in generale dei testi in antico francese. Si tratta di stabilire il testo senza adottare un manoscritto di base, ma seguendo le indicazioni fornite dallo stemma, in modo da eliminare dal testo critico le varianti sostan- ziali che si sono introdotte nel corso della sua trasmissione. Abbia- mo rispettato dunque una procedura rigorosa di selezione delle varianti sostanziali adiafore: sono escluse dal testo critico, in quan- to giudicate innovative dallo stemma, le varianti trasmesse da un solo manoscritto o da una sola sotto-famiglia; nei casi di opposi- zione tra un ramo e l’altro dello stemma, si è seguito sempre lo stesso ramo, quello più conservativo. Quando sussistono argo- menti interni per una scelta diversa, questi sono esposti in una nota esplicativa. Poiché tale procedura è limitata alle varianti sostanziali e non si
applica alle varianti formali, abbiamo definito su nuove basi tale distinzione. Essa era presente nelle discussioni sul metodo ecdotico fino dal Saint Alexis di Gaston Paris, ma per la filologia francese è rimasta inerte, quando non addirittura dimenticata, dopo l’avvento delle edizioni fondate su un manoscritto di base, e richiedeva una formulazione rinnovata, anche in linea con le mutate condizioni della ricerca linguistica. Abbiamo incrociato le categorie polari di
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sostanza testuale / forma linguistica con i concetti di monogenesi / poligenesi, giungendo a formulare una serie di criteri per indivi- duare quei fenomeni di variazione che rispondono alle strutture fondamentali codificate dalla lingua letteraria della prosa arturiana (a livello morfologico, sintattico, lessicale, non solo grafico-fone- tico), e quindi possono produrre esiti identici anche in copisti che non condividono lo stesso modello: la tipologia di varianti così definita sarà esclusa dai processi ricostruttivi, e non sarà registrata nell’apparato. Intendiamo con questa proposta superare la prassi indeterminata dello «choix de variantes», dichiarando preliminar- mente la tipologia dei fenomeni esclusi dall’apparato, e offrendo così al lettore gli strumenti per leggere la variazione testuale dei nostri testi con cognizione di causa. Per questo registro di varianti la nostra edizione si affiderà a un
manoscritto, che abbiamo proposto di definire «manoscritto di superficie». I criteri abituali per la scelta del manoscritto di base (cronologia, localizzazione, presunta ‘correttezza’) sono integrati applicando i concetti di competenza e plausibilità della sua lezione, misurando il tasso di innovazione dei principali manoscritti, e dei modelli dai quali derivano. Il risultato ha messo ulteriormente in luce la scorrettezza del testo di 350, e ha indicato le soluzioni da adottare per ciascuna sezione del ciclo: per il Meliadus, all’interno di α è emersa l’autorevolezza di L1, mentre per la seconda parte del Guiron la scelta ha privilegiato L4 come rappresentante della famiglia ε. Si tratta di due manoscritti di origine italiana (L1 alle- stito nella Napoli angioina, L4 appartenente al nucleo genovese- pisano), ma ciò non stupisce per una tradizione come quella del nostro ciclo, di cui è attestata una prima circolazione soprattutto in Italia. Per la prima parte del Roman de Guiron, dove mancano le famiglie α e ε, all’interno di β° la scelta è caduta su Pr (Francia nord-orientale, fine sec. XIII), il più autorevole rappresentante del ramo β, dal quale è discesa la grande tradizione ciclica francese del secolo XV. Il più affidabile testimone di questo ramo che contenga tutto il raccordo, 338 (Parigi, sec. XIV ex.), è infine il manoscritto di superficie per questa sezione intermedia del ciclo.
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Ringraziamenti
Il «Gruppo Guiron» ha portato a compimento l’edizione del ciclo senza il sostegno di un finanziamento specifico: il progetto di analisi filologica e di edizione critica dell’intera tradizione ha richiesto un tempo di lavoro che era difficile coniugare con le sca- denze imposte dai programmi delle principali agenzie nazionali o europee. La sua realizzazione si deve dunque soprattutto alla pas- sione di un gruppo di giovani ricercatrici e ricercatori che hanno accettato di impegnarsi, fin dall’inizio della loro tesi di dottorato, in un lavoro filologico molto lungo e complesso, e al contributo di alcune istituzioni che hanno deciso di promuovere una ricerca così impegnativa. In primo luogo la Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, l’Universität Zürich anche con il concorso puntuale del Fonds National Suisse, e l’Università di Siena (Dottorato inter- nazionale in Filologia romanza, poi in Filologia e critica), a cui si sono aggiunte, a diverso titolo, l’Université de Liège (Unité de Recherche «Transitions») e l’Université de Namur con il concorso del Fonds National de la Recherche Scientifique de Belgique, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Université de Lausanne, la Bibliothèque nationale de France, la Regione Toscana, la Fonda- zione Cassa di Risparmio di Firenze. A tutte, nella misura in cui ciascuna ha contribuito al risultato oggi raggiunto, va la nostra riconoscenza. Alla memoria di Marco Praloran, che tanto ha amato questi rac-
conti e che ha favorito con entusiasmo l’inizio del nostro lavoro, dedichiamo l’edizione del Ciclo di Guiron le Courtois.
Lino Leonardi - Richard Trachsler
LINO LEONARDI - RICHARD TRACHSLER
1.1. IL «ROMAN DE GUIRON»
Con il titolo di Roman de Guiron si indica convenzionalmente la seconda branche del Guiron le Courtois,1 un mastodontico ciclo francese di prose cavalleresche che andarono aggregandosi a partire dagli anni 1235-1240.2 Come si verifica anche per gli altri romanzi del ciclo, le vicende narrate nel Roman de Guiron si collocano in un mondo di finzione cronologicamente anteriore rispetto all’età aurea della cavalleria codificata nel Lancelot e nel Tristan en prose: lo sfondo delle nostre avventure è, infatti, quello dei primi anni del regno di re Artù, ma diversi racconti retrospettivi aprono squarci anche sull’epoca di Uterpendragon. Rispetto a Lancelot e Tristan, dunque, la generazione cavalleresca messa in scena nel Ciclo di Guiron è quella dei padri e dei nonni.
Preceduto nel ciclo da un Roman de Meliadus – a cui è stato col- legato da un Raccordo di estensione variabile nei manoscritti –, il Roman de Guiron è completato da due ulteriori testi, una Suite e una Continuazione. Nel nostro romanzo fa la sua prima comparsa un cavaliere sconosciuto al mondo arturiano, Guiron il Cortese. Poiché il suo passato resta oscuro – e a illuminarlo non sono del
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1. Circa la delimitazione e la stratificazione delle diverse branches si veda in particolare N. Morato, Il ciclo di ‘Guiron le Courtois’. Strutture e testi nella tradizione manoscritta, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2010. Per un quadro ulteriormente aggiornato si farà riferimen- to a Id., Formation et fortune du cycle de ‘Guiron le Courtois’, in Le cycle de ‘Gui- ron le Courtois’. Prolégomènes à l’édition intégrale du corpus, dir. L. Leonardi et R. Trachsler, études réunies par L. Cadioli et S. Lecomte, Paris, Classiques Garnier, 2018, pp. 179-247. A partire da queste ricerche si è superata l’ipotesi di R. Lathuillère (‘Guiron le courtois’. Étude de la tradition manuscrite et analyse critique, Genève, Droz, 1966), secondo il quale sarebbe esistita una redazione unitaria (la «version de base») di un unico romanzo, chiamato appunto Gui- ron le Courtois e trasmesso in forma più o meno lacunosa dai manoscritti.
2. Per la datazione cfr. Lathuillère, ‘Guiron le courtois’ cit., pp. 31-4.
tutto sufficienti né i vari racconti retrospettivi né il già citato Rac- cordo –, prima del 1270 fu composto un prequel a cui si dà il nome di Suite Guiron.3 Nella seconda parte del Roman de Guiron, inoltre, le linee narrative convergono verso una situazione di stallo, dato che tutti i cavalieri più insigni restano imprigionati. Oltre alla Suite si è resa anche necessaria, così, una Continuazione del Guiron.4
Sulla base della documentazione non è possibile datare con esat- tezza né la nostra branche né gli altri elementi che compongono il ciclo. La ripresa del personaggio di Meliadus e l’allusione a un epi- sodio ben preciso del primo romanzo5 suggeriscono che l’autore del Guiron conoscesse il Meliadus (mentre non vi sono indizi del contrario). Considerato che il Meliadus presuppone il Tristan en prose, possiamo collocarne la composizione dopo il 1235. Questo terminus post quem vale, dunque, anche per il Guiron. Cinque anni più tardi, abbiamo la più antica attestazione di un manoscritto contenente almeno il Meliadus: risale al 5 febbraio 1240 una lettera di cancelleria di Federico II nella quale si fa riferimento ai cin- quantaquattro quaternioni di un liber Palamides appartenuto a un tale Iohannes Romanzor.6 Si tratta con ogni probabilità di un codice contenente uno o più testi del nostro ciclo: livre de Pala- medés è il titolo che, in un prologo posticcio tramandato da alcuni manoscritti del ciclo, il sedicente Helie de Boron sceglie per l’o- pera di cui rivendica la paternità.7 Ma come è stato osservato da Nicola Morato, i testimoni superstiti del Meliadus si estendono da un minimo di diciotto a un massimo di venticinque fascicoli; il
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3. La prima metà della Suite Guiron è stata pubblicata nell’ed. a cura di V. Bubenicek, ‘Guiron le Courtois’. Roman arthurien en prose du XIIIe siècle, Ber- lin-Boston, de Gruyter, 2015, 2 voll.; all’edizione della seconda metà è dedi- cata la tesi di dottorato di Massimo Dal Bianco, in corso presso l’Università di Siena.
4. Pubblicata da Marco Veneziale nel vol. VI dell’edizione integrale del Ciclo di Guiron le Courtois.
5. Secondo S. Albert, «Ensemble ou par pieces». ‘Guiron le Courtois’ (XIIIe- XVe siècles): la cohérence en question, Paris, Champion, 2010, p. 114, all’interno di Lath. 80 (vd. il § 492 della nostra ed.), «Meliadus, pour rappeler Lac à la mémoire de Pharamond, fait référence à l’épisode conté dans le § [Lath.] 11 du Roman de Meliadus».
6. Il testo latino parla di «LIIII quaternis scriptis de libro Palamides, qui fue- runt quondam magistri Iohannis romanzerii» (C. Carbonetti-Vendittelli, Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, Roma, Istituto Storico Ita- liano per il Medioevo, 2002, 2 voll., vol. II, pp. 501-4).
7. Sulla rivendicazione di autorità da parte di Helie cfr. spec. Morato, Il ciclo cit., cap. III.
liber Palamides di Federico II, invece, ne conta più del doppio.8 Se non si tratta di un errore nella registrazione del numerale, non possiamo escludere che nel 1240 fosse già stata elaborata una forma ciclica di una certa estensione, eventualmente comprendente anche il Roman de Guiron. Il nostro romanzo fu composto, comunque, prima degli anni ’70 del XIII secolo, data del più anti- co manoscritto della Suite Guiron.9
La fortuna del Roman de Guiron fu vasta e precoce,10 come documentano i numerosi manoscritti confezionati in Francia e in Italia tra la seconda metà del XIII e i primi decenni del XIV seco- lo.11 Risale alla fine del Duecento la traduzione in pisano antico di un episodio del romanzo, conservata all’interno del manoscritto 12599.12 Fuori dalla Francia, l’Italia è il territorio in cui il Guiron conobbe maggior fortuna anche nei secoli successivi: nei Cantari di Febus-el-Forte (ante 1350) troviamo un’ampia porzione del testo messa in ottave; e il nostro romanzo è senz’altro noto all’anonimo autore franco-veneto dell’Entree d’Espagne (1330-1340 ca.), come anche a Fazio degli Uberti, che vi accenna nel Dittamondo (1350- 1367 ca.). Un sonetto toscano databile agli anni ’60 del Trecento, inoltre, celebra l’affresco, purtroppo perduto, che Giotto o la sua scuola dedicarono a Febus (avo di Guiron)13 e che doveva trovarsi in una galleria di personaggi illustri realizzata a ornamento della sala principale di Castel Nuovo a Napoli.
Non abbiamo notizie approfondite sui possessori o sui commit- tenti dei manoscritti più antichi. Siamo meglio informati su quelli databili tra il XIV e il XV secolo, così come sui codici attualmente perduti ma registrati negli inventari medievali. Da questi materiali ricaviamo che, da solo o insieme ad altri elementi del ciclo, il Roman de Guiron fu una lettura molto apprezzata da sovrani e signori francesi (Filippo l’Ardito, Charles de Trie, Jean sans Peur, Jean de Berry, Jacques d’Armagnac, etc.), ma anche catalani (Joan
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1. ANALISI LETTERARIA
8. Cfr. Morato, Formation et fortune cit., pp. 186-8. 9. Cfr. F. Cigni, Le manuscrit 3325 de la Bibliothèque de l’Arsenal de Paris
(A1), in Le cycle de ‘Guiron le Courtois’. Prolégomènes cit., pp. 29-49. 10. Cfr. ibid., pp. 209-47 per un regesto aggiornato delle attestazioni. 11. In attesa del catalogo dei manoscritti a cura del «Gruppo Guiron» si può
consultare l’utile database realizzato nell’ambito del progetto Medieval Fran- cophone Literary Culture Outside France: ‹www.medievalfrancophone.ac.uk›.
12. Per lo scioglimento delle sigle vd. la tavola alle pp. 883-4. 13. C. Lagomarsini, Due giunte inedite (Febusso e Lancillotto) alla corona di
sonetti sugli affreschi giotteschi di Castel Nuovo, in «Studi Medievali», LVI/1 (2015), pp. 195-223.
I d’Aragona, Violant de Bar, Pere el Cerimoniós) e italiani (Visconti, Gonzaga, Este). È nelle biblioteche signorili dell’Italia settentrionale che Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto dovettero venire a conoscenza del Ciclo di Guiron, modello fonda- mentale e costante fonte di ispirazione per l’elaborazione dei loro poemi cavallereschi.14
Dopo l’editio princeps di Antoine Vérard (1503 ca.), il Roman de Guiron continuò a essere letto per tutto il secolo XVI. Porta la data del 1548 l’edizione parigina del Gyrone il Cortese di Luigi Alaman- ni, poema in ottave che Benedetto Varchi si arrischiò a giudicare superiore all’Orlando furioso.15 A partire dal secolo successivo, tut- tavia, il Roman de Guiron cadde nell’oblio, insieme al resto del ciclo. L’ultimo, isolato sussulto di sopravvivenza è rappresentato dal Geron der Adelige, adattamento in versi sciolti realizzato nel 1777 dall’illuminista tedesco Christoph Martin Wieland.
Sostanzialmente trascurato dai letterati e dagli studiosi del seco- lo XIX – che si concentrarono su altri versanti della tradizione arturiana, agitati da un misticismo del tutto estraneo alla prospet- tiva laica che anima il nostro testo – il Ciclo di Guiron è rimasto fino a oggi inedito nella sua interezza. Come lascia intuire questa brevissima presentazione, le questioni testuali e interpretative in gioco sono molte e molto complesse. Nelle pagine che seguono ci limiteremo a illustrarne gli aspetti più salienti, concentrandoci sulla porzione del Roman de Guiron pubblicata nel presente volume.
1.2. CARATTERI GENERALI
Imprigionato per molti anni, un cavaliere di straordinaria pro- dezza, Guiron il Cortese,16 è rimasto lontano dalle scene. Poiché non siede alla Tavola Rotonda, pochissimi cavalieri lo hanno
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14. Cfr. spec. P. Rajna, Le fonti dell’‘Orlando furioso’, ristampa della 2a
ed.1900 accresciuta d’inediti, a cura di F. Mazzoni, Firenze, Sansoni, 1975. 15. Ma ecco l’opinione del Lasca: «Il Varchi ha fitto il capo nel Girone /
e vuol che sia più bel che l’Ariosto; / ma s’ei non si ridice innanzi agosto, / lo potrebbe guarire il sollione» (Le rime burlesche edite e inedite di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, ed. a cura di C. Verzone, Firenze, Sansoni, 1882, sonetto XXI, vv. 1-4).
16. Nei manoscritti più antichi il nome è Guron. Sulle origini di questo personaggio e del suo nome vd. N. Morato, The Shadow of the Bear. An Archeology of Names in the ‘Roman de Guiron’, in «Zeitschrift für romanische Philologie», di prossima pubblicazione.
incontrato o possono vantarsi di conoscerlo personalmente, anche se molti ne hanno sentito raccontare le imprese.
Mentre il Roman de Meliadus sceglie i propri protagonisti tra i padri dei grandi cavalieri già noti ai lettori del Lancelot-Graal e del Tristan, l’anonimo autore del Roman de Guiron sfrutta l’espediente della prigionia per introdurre nel mondo arturiano un nuovo eroe, discendente da un lignaggio diverso rispetto a quelli elaborati in altri testi. Guiron compare, già cavaliere maturo, dalla prima pagi- na del romanzo. Il suo passato verrà ricostruito progressivamente, ricomposto per frammenti mettendo insieme i numerosi racconti analettici che costellano la narrazione.17
Come vedremo, questi racconti sono un ingrediente fonda- mentale del romanzo. Un pregiudizio difficile da dissipare vuole che il Roman de Guiron, più di altre branches del ciclo, sia caratte- rizzato da un’organizzazione dispersiva: un illeggibile feuilleton, insomma, che all’interno di una fragile cornice inserirebbe una raccolta disomogenea di novelle cavalleresche.18 È senz’altro vero che la continua interruzione del racconto di primo grado appesan- tisce la costruzione dell’insieme. Questo aspetto, tuttavia, non deve far perdere di vista né la struttura complessiva del romanzo (che è efficacemente costruita) né lo stretto legame che unisce il racconto di primo grado ai racconti analettici.19
A proposito della struttura d’insieme: nelle prime pagine – ma vedremo che l’individuazione dell’incipit è tutt’altro che sempli- ce – si inaugurano due linee narrative, rispettivamente di lunga e di lunghissima portata. Attorno alla prima (l’amore della dama di Malohaut per Guiron, compagno d’armi di suo marito Danain) si organizzano in modo più o meno diretto tutte le vicende che coin- volgono i partecipanti al torneo del Castello delle Due Sorelle,
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1. ANALISI LETTERARIA
17. La già citata Suite Guiron approfondisce questo procedimento narrati- vo, andando a colmare, con l’inserzione dei racconti di secondo grado, ulte- riori lacune sul passato di Guiron.
18. A proposito del ciclo nel suo complesso, Paulin Paris parlò ad esempio di un «ramassis, d’ailleurs assez amusant, de contes débités sans ordre [et] sans cohésion» (P. Paris, Les Romans de la Table ronde mis en nouveau langage et accompagnés de recherches sur l’origine et le caractère de ces grandes compositions, Paris, Techener, 1868-1877, 5 voll., vol. V, p. 362).
19. Nicola Morato porta ottimi argomenti che dimostrano come «il siste- ma di ancoraggi temporali e il graduale ricomporsi del passato condizionano la struttura tendenzialmente digressiva del piano del presente, introducendo nell’intreccio un potente elemento finalistico, orientato» (Morato, Il ciclo cit., p. 179).
vero e proprio carrefour del primo quarto di romanzo: molti dei cavalieri che via via si incontrano, infatti, hanno appena partecipato al torneo oppure fanno riferimento ai suoi partecipanti. La seconda linea narrativa (l’amore di Lac per la dama di Malohaut, incontrata al torneo stesso) si dipana lungo la prima metà del romanzo, per poi essere ripresa nella conclusione, dove Lac, ancora innamorato della dama, finisce prigioniero proprio nel regno di Malohaut.20
Le impressioni di discontinuità o di frammentazione novellisti- ca21 del Roman de Guiron devono essere considerate, allora, un effetto collaterale di altre scelte compiute dall’autore. Nelle pagine che seguono tenteremo di inquadrarne almeno una parte: la pre- ferenza accordata all’erranza cavalleresca individuale; il gusto (o l’interesse) per la narrazione di tipo esemplare; il gioco combina- torio con gli ingredienti tradizionali del romanzo arturiano; l’esi- genza di ricomporre la memoria perduta di Guiron e del lignaggio dei Bruns. Presenteremo, infine, alcune questioni relative all’in- treccio, alla tecnica narrativa e alla postura dell’autore rispetto alla tradizione arturiana.
1.3. UN ROMANZO “INDIVIDUALISTA”
Come ha ben evidenziato Nicola Morato, nel Roman de Guiron «Artù assolve le funzioni [...] di remoto garante delle vicende, del fatto che l’erranza possa placidamente svolgersi sul proscenio (beninteso, con tutte le tensioni e i dissidi che di norma la carat- terizzano) senza essere turbata o interrotta da eventi di portata sto- rica o escatologica».22 Diversamente dal Roman de Meliadus, occu- pato in larga parte dai preparativi e poi dallo svolgimento di ben due guerre, e diversamente dai romanzi del Lancelot-Graal, percorsi da conflitti violenti e distruttivi, il Roman de Guiron non è orien- tato da grandi eventi di portata storica, né tantomeno da un’av- ventura collettiva paragonabile alla ricerca del Graal.
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20. È l’episodio Lath. 132 (la sigla si riferisce al riassunto pubblicato nella seconda parte del volume di Lathuillère, Guiron cit.), corrispondente ai § 1399-1400 dell’ed. Stefanelli.
21. Si veda quanto scrive Michel Olsen all’inizio di un saggio sul triangolo amoroso nel Guiron: «L’idée directrice de l’étude présente est de considérer les différents épisodes et histoires intercalés comme autant de nouvelles» (M. Olsen, ‘Guiron le Courtois’, décadence du code chevaleresque, in «Revue romane», XII (1977), pp. 67-95, a p. 71).
22. Ivi, p. 161.
In tutto il romanzo, l’unica assemblea di qualche rilievo è il tor- neo che si svolge al Castello delle Due Sorelle (§ 12-51),23 ma anche qui manca un’autentica dimensione comune. È significativo, ad esempio, che non sia mai menzionato il sovrano che presiede all’as- semblea e che non venga rappresentato il tradizionale momento del banchetto. La regia si sofferma, piuttosto, sulle prodezze di singoli cavalieri (le giostre del giovane Sagremor, § 20 sg.) o sulle coppie che si affrontano nella mischia: Danain e Guiron da una parte, Lac e Meliadus dall’altra. Gli altri cavalieri restano sine nomine plebs.
La metafora della regia aiuta a descrivere un movimento di mac- china interessante, emblematico di questa prospettiva individualisti- ca del narratore, che, anche partendo dal gruppo, va poi a isolarne un dettaglio. Nel bel mezzo dell’exploit di Sagremor, su cui il rac- conto si sofferma per qualche riga, ci solleviamo improvvisamente dai ranghi per osservare la dama di Malohaut: affacciata alle finestre del castello e incorniciata da un corteo di damigelle, la dama assiste – aristocraticamente indifferente agli sguardi che si posano su di lei – agli scontri che si svolgono in basso (§ 21.6). Un altro rapido movimento e scendiamo di nuovo nella place. Qui, vedendo affac- ciarsi la bellissima dama, la folla dei cavalieri ha alzato gli occhi in direzione del castello. Da questa effimera inquadratura collettiva si stringe poi sul solo Lac (§ 22.7), che, stupefatto da tanta bellezza, medita un gesto folle: rapire la dama e averla soltanto per sé. La scena prosegue con il dialogo tra Lac e Meliadus, intercettato da Guiron, che assiste al torneo dallo stesso spalto. Danain presta atten- zione ad alcune parole soltanto, perché il combattimento, rimasto in background, è sempre in corso, e un ulteriore disarcionamento compiuto da Sagremor fa levare un boato sugli spalti (§ 25.1-3).
Questa esaltazione dell’individualismo si ripropone nella straor- dinaria impresa di Lac, che affronterà e sconfiggerà da solo la scorta di quasi trenta cavalieri24 affidati alla dama di Malohaut. E lo stesso motivo del singolo contro la moltitudine (tradizionale, beninteso, nell’epica come nella letteratura arturiana) torna con notevole e non casuale insistenza in altre occasioni,25 tanto nel racconto di primo grado quanto nei racconti retrospettivi.
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1. ANALISI LETTERARIA
23. Se non è precisato diversamente, i segni di paragrafo si riferiscono sempre alla numerazione della presente edizione.
24. Sul numero esatto, che oscilla con contraddizioni tra i manoscritti, cfr. la nota di commento al § 5.1.
25. Nel racconto di primo grado: il Morholt mette in fuga venti uomini (§ 438-49); Guiron, condotto come prigioniero, sconfigge prima la scorta
1.4. IL RACCONTO PRIMO E I RACCONTI SECONDI
Soffermiamoci proprio sui racconti secondi e sulla loro relazio- ne con il racconto di primo grado. Si è accennato all’interesse da parte del narratore per la rappresentazione di prodezze (o anche di umiliazioni) dal valore esemplare. È un aspetto su cui ha indagato soprattutto Sophie Albert,26 riflettendo sulla funzione e sul signifi- cato dei moltissimi racconti omodiegetici che interrompono la narrazione di primo grado, contribuendo all’effetto di frammenta- zione a cui si è fatto cenno.27 Nella prima metà del romanzo, sono intarsiati nella narrazione ben trenta racconti retrospettivi omodie- getici (sui quaranta totali censiti da Albert).28 In un caso (§ 333-60) il virtuosismo è tale che all’interno di un racconto secondo se ne annida uno di terzo grado.
I temi affrontati in questi racconti sono molteplici: l’essenza autentica dell’onore, la possibilità del riscatto dopo un’onta, la natu- ra capricciosa della donna, il conflitto tra desiderio e amicizia. Tal- volta, una sentenza di tono moraleggiante si incarica di riassumere l’insegnamento veicolato da una serie di exempla successivi: «Tout cil ne sunt pas cevalier qui le ressamblent» (§ 196.7), leggiamo, dopo quattro racconti retrospettivi in cui cavalieri prestanti all’apparenza si sono rivelati incapaci o codardi al momento dell’azione.
Un tema ricorrente, su cui la critica si è giustamente interroga- ta, è quello della perversa e mutevole natura della donna. Roger Lathuillère ha tentato di negare o ridimensionare gli elementi
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(sessantasei uomini in tutto), quindi quattro cavalieri che hanno assistito increduli alla scena (§ 736-54). E nei racconti restrospettivi: Guiron sconfigge da solo trenta cavalieri (§ 91-102); Hector sbaraglia la scorta che conduce una giovane sposa amata da lui e dal suo compagno d’armi (§ 362-402); Galehaut si vendica su Aquilan uccidendo in combattimento lui e i suoi quattordici figli (§ 861-6).
26. Cfr. il capitolo dedicato specificamente al Roman de Guiron in Albert, «Ensemble ou par pieces» cit., pp. 273-413.
27. Albert porta l’esempio di numerosi motivi già presenti nella letteratura didattica ed esemplare francese e latina, come ad es. (seguendo l’ordine delle fonti discusse in «Ensemble ou par pieces» cit., pp. 320 sg.) nel Roman des Sept Sages (versione del Dolopathos), nell’Ipomédon, nella Disciplina clericalis, in Ami et Amile o in Athis et Prophilias. Sulle consonanze con il roman de clergie, cfr. anche Morato, ‘Guiron le Courtois’ cit., p. 162.
28. Cfr. spec. S. Albert, Échos des gloires et des hontes. À propos de quelques récits enchâssés de ‘Guiron le Courtois’ (ms. Paris, BNF, fr. 350), in «Romania», CXXV (2007), pp. 148-66.
misogini del romanzo,29 riconducendoli a un generico gusto fabliolistico per situazioni piccanti, finalizzate a «montrer avec un sourire amusé [de] brillants chevaliers en fâcheuse posture».30
Albert, invece, ha affermato senza mezze misure che, «si l’amour fait l’objet d’une critique voilée dans le Roman de Meliadus, cette critique s’étend à la femme elle-même dans le Roman de Guiron. La remise en cause de l’idéal courtois fait place à une idéologie net- tement misogyne».31 Morato ha riflettuto ulteriormente sulla que- stione, sostenendo che, nonostante l’indubbio interesse letterario di queste «dame belle e viziose [...], attratte per narcisismo dall’imma- gine fisica della propria corruzione morale» (più di una, ad esempio, abbandona un prode cavaliere per un nano dall’aspetto ributtante), va anche rimarcato che «questi episodi non sono tanto o solo intesi a definire un certo tono dell’universo cavalleresco, ma rispondono piuttosto all’esigenza della varietà, di un ampliamento dello spettro del rappresentabile, qui ancora a uno stadio embrionale».32
Questa esigenza di varietà si traduce, in effetti, in un vero e pro- prio gioco combinatorio, che prova a forzare le strutture e i carat- teri tradizionali del romanzo arturiano. L’espediente con il quale si realizza questa slabbratura della tradizione è, molto spesso, quello del jeu parti che un cavaliere propone a uno o più avversari. L’e- spressione assume, qui, un significato ben diverso da quello con- sueto della tradizione poetica: per divertimento e per provocazio- ne, un cavaliere impone a un avversario di compiere un’azione sgradita o, in alternativa, di vedersela con lui in duello. «Jou voel faire gieu parti entre vous deus de cangier vos damoyseles» (§ 602.4), propone Brehus senza Pietà, divertito all’idea di uno scam- bio di coppia; ed ecco quanto Lac prospetta a Galvano: «Ore
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29. «On pourrait ranger l’auteur de Guiron le courtois dans le courant tra- ditionellement misogyne qui traverse le moyen âge jusqu’à la Renaissance; il n’en est rien. Nulle part il ne met l’accent, de parti pris et avec une délecta- tion vindicative, sur les défauts ou les travers féminins» (Lathuillère, ‘Guiron le courtois’ cit., p. 147).
30. Ibid. 31. Albert, «Ensemble ou par pieces» cit., p. 343. Sulla misoginia del Roman
de Guiron, cfr. spec. le pp. 330-44, dove la studiosa si sofferma sull’analisi dei racconti Lath. 80-82 (corrispondenti ai § 438-556 della presente edizione). Di opinione simile è Olsen: «Le culte superficiel de l’amour dissimule mal un antiféminisme féroce, et les exploits des protagonistes n’arrivent pas à cacher que les valeurs de la chevalerie se trouvent exposées au premier hasard venu» (‘Guiron le courtois’ cit., p. 93).
32. Morato, ‘Guiron le Courtois’ cit., p. 163.
esgardés lequel vous volés avoir de ces gieus partis: ou vous vos combatés a moi, ou vous prenés ma damoisele avoec les vostres, ou vous me dounés les vostres, s’en avrai .IIII.» (§ 813.10). E anco- ra, sconfitto in combattimento, il Morholt non deve cedere nes- suna damigella; al contrario, è costretto a farsi carico di quella del vincitore, anziana e «laide comme uns mastins» (§ 631.2). Svaghi crudeli, insomma, o passatempi di cavalieri superficiali e annoiati: variazioni sul tema del duello tradizionale, finalizzato alla conquista pura e semplice di una piacente fanciulla.33 Damigelle brutte e anziane, nani orrendi, cavalieri codardi, ospiti infidi, cavalieri miso- gini, assurde costumanze presso ponti o castelli: sono tutti attanti e situazioni che, combinati tra loro, comportano un’espansione del narrabile arturiano, soprattutto in direzione del grottesco.
Ma torniamo ai racconti retrospettivi e alla loro funzione nella struttura del romanzo. Si è riflettuto molto – lo abbiamo ricorda- to − sul valore esemplare di queste narrazioni a intarsio, che svi- luppano e reiterano questioni, problemi e ossessioni dell’autore o del suo pubblico. Si è scritto meno sulla relazione di rispecchia- mento e mise en abyme che alcuni racconti secondi intrattengono con l’intreccio di primo grado. Ci siamo già soffermati sulle avventure di singoli cavalieri che affrontano una moltitudine, dove continuamente riecheggia l’impresa di Lac contro la scorta di Malohaut. Si può aggiungere il caso di un racconto su una dami- gella traditrice (§ 687-706), che il Morholt d’Irlanda ascolta da un valvassore; ma quella che il cavaliere sente narrare è, in fondo, la sua stessa storia. Come il protagonista del racconto, infatti, il Morholt è stato obbligato dai doveri cavallereschi a proteggere una dama da chi, avendo subito da lei un grave torto, vorrebbe legit- timamente vendicarsi.
Su questo effetto di eco o di specchiamento e sulla sua impor- tanza nella costruzione del romanzo ci invita a meditare anche un’esplicita reazione di Danain: a un tratto, il cavaliere si scopre combattuto tra il rispetto dell’amicizia che lo lega a Guiron e l’a- more per l’amie di quest’ultimo, una certa Bloie che si chiama (scopriamo solo ora, dopo moltissime pagine)34 come sua moglie.
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33. Che è una sfida, comunque, ben presente nel nostro romanzo ed eventualmente formulata, anch’essa, come jeu parti: «Dans cevaliers, je vous parti un gieu et prendés lequel partie que vous amerés le mieus: u vous me laissiés tout francement la dame que vous menés u vous vous venés a moi combatre, car autrement ne peut estre» (§ 557.10).
34. «A celui tans avoit pres de Malohalt une damoisele si bele et si avenant
Una notte Danain incontra un cavaliere e decide di accompagnar- lo per un tratto di cammino. Quando il cavaliere ha finito di nar- rare la propria storia (che è la storia di un’amicizia tradita per amore), Danain si rende conto che «la soie aventure est propre- ment l’aventure de cest chevalier», al che rimane sconcertato e «tous li cuers li remue et toute la cars li fremist» (§ 793.1-2).
Ma il gioco di specchi relativo alla vicenda di Danain e della seconda Bloie si svolge soprattutto nel racconto di primo grado, dove questa linea narrativa (che poi continua e si conclude nella seconda metà del romanzo) fa da pendant al travagliato amore della dama di Malohaut per Guiron, di cui siamo informati fin dalle prime pagine (§ 4.7-11). Il doppio triangolo, potenziato dall’omo- nimia delle donne,35 mette i due amici nella stessa difficile situa- zione, costringendoli a scegliere tra donna e amico. Alla fine, però, «il principio della conservazione del mondo narrato interviene ex machina a bloccarne gli ingranaggi»,36 perché, quando finalmente hanno l’occasione di vendicarsi, gli aventi diritto rinunciano: la morte di un prode cavaliere comporterebbe infatti un danno ben maggiore, per la chevalerie arturiana, di un torto non vendicato.
Un’altra funzione propria dei racconti di secondo grado è la ricomposizione del passato, attraverso l’anamnesi di un personag- gio (molto spesso un cavaliere). Più sopra, elencando le caratteri- stiche del Roman de Guiron che hanno contribuito a rafforzare l’impressione di un amalgama privo di centro, abbiamo accennato all’esigenza, per l’autore e per il lettore, di ricostruire il passato di Guiron e del lignaggio dei Bruni (Bruns).37 Per affrontare il pro- blema erano possibili, naturalmente, varie soluzioni, ad esempio un’analessi biografica unitaria che interrompesse il racconto per tornare una volta per tutte al passato dell’eroe. L’autore, invece, ha
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1. ANALISI LETTERARIA
comme li conte a conté cha arriere, et estoit cele damoisele qui estoit Bloie appellé aussi comme la dame de Malohalt» (§ 755.1).
35. Su questi episodi a specchio cfr. spec. M. Praloran, Alcune ipotesi sulla presenza dei romanzi arturiani nell’‘Orlando furioso’, in Id., Le lingue del racconto. Studi su Boiardo e Ariosto, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 149-73, alle pp. 166-9, e Morato, ‘Guiron le Courtois’ cit., pp. 165-6. Sulla questione dell’omonimia, messa a confronto con altre situazioni della letteratura arturiana, mi sono sof- fermato in C. Lagomarsini, Nomi gemelli e triangolazione del desiderio nel roman- zo arturiano in prosa del XIII secolo, in Il nome proprio nella letteratura romanza medievale, dir. F. Carapezza [num. monografico di «InVerbis», 2 (2018)], pp. 141-53.
36. Morato, ‘Guiron le Courtois’ cit., p. 166. 37. Morato parla, a questo proposito, di una costante «ricerca e medita-
zione del passato» (ibid., p. 164).
preferito accrescere l’alone di mistero che circonda Guiron disse- minando notizie frammentarie sul suo passato. Molti racconti retrospettivi hanno dunque, più che il valore di exempla, la funzio- ne di giustificare la tardiva apparizione di un cavaliere che i lettori di prose arturiane non hanno mai sentito nominare.38
Nel racconto di primo grado, Guiron è già un cavaliere fatto, cosicché veniamo a conoscerne gli esordi giovanili proprio attra- verso i racconti retrospettivi. Ciò che si è svolto nel passato, tra l’altro, sembra essere poco o niente rispetto a quanto deve accade- re: un’antica profezia di Galehaut il Bruno annuncia infatti che Guiron darà il meglio di sé all’età di trentasei anni (§ 306.4), che corrisponde all’età dell’eroe nel presente narrativo39 e anche, secondo le note concezioni medievali, al culmine della vita umana. In una serie di racconti che riguardano i suoi esordi, Gui- ron si accompagna con lo stesso Galehaut il Bruno; altri racconti ci fanno risalire fino all’epoca del padre di Galehaut, Hector, dal quale Guiron ha ereditato la spada.40 La natura dello stretto legame di Guiron con la casata dei Bruni non è mai davvero chiarita. E un’ambiguità anche cronologica tocca i dieci anni precedenti all’i- nizio del racconto, di cui almeno quattro sono stati trascorsi da Guiron in prigionia. Del resto, proprio la comparsa di un cavaliere dal passato oscuro e i suoi legami con la casata dei Bruni sono gli elementi che conferiscono «a questa branche una maggiore autono- mia tematica e diegetica»41 rispetto al Roman de Meliadus, che inve- ce si configura come un prequel del Tristan en prose e come un’e- spansione della Suite Vulgate del Merlin, posizionandosi in modo abbastanza accurato nella cronologia degli accadimenti arturiani già fissati dalla tradizione.
Il tema della memoria percorre tutto il romanzo e riceve un’emblematica rappresentazione nella sua seconda metà, con l’e- pisodio della caverna.42 Come abbiamo visto, nella prima metà del romanzo questo specifico tema è sviluppato soprattutto nei rac- conti retrospettivi. Non è del tutto assimilabile a questo tipo di analessi un procedimento che interessa un’ampia arcata del testo (§
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38. Sul passato di Guiron e dei Bruni vd. lo schema di Morato, ibid., pp. 172-3.
39. Sull’età di Guiron, cfr. la nota di commento a § 948.4. 40. Cfr. il paragrafo «L’épée et la mémoire du texte» in Albert, «Ensemble
ou par pieces» cit., pp. 383-8. 41. Morato, ‘Guiron le Courtois’ cit., p. 177. 42. Cfr. § 1063 sg., ed. Stefanelli.
105-414) nella quale si torna − fisicamente o, appunto, con la memoria − sempre negli stessi luoghi, sempre sugli stessi fatti. Ai § 114-8 è narrata in presa diretta la prodezza di Lac, che sbaraglia la scorta della dama di Malohaut;43 ma Guiron riscatta la dama sconfiggendo Lac in duello (§ 122-3), dopo di che si apparta, prima amoreggiando con la donna, poi rendendosi conto del cri- mine immondo che stava per compiere e tentando il suicidio per la vergogna (§ 126 sg.). Questi pochi fatti verranno continuamente richiamati dal narratore e dai personaggi: uno sleale cavaliere di Malohaut ha assistito all’accaduto, che viene brevemente rievocato prima dal narratore (§ 135.4), poi dal cavaliere stesso (§ 142). Più tardi, un messaggero ricapitola l’accaduto a Danain (§ 218), che si è separato da Guiron alla fine del torneo; Danain, allora, si porta sul luogo dei fatti e interroga un cavaliere della scorta, che a sua volta rende testimonianza (§ 220). Poco dopo si torna sul luogo della desconfiture per vedere Lac che se ne allontana, offrendosi poi di aiutare un cavaliere ferito che ha incontrato sul cammino. L’in- contro di Danain con questo cavaliere è l’occasione per menzio- nare ancora una volta l’accaduto (§ 259). Infine, quando viene ritrovata dal marito in compagnia di Guiron, la dama di Malohaut ripercorre per filo e per segno tutta la vicenda (§ 264.7-9), a cui si fa riferimento un’ultima volta quando si torna alla linea narrativa di Meliadus, che viene messo al corrente dell’accaduto mentre lascia il Castello delle Due Sorelle (§ 411-2).
1.5. DOVE INIZIA IL «ROMAN DE GUIRON»
Abbiamo già accennato a un problema non secondario per l’a- nalisi della prima metà del romanzo, cioè l’individuazione stessa del suo inizio. La questione può essere riassunta in questi termini: nella tradizione del Ciclo di Guiron le Courtois esistono manoscritti che trasmettono consecutivamente le due branches principali (Meliadus e Guiron), collegate da una struttura narrativa a cui si è dato il nome di Raccordo. Il Raccordo assume forme variabili ma, nella sua estensione massima, corrisponde ai paragrafi Lath. 152-8 + 52-7.44 Nella tradizione esistono anche testimoni “non ciclici”,
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43. A questo evento il racconto si riferisce usando il termine desconfiture e rievocando costantemente «la place ou la desconfiture avoit esté».
44. Per una discussione dettagliata sulla delimitazione e la stratificazione di questa zona del racconto, cfr. Albert, «Ensemble ou par pieces» cit., 105-27
che cioè conservano soltanto la prima o la seconda branche. Nei testimoni di questo tipo, la seconda branche può essere trasmessa interamente oppure in forma parziale (a partire dalla seconda metà del testo). Ora, i due manoscritti completi del Roman de Guiron (Mar e Pr) che sono privi del Roman de Meliadus conservano, nei primi fogli, frammenti della seconda sezione del Raccordo (Lath. 52-7). Per Sophie Albert è la prova che il Roman de Guiron è stato concepito fin dall’inizio per essere collegato al Roman de Meliadus. Morato ipotizza invece l’esistenza di un Roman de Guiron pre-cicli- co, il cui autore conosceva sì il Meliadus ma senza progettare di collegarvi il proprio romanzo. Questa forma del Guiron, tuttavia, sarebbe andata perduta, cosicché anche in manoscritti privi del Meliadus resta traccia del precoce intervento di ciclizzazione messo in atto dai copisti.
In ogni caso, sia che si accolga l’ipotesi di una seconda branche pre-ciclica sia che la si rifiuti, resta il problema di stabilire dove ini- zia ciò che chiamiamo Roman de Guiron. Considerata la presenza del segmento Lath. 52-7 anche nei manoscritti non ciclici, bisogna comprendere, cioè, dove esattamente terminava il Raccordo e se il nostro romanzo cominciava o no all’interno di questo tratto. A tale proposito è opportuno soffermarsi sull’intreccio dell’ultimo segmento del Raccordo: dopo una formula di entrelacement posta in conclusione di Lath. 52, fino al termine di Lath. 57 il racconto segue le avventure di Meliadus, Galvano e Lac (quest’ultimo rim- piazzato da Blioberis in una sotto-famiglia di manoscritti). Alla fine di Lath. 57 viene inserita un’altra formula di entrelacement, che annuncia un ritorno del racconto «a Guiron le Courtois, car grant piece s’en est teus». L’ultima volta che si è parlato di Guiron è stato a Lath. 158, un paragrafo brevissimo che, con un procedimento molto sospetto, affastella e riassume in poche righe una lunga serie di azioni e dettagli, oltretutto dopo che la conclusione di Lath. 157 ha già tracciato un’«archeologia del compagnonnage di Guiron e Danain [che] appare piuttosto frettolosa e pretestuosa [...] oltre che in patente contraddizione [con] quanto riferito in Lath. 58, dove si parla di un’amicizia di lunga data intercorsa tra i due cavalieri e
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(che però non parla di un raccordo), e Morato, Il ciclo cit., pp. 37-59 e 209- 18. Entrambi gli studiosi sono d’accordo nell’individuare due porzioni distin- te: Lath. 152-158 e 52-57. A proposito di una redazione alternativa del Rac- cordo vd. inoltre V. Winand, Le ms. Modena, Biblioteca Estense Universitaria a.W.3.13 (Mod2): une structure cyclique alternative de ‘Guiron le Courtois’, di prossima pubblicazione.
in cui sono forniti un buon numero di dettagli che Lath. 157 sem- bra ignorare».45
Una contraddizione importante riguarda il torneo al Castello delle Due Sorelle. Quando viene presentato in Lath. 58, si dice che è stato bandito dal «rois de Norhomberlande encontre celui de Norgales» (§ 2.7), senza aggiungere altri dettagli. Il racconto è solo superficialmente in accordo con quanto si legge più sopra, a Lath. 158:
[ms. 338, f. 147rb] En ceste partie dist li contes que li rois Artus et li che- valier de la Table Roonde pristrent un tournoiement au chastel de Hene- don, pource que li chevalier aventureux aloient plus cele part que ail- lours, pour trouver le Chevalier a l’Escu d’Or [...]. // [148va] Guron y ala [...] et vainqui le tournoiement. Li rois Artus et ses gens furent dolens du Chevalier a l’Escu d’Or, de ce qu’il s’en estoit partis si quoiement, et parlerent l’endemain du tournoi de prendre un autre tournoiement en un autre païs, savoir s’il orroient nouveles du Chevalier a l’Escu d’Or; et prist le tournoi le roy de Norhombrelande encontre le roy de Norgales, et oré en conte aprés ou ce fu.
Il torneo era, anche qui, bandito dal re di Northumberland contro quello di Norgalles, ma come séguito di un precedente tor- neo indetto da Artù a Henedon per far uscire allo scoperto il Cavaliere dallo Scudo d’Oro. Della curiosità di Artù e dei suoi, desiderosi di «savoir s’il orroient nouveles», non si parlerà più: dopo Lath. 58, Artù resterà fuori scena e, al Castello delle Due Sorelle, nessuno si interesserà al Cavaliere dallo Scudo d’Oro (che del resto non si presenterà più con queste armi). Dello stesso viluppo narrativo si tratta in Lath. 53, dove però il torneo è ban- dito dal Norgalles contro il Northumberland (l’opposto, quindi, di Lath. 158 e 58), e non è affatto presentato come un’ulteriore occa- sione per scovare il Cavaliere dallo Scudo d’Oro, bensì come una rivincita per la sconfitta subita dal Norgalles a Henedon. Un ulti- mo problema di coerenza si presenta a Lath. 59, dove la stazza dei cavalieri dalle armi nere che combattono al torneo (Danain e Gui- ron) ricorda a Lac quella di altri due cavalieri, gli stessi che hanno liberato lui e Meliadus dalla prigione di Escanor (§ 38.7). Di questa liberazione si parlava in Lath. 157, ma ne era responsabile il solo Guiron (Danain errava altrove).
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Insomma, tenendo conto di queste reciproche contraddizioni, sembra da escludere una solidarietà tra i segmenti Lath. 152-8 || 52-7 || 58 e sg.
In base alla documentazione che ci è rimasta, è dunque ragio- nevole far cominciare l’edizione del Roman de Guiron da Lath. 58. Non è sicuro, però, che fosse questo l’originario inizio del roman- zo. È probabile, anzi, che subito prima sia andato perduto qualco- sa. Lacuna che poi è stata malamente colmata dagli estensori delle narrazioni di raccordo (su cui si veda anche l’introduzione al vol. V). Lo fa supporre l’assenza di alcuni racconti o dettagli che sarebbe logico aspettarsi, come ad esempio l’inizio del compagnonnage di Guiron e Danain46 o le cause – date per note al lettore – dell’in- disposizione che per un certo tempo ha impedito a Danain di por- tare armi (cfr. § 2.1).47 Sorge il sospetto che sia caduto qualcosa anche incontrando per la prima volta la linea narrativa riguardante Bloie (di cui il racconto avrebbe già «conté cha arriere», § 755.1) e la sua relazione con Guiron. Da quel che si può intuire, il cava- liere avrebbe soggiornato presso il castello della fanciulla per rimettersi in forze dopo aver ricevuto una certa ferita. Ma di tutto questo non abbiamo mai letto una sola riga.48
1.6. TECNICA NARRATIVA E INTRECCIO
Se si abbraccia schematicamente lo sviluppo della prima metà del Roman de Guiron è possibile cogliere le caratteristiche più salienti della sua costruzione. Si inizia con Danain e Guiron, di cui seguiamo le sorti comuni fino alla sera del torneo, quando le strade dei cavalieri si separano (cap. II).49 L’altra coppia che il narratore ha
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46. Il racconto si trova nella Suite Guiron, che però si rivela essere un prequel composto dopo il nostro romanzo, anche con il fine di colmarne le lacune.
47. Nel problematico episodio-sommario di Lath 158 Danain si ammala ed è costretto a mancare il torneo di Henedon.
48. Un messaggero di Bloie si rivolge così a Guiron: «Sire, nouveles vous aport: vous souvient il ore de la bele damoisele qui Bloie est noumee ou vous sejournastes oan quant vous fustes navrés?» (§ 757.8). È possibile, natural- mente, che sia una strategia per far capire in modo allusivo che ci sono stati dei precedenti; ma insieme agli altri elementi evocati viene il sospetto che qualcosa sia effettivamente caduto.
49. Il termine “capitolo” indica una porzione narrativa individuata, all’i- nizio e alla fine, da una soglia formulare («Or dist li contes que X...» ||
introdotto durante il torneo (Meliadus e Lac) si è divisa alla fine del cap. I. I segmenti narrativi che si alternano dal cap. III alla fine del cap. XI – quindi per una parte importante del romanzo − seguono alternativamente ciascuno di questi quattro personaggi. Vediamo brevemente come:
Nel cap. III Guiron incontra per caso Lac e viaggia con lui fino al momento della desconfiture della scorta di Malohaut. Per qualche pagina restiamo con Guiron (che tenta il suicidio) e la dama di Malohaut; alla fine del capitolo seguiamo un cavaliere-messaggero che ci riporta a Lac, scon- fitto poc’anzi da Guiron. Il cap. IV recupera la linea di Danain (lasciato dopo il torneo), con cui restiamo per meno di un giorno, dalla sera del tor- neo fino alle ore successive alla desconfiture. I capp. V-VI tornano sulle vicende di Lac, a partire dallo scacco che gli ha giocato Guiron fino all’im- prigionamento nella torre di Danydain l’Orgoglioso. Nel cap. VII passiamo di nuovo a Danain che, seguendo le tracce di Lac, trova finalmente Guiron e la moglie, con i quali fa ritorno a Malohaut. Gravemente ferito per il tentato suicidio, Guiron è fuori gioco per un certo lasso di tempo.
Il cap. VIII compie un notevole salto all’indietro, recuperando la linea di Meliadus, che non è più stata portata avanti dalla fine del cap. I. Seguiamo questa strada (che dal cap. IX accoglie nuovamente Lac) fino al termine del cap. XI, dove abbandoniamo il gruppo di cavalieri che si è aggregato intorno a Meliadus per seguire un elemento che se ne separa (il Morholt) e che presto finisce imprigionato. Un altro cavaliere si è congedato dal gruppo alla fine del cap. IX.
Si tratta di Helian, la cui linea narrativa è ripresa al cap. XII. Un’ellissi e un sommario fanno passare circa due mesi: Helian ritrova Lac e incontra Danain. Il gruppo si imbatte in un cavaliere che scopriremo essere Guiron. Si inserisce a questo punto un’analessi:50 torniamo ad alcuni giorni prima, quando Guiron e Danain erano insieme a Malohaut (dove infatti li aveva- mo lasciati alla fine del cap. VII). Il racconto analettico segue Danain fin quasi a ricongiungersi con il presente (fine del cap. XIII). Il cap. XIV segue
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«...Mais atant se taist li contes de X et parle de Y»). Per l’uso di questo ter- mine cfr. Ph. Ménard, Chapitres et entrelacement dans le ‘Tristan en prose’, in «Et c’est la fin pour quoy sommes ensemble»: hommage à Jean Dufournet, professeur à la Sorbonne: littérature, histoire et langue du Moyen Âge, éd. par J.-C. Aubailly et al., Paris, Champion, 1993, 2 voll., vol. II, pp. 955-96. Annie Combes (Les voies de l’aventure cit.) preferisce parlare di «segments».
50. Introdotta da una formula simile a quella delle “soglie” normalmente impiegate nell’entrelacement ma non recepita come tale da tutti i copisti (solo alcuni lasciano lo spazio per un capolettera di grande formato): «Mais pour faire a entendre pourcoi Danain s’estoit partis de Malohaut et avoit illuec ensi laissiet monsingnour Guiron le Courtois le vous devisera li contes tout main- tenant» (§ 754.10).
un tratto del percorso di Danain nel presente. Dal cap. XV in poi (con una parentesi su Lac e Galvano al cap. XV) restiamo con Guiron.
La prima metà del romanzo si suddivide, quindi, in due parti disomogenee.51 La prima è costruita sull’intreccio di tre linee indi- viduali di media gittata (Guiron, Lac, Danain) che si alternano e si combinano con le due linee narrative di portata più ampia (già richiamate supra, 1.1: lo svolgimento e le conseguenze del torneo; l’infatuazione di Lac per la dama di Malohaut). Quando si passa da una linea individuale all’altra, torniamo indietro di qualche ora rispetto al racconto appena interrotto; quando poi si riprende una linea narrativa abbandonata in precedenza, si ricomincia dal momento della sospensione.
Questa staffetta trova un momento di discontinuità al cap. VIII, quando il narratore torna a Meliadus, abbandonato alla fine del cap. I (la sera del torneo). Quasi per compensazione, i capp. VIII- XI seguono esclusivamente questa linea, nella quale si ripercorre (adesso senza più anacronie, se non quelle delle analessi omodie- getiche, tutte esterne al racconto di primo grado) il filo cronolo- gico degli eventi. Da quando in un gruppo di manoscritti si installa una divergenza redazionale (inizio del cap. IX),52 nella “redazione 1” – qui pubblicata e analizzata53 – il tempo della storia procede finalmente senza più singhiozzi. La disgregazione del gruppo di cavalieri che progressivamente si raccolgono intorno a Meliadus consente di generare nuove linee narrative. Una si interrompe quasi subito, quando il Morholt viene imprigionato54. Quella di
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51. Capp. I-XI (=§ 1-714) e XII-XVII (§ 715-970). 52. Come osserva Lathuillère (Guiron cit., p. 365, § 159 n. 1) l’allaccio
realizzato dai manoscritti che copiano prima i capitoli I-VIII per poi passare alla “redazione 2” (Lath. 159-160) non funziona dal punto di vista narrativo: all’inizio di questa redazione (sostitutiva dei nostri capitoli IX sg.) seguiamo Meliadus, che però è in compagnia di un cavaliere (Hector del castello di Ygerne) di cui non abbiamo sentito parlare prima. Insieme a lui giunge pres- so un monastero di cui il narratore sostiene di averci già parlato (ma non è così); è in compagnia di una damigella (ma non sappiamo chi sia) e raggiunge una croce dove il giorno prima, come dovremmo sapere ma non sappiamo, aveva già trovato un certo suo “compagno” (chi?) immerso nei pensieri. Con il cavaliere che lo accompagna, Meliadus aspetta (ma non sappiamo perché) il nipote del re di Scozia (etc.).
53. Per il montaggio delle due redazioni nei manoscritti vd. infra, 2.2. 54. Si tratta del primo dei cavalieri imprigionati nel Roman de Guiron,
che proprio a causa dell’imprigionamento dei principali cavalieri resterà in sospeso.
Helian serve principalmente a distogliere lo sguardo dai cavalieri principali e guadagnare tempo: la grave ferita che Guiron si è inferto nel cap. VII impone, infatti, una pausa di durata ragionevole prima che il narratore possa tornare a disporre del suo eroe prin- cipale. Quando poi torna in gioco, Guiron occupa un segmento narrativo considerevole a cavallo della metà del romanzo.
Passiamo a esaminare alcuni aspetti della tecnica narrativa, per quel che riguarda in particolare la rappresentazione della tempora- lità e l’orchestrazione dell’intreccio.55 Nella prima metà del ro- manzo, gli eventi del racconto di primo grado coprono un arco di circa quattro mesi, dalla conclusione di maggio fino ad agosto.56
All’epoca dei fatti narrati, Tristano è un bambino non ancora svez- zato57 e Merlino (che ha profetizzato la futura gloria del “Fiore di Leonnois”, cioè di Tristano stesso) è morto da poco più di un anno.58 Nel complesso della cronologia arturiana, la nostra vicenda è quindi da collocarsi nei primi anni di regno di Artù, subito dopo i fatti narrati alla fine della Suite Vulgate del Merlin, cioè dopo l’im- prigionamento di Merlino da parte di Viviane/Niniane.59
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1. ANALISI LETTERARIA
55. Non vale la pena di soffermarsi sulla rappresentazione dello spazio e della geografia arturiana: gli eventi si svolgono tra il regno di Malohaut, il Castello delle Due Sorelle (che è a un paio di giorni di marcia) e una serie di luoghi imprecisati nei dintorni di questi due poli. Altri luoghi e località com- paiono nei racconti retrospettivi, ma hanno la pura funzione di fornire il set- ting del racconto.
56. Quando Helian e Amant giungono alla fontana siamo «ou mois d’aoust» (§ 717.4). Prima di questo momento, Helian è rimasto (almeno) «.III. semaines» al castello di Amant, che aveva raggiunto – stando a quanto si può ricostruire dai riferimenti temporali − quattro giorni dopo il torneo al Castello delle Due Sorelle; ma non è precisato il tempo della sua erranza con Amant (cfr. § 717.2-3). Il torneo dev’essersi svolto nel mese di maggio, per- ché la sera stessa Heryan racconta a Meliadus un’avventura accaduta «n’a pas encore .V. mois [...], ce fu en yver sans faille, non pas gramment devant Noel» (§ 287.3). La cronologia è coerente con la convalescenza di Guiron, che si ferisce il giorno dopo il torneo e non porta armi per due mesi (§ 277.2), quindi fino a luglio/agosto, quando effettivamente lo ritroviamo.
57. Cfr. § 421.7 e 422.1. 58. «Merlin est mors, ce sai je bien vraiement, ja a plus d’un an» (§ 228.7). 59. Nell’attesa della nuova ed. a cura di R. Trachsler, il testo della Suite
Vulgate si legge nell’ed. di I. Freire-Nunes pubblicata ne Le Livre du Graal: I. ‘Joseph d’Arimathie’, ‘Merlin’, ‘Les Premiers Faits du roi Arthur’, Paris, Galli- mard, 2001 (l’episodio dell’imprigionamento di Merlino è alle pp. 1628-32). Va osservato che la morte di Merlino non viene mai narrata esplicitamente, mentre è raccontato il suo enserrement. Sul tema cfr. P. Zumthor, La Délivran- ce de Merlin. Contribution à l’étude des romans de la Table Ronde, in «Zeitschrift
Il racconto non si sviluppa su arcate temporali omogenee: dopo i § 1-5, che si svolgono a Malohaut quindici giorni prima del tor- neo, i § 6-716 si concentrano su un periodo molto breve (dall’an- tivigilia del torneo ai cinque giorni che lo seguono).60 Un’ellissi sulla convalescenza di Helian (§ 716.9) e un sommario della sua erranza in compagnia di Amant (§ 717.2-3) fanno trascorrere vari mesi, trasportandoci fino a un giorno imprecisato di agosto. Da questo giorno fino a § 970, dove la nostra parte di edizione si interrompe, passano altri tre giorni.
Nella prima parte del romanzo, la lentezza del tempo del rac- conto risulta dalla combinazione di due diverse tecniche: la molti- plicazione delle linee narrative e l’annidamento nel racconto di primo grado di un numero considerevole di racconti retrospettivi omodiegetici. Di questi ultimi si è già detto più sopra; qui si può aggiungere che la massima concentrazione di racconti si registra nella sera e nella notte del torneo: ascoltiamo dapprima due rac- conti fatti da Lac a Guiron nella foresta (§ 77-83 e 91-102); poi, seguendo Danain, è la volta dei tre racconti scambiati con Henor e il cavaliere del padiglione (§ 166-85);61 infine, recuperando la linea narrativa di Meliadus, Heryan prende la parola per narrare ben quattro racconti (§ 308-402), distruibuiti tra la sera del torneo e il giorno successivo. Un’altra importante serie retrospettiva sca- turisce, più tardi, dall’incontro di Faramont con Lac, Meliadus, il Morholt ed Helian, che si narrano l’un l’altro onte e prodezze (cin- que racconti distribuiti ai § 494-614, quando sono passati tre giorni dal torneo). Due ulteriori momenti di concentrazione – e siamo in agosto – si hanno in corrispondenza delle soste di Guiron alla ricer- ca di Danain, prima presso un valvassore (due racconti: § 855-66), poi alla torre di Elsilan ed Eliacer le Fort (tre racconti: § 936-69).
Per quanto riguarda la profondità dello scorcio analettico aperto da queste narrazioni, si va dall’epoca di Hector le Brun (§ 333-402) a quella di suo figlio Galehaut in compagnia del giovane Guiron (§ 308-30, 855-66), vale a dire agli ulti