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Gli acidi nucleici e le proteine, contenuti in mummie e in resti ossei risalenti a epoche remote, possono essere considerati veri e propri documenti storici in grado di svelare molti segreti del passato. scattando fotografie del cadavere che, l'estate scorsa, durante una vacanza in Tirolo con la moglie Erika, aveva visto affiorare dal ghiacciaio del Similaun. Simon aveva ragione: quei resti sono stati datati ed è stata loro plausibilmente attri- buita un'età compresa tra i 5000 e i 5500 anni, il che rende quell'individuo un possibile antenato di milioni di europei vi- venti. Per questo motivo, gli studiosi si sono affannati per rag- giungere i resti mortali e gli utensili di quella che è l'unica mummia nota dell'Età della pietra. Malgrado il clamore sollevato attorno alla scoperta dell'uo- mo del Similaun, questo reperto costituisce soltanto un singo- lo tassello di un mosaico composto da migliaia di pezzi, che si sta lentamente costruendo. Incredibilmente ben conservati, tal- volta associati a indumenti, armi e vettovaglie, con il contenuto del loro ultimo pasto spesso ancora ben riconoscibile nello sto- maco, i corpi antichi si rinvengono con regolarità in certi siti propizi, dai deserti dell'Africa settentrionale, del Perù e degli Stati Uniti sudoccidentali fino alle torbiere della Danimarca, della Gran Bretagna e della Florida. Considerati per molto tempo alla stregua di semplici curiosità o di materia prima per il mortaio dello speziale, questi messaggeri mummificati del lontano passato sono stati sistematicamente distrutti o riseppel- liti. Essendone stata compresa l'importanza, quelli che oggi ri- mangono sono sottoposti a un'indagine approfondita. Il proverbiale silenzio di tomba è diventato un anacronismo poetico. Ben lungi dall'essere muti, gli antichi reperti offrono una testimonianza eloquente a coloro che sanno interrogarli. Nell'ultimo decennio, i biochimici hanno trovato il modo di estrarre le molecole della vita da residui organici appena tratti dalla polvere. Hanno recuperato proteine e acidi nucleici da piante vissute milioni di anni fa e da animali che risalgono a decine di migliaia di anni fa. Ma il fatto più incoraggiante di tutti è che attualmente gli scienziati cercano e trovano questi indizi molecolari non solo in corpi mantenutisi integri, ma an- che in ossa fossilizzate, e ciò offre una panoramica ben più vasta sul passato. Questa scienza giovane, che è l'archeologia molecolare, offre in assoluto la prima possibilità di verifica delle conclusioni a cui è giunta la genetica delle popolazioni moderne. Assieme agli studi comparati sulle lingue e sui manufatti, essa promette di dipanare la matassa intricata della storia biologica dell'umani- tà, delle divisioni e delle migrazioni, delle estinzioni e delle espansioni. L'archeologia molecolare ha fatto luce anche su ar- Una mummia egizia predinastica del quarto millennio a.C. appare qui in una ricostruzione della tomba in cui è stata rinvenuta. Le mummie offrono la pri- ma testimonianza diretta delle relazioni genetiche tra le popolazioni primitive. LE SCIENZE n. 287, luglio 1992 81 I discendenti di questo poveretto vorranno senza dubbio sapere qual è stata la sua fine», pensava Helmut Simon ARCHEOLOGIA MOLECOLARE: UNA NUOVA DISCIPLINA

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Gli acidi nucleici e le proteine, contenuti in mummiee in resti ossei risalenti a epoche remote,

possono essere considerati veri e propri documenti storiciin grado di svelare molti segreti del passato.

scattando fotografie del cadavere che, l'estate scorsa,durante una vacanza in Tirolo con la moglie Erika, aveva vistoaffiorare dal ghiacciaio del Similaun. Simon aveva ragione:quei resti sono stati datati ed è stata loro plausibilmente attri-buita un'età compresa tra i 5000 e i 5500 anni, il che rendequell'individuo un possibile antenato di milioni di europei vi-venti. Per questo motivo, gli studiosi si sono affannati per rag-giungere i resti mortali e gli utensili di quella che è l'unicamummia nota dell'Età della pietra.

Malgrado il clamore sollevato attorno alla scoperta dell'uo-mo del Similaun, questo reperto costituisce soltanto un singo-lo tassello di un mosaico composto da migliaia di pezzi, che sista lentamente costruendo. Incredibilmente ben conservati, tal-volta associati a indumenti, armi e vettovaglie, con il contenutodel loro ultimo pasto spesso ancora ben riconoscibile nello sto-maco, i corpi antichi si rinvengono con regolarità in certi sitipropizi, dai deserti dell'Africa settentrionale, del Perù e degliStati Uniti sudoccidentali fino alle torbiere della Danimarca,della Gran Bretagna e della Florida. Considerati per moltotempo alla stregua di semplici curiosità o di materia prima peril mortaio dello speziale, questi messaggeri mummificati dellontano passato sono stati sistematicamente distrutti o riseppel-liti. Essendone stata compresa l'importanza, quelli che oggi ri-mangono sono sottoposti a un'indagine approfondita.

Il proverbiale silenzio di tomba è diventato un anacronismopoetico. Ben lungi dall'essere muti, gli antichi reperti offronouna testimonianza eloquente a coloro che sanno interrogarli.Nell'ultimo decennio, i biochimici hanno trovato il modo diestrarre le molecole della vita da residui organici appena trattidalla polvere. Hanno recuperato proteine e acidi nucleici dapiante vissute milioni di anni fa e da animali che risalgono adecine di migliaia di anni fa. Ma il fatto più incoraggiante ditutti è che attualmente gli scienziati cercano e trovano questiindizi molecolari non solo in corpi mantenutisi integri, ma an-che in ossa fossilizzate, e ciò offre una panoramica ben più vastasul passato.

Questa scienza giovane, che è l'archeologia molecolare, offrein assoluto la prima possibilità di verifica delle conclusioni acui è giunta la genetica delle popolazioni moderne. Assieme aglistudi comparati sulle lingue e sui manufatti, essa promette didipanare la matassa intricata della storia biologica dell'umani-tà, delle divisioni e delle migrazioni, delle estinzioni e delleespansioni. L'archeologia molecolare ha fatto luce anche su ar-

Una mummia egizia predinastica del quarto millennio a.C. appare qui in unaricostruzione della tomba in cui è stata rinvenuta. Le mummie offrono la pri-ma testimonianza diretta delle relazioni genetiche tra le popolazioni primitive.

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Idiscendenti di questo poveretto vorranno senza dubbiosapere qual è stata la sua fine», pensava Helmut Simon

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William W. Hauswirth dell'Università della Florida a Gainesville ha scoperto unasorprendente omogeneità genetica nel DNA di cervelli preistorici trovati in Florida.

Nel 1985, Svante Pààbo dell'Università di Monaco di Bavieraha dimostrato l'attendibilità dell'archeologia molecolare, do-

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nando il DNA di una mummia. Qui mostra un campione uti-lizzato nella sua attuale indagine genetica sulla storia egizia.

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gomenti d'interesse più pratico: i climiche le prime popolazioni dovevano af-frontare, le malattie cui andavano sog-gette, i cibi di cui disponevano, le mo-dalità di allevamento della prole. Infine,questa nuova disciplina permetterà aibiologi di ripercorrere passo passo lateoria di Darwin attraverso la storia.«Oggi possiamo sognare di cogliere l'e-voluzione molecolare con le mani nelsacco» esultava il compianto Allan C.Wilson dell'Università della California aBerkeley, un pioniere in queste ricerche.

Nessuno sa quanto indietro nel tempopossano sperare di risalire i detective delDNA, ma vi sono buone ragioni per es-sere ottimisti. Una foglia ancora verdedi magnolia ha conservato il proprioDNA per più di 17 milioni di anni e gliscienziati ipotizzano che residui di DNAdi ominide riescano a sopravvivere in unosso perlomeno finché questo finisce perdiventare il proprio calco mineralizzato.A quanto si sa, i più antichi resti umanianalizzati risalgono solo a 8000 anni fa,ma questo primato potrebbe già esserestato battuto.

Nei tre anni trascorsi da quando alcu-ni ricercatori dell'Università di Oxfordhanno recuperato per primi DNA davecchie ossa, è circolata insistentementela voce che vi fossero gruppi che ricer-cavano tracce analoghe nei resti di orni-nidi arcaici. Nessuno, però, ammettereb-be di utilizzare tecniche analitiche noncollaudate che distruggerebbero reperti

d'incalcolabile valore. «Molti studiosihanno preferito rinunciare ad esaminaremateriali rari, sebbene in realtà siano di-sponibili parecchi esemplari di Neander-tal» sostiene Bryan Sykes, membro delgruppo di Oxford.

Tuttavia quelle voci non erano privedi fondamento. Erik Trinkaus, paleoan-tropologo presso l'Università del NewMexico, sostiene di aver fornito una pic-cola quantità di osso di Neandertal abiochimici del Los Alamos National La-boratory, i quali stanno oggi cercandodi recuperare da esso il DNA. Il repertoosseo, un frammento di vertebra appar-tenente a uno scheletro trovato a Shani-dar, in Iraq, risale a circa 50 000 annifa. Trinkaus era disposto a rinunciareal campione, dato che la natura fram-mentaria di questo non gli permettevaneppure di identificare la vertebra diprovenienza.

Fino alla fine di marzo, il gruppo diLos Alamos non avrebbe fatto riferi-mento alla ricerca, ma da fonti vicine alprogetto si è appreso che, da studi pre-liminari, il DNA risultava presente, ap-pariva danneggiato, forse per l'età, eproveniva da un primate. Le stesse fontiavvertivano però della necessità di effet-tuare le prove con estrema cautela, perescludere la possibilità che il DNA de-rivasse da contaminanti moderni e nongià dall'osso antico. Soltanto allora ilgruppo avrebbe finalmente pubblicato ipropri risultati.

Che i ricercatori di Los Alamos sia-no stati o meno i primi a recuperare ilDNA da resti umani antichi, il loro e-sperimento non è che un esempio del ra-pido progresso compiuto dall'archeolo-gia molecolare. Fino a poco tempo fa,la maggior parte delle ricerche sul pas-sato genetico dell'umanità si era concen-trata non sulla pelle e sulle ossa dei corpimummificati e degli scheletri, ma sulsangue delle popolazioni viventi. Nonera disponibile alcuna valida alternativaper l'analisi di caratteri puramente ere-ditari. Innanzitutto, si sono studiate leproteine del sangue, specialmente gli an-tigeni polimorfi (come il fattore Rh) e leimmunoglobuline. Poi, circa dieci annifa, lo sviluppo di nuove tecniche biochi-miche ha spostato l'attenzione dalle pro-teine al DNA nucleare che le codifica.

Nel 1984, Wilson e il suo gruppo aBerkeley hanno identificato per primi igeni nei vecchi tessuti, clonando il DNAestratto dalla cute del quagga, un anima-le simile alla zebra, estintosi in Africaun secolo fa. L'anno successivo, SvanteFUbo, un ricercatore svedese che attual-mente insegna all'Università di Monacodi Baviera, riuscì a donare il DNA diuna mummia egizia risalente a oltre4400 anni fa. Quindi nel 1988, mentre sitrovava nel laboratorio di Wilson, appli-cò per primo la reazione a catena dellapolimerasi ad antichi resti umani. Am-plificando il DNA mitocondriale estrattoda un cervello conservato a Little Salt

Spring, in Florida, si spinse più indietrodi ben 2600 anni nei segreti del passato.Infine, nel 1989, Sykes e i suoi collabo-ratori Erika Hagelberg e Robert E. M.Hedges di Oxford hanno amplificato perprimi il DNA estratto da ossa umane.

E stato pressoché impossibile ricavaretracce di DNA dagli antichi resti fino aquando, nel 1983, fu sviluppata la tecni-ca di reazione a catena della polimerasi,una «macchina copiatrice» per il DNAsorprendentemente sensibile (si vedanogli articoli La scoperta della reazione acatena della polimerasi di Kary B. Mul-lis in «Le Scienze» n. 262, giugno 1990e Gli acidi nucleici nei semi antichi diFranco Rollo in «Le Scienze» n. 283,marzo 1992). Il processo si svolge indue tempi: in primo luogo, la doppia eli-ca di un campione del DNA bersaglioviene scissa nei due filamenti singoli;quindi gli enzimi costruiscono un secon-do nuovo filamento a partire da una so-luzione di basi libere degli acidi nuclei-ci. Attraverso la ripetizione di questoprocesso, un'unica molecola di DNA dàorigine a due molecole di DNA, quindia quattro, e via di seguito: un'amplifica-zione geometrica che può in teoria pro-durre una grande quantità di materialeper l'analisi. Ne consegue che i campio-ni di DNA che sarebbero sfuggiti a ogniidentificazione una decina di anni fadanno origine oggi a bande soddisfacen-ti se analizzati con l'elettroforesi su gel,una tecnica basata sulla migrazione dif-ferenziale in un substrato di sostanze dipeso molecolare diverso.

La grande sensibilità della reazione acatena della polimerasi rende questomezzo di indagine quasi diabolico. Seanche solamente una cellula cutanea del-lo sperimentatore venisse lasciata caderenella soluzione, la reazione a catena neamplificherebbe il DNA e, a causa delmiglior stato di conservazione di questo,lo farebbe in modo preferenziale. Dopoalcuni cicli di raddoppio, si scorgereb-bero così nella provetta non i segreti del-l'uomo di Neandertal, ma i propri segre-ti. «La maggior parte del DNA estrattoda vecchi materiali è così degradata chequando mi dicono di aver ottenuto gran-di bande su un gel, non ci credo» diceRebecca L. Cann, ex allieva di Wilson eoggi all'Università di Hawaii, a Manoa.

13 bo ha messo a punto metodi di la-boratorio che riducono al minimo la pos-sibilità di confondere il nuovo con ilvecchio DNA. I ricercatori continuano aperfezionare queste tecniche da camerasterile, e intanto si esercitano in un'altraarte magica, cercando di avere partitavinta sugli inibitori, quelle sostanze chespesso impediscono alla reazione a cate-na della polimerasi di funzionare ade-guatamente con il vecchio DNA. Peresempio, l'albumina del siero bovino ri-esce in qualche caso a sciogliere la so-stanza viscosa che tiene arrotolato su sestesso il vecchio DNA.

Rimane comunque qualche motivo difrustrazione. Nel corso del primo conve-

gno mondiale sul paleo-DNA, che si èsvolto l'estate scorsa a Nottingham, inInghilterra, gli addetti ai lavori hannodovuto riconoscere che determinate ana-lisi, che sono realizzabili sul DNA re-cente, non si possono realizzare su vec-chi campioni di DNA. «Abbiamo cer-cato di stabilire il sesso degli indivi-dui ai quali apparteneva una serie di os-sa sottoposte in precedenza allo stessotipo di determinazione da parte di espertidi antropologia morfometrica» affermaSykes. «Ma in una serie di prove in cie-co di 20 scheletri non siamo mai riuscitiad ottenere il risultato giusto. Anche se,in realtà, non dovrebbe essere difficile.»

I cervelli delle torbiere

Ed è già un compito tutt'altro che fa-cile ritrovare campioni di DNA antico.Il DNA è stato ricavato dapprima da tes-suti molli, che si sono conservati peressiccamento, come nel caso delle mum-mie egizie. Sono stati, invece, scartatii corpi che erano stati recuperati nel-le torbiere, a dispetto del loro sorpren-dente grado di conservazione. Quegliuomini delle torbiere, così come le vit-time sacrificali dell'Età del ferro, porta-te alla luce alcuni decenni fa in Dani-marca, e un probabile druido, trovatosette anni fa in Gran Bretagna, mostra-no squarci alla gola, tatuaggi sul corpo,cibo nell'apparato digerente e persinozampe di gallina attorno agli occhi. Pur-troppo, il loro perfetto grado di conser-vazione è dovuto al fatto di aver subito

l'azione dell'acido tannico, che distrug-ge il DNA.

L'uomo del Similaun, mummificatoper congelamento, costituisce un'ecce-zione notevole ed estremamente insolita.I suoi resti non sono stati distrutti daltannino; tutti gli indizi depongono a fa-vore di una buona conservazione delDNA. L'ottimismo dei ricercatori sispinge fino all'auspicio di scoprire neisuoi tessuti batteri e altri organismi pa-togeni, forse addirittura spore vive (siveda la finestra alle pagine 88 e 89).

Occasionalmente, tuttavia, anche unatorbiera può riservare qualche sorpresa.E questo il caso di Windover, in Florida,dove le sorgenti di acque calcaree, tam-ponando l'acido, hanno conservato il piùantico DNA umano che mai sia statocampionato. Gli operai impegnati a sca-vare sul fondo della torbiera hanno tro-vato uno strato, dello spessore di 30 cen-timetri, corrispondente alla sedimenta-zione di un millennio, nel quale giace-vano scheletri, alcuni dei quali con craniintatti e cervelli ben conservati, perquanto ovviamente raggrinziti. I più an-tichi risalivano a 8000 anni fa, i più re-centi a 7000.

Nella prima metà degli anni ottanta,Glen H. Doran della Florida State Uni-versity ha diretto un gruppo di antro-pologi impegnati nella realizzazione diun progetto ambizioso: scavare la tor-biera, sezione per sezione, costruendoargini, mentre le pompe drenavano l'ac-qua. Sono stati così riportati alla lucealcuni scheletri ancora protetti da pali,

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Bryan Sykes e i suoi collaboratori dell'Università di Oxford hanno esteso il cam-po di applicazione dei dati paleogenetici, recuperando DNA da ossa essiccate.

posti in croce sopra di loro con una certaangolazione forse per evitare che i corpigalleggiassero, facile preda di animalisaprofagi.

Dopo aver recuperato 177 scheletri e91 cervelli, gli archeologi della FloridaState University hanno richiuso lo sca-vo, decidendo di lasciare intatta un'al-tra sessantina di esemplari. «A tutta pri-ma, è stato difficile dire agli archeologidi comportarsi in quel modo» raccontaWilliam W. Hauswirth, microbiologo al-l'Università della Florida a Gainesville.«Ma sappiamo per certo che, in situ, ilmateriale genetico è stabile. Quando hofatto rilevare che non sapevamo ancoracome analizzare quel materiale - essierano infatti convinti che sapessimoesattamente quello che stavamo facen-do - sono stati d'accordo.»

Per quattro anni, Hauswirth dovettelottare contro le frustrazioni della clona-zione vecchio stile e, quindi, contro leimprevedibili complicazioni della mo-dernissima reazione a catena della poli-merasi. Infine, un anno fa, in collabora-zione con Cynthia D. Dickel, anch'essaa Gainesville, e con David A. Lawlor ePeter Parham della Stanford University,ha identificato segmenti di DNA parti-colarmente significativi, che erano statiprelevati da un uomo di Windover risa-lente a 7500 anni fa. I segmenti proven-gono dal maggior complesso di istocom-patibilità (MHC, dall'inglese Major Hi-stocompatibility Complex), che regola ilsistema immunitario. L'MHC contienemolti siti, nei quali si trova o l'uno o

l'altro gene di una coppia di geni alter-nativi, o alleli. «Possiamo caratterizzaregli alleli MHC presenti nelle antiche po-polazioni e, alla fine, potremo essere ingrado di dedurre a quali malattie essefossero resistenti e a quali no» sostieneHauswirth.

Il gruppo di Hauswirth ha trovato chela genetica della popolazione di Windo-ver si è modificata moderatamente neimille anni di storia testimoniati da quelluogo di sepoltura; pertanto in quella co-munità devono essere stati contratti benpochi matrimoni con individui che nonne facevano parte. «Stanno emergen-do aspetti molto diversi da quelli del-le popolazioni moderne» continua Haus-wirth. «Abbiamo preso in esame tre locigenici e abbiamo trovato che sono moltopiù omogenei che nelle tribù contempo-ranee studiate.»

Questa omogeneità può voler direche, nella popolazione di Windover, ilgrado di inincrocio era molto elevato.Se questo carattere fosse stato generale(cioè se i primi americani fossero rima-sti tutti nella propria cerchia, sposan-dosi tra vicini), l'isolamento avrebbepotuto dare origine a una molteplicitàdi lingue, un quadro che oggi si puòriscontrare nelle vallate delle regionimontuose della Nuova Guinea. Un simi-le scenario potrebbe spiegare perché, nel1492, il Nuovo Mondo avesse una di-versità linguistica altrettanto elevata diquella del Vecchio Mondo, così comepotrebbe spiegare perché la Nuova Gui-nea ospiti ancora un quinto delle fa-

miglie linguistiche di tutto il mondo.Per verificare una simile argomenta-

zione, gli studiosi possono confrontarela diversità genetica tra uomini e donnenegli antichi luoghi di sepoltura. Secon-do Lyle W. Konigsberg dell'Universitàdel Tennessee, che sta studiando i co-struttori di tumuli dell'Illinois, «all'in-terno di un singolo villaggio c'è da at-tendersi che, alla nascita, maschi e fem-mine presentino uguale variabilità gene-tica». E prosegue: «C'è anche da atten-dersi che ogni villaggio sia leggermentediverso dagli altri. Così, se per esempiole donne fossero provenute da altri luo-ghi, sarebbero state meno simili tra lororispetto agli uomini». Questo è il quadroche Konigsberg ha notato, cercando l'e-sogamia tra i costruttori di tumuli.

D'altra parte, la tribù della Floridapuò semplicemente essere passata attra-verso quello che viene definito un «collodi bottiglia» genetico. Una situazionedel genere si determina quando una pe-stilenza, una carestia o una guerra deci-ma una comunità o quando un ristrettogruppo si insedia in una colonia. In cia-scuno di questi casi, la nuova popolazio-ne sarà meno differenziata geneticamen-te rispetto alla popolazione d'origine e igeni saranno presenti in essa in rapportidifferenti rispetto a prima. Il rimescola-mento genetico produce quello che glievoluzionisti chiamano «effetto del fon-datore». Effetti di questo tipo, forse as-sociati a una selezione naturale o sessua-le, possono spiegare perché tanti irlan-desi abbiano capelli rossi o perché gliabitanti delle Isole Samoa tendano a es-sere così robusti.

Parecchi gruppi di ricerca applicanooggi metodi genetici per trovare la pro-va del collo di bottiglia genetico nel qua-le gli asiatici dovettero imbattersi tra-sferendosi nel Nuovo Mondo. Pààbo ecollaboratori dell'Università dello Utahstanno programmando un'esauriente in-dagine genetica sulle popolazioni viven-ti come pure sulle popolazioni antichealle quali sono da attribuire le mummiedegli Stati Uniti sudoccidentali risalentia 900 anni fa. «Stiamo cercando di rico-struire la storia delle popolazioni dell'A-merica Settentrionale e Meridionale» so-stiene Nàbo. «Vogliamo vedere comequeste popolazioni siano correlate l'unaall'altra e come siano correlate a quelleasiatiche; vogliamo inoltre controllare seil loro albero genealogico coincida conle classificazioni linguistiche.»

Nel frattempo, Hauswirth, NoreenTuross, una biochimica che lavora allaSmithsonian Institution, e altri ricercato-ri allestiranno tre banche dati per il DNAantico allo scopo di studiare gli effettidel morbillo e del vaiolo che uccisero lamaggior parte degli indigeni americaninell'arco di poche generazioni in segui-to al primo contatto con gli europei. Idati provengono da Windover, da IndianKnoll, nel Kentucky, che vanta 1200scheletri ben conservati, e da Arroyo Se-co, in Argentina. Quest'ultimo sito è sta-

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Noreen Tuross della Smithsonian Institution di Washington congela le ossa e lemacina, polverizzandole completamente, allo scopo di trovare antichi anticorpi.

to incluso sia per la ricchezza del mate-riale sia per la distanza dagli altri siti.Secondo Hauswirth, «questa sarebbe laprima analisi genetica dei contatti frapopolazioni indigene americane primadell'avvento degli europei».

Indagini di questo tipo sul paleo-DNAdovrebbero confermare, o indebolire, lerecenti teorie sull'uomo primitivo, basa-te su confronti genetici tra popolazionimoderne. Quando Luigi Luca Cavalli--Sforza e collaboratori, a Stanford, han-no rappresentato i rapporti genetici a li-vello di popolazione sotto forma di al-beri genealogici, è risultato che questialberi si correlavano bene con una clas-sificazione genetica delle lingue (si ve-da l'articolo Geni, popolazioni e linguedi Luigi Luca Cavalli-Sforza in «LeScienze» n. 281, gennaio 1992). Il lorolavoro si è concentrato sulla preistoriarecente, cioè a partire dal periodo suc-cessivo alla comparsa di Homo sapiensdi tipo moderno.

L'estraneità del padre

Fatto della massima importanza, lostudio del paleo-DNA promette di veri-ficare la teoria di Wilson e collaboratoriin base alla quale tutti gli esseri umanisarebbero discesi da un'unica donna,Eva, che, secondo le loro conclusioni,sarebbe vissuta in Africa. Wilson, laCann e Mark Stoneking hanno analizza-to il DNA dei mitocondri, organelli cel-lulari che trasformano il glucosio in unaforma di energia meglio utilizzabile. Di-versamente dal DNA del nucleo cellula-re, il DNA dei mitocondri viene tra-smesso inalterato di madre in figlio.(Anche se studi effettuati l'anno scorsosui topi hanno dimostrato che singolimitocondri paterni possono passare nellagenerazione futura, questi non mescole-ranno mai i propri geni con quelli ma-terni.) L'estraneità del padre rende le li-nee di discendenza ben distinte, cosic-ché diviene possibile ricostruire la ge-

nealogia semplicemente come risultatodi mutazioni.

Wilson e collaboratori hanno confron-tato il DNA mitocondriale di popolazio-ni di tutto il mondo per stimare le distan-ze genetiche. Hanno poi indicato questedistanze in un albero genealogico, alquale hanno messo le radici confrontan-do i dati con quelli provenienti dagliscimpanzé. Dato che i rami più lunghierano in Africa (il che suggerirebbe cheil DNA mitocondriale ha cominciato adifferenziarsi precisamente in quel con-tinente), è proprio lì che essi hanno col-locato Eva. Anche se nessuno mette indiscussione la preminente diversità deigeni africani, recentemente alcuni stu-diosi hanno trovato da ridire sull'albero.Essi hanno dimostrato che metodi stati-stici alternativi permettono di ricostruirealberi genealogici dell'uomo ugualmen-te plausibili con radici in Asia.

Fatto ancora più controverso, il grup-po di Wilson ha desunto un «orologiomolecolare» dalle differenze geneticheaccumulate da esseri umani e scimpanzénei loro cinque milioni, o poco più, dianni di vita separata. Il DNA mitocon-driale si presta a una simile cronometriaperché la sua rapida velocità di mutazio-ne ne fa un indice temporale preciso.L'orologio ha fatto risalire Eva a circa200 000 anni fa, inducendo il gruppo diWilson a concludere che i suoi discen-denti (i primi uomini moderni) si fosserodiffusi dall'Africa per sostituire altriominidi con scarso o addirittura nulloesoincrocio (si veda l'articolo Una ge-nesi africana recente di Allan C. Wilsone Rebecca Cann in «Le Scienze» n. 286,giugno 1992).

La teoria della «diffusione dall'Afri-ca» era stata formulata in maniera deltutto indipendente, su testimonianze pu-ramente paleontologiche, da ChristopherB. Stringer del Natural History Museumdi Londra (si veda l'articolo La compar-sa dell'uomo moderno di Christopher B.Stringer in «Le Scienze» n. 270, febbra-io 1991). Da allora essa è stata soggettaalle critiche di altri studiosi, che inter-pretano gli stessi fossili in maniera di-versa (si veda l'articolo Un'evoluzionemultiregionale di Alan G. Thome e Mil-ford H. Wolpoff in «Le Scienze» n. 286,giugno 1992).

Per finire, gli esperti di genetica mo-lecolare sperano di risolvere il dibattitocon analisi del DNA conservatosi in an-tiche ossa. Le banche dati genetiche, co-me quelle proposte da Hauswirth, po-trebbero assicurare la taratura dell'oro-logio mitocondriale in termini assoluti.Si dovrebbero trovare i discendenti mo-derni del paleo-DNA, conteggiare le so-stituzioni di coppie di basi e confrontarlecon le datazioni al radiocarbonio delleossa in cui sia stato trovato il DNA.

Come punto di partenza, Pààbo e An-na Di Rienzo, sua collega nel laborato-rio di Berkeley, studieranno sia mummieegizie sia le popolazioni moderne chevivono in località lungo il Nilo, e que-

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sto per cercare indizi di una migrazionedall'Africa. Secondo la Di Rienzo, «ilNilo avrebbe facilitato lo spostamentodelle popolazioni». Essa aggiunge: «So-no certa che quando disporremo di mag-giori informazioni, troveremo un gra-diente» da sud a nord. (Una verifica an-cora più significativa potrebbe venire daun unico campione di DNA di Neander-tal. Se, per esempio, questo campioneavesse marcatori che si trovano solo inalcuni rami dell'albero genealogico di

Eva, il risultato confuterebbe la teoriadella sostituzione totale.)

Altri studiosi di archeologia moleco-lare stanno oggi lavorando su antichi re-perti per ripercorrere gli effetti delle ma-lattie sulle popolazioni umane. NoreenTuross della Smithsonian Institution ri-cerca prove molecolari dirette di casiprecolombiani di treponematosi, infe-zioni provocate dalle spirochete, i batteria forma di elica che provocano la sifilidevenerea, la sifilide endemica, la fram-

boesia e la pinta. (La Tuross ammettecomunque che i suoi test non permetto-no in teoria di distinguere un ceppo ditreponemi dall'altro.)

Invece di andare a caccia del DNA, laTuross cerca anticorpi nelle ossa di in-dividui gravemente infettati. Finora haidentificato le immunoglobuline dellaclasse IgG in due gruppi di scheletri delNuovo Mondo: quello di Windover e unaltro ritrovato nelle Great Plains setten-trionali, in un sito del XVI secolo.

Alla fine, uno studio molecolare compa-rato su infezioni da treponemi nel Vec-chio e nel Nuovo Mondo potrebbe risol-vere la questione se la sifilide sia statadavvero portata in Europa dall'equipag-gio di Colombo.

Tom D. Dillehay, un archeologo del-l'Università del Kentucky, sta cercandodi ricostruire i colli di bottiglia dovuti amalattie, nei quali si sono imbattuti i pri-mi popoli che sono arrivati nel NuovoMondo. Egli ritiene che la migrazione

verso le regioni meridionali attraverso ilCanada, in un clima rigido, possa averliberato le popolazioni da alcuni paras-siti del Vecchio Mondo. Tuttavia, c'era-no sicuramente nuovi parassiti pronti adassalirli, specialmente nei climi umididel Messico e dell'America Centrale.Dillehay è convinto dell'importanza che,sotto il profilo archeologico, può ave-re l'ecologia delle malattie, ma sostie-ne che non è stato affatto semplicecomprenderlo.

Tra i colli di bottiglia più interessanti,dovuti ad agenti infettivi, si annoveranoquelli che selezionano le malattie gene-tiche. Una famiglia di malattie del san-gue, le talassemie, è comparsa sotto for-ma di mutazioni indipendenti in Asia enell'area del Pacifico. Siti preistorici inThailandia hanno appena fornito aglistorici della talassemia la più antica pro-va fondata su una base «solida», l'osso.«Riteniamo di avere la prova che 4000anni fa la popolazione era già colpita da

Un messaggero dell'Età della pietra

Nel suo sepolcro di ghiaccio, l'uomo del Similaunappare come lo videro i primi turisti, con la te-sta e le spalle che sporgevano dal ghiacciaio. Ibiologi hanno controllato che il suo corpo non fos-se contaminato da funghi (a sinistra, in alto),quindi lo hanno posto in condizioni analoghe aquelle che lo avevano preservato per oltre 5000anni. L'usura dei denti (a sinistra, in basso) riflet-

Quando. da entrambe le parti del confine tra Austria e Italia,le polizie ebbero per la prima volta la notizia che un cada-

vere era stato scoperto nel ghiacciaio alpino del Similaun, rea-girono con una certa indifferenza. In fin dei conti, i ghiacciai re-stituiscono periodicamente i loro morti; nel solo 1991, il climainsolitamente caldo aveva fatto scongelare una decina di cada-veri. Il tempo volgeva al brutto e il fine settimana era vicino.Perché precipitarsi a recuperare un morto?

Un paio di ottimi scalatori, incuriositi da quella prima notizia,pensarono, invece, di indagare per conto proprio e riportarononotizie sorprendenti: il corpo, per metà a mollo in una pozzad'acqua, presentava sul dorso quattro linee parallele bluastre.Ai lati del corpo giacevano strani oggetti, tra cui una scarpa eun arco senza corda. Era opportuno ora darsi un poco da fare.Rainer Henn dell'Istituto di medicinalegale di Innsbruck si inerpicò fino araggiungere il ghiacciaio, riconobbeimmediatamente che quel cadavereera una mummia e lo compose in mo-do da poterlo trasportare con un eli-cottero fino al suo laboratorio.

Fu un primo punto a vantaggio del-l'Austria. Austria e Italia avrebbero poidisputato per mesi in merito ai dirittisull'uomo del Similaun. Gli austriacidirigono oggi i due gruppi internazio-nali che si sono spartiti lo studio del-l'uomo del Similaun e dei suoi ogget-ti. Werner Platzer, anatomo-patologodell'Università di Innsbruck, dirige ilgruppo che analizza la mummia. Kon-rad Spindler, archeologo di Innsbruck,dirige il gruppo che studia i segni pre-senti sul corpo e l'equipaggiamento.

L'uomo del Similaun portava anco-ra una collana con un pendente dipietra bianca. «Questo piccolo pezzodi pietra non ha alcuna funzione edeve perciò avere un signifi-cato suo proprio", osservaSpindler. «Ritengo che sia unamuleto." I segni sulla pelleche, secondo lui, sarebberotatuaggi colorati con carbo-ne, « sono i più antichi tatuag-gi conosciuti. Quelli immedia-tamente meno vecchi, nellagraduatoria, avrebbero solo2000 anni circa". Possonosignificare qualunque cosa,fa notare Spindler: apparte-nenza a una certa famiglia,tribù, villaggio o ceto.

Per quanto riguarda l'ultimo punto, almeno, vi sono indizi chel'uomo del Similaun fosse benestante. Indossava abiti in pelledi buon taglio, foderati di paglia per difenderlo dai rigori dellealte quote. Possedeva, inoltre, un'ascia in metallo, un oggettoanch'esso di pregio. All'inizio gli esperti pensavano che si trat-tasse di un'ascia di bronzo e che pertanto l'uomo del Similaunrisalisse a circa 4000 anni fa. Le analisi hanno, invece, dimo-strato che l'ascia è di rame, metallo tipico del tardo Neolitico.

Questo indizio cronologico ha trovato conferma nella datazio-ne degli indumenti con carbonio radioattivo, che ha fatto arre-trare l'età dell'uomo del Similaun a circa 5000 anni. Finalmente,in febbraio, la datazione della cute e delle ossa ha fissato l'etàdel fossile ancora alcune centinaia di anni più indietro.

Si ha una scarsa esperienza nello studio del DNA in esseri

umani disidratati per congelamento, ma secondo gli esperti ilDNA dovrebbe conservarsi almeno altrettanto bene che nellemummie egizie e nei cervelli trovati nelle paludi della Florida.Inoltre il corpo dell'uomo del Similaun potrebbe conservare or-ganismi parassiti, dei quali si potrebbe ricostruire la sequenzadel DNA. Alcuni sperano persino di trovare spore quiescenti.

I primi risultati sull'uomo del Similaun avrebbero dovuto es-sere pronti entro aprile di quest'anno, anche se la ricerca di pos-sibili legami genealogici con le popolazioni moderne richiederàsicuramente tempi molto più lunghi. Per ora, dice Spindler, sisa solo che, come i nove decimi dell'umanità attuale, quell'uomoaveva occhi neri e capelli scuri. (I capelli, caduti dopo la morte,misuravano poco meno di nove centimetri; abbastanza lunghida scendere sugli occhi.)

I ricercatori stanno avanzando ipotesi ben fondate su alcunidegli enigmi posti dall'uomo del Similaun.

• Che cosa faceva sulle montagne? Avrebbe potuto cac-ciare con l'arco, dato che la faretra conteneva alcune freccepronte per essere usate. Forse stava ricercando del rame. For-se stava trasferendo pecore e capre dalle praterie alpine, doveavviene il pascolo estivo. «Sappiamo che è morto alla fine del-l'estate - dice Spindler - perché gli abbiamo trovato addossouna piccola prugna, del tipo che matura in settembre.»

• Come morì? Non aveva escoriazioni o ferite e le scintigrafienon mettono in luce alcuna anomalia nelle ossa o negli organi.I denti sono consumati, ma questo riflette il tipo di dieta: panecontenente sabbia abrasiva proveniente dalle grossolane pietreda macina usate allora. Si pensa che quell'uomo avesse un'etàcompresa tra i 20 e i 30 anni.

Infine, l'uomo del Similaun aveva con sé una buona scortadi cibo, tra cui un poco di carne. Non doveva certamente averefame e pertanto deve essere morto per esposizione a condizioni

ambientali avverse. «Penso che siamorto di notte, per il freddo", asseri-sce Spindler. «È molto pericoloso inqueste montagne a questa altitudine.Se siete stanco e vi sdraiate per dor-mire, bastano poche ore per morire.Ogni anno succede qualche incidentedi questo tipo.»

• Come ha resistito il suo corpo?Un improvviso temporale potrebbeaverlo costretto a cercare riparo nellapiccola depressione rocciosa dove èstato trovato. Il freddo lo ha ucciso ene ha conservato la carne, prosciuga-ta poi dal sole e dal vento. Poi una ne-vicata propizia potrebbe aver nasco-sto il corpo alla vista degli uccelli,che hanno dovuto accontentarsi so-lo di qualche beccata. Infine, neve eghiaccio si sono depositati, forman-do uno strato di parecchi metri, nonsufficientemente spesso, tuttavia, daschiacciare quel corpo indurito, il qua-le è rimasto dove era perché la de-

pressione rocciosa lo ha pro-tetto, con la neve circostante,dai ghiacci che al disopraesercitavano lentamente laloro azione abrasiva.

Gli archeologi riprenderan-no a scavare nella zona, manon si pensa di trovare com-pagni dell'uomo del Similaun,ammesso che ne avesse, ac-comunati con lui nella morte.Egli ci potrebbe dire, con leparole del servo di Giobbe:«Sono scampato io solo, cheti racconto questo.»

te una dieta a base di pane contenente sabbia,probabilmente proveniente dalle pietre da macinausate per ridurre in farina il grano. Finora i ta-tuaggi blu sulla schiena (a destra, in alto) si sonosottratti a qualsiasi interpretazione. L'abbiglia-mento e gli oggetti (a destra, in basso), giunti finoa noi senza il «filtro» dei riti funerari, danno unavisione della vita quotidiana nell'Età della pietra.

LE SCIENZE n. 287, luglio 1992 8988 LE SCIENZE n. 287, luglio 1992

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Principali rinvenimenti di mummie umane

ISOLE ALEUTINE E ALASKA600-1700 d.C. EGITTO

3000 a.C.-OGGI

GIAPPONE1100-1900 d C

STATI UNITI REGIONE ANDINASUDOCCIDENTALI 4000 a.C.-1700 d.C.500-1400 d.C.

AUSTRALIAE MELANESIA

XIX SECOLO d.C.

I geni di Neandertal potranno essere il test per Eva?

Nei nove anni trascorsi da quando i biochimici hanno co-minciato ad amplificare tracce estremamente piccole di

DNA in quantità che i genetisti riescono a studiare, l'orizzontedell'archeologia molecolare si è spinto sempre più indietronel passato. Molti progetti ora in corso cercano di studiaremateriali che provengono dalla preistoria recente; sembrache altri tentativi più sommessi raggiungeranno nello spaziodi mesi i primi successi, rivelando i genomi di esseri umaniarcaici. La disponibilità di DNA antico, possibilmente risalen-te addirittura ai neandertaliani, permetterà agli antropologi diverificare numerose teorie sulle origini dell'umanità, in modopiù diretto di quanto un tempo si ritenesse possibile.

Forse la più importante di queste teorie ricorre alla genea-logia per determinare dove e quando siano comparsi gli es-seri umani di aspetto moderno. Un albero genealogico, pro-posto nel 1987 da un gruppo guidato dal compianto Allan C.Wilson dell'Università della California a Berkeley, fa risalireil DNA mitocondriale, lungo la linea di discendenza materna,fino all'unico antenato comune di tutti gli esseri umani viventi.

Dato che i rami più profondi dividevano gli africani dai nonafricani e la diversità genetica era massima in Africa, il grup-po di Wilson ha fatto risalire ancheEva, come essa viene chiamata,all'Africa. Quindi, ricorrendo comeindice cronologico a un confrontouomo-scimpanzé, ha datato Evatra i 150 000 e i 200 000 anni fa,parecchio tempo dopo che gli omi-nidi arcaici si erano insediati nellamaggior parte del Vecchio Mon-do. I risultati hanno suggerito chei primi esseri umani moderni inAfrica avevano sostituito altri omi-nidi senza incrociarsi con loro.

Alcuni paleontologi hanno ac-colto con entusiasmo la teoria;molti altri hanno fatto una dura op-posizione. La critica di gran lungapiù grave, tuttavia, è stata mossadai genetisti, alcuni dei quali so-stengono oggi che il gruppo di Wil-son non è riuscito a rendersi con-to che il programma di simulazio-ne al calcolatore di cui si è servi-to per costruire l'albero può pro-durre migliaia, se non addiritturamilioni, di alberi ugualmente plau-sibili, molti dei quali hanno le lororadici in Asia. "E probabile che l'i-potesi di Eva non sarebbe mai sta-ta avanzata se, sull'insieme deidati originali, fosse stata eseguitaun'opportuna analisi filogenetica»

dichiara Alan R. Templeton della Washington University.Mark Stoneking, un membro del gruppo di Wilson, che in-

segna oggi alla Pennsylvania State University, afferma chela maggior diversità genetica degli africani continua ad esse-re un sostegno per l'ipotesi di Eva. Ma ammette che le nuoveargomentazioni statistiche tolgono di mezzo il motivo princi-pale su cui si basava l'argomentazione originale. "Dobbiamostaccarci dall'analisi degli alberi», egli dice. Una alternativa,aggiunge, sarebbe quella di passare in rassegna i dati pertrovare le tracce di un improvviso aumento demografico, co-me quello che si sarebbe verificato in seguito alla grande dif-fusione dall'Africa.

"Si possono anche trovare i geni che controllano la varia-zione morfologica» aggiunge Stoneking. Per esempio, i geniresponsabili dei caratteri fisici che differenziano le sottopo-polazioni umane moderne, o razze. "Si possono poi confron-tare questi geni del DNA antico con quelli del DNA moder-no.» Se geni di questo tipo venissero trovati (e dimostrasseroche gli ominidi arcaici d'Europa, Asia e Africa non assomi-gliano agli abitanti moderni di quelle rispettive regioni), la teo-ria delle recenti origini africane troverebbe un sostegno.

Anche un minimo successo nelrecuperare geni da neandertalianie da ominidi arcaici si alimentereb-be da sé, inducendo i paleontologia mettere un maggior numero diossa a disposizione dei biochimici.La risultante valanga di dati paleo-genetici potrebbe immediatamen-te permettere ai ricercatori di co-struire alberi genealogici di granlunga migliori di quelli che si pos-sono ricavare partendo dal DNA diesseri umani viventi.

Inoltre, l'informazione procede-rebbe oltre quella fornita anchedalla più perfetta genealogia, inquanto suggerirebbe non solo checosa è accaduto, ma perché. l ri-cercatori, muniti degli antichi datimolecolari, potrebbero sperare distimare i vantaggi selettivi conferitida geni, o complessi di geni, par-ticolari. Potrebbe anche esseresoppesato il ruolo che la cieca ca-sualità ha svolto nella sopravvi-venza o nell'estinzione di genealo-gie. Nel suo complesso. la nuovaricerca darà sicuramente agli an-tropologi una visione più chiaradell'evoluzione del corpo. del cer-vello e forse anche della mentedell'uomo.

Questo neandertaliano di Shanidar, in Iraq, ri-sale a circa 50 000 anni fa. Un frammento diosso di uno scheletro vicino è stato consegnatoai biochimici per cercare di recuperarne il DNA.

talassemia», afferma Philip Houghton,un chirurgo passato all'antropologia,che lavora all'Università di Otago, inNuova Zelanda. «Nelle ossa dei bambiniin tenera età e dei giovani si notano se-gni di crescita anormale derivante dauna iperproduzione talassemica di cellu-le ematiche.»

Collocando i processi evolutivi in uncontesto temporale, questi risultati aiu-tano i ricercatori a perfezionare i propri

modelli per verificare se altri geni sianocomparsi per caso o attraverso una sele-zione. É stata così spiegata persino l'in-capacità di molti adulti di digerire il lat-tosio, lo zucchero presente nel latte fre-sco. Anche se non è stata finora riscon-trata alcuna prova molecolare, gli stu-diosi di storia biologica ritengono di po-ter dedurre dai dati contemporanei anda-menti selettivi.

La lattasi, l'enzima che digerisce il

lattosio, si conserva generalmente nellavita adulta in membri di gruppi etnici di-scendenti da società in cui venivano pra-ticate attività lattiero-casearie. É gene-ralmente assente, invece, nei membriadulti di gruppi che traggono sostenta-mento dalla caccia e dalla raccolta di ci-bo. Un'eccezione alla regola ha attiratol'attenzione degli studiosi: tra i raccogli-tori di lingua san (più noti come bosci-mani), che vivono nel deserto africano

del Kalahari, circa il 10 per cento degliadulti è in grado di digerire il lattosio.«I san, che bevono latte fresco, nonavrebbero mai potuto essere genuinicacciatori-raccoglitori», ha concluso Mi-chael J. Casimir dell'Università di Co-lonia in un articolo pubblicato nel 1990sulla rivista «Current Anthropology».

Secondo Casimir, i raccoglitori si sa-rebbero staccati dai vicini ottentotti,rinunciando al costume di vita pastora-le che questa popolazione segue anco-ra ai giorni nostri. Ma G. EichingerFerro-Luzzi di Roma avanza alcuneobiezioni all'argomentazione di Casi-mir, rilevando: «È assolutamente im-probabile che, per esempio, una popola-zione come quella danese, la quale hauna delle più basse percentuali nel mon-do di cattivo assorbimento del lattosio,possa mai aver subito uno stress dieteti-co tale per cui il bere o il non bere lattefresco potesse essere critico per la suasopravvivenza».

Il latte, ovviamente, è la bevanda deineonati e dei bambini in tenera età e po-trebbe avere sorprendenti implicazioninel momento in cui essi vengono svez-zati. Nelle moderne culture di raccogli-tori, le madri allattano tipicamente laprole per diversi anni, durante i quali lalattazione sopprime la fecondità. Ma Ja-ne E. Buikstra dell'Università di Chica-go ha avanzato l'ipotesi che i primi agri-coltori accelerassero lo svezzamento in-tegrando l'allattamento al seno con unapappa a base di cereali. Questo tipo dialimentazione del bambino avrebbe per-messo alle madri di cessare precocemen-te l'allattamento e quindi di essere ingrado anticipatamente di procreare dinuovo, permettendo così alle società diagricoltori di sovrastare numericamentei raccoglitori che vivevano nelle lorovicinanze.

Nell'arco di alcuni millenni, quindi,gli agricoltori avrebbero sopraffatto iraccoglitori, mettendo sotto l'aratro i lo-ro terreni di caccia e sostituendo i lorolinguaggi con i propri, che andavano ra-pidamente differenziandosi. Avrebberocosì disseminato vaste fasce di territoriocon i germi delle famiglie di lingue in-doeuropee, sino-tibetane, austronesianee africane. Questa teoria è sostenuta daColin Renfrew dell'Università di Cam-bridge (per quanto concerne le lingue in-doeuropee) e da Peter Bellwood del-l'Australian National University (per lelingue austronesiane).

Perché spiegare in questo modo la dif-fusione degli agricoltori? Perché altreargomentazioni non sembrano più validedi questa. Molti ricercatori concordanocon Jared Diamond, un fisiologo dell'U-niversità della California a Los Angeles,secondo il quale l'agricoltura potrebbeessere stata «il peggior errore nella sto-ria della specie umana». Questi studiosivedono l'agricoltura come un espedientedi seconda scelta adottato per supplire aquel ricco approvvigionamento di ciboche la caccia non riusciva più a garanti-

re, forse per lo sfruttamento intensivodei branchi di animali delle praterie. In-vece di disperdersi, la gente si legava al-la terra. Diamond cita prove sempre piùnumerose, secondo cui le diete dei primiagricoltori, basate sulla monocoltura,così come il loro modo di vivere in co-munità affollate, avrebbero reso i fisicipiù scarni, i denti più frequentementesoggetti a carie e la vita media più brevedi quella dei raccoglitori.

Nel suo recente libro, The ThirdChimpanzee, Diamond scrive che, quan-do, circa 6000 anni fa, l'agricoltura rag-giunse quelle che sono oggi la Grecia ela Turchia, la statura degli uomini si ab-bassò di 17 centimetri e mezzo, raggiun-gendo una media di 157,5 centimetri,mentre quella delle donne si abbassò di12 centimetri e mezzo, raggiungendouna media di 152,5 centimetri. «In epocaclassica - egli aggiunge - le stature sta-vano di nuovo aumentando molto lenta-mente, ma greci e turchi moderni nonhanno ancora riconquistato i livelli distatura dei loro robusti antenati caccia-tori -raccoglitori.»

Pertanto, l'età alla quale avviene losvezzamento della prole potrebbe essereun modo per documentare il passaggioda una società di raccoglitori a una so-cietà agricola. Si tratta di trovare marca-tori chimici che permettano di distingue-re i bambini ancora allattati al seno daquelli che già sono stati svezzati. NoreenTuross e Marilyn L. Fogel della Carne-gie Institution di Washington hannomesso a punto una tecnica per studiarenon la matrice minerale dell'osso, male fibre di collageno che la percorro-no, consolidando l'osso proprio come lapaglia dà consistenza ai mattoni di argil-la. Il collageno, come tutte le protei-ne sintetizzate dagli animali, concentraN-15, l'isotopo più pesante dell'azoto.Gli animali che si nutrono di altri ani-mali concentrano ulteriormente questoisotopo. «Il lattante - spiega la Tuross -è un carnivoro, nel senso che "mangia

la mamma". Così, sotto il profilo isoto-pico, si distingue da essa, mentre quan-do viene svezzato, diventa conforme aessa.»

Sono stati esaminati due campioni ar-cheologici: l'uno che proviene da un sitopreagricolo del Tennessee, risalente a unperiodo compreso tra 6000 e 5000 annifa, e l'altro proveniente da un sito delSouth Dakota, in cui dal 1650 al 1733era stato coltivato mais. Un antropologoha calcolato l'età dei corpi dei bambinitrovati in ciascun sito in base allo svi-luppo dei denti. La Tuross, invece, ne hasciolto le costole, ottenendo una polti-glia gelatinosa contenente collageno.

Secondo questa analisi, l'introduzionedella coltivazione del granoturco nelleGreat Plains non ha avuto influenza suitempi di svezzamento. L'analisi isotopi-ca del collageno ha messo in rilievo chel'azoto pesante raggiungeva un massimodi concentrazione all'età di 1,1 anni, sianei raccoglitori sia negli agricoltori, pri-ma di scendere ai livelli dell'adulto neisuccessivi due anni di vita. La fase ulte-riore, secondo la Tuross, consiste nell'e-saminare esemplari provenienti dai prin-cipali centri di innovazione agricola:l'America Meridionale, la MezzalunaFertile, la Cina e la Nuova Guinea. Seuna qualsiasi di queste regioni fornissela prova che l'età dello svezzamento siera andata abbassando con la comparsadell'agricoltura, l'ipotesi della Buikstrasarebbe confermata.

Anche la Polinesia è diventata un cen-tro di interesse per i genetisti, in parteperché le sue lingue, che sono derivatedalla famiglia austronesiana, sembranoriflettere in modo straordinario migra-zioni preistoriche. Questa caratteristicarende relativamente semplice la ricercadi marcatori genetici appropriati. Inoltre,i genetisti apprezzano l'incontaminatapurezza dei geni polinesiani, special-mente di quelli incorporati nel DNA mi-tocondriale. Per Sykes, «essendo essiereditati per via materna, non risento-

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MUSICAE STRUMENTI

MUSICALI

LE SCIENZE edizione italiana di

SCIENTIFIC AMERICAN

ha dedicato all'argomentodiversi articoli:

La fisica degli ottonidi A. H. Benade

(n. 63, novembre 1973)

La dinamica musicaledi B.R. Patterson

(n. 78, febbraio 1975)

Illusioni musicalidi D. Deutsch

(n. 96, agosto 1976)

Le corde accoppiatedel pianofortedi G. Weinreich

(n. 127, marzo 1979)

L'acusticadei piani armonici di violino

di C. Maley Hutchins(n. 160, dicembre 1981)

La fisica dei timpanidi T. D. Rossing

(n. 173, gennaio 1983)

La fisica delle canne d'organodi N. H. Fletcher e'S. Thwaites

(n. 175, marzo 1983)

La tromba baroccadi D. Smithers, K. Wogram

e J. Bowsher(n. 214, giugno 1986)

Il calcolatore e la musicadi P. Boulez e A. Gerzso

(n. 238, giugno 1988)

L'acustica del clavicembalodi E. L. Kottick, K. D. Marshall

e T. J. Hendrickson(n. 272, aprile 1991)

1n1~1IMEMMIe

no dell'immigrazione europea e cinese,nella quale furono coinvolti solo gliuomini».

«L'antico DNA mitocondriale corri-sponde a quello di uno di due gruppi vi-venti principali che abbiamo trovato inPolinesia», sostiene la Cann. Analoghiprofondi collegamenti sono stati docu-mentati da Sykes tra gli abitanti delleIsole Cook e da Stoneking tra gli abitantidegli altopiani della Nuova Guinea.

I ricercatori hanno anche rilevato chei geni polinesiani sono meno variabili diquelli di altre popolazioni del Pacifico,il che fa pensare che gli antenati dell'at-tuale popolazione polinesiana siano pas-sati attraverso un collo di bottiglia re-cente, «probabilmente perché solo glioccupanti di una singola barca, o di po-che barche, sono riusciti a insediarsi»,dice Stoneking, che oggi insegna allaPennsylvania State University. Egli cita,tra gli altri dati, la «delezione di novecoppie di basi» nel DNA mitocondriale,una mutazione che ha avuto origine inAsia e che, in una certa misura, si osser-va nella maggior parte delle popolazioniche provengono da questo continente.Questa caratteristica è particolarmentefrequente sulle coste della Nuova Gui-nea e, soprattutto, in Polinesia.

Da prove come queste gli esperti digenetica molecolare deducono che gliemigranti provenienti dalle isole dell'A-sia sudorientale dovettero scambiarsi ipartner sessuali con le popolazioni dellecoste della Nuova Guinea e che alcunedonne proseguirono in seguito per la Po-linesia. La Cann vuole verificare diret-tamente la teoria, ricostruendo la se-quenza nucleotidica del DNA estratto daresti di scheletri in tutta la regione. Al-meno in Polinesia questi resti eranospesso ben conservati grazie alla praticadi seppellire i morti nella sabbia asciuttao in cilindri di lava fredda e asciutta del-le isole vulcaniche.

Parlando in nome dei morti

Rimane, tuttavia, l'imbarazzante pro-blema dei diritti di proprietà: i morti ap-partengono allo scienziato che li trova oalla popolazione vivente che da queiprogenitori discende? In alcune partidella Polinesia, i materiali per gli studio-si di archeologia molecolare abbonde-rebbero, fa notare mestamente la Cann,se soltanto gli scienziati potessero otte-nere l'accesso a queste fonti. «Proprioora disponiamo di buoni dati riguardan-ti uno scheletro trovato ad Hawaii, manon possiamo pubblicarli», e questo perl'opposizione alla ricerca da parte degliindigeni hawaiiani.

«L'università si è così sensibilizzataal problema che agli osteologi che svol-gono questo tipo di ricerca non vieneneppure permesso di disporre del mate-riale nell'ambito dei loro laboratori.»Analoghe difficoltà affliggono gli ar-cheologi australiani, che hanno soltantopotuto vedere gli scheletri di Kow

Swamp tornare sotto terra. Si trattava deipiù antichi resti umani datati su quelcontinente.

Gli studiosi di archeologia molecolareobiettano che quanto essi vanno cercan-do coincide esattamente con gli interessidegli attivisti dei diritti degli indigeni:una ricostruzione del progenitore e dellesue realizzazioni. A questo essi aggiun-gono i possibili benefici di ordine sani-tario che deriverebbero dalla ricerca sul-le origini delle predisposizioni genetichealle malattie.

Ma, per molte popolazioni indigene, ibenefici della scienza tendono a scom-parire quando sono posti a confronto conle testimonianze talvolta mostruose sul-l'operato degli «scienziati» colonialisti.Quando, nel 1869, morì l'ultimo indige-no maschio della Tasmania, gruppi riva-li di medici si disputarono pezzi di quelcorpo. Un medico illustre utilizzò unframmento di pelle per farne un conte-nitore per il tabacco. Queste impreseignobili fecero inorridire l'ultima donnatasmaniana a tal punto che essa chiesedi essere seppellita in mare. Il suo desi-derio non venne esaudito e fino al 1947il suo corpo rimase esposto. Finalmentevenne cremato e le ceneri furono sparsenell'oceano.

Forse questa mancanza di rispetto peri morti avrà fine quando i ricercatori co-minceranno a studiare i propri antenatio quelli che sarebbero felici di poterconsiderare come tali. «Ah! Lincoln, unfenotipo interessante», disse la Cannl'anno scorso, quando prese informazio-ni circa una proposta di ricostruire la se-quenza del DNA del grande statista. Glistorici desiderano sapere se la facciascarna, l'aspetto alto e dinoccolato e lalassità delle articolazioni fossero sintomidella sindrome di Marfan, un'alterazio-ne del tessuto connettivo che può provo-care aneurismi potenzialmente fatali. Seil sangue sulle lenzuola del letto di mor-te di Lincoln mostrasse di contenere ilgene responsabile di tale sindrome, i pa-zienti affetti dalla sindrome di Marfanpotrebbero sentirsi orgogliosi di questoillustre precedente e gli storici potrebbe-ro chiedersi se Booth per caso non aves-se assassinato un uomo già destinato amorire a breve scadenza.

Ma, per onorare i morti, dobbiamo sa-pere chi sono stati e da dove sono venuti.Queste domande, che ogni fanciullo sipone e alle quali ogni cultura deve darerisposta, hanno spronato lo sviluppo del-la scienza moderna. Gli studiosi rinasci-mentali hanno applicato per primi la ra-gione e la sperimentazione per ricostrui-re i testi originali a partire da copie cor-rotte. Poi i filologi si sono spinti più inlà, ricostruendo lingue estinte dalle testi-monianze offerte dalle lingue dei discen-denti. Questi metodi genealogici, nelcontempo scientifici e storici, hanno rag-giunto il loro pieno rigoglio nella biolo-gia evoluzionistica, il cui rampollo piùgiovane, la genetica molecolare, vieneoggi in soccorso degli storici.

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