ARCHEOLOGIA E MONASTERI - unisi.it · 2013. 10. 24. · 243 ARCHEOLOGIA E MONASTERI NELLA LAGUNA...

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243 ARCHEOLOGIA E MONASTERI NELLA LAGUNA VENEZIANA: SAN GIACOMO IN PALUDO * a cura di SAURO GELICHI con contributi di FULVIO BAUDO, CARLO BELTRAME, DIEGO CALAON, MARCO D’AGOSTINO, SAURO GELICHI, SYLVIA SMITH 1. San Giacomo in Paludo e l’archeologia dei monasteri in lagu- na: una breve introduzione (SAURO GELICHI) 2. Brevi cenni sulle vicende dell’insediamento monastico (FULVIO BAUDO, DIEGO CALAON) 3. La strategia dell’ intervento (SAURO GELICHI, FULVIO BAUDO, DIEGO CALAON) 4. La sequenza insediativa (FULVIO BAUDO, DIEGO CALAON) 5. I materiali ceramici (SYLVIA SMITH) 6. Le tecniche costruttive (FULVIO BAUDO) 7. Prime osservazioni storico-archeologiche a proposito del rinveni- mento della “cavana per l’uso dell’ortolan” (CARLO BELTRAME) 8. La formazione dei depositi archeologici (DIEGO CALAON) 9. L’attività archeologica del Servizio Informativo del Magistra- to alle Acque (MARCO D’AGOSTINO) 1. SAN GIACOMO IN PALUDO E L’ARCHEOLOGIA DEI MONASTERI IN LAGUNA: UNA BREVE INTRODUZIONE In questo contributo si pubblicano i risultati delle ricerche avviate nel 2002 dall’Insegnamento di Archeologia Medieva- le sull’isola di San Giacomo in Paludo. Gli interventi hanno interessato un sito da tempo sottoposto ad indagini archeolo- giche (E. e S. CANAL 1988a; IDEM 1988b; D’AGOSTINO 1997; BRESSAN 1997) e da studi di carattere storico (principalmente CANIATO 1985; IDEM 1988; POZZANA 1988), che hanno portato alla collazione di un breve, ma interessante, corpus documen- tario, al quale sono da aggiungere un gruppetto di documenti cartografici (catastali, mappe, vedute) databili dal XVII seco- lo in poi (ancora CANIATO 1988 e POZZANA 1988, passim). La storia dell’isola, almeno dal periodo in cui è menzio- nato l’ospizio in avanti (brevi cenni anche infra, 2), è stata dunque ricostruita nelle sue fasi essenziali e su questa strut- tura documentaria si sono poi nel tempo agglutinati i dati ricavabili dall’analisi e dal rilevamento dei resti materiali, in parte resi visibili dall’azione del moto ondoso dopo il collas- samento del muro di recinzione (il fronte di strutture sul lato nord-est) e in parte dallo scavo (la chiesa sul versante setten- trionale, scavata in tempi e modi imprecisati: vd. D’AGOSTI- NO 1997, p. 37 e alcune foto in BALLARIN et al., datt.). A que- sti dati, riferibili a documenti archeologici di carattere squi- sitamente strutturale, vanno aggiunte le valutazione derivate dallo studio dei reperti ceramici (recuperati nel tempo in cir- costanze e con metodi diversi: vd. CANAL 1988 e SACCARDO, LAZZARINI 1988) e dei modesti sondaggi praticati nel 1996 da Bressan (BRESSAN 1997). Infine sono da tenere in considera- zione alcune strutture sommerse (o semi-sommerse) presenti sul versante nord-est, già oggetto d’attenzione e di valuta- zione critica (E. e S. CANAL 1988b; D’AGOSTINO 1997), ma sulle quali si attendono nuovi rilievi ed osservazioni da parte di Marco D’Agostino (vd. comunque infra, 9). In questo contesto si inseriscono (e da questo contesto non possono prescindere) le ricerche iniziate nel 2002, le quali, tuttavia, si sono mosse in un quadro di riferimento progettuale differenziato: da una parte l’analisi delle strutture visibili (o parzialmente visibili) sul versante nord-est, il cui rilievo e la cui interpretazione storico-critica ci veniva espressamente ri- chiesta da una committenza (il Consorzio Venezia Nuova) impegnata nei lavori di recupero strutturale delle arginature dell’isola; dall’altra l’apertura di due ampie aree di scavo, ubi- cate in zone lasciate libere dalle batterie e dai terrapieni di XIX e XX secolo, funzionali al chiarimento di alcuni problemi d’or- dine topografico-funzionale dei complessi architettonici. Il primo intervento aveva lo scopo di documentare le relazioni stratigrafiche di una serie di ambienti già messi in luce nel passato, il secondo quello di contestualizzare meglio tali am- bienti con il resto delle strutture dell’ospizio/monastero e delle relative fasi d’occupazione. A tali principali azioni di ricerca vanno poi associati i lavori di controllo nell’escavazione del canale che circonda l’isola (che hanno peraltro permesso di individuare strutture sommerse del XIX secolo e soprattutto un’ignota cavana sul lato ovest dell’isola: su cui vd. alcune preliminari osservazioni in questa sede da parte di Beltrame) e nella demolizione di alcuni terrapieni (es. quello meridionale). La correlazione di queste nuove attività archeologiche ed il confronto con i dati già editi permettono di presentare, anche se in forme del tutto preliminari, alcune osservazioni sulle vi- cende di questo insediamento; e, soprattutto, ci consentono di esprimere delle prime valutazioni sugli indirizzi e le finalità di un’archeologia dei monasteri in laguna. La sequenza storica documentata dalle fonti scritte regi- stra alcuni passaggi fondamentali, che possono riassumersi nella transizione ospizio/monastero (verso la prima metà del XIII secolo), monastero femminile/convento maschile (XV secolo), utilizzo militare dell’area (XIX-XX secolo). Tale sequenza si presenta come una sorta di traiettoria in negati- vo, che documenterebbe un progressivo impoverimento dei contenuti funzionali legati ad un uso religioso dell’area (al- meno delle esperienze di carattere comunitario) senza che nel tempo siano venuti tuttavia meno altri aspetti connessi con l’utilizzo e lo sfruttamento degli spazi dell’isola (fino ovviamente ad un suo recupero come struttura militare). Si tratta di un percorso non del tutto originale, che ha interessa- to molte altre fondazioni della laguna e le cui motivazioni non sono necessariamente né esclusivamente da collegarsi con una progressiva insalubrità o inabitabilità del luogo. Le indagini archeologiche, come abbiamo detto, si sono innestate in questa sequenza con l’obbiettivo di certificarla da una parte (ad es. la verifica della scansione temporale del declino del monastero), di arricchirla dall’altra (ad esem- pio la messa in luce di strutture o materiali di diversa cro- nologia, che hanno lasciato più di un sospetto su una se- quenza insediativa che andava ben oltre i limiti indicati dalle fonti scritte: E. e S. CANAL 1988a-b). In poche parole, l’esi- stenza di una struttura sommersa, datata all’epoca tardo- antica o alto-medievale, e la scoperta di numerose cerami- che di età ellenistico-romana, sono state sentite come se- gnali di una possibile lunga durata nell’occupazione del sito (anche se contrassegnata da momenti di interruzione: anco- ra Ib., p. 32 e D’AGOSTINO 1997, pp. 37-38, con riserve sul- la cronologia della struttura muraria sommersa). D’altron- de la storia di molte isole (o barene) della laguna, poi di- ventate sedi di istituti monastici, è contrassegnata da una sequenza insediativa più lunga (basti pensare a San France- sco del Deserto, DE MIN 2000a, pp. 20-21, oppure San Lo- renzo d’Ammiana, FERSUOCH et al. 1989; CANAL 1995). La verifica della scansione temporale dei processi di trasformazione e degrado delle strutture materiali apparte- nenti agli istituti monastici ha ovviamente trovato in queste nuove indagini punti ulteriori di conferma, anche se non sempre una datazione precisa è stata al momento identifi- cata. Ad esempio restano ancora da confermare le attribu- zioni al secolo XII delle strutture più antiche presenti sul versante nord-est dell’isola, la cui cronologia, proposta sulla base dell’impiego di alcuni laterizi speciali (le c.d. “altinel- le”), ci auguriamo possa trovare più solide argomentazioni quando si scaveranno i livelli d’uso contemporanei. Se questa datazione risultasse avvalorata da future in- dagini, però, sarebbero da riconoscere nelle strutture più antiche individuate sul versante nord-est i resti dell’ospizio

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    ARCHEOLOGIA E MONASTERINELLA LAGUNA VENEZIANA:SAN GIACOMO IN PALUDO *

    a cura diSAURO GELICHI

    con contributi diFULVIO BAUDO, CARLO BELTRAME, DIEGO CALAON,

    MARCO D’AGOSTINO, SAURO GELICHI, SYLVIA SMITH

    1. San Giacomo in Paludo e l’archeologia dei monasteri in lagu-na: una breve introduzione (SAURO GELICHI)

    2. Brevi cenni sulle vicende dell’insediamento monastico (FULVIOBAUDO, DIEGO CALAON)

    3. La strategia dell’ intervento (SAURO GELICHI, FULVIO BAUDO,DIEGO CALAON)

    4. La sequenza insediativa (FULVIO BAUDO, DIEGO CALAON)5. I materiali ceramici (SYLVIA SMITH)6. Le tecniche costruttive (FULVIO BAUDO)7. Prime osservazioni storico-archeologiche a proposito del rinveni-

    mento della “cavana per l’uso dell’ortolan” (CARLO BELTRAME)8. La formazione dei depositi archeologici (DIEGO CALAON)9. L’attività archeologica del Servizio Informativo del Magistra-

    to alle Acque (MARCO D’AGOSTINO)

    1. SAN GIACOMO IN PALUDO E L’ARCHEOLOGIADEI MONASTERI IN LAGUNA:UNA BREVE INTRODUZIONE

    In questo contributo si pubblicano i risultati delle ricercheavviate nel 2002 dall’Insegnamento di Archeologia Medieva-le sull’isola di San Giacomo in Paludo. Gli interventi hannointeressato un sito da tempo sottoposto ad indagini archeolo-giche (E. e S. CANAL 1988a; IDEM 1988b; D’AGOSTINO 1997;BRESSAN 1997) e da studi di carattere storico (principalmenteCANIATO 1985; IDEM 1988; POZZANA 1988), che hanno portatoalla collazione di un breve, ma interessante, corpus documen-tario, al quale sono da aggiungere un gruppetto di documenticartografici (catastali, mappe, vedute) databili dal XVII seco-lo in poi (ancora CANIATO 1988 e POZZANA 1988, passim).

    La storia dell’isola, almeno dal periodo in cui è menzio-nato l’ospizio in avanti (brevi cenni anche infra, 2), è statadunque ricostruita nelle sue fasi essenziali e su questa strut-tura documentaria si sono poi nel tempo agglutinati i datiricavabili dall’analisi e dal rilevamento dei resti materiali, inparte resi visibili dall’azione del moto ondoso dopo il collas-samento del muro di recinzione (il fronte di strutture sul latonord-est) e in parte dallo scavo (la chiesa sul versante setten-trionale, scavata in tempi e modi imprecisati: vd. D’AGOSTI-NO 1997, p. 37 e alcune foto in BALLARIN et al., datt.). A que-sti dati, riferibili a documenti archeologici di carattere squi-sitamente strutturale, vanno aggiunte le valutazione derivatedallo studio dei reperti ceramici (recuperati nel tempo in cir-costanze e con metodi diversi: vd. CANAL 1988 e SACCARDO,LAZZARINI 1988) e dei modesti sondaggi praticati nel 1996 daBressan (BRESSAN 1997). Infine sono da tenere in considera-zione alcune strutture sommerse (o semi-sommerse) presentisul versante nord-est, già oggetto d’attenzione e di valuta-zione critica (E. e S. CANAL 1988b; D’AGOSTINO 1997), masulle quali si attendono nuovi rilievi ed osservazioni da partedi Marco D’Agostino (vd. comunque infra, 9).

    In questo contesto si inseriscono (e da questo contesto nonpossono prescindere) le ricerche iniziate nel 2002, le quali,tuttavia, si sono mosse in un quadro di riferimento progettualedifferenziato: da una parte l’analisi delle strutture visibili (oparzialmente visibili) sul versante nord-est, il cui rilievo e lacui interpretazione storico-critica ci veniva espressamente ri-chiesta da una committenza (il Consorzio Venezia Nuova)

    impegnata nei lavori di recupero strutturale delle arginaturedell’isola; dall’altra l’apertura di due ampie aree di scavo, ubi-cate in zone lasciate libere dalle batterie e dai terrapieni di XIXe XX secolo, funzionali al chiarimento di alcuni problemi d’or-dine topografico-funzionale dei complessi architettonici. Ilprimo intervento aveva lo scopo di documentare le relazionistratigrafiche di una serie di ambienti già messi in luce nelpassato, il secondo quello di contestualizzare meglio tali am-bienti con il resto delle strutture dell’ospizio/monastero e dellerelative fasi d’occupazione. A tali principali azioni di ricercavanno poi associati i lavori di controllo nell’escavazione delcanale che circonda l’isola (che hanno peraltro permesso diindividuare strutture sommerse del XIX secolo e soprattuttoun’ignota cavana sul lato ovest dell’isola: su cui vd. alcunepreliminari osservazioni in questa sede da parte di Beltrame) enella demolizione di alcuni terrapieni (es. quello meridionale).La correlazione di queste nuove attività archeologiche ed ilconfronto con i dati già editi permettono di presentare, anchese in forme del tutto preliminari, alcune osservazioni sulle vi-cende di questo insediamento; e, soprattutto, ci consentono diesprimere delle prime valutazioni sugli indirizzi e le finalità diun’archeologia dei monasteri in laguna.

    La sequenza storica documentata dalle fonti scritte regi-stra alcuni passaggi fondamentali, che possono riassumersinella transizione ospizio/monastero (verso la prima metà delXIII secolo), monastero femminile/convento maschile (XVsecolo), utilizzo militare dell’area (XIX-XX secolo). Talesequenza si presenta come una sorta di traiettoria in negati-vo, che documenterebbe un progressivo impoverimento deicontenuti funzionali legati ad un uso religioso dell’area (al-meno delle esperienze di carattere comunitario) senza chenel tempo siano venuti tuttavia meno altri aspetti connessicon l’utilizzo e lo sfruttamento degli spazi dell’isola (finoovviamente ad un suo recupero come struttura militare). Sitratta di un percorso non del tutto originale, che ha interessa-to molte altre fondazioni della laguna e le cui motivazioninon sono necessariamente né esclusivamente da collegarsicon una progressiva insalubrità o inabitabilità del luogo.

    Le indagini archeologiche, come abbiamo detto, si sonoinnestate in questa sequenza con l’obbiettivo di certificarlada una parte (ad es. la verifica della scansione temporaledel declino del monastero), di arricchirla dall’altra (ad esem-pio la messa in luce di strutture o materiali di diversa cro-nologia, che hanno lasciato più di un sospetto su una se-quenza insediativa che andava ben oltre i limiti indicati dallefonti scritte: E. e S. CANAL 1988a-b). In poche parole, l’esi-stenza di una struttura sommersa, datata all’epoca tardo-antica o alto-medievale, e la scoperta di numerose cerami-che di età ellenistico-romana, sono state sentite come se-gnali di una possibile lunga durata nell’occupazione del sito(anche se contrassegnata da momenti di interruzione: anco-ra Ib., p. 32 e D’AGOSTINO 1997, pp. 37-38, con riserve sul-la cronologia della struttura muraria sommersa). D’altron-de la storia di molte isole (o barene) della laguna, poi di-ventate sedi di istituti monastici, è contrassegnata da unasequenza insediativa più lunga (basti pensare a San France-sco del Deserto, DE MIN 2000a, pp. 20-21, oppure San Lo-renzo d’Ammiana, FERSUOCH et al. 1989; CANAL 1995).

    La verifica della scansione temporale dei processi ditrasformazione e degrado delle strutture materiali apparte-nenti agli istituti monastici ha ovviamente trovato in questenuove indagini punti ulteriori di conferma, anche se nonsempre una datazione precisa è stata al momento identifi-cata. Ad esempio restano ancora da confermare le attribu-zioni al secolo XII delle strutture più antiche presenti sulversante nord-est dell’isola, la cui cronologia, proposta sullabase dell’impiego di alcuni laterizi speciali (le c.d. “altinel-le”), ci auguriamo possa trovare più solide argomentazioniquando si scaveranno i livelli d’uso contemporanei.

    Se questa datazione risultasse avvalorata da future in-dagini, però, sarebbero da riconoscere nelle strutture piùantiche individuate sul versante nord-est i resti dell’ospizio

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    menzionato nelle fonti scritte. La tipologia dei vani bene siadatterebbe a spazi destinati all’accoglienza dei pellegrini(dormitori), anche se l’associazione tra ospizi e monasteri ènormale e non esistono dei caratteri specifici nelle architet-ture destinate a questa specifica funzione (QUIRÓS CASTIL-LO 2000, p. 31). Il transito dunque da ospizio a monastero(le fonti sembrano distinguere in maniera chiara tra questedue funzioni tra XII e XIII secolo) potrebbe aver comporta-to solo delle modeste trasformazioni degli spazi originari.

    Abbastanza coerenti con le fonti scritte sono invece i datiarcheologici relativi alla chiesa presente sul lato nord dell’iso-la, sicuramente l’edificio ricostruito verso la metà del XV se-colo e rimasto in piedi fino al XIX secolo. Tuttavia, anche inquesto caso, non si sono chiariti ancora i rapporti tra la chiesae l’edificio di culto precedente, identificato, come è noto, conuno degli ambienti sul lato nord-est dell’isola, successivamen-te ridotto (così E. e S. CANAL 1988b, p. 38). Motivi di ordinetopografico generale tenderebbero a suggerire l’ipotesi cheanche all’origine la chiesa potesse invece trovarsi sul lato nord,seguendo così una struttura sufficientemente canonica neimonasteri di questo periodo (grande cortile centrale, chiesasul lato nord, sagrestia e capitolo sul lato est). La presenza diuna sepoltura nel più grande degli ambienti sul versante nord-est non è rilevante ai fini di identificare in questo la chiesa, dalmomento che tombe (e spesso, come in questo caso, una sola)sono documentate all’interno delle sale capitolari nei mona-steri (FRANÇOIS 1993, p. 235: tomba isolata del cavaliere Gu-glielmo, forse un donatore a cui si devono importanti finanzia-menti per lavori all’abbazia di Notre-Dame de Lieu-Restauré;vd. anche RACINET 1993, p. 246, doc. 3; FIXOT, PELLETIER,BARRUOL 1996, pp. 160-163 e GILLION 1998, passim). Le rela-zioni stratigrafiche riconosciute tra le strutture del versante dinord-est, poi, escludono che il muro che chiude verso orienteil lato del monastero sia posteriore a tutti i vani ad esso con-nessi (e dunque che il grande ambiente 8 sia stato successiva-mente ridotto: per una analisi di dettaglio si rinvia al par. 4infra). Un’ipotesi è che la chiesa più antica fosse ubicata nellastessa area dove venne ricostruita nel XV secolo, ma che fossein origine orientata diversamente e con un impianto di mag-giori dimensioni. In questo caso gran parte della struttura sitroverebbe sotto i terrapieni del periodo austriaco, e dunquearcheologicamente non indagabile se non a condizione di eli-minarli. Sarà da dichiarare, però, che al momento non vi sonoche indizi a tale ipotesi e che nessun elemento certo è emersoin occasione dello scavo della chiesa quattrocentesca. Resta ilfatto che l’orientamento non canonico dell’edificio più recen-te potrebbe spiegarsi con la centralità che nel tempo (ma sicu-ramente al momento della sua edificazione o ricostruzione)aveva assunto tutto il versante nord quale spazio d’uso pubbli-co; ciò viene peraltro confermato dalla presenza di una cavanacostruita su questo lato (tuttavia non documentata prima del

    XVII secolo: CANIATO 1985, pp. 14-15). In poche parole, sipotrebbe congetturare che proprio il passaggio nella gestionedell’isola ai frati possa aver indebolito le motivazioni che ave-vano portato alla realizzazione e all’utilizzo di un accesso sullato di nord-est, di cui avremmo una testimonianza in quellestrutture sommerse già individuate (un pontile?) se si potesse-ro datare al tardo-medioevo (e non ad epoca ben più anticacome è stato supposto: vd. supra). Tuttavia non si può esclu-dere anche la possibilità che le monache possano effettiva-mente aver utilizzato, per le loro funzioni, quell’ambiente cheabbiamo identificato in forma molto ipotetica, come una salacapitolare, ma, in questo caso, in una versione planimetricanon dissimile da quella attuale. La chiesa sul lato nord, allora,potrebbe effettivamente essere una collocazione tardiva di unedificio destinato a funzioni alternative (cioè pubbliche).

    L’ampliamento cronologico della sequenza insediativasull’isola, indiziato come abbiamo visto da una serie di ele-menti archeologici, non ha al momento trovato confermenelle ultime indagini. Resta naturalmente da verificare lanatura e la cronologia di quella struttura sommersa sul ver-sante nord-est dell’isola, ma uno studio più attento sullaformazione dei depositi (vd. infra) ci consente di escluderecon una qualche sicurezza la provenienza locale di moltiframmenti scoperti nel passato, in particolare quelli di epo-ca classica. Nel contempo nei pochi punti dove è stato pos-sibile leggere in norma verticale la stratificazione non sem-brano emergere indicazioni di sorta relative a paleosuperfi-ci o fasi di occupazioni collocabili anteriormente al XII-XIII secolo. Questo dato appare confermato dai risultati diuna serie di carotaggi, ancora inediti, eseguiti per conto delconsorzio Venezia Nuova dal dott. Lizziero nell’area 4000.Pertanto oggi l’ipotesi più plausibile ci sembra quella diun’occupazione antropica sostanzialmente tardiva e con-nessa, in prima istanza, con la realizzazione di un puntod’appoggio per i pellegrini in transito per la Terrasanta.

    Le campagne di scavo hanno dunque consentito di de-finire molti degli aspetti rimasti insoluti o incerti nelle pri-me indagini, ma nella sostanza essi si riferiscono principal-mente a componenti connesse con la topografia e la crono-logia dell’insediamento. Più in ombra sono rimasti altriaspetti che potrebbero essere a loro volta oggetto di specifi-che indagini: ne indichiamo almeno tre. Il primo riguarda lerelazioni del monastero con le famiglie ad esso legate, ancheda vincoli di parentela. Questo aspetto può essere affrontato,come è stato fatto, lavorando sulle fonti scritte, ma ancheanalizzando le strutture funerarie presenti nell’area del mo-nastero (ad esempio la grande tomba al centro della chiesa,in corso di studio da parte della Dott.ssa Bertoldi. Un indizioche il luogo fosse stato prescelto quale sede privilegiata disepolture di gruppi parentali, lo dimostrerebbe la presenzadi un frammento di lapide tombale indiscutibilmente riferi-

    Tavv. 1-2 – 1) Localizzazione dell’Isola di San Giacomo in Paludo nella laguna nord-Venezia; 2) Foto aerea zenitale dell’isola di San Giacomo inPaludo.

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    bile ad una sepoltura familiare (l’iscrizione, in lettere goti-che, reca una data non completa ma comunque nell’ambitodel XIV secolo: LAZZARINI 1988, n. 9, p. 83). Il secondoconcerne gli aspetti della dieta monastico/conventuale. Perapprofondire questa tematica sarebbe necessario indagareil cimitero delle monache e quello dei frati, finora non indi-viduati, ma forse identificabili (è un’ipotesi) lungo i corridoidel chiostro (mentre l’area propriamente interna del cortilenon ha finora restituito tracce di inumazioni). Inoltre si po-trebbero avviare analisi archeo-botaniche nell’area che sap-piamo destinata ad orto del monastero/convento (una zonacosì estesa da rendere plausibile l’ipotesi di una quasi auto-sufficienza alimentare da parte delle monache/frati) e, nel con-tempo, augurarci che possano venire alla luce discariche omo-genee di rifiuti domestici analizzabili sul versante archeo-zoologico. Infine si potrebbero studiare i caratteri della “cul-tura materiale” nell’ottica di un’archeologia volta a compren-dere i caratteri sociali delle associazioni. Da questo punto divista si è da tempo segnalata la peculiarità dei contesti mona-stico/conventuali come insiemi privilegiati per lo studio deicaratteri di genere oltre che di censo e di ordine dei cenobi(su questi problemi vd. GELICHI, LIBRENTI 1998, pp. 107-138).

    Le tematiche connesse con i monasteri/conventi in lagu-na, che anno goduto di un certo interesse sul versante storico(principalmente SPINELLI 1987; IDEM 1988; SORELLI 1988 ePOZZA 1998) sono state caratterizzate, sul piano archeologico,da tre principali filoni d’approccio. Il primo è stato quello direcuperare la conoscenza di questi complessi attraverso i datid’archivio, in particolare quelle fonti scritte e cartograficheche potessero contenere informazioni utili (piante, descrizionietc.) per la ricostruzione degli impianti originari (es. VEC-CHI 1983). Un secondo filone è quello che ha portato all’iden-tificazione materiale di molti contesti al seguito di un’analiticaperlustrazione pluriennale della laguna, caratterizzato dal re-cupero di un’ingente quantità di reperti ed accompagnato darilievi delle strutture portate alla luce da trasformazioni am-bientali (FERSUOCH 1995) e talvolta da saggi di scavo (FERSUOCHet al. 1989; CANAL 1995). Il terzo, e più recente, coincide conun’attenzione più avvertita ai problemi dell’archeologia lagu-nare (ed anche di quella post-classica) e che ha visto le dueSoprintendenze (quella per i Beni Archeologici e quella per iBeni Ambientali ed Architettonici) protagoniste di molti sca-vi/recuperi d’emergenza, in concomitanza anche con iniziati-ve volte ad indagare le strutture sepolte in acqua. Tra le molte

    iniziative che hanno contraddistinto quest’ultima fase della ri-cerca si inseriscono i lavori condotti all’interno e in prossimitàdi complessi ecclesiastici, segnatamente anche monastico/con-ventuali (per questi ultimi vd. ad es. San Francesco del Deser-to, DE MIN 2000a; convento delle Clarisse a piazzale Roma,Venezia, CESTER 2000).

    Queste diverse procedure di analisi, che esemplificanoanche in maniera molto chiara i modi d’intendere l’archeolo-gia in laguna nel tempo, sono risultate essenziali (ciascuna permotivi diversi) nell’indicare la centralità del dato materiale nellericostruzioni storiche dell’insediamento, ma nel contempo ap-paiono anche parziali per una molteplicità di ragioni: la setto-rialità delle fonti utilizzate (nel primo caso), la scarsa sistema-ticità nell’approccio archeologico (nel secondo), essenzialmentela casualità (nel terzo). Il posizionamento corretto di un pro-getto di ricerca deve innanzitutto passare attraverso il ricono-scimento di specifici tematismi (per le strutture monastiche inquesta sede ne abbiamo indicati alcuni), da perseguire peròdopo attente valutazioni sui caratteri degli insediamenti e sulgrado di conservazione e la natura dei depositi antropici (que-st’ultimo non è aspetto irrilevante, solo che si considerino l’usu-ra e gli stress cui tali depositi vengono sottoposti); così comefondamentale è comprenderne la formazione e se possibile laprovenienza, onde evitare pericolose tangenze interpretative.Solo una valutazione concreta di cosa e quanto è conservato(pre-esistenze, quando documentate, comprese) in rapporto aquello che vogliamo conoscere, può orientarci a costruire unapiattaforma operativa sulla quale calibrare con serietà tempi emodalità dell’intervento archeologico.

    NOTA

    * Le ricerche in regime di affidamento sono state realizzate nelquadro di una convenzione tra la Soprintendenza Archeologica delVeneto e l’Insegnamento di Archeologia Medievale del Dipartimen-to di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’Università Ca’Foscari di Venezia. Si coglie l’occasione per ringraziare il Soprinten-dente Reggente dott. Maurizia De Min e il dott. Luigi Fozzati, diret-tore di NAUSICAA, per la disponibilità dimostrata nell’avviare que-sto rapporto di collaborazione di cui San Giacomo ci auguriamo rap-presenti un primo episodio. Le ricerche si sono svolte in due circo-stanze: la prima, nell’inverno-primavera 2002, è stata realizzata suaffidamento del Consorzio Venezia Nuova, nel quadro di un lavorodi revisione documentaria delle strutture dell’ospizio/monastero con-servate sul versante est dell’isola. La seconda, nel giugno dello stes-so anno, è stata integralmente finanziata dall’Università Ca’ Foscari

    Tav. 3 – L’Isola di san Giacomo in Paludo vista dalla laguna.

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    e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia, essendo divenuto, questo sca-vo, momento formativo qualificante all’interno di un progetto regio-nale (fondi sociali europei). Fulvio Baudo, Carlo Beltrame e DiegoCalaon hanno poi seguito, sempre per conto del Consorzio VeneziaNuova, i lavori di restauro, rinforzo statico e ricostruzione dei murid’arginatura dell’isola. Il progetto di ricerca su San Giacomo si avva-le poi della preziosa collaborazione del V.A.S. (Verdi Ambiente So-cietà) che ha in gestione l’isola e dell’Équipe Veneziana di Ricerca(E.V.R.) che, da anni, opera un attento monitoraggio su questo sito.Questo lavoro deve molto alla cortese disponibilità e all’appoggio diGiulio Pozzana (Presidente dell’E.V.R.) e, naturalmente, di ErnestoCanal, insuperato conoscitore della laguna e generoso dispensatoredi consigli e informazioni.

    S.G.

    2. BREVI CENNI SULLE VICENDE DELL’INSEDIA-MENTO MONASTICO

    Il monastero di San Giacomo in Paludo è ricordato nellefonti scritte a partire dagli inizi del XIII secolo: la prima indi-cazione della presenza delle monache sull’isola, infatti, dataal 1238 quando si registra la donazione di un tratto di paludepresso San Giacomo a favore della Badessa Donata da partedella Chiesa di Santa Maria di Murano (CANIATO 1988, p. 22).Tuttavia l’impianto di un monastero femminile cistercense siinserisce all’interno di una precedente occupazione dell’iso-la, che vede alla metà del XII secolo l’istituzione di un ospi-zio destinato ad accogliere i pellegrini diretti in Terrasanta.

    La tradizione vuole che questa struttura ricettiva, colloca-ta funzionalmente a nord della città, in un’area periferica sulladirettrice di passaggio Torcello-Venezia, sia da legare alla fi-gura del Doge Pietro Polani che lo avrebbe fatto costruire nel1146. L’elogium che accompagna il suo ritratto ideale e politi-co nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale riportainfatti la dicitura «monasteria Sanctorum Clementis et Iacobide Palude construuntur» (CANIATO 1988, p. 16). Più precisa-mente sono riferibili ad un ospizio le indicazioni ricavate dalChronicon Venetum per lo stesso anno, dove Orso Badoer con-cede a Giovanni Tron un tratto di palude fra Murano eMazzorbo: «pro hospitali costruendo ad honorem Sancti Jacobipro peregrinorum receptione concessit» (DANDOLO, ChroniconVenetum, p. 281). Quarant’anni più tardi, una bolla papale diUrbano III, cita l’ «hospitalem Sancti Jacobi, iuxta fluviumpalude» (CANIATO 1985, p. 9).

    Un gruppo di indicazioni documentarie, distribuite uni-formemente lungo tutto il XIII secolo, testimoniano unadiscreta attività economica della comunità monastica di SanGiacomo: tali notizie ci mostrano le monache impegnate inuna serie di azioni di permuta, acquisto e donazione di pro-prietà fondiarie, oltre che nell’amministrazione dell’ortagliache occupa gran parte dello spazio della piccola isola di

    San Giacomo (CANIATO 1988, pp. 22-24). Nel giro di pocotempo, però, la situazione muta.

    Le fonti relative al XIV secolo sembrano infatti rivela-re condizioni di insicurezza per le monache nell’isola. Nel1333 è menzionata la condanna pecuniaria ad un certoPolutio Soranzo per essersi introdotto nel monastero ed avereingiuriato la badessa e le monache; e nel 1363 Pietro Baseioè condannato a due anni di carcere per avere prelevato dalconvento una monaca ed avere avuto commercio carnalecon la stessa (CANIATO 1988, p. 24).

    Nel 1441 le monache, ridotte solo al numero di due, perintervento del delegato apostolico di papa Eugenio IV ab-bandonano l’isola e il convento viene annesso al monasterodi Santa Margherita di Torcello (CANIATO 1988, p. 24).

    Nel 1456 si progetta da parte del Senato Veneziano l’edi-ficazione sull’isola di un lebbrosario, progetto che poi nonavrà seguito. Nel 1458 l’isola, abbandonata e in rovina, vieneaffidata a Francesco da Rimini dell’ordine dei Frati minorie nel 1459 vi si istituisce un priorato. Già nel 1460 paionoessere conclusi i lavori di riedificazione della chiesa volutidal nuovo priore, che prende possesso effettivo del com-plesso con un atto stipulato in «ecclesia parva noviterconstructa» (CANIATO 1988, pp. 24-25).

    Nel 1470, considerate le inadempienze di Francesco daRimini, il complesso monastico torna nell’orbita dei minoriconventuali della Basilica dei Frari di Venezia. Da questomomento in poi la presenza sull’isola sembra ridursi a po-che unità: vi si ritrovano un padre dei Frari che officia lamessa, mantiene le strutture superstiti e si trattiene nell’iso-la insieme «ad un laico regolare e ad un servitore secolare»(IDEM 1988, p. 25).

    Il degrado dell’isola aumenta nel corso del XVIII seco-lo, quando a più riprese i padri dei Frari si rivolgono allaRepubblica per invocare un restauro della pubblica cavanae delle arginature perimetrali (CANIATO 1985, p. 49). Nel1810, in seguito alla soppressione del convento dei Minoridella Basilica dei Frari, anche il complesso di San Giacomoviene ugualmente chiuso e nell’arco di pochi anni va in-contro ad una quasi completa demolizione.

    La pianta del 1849 eseguita dal Governo Provvisoriodella Repubblica Veneta illustra l’impianto di tipo militareche a partire dalla seconda metà del XIX secolo si installasull’isola con tre batterie di cannoni ed una polveriera(CANIATO 1988, p. 22). Nei primi decenni del XX secolol’esercito Italiano trasforma l’isola, eliminando le coltiva-zioni dell’ortaglia vignata centrale per fare posto ad un gran-de deposito di polveri da sparo costituito da tre grandi edi-fici separati da imponenti terrapieni.

    F.B., D.C.

    Tav. 4 – 1696 - “San Giacomo in Paludo Veduta dalla Parte di levante”, tratta da CORONELLI 1696.

  • 247

    3. LA STRATEGIA DELL’ INTERVENTO

    Ai fini della comprensione della sequenza relativa eassoluta delle fasi di insediamento sull’isola, si è scelto diprocedere sia con uno studio dei resti murari visibili in ele-vato, sia con uno scavo quanto più esteso possibile.

    Nel corso del 2002 si sono tenute due campagne di sca-vo che hanno interessato rispettivamente l’area 1000 el’area 2000: in totale l’indagine sui bacini sepolti si è este-sa su una superficie di circa 395 m2 (Tav. 6) ubicata pressole strutture individuate come pertinenti all’ospizio/mona-stero e alla chiesa, nel settore nord – est dell’isola.

    Lo scavo stratigrafico, condotto manualmente, ha rag-giunto la massima profondità di circa 1 metro rispetto alpiano di campagna (+ 0,375 m s.l.m.), con una media dicirca 40 cm su tutta l’area di scavo.

    La scelta della localizzazione di quest’area discendeda una valutazione della morfologia dell’isola, dal mo-mento che si tratta di una zona non abitualmente sogget-ta alle ingressioni delle maree medio-alte. Questa sceltaoperativa ha permesso di studiare una sequenza strati-grafica non alterata da fattori naturali e pertinente ad unsettore di grande interesse per la comprensione dell’or-ganizzazione dello spazio e delle funzioni dei complessimedievali.

    Data la presenza di strutture militari, sia del XIX che delXX secolo, si è prestata la dovuta attenzione anche ai depositidi epoca più recente, in modo da avere un quadro di informa-zioni non selettivo su tutte le fasi di occupazione dell’isola.

    S.G., F.B., D.C.

    4. LA SEQUENZA INSEDIATIVA

    Allo stato attuale sono state riconosciute sette fasi di-stinte di occupazione.

    Tale sequenza copre un arco cronologico che dal pro-babile XII secolo arriva fino al XX secolo, e mette in evi-denza strutture murarie e bacini archeologici relativi rispet-tivamente all’ospizio per pellegrini, al monastero cistercen-se, alla chiesa di San Giacomo e, infine, alle strutture mili-tari del XIX e XX secolo.

    In particolare la fase pertinente all’ospizio è indiziatasulla scorta delle analisi delle strutture murarie ancora visi-bili, su cui è stata compiuta un’analisi stratigrafica. Per quan-to riguarda il complesso monastico si dispone invece di datirelativi sia alla sequenza architettonica, sia alle fasi di oc-cupazione tardive.

    Lo svuotamento di una profonda canaletta di scolo(us 1009 = 1061) legata alle strutture militari di XX secoloha permesso di giungere ad uno strato di sabbia (us 1074)non intaccato da processi antropici, direttamente poggiantesui livelli limosi costituiti da depositi alluvionali e lagunari.La sezione visibile nelle pareti della canaletta rivela una stra-tigrafia non molto profonda (max. 1 m dal piano di campa-gna), la cui lettura permette di ipotizzare che l’impostazionedelle strutture pertinenti al complesso ospizio/monastero siinserisce in un’area non occupata da precedenti strutture in-sediative e quindi priva di contesti anteriori al XII secolo.

    Tale ipotesi è corroborata dai recenti carotaggi ese-guiti nell’area occidentale dell’isola (area 4000) per contodel Consorzio Venezia Nuova, ora in fase di studio ed ela-

    Tav. 5 – 7 maggio 1796 - Planimetria dell’Isola di San Giacomo in Paludo, ossia “vigna detta di San Giacomo del Paludo”, disegno adinchiostro ed acquerello eseguito dal “Pubblico Ingegner e perito” Carlo Scarabello - Scala 150 piedi Veneti, (A.S.V., Santa MariaGraziosa dei Frari, b. 112, pubbl. su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, atto concessione n.19 /2003, Protocol-lo 3248v.12, sez. di fotoripr. dell’Archivio di Stato di Venezia).

  • 248

    borazione. Questi, infatti, ad una prima analisi autoptica,non sembrano evidenziare depositi di natura archeologicaal di sotto dei livelli medievali già accertati.

    PERIODO VII (Secolo XII)

    Al periodo VII appartengono una serie di strutture mu-rarie ubicate nell’area orientale dell’isola (Area 1000), ca-ratterizzate da una particolare tecnica costruttiva (tecnica n. 1),distinguibile dall’uso esclusivo di un tipo di laterizio conun modulo costante (18×8,5×4,5 cm) definito localmente“altinella” (VAROSIO 2001, p. 49).

    La collocazione stratigrafica di queste strutture rivelachiaramente una fase di anteriorità rispetto all’impiantomonastico successivo (monastero/chiostro/chiesa). Questoe soprattutto il tipo di materiale da costruzione impiegato ciautorizzano ad identificare tali strutture come pertinenti al-l’impianto unitario dell’ antico ospizio per pellegrini, chesecondo le fonti cronachistiche sarebbe stato voluto dal dogePietro Polani nel XVI anno del suo mandato, cioè nel 1146(POZZANA 1988, p. 28).

    Il complesso, dunque, sarebbe costituito da un corpo difabbrica sub-rettangolare con andamento nord-sud, riparti-to internamente da setti murari ad andamento est-ovest performare una serie di ambienti in sequenza di lunghezza no-tevole (oltre 10 m).

    Se si tratta, come plausibile, dell’ospizio, sarebbe pos-sibile ipotizzare per questi lunghi ambienti un’originariafunzione di dormitori comuni gravitanti intorno ad un grandeaula centrale (ambiente 5).

    Si sono individuate come murature costituenti il peri-metro dell’ospizio le usm 1002, 1018 e 1045.

    Usm 1002 rappresenta il perimetrale ovest del comples-so, prospiciente il centro dell’isola, e si estende con anda-mento nord-sud per un tratto visibile di m 23,6 circa: con-servato fino a sei corsi d’altezza, è interamente riferibileall’alzato mentre le fondazioni sono tuttora coperte dai de-positi. La tecnica muraria 1 è stata individuata come carat-

    terizzante le strutture più antiche presenti nel sito, e si ritro-va infatti in usm 1018, al quale usm 1002 è chiaramentelegata. Questa struttura costituisce il perimetrale nord delcomplesso, mentre usm 1045, sub-parallelo a usm 1002, èstato riconosciuto come perimetrale est, non solo dell’ospi-zio, ma di tutto questo lato dell’isola. Di questa strutturanon rimane l’alzato a causa dell’aggressiva azione dellamarea e dei venti. La fondazione è in condizioni di letturanon ottimale a causa della copertura di alghe e concrezionibentoniche e della sua quota che si imposta per la maggiorparte del tempo al di sotto del livello medio mare. Per que-sti motivi i rapporti fisici fra usm 1045 e usm 1002-1018non sono ben visibili, ma è stato possibile dedurne la lorocontemporaneità di edificazione dalle relazioni stratigrafi-che con usm 1021 e 1027 (appoggiate sia a usm 1045 che ausm 1002 ed interpretabili dunque come setti murari co-struiti contestualmente ai due perimetrali per ricavarne de-gli ambienti). Il riconoscimento dei rapporti di contempo-raneità di usm 1045 (perimetrale est del probabile ospizio edell’isola) e di usm 1021, 1027, 1028 e 1031, setti murariinterni costruiti in tecnica n. 1, permettono di scartare l’ipo-tesi che l’isola fosse maggiormente estesa rispetto al peri-metro attuale e che usm 1045 abbia tagliato le strutture ori-ginali del complesso (E. e S. CANAL 1988a, p. 32). (Tav. 13)

    Pertinenti al periodo VII, dunque, sono 6 vani rettan-golari orientati est-ovest. Tra questi si evidenzia il grandeambiente 5, di forma leggermente trapezoidale, con gli assicentrali di 10,4 m. Tale ambiente, di cui è già stata postain luce una pavimentazione in cocciopesto ora non più con-servata (E. e S. CANAL 1988b, p. 36) e a quota inferiore unpavimento in “altinelle” poste di piatto in opus spicatum(tuttora visibile, SO 10001, tecnica n. 6), è contrassegna-to dalla presenza al centro di una importante sepoltura re-alizzata con muretti sempre in “altinelle” e con una coper-tura in lastre di pietra, in asse con l’ingresso al vano(usm 1050). Questi elementi di rilievo hanno suggeritol’ipotesi che si tratti di una sala di notevole importanzanel complesso.

    Tav. 6 – Localizzazione delle aree indagate e degli edifici presenti sull’Isola.

  • 249

    Ai lati dell’ambiente 5 si trovano disposti simmetrica-mente due ambienti (n. 4 e n. 6) di uguali dimensioni (3,8m per 10 m circa): l’accesso a tali ambienti è stato indivi-duato su usm 1002, con le definizioni di soglia usm 1056e 1051.

    Il perimetrale sud di questa fase del complesso è proba-bilmente da individuarsi in usm 1029, di cui si possono ve-dere le fondazioni in pietra con una tecnica analoga a usm1045 e 1018 (tecnica 1b). Inoltre usm 1029 delimita conusm 1027 uno spazio di 3,8 m di larghezza, quindi analogoagli ambienti 6 e 4. Questo vano è ulteriormente suddivisoda un setto murario (usm 1028) che definisce gli ambienti 7ed 8.

    A questo periodo, inoltre, appartiene per tecnica costrut-tiva e rapporti stratigrafici anche usm 1031, perimetraledell’ambiente 9, le cui funzioni, come quelle degli altriambienti, potranno essere meglio comprese attraverso l’in-dagine dei depositi archeologici sepolti, realizzabile soloprevia chiusura e isolamento dell’area dalle maree.

    PERIODO VI

    Il periodo VI corrisponde alle attività di costruzione e divita del monastero di San Giacomo. Si sono individuate duefasi, corrispondenti rispettivamente al primo impianto mo-nastico degli inizi del XIII secolo legato alle monache cister-censi e la seconda alle ristrutturazioni e ri-funzionalizzazionidella seconda metà del XV secolo, legate all’attività deiminori conventuali dei Frari.

    I Fase (Secolo XIII-prima metà secolo XV)L’analisi stratigrafica degli elevati ha posto in evidenza

    una seconda fase costruttiva, individuata nell’impianto sul-le strutture dell’ospizio ancora in uso delle usm 1019 e 1015e che potrebbe riferirsi al monastero femminile cistercense,noto a partire dal XIII secolo (CANIATO 1988, p. 22). Talimurature, con andamento est-ovest, si caratterizzano per unadiversa tecnica costruttiva (tecnica 2), per la presenza inusm 1015 di una fondazione di spessore notevolmente piùampio delle altre strutture individuate (circa 1 metro) e, in-fine, per l’orientamento di entrambe le murature che si di-scosta di circa 2,5° dall’ortogonalità di usm 1002-1018.

    A tale fase si collegano altre due strutture di più difficilelettura (usm 1014-1017) e soprattutto i due piani pavimentaliin cocciopesto visibili nell’ambiente 1 (us 1099, 1100).

    La ripartizione planimetrica degli spazi all’interno delcomplesso sembra non cambiare radicalmente, ma interven-gono evidenti mutamenti d’uso degli ambienti. Tutta l’areaorientale dell’isola sembra essere destinata alle attività lega-te alla vita quotidiana della comunità monastica. In partico-lare l’ambiente 5, data la sua ampiezza, centralità e la pre-senza della sepoltura (ancora segnalata sul nuovo pavimentoin cocciopesto da una base gotica di colonnina poggiante suusm 1026, plinto realizzato in “altinelle”: DORIGO 1983, p.290) potrebbe aver avuto una funzione di Sala Capitolare.

    L’ambiente 5 si apre su uno spazio aperto interpretatocome chiostro, il lato settentrionale del quale è delimitatoda un grande edificio (ambiente 16) indagato solo parzial-mente poiché risulta coperto dal terrapieno R.

    Tav. 7 – Periodizzazione strutture: A) Periodi VII e VI; B) Periodi IV e II.

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    Allo stato attuale della ricerca non è possibile ancoraidentificare l’esatta ubicazione e la tipologia delle strutturedella chiesa relativa a questa fase. Le prossime indagini ar-cheologiche potranno confermare se la chiesa di XIII seco-lo poteva trovare posto sul lato settentrionale dell’isola, doveattualmente si trova l’impianto ecclesiastico relativo alle fasilegate ai minori conventuali dei Frari. Un’ulteriore ipotesiè che i due edifici potessero avere un utilizzo contestualecome luoghi di culto e preghiera, l’uno, l’ambiente 5, lega-to alle funzioni private delle monache, l’altro, la chiesa sullato settentrionale, aperto ai visitatori.

    II Fase (II metà secolo XV-prima metà secolo XVI)

    Sul settore settentrionale è situata la cappella dedicataa San Giacomo, con orientamento non canonico nord – sud,con ogni probabilità determinato da una serie di fattori con-nessi con la viabilità lagunare: infatti il principale canale diaccesso all’isola, il canale di San Giacomo, si situa propriosu questo lato.

    La prima attestazione documentaria di questo impiantoè del 1460 (CANIATO 1988, p. 25).

    È interessante rilevare che l’area antistante alla chiesasembra essere caratterizzata da una fruizione di tipo pubbli-co: in antico si trovava probabilmente nelle stesse condizionitestimoniate dalle piante del 1768 e 1796 (CANIATO 1988,p. 23), cioè separata dall’area di pertinenza delle comunitàmonastiche da un setto murario. Sul fronte nord dell’isola,inoltre, si apre una «pubblica cavana» a cui è connesso uno«scoperto di pubblica ragione» (didascalia nella pianta del1768 di P. Rossi, Pubblico Perito, in CANIATO 1988, p. 23).

    Lo scavo del chiostro (area 1000) ha messo in luce pres-so l’usm 1019 una pavimentazione in “altinelle” (us 1064,tecnica 7) disposte di taglio in opus spicatum delimitata adest da un breve cordolo pure in “altinelle” (us 1048). Si trattadi una superficie pavimentata esterna, cioè una sorta di cor-ridoio posto al margine nord dello spazio aperto all’internodel monastero. Con ogni probabilità questo passaggio do-veva servire da collegamento fra le strutture sul lato estdell’isola, dormitori e sala capitolare, e la chiesa.

    In fase con l’utilizzo di tale struttura di passaggio, lospazio aperto individuato è costituito da un battuto di argil-

    la (us 1084) consolidato con malta, di cui si sono indivi-duati due lacerti (us 1083 e 1082, Tav. 10).

    La chiesa è attualmente coperta per il 50% dal terrapie-no ottocentesco (terrapieno R), ed è quindi non indagabilenella sua totalità.

    L’edificio è costituito da un’unica aula larga 7 m e lun-ga 9,5 m circa con abside inscritta costituita da due settoridi arco. L’entrata era rivolta a nord e in asse con una sepol-tura privilegiata posta al centro della chiesa. Attualmentel’ingresso non risulta visibile perché coperto dal marcia-piede dell’edificio F.

    Il perimetrale sud della chiesa, usm 2027, visibile soloper un tratto di circa 3,5 metri e per pochi corsi in alzato, èrealizzato in tecnica 2 e presenta lacerti di copertura di in-tonaco bianco nei prospetti interni. La struttura si lega conusm 2028 che costituisce invece il perimetrale ovest, an-ch’esso superstite solo per pochi corsi. Questo tratto dimuratura, ad andamento nord-sud, è conservato per circa6-7 metri e si presenta rasato alla stessa quota delle altrestrutture dell’area, indice di una volontaria distruzione espianamento, come è testimoniato anche dai consistenti stratidi riempimento del vano interno della chiesa (us 2014 e2039) costituiti quasi completamente da laterizi, “altinel-le”, calce e frammenti di intonaco rosso stesi con andamen-to tabulare. Sia all’interno di queste us che ancora in posanell’usm 2028 si notano laterizi di modulo maggiore rispet-to alla norma (30×15 cm).

    L’abside della chiesa, di cui rimane visibile circa unquarto di arco, risulta inscritta all’interno dei due perime-trali ed in appoggio ad essi. È costituita da laterizi di di-mensioni regolari (24,5×12 cm) in alternanza di fascia etesta, poggianti su una superficie orizzontale in laterizi e“altinelle” disposti di piatto (usm 2098), probabilmente sem-plice variante della tecnica costruttiva 2 dovuta alla parti-colare conformazione delle strutture. Fra l’abside e il peri-metrale sud è visibile una sorta di intercapedine costituitada un solo filare di “altinelle” spezzate, probabilmente direimpiego, disposte di fascia.

    Il perimetrale nord è, come detto, obliterato dall’edificionovecentesco rivolto verso il canale (edificio F), anche se incorso di scavo è parzialmente emerso un lacerto murario (usm2041) che potrebbe far parte di questo prospetto. Il suo pes-

    Tav. 8 – Complesso ospizio/monastero (Area 1000) – Rilievo caratterizzato ambienti 1, 2, 4, 5 6, 7 e 8.

  • 251

    Tav. 9 – Area 2000: Rilievo caratterizzato ambiente 18 (chiesa).

  • 252

    simo stato di conservazione, aggravato dai recenti lavori dicantiere per la ristrutturazione dell’edificio, non permette peròdi compiere ulteriori osservazioni al riguardo.

    Lo scavo all’interno della chiesa ha messo in luce unapavimentazione in cocciopesto (usm 2052) di colore rosatosu cui sono visibili numerose impronte (usm 2106), alcunedelle quali presentano segni relativi all’alloggio di elemen-ti in metallo pertinenti probabilmente ai sostegni di arredisacri. Laddove il pavimento risulta tagliato da interventirecenti non autorizzati appena precedenti allo scavo(us 2015), è possibile osservare come ad una quota inferio-re si trovino ulteriori lacerti di un’altra pavimentazione,sempre in cocciopesto (us 2109).

    La sepoltura, EA 20001, costituita da cassa in laterizi intecnica 5, era probabilmente coperta originariamente da unalastra marmorea, per il cui alloggiamento sono ancora visibi-li gli incavi. Il fondo risulta realizzato con una gettata di cal-ce uniforme (usm 2099) su cui si imposta una pavimentazio-ne in cocciopesto (us 2072), conservata per meno di metà nelsettore nord della sepoltura stessa. La tomba è orientata pa-rallelamente al perimetrale ovest dell’edificio (usm 2028) epur in mancanza della planimetria completa della chiesa èpossibile dedurne la posizione centrale all’interno dell’aula.La sepoltura misura 108×205 cm per una profondità di circa60 cm. Tale sepoltura ha avuto con ogni probabilità una suc-cessione di deposizioni nel corso del tempo, nessuna dellequali si è conservata intatta fino ad oggi. Lo scavo, infatti, hamesso in luce una serie di attività di svuotamento, finalizzatea nuove inumazioni. L’ultima azione di apertura della tomba,condotta al momento di abbandono della chiesa nel secolo

    XIX (periodo III), è stata finalizzata all’asportazione com-pleta dei resti scheletrici. Nonostante questo, negli angoli enel fondo della struttura in laterizi, si sono riconosciuti nu-merosi frammenti di ossa appartenenti senza alcun dubbio apiù individui. L’azione volontaria di spoglio della tomba e ilsuo successivo riempimento con terra frammista a pietre eframmenti di laterizio è confermata dalla pressoché totaleassenza di parti ossee “nobili” come i crani, mentre rimango-no frammenti delle ossa lunghe e numerose ossa minute (ver-tebre, falangi, frammenti di costole).

    Oltre all’edificio ecclesiastico sono state individuatealtre strutture realizzate in tecnica 2. Si tratta in particolaredi una serie di tre lacerti murari fra loro legati (usm 2100,2030 e 2031=1019), leggermente discosti dall’ortogonalitàdei perimetrali dell’aula di culto e ad essi appoggiati.

    Un ulteriore lacerto murario, usm 2032, con andamen-to est-ovest, risulta appoggiarsi a 2030-2031 con un angololeggermente inferiore a quello retto. Questo elemento strut-turale costituisce probabilmente il perimetrale di un corpodi fabbrica di cui però non è stato possibile individuare laplanimetria a causa dei limiti dell’area di scavo. È interes-sante comunque notare la presenza, nella pianta del 1796 diun edificio quadrangolare individuato come “casa dell’or-tolano” proprio in questo punto (ASV, Santa Maria Glo-riosa dei Frari, b. 112, edito in CANIATO 1988, p. 23).

    Il più antico piano d’uso individuato all’interno di que-sto ambiente (us 2110), su cui si è fermato lo scavo, è costi-tuito da un battuto argilloso di colore bruno con spargimen-ti di calce e segni di fuoco, indice di un utilizzo abitativodell’ambiente.

    Tav. 10 – Pianta fase del periodo VI, area 1000.

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    PERIODO V (Fine secolo XVI-prima metà XVIII)

    Il periodo V corrisponde all’ultima fase di vita del com-plesso monastico, nella quale è individuabile un continuouso e mantenimento delle strutture della chiesa e della co-siddetta “casa dell’ortolano” (ambienti 18-17), mentre siassiste all’inizio del degrado delle strutture del monastero.

    Al periodo V si riferisce la ri-funzionalizzazione della pa-vimentazione/passaggio in “altinelle” (us 1064). Sono statiindividuati, infatti, due tagli di forma semicircolare (diametrodi circa 1 m) in prossimità del muro (usm 1019) a distanza di1,5 metri l’uno dall’altro (us 1085 e 1087). Si tratta con tuttaprobabilità di spazi ricavati per l’alloggiamento di strutture odelementi di cui ancora non si è compresa la funzione.

    Lo stesso pavimento, inoltre, è stato delimitato sul latosud da un muro di dimensioni e altezza non particolarmenteconsistenti, individuato da un allineamento di laterizi(usm 1049) e da un piccolo taglio di fondazione (us 1089). Sitratta di una sorta di basso parapetto a chiusura del passaggioin “altinelle” (us 1064) che rinforza l’ipotesi della presenza diun chiostro con un percorso pavimentato lungo le strutture.

    Sempre a questa fase sono da ascriversi un breve lacer-to murario con direzione nord-sud (us 1047), allettato conmalta (us 1080) direttamente sopra la pavimentazione in“altinelle” (us 1064) e alcuni strati sabbiosi (us 1079 e 1094)posti ad est della stessa pavimentazione. Tra queste attivitàsi è riconosciuta una piccola canaletta di scolo direzionataad est verso la laguna (us 1093).

    In questo periodo, probabilmente per far fronte ad unaumento del livello medio di marea, si imposta un nuovopavimento (usm 2025) nella chiesa a circa 40 cm al disopra del precedente (usm 2052). Tale pavimento, conser-vato nella sua parte di allettamento costituita da pietramefine spezzato e frammenti di laterizi legati da calce, eraprobabilmente realizzato in cocciopesto. Contestualmen-te nell’ambiente 17, “casa dell’ortolano”, il nuovo pianorialzato di calpestio (us 2049) contiene numerosi fram-menti e scarti di fusione del vetro associati alla presenzadi un crogiolo in materiale refrattario. Si tratta dei resti diuna piccolissima attività produttiva di tipo artigianale con-notata da un utilizzo di breve durata (deboli tracce di fuo-co) a poca distanza dagli impianti proto-industriali diMurano.

    PERIODO IV (Seconda metà XVIII secolo-prima metà XIX)

    Nel periodo IV si leggono le tracce relative al progres-sivo abbandono delle strutture.

    Nell’area 1000 si assiste ad una graduale crescita dei livel-li con strati ricchi di sabbia e argilla, probabilmente generatidalle successive ingressioni marine (us 1076, 1077, 1078, 1081)che documentano la cessazione delle normali attività di manu-tenzione dell’area aperta con funzioni di chiostro. Una sortediversa è riservata per l’area della chiesa, la quale con ogniprobabilità risulta ancora conservata in alzato, con una nuovapavimentazione (us 2024) posta ad una quota di 10 cm più alta

    Tavv. 11-12 – 11) Sez. N/S area 1000, “Chiostro”; 12) Sezione E/O area 2000, “Chiesa”.

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    rispetto al pavimento appena precedente (us 2025). È plausibi-le che anche dopo la definitiva soppressione del monastero diSanta Maria Gloriosa dei Frari nel 1810 (POZZANA 1988, p. 29)l’edificio fosse ancora utilizzato. Si assiste ad una progressivacrescita dei depositi anche esternamente alla chiesa (us 2077),all’interno dell’ambiente 16 (us 2009) e all’interno della “casadell’ortolano” (us 2037), evidentemente non più conservata inalzato. Caratteristica comune di questi depositi è la notevolepresenza di malacofauna, indice di penetrazione delle mareeassociata a una grande quantità di materiale di crollo testimo-ne del degrado progressivo delle strutture.

    Nell’area del monastero in questo periodo vengonoimpiantate una serie di strutture (usm 1041, 1042, 1043,1033, 1032, 1034) realizzate con una tecnica muraria piùmodesta (tecnica 3), poste nel settore meridionale a deli-mitazione degli ambienti 10, 11 e 15, la cui funzione èimpossibile da determinare data la copertura di materialedi riporto e depositi ancora presenti. Un confronto inte-ressante è quello con la pianta dell’isola eseguita dal Ge-nio Militare durante l’assedio austriaco di Venezia del 8marzo 1849, conservata presso l’Istituto di storia e cultu-ra dell’Arma del Genio – Roma, Cartella Disegni – Venezia(edita in CANIATO 1988, p. 22), in cui nell’area in questio-ne appare un edificio indicato come “polveriera” (Tav. 28).

    PERIODO III (Seconda metà XIX secolo)

    Nel momento in cui nell’isola si insedia un nucleo delcomando del governo provvisorio austriaco di Venezia l’area

    viene volutamente spianata ed adibita ad usi militari. Lestrutture murarie vengono rasate ad un’unica quota e i ma-teriali di risulta vengono utilizzati per livellare l’area(us 2014, 2039, 2066 e 2020). La tomba (EA 20001) vienedefinitivamente svuotata ed abbandonata: il suo riempimentoè costituito, infatti, da strati di riporto e manca completa-mente la copertura. Sugli strati ottenuti da questa opera dispianamento e di rialzo dell’area si inserisce la strutturamuraria 2033 che probabilmente ha funzione di muretto dicontenimento del terrapieno R costruito proprio sopra quellache era l’area della chiesa.

    Nell’area del chiostro è stata indagata l’us 1095, stratodi crollo particolarmente ricco di frammenti di laterizi ed“altinelle” probabilmente provenienti dal disfacimento del-la struttura usm 1019. A copertura di questo strato di crollosi sono individuate le us 1075, 1030, 2020 e 2035, depositidi spessore consistente. In particolare la superficie di 1030può essere interpretata come un livellamento dell’area com-piuto quando ormai non era più possibile riconoscere alcu-na delle strutture monasteriali.

    PERIODO II (Inizio XX secolo)

    Questo periodo è pertinente alle fasi di utilizzo dell’arealegate all’impianto delle polveriere di inizio XX secolo da par-te dell’Esercito Italiano: al posto dell’area adibita a colturavignata presente al centro dell’isola si costruiscono tre grandistrutture (Edifici A, B e C) con funzione di deposito delle pol-veri da sparo separate da consistenti terrapieni (terrapieni M,L, I) per impedire un eventuale scoppio a catena. Le polverie-re, realizzate in tecnica 4, hanno un perimetro di circa 47,5×12,5m e presentano i resti di una copertura a padiglione (a 4 spio-venti). Il volume di ciascuna polveriera era interamente scher-mato tramite una sofisticata gabbia di Faraday e le polveri ve-nivano poste su pavimenti rialzati poggianti su sospensure pergarantire l’isolamento da umidità e alte maree.

    L’indagine nell’area 1000 ha permesso di riconosce-re alcune attività legate all’edificazione della polverieraA (Tav. 6), tra cui: un marciapiede in laterizi disposti ditaglio con posa in opera alternata (us 1004, tecnica 8);un taglio di canaletta (us 1005) per lo scolo delle acquepiovane provenienti dal tetto della polveriera stessa, pa-rallela al marciapiede; un secondo taglio e relativo riem-pimento (us 1007 e 1008) di una grande trincea con an-damento nord-sud parallela al prospetto est della polve-riera. Tale trincea è stata interpretata come una grandefossa di drenaggio per l’acqua piovana e/o per le ingres-sioni marine data la natura del riempimento, costituito inmassima parte da laterizi interi e frammentati, coppi, pie-

    Tav. 13 – Complesso ospizio/monastero – Dettaglio del rapportofra usm 1028 e usm 1045.

    Tav. 14 – Particolare della pavimentazione in “altinelle” SO 10001– Tecnica 6 – Area 1000 – Ambiente 5.

    Tav. 15 – Veduta generale della chiesa da nord.

  • 255

    trame di varia pezzatura e ghiaino. Infine è stato indivi-duato il taglio (us 1009 = 1061) di una profonda canalet-ta di scolo con andamento est-ovest, larga circa 1-1,1 m.Il fondo di questo scolo per le acque è costituito da unaserie di frammenti di coppi disposti di piatto direttamen-te poggianti sullo strato sabbioso sterile (us 1074). Purnon essendo state individuate delimitazioni in muratura,probabilmente asportate, si è potuta riscontrare un’ana-logia strutturale e funzionale con la canaletta in laterizicoperta da lastroni di pietra di riutilizzo (usm 1037) pre-sente nell’area sud-ovest dell’isola in corrispondenzadella polveriera B.

    Pertinenti a questo periodo ma non ulteriormente iden-tificabili sono due lacerti murari in cattive condizioni diconservazione poggianti sui livelli di riporto del periodoprecedente (usm 1035 e 1036).

    PERIODO I (Seconda metà XX secolo)

    A questo periodo appartengono recentissime attivitàdi sterro (us 1062, 1063, 2015) che purtroppo, soprattut-to per l’area della chiesa hanno seriamente compromes-so le stratigrafie fino ai livelli di XV secolo. Si assisteinfine alla normale formazione di strati superficiali (us1001, 2002, 2008) costituiti dalla crescita di humus conla concorrenza di notevoli depositi dovuti alle azioni dellealte maree.

    F.B., D.C.

    5. I MATERIALI CERAMICI

    5.1 METODOLOGIA D’INDAGINE SUI MATERIALI

    L’ analisi preliminare dei materiali ceramici rinvenuti aSan Giacomo ha evidenziato che spesso reperti appartenentialla medesima unità stratigrafica non erano contemporanei;il fenomeno era talmente evidente che è stato necessarioindagarne l’entità per poter interpretare correttamente laformazione dei depositi.

    È stato dunque necessario ricorrere a metodi quantitati-vi che definissero il grado di eterogeneità di ogni contestoin modo da rendere possibile un’interpretazione sulla for-mazione del deposito.

    Il metodo quantitativo utilizzato si basa sulla datazionedi ogni frammento rappresentativo di un contenitore, al finedi stabilire il grado di rappresentatività dei materiali di undato secolo fornendo seriazioni cronologiche per ogni con-testo.

    L’indagine ha rilevato la presenza di strati con materia-li contemporanei pertinenti alle fasi di occupazione dell’isoladi XVI-XVII secolo e di contesti con ceramiche apparte-nenti a secoli diversi; in quest’ultimo caso l’arco cronolo-gico documentato dai materiali va dagli inizi del XV al XIXsecolo, con una forte incidenza di attestazioni per quantoriguarda il XVI ed il XVII secolo.

    Lo studio dei numerosi reperti sporadici rinvenuti sul-l’isola ha evidenziato la presenza anche di materiali piùantichi (il più antico è di origine attica ed è datato alIV sec. a.C.) generalmente di epoca romana o bizantina(CANAL 1988) e di fine XIII secolo; la stragrande maggio-ranza dei reperti è comunque assegnabile, anche in questocaso, ai secoli XVI e XVII.

    5.2 TIPOLOGIE DI MATERIALI

    Ceramiche di produzione locale

    MATERIALI DI FINE XIII-XIV SECOLOI materiali ceramici più antichi rinvenuti a San Giacomo

    durante le campagne di scavo del 2002 sono databili tra lametà e la fine del XIII secolo: si tratta di alcuni frammenti diinvetriate tipo “S. Croce” verde (GELICHI 1993b, p. 250) e diun frammento di “Spirale-cerchio” (BERTI, GELICHI 1997;GELICHI 1986; GELICHI 1993a). È presente inoltre la tipologia“S. Bartolo”, le cui prime certe attestazioni risalgono al al-l’ultimo quarto del XIII secolo (GELICHI 1986, p. 381). Que-sto tipo ceramico è rappresentato dalla categoria delle inve-

    Tav. 16 – Sepoltura all’interno dell’ambiente 18. A) Veduta unitaria, B) Particolare.

    Tav. 17 – Complesso Ospizio/Monastero – Sepoltura all’internodell’ambiente 54

  • 256

    Tav. 18 – 1) “Graffita arcaica padana”; 2), 4)“Graffita rinascimentale”; 3) ingobbiata decorata a maculazione; 5) “Berettina”. (Pun-tinato sottile: verde; puntinato grosso: giallo; griglia: blu).

    triate e dipinte in bruno, mentre non vi è traccia di ceramichegraffite della medesima tipologia. Infine è documentata lapresenza di “maioliche arcaiche”, un tipo di ceramica smal-tata che fa la sua comparsa a Venezia verso la metà del XIVsecolo (SACCARDO 1990, p. 111).

    MATERIALI DI XV SECOLOLa tipologia delle “graffite arcaiche padane”, che fa la

    propria comparsa agli inizi del XV secolo nel Veneto (NE-POTI 1989), è scarsamente rappresentata nei reperti diSan Giacomo: si tratta di pochi frammenti pertinenti a for-

  • 257

    Tav. 19 – 5-7) Ingobbiata e graffita a punta; 8) graffita a stecca; 9) ceramica con decorazione a decalcomania; 10) ceramica ad impastosilico alcalino; 11) ceramica graffita bizantina:1. (6, 7: puntinato sottile: verde; puntinato grosso: giallo; 10: decorazione in blu).

  • 258

    me aperte ed in un caso a chiuse; il profilo dei contenitori èin genere scarsamente ricostruibile ad eccezione di un cati-no con orlo a tesa (Tav. 18.1).

    Altri materiali ascrivibili al XV secolo sono identifica-bili in frammenti pertinenti alle cosiddette “graffite rinasci-mentali”, datate alla seconda metà del XV secolo (GELI-CHI 1989; NEPOTI 1991); i reperti di forma aperta, ciotole oscodelle, documentano le decorazioni caratteristiche di taletipologia, come busti centrali (Tav. 18.2) e fasce intrecciateposte sotto l’orlo.

    MATERIALI DI XVI SECOLOLe ceramiche assegnabili a tale secolo sono decisa-

    mente le più rappresentate tra i reperti di San Giacomo.Tra le ceramiche invetriate si distingue, a partire dalla metàdi questo secolo, un tipo di contenitore con caratteristicheprecise e ricorrenti: una pentola con corpo globulare, apo-do, con orlo arrotondato ed ansa a nastro con una leggeradepressione mediana oppure ansa a bastoncello; gli esem-plari sono caratterizzati sotto l’orlo da una fascia di solca-ture orizzontali. Questo contenitore, estremamente diffu-so a San Giacomo, trova puntuali confronti con esemplariprovenienti dall’area romagnola e dura per un secolo (GE-LICHI, LIBRENTI 1998, p. 24-29, Tav. 4.5-6; BORTOLETTO2000, p. 98 esemplare 144; CANAL, SACCARDO 1989, p. 142,fig. 4.2.).

    Tra le ingobbiate e dipinte compaiono soprattutto for-me aperte di ceramiche maculate (Tav. 18. 3) o marmoriz-zate, soprattutto in verde ma anche in blu o manganese.Questi esemplari genericamente ascrivibili all’ultimo quar-to del XVI secolo sono documentabili anche in contesti piùtardi, di XVII secolo (SACCARDO 1993).

    Le ceramiche ingobbiate e graffite a punta presentanomotivi simili alla tipologia delle “graffite rinascimentali”(Tav. 18.4) e delle “graffite arcaiche tardive”, ma le decora-zioni sono eseguite più corsivamente; si documentano esclu-sivamente forme aperte. Sono presenti inoltre ceramichegraffite a stecca (Tav. 19.8), in monocromia bianca ma avolte anche verde.

    Tra le ceramiche smaltate la tipologia più documentataè quella delle “Berettine” (Tav. 19.5), rivestite in blu-azzur-ro, a volte decorate in monocromia blu a volte in policro-mia; le forme sono prevalentemente aperte, soprattutto piatti,anche se si documentano frammenti di forma chiusa (mi-crovasetti e boccali). L’arco cronologico di tale tipologiaparte dagli inizi del XVI fino alla metà del secolo successi-vo (SACCARDO, CAMUFFO, GOBBO 1992).

    Altre ceramiche databili al XVI secolo non riconduci-bili ad alcun gruppo tipologico preciso, sono smaltate di-pinte in blu, prevalentemente boccali.

    MATERIALI DI XVII SECOLOTra i reperti ascrivibili a questo periodo sono docu-

    mentate le pentole invetriate globulari, le ceramiche in-gobbiate e dipinte (decorate a maculazione o marmoriz-zate) e le “Berettine” già presenti nel secolo precedente.Per quanto riguarda le ceramiche graffite si assiste ad uncambiamento dei motivi decorativi (BRUNETTI 1992) conl’introduzione di fiori stilizzati centrali (Tav. 19.7), pic-cole spirali, ed altri motivi (Tav. 19.5-6) ottenuti con trattipiuttosto corsivi.

    Continua la produzione di ceramica graffita a fondo ri-bassato con la presenza di boccali caratterizzati da corpo glo-bulare ed ansa pinzata già presenti nel secolo precedente.

    MATERIALI DI XVIII SECOLOI materiali di XVIII secolo sono pochi per numero e si

    tratta quasi esclusivamente di piatti smaltati monocromi emezze maioliche dipinte a vari colori. La scarsità di mate-riali ascrivibili a tale secolo è legata probabilmente all’ab-bandono che subì l’isola a partire dalla metà del secolo.

    MATERIALI DI XIX SECOLOPiù numerosi sono invece i materiali ascrivibili al XIX se-

    colo e sono rappresentati soprattutto da frammenti di contenito-ri da cucina con rivestimento nero e forme chiuse ingobbiate.

    I materiali sono soprattutto sporadici. Tra i reperti piùsignificativi troviamo alcuni frammenti di porcellana dipintain nero e rosso ed una tazzina da caffè decorata in nero adecalcomania con una marca che data tale manifattura comeoperativa almeno dal 1883 (Tav. 19.9); presenti inoltre nu-merosi frammenti di grès.

    5.3 CERAMICHE D’IMPORTAZIONE

    Tra i materiali rinvenuti a San Giacomo si evidenzia unpiccolo gruppo di esemplari d’importazione, soprattutto spo-radici. Tra i reperti più antichi si trovano frammenti di conte-nitori di epoca greco-romana (CANAL 1988); e un frammen-to di ceramica bizantina ingobbiata e graffita, ascrivibile alXII secolo (Tav. 19.11) (LAZZARINI, CANAL 1993). Sono statirinvenuti inoltre alcuni frammenti di “Protomaiolica” di ori-gine pugliese (SACCARDO, LAZZARINI 1988) ed infine un fram-mento di ceramica ad impasto silico alcalino, probabilmentedi epoca mamelucca (Tav. 19.10) (FEHERVARI 2000).

    5.4 CONCLUSIONI

    A San Giacomo si documenta una forte preponderanza,a livello quantitativo, di materiali di XVI e XVII secolo(periodo che corrisponde al passaggio dell’isola ai fratiminori del convento di Santa Maria Gloriosa dei Frari),mentre per gli altri periodi le ceramiche sono molto limita-

    Tav. 20.2 – Distribuzione percentuale del numero minimo di esem-plari relativo ai materiali rinvenuti durante le campagne del 2002.I dati sono in funzione dei gruppi ceramici.

    Tav. 20.1 – Dati quantitativi complessivi relativi a tutti i materialiprovenienti dalle campagne effettuate nel 2002. Per ogni gruppoceramico sono rappresentati i dati assoluti di peso, numero fram-menti e numero minimo di esemplari.

  • 259

    te, soprattutto per quanto riguarda il XIII e XIV secolo (pri-me fasi di occupazione dell’isola come monastero cister-cense femminile e non ancora scavate archeologicamente),ed il XVIII secolo, momento in cui l’isola viene gradual-mente abbandonata.

    Tuttavia è da prendere in considerazione anche il fattoche non tutti i materiali siano pertinenti a fasi di occupazionedell’isola, ma che si tratti di reperti provenienti da contestiesterni (cfr. paragrafo 8 di questo contributo).

    S.S.

    6. LE TECNICHE COSTRUTTIVE

    6.1 CONDIZIONI DI LEGGIBILITÀ

    Le campagne di scavo condotte in primavera ed estatedel 2002 e l’attività di controllo archeologico sono stateoccasione per il censimento e l’analisi delle tecniche co-struttive presenti sull’isola.

    Vi sono stati diversi problemi di leggibilità dovuti a fat-tori differenti nelle diverse aree di intervento. L’area 1000,corrispondente al complesso del monastero-ospizio si pre-senta sommersa dalle maree per la maggior parte del tempoe le sue murature sono conservate solo per pochi corsi inalzato quando non solo in fondazione (usm 1045). Il forteprocesso di degrado dei laterizi e una disgregazione accen-tuata dei leganti che non ne permettono una agevole analisimacroscopica si aggiungono alla copertura di buoni trattidi muratura da parte di vegetazione marina e malacofauna.Il settore sud e parte del settore nord del monastero sonoinoltre parzialmente coperti da riporti di terreno risalenti alXIX secolo per l’impianto di strutture militari.

    L’area 2000, corrispondente alla chiesa, si presenta in-vece meglio conservata per ciò che riguarda l’apparec-chiatura muraria che non ha subito i processi di degradodovuti all’azione delle maree e dell’erosione eolica. Lestrutture hanno però subito un livellamento e spianamen-to volontario che ne hanno ridotto le dimensioni a pochicorsi (6-7 nei casi migliori), come è testimoniato dalle cre-ste dei muri che si trovano tutte alla stessa quota e daiconsistenti strati di riempimento del vano interno della

    chiesa (ambiente 18, us 2014 e 2039) costituiti quasi com-pletamente da laterizi e “altinelle”, calce e frammenti diintonaco. Anche in quest’area tuttavia buona parte dellestrutture risulta coperta dal terrapieno realizzato per l’im-pianto di una batteria di cannoni nell’angolo nord-est del-l’isola (terrapieno R).

    Nelle aree 3000 e 4000 gli elementi strutturali sonocostituiti dai muri di cinta sud e ovest di realizzazioneabbastanza recente (XIX-XX secolo). Nonostante questirisultino conservati per la quasi totalità del loro alzato,presentano già notevoli fenomeni di erosione e degradodei materiali, a motivo dei quali ne è stato progettato ilrestauro e rifacimento. Nel corso dei lavori di scavo fi-nalizzati a questo scopo sono emerse non solo le fonda-zioni dello stesso muro di cinta, ma anche ulteriori strut-ture quali la “cavana dell’ortolano” nell’area 4000 (infra,7) e un setto murario ad andamento nord-sud nell’area3000. Entrambe le strutture si presentano di difficile let-tura a causa del forte degrado dovuto alle infiltrazionid’acqua e del pessimo stato di conservazione generaledei materiali laterizi che le costituiscono.

    6.2 TECNICHE COSTRUTTIVE

    Nel complesso si sono individuate 8 diverse tecnichecostruttive (Tav. 21) differenziate per materiali impiegati,leganti e posa in opera, delle quali due (le nn. 1 e 2) risulta-no caratterizzare la quasi totalità delle strutture di età me-dievale e post-medievale. Altre quattro (nn. 5, 6, 7 e 8) rap-presentano invece particolarità dovute alla realizzazione dielementi strutturali o pavimentazioni (EA 10000, SO 10001,EA 20001, usm 1004). Le tecniche 3 e 4 sono presenti inmisura minore e sono da ricondursi ad interventi contem-poranei o posteriori al progressivo abbandono e mutamen-to d’uso dell’isola stessa.

    Tecnica n. 1

    Questa tecnica costruttiva è individuata puntualmentedall’uso esclusivo del tipo di laterizio di modulo caratteri-stico (18×8,5×4,5 cm.) definito localmente come “altinella”.

    Tav. 21 – Schema tecniche costruttive.

  • 260

    I laterizi, legati da abbondante malta sabbiosa grigio– bianca, molto friabile con numerosi inclusi costituitida piccoli frammenti di pietrame di dimensione micro-millimetrica di colore giallo, arancio, bruno e bianco,sono disposti su corsi orizzontali con alternanza non re-golare di due-tre fasce e una testa. La muratura non sipresenta a sacco ma piena, con i laterizi posti di testa cherisultano passanti. Sono presenti su diversi lacerti mura-ri realizzati in tecnica 1 piccoli frammenti di intonacobianco non troppo spesso.

    Questa tecnica risulta essere impiegata nelle struttureindividuate come più antiche (Periodo VII), in particolarenelle usm 1002 (Tav. 24) e 1018 costituenti i perimetralinord ed ovest del monastero e nelle usm 1021, 1027, 1028,1029 e 1031, setti murari ad andamento est-ovest che deli-mitano gli ambienti del complesso stesso. Caratterizza inol-tre il breve lacerto murario con andamento nord-sud(usm 3101) individuato durante le attività di controllo ar-cheologico lungo il lato sud dell’isola e la struttura definita“cavana dell’ortolano” lungo il lato ovest (per la discussio-ne sulla struttura cfr. par. 7). Anche la sepoltura presentenell’ambiente 5 (EA 10000) è realizzata in ”altinelle”, lacui posa in opera però non è risultata leggibile a causa delforte degrado e copertura di alghe.

    Il perimetrale nord del monastero (usm 1018) è visibilenon solo in alzato ma anche in fondazione, la quale si pre-senta distinta sui due prospetti nord e sud. Dal lato internosi presenta realizzata completamente in “altinelle” disposteregolarmente tutte di testa o tutte di taglio su corsi alternati(tecnica 1a), mentre dal lato esterno è realizzata in materia-le lapideo appena sbozzato e disposto senza particolare cura(tecnica 1b). Questa stessa sottotecnica caratterizza anchel’usm 1045, costituente la fondazione del perimetrale estdel monastero, il cui alzato non è più conservato.

    Tecnica n. 2

    La seconda tecnica individuata prevede l’impiego mi-sto di “altinelle” e laterizi di dimensioni maggiori (mo-dulo di 25×12×5 cm) disposti su corsi orizzontali rego-lari. Non è rilevabile un’alternanza particolarmente re-golare, anche se c’è una tendenza di massima nella posain opera di fascia dei laterizi di dimensioni maggiori. Lamuratura si presenta legata da malta sabbiosa fine di co-lore bianco-giallo, con inclusi micromillimetrici abba-stanza omogenei e ben distinguibili da quelli caratteriz-zanti la tecnica n. 1, tendenzialmente subangolari e dicolore bruno-nero.

    Solo per l’usm 1015 è risultata visibile parte dellafondazione, in laterizi disposti regolarmente di testa e conun notevole spessore di circa 1 m. Le altre usm realizzatein tecnica n. 2 sono riferibili all’impianto del chiostro(usm 1019-2031) e alle strutture pertinenti alla chiesa ealla cosiddetta “casa dell’ortolano” (usm 2027, 2028, 2030,2100, 2032).

    Tecnica n. 3

    Nell’area del monastero è stata poi individuata una ul-teriore tecnica costruttiva costituita da rare “altinelle” pro-babilmente di reimpiego (molte risultano infatti spezzate)e da laterizi di misura non costante, con posa in opera nonregolare, caratterizzante una serie di strutture poste nelsettore meridionale del complesso monastico (usm 1041,1042, 1043, 1033, 1032, 1034). Si tratta di elementi scar-samente conservati e di dimensioni piuttosto limitate, spes-so visibili solo per uno o due corsi. I laterizi sono legati damalta molto degradata, di colore prevalentemente bianco,con pochi inclusi puntiformi di colore nero.

    Tecnica n. 4

    Le strutture relative all’occupazione militare dell’isoladel XIX e XX secolo sono caratterizzate dall’impiego esclu-sivo di laterizi posti in opera su corsi orizzontali con alter-

    Tav. 22 – Fotopiano con individuazione USM.

    Tav. 23 – Area 1000 – Pavimentazione in altinelle US 1064 - Tecnica 7.

    Tav. 24 – Area 1000 – Dettaglio USM 1002 – Tecnica 1

  • 261

    nanza molto regolare di fascia e testa. La tecnica caratteriz-za sia le polveriere (edifici A, B e C) che il muro di cintadelle aree 3000 e 4000. Questo è costituito da una palificatalignea e tavolato su cui si imposta una fondazione legger-mente a scarpa in pietre sbozzate legate con calce allo statoattuale molto degradata. Al di sopra di questa fondazione inpietrame, con una piccola risega, si presenta una secondafondazione costituita da laterizi eterogenei posti in operacaoticamente sui quali si imposta l’alzato in laterizi moder-ni disposti su corsi abbastanza regolari. La muratura è rifi-nita nella parte superiore da un cordolo leggermente agget-tante e da una coronatura composta da laterizi semicircolaridisposti di taglio (Tav. 22). Dalla campagna di scavo sonoemersi solo alcuni elementi isolati riconducibili a questatecnica principalmente per le caratteristiche dimensionalidei laterizi, in particolare una canaletta di scolo coperta dalastroni di pietra di reimpiego (usm 1037).

    Tecnica n. 5

    La tecnica muraria n. 5 è stata riscontrata solo nellemurature perimetrali della sepoltura EA 20001, sita all’in-terno della chiesa, ed è costituita dall’impiego di laterizi(modulo 24,5×12×5) disposti con estrema regolarità in al-ternanza di due fasce e due teste.

    Tecnica n. 6

    Appartiene alla tecnica 6 la pavimentazione in “alti-nelle” disposte di piatto in opus spicatum (SO 10001)presente all’interno dell’ambiente 5 che per materiale co-struttivo e rapporti stratigrafici può essere ascritta allafase di vita del complesso pertinente al suo utilizzo comeospizio.

    Tecnica n. 7

    Un’ulteriore tecnica muraria è stata individuata nel corsodello scavo dei bacini sepolti in appoggio all’usm 1019 edè costituita da una pavimentazione in “altinelle” disposte ditaglio in opus spicatum, ascrivibile alla fase di utilizzo delchiostro, successivamente alla riconversione funzionaledell’ospizio in monastero (Tav. 23).

    Tecnica n. 8

    Si tratta della tecnica usata per la realizzazione del mar-ciapiede della polveriera A (usm 1004), laterizi di modulomoderno posti in opera di taglio con alternanza regolare apettine.

    F.B.

    7. PRIME OSSERVAZIONI STORICO-ARCHEOLO-GICHE A PROPOSITO DEL RINVENIMENTO DEL-LA “CAVANA PER L’USO DELL’ORTOLAN”

    Nel corso delle attività di supervisione archeologica alleopere di ricostruzione della cinta muraria perimetrale del-l’isola di S. Giacomo in Paludo (Venezia), condotta da chiscrive per conto del Consorzio Venezia Nuova, il 16 mag-gio 2002 è stata rinvenuta una struttura identificabile comeuna “cavana”, ossia un edificio per il ricovero in acqua e alcoperto delle barche (Tav. 25).

    Lo scavo con mezzo meccanico del terreno alla baseinterna del perimetrale, lungo il lato ovest dell’isola, haportato alla luce l’ingresso dell’edificio in parte risparmia-to durante le varie fasi di ripristino della cinta muraria.

    In attesa di un’indagine più approfondita che permettadi conoscere a fondo questa struttura, un’analisi della se-zione, esposta nel corso dello scavo, e dei rapporti strati-grafici tra le strutture murarie, permette già di offrire alcunidati e di fare alcune considerazioni (Tav. 26).

    Si tratta di due murature parallele, distanti l’una dal-l’altra m 4,80. Le fondazioni visibili sono costituite da bloc-

    chi di pietra d’Istria, ben lavorati sulla faccia interna, giun-tati a secco (usm 4102 = 4115). L’alzato è costituito da unamuratura in “altinelle” (di cm 16×9) (usm 4103 = 4114) po-ste in fondazione a corsi alternati, uno di fascia ed uno ditesta. Il muro nord sembra in buona parte spogliato mentrequello sud si conserva per cm 50, ossia quasi fino al pianodi campagna.

    La lettura della sezione esposta, che taglia l’edificio daun muro all’altro, mostra uno spesso strato di limo (us 4111-4122, 4123), al livello delle fondazioni in pietra, interpre-tabile come esito del processo di interramento naturale acui deve essere stata soggetta la cavana. Questo livello ècoperto da esiti di un processo di crollo della struttura (us4110 = 4124, 4125). Sia all’interno che all’esterno del muronord, sopra lo strato di macerie, sono riconoscibili pianid’uso (us 4106, 4107, 4105) che documenterebbero una fasedi abbandono della struttura oramai interrata. Da questo li-vello al piano di campagna vi è un unico accumulo oblite-rante completamente la struttura (us 4104 = 4126).

    All’esterno del perimetrale meridionale è visibile unlacerto murario in pietra e mattoni (usm 4117, 4119) che, inconsiderazione sia della quota di posa delle fondazioni siadei rapporti stratigrafici murari sia della tecnica costruttiva– caratterizzata da ampi materiali di riutilizzo – è sicura-mente posteriore alla cavana.

    Successiva a quest’ultima struttura, inoltre, è una fossadi fondazione (o una fossa legata a operazioni di restauro)ricca di materiali (us 4116). È presumibile che si tratti di unoscarico di rifiuti (resti di pasto, ossa animali e frammenti diceramica) databili alla seconda metà del XV secolo.

    Quest’ultima evidenza permette di datare la cavana adun periodo che, in ragione della quota di giacitura, deveavere preceduto almeno di qualche decennio la seconda metàdel ’400. Ad una data ancora più antica poi rimanderebbe ilconfronto calzante tra la tecnica muraria impiegata per l’al-zato di questo edificio e quella impiegata nell’insediamen-to monastico duecentesco dell’isola.

    L’unica fonte archivistica che inequivocabilmente fac-cia esplicito cenno alla costruzione è una perizia del 1796redatta dal «pubblico ingegnere e perito» Carlo Scarabello(CANIATO 1985, p. 57), in cui si dice:

    «Cavana per l’uso dell’ortolan mancante di porta, conmuri di circondario in pessimo stato e che non sorpassanola superficie del terreno con pilastrini da una sola parte,essendo gl’altri tutti rovinati a terra ed asportate le pietre;con pessimo coperto parte appoggiato a terra e parte so-pra detti pilastrini, di pessimo legname e grisiole vecchie,che unitamente alle pocche pietre che la circondano stimoin tutto valere L 46»

    Alla perizia è allegata una pianta parzialmente ineditasu cui sono raffigurate entrambe le cavane. (CANIATO 1985,p. 50) ritiene che a questa cavana si riferisca anche la stimadell’orto e del frutteto redatta nel 1735. La cavana del latoovest è lunga circa 40 passi veneti (circa m 7) e larga circa18 (poco più di m 3).

    A questo punto è presumibile che l’azione di oblitera-zione definitiva della cavana coincida con la costruzione,di fronte all’ingresso, di un bastione di forma pentagonaledocumentato dalla pianta del 1849 e qui definito “coffres”(CANIATO 1988, p. 22). Si tratta di una sorta di punto di os-servazione, di forma pentagonale (usm 4059), ricavato dal-la divagazione della cinta muraria evidentemente ricostrui-ta in questo periodo per scopi militari. Una volta obliteratala cavana, la cui sagoma è ancora debolmente visibile nellapianta a colori del 1849, un tratto della cinta muraria confondazioni in pietra e alzato in mattoni e la divagazionepentagonale di mattoni poggiati su tavolato di fondazionechiuse l’ingresso all’edifico. Quest’ultima struttura verràpoi in buona parte demolita nel corso dei restauri attuatiagli inizi del XX secolo che porteranno alla costruzione diuna cinta priva di divagazioni (usm 4029).

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    Tav. 25 – Rilievo strutture “Cavana dell’Ortolano” e struttura pentagonale USM 4059.

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    Tav. 26 – Studio sezione esposta area “Cavana dell’Ortolano”.

    Da un punto di vista geomorfologico, è interessantenotare come le fondazioni in pietra della cavana, che dove-vano essere a contatto con l’acqua anche in occasione dialte maree, ora siano ad un livello inferiore al punto zero ms.l.m., ad ulteriore testimonianza dell’innalzamento che illivello medio di marea ha avuto nel corso dei secoli.

    Le cavane venivano impiegate sia per riparare le im-barcazioni che come comodo approdo al coperto. In passa-to, esse servivano anche da basi di appoggio per le “barchearmate” preposte alla repressione dei contrabbandi(CANIATO 1985, p. 12).

    Lungo i canali della laguna veneta e nella stessa Veneziane esistono ancora numerosi esemplari: da quelle più rudi-mentali in legno e “grisiòle”, ossia graticci di canne palu-stri, di Torcello e Sant’Erasmo, a quelle monumentali delleisole di S. Giorgio e S. Michele.

    L’alzato può essere di mattoni oppure di legno mentre lacopertura può essere di tegole oppure in materiale deperibi-le. Il bacino rettangolare può essere ricavato, come in questocaso, scavando verso l’interno dell’isola oppure semplice-mente abbassando il fondale lungo una sponda di un canale.Tre lati vengono quindi chiusi permettendo l’ingresso da unasola parte. Gli alzati in mattoni normalmente poggiano sufondamenta in pietra che rimangono a contatto con l’acqua.

    La più antica testimonianza di cavana risale già all’etàimperiale romana. Si tratta di un bacino lungo m 25 e largo m8,70 – le cui sponde sono tutte rivestite di pali infissi in sensoverticale – presente nell’insediamento rustico in località CorteCavanella nel comune di Loreo (RO). Qui, i perimetrali era-no costituiti da plinti in mattoni sesquipedali di sostegno aduna copertura in tegole. Quest’ultime sono ben visibili in unlivello di crollo all’interno dell’edificio che è andato a copri-re un’imbarcazione. L’ingresso alla cavana avveniva attra-verso un’apertura presente su un lato corto collegata ad uncanale artificiale anch’esso delimitato da pali.

    Questa testimonianza è assolutamente unica per il mon-do romano e conferma la particolarità delle imbarcazioni edelle infrastrutture di servizio che, dall’antichità ad oggi,per motivi ambientali, ossia l’esigenza di una navigazioneper canali, paludi e lagune, caratterizza l’area alto-adriatica(su questo argomento e sull’insediamento di Corte Cavanellacfr. BELTRAME 2002 e bibliografia citata).

    Per ritrovare altre testimonianze di cavane, è necessa-rio fare un salto avanti di molti secoli. È datata al 1346 lapianta di Venezia di fra’ Paolino dove, in una zona identifi-cabile con l’attuale isola di S. Clemente, è raffigurato unedificio coperto da tetto a spiovente definito “cavana”(CANIATO 1985, p. 13).

    Una testimonianza archeologica di cavana medievale po-trebbe essere riconoscibile nel sito dell’isola sommersa di S.Marco in Boccalama, oggetto di recenti indagini per la docu-mentazione di una galea ed una barca a fondo piatto. Resti dipalificate e di laterizi in un’area delimitata dalle due imbarca-zioni riutilizzate, nel trecento, per fronteggiare i processi ero-sivi in atto nell’isola che ospitava un monastero, fanno sospet-tare la presenza di un ricovero per barche. Al 1328, d’altronde,risale un documento di constatazione dell’avvenuta costruzio-ne nell’isola di una cavana «pro utilitate transeuntium» (ASV,Avogaria di comun, reg. 22 (Brutus), c. 84r). È possibile co-munque che essa fosse stata costruita già nel 1302 se ammet-tiamo che la somma erogata per la sua «redificazione etaptacione» sia poi stata effettivamente spesa (ASV, Cassierdella bolla ducale, Grazie, Novus liber, cit., n. 176. Su S. Mar-co in Boccalama e le notizie citate vedi CANIATO 2002).

    Per i secoli XVI e XVII, la documentazione di cavanesi arricchisce molto grazie alle segnalazioni presenti sullacartografia lagunare di questo periodo e agli esemplari tut-t’ora in funzione.

    La prima sicura notizia sulla presenza di una cavananell’isola di S. Giacomo risale al 1300. Si tratta di una «gra-

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    zia» in cui si stima il costo della «reparatione sue cavane»(Item Sancto Iacobo de Palude de solidis.XL. grossorumpro reparatione sue cavane. Et vult.XXX. de XL, ASVE,Cassier della bolla ducale, Grazie, Novus liber, c. 9v, ri-portata in CANIATO 1985, p. 49). A questa seguono i decretidel 1491 e del 1589 in favore di opere di straordinaria ma-nutenzione di una cavana (CANIATO 1985, p. 49-50).

    Come ben illustrato dalla veduta prospettica commentatadi Coronelli (CORONELLI 1696, p. 36), e da vedute settecente-sche, è presumibile che le fonti del 1491 e del 1589 si riferisse-ro all’edificio ancora presente – e recentemente restaurato –sul lato nord dell’isola (lungo il Canale di S. Giacomo). Que-sto edificio, infatti, conosciuto anche attraverso molti docu-menti settecenteschi che ci riferiscono delle attività di restauroa cui fu sottoposto, si caratterizza per un ruolo di “pubblicautilità”. La pubblica autorità stessa infatti provvedeva, «prosecuritate et conservatione personarum et navigiorum», amantenere in efficienza quelle cavane localizzate lungo i prin-cipali canali. Nel 1329, ad esempio, venne finanziata la rico-struzione delle cavane presso S. Piero in Volta e Poveglia(ASVE, Avogaria di comun, reg. 22, c. 100v, riportato inCANIATO, 2002, n. 9).

    Se è vero che i decreti del XV e del XVI secolo sono det-tati rispettivamente dalla «Serenissima Signoria» e dai «Savied Esecutori delle Acque» e che il secondo, fa esplicito riferi-mento ad una cavana «publica», è invece assai probabile chealmeno la grazia del 1300 si riferisca ad un’altra cavana, pre-sumibilmente ad esclusivo uso del monastero presente nell’iso-la. E ad utilizzo “privato” doveva essere adibita la cavanaemersa nel lato sud-ovest, la cui posizione è d’altronde piùprotetta e riservata di quella della cavana del canale di S. Gia-como e quindi meno idonea ad un impiego “pubblico”.

    In sintesi, è credibile pensare che tra il XII e il XIV secolo,«pro hospitali…pro peregrinorum recepitone», fondato nel1146, o a servizio del monastero successivamente qui installa-to, (DANDOLO, Chronicon Venetum, cap. XIII, pars XVI, p. 281e CANIATO 1985, p. 9) fosse stata edificata una cavana lungo illato più riparato dell’isola ma comunque in diretto collega-mento con il canale di S. Giacomo, principale via d’acqua. Inun secondo momento, forse già prima della fine del XV seco-lo, venne costruita una nuova cavana ad uso pubblico. Unatale esigenza potrebbe essersi creata solo alla metà del XVsecolo in occasione del progetto di allestimento nell’isola diun ospedale di quarantena per gli appestati (ASV, Senato, ter-ra, reg. 4, c. 13, riportato in CANIATO 1988, p. 24).

    Per tre secoli le due cavane dovettero coesistere, una aservizio prevalentemente pubblico e l’altra ad uso privato.

    Quest’ultima, prestando fede alle notizie del 1735 e del 1796,era utilizzata dai contadini impegnati nella coltura dell’ortoe, alla fine del XVIII secolo, risultava piuttosto malandata.Dopo tanti secoli, le opere del periodo di occupazione au-striaco fecero improvvisamente perdere ogni traccia dellapiccola cavana che venne seppellita mentre, tra restauri evicissitudini di vario genere, la cavana pubblica continueràa svolgere il suo compito fino ai nostri giorni.

    C.B.

    8. LA FORMAZIONE DEI DEPOSITIARCHEOLOGICI

    Un’attenta analisi dei reperti ceramici provenienti daSan Giacomo in Paludo, provenienti dalle stratigrafie inda-gate durante le campagne di scavo eseguite nel 2002, evi-denzia una presenza di un considerevole numero di forme etipologie collocabili cronologicamente tra XIII secolo eXVIII secolo, con una forte presenza di materiali ascrivibi-li tra il XVI e il XVII secolo.

    I risultati ricavabili dallo studio delle ceramiche trovanodei riscontri pertinenti con le informazioni di tipo storico edocumentario che possediamo per l’insediamento di San Gia-como. La prima attestazione della presenza delle monache sul-l’isola, infatti, si colloca nel 1238 e la fondazione del comples-so monastico è, con ogni probabilità, da collocarsi nel primoquarto del XIII secolo. L’impianto del monastero si inserisceall’interno in una precedente occupazione dell’isola che vedealla metà del XII secolo l’istituzione di un ospizio destinato adaccogliere i pellegrini diretti in Terrasanta. Allo stato attualedei lavori di indagine archeologica, però, pur riconoscendoelementi strutturali specifici dell’elevato che sembrano esserepertinenti con l’edificazione dell’ospizio, le stratigrafie con-nesse con la fondazione e con il primo utilizzo delle strutturedi XII secolo non sono state ancora indagate. Risulta logica,dunque, l’assenza di datazioni anteriori al XIII secolo nellasequenza fornita dai materiali.

    L’esame più accurato delle notizie storiche relative alconvento indica, inoltre, un momento di crisi dell’istituzio-ne monastica a metà del XV secolo e una ripresa delle atti-vità edificatorie e della presenza regolare di insediamento,seppure in forma ridotta, a partire dalla fine del XV secolofino a tutto il XVII secolo: tale dato concorda con una pre-senza maggiore, a livello quantitativo, di frammenti cera-mici relativi questo periodo.

    Se il panorama offerto dalle testimonianze storiche con-corda con i dati emersi n