APRILE N. 30 - sentireascoltare.com · s e n t i r e a s c o l t a r e online music magazine APRILE...

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sentire a scoltare online music magazine APRILE N. 30 Hans Appelqvist King Kong Laura Veirs Valet Keren Ann Feist Low Stars Of The Lid Smog I Nipoti del Capitano Cristina Zavalloni Billy Nicholls post-wall music To Rococo Rot Tarwater Mapstation Music A.M. Robert Lippok SENTIRE A SCOLTARE

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s e n t i r e a s c o l t a r e �

online music magazine APRILE N. 30

Hans Appelqvist King Kong Laura Veirs Valet Keren Ann Feist Low

Stars Of The Lid Smog I Nipoti del Capitano Cristina Zavalloni Bil ly Nicholls

post-wall musicTo Rococo Rot Tarwater Mapstat ion Music A.M. Robert L ippok

SENTIREASCOLTARE

s e n t i r e a s c o l t a r e �

4 News 8 The Lights On

Hans Appelqvist , King Kong, Laura Veirs, Valet

� 2 SpecialiKeren Ann, Feist , Low, Stars Of The Lid, Smog, Post-Wal l Music

� 7 RecensioniHumcrush, Lindstrom, Blonde Redhead, Bi l l Cal lahan, Hetero Skeleton, John Cale, Maximo Park, Arct ic Monkeys.. .

8 � Rubriche (Gi)Ant Steps

Wayne Shorter

We Are Demo:

Improponibi l i , Morvida, Damien.. . Classic Bi l ly Nichol ls, i Nipot i del Capi tano, The Associates, Fabr iz io De AndrèCinema Cul t : l ’ infernale QuinlanVisioni Diar io di uno scandalo, L’a lbero del la v i ta, Saturno contro. . .I cosiddett i contemporanei : Intervista a Cr ist ina Zaval loni

sommario

Direttore Edoardo Bridda

CoordinamentoTeresa Greco

Consulenti alla redazioneDaniele FolleroStefano Solventi

StaffValentina Cassano Antonello ComunaleAntonio Puglia

Hanno collaboratoGianni Avella, Davide Brace, Filippo Bordignon, Marco Braggion, Gaspare Caliri, Roberto Canella, Paolo Grava, Manfredi Lamartina, Andrea Monaco, Massimo Padalino, Stefano Pifferi, Andrea Provinciali, Stefano Renzi, Federico Romagnoli, Costanza Salvi, Vincenzo Santarcangelo, Alfonso Tramontano Guerritore, Giancarlo Turra, Fabrizio Zampighi, Giuseppe Zucco

Guida spiritualeAdriano Trauber (1966-2004)

GraficaEdoardo Bridda, Valentina Cassano

in copertinaTarwater

SentireAscoltare online music magazineRegistrazione Trib.BO N° 7590del 28/10/05Editore Edoardo BriddaDirettore responsabile Antonello Comunale Provider NGI S.p.A.

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Copyright © 2007 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati. La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare

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news

Gli Art Brut hanno completato i l secondo album, I t ’s A Bit Complica-ted , prodotto da Dan Swif t , che sarà pubbl icato i l prossimo 26 giugno su Downtown Records e i l 25 su Mute…

Il chi tarr ista Daniel Kessler ha sment i to le voci secondo le qual i i l pros-simo album degl i Interpol s i sarebbe chiamato Moderation ; in real tà non è previsto ancora un t i to lo al terzo lavoro del la band…

Nina Nastasia torna (a distanza di un anno da On Leaving) con un nuovo album, You Follow Me , in usci ta i l 28 maggio su Fat Cat, in coppia con Jim White…

I R.E.M. presenteranno dal v ivo i l mater ia le inedi to (relat ivo al loro pros-simo album), in c inque serate previste t ra i l 30 giugno e i l 5 lugl io al-l ’Olympia Theatre di Dubl ino. I l d isco che sarà prodotto, come annuncia-to, da Jackni fe Lee, uscirà entro la f ine di quest ’anno…

I Misha (duo asiat ico/americano formato da Ashley Yao e John Chao) pubbl icano, due anni dopo la loro partecipazione al la Alphabet Singles Ser ies su Tomlab) i l loro debutto, sempre per l ’et ichetta di Colonia, dal t i to lo Teardrop Sweetheart previsto per giugno…

I Supergrass stanno preparando i l mater ia le per i l nuovo disco, di prossi -ma registrazione, a due anni d i d istanza dal l ’u l t imo Road To Rouen…

I Fairport Convention festeggiano nel 2007 i 40 anni d i at t iv i tà con l ’usci ta di un quadruplo boxset di session, Live At The BBC , in usci ta i l 9 apr i le su Universal . I l mater ia le comprende registrazioni radiofoniche avvenute t ra i l 1968 e i l 1974, molte del le qual i con John Peel . La for-mazione at tuale, ancora in at t iv i tà l ive, comprende i l fondatore Simon Nichol , Ric Sanders e Chr is Lesi le…

I New Pornographers , che saranno al prossimo Coachel la, stanno pre-parando i l nuovo disco, che dovrebbe uscire su Matador in agosto…

Excellent I tal ian Greyhound è i l t i to lo del prossimo album - i l pr imo dal 2000 - degl i Shellac su Touch & Go, in usci ta i l 5 giugno; c inque le date i ta l iane del gruppo: i l 30 maggio a Verona ( Interzona), i l 31 a Rimini (Velvet) , l ’1 giugno a Livorno (Vecchia Fortezza) i l 2 a Roma (Ini t ) e i l 3 a Catania (Mercat i General i , con gl i Uzeda)…

Nuovo disco per Piano Magic : Part-Monster esce in I ta l ia i l 14 maggio su Homesleep; la band inglese sarà nel nostro paese in tour a metà maggio; a l l ink (ht tp: / /www.homesleepmusic.com/hsmedia/saints_preser-ve_us.mp3) è possibi le ascol tare un estrat to dal d isco…

Esce in apr i le su Verve Picture i l f i lm-documentar io Scott Walker: 30 Century Man , un’esplorazione del la carr iera del l ’ar t is ta, d i ret to da Ste-

Shellac

a c u r a d i Te r e s a G r e c o

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phen Ki jak. Si può vederne un’antepr ima al l ink (ht tp: / /www.scottwalker-f i lm.com/blog/) . . .

È s ta ta rea l i zza ta una compi la t ion in 2 CD, For Cal lum , per racco-g l ie re fond i per Ca l lum Robb ins , f ig l io d i J . Robb ins e Janet Morgan de i Channels , a f fe t to da a t ro f ia musco lare sp ina le d i t ipo I , i cu i t ra t -tament i sono cos tos i perchè non coper t i da l l ’ass icuraz ione san i ta r ia . C ’è una pag ina (h t tp : / /www.desotorecords .com/ca l / ) d i cu i avevamo g ià da to no t iz ia i l mese scorso su De Soto con le in fo rmaz ion i su come cont r ibu i re ad a iu ta re la famig l ia . La compi la t ion è d i re t tamente o t ten i -b i le da l la Cat l i ck Records (h t tp : / / ca t l i ck records .com/ca l lum/ ) . . .

Prossime usci te su Fat Cat : Amandine con i l secondo album, Solace In Sore Hands , in usci ta i l 16 apr i le, e i l debutto di The Twil ight Sad con Fourteen Autumns And Fifteen Winters i l 30…

I Flying Lotus sono entrat i nel roster del la Kranky…

News dal la Domino Records: i Clinic real izzeranno un nuovo disco verso f ine anno, ancora nessun dettagl io per ora…

James Yorkston sta preparando una compi lat ion di rar i tà, Roaring The Gospel, che vedrà la luce i l prossimo 14 maggio su Domino Records, con b-sides, mater ia le mai pubbl icato e i l pr imissimo singolo pubbl icato per l ’et ichetta, The Last Toun…

Il 12 giugno la Warner pubbl icherà Instant Karma: The Campain To Save Darfur , d isco di canzoni d i John Lennon cover izzate da var i ar t is t i , t ra i qual i R.E.M., Regina Spektor, The Postal Service, per supportare Amne-sty Internat ional nel la sensibi l izzazione mondiale intorno al grave proble-ma del Darfur, in Sudan e con la sponsor izzazione di Yoko Ono , che ha concesso le royal t ies del la musica pubbl icata. I l pr imo singolo usci to i l 12 marzo è una cover dei R.E.M. d i #9 Dream (pezzo del 1974 trat to da Walls And Bridges ) per l ’occasione in formazione or ig inale con Bi l l Ber-ry. I l pezzo si può ascol tare a questo l ink di YouTube (ht tp: / /www.youtube.com/watch?v=7TFKNdcYRJg). . .

Gl i Arcade Fire saranno present i a l l ’Highline Festival , organizzato da David Bowie , loro fan, che si terrà a New York i l prossimo 9 maggio…

Uscirà i l 4 maggio su Tomlab i l secondo disco dei tedeschi Von Spar (gruppo che spazia dal krautrock al la minimal music f ino al pr imo tr i -phop), i l pr imo sul l ’et ichetta di Colonia…

La Peteran Records presenta Indies (ht tp: / / indiescompi lat ion.c jb.net/) compi lat ion l iberamente scar icabi le da internet in versione mp3, progetto dedicato interamente al la scena emergente e indipendente i ta l iana, con la presenza di bands e art ist i ancora poco conosciut i . Tra i nomi present i ,

Piano Magic

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news

The Niro , The Phonograph, Annie Hal l , The Sad Snowman, Mashrooms, Bob Corn…

Sarà pubbl icato su Jagjaguwar i l 19 giugno prossimo i l nuovo progetto - chiamato Lightning Dust - d i Amber Webber e Joshua Wel ls dei Black Mountains , con un disco dal t i to lo omonimo…

Il brasi l iano Amon Tobin ( in tour europeo con i l nuovo album Foley Room ) , sarà in I ta l ia per un’unica data, i l 16 apr i le prossimo al Branca-leone di Roma…

Sono stat i resi not i i pr imi nomi per Ferrara sotto le stel le : Arctic Monkeys i l 14 lugl io e Arcade Fire l ’11 lugl io…

Annunciato per i l 10 lugl io i l r i torno degl i Spoon su Merge, per un album ancora senza t i to lo…

Al v ia la pr ima ediz ione del Reality Bites Festival , presso i l Sintet ika In-die Club di Firenze: dal 19 al 26 apr i le (19 con Sophia , 23 con Deerhoof + Joan As Pol ice Woman, 26 con Bonnie ‘Prince’ Bil ly)…

Tour europeo per Lisa Germano a part i re da apr i le, in I ta l ia con due date: i l 5 maggio a Tor ino al lo Spazio 211 e i l 6 a Firenze al Sintet ika…

I l nuovo disco dei Neurosis Given To The Rises uscirà i l 7 maggio per l ’et ichetta del la band, la Neurot Recordings; registrato da Steve Albini l ’a lbum si compone di 10 t racce…

Cat Power in I ta l ia per t re date: i l 6 maggio al Rol l ing Stone di Mi lano, i l 7 al l ’Estragon di Bologna e l ’8 al Piper di Roma…

Ritorna i l St. Indie Spring 2007 d i S.Elpidio a Mare con un cast d’ecce-zione: s i parte l ’8 apr i le con i l tour d’esordio dei Maisie , in usci ta con un doppio album, Balera Metropolitana , per proseguire i l 12 apr i le con i Sophia . Per info sul le prevendi te: ht tp: / /www.marcainvaders. i t . . .

Dopo quattro anni e numerosi progett i col lateral i , tornano The Sea And Cake (Sam Prekop, Archer Prewit t , Er ic Clar idge e John McEnt i re) con Everybody , che uscirà l ’8 maggio su Thr i l l Jockey…

Let In The Light , nuovo album di Shannon Wright , sarà pubbl icato l ’8 maggio su TNG, prodotto da Andy Baker; Shannon sarà a f ine apr i le al -l ’ATP Fest ival , curato quest ’anno dai Dir ty Three…

Electralene saranno di supporto agl i Arcade Fire nel prossimo tour, e intanto i l nuovo singolo, To The East è usci to i l 12 marzo su Too Pure, precedendo l ’a lbum No Shouts, No Calls previsto per i l 30 apr i le pros-simo…

The Sea And Cake

a c u r a d i Te r e s a G r e c o

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Going Places, terzo disco del f ranco-canadese - con base a Vancouver - Montag sarà pubbl icato i l 29 maggio su Carpark e vedrà come ospi t i t ra gl i a l t r i Owen Pal let (Final Fantasy), Amy Mi l lan (Stars), Victor ia Legrand (Beach House), Au Revoir Simone…

Il nuovo album di Colleen , Les Ondes Silencieuses uscirà i l 14 maggio su Leaf; l ’ar t is ta f rancese ha intanto completato la musica per danza per uno spettacolo, Série , del la bal ler ina e coreografa svizzero-francese Perr ine Val l i , che sarà presentato ad apr i le e maggio prossimi a Par ig i e Ginevra…

Björk r ivela i l t i to lo del prossimo disco: Volta esce i l 7 maggio su One Li t t le Indian, album interamente scr i t to e prodotto da le i , r icco di ospi t i t ra cui l ’onnipresente Antony , Timbaland, Br ian Chippendale (Lightning Bol t ) , Kokono n° 1, Chr is Corsano…

Ricco cartel lone per i l Festival Dissonanze in programma l ’1 e i l 2 giu-gno a Roma, con una antepr ima a maggio; t ra i nomi present i : Stockhau-sen , The Books, Alva Noto, Batt les, Fennesz & Mike Patton, Nathan Fake, Kt l feat . Pi ta & Stephen O’Mal ley…

Jack White ha r ivelato i l t i to lo del nuovo album dei White Stripes , Icky Thump su Warner, registrato a Nashvi l le e già mixato; non è stata ancora resa nota la data di usci ta…

Daniel Arcus Incus Ululat Higgs , g ià leader di Lungf ish e Pupi ls e ar-t is ta v is ivo, pubbl icherà su Thr i l l Jockey i l 5 giugno prossimo Atomic Yggdrasil Tarot , che uscirà come CD + l ibro, con una raccol ta di d isegni e dipint i t ra iconograf ia rel ig iosa e surreal ismo à la Mirò…

Ricco cast per i l Fest ival d i Benicassim in Spagna (19/20/21/22 lugl io) , t ra i nomi previst i ! ! ! Animal Collective , Arct ic Monkeys, Bright Eyes , Calexico , Micah P Hinson); le nuove conferme e le partecipazioni a l com-pleto al s i to uff ic ia le (ht tp: / / f iberf ib.com/). . .

Anche i l Primavera Sound d i Barcel lona (31 maggio, 1 e 2 giugno) non è da meno, con una l ine-up che comprende tra gl i a l t r i , Wi lco, Sl int , Dir ty Three, Matt El l iot t , Smashing Pumkins (ht tp: / /www.pr imaverasound.com/#). . .

Gl i austral iani Wolf & Cub fanno i l loro debutto su 4AD con Vessels , in usci ta i l 4 apr i le in I ta l ia, d istr ibuzione Sel f…

L’at tore Matt Dil lon d i r igerà i l v ideo di Been There Al l The Time per i Dinosaur Jr. , i l cui nuovo disco Beyond è in usci ta i l prossimo 27 apr i le su Fat Possum / Sel f…

Colleen

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The Lights On...hans appelqvist

Suoni inaudi t i che abi tano intarsi d i memoria. Recinzioni at torno al non detto - in-audi to - del quot id iano. Un art ista che si interroga sul fare arte. Un’ indagine antroposcopica condotta sui segni lasciat i dal f lu i re del l ’umano in forme cul tural i , in di fformi cul ture. E da ul t imo, l ’orma del d iv ino intravisto s in nel le più nascoste pieghe del l ’esistenza. Questo, tut to questo, è la musica di Hans Appelqvist (Malmö, 1977).I pr imi vagi t i ar t is t ic i d i Appelqvist s i odono in The Xiao Fang EP (Mjäl l , 2002), v in i le breve usci to per la piccola et ichetta Mjäl l . Lo svedese è reduce da una lungo soggiorno in Cina che deve aver lo segnato e i l suo pr imo lavoro, d i quel l ’esper ienza, è fedele diar io di v iaggio. Tornato in patr ia con una val ig ia car ica di r icordi - sot to forma di f ie ld recordings , rumori ed umori - , l ’ar t is ta pare fare i cont i p iù con la propr ia memoria, ancora segnata a fuoco dal v issuto recente, che con le esigenze di un ipotet ico ascol tatore. L’EP è composto da quattro t racce in cui brandel l i d i v i ta impenetrabi l i per un pubbl ico europeo - conversazioni rubate in l ingua cinese (Xiao Fang ) - subiscono i l t rat tamento di un’elet t ronica dal vol to umano, f ino a divenire gl i e lement i pr imari del la inconsueta proposta sonora ( I Wi l l Never Forget , Return To The City ) . (6.5/10 ) Appelqvist non è propr iamente un music ista, non esclusivamente un f ie ld recorder . Quando scegl ie i sampler - le part icel le pr imarie che andranno a cost i tu i re i l suo pr imo vero e propr io lavoro, Tonefi lm (Komplot t , 2002) - , l ’at tenzione cade su suoni g ià

art ist icamente connotat i . L’a lbum, che idealmente s i apre e chiude con i l f ruscio di un proiet tore, s i serve di f ramment i d i t re vecchi f i lm svedesi ( tut t i r isalent i agl i anni 50 e 60 del secolo scorso), ma appare molto più suonato r ispetto al l ’EP d’esordio. Megl io che in The Xiao Fang EP , g l i spezzoni d i sceneggiatura s i fanno suono e conf lu iscono in un’ idea di fo lktronica che in iz ia a del inearsi compiutamente: se s i r iesce ad immaginare un passabi le compromesso tra l ’auster i tà dei d ia loghi in Bergman (Bakfyl leoro ) ed i l fo lk decostrui to di Gastr Del Sol e The Books (Grammofonnummer ) , o quel lo elet t roacust ico dei Mùm (Frihet ) , non si andrà poi t roppo lontano. (7.0/10 ) Idea perfezionata nel l ’EP The First Three Notes In The Minor Scale (Kompost, 2003) - reper ib i le gratui tamente sul s i to del l ’et ichetta - e nel t re pol l ic i Att Möta Verkligheten (Häpna, 2003) che, inaugurando i l sodal iz io con la Häpna, regala al l ’ar t is ta maggiore v is ib i l i tà internazionale. Entrambi, svelando una scr i t tura sempre più spartana e aff rancata dal mezzo elet t ronico, v ivono di quel le stesse intuiz ioni che faranno grande un disco come Naima , solo più sussurrate: i l pr imo imbastendo una sorta di del iz ioso concept sul seguirs i del le note Re, Mi e Fa; l ’a l t ro dipingendo bucol ic i quadret t i sonor i at torno a diverse f igure umane che in un modo o nel l ’a l t ro hanno incrociato i l percorso del lo svedese durante i l soggiorno cinese (Xiang ) . (7.0/10 ) (6.8/10 )I l 2004 è l ’anno di Bremort (Kompost, 2004), che viene proclamato migl ior d isco pop

del l ’anno dal la Radio svedese e s i fa portatore del la personale v is ione pop del l ’autore. Accanto ai consuet i cortocircui t i sensor ia l i t ra immagini evocate e rumori satur i d i v i ta, l ’a lbum è i l pr imo a contenere canzoni : Tre Dagars Regn Over Bremort sembra usci ta da un disco di Hanne Hukkelberg , in 5*5/Samiels Eftermiddag una melodia car ica di Nord emerge da sprazzi d i conversazioni . Bremort è la c i t tà immaginar ia nel la quale s i svolgono le consuete at t iv i tà di una comunità nordica: i l conglomerato umano del quale è dato assaporare le puls ioni e gl i odor i , seguirne i l f lusso ordinato, immaginare i l v issuto. (7.3/10)Arr ivata a questo punto l ’ indagine di Appelqvist non poteva che accostarsi a l le sogl ie del d iv ino. Naima (Häpna, 2006) è la div in i tà immaginar ia che interagisce con gl i abi tant i d i Bremort , che appare loro sul far del la sera sot to forma di melodia ul t raterrena: quel la Naimamelodin che in iz ia come fosse un tango danzato sul f i lo teso del l ’esistenza; r icompare sotto forma di sui te neoclassica in För Mig Är Det Inte Verkl igt ; s i fa rock in Små Människor Utan Hår . Al t rove Hans si fa cantastor ie navigato e v is ionar io: En Lekt ion I Ansvar immagina un incontro a metà strada tra i l fo lk del naufragio di Matt Ell iott e quel lo da boulevard di Yann Tiersen ; Underbar Var Jag Ännu e Vi Lämnar Staden Och Går Mot Stranden con la loro grazia lasciano r i f let tere ancora una vol ta su come spesso al le più al te lat i tudini del la terra corr ispondano le più al te del lo spir i to. (7.7/10 )

V i n c e n z o S a n t a r c a n g e l o

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The Lights On...

I King Kong sono uno dei tant i r i -volet t i musical i in cui sfrangiarono gl i Squirrel Bait pr ima e gl i Slint poi . Ethan Buckler ha da sempre vest i to i panni g iu l lareschi del-lo Zappa di Louisvi l le. Magari , d i tanto in tanto, facendosi anche in-v ischiare dal le sonor i tà ‘ f r iendly ’ che furono di cert i B52’s . I pr imi s ingolet t i , che invasero i l mondo dei col lege statuni tensi appena sul f in i re degl i Anni ’80, erano fat t i d i poche, parche, intuiz ioni sonore. Unire Buddy Holly a Zappa, suo-nare dirompent i e dimessi secondo i det tami del lo- f i a l lora agl i a lbo-r i , cercare di fare, insomma, un concerto grosso esageratamente f r izzante inquadrandolo come una ser ie di gag l ’una maggiormente bis lacca del l ’a l t ra. A Ethan, c ’è da creder lo, i l sense of humor pataf i -s ico non manca. E neanche quel la vena di sano, caust ico umorismo ‘a la ’ Monthy Pyton. Old Man On The Bridge (Homestead, 1991) s i sp-inge ancora più ol t re. Al la consueta ser ie di facezie in note, Buckler ag-giunge una sott i le ispirazione blu-sey. Niente di dolente comunque in questo r ipescaggio del le cosiddette ‘b lue notes’ . Anzi una certa ar ia di d is interessato, quanto cur ioso, scazzo nel l ’osservare i fat t i del mondo si fa sempre più evidente. Funny Farm (Drag City, 1993), con numeri d i funk c lownesco qual i la t i t le- t rack, ed al t ret tant i che si muovono dal la musica per piano bar a quel la da party sul la spiaggia (vedi Uh-Oh e White Horse ) , aggira le bizzarr ie in iz ia le del l ’ ispirazione del nostro e le t ramuta in pura, pur se col t iss ima, ‘music for fun’ . Me Hungry (Drag City, 1995), King-

dom Of Kong (Drag City, 1997), The Big Bang (Drag City, 2002) e l ’u l t imissimo Buncha Beans v iva-cizzano l ’essenza ‘neutra’ dei tant i e tant i st i l i encic lopedicamente t rat-tat i (dal gospel a l country) inaci-dendola con basi musical i velata-mente parodist iche. To Love A Yak , o anche Animal , su Me Hungry , co-niugano fantasiosamente l ’ id ioma del dancef loor più sconnesso al le puls ioni dancey che furono di Talk-ing Heads e B52’s. La di fferenza, però, r is iede tut ta in quel la bizzarra pi l lo l ina - sopra le r ighe, f r icchet-tona anche - che i nostr i r iescono senza fat ica alcuna ad indorare e fare ingurgi tare al le Teste Par lan-t i . Aff inchè par l ino tanto. Troppo. Senza senso alcuno. Ed eccoci a l tema non-sense nei King Kong. Non è forse un caso se i l nome del la band r imanda, sot to l ineandone la vocazione ident ica, a quel capola-voro di g igantesca fusione di st i l i che fu, nel 1968, la sui te King Kong del compianto Frank Zappa . Come i l maestro di Cucamonga aveva un gusto per una piega porno-sat i r ica che prendevano le cose nel le sue stor ie, i l buon Ethan condensa in-vece le sue capaci tà descr i t t ive sul part icolare id iota, r idot to ad infan-t i le f i lastrocca ‘nonsense’ (Bul ldoz-ers , ad esempio). Ne viene fuor i una narrazione dove gl i oggett i , le cose tut to a torno al l ’osservatore, s i susseguono le une dopo le al t re, ta lvol ta al ternandosi a l la nomina-zione (mai carat ter izzata nel det-tagl io psicologico) dei s ingol i in-div idui (presentat i sempre come macchiet te gener iche), a formare una sorta di c i rco bizzarro del le vel le i tà inespresse, del la medioc-

r i tà divertente e divert i ta. In King-dom Of Kong , ad esempio, i l tut to è evident issimo. E tocca, estremo suo naturale e conseguente, quel ‘ locus amenus’ che è i l cabaret . Cabaret da dopolavoro. Trabal lante nel l ’esecuzione medesima (Amy Greenwood e Ethan che bist icciano f inte scaramucce al la voce, e poi quei r i tmi funky scavezzacol lo che girano e girano senza però andare in nessun luogo.. .un funky astrat to, i l loro, non nel l ’esecuzione, quanto nel le intenzioni estet iche). Più che divert i re, in questo lp, la band pare divert i rs i e basta. Ma in ta le piano-bar del le assurdi tà, i l nostro King Kong è indubbiamente sovrano. E al lora che si d iverta pure, se al -meno un poco ne godiamo di r i -f lesso anche noi compiaciut i as-col tator i . Buncha Beans , s imi le in questo al precedente The Big Bang , è l ’ennesimo albero magico nato in una sola notte dopo aver piantato un unico semino di fo l l ia degenerante. Oramai composto e i r r iverente del medesimo, i l crogi -olo di st i l i del la band è esso stesso puro st i le e marchio di fabbr ica KK. Dement i e divertent i , Ethan e i suoi v iaggiano, senza temere r i tors io-ni , da una isola st i l is t ica al l ’a l t ra, qual i novel l i corsar i del suono fun-ky. Dove fun indica la radice del g iocoso divert imento, e ky, se solo v i aggiungessimo una e d i mezzo, potrebbe darci la chiave di let tura del puzzle (s)combinato dai nostr i . Ma questo non è dato!

M a s s i m o P a d a l i n o

king kong

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The Lights On...laura veirs

Un’ar ia da intel let tuale (o forse megl io da studentessa) e un certo non so che, a cominciare dal le lent i con montatura abbastanza spessa e dal l ’abbigl iamento vintage , con-fer iscono a Laura Veirs un’aura di r iservatezza e di mistero. I l terzo disco su Nonesuch, Saltbreakers , in usci ta i l 26 marzo in Europa (ve-dere spazio recensioni) off re l ’oc-casione per soffermarsi su questa interessante fo lkster. Nata a Colo-rado Spr ings e a lungo domici l iata a Seatt le, d i recente t rasfer i tasi a Port land, Laura col t iva interessi che comprendono, ol t re al la musica - a cui ha in iz iato a interessarsi in-torno ai vent ’anni –, la let teratura, la geologia e lo studio del la l ingua cinese. E una passione per gl i e le-ment i natural i che da sempre si r i -f let te nel la sua musica - un univer-so composi to in cui convivono folk, pop, soul , rhythm ‘n’blues, indie rock – ; un modo per cat turare le immagini quindi at t raverso i l mondo naturale, i l mare e gl i astr i , in part i -colare, per una musica dal l ’ impron-ta for temente evocat iva e v isuale, carat ter ist ica che le der iva s icura-mente anche dal la cul tura c inese, immersa in una sua musical i tà che comprende anche i l segno graf ico. Propr io i l pr imo album (Self Tit led , 1999, autoprodotto), una raccol ta di l ievi bozzett i in acust ico, v iene con-cepi to in Cina durante una sofferta spediz ione geologica, in cui la No-stra faceva da interprete; episodio che le farà comunque abbandonare una probabi le promettente carr iera scient i f ica. Autoprodotto è anche i l secondo disco (The Triumph and Travails Of Orphan Mae , 2001, poi r is tampato su V2 nel 2005; coun-

try fo lk dimesso). Comincia intanto, dopo i l t rasfer imento a Seatt le, un sodal iz io che si r ivelerà lungo e pro-f icuo – durando tut tora - con i l bas-sista/chi tarr ista Karl Blau e con i l bat ter ista e produttore Tucker Mar-t ine (entrambi nei Tortured Soul , sua band ancora oggi) , che porta al la real izzazione di Troubled By The Fire (Bel la Union, 2003), in cui comincia ad evidenziarsi la passio-ne per i l country e i l fo lk del le radic i r iv ist i in chiave indie-rock, con so-nor i tà in bi l ico t ra Kristin Hersh e la sensibi l i tà di una Suzanne Vega p iù sbi lenca. I l passaggio al la Nonesuch / Warner l ’anno dopo segna l ’ in iz io di un pe-r iodo musicalmente prof icuo, a co-minciare da Carbon Glacier (2004) con le sue song di nudo folk f ram-misto ad al t -country e sprazzi pop; l ’a lbum ha un mood oscuramente inquieto (bast i guardare la copert i -na, con un l iv ido mare notturno su cui s i agi ta una barchina con un uomo che porta in mano una lan-terna), t ra f i lastrocche evocat ive (Ether Sings , Icebound Stream , Shadow Blues con toccante f inale a due voci) , melodie sospese tra note di p iano che incantano (Rap-ture ) e indie-pop songs (The Cloud Room ) che non ci s i aspetterebbe a questo punto. Una sensibi l i tà le-gata al le piccole cose, la sua, per un disco che fa del l ’atemporal i tà la sua forza. L’album è accol to bene e da questo momento comincia ad aumentare la v is ib i l i tà del la Nostra, grazie anche al le maggior i possibi -l i tà offer te dal la nuova label . L’an-no dopo tocca al composi to Year Of Meteors (Nonesuch, 2005), la-voro più strut turato musicalmen-

te, che abbraccia un ampio range, dal fo lk-rock al pop al l ’e let t ronica al l ’ indie-rock, per un songwri t ing ormai s icuro del le sue possibi l i tà. Un incedere l ieve nel l ’ in iz ia le Fire Snakes , fo lk song screziata d’elet-t ronica con un crescendo d’archi , a lcune meravigl ie acust iche al la Suzanne Vega (Magnet ized , Trough The Glow ) , indie-rock (Rial to , Black Gold Blues ) , soul bal lad dal la melo-dia che fanno presa (Cool Water ) e una voce che sembra carta vetrata, aspra e spigolosa che però r iesce a model lars i e diventa man mano più doci le con l ’ incedere del la melodia. Al t rove è lo scorrere ipnot ico come mantra a creare suggest ive fasci-nazioni sonore, come nel la breve ninnananna di Lake Swimming . Un songwri t ing intenso e ormai matu-ro e canzoni che si affermano con decis ione. Laura Veirs cont inua comunque a mantenere un’at t i tudi-ne pret tamente indie, s ia pur con-sapevole di t rovarsi in una terra di conf ine. Questa la sua forza. I l 2006 vede una sua col laborazione , insieme al sol i to Tucker Mart ine, con i Decemberists per dei cor i in The Crane Wife , usci to a f ine 2006. Con i Tortured Soul r inominat i Sal-tbreakers (un’ immagine evocat iva per indicare le onde marine) in onore del l ’u l t imo album, Laura s i conferma songwri ter ormai ampia-mente emersa, da tener d’occhio con at tenzione.

Te r e s a G r e c o

s e n t i r e a s c o l t a r e � �

The Lights On...

Spir i to e carne. Pensiero e mater ia. Voce e r i tmo. Yum e Yab. La cop-pia Honey Owens - Adam Foulk-ner da Port land a Big Sur sul le al i d i un’armonia tantr ica che non può essere che di coppia. L’entu-siasmo che, solo pochi mesi fa, c i aveva procurato l ’ascol to di Blood Is Clean , pr imo disco di Honey Owens con l ’appel lat ivo di Valet , non si è at tenuato affat to. Ora ar-r iva anche la r istampa del d isco in quest ione su Kranky, per at t izzare nuovi consensi , suggest ionare nuo-ve ment i e ipnot izzare nuovi adept i del la psichedel ia più espansa e v i -s ionar ia. Un disco d’esordio, ma di certo la Owens tut to è t ranne che una vergine del set tore. Per più di d ieci anni ha al imentato e v issuto la scena sper imentale di Port land, con le più svar iate formazioni musi-cal i e facendo parte del lo staff del-la stor ica fanzine americana Maxi-mum Rock’n’roll . I l suo nome si lega presto a quel lo dei Jackie O’ Motherfucker . Fa parte del la pr ima formazione del gruppo, quel la che nel 1999 dà al le stampe i l d isco d’esordio Fig. 5 . Nel l ’assemblaggio di stor ia americana, drone music, funghi a l lucinogeni , canicola deser-t ica, cant i pel lerossa, f ree jazz mo-r ibondo e ot tenebrato dal le droghe, i Jackie O’ fanno epoca e s i pre-parano ad essere i padr i indiscussi del la nuova generazione weird de-gl i anni 2000. Honey però lascia la band subi to dopo i l pr imo disco per dedicarsi ad un’al t ra formazione sui gener is , i Nudge . Di fat to una fusione con Br ian Foo-te e Paul Dickow dei Fontanelle , i Nudge sono un’al t ra i l luminata espressione di crossover t ra gene-

r i , st i l i , ispirazioni var ie. Elet t roni-ca IDM, rock, noise, reggae, funk. Classic Mode si int i to lava i l bel l is-s imo brano che apr iva i l loro terzo disco, Cached , usci to nel 2005 su Kranky. Un commento i ronico? Co-s’al t ro, v ista la musica che sguazza nel l ’ ibr idazione più spinta e senza compromessi . La Nostra torna poi a l suo pr imo amore, i Jackie O’ Motherfucker, con Flags Of The Sacred Harp , d isco che senza i l suo apporto avrebbe la metà del valore che ha. I duett i vocal i che inscena con Tom Greenwood su cover di t radi t ional del la Old Weird America, valgo-no da solo i l prezzo del b ig l iet to. Giunt i dunque al la stor ia contem-poranea, la Nostra fa sodal iz io s ia affet t ivo che musicale, con Adam Foulker, un al t ro “cane di razza” avendo mi l i tato negl i stor ic i space rockers Yume Bitsu . Band f in i ta nel d iment icatoio t roppo presto e che vale assolutamente la pena re-cuperare. Per lo meno r iascol tatevi i l d isco omonimo usci to nel 2001 su Ba Da Bing! e mi saprete dire…I due hanno in piedi un progetto a quattro mani denominato World , o l -t re ad una vera e propr ia et ichet-ta, la piccol issima ma fascinosa Yarnlazer. Di fat to però questo è i l momento in cui entrambi s i concen-trano sul le propr ie proposte sol iste. Foulkner ha avviato i l progetto Whi-te Rainbow , con al l ’at t ivo un paio di usci te che si muovono tra narco tr ibal ismi space e chi tarre l isergi -che del le grandi occasioni . La sua è una new-age tr ibale che si permet-te anche accent i dance. Varrà s icu-ramente la pena tener lo d’occhio, tanto più che esordirà anche lu i su

Kranky, pr ima del la f ine del l ’anno. Quanto al progetto sol ista di Honey Owens (che tra una cosa e l ’a l t ra s i d iverte a r ivendere su ebay vest i t i v intage trovat i nei centr i del l ’Eser-c i to del la Salvezza) i l mater ia le che compone i l d isco or ig inar io deve essere stato concepi to da sola, in ore tarde, perché i l feel ing è mol-to conf idenziale. Blood Is Clean è solo i l pr imo lavoro, ma la Owens vi rovescia dentro tut ta l ’esper ien-za acquis i ta in quest i anni . Sul la sua musica le i è s icuramente più chiara (?) del sot toscr i t to: “Conce-pisco la mia musica come una via di mediazione incanalando suoni da un posto sconosciuto, aprendo e rovesciando fuor i tut to sul nastro di un computer ” . E ancora per i suoi suoni s i d ice ispirata da “ i l mondo percussivo del Voodoo Hait iano… var ie musiche sciamanich … i Vel-vet Underground e i l “Quarto Mon-do” concepi to da Jon Hassel l”. A cui b isogna aggiungere da un lato i l t rend contemporaneo del f ree-singing, i l canto l ibero in pr imo pia-no, che ul t imamente pare prendere sempre più piede, vedi i d ischi d i Grouper , Bastard Wing , Gown , Inca Ore , Skaters e dal l ’a l t ro un sostanziale substrato di onir ismo kraut, quel lo più caldo e amniot ico nel lo st i le di cert i Agitation Free , Ash Ra Tempel o Limbus 3 e 4 . I l r isul tato f inale è al tempo stes-so peccaminoso e sacrale, oscuro e luminoso. “My blood is c lean/But the devi l ’s in me ” canta nel la t i t le t rack . Qualcuno faccia ascol tare subi to questo disco a Julian Cope . Impazzirà (ul ter iormente…) quando lo sent i rà.

A n t o n e l l o C o m u n a l e

valet

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Si muove tra Parigi, dove ha vissu-to a lungo, e New York, in cui si è stabi l i tà da qualche anno, passando per Israele (dove è nata, da padre ebreo russo) e Olanda, dove ha tra-scorso l ’ infanzia ( la madre è metà olandese e metà javanese). Baste-rebbero queste coordinate per fare di Keren Ann i l personaggio nomade per eccel lenza; una vita cosmopo-l i ta in bi l ico tra culture diverse, da cui le deriva anche - va da sé - un senso acuto di nomadismo cultura-le, oltre che f isico, e una curiosità innata per i l mult icultural ismo. Oltre ad un comprensibi le senso di sradi-camento, da classica apolide. Una grazia discreta la sua, un fa-scino non eclatante che conquista sott i lmente. Classe da vendere. Minimale Keren Ann. Cantautr ice raff inata, volutamente in disparte, come la sua musica, del resto. Un songwrit ing classico, profondamen-te malinconico e piuttosto r icerca-to, che da una dimensione acusti-ca contaminata da elementi di jazz, rock e classica, si è evoluto man mano verso st i lemi pop-rock e or-chestrazioni più ampie, partendo dai modell i Serge Gainsbourg/Fran-coise Hardy. Pianista e chitarr ista, si occupa an-che degli arrangiamenti ed ha pro-dotto i suoi ult imi album. Una carr ie-ra già abbastanza lunga, iniziata nel 1998 con dischi pubblicati pr ima in francese poi in inglese e numerose col laborazioni, che culmina in apri le con l ’uscita del l ’album omonimo su Capitol (vedere spazio recensioni), in cui la sua musica si evolve natu-ralmente verso una “classicità” pop

di fondo ed una compiuta maturi tà art ist ica. Ult ima uscita che ci ha offerto l ’occasione per un incontro faccia a faccia con l ’art ista. Che si conferma una del le realtà femmini l i pop (e non solo) più interessanti al momento in circolazione.

I n t e r v i s t a ( M i l a n o , 1 4 f e b b r a i o 2 0 0 7 )Innanzitutto ti chiederei se c’è un posto particolare dove ti senti a casa, dal momento che si sa del-la vita nomade e del miscuglio di differenti culture che porti con te. Questo nomadismo quali effetti ha avuto sulla tua musica?La mia casa è dove mi trovo in quel momento, che sia Parigi o New York o un altro posto, ma devo dire che ho uno speciale attaccamento al la terra da cui provengo e sono cre-sciuta nei primi anni di vi ta, Israe-le, a cui mi sento molto legata, naturalmente. Attualmente vivo tra Europa ed America, ma quando ho bisogno di un contatto vero con la natura, r i torno nel posto dove sono nata. Questo nomadismo ha avuto chiaramente degli effett i sul la mia musica, infatt i mi sento sempre al la r icerca di qualcosa. Ecco perché mi piace così tanto New York, una cit tà così eclett ica - che non appart iene a nessuno e al lo stesso tempo ap-part iene a tutt i - , dove si possono trovare differenti t ipi di musica nel lo stesso momento.

I tuoi pr imi due d ischi erano cantat i in f rancese, come mai ha i deciso d i passare a l l ’ ingle-se? Anche per far t i conoscere

da un pubbl ico p iù ampio?I pr imi album erano in francese per-ché al lora vivevo in Francia (ci ho vissuto a lungo da quando mi sono spostata con la mia famigl ia dal-l ’Olanda), mi sembrava perfetta-mente naturale usare quella l ingua. D’altra parte ho cominciato a parla-re inglese prima che francese, per cui, volendo r i tornare a un mondo di emozioni più profonde, sono passa-ta al la scri t tura in inglese. Del resto ero già nota al tempo dei primi di-schi, per cui non è stato un calcolo, piuttosto un’esigenza. Nello stesso tempo mi sono avvicinata al la musi-ca americana, ascoltavo molto Bob Dylan per esempio…

A proposito di influenze…Ah sono molt issime: Bi l l ie Holl iday, Francoise Hardy, Chet Baker, Serge Gainsbourg, ma anche Bruce Sprin-gsteeen (per la scoperta del le radi-ci americane), Velvet Underground, Suzanne Vega che ho amato molto e che ho avuto i l pr ivi legio di cono-scere…oggi ascolto anche classica e contemporanea, Philip Glass ma anche Lee Hazlewood…

I l tuo ultimo disco è abbastanza lontano dalla dimensione acusti-ca con cui ti avevamo conosciuta; ti sei occupata degli arrangiamen-ti e della produzione, come per i due precedenti…Sono molto coinvolta nel processo creativo, e sono anche interessata al suono, che è una cosa molto im-portante per me; ho infatt i due stu-di di registrazione a Parigi e New York e mi occupo in prima persona anche del l ’aspetto tecnico. Ci sono

d i Te r e s a G r e c o

I AM GOING EVERYWHEREKeren Ann

Una vi ta nomade, spesa fra Europa, America e Israele. Una carr iera che l ’ha v ista af fermarsi progressivamente come cantautr ice e music ista a 360 gradi , in bi l ico f ra chanson ed ambizioni p iù ampie. Fino al l ’u l t imo, omonimo album, che la consacra def in i t ivamente come autr ice ed interprete pop-rock di pr imo l ivel lo. La grazia discreta di Keren Ann.

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molt i modi di produrre un disco, ma solo uno corr isponde a quello che vuoi sentire veramente; e in que-sto caso sono molto soddisfatta del suono che abbiamo ottenuto, im-pressionist ico direi: ho usato infat-t i vari t ipi di frequenze, dal coro al basso al la batteria, e mi è piaciuta molto l ’architettura sonora che ne è scaturi ta.

È un disco in cui canti di più, a voce spiegata, contrariamente al penultimo Nolita , più intimo e acustico…Ho scelto infatt i di registrare la voce in modo diverso, in una stanza mol-to ampia, dipende appunto dal l ’ef-fetto che si vuol ottenere. In Nolita la voce era compressa e registrata in un piccolo spazio.

Parlando dei testi, ci sono dei temi ricorrenti - come sempre nel-le tue canzoni -, i l viaggio, i l no-madismo…Parlo molto di movimento e di viag-gio, e del l ’attaccamento che si ha per alcuni posti , ma anche di com-pl ici tà nel l ’amore e nel l ’amicizia. Non si parla infatt i necessariamente d’amore quando sono nominate due persone, ma di vicinanza e compli-ci tà, di comunanza d’ intenti . Anche di amici che non si vedono da mol-to tempo ma tra cui c’è un legame sempre presente. E c’è poi la malin-conia, del resto onnipresente nel la vita di tutt i i giorni, uno stato men-tale direi.

Si sentono diverse influenze nel disco, dai Radiohead agli Air (In Your Back), dalla musica atmosfe-

rica alla Eno (Liberty) ai Beatles…È un disco vario, in cui ho tra l ’al tro lavorato con molt i musicist i , anche diversi a seconda del brano; In Your Back è in realtà una bal lad molto seventies, al la Neil Young; Liberty invece r i f lette i miei ult imi interes-si per la musica contemporanea e in part icolare per Philip Glass; del resto come dicevo prima, negl i ul-t imi tempi sto ascoltando parecchia classica e contemporanea.

Lady & Bird è il nome di un tuo progetto (e di un disco omonimo uscito nel 2003, folk-rock seven-ties ispirato ad Hazlewood e Sina-tra) con l’ islandese Bardi Johan-nsson, leader dei The Bang Gang. Ci sono altri dischi in vista?I l gruppo è nato dal mio incontro con Bardi, e da comuni inf luenze anni 70, abbastanza normali per la mia generazione (Keren ha 33 anni, nda); i l disco è stato fatto per diver-t imento, ed è stato un episodio iso-lato, credo. Ci sono varie cose che abbiamo continuato a fare insieme, come musiche per documentari , in-fatt i col laboriamo e facciamo tuttora musica. Oltre che condividere inte-ressi comuni.

A proposito, ci sono altr i art ist i con cui t i piacerebbe collabora-re?Non mi viene in mente nessuno di part icolare in questo momento, d’al-tra parte io ho sempre lavorato an-che con altr i , da Benjamin Biolay - nei primi due dischi - con cui ho anche co-scri t to l ’album del r i torno di Henry Salvador , sette o otto anni fa, ho contatt i con regist i e coreo-

grafi da quando ho scri t to musiche per f i lm e bal lett i , che è una cosa che mi piace molto fare, soprattutto musiche per f i lm.

Restando in tema, quali sono i tuoi gusti in fatto di cinema?Ho avuto una formazione di cinema classico, da Ford a Hitchcock per ci-tare alcuni nomi, anche se negli ul-t imi tempi mi sono avvicinata come gusti al cinema horror, che è una grossa sf ida per me!

Parlando di concerti, c’è la possi-bilità di venire nel nostro paese? Faremo un tour in Europa, America, Canada e Asia ( in Giappone e Co-rea i miei dischi in francese hanno venduto parecchio e ho una grossa audience l ì) ; in I tal ia non sono mai stata f inora, e mi piacerebbe molto, spero questa sia la volta buona, di-pende dal booking management! Ho suonato in piccol i e grandi posti , di-pende dal la cit tà. Per quanto la mia musica f inora abbia reso meglio in posti più raccolt i , suonando in acu-st ico, solo io e una chitarra, con quest’ult imo disco ho anche vogl ia di suonare in posti più grandi dove posso esibirmi con una band; non ho mai avuto un gruppo f isso, anche per i dischi, è sempre cambiato di volta in volta e anche per i concert i . Per questo tour sul palco saremo in quattro (a maggio Keren Ann terrà in I tal ia due concert i , l ’11 a Milano al la Casa 139 e i l 12 a Torino al lo Spazio211).

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Tutta la vogl iono. Tutt i la cercano. Cosa avrà di tanto speciale una mingherl ina ragazza del Canada cresciuta a pane e Ramones da far agitare gl i animi? Uno strano incrocio, a vederla, t ra una giovane Patt i Smith e Charlotte Gainsbourg, quel viso spigoloso che non sai decifrare, quel la bel lezza-non-bel lezza che t i lascia perplesso, ma nel lo stesso tempo ammalia proprio per la sua part icolar i tà. Una nuova femme fatale del la East Coast canadese? A sent ir la, la sorpresa vi disegnerà in volto uno stupido sorr iso e farà crescervi attorno uno scenario pr imaveri le, solare e fresco, dentro cui passeggiare tra nuvole rosa di cartapesta e laghi azzurr i di involucr i di caramelle, e alberi di carta bianca, al la r icerca di quel l ’ugola d’oro che pare un f lauto magico. Tanto carezzevole, avvolgente, quasi da favola gondryana, ma non lagnosa o stucchevole come tante ce ne sono in giro, perché Leslie Feist , s ignori , ha carattere da vendere, e quanto ai meri t i , beh, lasciamo che sia la sua stor ia pr ima e gl i ascolt i poi a darci maggior i dettagl i . Dicevamo, dunque, dei Ramones, bizzarro accostamento col senno di poi, ma la Nostra vanta un opening l ive nientemeno che per Dee Dee e Joey nel 1991, vinto ad un concorso scolast ico con la sua gir l punk band Placebo (un caso di omonimia con gl i inglesi di Molko, venut i dopo). Un trampol ino di lancio che porta i l gruppo in giro per la nazione per cinque, lunghi anni. Certo, da qui ad immaginare di poter perdere la voce

ci vorrebbe una fervida fantasia, ma è proprio ciò che succede. Al posto suo chiunque avrebbe deposto le armi nel barato più profondo e irraggiungibi le, ma non lei , non quel piccolo vulcano diciannovenne di Lesl ie, che armata di caparbietà e f iducia vola a Toronto per lavorare con un dottore esperto in danni al le corde vocal i . Tre mesi di duro impegno per recuperare, ma la gola, ancora fragi le, ha bisogno di al tr i sei mesi di r iposo assoluto. Ferma e buona, però, non ci sa proprio stare e con la complic i tà del fermento ci t tadino, di nascosto e in sol i tudine in quel la che è ormai diventata la sua nuova casa, registra con un quattro piste e una chitarra una serie di let tere scr i t te di suo pugno.E con un piede in casa e uno sul le strade impolverate di un tour durato più di un anno insieme ai By Divine Right (Kevin Drew e Brendan Canning diventeranno presto dei compagni di v iaggio famil iar i ) , ai qual i s i propone come chitarr ista, prende vi ta Monarch (Lay Down Your Jeweled Head) (Bobby Dazzler, settembre 1999). Un classico album indie rock - contral tare di quel folk-blues che rese regina, un anno pr ima, la ben più nota Cat Power con Moon Pix - in cui però la novità sta proprio in una r i t rovata voce che si acquieta sul la melodia mostrandole un’al tra strada al canto. Non più gr ida, ma un mono-tono gorgheggio che per lei ha tutto i l gusto del lo stupore. Basta ascoltare I t ’s Cool To Love Your Family o One Year A.D. per capire i l

t i ro del l ’a lbum: fraseggi di chi tarra l ineari e batter ia sol ida a guardare le spal le, cor i catchy che profumano di una leggerezza al iena, una spruzzata di archi a complicare gl i arrangiamenti ( la t i t le track) . Eppure quel tono un po’ nasale nasconde del le meravigl iose ir idescenze ol tre uno strato superf ic iale che potrebbe anche sembrare un po’ scontato: una dolente Onliest , torch song su tre corde e pathos in crescendo che svela un acuto impressionante per una che ha avuto problemi di voce, e una Sti l l True tanto sanguinaria nel suo essere subdolamente r icoperta di accordion, una f inta pace per chitarre nervose e drumming corposo. (6.8/10)Passato un po’ inosservato anche in patr ia, Feist ha però attratto l ’at tenzione di spiccate quanto bizzarre personal i tà musical i del la zona, a part i re dal la provocator ia Peaches , con cui ha condiviso l ’appartamento r inominato “701” e frequentato assiduamente dal produttore e musicista Taylor Savvy , dal lo straordinario e camaleont ico Gonzales e dai World Provide , al t ra i rr iverente band di Montreal. E tra giochi parossist ic i , la Nostra si r i t rova, nel 2000, a prestar voce in Teaches Of Peaches e corpo in tenuta aerobica (!) nel seguente tour. Non solo, sempre nel lo stesso anno c’è poi Gonzales a chiamarla per i l suo Uber Alles e a portarsela in giro per l ’Europa, ma un volta tornata in Canada che fare? Pare essere una domanda r icorrente da quel le part i , quando i l temibi le e lungo inverno si avvicina. Fortuna

d i Va l e n t i n a C a s s a n o

COSMOPOLITAN VOICELeslie Feist

Conturbante s i rena dal passato punk. Icona sarcast ica del mondo indie canadese e non. Voce di vel luto e bel -lezza straniante. Peaches, Gonzales, Jane Birk in, Broken Social Scene, Kings Of Convenience sono solo alcuni degl i innumerevol i ar t is t i che l ’hanno chiamata a col laborare. Ora chantouse di quanto di megl io i l pop abbia maturato negl i anni . Mi l le v i te diverse, ma sempre e solo le i : Lesl ie Feist .

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che ci sono quei car i vecchi amici di Drew e Canning con cui mettere in piedi un’ idea bislacca come quel la di creare un l ive show dal nome Broken Social Scene , progetto che conf luirà in You Forgot It In People , esordio col botto del super combo. Tra una tournée con i BSS ed una con Gonzales è proprio con quest ’ul t imo che inizia a lavorare a Parigi ad un nuovo album, dapprima r ivedendo insieme un vecchio demo casal ingo (The Red Demos) con i l supporto di Renaud Letang, e poi scr ivendo e reinterpretando alcune cover.Queste session portano i l nome di Let It Die (Arts & Crafts / Universal, maggio 2004), un frul lato denso ed invi tante di tut to ciò che la musica popular, nel la migl iore accezione, ha maturato negl i anni. Con fel ina destrezza e pungente sensual i tà questo gatto a nove code si arrampica su una bossanova svogl iata (Gatekeeper) , s i accovaccia sornione su un soul sdrucito ( la t i t le track) , s i st i racchia languidamente su un modernismo che è soul (One Evening) ma anche dance ( la del iz iosa cover dei Bee Gees Inside And Out) e si dimena su un r i tual ist ico tradit ional gospel (When I Was A Young Gir l) . Con tutta la nonchalance un po’ snob europea, Lesl ie non si cura affatto del l ’effetto col lage che ne può r isul tare, ma anzi c i s i butta a capof i t to, raccordando i l tut to con la sua vocal i tà sbarazzina, facendo tesoro del le esperienze e passandole al vagl io del suo sguardo curioso, con una punta

di sarcasmo ( la cabarett ist ica chanson Tout Doucement) che sa anche vest ire, al l ’occasione, una maschera di sobria e inaspettata serietà ( la jazz bal lad anni 20 di Now At Last) . (7.0/10)Non c’è dunque da stupirsi del successo ottenuto ( l ’unica anglofona a f i rmare per la Universal Music France vendendo ben 85 mila copie), t ra premi e presenze ai fest ival più prest igiosi (uno su tutt i , i l South By Southwest di Aust in), ma come si conviene ad un caratter ino tenace e leggiadro come i l suo, Feist lascia correre le onori f icenze preferendo di gran lunga r ispondere a tutte le chiamate di col laborazione piovutele addosso, dai Kings Of Convenience di Riot On An Empty Street al Mocky di Are And Be , dal la Jane Birkin di Rendez-Vous ai sempreamici Apost le Of Hust le di Folkloric Feel .Partecipazioni prof icue che la vedono sempre più nel ruolo di musa ispiratr ice, parte att iva di un circui to musicale in ascesa (quel lo canadese in part icolar modo) e che le vale nel duemilasei l ’a lbum Open Season (Arts & Crafts, 18 apri le 2006). Una stagione aperta, appunto, al contr ibuto di quant i negl i anni si sono dat i i l cambio per supportar la, dal mentore Gonzales che fa di One Evening una del icata f i lastrocca per solo piano, agl i Apost le Of Hust le per una versione l ive di Inside And Out che volutamente si assesta sul morbido accompagnamento del la chitarra, ai Postal Service con l ’e lettronica giocattolo di J immy Tamborel lo e i l controcanto di Ben

Gibbard ad aggiungere fr izzant i bol l ic ine a Mushaboom . Un lavoro di remix per un repertor io già buono di suo, un gradevole r iempi pista per tenere caldo l ’ambiente in attesa di ben al tre prove. (6.6/10)E non si fa desiderare troppo la Nostra con questo secondo The Reminder (Arts & Crafts / Universal, 23 apri le), cogitato nei due anni trascorsi in tour e assemblato in poco meno di una sett imana con l ’aiuto, ol tre che del l ’ormai inseparabi le Jason Beck, di Jamie Lidell e di Dominic “Mocky” Salole . Con nomi simi l i al seguito ci s i potrebbe aspettare una produzione esagerata, che punta magari molto sul l ’e lettronica, sugl i effett i , e invece l ’unico effetto qui è la voce, sempre in t i ro, di Lesl ie. Semmai è proprio tutto i l contrar io, ovvero un “r icercato” tono dimesso, come fosse stato registrato in presa diretta ( la folk bal lad a là Micah P Hinson di The Park) . Che si t ratt i di nuovi brani ( l ’ indie rock di I Feel I t , i l country pop di 1 2 3 4 , la bal lad a lume di candela con Eirik Glambek Boe di How My Heart Behaves) o di cover ( i l gospel accelerato di Sea Lion Woman , già omaggiata da Nina Simone) oppure di un r i torno al passato ( lo scint i l lante notturno pianist ico di The Water , già pubbl icata nei Red Demos sotto i l falso nome di The Eastern Shore , la sol i tar ia in f ingerpicking Intui t ion t rat ta dal le session di Let It Die) i l f lessuoso fascino di Feist r imane inalterato, se non più reale e diretto di un tempo. Scommett iamo che con i l fulminante singolo My Moon My Man farà bal lare ancora? (7.2/10)

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d i S t e f a n o S o l v e n t i e A n t o n i o P u g l i a

Di un percorso art ist ico, non sem-pre i l compimento è la parte più im-portante. Prendete i Low: è durata quasi dieci anni la loro tenzone con lo slowcore. Dal pr imo, stordente capolavoro I Could Live In Hope del 1994 a quel Trust che nel 2002 porta tutto al le estreme conseguen-ze, se non poetiche senza dubbio formali . Poi lo scarto, i l passo di lato che cambia le regole, r idispone le carte obbedendo ad una sensibi-l i tà nuova. I Low oggi non sono più i Low, eppure a sentir l i come suona-no e parlano non sono mai sembrat i tanto consapevol i di ciò che vogl io-no essere e fare. Si esce disorientat i dal l ’ascolto degl i ul t imi due album, ma loro tre sembrano perfettamente a loro agio. Real izzat i .È chiaro a tutt i per cosa saranno r icordati , i l motivo per cui l i anno-veriamo senz’altro tra le band più inf luenti a caval lo tra vecchio e nuo-vo secolo: i l modo in cui hanno r ide-f ini to le coordinate spazio-temporal i di un certo fare rock che cataloghia-mo di buon grado al la voce slowco-re. Tempo e spazio: lento i l batt i to, i l passo invischiato nel la densità emotiva, i sensi spaesati nel la dis-solvenza senza posa; sconfinate le prospett ive, però basse, opprimen-t i e pietose, una cappa dolciastra, matr igna. I t re ragazzi di Duluth – i coniugi Alan Sparhawk (voce e chitarra) e Mimi Parker (batter ia e voce) più i l bassista John Nichols (sost i tui to f in dal 1995 da Zack Sal ly, a sua volta appena r impiazzato da Matt Livingston) – prendono le mosse dal folk-rock psichedel ico, ma lo sottopongono ad una estenuante terapia omeopatica a base di Velvet

una lenta liberazione

Underground , depressioni Young , eterea dogl ianza Dead Can Dan-ce , cupi mesmerismi Mazzy Star e – soprattutto – tormenti narcot izzat i Codeine (ai qual i , di fatto, f inisco-no per usurpare i l t i tolo di sacerdoti del lo slowcore). In un certo senso i Low sono dark, o megl io “gothic”, nel la misura in cui perseguono una dimensione dolente e spir i tuale, in-nescata ma svincolata dal le miserie del quotidiano, mantenendo però a debita distanza le fogge iconograf i-che del genere.Al contrar io, tendono al l ’ invisibi l i tà. La loro presenza è rurale, tre f igl i di quel la terra che l i nutre di pas-sione inquieta, di ar ia e sole che r iempie i l petto comunque e spin-ge ad un’esaltazione si lenziosa. Perché i l messaggio dei Low è se-manticamente ambiguo: l ’ i r r iducibi-le desolazione, la mestizia febbri le e quel l ’etereo sdi l inquimento sono accompagnati da un fremito costan-te, da una vi tal i tà certo ombrosa ma indomabile, da un desiderio di ele-varsi (quasi) rel igioso. Non c’è ni-chi l ismo nel la musica dei Low, che è anzi – a suo modo – uno struggen-te inno al la vi ta.Malgrado la qual i tà degl i album (al-l ’esordio faranno seguito Long Divi-sion e The Curtain Hits The Cast , r ispett ivamente nel ‘95 e nel ‘96) si mantenga sempre elevata, dimo-strando una scri t tura sempre inten-sa e una padronanza del l inguaggio sempre più pecul iare, in progressi-vo affrancamento dai model l i di par-tenza, i Low r imangono un prodotto di culto, sacerdoti di una chiesa in espansione ma r iservata agl i adepti del la “contr iz ione lenta”. Neanche Secret Name (1999) e - nel lo stes-

so anno - la partecipazione al pro-getto In The Fishtank assieme ai Dirty Three (dove coverizzano con alterne fortune brani del repertor io younghiano) smuove più di tanto le acque. Credo sia più o meno in questo periodo, col ventre gonfio di un l inguaggio maturo, ormai del tutto compiuto, che i Low avvertono la stretta al col lo del cordone om-bel icale. In un certo senso, Thin-gs We Lost In The Fire (2001) an-nuncia la resa dei conti con quel lo slowcore cui molto dettero, da esso r icambiat i . Una esaltante carrel lata di bal late celest ial i e incalzanti , di psichedel ia di latata, estasi indolen-zi te e suadenti malìe, una confezio-ne mai tanto orchestrata e fr iendly ad inf iocchettare la stessa estat ica aff l iz ione (tenuta a bada da qualche goccia di prozac, magari) . Era qui che volevano arr ivare. Di-fatt i i l disco fa centro. L’epifania indie-pop dei Low è una realtà con cui a quel punto occorre fare i con-t i . I l loro sound, quel gioco al l imite tra essenzial i tà e densità, quel pla-smare i l c l imax di ogni pezzo come se vivesse di vi ta indipendente, non attendeva altro che farsi carne per classif iche. Formalmente potente e def ini to, poeticamente robusto, non poteva certo temere nul la dal la “ba-nal izzazione” indie-pop. Che viene clamorosamente r ibadita con Trust (2002), nel quale r ibadiscono una disarmante capacità di partor ire bal-lad ad alto tasso emotivo, dove dol-cezza ed abbandono si abbeverano sempre più al la sorgente del rock. È, anche questo, un segnale. Che anticipa la svolta def ini t iva di The Great Destroyer (2005). Defini t iva, perché anche se dopo questo album

Low

I Low non hanno inventato nulla. Ma lo slowcore sembrava attendere loro per compiersi davvero. E così, oggi, i l loro sound è un punto di r i ferimento. Da essi stessi, oramai, disatteso.

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sfacciatamente rock – e a tratt i pure rockista – i Low decidessero di tor-nare al l ’ovi le del lo slowcore, non sarebbe più la stessa cosa. Abban-donata la Kranky per la Sub Pop, e prodott i da un sempre smagliante Dave Fridmann , sorprendono tutt i con un album disinvolto, in cui una certa durezza si al terna al le moven-ze catchy, l ’ int imità al fragore, la tradizione del folk-rock agl i espe-dient i del moderno pop radiofonico. Nei test i sembra inoltre spuntare una sorta di “ impegno” che fa i cont i con l ’attual i tà, un pigl io più concre-to e concreto, a tratt i brutale, come è lecito attendersi da ex-anacoret i tornat i a masticare del iz ie e maga-gne secolari . Con Drums And Guns (Sub Pop / Audioglobe, marzo 2007; vedi re-censione su SA#29) vanno ancora oltre, scarnif icando i l sound in di-rezione electro, r inunciando al la t ipica cort ina di chitarra e al per-cussionismo palpitante in favore di droni sintet ic i e drum machine. Di slowcore non c’è più traccia, se non una non megl io def ini ta tendenza a cucinare i l mood con ierat ica appl i -cazione. Ma questa effett iva orec-chiabi l i tà non signif ica uno sbando poetico: c’è purtuttavia una tensio-ne, un guaito di disagio emotivo, un irrequieto stare e fare anche quan-do l ’atmosfera si snel l isce e zompa dinoccolata. Ammiccano, i Low, con l ’al tra parte di sé, quel lo che non sono più. Che hanno dovuto appen-dere come maschere logore, come inut i l i paludamenti . Consapevol i in cuor loro che ciò che è stato – in termini di incidenza e di compiutez-za – non potrà più essere. Ma anche che tutto ciò è inevitabi le.

Per non farsi soffocare dal lo st i le – e i l loro st i le era tra i più meravi-gl iosamente soffocanti – hanno do-vuto metabol izzarlo, far lo sprofon-dare nel l ’acquitr ino del l ’anima. Per andare avanti , hanno dovuto togl ie-re di mezzo i fantasmi. I l r isultato è che sono molto meno coinvolgenti , forse addir i t tura trascurabi l i nel pa-norama musicale contemporaneo. Però sono vivi , in progress. Liberi di tentare approdi nuovi da cui as-sal irci con le loro meditazioni senza scampo. Come non augurare loro di r iuscirci?

Stefano Solventi

(De)Construction Time Again - Intervista con Alan Sparhawk (22 febbraio 2007)Le canzoni di Drums And Guns nascono in momenti diversi, però sembrano accomunate da una vo-glia di agire più in superficie, di non affondare la lama nel ventre della malinconia come avete di-mostrato di saper fare benissimo in passato. Quanto è stato piani-ficato tutto ciò?In parte. Volevamo fare qualcosa di più crudo e minimale, scoprire cosa sarebbe successo se avessimo mes-so da parte gl i strumenti che usiamo normalmente: ci sarebbe piaciuto? Avrebbe suonato come i Low? Al la f ine, ci siamo al lontanati ancora più da ciò che eravamo un tempo. Pen-so sia una sorpresa, per noi e per chi ascolterà i l disco.

Alcune delle canzoni erano già state scritte in precedenza, ma sono state rielaborate, decostrui-te e riassemblate. È stato un pro-cesso casalingo?

La maggior parte del lavoro l ’abbia-mo fatto in studio con Dave Frid-mann, ma i l processo è stato pen-sato a casa. Vedi, la nostra arma segreta è… l ’ ignoranza. Abbiamo sempre lottato con i nostr i l imit i , con ciò che non r iuscivamo a fare. E anche stavolta, l ’ ignoranza verso certe cose è diventato i l nuovo l imi-te da superare.

Che ruolo ha avuto la tecnologia in questo processo? Avete fatto ricorso a qualche software in par-ticolare?A dire i l vero è stato tutto un gira-re manopole, sperimentare suoni, giocare con drum machine e crea-re loop di vario genere, provando e r iprovando in modo organico e non art i f ic ioso. Suona come è stato fatto su un computer, ma in realtà non ho la più pal l ida idea di come si fac-cia! Probabi lmente questo è i l disco elettronico più analogico mai real iz-zato (r ide)!

Nel frattempo avete anche cam-biato bassista. L’uscita di scena di Zack Sally e l ’entrata di Matt Livingston hanno avuto un’in-fluenza sul vostro cambiamento di suono e di approccio?I l processo in realtà è iniziato quan-do Zack era ancora nel la band. Matt dal canto suo è un musicista diverso, con abi l i tà specif iche. E’ possibi le che questi fattor i abbiano inf lui to, ma non è faci le dir lo con esattezza.

E Dave Fr idmann? Sia le s fer -zate e le t t r iche d i The Great De-stroyer s ia le pulsaz ioni e le t t ro-n iche d i Drums And Guns sono state prodot te da lu i . P iù colpa

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sua o mer i to vostro?Di entrambi, immagino. Anche se al l ’ in iz io non sapevamo esattamen-te cosa sarebbe venuto fuor i , sape-vamo anche che Dave era quel t ipo di persona che ci avrebbe aiutato ad andare nel la direzione giusta per noi .

In genere Fridmann instaura re-lazioni durature con le band, al punto da sembrare i l classico elemento aggiunto. Prevedete di lavorare ancora con lui?È possibi le, mi sono divert i to mol-t iss imo a lavorare con lu i . Dave è i l t ipo di produttore che t i a iuta a sper imentare, ad andare verso nuo-ve direzioni… e, soprat tut to, non t i r iporta indietro.

In che misura questo disco è f i -gl io del presente? Mi piace pensare che questo album non abbia r i fer iment i part icolar i a popol i , f i losof ie, governi o quals ia-s i a l t ra cosa. Sono canzoni a pro-posi to del l ’umanità in generale, d i cose val ide mi l ioni d i anni fa come oggi . Categor ie fuor i dal tempo, insomma. Penso che sicuramente dobbiamo imparare a r iconoscere qualcosa in più sul la nostra natura, esserne più consapevol i . Se alcune persone sentono che questo disco sia legato al presente, per me co-munque va bene, perché non c’è stato niente di premeditato o co-strui to.

In questo disco date voce ad un t imore profondo, ad un trauma epocale in fase di elaborazione. Vedete una via d’uscita, uno spi-raglio?No. Penso comunque che possiamo fare di megl io, che ci s iano diver-se possibi l i tà per far sì che le cose cambino, per arr ivare a una svol ta. Ma in generale, sono molto scett ico sul la natura umana… su ciò che la leadership fa agl i uomini… su cert i meccanismi ancora in v igore… sul nuovo governo l iberale che si sta affermando l ’America. Loro c i han-no già deluso. Lo capisci da come par lano, che non faranno niente di d iverso. Ci sono sempre dietro le grandi compagnie e corporazioni . Ci vuole un cambiamento sostanziale. So che è spaventoso, ma occorre

che succeda qualcosa di grosso. Forse c’è bisogno che qualcuno sia assassinato.

Infatt i , le canzoni in chiusura di Drums And Guns , Murderer e Vio-lent Past , suggeriscono scenari da Antico Testamento, con la vio-lenza come unico modo di cam-biare le cose.. . È una prospett iva interessante… vedremo.

La tua chitarra si sente molto poco in questo disco. Nel frat-tempo, hai pubblicato un album per sola chitarra (Solo Guitar - Si lber, 2006). C’è un legame tra le due cose?Ecco dov’era f in i ta tut ta la chi tarra dei Low! Scherzi a parte, ho sem-pre avuto un rapporto di amore/odio con la chi tarra. È stata una com-pagna per molt i anni , e cont inua a piacermi, ma mi relaziono ad essa in modi diversi , non sono quasi mai soddisfat to. Avevo già pensato di suonare meno la chi tarra in un di-sco dei Low, ma non lo facevo mai. Fino ad oggi .

Al di là del chiaro riferimento in Hatchet , mi sembra che i l fanta-sma dei Beatles punteggi l ’aff lato psych di queste canzoni. Penso al la chitarra storta di Breaker , ad esempio. Continuano ad essere una fonte di ispirazione per voi?Penso di sì , i Beat les mi hanno sempre ispirato. Ogni vol ta che sono a corto di idee, prendo questo vecchio l ibro di canzoni dei Beat les che ho, str impel lo un po’ , ed è come se qualcuno mi scuotesse la testa e mi r iportasse sul la giusta strada. Cur iosamente, durante la lavora-zione di questo disco ascol tavo in real tà a r ipet iz ione Sticky Fingers degl i Stones! Per qualche mot ivo, è stato uno dei pochi d ischi rock che ho ascol tato negl i u l t imi due anni . Per i l resto, cose molto diverse come M.I.A. , o del l ’h ip hop.

Tornando ad Hatchet , avete usa-to i Beatles e gl i Stones come simboli di esercit i opposti , che al la f ine seppell iscono l ’ascia di guerra (Let’s bury the hatchet / Like the Beatles and the Stones ) . Credi che i l mondo del rock pos-

sa essere un esempio di pace?Lo spero. La musica rock, anche quel la più oscura e v io lenta, ha sempre provato a rendere i l mon-do migl iore, a t rovare r isposte a domande come “perché viv iamo”, “perchè cont inuiamo a v ivere?”. Penso che la musica rock in pas-sato s ia già stata una forza vi ta le, ha contr ibui to al l ’apertura mentale, a una società più l ibera. La nostra generazione di music ist i dovreb-be avere meno paura a par lare di pol i t ica, o di cambiare i l mondo. So che è diventato un cl iché negl i anni , pensa a gente come Bono. Ma va bene, ammiro personalmente chi ha i l coraggio di d i re pubbl icamente c iò che va bene e c iò che non va bene in questo mondo.

Così credi in questo t ipo di att i-vismo?Sì. Non penso sia un obbligo, per cari tà, ma se sei una celebri tà e sei sotto lo sguardo del la gente, è bene che tu faccia qualcosa, specialmen-te se sei stato fortunato e hai avuto molto dal la vita.

Ultimamente lo star system si è mosso con una certa decisione, nomi come Michael Stipe, John Mellencamp e Bruce Springsteen hanno denunciato a chiare note la politica guerrafondaia dell’ammi-nistrazione Bush. Ciò però non ha impedito la sua rielezione.Beh, evidentemente le band di cui parl i non sono più popolari come un tempo (r ide, nda)! Non so, re-sto comunque ott imista, in un cer-to senso. Per quest’estate, Al Gore sta organizzando concert i in tutto i l mondo per promuovere la sua pol i t i -ca sul l ’ambiente e i cambi cl imatici . I ragazzi andranno a vedere la loro band preferi ta o seguiranno l ’evento via cavo, e in qualche modo r iceve-ranno del le informazioni importanti . I cambiamenti lenti si fanno anche dando informazioni al la gente su-bl iminalmente, o quando non se lo aspetta.

Thom Yorke è un altro artista che in questo senso si è dato molto da fare… Cosa faresti tu, se ne aves-si l ’opportunità?Thom è molto intel l igente, sta fa-cendo grandi cose, nonostante la

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stampa bri tannica a volte gl i dia contro. Certo, mi piacerebbe essere att ivo come lui, ma in realtà non ci ho mai pensato, non ho i contatt i e soprattutto non ne so abbastanza… sono spaventato dal la mia stessa ignoranza!

A proposito di Radiohead, qua e là l ’elettronica claustrofobica di Drums And Guns mi ha ricordato il loro mood, o quello del lavoro solista di Yorke…Non è esatto. Semplicemente per-ché, come t i dicevo, non pensava-mo al l ’elettronica quando lavorava-mo al disco. Provavamo soltanto ad aggiungere e togl iere dei suoni e a provarne di nuovi. Però, quando abbiamo aperto i loro concert i (nel 2003, nda), i Radiohead mi hanno ispirato molt issimo, sotto altr i pun-t i di vista. Una band sperimentale, creativa e soprattutto molto ap-passionata, con un sol ido progetto dietro le spal le. Io stesso avevo bi-sogno di essere più passionale. Di essere meno impaurito di ascoltare le voci fuori dal la mia testa. Di r i -spondere a domande come “cosa pensa la gente?”, “quanto valgo?”, “da dove vengono queste voci”?, “a qual i devo dare ascolto?”, e così via.

Da come parli sembra che tu ci sia riuscito.Ad ascoltare le voci fuori dal la mia testa? Sì (r ide).

Rispetto ai vostri inizi, di colpo, tutto è cambiato: la tecnologia mette in discussione il concetto di proprietà intellettuale. La musica, nel suo piccolo, è tra le principa-li “vittime” del fi le sharing. Come state vivendo questa situazione?Non mi sono mai posto i l problema in termini di proprietà intel lettuale. Non mi dà fast idio se un nostro di-sco f inisce su internet e la gente se lo scarica. Mi sorprende anzi che ci sia qualcuno tanto interessato da voler ascoltare i dischi prima che escano nei negozi. È una tendenza generale: negl i ult imi due anni al-cuni amici sono venuti da me con copie i l legal i di album in uscita (per esempio Thom Yorke, o i Tv On The Radio), ma non è un problema reale, al la f ine la gente compra i l disco ori-

ginale, se gl i piace. E’ come quando eravamo teenager e ci prestavamo i dischi tra di noi, solo che adesso accade molto più velocemente, a volte addir i t tura prima che i l disco sia f ini to. I l problema è maggiore per chi gestisce i l business: le cose stanno cambiando in fretta e loro sono confusi, non sanno più come fare soldi. Per gl i art ist i invece è più importante fare concert i , nessu-no fa più soldi vendendo dischi. E personalmente preferisco i l contatto f isico con i l pubblico, sentire l ’ar ia che si muove nel la stessa stanza. È i l modo per avvicinare la gente al la musica, per farla sentire meno co-stosa, propria.

Probabilmente il panorama mu-sicale non è mai stato tanto cor-poso e vario, difficile individuare una corrente dominante, si trat-ta perlopiù di mode passeggere. Come la vedete, e come vi vedete in questo quadro?Non abbiamo mai avuto un posto in nessun quadro, siamo sempre stat i degl i outsider. Qualsiasi cosa succedesse là fuori , siamo rimasti seduti in un angolo ad osservare ogni cosa: i fenomeni di successo, le att i tudini, la tecnologia, i cambia-menti, le tendenze, le mode. È una posizione interessante, anche se al-l ’ inizio la nostra al ienazione poteva sembrare strana. Ma aveva perfet-tamente senso: con la musica che abbiamo scelto di fare non abbiamo mai avuto intenzione di essere po-polari , di far parte del mondo pop. Comunque mi piace seguire i l main-stream, puoi sempre trovare qualcu-

no che sia molto bravo e creativo, vedi cert i art ist i hip hop, o adesso gl i Shins . È un bel segno, t i fa pen-sare che c’è sempre una speranza, che in qualche modo si va avanti .

Siete insieme da circa quindici anni ormai, quindi presumo che crediate nella longevità delle rock band. In questi casi, si tratta spesso di straordinarie eccezioni al di là del bene e del male (gli Stones) oppure di cocciutaggine che sopravvive a se stessa (mi duole troppo fare dei nomi). Pen-sate mai alla vostra carriera arti-stica in questi termini? E in defi-nitiva, cos’è che spinge i Low ad andare avanti?L’ignoranza, senza dubbio (r ide, nda). Figurati , quando abbiamo co-minciato i l nostro obiett ivo massimo era fare un concerto… La veri tà è che siamo stat i abbastanza fortunati a trovarci fuori dal giro. Questo ci ha spint i a provare ad andare sempre un po’ oltre le nostre abi l i tà, a fare qualcosa che fosse inaudito (almeno per noi), qualcosa che potesse sor-prenderci. Alcuni art ist i vanno oltre i l loro corso, e continuano a fare ciò che gl i r iesce meglio. I l problema è che arr ivat i a un certo punto si per-de i l senso, ci si dimentica perché si è cominciato, si perde quell ’eccita-zione simile al la nascita di qualcosa di nuovo, diventa sempre più diff ici-le tornare bambini. È questa la sf ida per me, posso ancora vedere una possibi l i tà. Dobbiamo farlo.

A n t o n i o P u g l i a

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d i A n t o n e l l o C o m u n a l e

Stars Of The Lid

Un nome che è tutto un programma per il duo Adam Wiltzie – Brian McBride. Colonne portanti del Kranky Sound nonché appassionati reinventori di tutta una nuova metafisica musicale che parte dall’ambient e approda alla classica contemporanea. Dal Texas al Belgio verso Giove e Oltre l’Infinito. Gli Stars Of The Lid : Il tuo cinema personale tra l’occhio e la palpebra.

“Sempl icemente credo che loro st iano facendo la musica più

importante del 21° secolo”

Ivo Watts-Russel l – 4AD

I l catalogo del la Kranky Records non si misura in metr i d i scaffal i oc-cupat i lungo le paret i . La vera uni tà di misura è i l doppio album degl i Stars Of The Lid. E’ così che dopo aver segnato i l t raguardo del la 50esima usci ta con The Tired Sounds Of Stars Of The Lid i due sanciscono ora i l passaggio del le 100 release del l ’et ichetta, con un’al t ra opera doppia, d i cui s i può leggere in sede di recensione. Arr i -vano dal Texas, da Aust in per esse-re precis i , e s i chiamano Adam Wil -tz ie e Br ian McBride. Non è ancora ben chiaro come si s iano incontrat i . Una versione vuole che i due si in-crocino in una stazione radio, du-rante una trasmissione notturna te-nuta da McBride, incentrata sul col lage sonoro. Trasmissione e at-t i tudine che pare abbiano convinto Wi l tz ie a fargl i compagnia in un progetto musicale. Dal la Kranky, invece, r imbalza sempl icemente un laconico dettagl io sul fat to che i l gruppo si è formato nel g iorno di Natale del 1992. Comunque sia, i l duo trova rapidamente un terreno fert i le per le propr ie meditazioni metaf is iche. Non è per niente un caso che ci s iano parentele con al -t re compagini texane dal la “pres-sione bassa” che ad in iz io anni ’90 gravi tano intono al la scuola del la Trance Syndicate. Formazioni come Bedhead e Windsor For The Der-by . Wi l tz ie registra con i pr imi l ’EP Dark Ages e i l d isco omonimo, mentre fa parte del la l ine-up dei

secondi f ino a Calm Hades Float . Wi l tz ie t ra l ’a l t ro sarà fonico e ses-sion-man anche per i Flaming Lips e i Mercury Rev . Ma queste sono appunto parentele che per lo più giust i f icano un ceppo di suoni e un contesto di r i fer imento. Le radic i musical i del duo sono diverse. Gl i Stars Of The Lid s i muovono st i l i -st icamente in un mondo tut to loro che passa da Ambient 4: On Land d i Brian Eno ad Ambient 4: Isola-t ionism , i l quarto volume del la se-r ie Ambient del la Virgin, compi la-t ion di cul to di metà anni ’90 che fotografava la der iva di certa am-bient industr ia le e di certo post-rock, def in i ta “ isolazionista” da penne erudi te come Kevin Mart in, Biba Kopf e Simon Reynolds. Seb-bene si d iscuta ancora sul l ’effet t iva val id i tà del la def in iz ione che ab-braccia music ist i d istant i e diver-s issimi, tut t i present i nel la compi-lat ion, come Robert Hampson, Mick Harr is, Thomas Koner, Aphex Twin, James Plotk in e J im O’Rourke, sta di fat to che la v is ione che sta die-tro questo marchio, quel la di una musica involuta, astrusamente enigmat ica e non comunicat iva, passa a nominare molta del la mi-gl iore ambient di metà anni 90. Per tornare a casa Kranky, saranno de-f in i t i isolazionist i anche i Labra-dford , in special modo quel l i del d isco omonimo e i nostr i Stars Of The Lid. Di fat to, l ’ambient più im-palpabi le e sol i tar ia è uno dei pr in-c ipal i ingredient i del “suono Kranky”, quel misto di onir ismo kraut, psichedel ia fo lk, inquietudi-ne eterea post-4AD, elet t roacust ica ed elet t ronica cheap che rapida-mente diventerà i l canale d’eccel-

lenza per i l post-rock del dopo Louisvi l le. Wi l tz ie e McBride però dimostrano, f in dal pr imo disco Mu-sic For Nitrous Oxide (Sedimen-tal , 1995), d i g iocare ad un gioco tut to loro, che si a l imenta di r i fer i -ment i col t i f ino a col l imare con la c lassica contemporanea e la musi-ca per f i lm. È lo stesso McBride a sancire una vol ta per tut te la f i loso-f ia di base del duo e di una musica che al t ro non è che “ i l tuo c inema personale, s i tuato t ra l ’occhio e la palpebra ” . Questa per l ’ossido ni-t roso è una sinfonia dark fumosa e dai contorni incert i costrui ta con due chi tarre e un quattro piste e con l ’ inserto di voci registrate. I feedback di chi tarra ormai non han-no più nessun elemento r i tmico, sf ibrat i e r i lasciat i f ino al l ’ inverosi-mi le. In questo senso i due scr ivo-no un nuovo capi to lo nel la sot terra-nea stor ia del la chi tarra (mal) t rat tata. Qui va a f in i re quel lo che avevano cominciato a fare gl i Spacemen 3 . In brani-al lucinazio-ne come Madison e Tape Hiss Makes Me Happy si avverte ancora un bar lume di feedback a dare so-stanza al drone. Ma è solo quest io-ne di tempo e i due completeranno la mutazione genet ica verso mate-r ie sonore sempre più intangibi l i . I l passo successivo, infat t i , va pro-pr io in questa direzione, sancendo anche i l passaggio da Sedimental a Kranky. Su Gravitational Pull Vs. The Desire For An Aquatic Life (Kranky, 1997) la mano si fa molto più raff inata r ispetto al l ’esordio. La musica come una tela in cui i s in-gol i e lement i , le note, s i muovono lentamente, nel det tagl io, concor-rendo a disegnare la forma di una

le stelle dietro alla palpebra

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melodia apat icamente mossa. Se si prendesse la Victorialand dei Cocteau Twins e la s i t rasportasse nel la geograf ia mister iosa del l ’Eno più astrat to probabi lmente avrem-mo qualcosa che assomigl ia a Lactate’s Moment, straordinar ia pièce dal le calde e tenui brezze medior iental i . I l suono da studio del duo si fa molto meno approssi-mat ivo. Più s icur i d i quel lo che vo-gl iono ot tenere, Wi l tz ie e McBride creano un suono in provetta, dove le note vengono lasciate da sole a maturare e a incastrarsi l ’un l ’a l t ra. Ne valga come prova la più v is iona-r ia del lot to, Cantus I I : In Memory Of Warren Wil tz ie, vent i minut i in un micro-habi tat , dove le note sem-brano svegl iars i una ad una da un letargo secolare. I due trovano però la pr ima vera quadratura del cerchio con i l successivo The Bal-lasted Orchestra (Kranky, 1997). Come diret ta conseguenza del la strada che hanno deciso di percor-rere, s i a l lungano ancora di p iù le durate dei s ingol i brani e i l d isco l ievi ta intorno agl i ot tanta minut i . I l suono degl i Stars Of The Lid ha bi-sogno di tempo e di spazio per la-sciarsi andare e costruirs i lenta-mente. È cosi che r isal tano sempre di p iù le qual i tà c inemat iche di que-ste pièce strumental i sempre più

complesse. Quasi una new-age ne-gat iva, ruvida e malevola che cede al la t rance per eccesso di a l lucina-zioni , p iù che per fuggire da se stessi . La musica di Sun Drugs s i muove con una tale lentezza che t i accorgi del la melodia in f ier i g iusto un at t imo dopo la sua chiusura. Come zoomare così nel det tagl io da perdere i contorni del la f igura. Una nebulosa cosmica di marca Klaus Schulze v iene sceneggiata in Tapehead e un’ inaspettata co-municat iv i tà arr iva con la t rance apocal i t t ica di Fucked Up (3.57 am) . Claustrofobia cosmica e stat i d i a l terazione progressiv i , come osservare i l pulv iscolo del l ’ar ia r i -schiarato da un raggio di sole in una stanza buia. Uno dei capolavo-r i del duo. Wi l tz ie e McBride si lan-ciano poi in musiche immaginar ie per la puntata numero 30 di Twin Peaks, con arcani e obl iqui s infoni-smi che partono da Badalament i e arr ivano ol t re l ’ inf in i to. Dopo gl i in-cubi , torna i l sereno nel la calma amniot ica del la conclusiva The Ar-t i f ic ia l Pine Arch Song . Con The Ballasted Orchestra gl i Stars Of The Lid r iescono per la pr ima vol ta a giocarsi davvero la carta del pro-pr io st i le e del la propr ia v is ione strumentale. Non a caso sarà t ra i loro lavor i , uno dei p iù inf luent i e

dei p iù amat i . A r iprova del le qual i -tà immagini f iche del la loro musica, un anno dopo arr iva Per Aspera Ad Astra (Kranky, 1998), una col labo-razione con Jon McCafferty , p i t to-re che si era già c imentato con loro creando una ser ie di d ip int i sul la base del pr imo disco Music For Ni-trous Oxide . Suddiv iso in due lun-ghe sui te, Low Level (L istening) e Anchor States , i l lavoro v ive sul-l ’ ispirazione dei suoi d ip int i e sul campionamento vero e propr io del-l ’ar t is ta preso nel momento di d i -p ingere. I l r isul tato è per la pr ima sui te i l consueto sciame di droni , suoni in reverse, feedback ed echi . A sorprendere è però l ’uso degl i ar-chi nel la seconda, che nel pr imo dei suoi t re moviment i è né più né meno che musica da camera. Qual-cosa comincia s i lenziosamente a cambiare, chi tarre ed effet t i da stu-dio non bastano più. L’ut i l izzo di strument i acust ic i d iventa presto un’esigenza. I l successivo Avec Laudenum (Sub Rosa, 2000 / Kranky 2002) segna important i cambiament i . Cambiament i innan-zi tut to nel metodo, dal momento che Wil tz ie s i t rasfer isce in Belgio e i due sono costret t i a concepire la propr ia musica at t raverso lunghe catene postal i . Avec Laudenum è quindi un disco di passaggio, dove

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è evidente i l tentat ivo di ampl iare la palet te strumentale. Così nel la nebulosa ghiacciata che si ar t icola nel le t re part i d i The Atomium s i scorgono le note di un piano e i l la-voro sul le melodie s i fa più raff ina-to ed evidente.Oltre ad andarsene a v ivere in Bel-gio, Wi l tz ie s i prende anche una pausa dagl i Stars Of The Lid, con i l progetto Aix Em Klemm (Kranky, 2000), che condiv ide a metà con i l bassista dei Labradford, Bobby Donne. I l r isul tato è una fusione pressoché perfet ta del sound del le due band, che in prat ica s igni f ica estasi krauta su tappet i cosmici e ipnosi del le grandi occasioni . Wi l -tz ie in part icolare r i t rova anche i l suono più acust ico ed umano del la chi tarra arpeggiata di epoca Win-dsor For The Derby e s i c imenta f inanche al la voce in un paio di brani . Niente di part icolarmente innovat ivo e che valga la pena di considerane qualcosa di d iverso da una pausa divert i ta che entrambi i music ist i s i prendono dal le r ispett i -ve band. Arr ivat i a l 2001, gl i Stars Of The Lid s i c imentano con la loro

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opera più complessa e ambiziosa. Un doppio album che va ad occupa-re la voce di catalogo krank50. The Tired Sounds Of Stars Of The Lid (Kranky, 2001) è i l vero capolavo-ro del la matur i tà e i l d isco cui Wi l -tz ie e McBride sono andat i d ietro per anni , nel tentat ivo di raff inare sempre di p iù l ’armonia dei suoni e le movenze melodiche. Per di p iù, l ’asf i t t ico - seppur creat ivo - asset-to strumentale v iene r invigor i to da un uso inedi to e strut turale di stru-ment i acust ic i e r isul ta r innovato così anche un sound che comune non si d imette dal passato. Le lun-ghezze questa vol ta s i fanno chi lo-metr iche. La versione in v in i le deve essere t r ip la, quel la in cd doppia. I l tut to dura 2 ore e s i ar t icola in sei mini sui te, suddiv ise a loro vol ta in più moviment i . È evidente come i due f l i r t ino qui non sol tanto con la scuola ambient ma anche con la c lassica contemporanea (Mes-siaen, Bryars, Gorecki) e la musi-ca per f i lm (Preisner, Badalament i , Delarue). La pr ima sui te Requiem For Dying Mothers vive del f i t to dia-logo tra v io l in i e droni in stato di

evaporazione cont inua. L’effet to è al tempo stesso stordente e armo-nioso. L’alchimia dei suoni studiata nei minimi dettagl i e i l melodismo str isciante ma austero. In assoluto una del le cose migl ior i che abbia-no mai fat to, che lascia i l posto al latrato di un cane (Frogg i l cane di Wi l tz ie) e ad alcune voci su sparute note di p iano in un vuoto che sa di der iva esistenziale. La successiva sui te di t re moviment i r ibat tezza-ta Aust in Texas Mental Hospi ta l si muove sul solco più c lassico del lo SOTL sound, ovvero mareggiate iper mal inconiche di droni celest ia-l i , che non sanno decidersi se spro-fondare in uno stato di panico o in una tr istezza senza appigl i . Broken Harbors 1-3 chiude la pr ima parte del lavoro con uno stato di quiete apparente, come poggiare la testa su un cuscino di nuvole. La melodia abdica al suono pr ima di assumere cupi r i f lessi got ic i .I l secondo disco si apre nel segno di Lynch, con Mulhol land che ha tut ta l ’ar ia di essere una dichia-razione d’amore al le part i ture più sontuose e aeree di Badalament i . Si sfocia, quasi senza soluzione di cont inui tà, nel le successive The Lonely People Are Gett ing Lonl ier) e Gasfarming che sfoggia una tex-ture strumentale più avventurosa, animata da droni , s ib i l i d i v io l in i t rat tat i e interferenze r i tmiche ap-pena percett ib i l i come tal i . I l p ia-no trova i suoi moment i per essere protagonista nel le successive Pia-no Aquieu e Bal lad of Distances . La chiusura con le t re part i d i A Love-song (For Cubs) ci t rascina ancora più lontano dal la real tà, in un’oasi impalpabi le, calda e accogl iente. La bel lezza di questa musica sta nel non essere mai t roppo accademi-ca da perdere punt i sul p iano del le emozioni e al tempo stesso nel suo stare sempre con i p iedi ben sal -di nel le grammatiche più r icerca-te e sper imental i del secolo. Così come 2001: Odissea nello spa-zio vendeva l ’avanguardia ai f ig l i del ’68, così The Tired Sound Of Stars Of The Lid vende la musica d’accademia ai f ig l i del post-rock. Nonostante la di ff icol tà d’ascol to e la lunghissima durata, i l doppio mastodont ico album del 2001 non

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fat icherà a diventare presto un best sel ler del catalogo Kranky. Wi l t -z ie e McBride decidono però di a l -lontanarsi per i l momento dal loro progetto pr incipale e di dedicarsi ad al t re esper ienze, non foss’al t ro che per r i f iatare con qualcos’al t ro e guardare al la propr ia musica da angolazioni d i fferent i . I l pr imo ad uscire al lo scoperto è i l sol i to Wi l tz ie, che del resto è sem-pre stato i l p iù at t ivo dei due. Esce nel 2004 i l pr imo disco dei Dead Texan , progetto che condiv ide con la giovane f i lmaker belga, Chr ist ina Vantzos. L’ intento c inemat ico qui è dichiarato in partenza e infat t i i l d i -sco è accompagnato da sette v ideo diret t i dal la Vantzos stessa. Nono-stante la gran parte del mater ia le presente s ia stata concepi ta per far parte di un nuovo lavoro degl i Stars Of The Lid, a l la f ine Wi l tz ie v iste anche le evoluzioni in sede di arrangiamento propende per l i -cenziare tut to quel lo che ha scr i t -to, approf i t tando di questa col labo-razione. Per questo i Dead Texan somigl iano ad una versione umana e “analogica” degl i STOL. Da un lato è impossibi le non r iconoscer-ne l ’ impronta in brani come The 6 Mi l l ion Dol lar Sandwich , Girth Ri-des A (Horse) e Beatr ice Pt. Two. Dal l ’a l t ro, l ’uso di strumentazione acust ica e di s infonismi più tangibi -l i cont inua i l d iscorso intrapreso da The Tired Sounds…Probabi lmente è anche per questo che qualcuno ci ta per l ’occasione i l Br ian Eno di Before And After Science . L’u l t ima Struggle appare infat t i una ci tazione evidente. La melodia tenue di Glen’s Goo e la chi tarra acust ica di A Chronic le Of Ear ly Fai lures dicono del la grande passione di Wi l tz ie per le colonne sonore di spir i t i tut to sommato aff i -n i come Zbigniew Preisner (quel lo del le soundtrack per Kieszloswki) e George Delarue (quel lo del le soun-dtrack per Truffaut) . Un disco a suo modo importante per le future evo-luzioni sonore del gruppo madre.Br ian McBride, invece, r imane nel-l ’ombra per un po’ ed esce al lo scoperto sol tanto nel 2005 con i l suo pr imo disco sol ista When The Detail Lost I ts Freedom (Kranky, 2005). Lavoro che nel suono non si

d iscosta molto da quel lo degl i Stars Of The Lid, ma cerca di g i rare intor-no a strut ture più sempl ic i . La dura-ta dei brani è mediamente di c inque minut i e gl i arrangiament i , compre-so l ’uso del la voce, sono assai in-gombrant i e r icercat i per uno come lui . L’unica t raccia cantatata Our Last Moment In Song è un madriga-le che deve tanto ai tardi Talk Talk / Mark Holl is quanto ai Labradford (quel basso è inconfondibi le) . Alcu-ne voci angel iche planano su quest i b lues eterei per anime sol i tar ie che osservano i l mondo dal la f inestra di un motel . Di fat to McBride concepi-sce i l lavoro come una terapia d’ur-to per uscire da una depressione: “ In retrospett iva, questo disco ha probabi lmente a che fare con i miei moment i p iù debol i . Che al t ro è se non un codice inventato per: era una terapia durante un divorzio e i l t rasfer imento in un’al t ra c i t tà ” . Un disco struggente ma ancora t roppo involuto. Si ha come l ’ impressione che cont inuando per questa strada McBride potrebbe un giorno arr i -vare al la poesia dei migl ior i Bark Psychosis ma per i l momento è an-cora lontano dal l iberarsi dal l ’om-bra del gruppo madre. A f ine 2006 i l catalogo del la Kranky è arr iva-to al l ’usci ta 103 con Electrice d i Christina Carter , sal tando palese-

mente la casel la numero 100, che mr. Kranky, Bruce Adams , teneva in caldo propr io per loro. Ad in iz io apr i le è in usci ta un doppio int i to-lato And Their Refinement Of The Decline . Un’al t ra opera di spesso-re, in tut t i i sensi , che r ichiederà qualcosa di p iù di un paio di mesi per essere completamente assimi-lata. Come è sempre accaduto, la musica del duo gioca sul le lunghe distanze, chiedendo al l ’ascol tatore una dediz ione part icolare. A dispet-to del la pol i t ica usa e getta sempre più dominante nel music business, gl i Stars Of The Lid chiedono (ed ot tengono) di essere considerat i a l d i là del la mischia. Ol t re la qual i -tà del la loro musica, probabi lmente sarà anche per questo che saranno r icordat i molto più a lungo di tant i a l t r i .

Antonel lo Comunale

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d i F i l i p p o B o r d i g n o n

Bill ‘Smog’ Callahan

Luci e ombre di Bil l Callahan, cantautore per eccellenza del movimento lo-f i . Dai capolavori ‘casalinghi’ di no-folk rock f ino al l ’ammorbidimento crepuscolare delle più recenti uscite, in un’armoniosa caduta verso un’alternative music oggi polit ical ly correct.

È ne l la na tura de l le cose: de l mal d i v ivere , in una maniera o ne l l ’a l t ra , p r ima o po i c i s i l ibera . E quando s i scende a pat t i con le propr ie fob ie , con que l do lore che c redevamo ines t i rpab i le e che so ffocava l ’an ima spremendone fuor i sensaz ion i malsane e contag iose, beh, è quas i imposs ib i le to rnare ind ie t ro . Per questo (ma cer tamente anche per a l t ro ) ogg i Smog non ha p iù rag ione d ’es is tere e tocca apprezzare mestamente l ’onestà de l suo assass ino , i l cantautore s ta tun i tense Bi l l Cal lahan . La sua es te t ica durante i p r imi ann i 90 e per quas i tu t to i l decenn io ruo tò a t to rno a l l ’ imp lacab i le evocaz ione d i un microcosmo sganghera to e appross imat ivo , dominato da l la vo lon tà d i suonare spontaneo, ‘ vero ’ . Graz ie a un songwr i t ing e lementare ma e f f i cace e a l l ’o r ig ina le re in terpre taz ione de l le p iù a l te is tanze de l pop a l te rnat ivo , ogg i poss iamo crog io la rc i con le a tmosfere c laus t ro fob iche contenute in una d iscogra f ia nu t r i ta e s t imo lante , capace pur t roppo d i r i ve la re t ra le r ighe una ver i tà che va le per tu t te le an ime sot t i l i : n ien te dura per sempre.B i l l nasce ne l 1969 ne l l ’anon ima S i lver Spr ing (Mary land, U.S.A. ) . Pra t icamente nu l le le in fo rmaz ion i su l la sua v i ta pr iva ta cos ì come d iscre te saranno le s t ra teg ie de l la car r ie ra mus ica le : poch i concer t i , poch iss ime in terv is te , scarsa promoz ione, spar tane e mai ch iassose le ves t i g ra f iche deg l i a lbum e i poch i v ideoc l ip (s i vedano I Fee l L ike The Mother

Of The Wor ld o Rock Bot tom Riser ) . Eppure in questa r i t ros ia compless iva , in questa ab i l i tà d i negaz ione r is iede gran par te de l fasc ino d i un ar t i s ta s ì in t roverso, ma non cr ip t ico . La sos tanza è sub i to esposta con sch ie t tezza ne l le pr ime prove autoprodot te . Inu t i le g iocare a l l ’a rcheo log ia s tor ico-mus ica le d issez ionando le casset te de i ta rd i ann i 80 (Macrame Gunplay , Cow…); l ’esord io u f f i c ia le è con Sewn To The Sky ( in iz ia lmente per la p ropr ia D isas ter Rec, po i acqu is i to da l la lung imi rante Drag C i ty ne l 1990 / Wide) , racco l ta d isord ina ta d i acquere l l i espress ion is t i p reva lentemente s t rumenta l i . Per i gh io t ton i de l l ’a l lo ra nascente mov imento lo - f i questo è uno scr igno ines t imab i le : c ’è l ’es te t ica beefhear t iana scarn i f i ca ta da qua ls ias i i ron ia (Souped Up I I ) e una pass ione per i l co l lage past icc ione, i l rumore incont ro l la to , la sa turaz ione (Pur i tan Work Eth ic ) da fa r pensare a l lo scherzo. Là dove Beck lavora d i cese l lo seguendo l ’esempio de l lo Zappa d i Lumpy Gravy , Smog s i avventa scr i te r ia to e n ich i l i s ta (d i f fe renza sostanz ia le per sp iegare la d is tanza t ra i due) . Forgotten Foundat ion (Drag C i ty / Wide, 1992) s i espande verso i l cantautora to bar re t t iano con imberbe noncuranza, pur mantenendo a l t i i bass iss imi s tandard sonor i . I 22 sch izz i reg is t ra t i raccontano un mondo in b ianco e nero dov ’è poss ib i le r in t racc iare ech i de l b lues texano ann i 20 , paragon i fu tur i con l ’au to indu lgenza d i Danie l Johnston e per fo rmance

e le t t r i che (cond i te da qua lche t rucchet to merav ig l iosamente naï f ) tan to imprec ise quanto v iscera l i . Ma Smog non è i l pur gen ia le Jandek e , per nu l la in tenz ionato a suonare e lasc iare che s ia , ne l 1993 par tor isce un capo lavoro d i coes ione e ob l iqua be l lezza: Jul ius Caesar (Drag C i ty / Wide, 1993) . I l numero de i pezz i scende. I de t tag l i sono tu t t i a fuoco. La qua l i tà de l le compos iz ion i (a l so l i to e lementare , ma non t roppo) reg is t ra un passo in avant i . I tes t i b izzar r i ma oppor tun i : “La magg ior par te de l le mie fan tas ie / r iguarda l ’essere d i qua lche u t i l i tà / (…) come una cande la , un cavatapp i ” (da To Be Of Use ) . Sovra inc is ion i e s t ra teg ie compiono i l p icco lo mi raco lo . Chosen One ver rà r ip roposta da i Flaming Lips . Strawber ry Rash agg iunge qua lcosa a l la ps ichede l ia de i p r imi Red Crayola . I Am Star Wars ! insozza un funky b ianco e compl ica i l tu t to campionando segment i d i Star t Me Up e Honky Tonk Women deg l i Stones . I l res to è indo lenza, in tu iz ione e abu l ica c reat iv i tà . L’EP Burning Kingdom (Drag C i ty, 1994) inaspr isce le compos iz ion i con una sens ib i l i tà per a rch i min imale e ipnot ica . Ot t imo i l rock d is to r to My She l l e la ba l la ta de l non r i to rno Renè Died 1:45. 20 minut i d i rassegnaz ione es is tenz ia le a cava l lo t ra Nick Drake e Nick Cave (per iodo The Boatman’s Cal l ) . Wild Love (Drag C i ty / Wide, 1995) , da mol t i cons idera to masterp iece de l la matur i tà , è p iù sempl icemente i l p r imo prudente ten ta t ivo d i met te re ord ine ne l la poet ica de l nos t ro . Bathysphere f igura

la caduta del mondo della luce

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come l ’ennes ima h i t mancata , per c lass i f i ca ind ie . La t i t le t rack , Bathroom F loor , The Cand le vantano idee d i p r im’ord ine ma, ne l l ’eserc iz io d i confez ionare un prodot to tecn icamente ina t taccab i le , qua lcosa s i perde lungo i l cammino. Per i nos ta lg ic i de l p r imo per iodo i l content ino ha nome The Emperor . L’EP Kicking A Couple Around (Drag C i ty / Wide, 1996) r ibad isce l ’evanescenza d i un sound tu t to b isb ig l i ( I Break Horses ) . The Doctor Came At Dawn (Drag C i ty / Wide, 1996) e la rg isce s ta t iche min ia ture in t im is te (You Moved In , A l l Your Women Th ings ) o usc i te acus t iche suonate con goffa compiacenza. I l g ioco è quas i sempre lo s tesso: un g i ro d i accord i p iù o meno sconso la t i a t to rno a i qua l i è fa t to accadere qua lcosa. La voce monocorde d i Smog appone i l march io d i fabbr ica . Red Apple Fal ls (Drag C i ty / Wide, 1997) invece s tup isce con una racco l ta d i pezz i melod ic i e d ispera t i , summa d i un cantautora to acust ico che a t t inge ne l le a tmosfere lacr imose de l count ry t rad iz iona le quanto ne l la s rego la tezza de l mig l io re ind ie amer icano e non. Morn ing Paper in aper tura ( la sua Pink Moon ) e Finer Days in ch iusura ( la sua Horn ) evocano con successo lo sp i r i to d i Drake. Blood Red B i rd r i sch ia e t r ion fa con un ar rang iamento d i so la ba t te r ia e ch i ta r ra e le t t r i ca . I Was A St ranger cont iene la sconso la tezza un iversa le de l mig l io re Nei l Young . Knock Knock (Drag C i ty / Wide, 1999) , come i l p recedente , segna la lo zampino

d i Jim O’Rourke i l tu t to fare . Ne l complesso s i resp i ra una compostezza che rega la scampol i rock à la Lou Reed che ‘neanche Lou Reed ’ (Held , No Danc ing ) e ra re fa t te s i tuaz ion i pop ormai r ido t te a un t im ido sosp i ro (Lef t On ly Wi th Love ) . I l nuovo mi l lenn io s i apre con The Mantra Rays Of Time (Drag C i ty / Wide, 2000) , EP e legante e sper imenta le , fo rse super io re a l l ’a lbum Dongs Of Sevot ion (Drag C i ty / Wide, 2000) de l qua le s i segna la so lo la presenza (neanche fondamenta le) d i John McEnt i re (Gast r De l So l e Tor to ise) e l ’e f f i cace rock da camera Dress Sexy At My Funera l ( to rmentone mancato per le generaz ion i pos t -grunge) . La vers ione EP d i Strayed (Drag C i ty / Wide, 2000) r ipesca per i fan de l la pr ima ora la casset ta Cow . L’EP l i ve ‘Neath The Puke Tree qua l i ta t i vamente non agg iunge nu l la a l g ià de t to . Rain On Lens (Domino, 2001) è opera d i un pro fess ion is ta de l lo sp leen ne l l ’eserc iz io de l mest ie re . Song è gran i to e groove inv id iab i le . Natura l Dec l ine g ioca sap ientemente con min imal ismo e pop not tu rno. In L ive As Someone Is A lways Watch ing You la voce d i Ca l lahan s i t inge f ina lmente d i uno spessore bar i tona le che sarà la sua sa lvezza neg l i ann i a ven i re . Ne l 2001 Smog par tec ipa a un ‘supergruppo ’ fo rmato da ar t i s t i de l la Drag C i ty ne l l ’ in te ressante Tramps, Tra i tors & Li t t le Devi ls . I l r i su l ta to è una ser ie d i sess ion p iacevo l i e mai bana l i con p icch i ne i moment i Zero Degrees e The Gi r l On The B i l lboard .

Accumulat ion: None (Drag C i ty / Wide, 2002) pesca t ra 7 ’ ’ , 12 ’ ’ ed EP mater ia le e terogeneo e prez ioso. Supper (Drag C i ty / Wide, 2003) può cons iderars i l ’a lbum d i un cantautore amer icano in b i l i co t ra t rad iz ione e s t ravaganza. Feather By Feather è uno de i pezz i mig l io r i d i questo secondo per iodo, un count ry va lzer che sarebbe p iac iu to a Hank Wi l l iams. G l i ep isod i p iù de l ica t i (Truth Serum , Dr iv ing ) s i avva lgono de l le so t to l ineature voca l i d i Sarabeth Tucek. Mag iche e i r r ipe t ib i l i Vesse l In Va in (p re levata per i l th r i l le r Dead Man’s Shoes d i Shane Meadows) e Our Ann iversary . Ne l 2004 l ’a r t i s ta pubb l ica 3 racco l te d i d isegn i : Women , The Death ’s Head Drawings e Bal le r ina Scra tchpad , a tes t imon ianza d i un ta len to v is ivo e v is ionar io ben mani fes to ne l le coper t ine d i g ran par te de i suo i a lbum. A River Ain’ t Too Much To Love (Drag C i ty / Wide, 2005) ampl i f i ca i l sogno ovat ta to esposto neg l i ep isod i p iù in t im is t i d i Supper confermandos i cusc ino acust ico su l qua le adag iars i per un sonno appena scomposto . Say Va l ley Never , Rock Bot tom Riser , Dr ink ing At The Dam cantano sent iment i tenu i , pa l l id i d i una s tanchezza f i s ica p iù che d i poet ica langu id i tà . D i tan to in tan to (The Wel l , Let Me See The Co l ts ) p iovono un pa io d i buco l iche s ferza te . L’ i sp i raz ione s i r i so l leva da l le po lver i ne l l ’ impa lpab i le In The P ines , ma compless ivamente s i scor re con len tezza. A l la luce de l le p iù recent i p icco le /grand i conferme (per f ino l ’ inc lus ione d i Cold B looded Old

Foto di Joanna N

ewsom

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Times da Knock Knock ne l la co lonna sonora de l successo da casset ta Alta Fedel tà d i S tephen Frears) , good o l ’ B i l l p rosegue i l suo cammino da l la pac i f i ca ma f r izzante Aust in (Texas) in una sor ta d i morb ida indo lenza, imbronc ia to p iù che ombroso, r i s to ra to a l l ’ idea che i l suo modus abb ia f ina lmente ragg iunto s tandard po l i t i camente cor re t t i . Bi l l , cantavi “Stanno per portarc i i l quot id iano/ Brut te not iz ie su ogni pagina”. Qual è la peggiore d i questo per iodo?C’è questa sgradevo le sensaz ione che neg l i S ta tes le e lez ion i saranno t ruccate e che i repubb l ican i v inceranno d i nuovo. I l tuo vo to , p ra t icamente , non conta nu l la . È come essere sposato a una persona che detes t i e che non t i concede i l d ivorz io .

Qual è i l genere d i persona che più t i spaventa?Quel la che c rede d i dover d imost rare qua lcosa ag l i a l t r i . Tranne i pug i l i . M i p iacc iono que l l i che combat tono per davvero e che devono d imost rare qua lcosa a l p ropr io avversar io .

Mai ambìto a scr ivere una hi t?Mi sa che c i sono r iusc i to con

reg is t ra re una mia vers ione.

Non puoi cer to d i r t i estraneo a l mondo del country.I m ie i p re fer i t i sono Merle Haggard e Dol ly Parton .

Dal le pr ime usci te autoprodotte f ino a l tuo ul t imo s ingolo, Diamond Dancer , i l tuo songwri t ing ha subi to un cambiamento sostanzia le .Mi l im i to a scr ivere canzon i . Non posso espr imere un g iud iz io in mer i to a l mio songwr i t ing .

Non è che da p iccolo er i un bambino spensierato?Dipende a che e tà t i r i fe r isc i . Quando ero p icco lo c ’e ra sempre qua lcosa che mi p reoccupava un po ’ . Ne l la mia tes ta avver t ivo cos tantemente qua lcosa d i sbag l ia to e pregavo “Se so lo questa cosa fosse i r rea le , se non l ’avver t iss i , a l lo ra sarebbe tu t to per fe t to ” . Mi p iacevano que l le p icco le emoz ion i che t i davano la sensaz ione d i aver combinato qua lcosa d i temerar io . In casa ero so l i to sa l ta re su una sed ia , fa r la barco l la re f ino a quando perdevamo l ’equ i l ib r io ; s imulavo d i t rovarmi in b i l i co su d i una go la ab issa le .

Sycamore . È la canzone de l mio u l t imo a lbum che tu t t i p re fer iscono e quando la suono in g i ro pare s ia apprezzata a l l ’unan imi tà . Non era mai successo.

Ce l ’hai una def in iz ione di Bel lezza?Posso so lo osservare la montagna e darne tes t imon ianza.

Non è che tut ta la Stor ia del l ’Ar te è un tentat ivo d i emancipazione dal concet to d i Brut tezza?Beh, non puo i sconf iggere i l ‘b ru t to ’ . È come ten tar d i debe l la re le droghe, b isogna fa rsene una rag ione.

Mai pubbl icato qualcosa che hai f in i to col g iudicare t roppo personale?Nessuno r iesce a essere tan to autob iogra f ico ; so lo la v i ta vera lo è . Facendo ‘accadere ’ qua lcosa in una canzone da i la poss ib i l i tà a l l ’asco l ta tore d i ident i f i cars i con i l do lore , i l m is tero , la g ravos i tà ecc . che essa cont iene.

I tuoi idol i ne l b lues?Forse John Lee Hooker ma è tan to che non l ’asco l to . Un pa io d i g io rn i fa mi hanno passato un a lbum d i L igh tn in ’ Hopk ins e c ’è una canzone de l la qua le vog l io

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Come procede la v i ta in Texas?È un grande Sta to . Natura lmente non è poss ib i le fa re d i ogn i e rba un fasc io ; in fondo ‘Texas ’ è so lo un nome che abb iamo a t t r ibu i to a un pos to . Però è innegab i le che le cose appa iono d iverse qu i ne l sud-es t deg l i S ta tes . I l te r reno è d iverso , pers ino g l i a lber i sembrano crescere in maniera d iversa e l ’a r ia , anche que l la , ha un pro fumo un ico .Ascol tando la tua opera nel la sua interezza è possibi le r isa l i re a una precisa immagine di c iò che la re l ig ione rappresenta per te?Sì , è poss ib i le . Osere i d i re che una pass ione dominante fonde tu t t i g l i a lbum in un ’un ica opera che, cons idera ta ne l la sua to ta l i tà , è quanto d i p iù v ic ino a l la mia v is ione d i ‘Sacre Scr i t tu re ’ . È come un ronz io cos tante che mi rap isce a f f inché io lo renda mani fes to a t t raverso un ’ inc is ione mus ica le .

Un sacco di tue canzoni contengono immagini d i caval l i…I m ie i pens ier i sono r icch i d i an imal i . Quando ch iudo g l i occh i r iesco a vedere una spec ie d i landa deso la ta e po i durante i l r i sveg l io questa te r ra s in is t ra è come se s i avventasse improvv isamente su l l ’umani tà .

Qualche a lbum al t ru i dal quale non r iesci a staccart i?È tanto che non ho un mio a lbum favor i to . Una vo l ta ce ne possono essere s ta t i ma adesso non l i asco l to p iù . Tranne Cat Stevens… cont inuo ad asco l ta re Cat S tevens.

In St ick In The Mud cantavi “Mi sento come stessi d iventando Lou Reed nel per iodo di Mistr ia l , impantanato nel fango” . L’a lbum Mistr ia l era robet ta , ma gl i u l t imi d i Reed… Non so se mi dispiaccia Mistrial. Diciamo comunque che sono 10 - 15 anni che non lo prendo in mano. Non ho ascoltato con attenzione le ultime cose di Reed ma quel poco che ho sentito era buono. La sua carriera solista è ammirabile. The Raven e quel genere di cose; non puoi criticarle.

C’è un errore speci f ico che r iconosci a l la tua carr iera?Ci sono un pa io d i cose che mi angosc iano, quando c i r ipenso. Ma non credo s i t ra t t i d i nu l la d i ca tas t ro f ico .

Con Woke On A Waleheart ha i abbandonato i l nome d’ar te ‘Smog’ . Che s igni f icato s i deve at t r ibuire a questa scel ta?Se c ’è un messagg io è r ivo l to pr inc ipa lmente a me s tesso. È una spec ie d i p romemor ia per r i cordarmi d i mantenere un nuovo approcc io con i l lavoro . Come ‘Smog’ e ro so l i to cont ro l la re ogn i aspet to d i un a lbum: la produz ione, g l i a r rang iament i , i mus ic is t i , la g ra f ica . Da adesso in avant i mi concent rerò so lo su a lcun i aspet t i oss ia la voce, i tes t i e la ch i ta r ra d ’accompagnamento . Vog l io de legare i l res to a produt to r i , tecn ic i de l suono ecc . . In questo modo credo d i po termi sp ingere in luogh i ne i qua l i non sare i mai r iusc i to ad ar r ivare come Smog. Abbandonare i l modus che mi aveva cont radd is t in to s i è r i ve la to un processo in sa l i ta ma c i s to lavorando tenacemente .

Cos’hai odiato degl i anni Novanta?Non r icordo nu l la de i 90 .

Che t i augur i per la vecchia ia?Vest i t i comodi ma con un cer to s t i le e qua lche carezza da mio f ig l io / da i mie i f ig l i . E spero che mia mogl ie guardandomi pens i a me come a l “Caro vecch io B i l l ” .

Mai t ravol to dal lo spauracchio che la tua creat iv i tà s ia g iunta a l capol inea?No, perchè dovrebbe abbandonarmi propr io ora?! Sarebbe davvero t roppo s t rano; se avess i a l mio a t t i vo so lo un pa io d i a lbum pot re i ipo t izzarne la poss ib i l i tà . Ma ne ho fa t t i un sacco e cont inuo a mig l io rare . Sono un pozzo senza fondo io .

Pare che la maggior parte degl i ar t is t i s iano borghesi intent i a combattere le ipocr is ie del la borghesia…Solo ne l l ’Europa Occ identa le .

Red Apples Fal ls è senz’ombra di dubbio un a lbum al tamente depressogeno. Può dirs i rappresentat ivo del per iodo in cui fu composto? Stavo concent randomi su i mie i appet i t i . In tendo d i re : t i met tono a l mondo, g ius to? Ti guard i a t to rno; se i i l nuovo ar r iva to in c i t tà , ecco come t i sent i . S tavo dando t roppo d i me s tesso, mi sa che ero s in t roppo f iduc ioso. Que l l ’a lbum è impern ia to a t to rno a pens ier i no t tu rn i e a s i tuaz ion i v issu te in sogno. Morn ing Paper , la canzone d ’aper tura , è isp i ra ta da un mio amico che non r iusc iva ad addormentars i p r ima d i aver sent i to i l ton fo de l quot id iano su l g rad ino de l la por ta d ’ ingresso. Se ne s tava sveg l io tu t ta la no t te e quando f ina lmente passavano a consegnarg l i i l g io rna le poteva addormentars i . Qua lche vo l ta ho dormi to da lu i e sapendo d i questa s i tuaz ione mi p rocuravo un vecch io g io rna le , lo sbat tevo cont ro l ’a t r io d i casa cos ì lu i po teva conceders i un po ’ d i sonno. Red App les invece descr ive un sogno. Verso la f ine de l l ’a lbum que l lo s ta to on i r i co v iene in ter ro t to e i r rompi da l l ’a l t ra par te .

Domande t ipo “Come hai scr i t to quel la canzone?” e s imi l i sono sciocchezze di cui ogni ar t is ta farebbe volent ier i a meno. Suonerebbe spassoso però se r ispondessi a una banal i tà sul genere: qual è i l tuo colore prefer i to? Se dovess i averne uno sarebbe que l lo de l c ie lo . E anche i l verde de l le o l i ve .

Ne approf i t to: animale prefer i to?Mi p iacc iono i can i e le capre .

Pietanza prefer i ta? I l c ibo ind iano su l genere de l Saag Paneer.

Qual è l ’aspet to p iù straordinar io del l ’essere un ar t is ta?Pred i l igo tu t to que l lo che s ta a l d i fuor i de l l ’essere un ar t i s ta .

2 8 s e n t i r e a s c o l t a r e

Verso metà 90, via lattea Too Pure e Tortoise, i l Kraut-rock torna a casa, in Germania. Ad

attenderlo la tecnocrazia del la cassa in quattro e un r i lascio part icolare. Un mulinel lo di

correnti d’amore e fr izione. Corrispondenze f i t te e ravvicinate in un cl ima effervescente di

narcosi tr ip-hop, promettenti amori wave, att i tudini arty e fede nel mixing. Tanti i protagonist i

del la vicenda ma questa storia è dedicata a una piccola comunità. Ronald e Robert Lippok,

Bernd Jestram, Stefan Schneider ovvero To Rococo Rot, Tarwater, Kreidler, Mapstation,

Music AM..

A: do you remember a post-wall music? D: Krautly well, in fact. Nel numero di marzo 1994, i l mensi le Mojo pubbl ica un art icolo a proposito di Hex , l ’album a f i rma Bark Psychosis che è già un caso presso le r iviste underground. A colpire non è tanto la strumentazione ma l ’uso che ne si fa: rock ma senza f inal i tà rockiste, basso chitarra e batter ia lontane dal la fede maschia del r i ff . Bark è affetto da un morbo strano. Lo chiamano Post-Rock. I l termine è intr igante, cool e crea un amabile cortocircuito proprio sul calar del Secolo del le masse e del funzional ismo. Anzi, diventa i l pref isso preferi to del pubbl ico in-die europeo che ne r iscopre l ’on-togenesi r iempiendosi la bocca di modernismi del post che, da oppio del circuito sociologico f in dai tempi di Lyotard, diventano parole magi-che per descrivere un rock che non è più rock e una musica che non è più una, ma tante (apol idi) sostanze (messe) assieme. Individuati dal cr i t ico Simon Reynol-ds, una serie di gruppi inglesi or-bitant i attorno al la Too Pure sono i portavoce del nuovo paradigma.

Presto però i l mondo si accorge dei dischi degl i Slint , i l gruppo del dopo che viene acclamato al l ’uniso-no come vero starter del l ’esperien-za. Eppure se in USA l ’ intel l ighen-zia devolve l ’hardcore, è ad Albione che l ’ int ingolo schiuma le spezie più disparate. Jazz-rock à la Canterbu-ry, jazz-elettr ico davisiano, shoega-ze trasf igurato ambient, sono le pe-dine in gioco, ma la più importante di queste si fonda su automatismi e reiterazioni inconfondibi l i . Nel cata-logo del l ’et ichetta, è l ’anomalia rock tedesca (Can , Kraftwerk , Neu! , Faust , Tangerine Dream) a fornire le strutture e gl i agganci più signif i -cat ivi . I l kraut-rock sta r i tornando e r ivendicando la propria importanza nel lo scacchiere internazionale e questo grazie a gruppi non tedeschi come Moonshake-Laika (samplede-l ia jazz-dub-wave ispirata dai Can), Seefeel ( l ’ambient del dopo shoe-gaze improntato sul la cosmica), Stereolab ( lounge Neu! su Marte), Disco Inferno , Cul De Sac , Pram e tant i al tr i . Una ciurma d’art i f ic ie-r i che metterà in circolo aria fresca nei condizionatori e f inirà per am-maliare e irradiare le sue fragranze

in molte direzioni. A Londra, una la-bel da dopo-lavoro rave si proclama portatr ice di intel l igent dance music e d’oceani di suono nel quale per-dersi e ammirare i l miracolo del l ’ar-tefatto post. A Chicago, un’et ichetta nota come Kranky colt iva piante dal l ’arbusto rockista profondamen-te acido assieme a landscape am-biental-psichedel ici . Sempre da quel le part i un neogruppo chiamato Tortoise chino sul lo studio del dub dimostra di possedere uno sguardo d’ insieme estremamente lucido. Tutt i hanno dato almeno un’occhiata verso Alemagna e verso metà del la decade, i l mul inel lo del le nazioni perturba indefesso nel la terra che l i fece nascere e crescere. Come per i l passato, i l motto non è lontano da “sbagl iando a copiar s’ inventa” (Jul ian Cope), tuttavia l ’aggiorna-mento al le prerogative del post suo-na come “è tutto scombinato ma in qualche modo suona in ordine” (Dirk Dresselhaus). È i l basamento di un’anomalia nascente, una geogra-f ia in tr iangolo Düsseldorf-Colonia-Berl ino che profuma di r inascita, forte al punto che gruppi del “pre” come Notwist e Village Of Savoon-

P O S T - W A L L - M U S I C

Milc

hhof

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 9

Tarwater, foto di K

ai Von R

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� 0 s e n t i r e a s c o l t a r e

ga s i convertono al le caratter ist iche di un post assieme rock, moderno, futurista. Poi ci sono gl i al tr i , i re-trovisori , gl i studiosi dei nuovi modi d’ interfacciarsi al le macchine e ai support i (Oval , To Rococo Rot) , in-f ine decine di nomi e progett i intrec-ciat i a tuffarsi di testa nel l ’ int ingolo magico del dub e del jazz. La punta del l ’ iceberg si chiamerà Mouse On Mars , e l ’ impronta porterà con sé un altro motto-mezzo: l ’elettronica. Soprattutto nel la neue deutsche wel le tutt i - tedeschi e non - guar-dano insistentemente a Berl ino e al fermento del “dopo” per eccel lenza, quel lo del Muro.

Techno auf BerlinNei Novanta, Berl ino torna a esse-re i l Luogo per eccel lenza. I l centro di tante cose in un contemporaneo r i trovato e r icol legato a un futu-ro specif ico. Un curioso domani in passato remoto, verrebbe da dire, e cambiando i l punto d’osservazione i l fatto è ancor più chiaro: si tratta di una r iconci l iazione in una comu-ne matr ice fatta di metodo e sobria emotivi tà, r ipet izione e asciuttezza dinamica al la quale si contrappone una r i trovata (anch’essa) idea di co-smo, di rapporto profondo uomo/na-tura, d’ i ronia feroce con i l quale os-servarlo e quindi di un romanticismo severo, mittel , la versione anemica del l ’amore francese sul col ino del la wi ld side newyorchese.

Ma ora piano con l ’ inchiostro. Si di-ceva del le radici , del l ’entusiasmo scazzato e un po’ feroce di quegl i anni, di Berl ino in transito, dove è f inalmente possibi le switchare Est-Ovest e Ovest-Est al la r icerca di nuove identi tà e del contrario. Di-spersione. L’ex DDR caput mundi del l ’arte. L’Est sgombro con i l be-neplacito di Roger Waters. Gl i U2 a registrate Achtung Baby con Eno, quel lo stesso Eno del la tr i logia bowiana f ine Settanta (ma senza capel l i ) . E poi i quattro che si vo-gl iono rockstar planetarie: una Zoo Tv che r i f lette sui media e sul con-trol lo dei potenti . Dunque, l ’Ovest, covo dei party pirata tuttanotte, la

r ivoluzione House al la quale vie-ne preferi ta la discipl ina techno. L’automatismo del batt i to nel quale l iberarsi in un gioco di mimesi, di contraddit tor io anonimato di massa. E inf ine la ci t tà tutta a viaggiare a diverse velocità, come in un cl ip di Gondry: in superf icie, l ’ul t imo ran-tolo del Rock planetario; sottoterra, i r i tmi del “phuturo” techno, quel l i del la chi l l -out, del tr ip-hop e, lungo la strada, l ’u-turn per l ’esot ico, un tr ip in costante r innovamento e me-scolanza nel quale i l kraut storico (di nuovo) r i torna attuale e persino Klaus Kinski, una vita tra i muri del-la fol l ia, r isorge l iquido (sui piatt i del Paterson del caso) al r i tmo dei Popol Vuh.E anche qui c’è una storia da rac-

contare. Si diceva di masse elettr i -che, di kraftwerk-rave, loop, com-mist ioni soniche e visive, r igore, ebbene niente veicola meglio la cultura germanica del l ’elettronica, un’elettronica sempre più cheap, un fondamento naturale. E l ’att i tudine? Presto detta. Art Techno (Reynolds docet Generation E) e gl i art ist i in-tel lettual i f ioccano: Markus “Oval” Popp , serissimo e snob, contem-platore di Cage e del la Scuola di Francoforte; i suddett i Mouse On Mars, inclementi mattacchioni; Mi-crostoria , chirurghi in somma topi più l ’ovale; la Digital Hardcore degl i Atari Teenage Riot che fonde Tech-no e Hardcore; la scena avant del la

Mil le Plateaux, e inf ine Pluramon (Marcus Schmickler) che si fregerà di suonare con i l batter ista dei Can in carne e ossa. Storie in loop di temi/variazioni al-l ’ interno dei qual i un gruppo di ami-ci cresciuto oltre cort ina è pronto a avviare un proprio discorso tra spe-r imentazione, pop e performance. È di loro che parleremo. Una storia di gr igi e vel lut i porpora registrat i su un nastro magnetico …che procede in entrambi i sensi.

Milchhof“Song seems to sleep in the ma-chines” (Ronald Lippok, 2007)Tra le varie biograf ie del la Germa-nia Novanta quel la dei fratel l i Lip-pok e Bernd Jestram possiede una

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st le, Publ ic Image LTD, Cabaret Vol-taire, Joy Division, Human League, Flying Lizard le possibi l i tà del post-punk aprono la mente dei due che iniziano a provare assieme. Poco dopo inaugurano una tape label nel l ’unico modo al lora possibi le, in segreto e soprattutto grazie al l ’eco-nomico supporto. Le label discogra-f iche, neanche a dir lo, sono statal i e lontane mil le migl ia dal la realtà. La musica è un affare di cassette carbonare scarabocchiate a mano, cassette che nel contempo rappre-sentano generatori di loop a cost i accettabi l i . “A quei tempi”, afferma Ronald Lip-pok ( incontrato a Modena al fest ival

Motron), “non avevamo i samplers e le tapes cost i tuivano un mondo nuo-vo. I nastr i in background di Joy Di-vision e Cabaret Voltaire sono stat i una grande inf luenza per tutt i noi e in generale l ’effervescenza di quel periodo rappresentò una grossa spinta creativa”. E le energie r ichia-mano inevitabi lmente i catal izzatori : se i l Wina Café era i l posto di r i -trovo degl i art ist i e dei new-wavers, nei Novanta quel lo spazio prende i l nome di Milchhof, uno dei tant i f lat squottat i dagl i art ist i dopo la cadu-ta del muro e soprattutto un labora-torio creativo a tutto campo, simile per att iv i tà e funzionamento al pr imo nucleo del Link bolognese (quel lo di via Fioravanti , of course), ma anche (e aspetto non da poco) un r i trovo

di gente da entrambi i blocchi pre-muro. Ronald e Robert non si fanno scappare l ’occasione e si prendono uno studio f isso qui e nel f lat si spe-r imenta di tutto dal la musica al de-sign, dal f i lm making al la scultura. Al la sera poi si suona e si organiz-zano eventi . Chiaramente molt issi-mo di quel che accadrà inizia pro-prio qua, al sorgere dei Novanta, in un mondo lontano dal rock e vicino al la performance, in una realtà ora-mai post-Throbbing e post-Einstür-zende, ma che di quel le due realtà conserva l ’ importanza del lo sguar-do associato al l ’ascolto. Fuori del complesso, nel frattempo è un brul i -care di rave i l legal i ai qual i nessuno

può resistere. I Lippok e Jestram si dividono tra lo studio, col laborazio-ni con altre realtà tra cui i l progetto (prettamente performativo) di lunga data Ornament & Verbrechen (nac-que nel 1983) nel quale mil i tavano anche Bertram Denzel e Erik Huhn (quest’ul t imi presto noti con la sigla Denzel + Huhn), e gl i happening or-ganizzati nel le scatole lasciate in-custodite del la società industr iale e tra tutt i è Ronald i l più entusiasta. Mentre Robert si concentra sugl i umori del post (via City Slang), e Bernd s’ imprat ichisce del la fonia, i l mooger e vocal ist del la compagine frequenta da vicino la club culture del la ci t tà, nonché la scena tedesca più underground. Presto si munisce di piatt i e mixer e incontra Move D,

pecul iar i tà non da poco. La loro è un storia iniziata in quel terr i tor io che i nostalgici tedeschi dei Sessanta continuavano a chiamare Mitteldeu-tschland ma che uff ic ialmente era noto come Repubbl ica Democrat ica Tedesca, stato social ista di con-fessione atea di massa, apparato coercit ivo che, nel 1961, aveva in-nalzato i l muro per evitare che cert i “appeti t i borghesi” annientassero la r ipresa economica. L’adolescenza dei tre si piazza nel caval lo Settan-ta-Ottanta. Oltre cort ina venti strani arr ivano da varie direzioni, le fogl ie vibrano di qualcosa d’effervescente. C’è un po’ di musica diversa che è capace di svoltare le giornate. Mu-

sica suonata negl i scantinat i , pro-prio come nel l ’Ovest. Musica capta-ta via radio e registrata in cassetta, perché nel l ’etere viaggia persino un programma di John Peel e, per grazia di Gorbachev, recuperare i nastr i che contano del l ’underground internazionale non è impossibi le. Le passioni si colt ivano così e quel la musicale non è poi l ’unica. Si dipin-ge e si legge poesia, anzi, a dir i l vero, si fa anche un po’ di ginna-st ica, un sano punk-rock da garage. È Ronald lo sport ivo del team, lui e un chitarr ista di una band chiamata Marx conosciuto poco prima al Wina Café. I l suo nome è Bernd Jestram, e tra i due musicalmente c’è da su-bito un’alchimia part icolare. Grazie ai nastr i dei Throbbin’ Gri-

Mapstation

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un dj di Heidelberg capace di f i l t ra-re le istanze del la Detroit techno con i l retroterra krauto e l ’amore per Aphex Twin. Le sue t rack (su Kun-ststoff , 1994) contengono già molte caratter ist iche del suono che verrà svi luppato, un anno più tardi, con la ragione sociale To Rococo Rot.

Avvolgimenti e riavvolgimenti Attorno al Milchhof si stabi l izza una piccola scena mult idiscipl inare. Un’antenna del le varie onde del la contemporaneità di al lora attenta, in part icolar modo, al la r iscoper-ta del l ’uso dei support i come part i att ive del processo musicale. Con l ’ ingresso di Stefan Schneider - già bassista e tast ier ista nei neoformati Kreidler di Düsseldorf - lo studio di tal i possibi l i tà si fa più metodico, si-mile a quanto aveva affrontato Oval con i l sabotaggio dei compact disc (e fatto nascere i l fenomeno Gli tch assieme a Ikeda) ma dirottato al la prassi del remix. Possibi l i tà che lo stesso Schneider ha sottol ineato recentemente al la presentazione del la raccolta dei pr imi lavori dei To Rococo, Taken From Vinyl (Staub-gold, 2006), r icol legando i l percorso del col lett ivo indietro nel tempo f ino al la Bauhaus. “Fu Laszlo Moholy-Nagy, i l pr imo art ista ad aver ma-nomesso un 78 gir i appl icando sul la superf icie alcune lettere del l ’al fa-beto” , afferma accademico, “prima mai nessuno aveva pensato al sup-porto come strumento” . Eppure, la pecul iar i tà dei To Rococo sta in un “tagl ia e cuci” (o “smembra e r i for-ma”) esterno al singolo campione, un deejaying scient i f ico part icolar-mente attento al sound del suppor-to stesso, una musica da suonare in un senso e nel l ’al tro; va da sé la

pal indromia semantica e la prima instal lazione nel la quale una serie di dischi di acetato, plasmati ad hoc, vengono suonati einstüzende-mente da trapani con i support i fatt i girare in entrambi i sensi di marcia. Questo l ’asse teorico dal quale si svi lupperanno le idee del col lett ivo e queste anche le necessarie del i -mitazioni di campo in un mare (mai così magnum con napster, internet e PC al le porte) di opportunità mu-sical i . “La cosa più interessante di quel periodo era l ’effervescenza, simile per molt i aspett i a quel la del dopo punk a caval lo tra i Settanta e gl i Ottanta. Molta gente e molte idee, soprattutto mental i tà aperte e tante si tuazioni, anche parecchio distan-t i , che si incrociavano” r icorda en-tusiasta Bernd Jestram.Fuoco creativo che nel 1995 porta i l col lett ivo a real izzare una cassetta omonima (al mixer Bernd Jestram, f igura sempre più importante per i l t rattamento del suono) e un 12’’ , Lips , l icenziato dal la City Slang e prodotto e missato nei reSource Studio di Heidelberg da Move D . La col lezione è l ’ant ipasto di quel che si ascolterà più estensivamente un anno più tardi nel l ’album d’esordio. Uscirà per un et ichetta del l ’elettro-kraut contaminato, la Kit ty-Yo e, coerentemente con Laszlo, sarà un Picture Disc (ma senza alcuna let-tera impressa). I l sound del r inasci-mento è prossimo.

1996Fatto salvo l ’exploit dei Mouse On Mars nel 1994, i l 1996 è l ’anno dei debutt i in grande st i le del neokraut. Escono, a distanza ravvicinata, gl i esordi dei Tarwater di Ronald Lip-pok e Bernd Jestran, i Kreidler ca-pitanati da Schneider, i Village Of Savoonga di Markus Acher (autori di un album omonimo nel 1994 ma di fatto ai blocchi di partenza) e Plu-ramon , i l progetto di Markus Sch-mickler. Tutt i lavori caratter izzat i da elementi elettro e rock, amori dub tortoiseiani e reminiscenze cosmic-psych, fascinazioni etno e jazzismi freddi; soprattutto storie personal i , ognuna con un proprio perché (e per questo consigl iabi l i tuttora a co-loro che certo post-rock…). Inoltre,

nessun re o regina da queste par-t i , piuttosto agi l i caval l i e alf ier i , un piccolo entourage d’unità mobil i in-tel l igenti al la maniera preconizzata da Robert Fripp. I Kreidler, capitanati da Schnei-der ( l ine-up comprendente Thomas Klein al la batter ia, Andreas Reihse ai synth e campionatore e Detlef Weinrich al campionatore), si pre-sentano senza chitarre con i l buon Weekend , un platter sol ido tra Tor-toise e Can, caratter izzato da r i tmi-che asciutte e algide, volutamente kraute tra cold-jazz, funk l iquido (La Capital) e ambient à la Eno (Shaun) . Pick Up Canyon di Plura-mon predi l ige invece un post-rock per seicorde in circolari tà elettrock con colate cosmiche Cluster e geo-graf ie etniche Amon Düül . E lungo queste coordinate, Cd (City Slang 1996, 7.0/10) dei To Rococo Rot è un catal izzatore, un mix tra suono americano e Krautrock con una passione per la musica dei club, un terr i tor io ancora tutto da scopri-re, e soprattutto da decostruire. I l mix sintet ico-suonato, le iniezioni di un funk part icolarmente algido e i jazzismi freddi di marca Ecm, co-st i tuiscono l ’ interesse del lavoro più impersonale e asett ico del lotto, ma anche quel lo maggiormente espo-sto al le due correnti pr incipal i del la musica dei Novanta. Analogamen-te agl i Ui di Sidelong (Southern, e sempre 1996), e chiaramente agl i stessi Kreidler, basso e batter ia primeggiano, i l dub si r iduce a una profondità steri le (Süsse Kuche , an-cora Parabola), e l ’ambience l iqui-da viene sost i tui ta da groove vicini e lontani dal beat inf ini to dei rave (Dekothek , Kri t ische Masse 1 , Tour De Repechage , Parabola) . È un

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possibi le superamento del la lezione Too Pure. Anzi l ’ inizio di un’anoma-l ia deutch . Una corrente elettronica che f inirà per coinvolgere numerose frange del cosiddetto post-rock ame-ricano (per esempio i Labradford diventat i Pan American con i qual i i To Rococo Rot stamperanno uno spl i t per la nostrana Unhip Records nel 2003) e molto altro ancora.

Malinconie metropolitane“ I t ’s good i f you have a classic to feed your ego, but our music is made for now, for the people” (Ron-ald Lippok, 2007)Testfeld , i l brano maggiormente te-chno del l ’esordio dei To Rococo è la traccia più signif icat iva del la pas-sione rave vissuta dal col lett ivo del Milchhof. Un entusiasmo che dura soprattutto lungo la prima metà dei Novanta, quando i Lippok e Je-stram dividono le loro giornate tra studio e rave. In part icolare, i l pro-getto Tarwater di Ronald e Bernd, che prende vita paral lelamente al le session di Lips e CD , pare intr iso del lo svuotamento psyco-emotivo del dopo ecstasy, un’ idea concepi-ta nei pomeriggi del l ’after party a guardare vecchi f i lm al la tv, oppure ascoltando un vini le sdrucito del la tr i logia berl inese del Duca Bianco (o di Iggy Pop…). Forse è forzato pensarlo ma certe zone di Berl ino - aff i t t i a poco prez-zo, mult i razzial i tà e vi ta notturna spinta - r icordano l ’atmosfera son-nolenta di Bristol e del Wild Bunch (Massive Attack), come simile è an-che i l gr igiore metropol i tano e quel nichi l ismo da occhiale scuro. Del resto, nel la Berl ino esaltata dal la new wave storica, pulsa ancora la tradizione dal la Factory warhol iana

portata dai Lou Reed, Bowie e Pop, un’estet ica che ha aggiunto smalt i al cuore scuro e tormentato del la ci t tà. Ed è da questi f ior i del male che John Donne ( introvabi le cas-setta) e soprattutto 11/6 12/10 (Kit-ty-Yo, 1996, 7.2/10) , vero esordio di un duo, attecchiscono tra crooning gutturale e tr ip hop, chamber pop e monocromia post-rock. Mood che si condensano in una splendida bal la-ta come Tar e in un capolavoro di rock decadente come Euroslut . Lippok è una sorta di Tricky teuto-nico, di Ian Curt is romantico-tragico e di Lou Reed esistenzial ista, tutta-via possiede da subito una propria personal i tà, soprattutto un ist into naturale per le l inee di confine. In Rome , ul tra cool sotto i l s incopare del basso, i l v iat ico tra l ’asett ico e i l sentimentale apre nuove sfuma-ture e confini , come del resto l ’al-bum non si r isolve nel le song ma presenta anche del le t rack , scenari di fferenti e per nul la inferior i . Han Er Der Inne , è un jazz d’antan spor-cato d’elettronica (un anno più tardi un focus maggiore di queste coor-dinate prenderà i l nome di Tied & Tickled Trio per mano di Markus Acher), Theme svi luppa un tema noir su basi post- industr ial , New Brood è un intermezzo con insert i concret i , Kleenex mette in campo l ’etnica robotica a mo di Residents (che r i troveremo in Rabbit Moon e nei lavori teatral i) . In sostanza 11/6 12/10 è un doppio bigl ietto da visi-ta che alterna canzoni a momenti strumental i , aspett i quest’ul t imi che prendono i l sopravvento nel l ’ inte-ra trackl ist del successivo Rabbit Moon Remixed (Gusstaff , 1997, 6.0/10) , pubbl icato per la one-man-tape-label polacca Gusstaff nel 1997 (e poi r istampato nel 1998 con bonus track a nome Rabbit Moon Revisited) . Qui, salvo i suddett i f la-vour oppiacei, si trovano trame più propriamente soundtrack (Bernd si è nel frattempo trovato un lavoro come compositore) e momenti più oscuri come la stessa t i t letrack (Les Gammas Mix) , caratter izzata da un incessante r i ff chitarr ist ico “spezza-to” e una serie d’elementi spacey; oppure 11/6 12/10 (Elektronauten/Datec Remix) , prat icamente un Ba-dalamenti drogato dai Massive At-

tack. Da altre part i , inf ine, i l v iat ico per le sonori tà dei To Rococo di CD suona quasi come uno scambio di ruol i . Ed è proprio del tr io che è i l caso di parlare ora. Veicolo (City Slang, 1997), uscito in questo stes-so anno, è uno degl i album chiave del la Germania Novanta.

Casual ergonomicsTra i l 1997 e i l 1998 i l pubbl ico in-ternazionale scopre la scena tede-sca e i To Rococo sono in prima l i -nea grazie a un perfetto incrocio di incastr i elettro-concettual i , techno di marca europea, post-rock e robo-t ica. Per i l terzo lavoro i l t r io r i -edi-ta l ’apoteosi del la musica cosmica e la proietta nel futuro scri t to anni pr ima da Kraftwerk (Mit Dir In Der Gegend) e Can , in prat ica pianta i l nuovo “ indie-rock adulto”. Caratter izzato da r i tmiche scarnissi-me, effett i centel l inat i e, soprattut-to, imperturbabi l i metonimie, Veico-lo (City Slang, 1997, 7.5/10) fonde tre diverse tradizioni qual i i l dub, la techno e l ’etnica afr icana portan-do a compimento quel la scient i f ica scomposizione e r icomposizione che nel l ’album precedente rappre-sentava soltanto una possibi l i tà. Ogni brano è tanto logico quanto casuale (pure casual) , ogni struttu-ra è quadrata senza r isultare minac-ciosa, ogni sound possiede r igore e specif ic i tà in un del icato gioco di pel l i ora magmatiche (Micromana-ged) , ora metal l iche (He Loves Me) , ora brumose (Modern Homes) , ora elettr iche (Leggiero) . Smalt i e pro-fumi di un corpus sonoro discreet , come lo descriverebbe Eno , ma in costante dinamica d’attrazione ed espulsione. È i l sound arty e groovy del l ’ innamorato del nul la (come lo

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vuole l ’Esctasy), ed è i l sound pop del l ’elettronica impiantata nel le si-napsi degenerate del post-rock. Sono maturazioni e consapevo-lezze che fanno di Veicolo i l f iore al l ’occhiel lo del la discograf ia di un tr io sempre più lontano dal mon-do del le performance, un aspetto al quale Ronald Lippok t iene par-t icolarmente e che trova modo di colt ivare con i Tarwater. Lo stesso anno, infatt i , esce a loro nome Silur (Kit ty-Yo, 1998, 7.2/10) , una sorta di reading retro-futurista sonorizza-to nel quale i l cantante, con l ’aiu-to di Danielle Malkoff (presente in due brani: Seafrance Cézanne e nel la t i t letrack) , declama alcuni te-st i presi in prest i to dai personaggi più disparat i : si va da Marc Bolan nel la doorsiana Visit a Mark Dion nel la port isheadiana Watersample , da Hol land Thompson nel la darkeg-giante Seafrance Cézanne , al Phi-l ippe Cousteau del l ’onir ica Silur, da Terry Wilson nel la folkish No More Extra Time ad Aldous Huxley nel la pal indroma Ford . I l r isultato è mi-rabi le specialmente per i l lato pu-ramente musicale, una variante del tr ip-hop bri tannico fatta di vel lut i mit tel e decadenza cinematica anni ‘40 vicino al migl ior Tricky e i più catacombali Portishead del l ’album omonimo (gl i insert i d’archi di The Watersample e V-At) . Sul lato t rack , completando i l platter di fascinosi groove, da sottol ineare inoltre l ’abi-l i tà di Bernd e Ronald nel veicola-re i l lato popadel ico che gl i stessi To Rococo Rot svi lupperanno nel la prova successiva (To Moauf) . Un appeal al quale f inalmente la stam-

pa dedica la giusta attenzione e farà di Silur l ’album del la consacra-zione di cr i t ica e pubbl ico (europeo) nonché i l pr imo ad avere recensioni fuori del la Germania, stoccate com-prese. Alcuni, infatt i , lamentano una certa art i f ic iosità, al tr i un pop faci le perché del iberatamente non art i -colato, al tr i ancora di un legame a senso unico con gl i anni ‘80. Tutte spine nel f ianco che si r ipresente-ranno negl i anni ma a cui i l duo sta lavorando, proprio mentre lo stesso Ronald, i l f ratel lo e Stefan prepara-no i l successore di Veicolo .

Osservazioni. Soli e atomiSe Silur dei Tarwater r infranca l ’ap-peti to di Ronald Lippok, e l ’uscita del secondogenito di casa Kreidler, Appearance And The Park (Kiff SM, 1998, 5.0/10) delude i più (tan-to che tralasciamo di parlarne), pare a posterior i che la sol idi tà di The Amateur View (City Slang, 1999, 7.5/10) , a f i rma To Rococo Rot, deb-ba parecchio al l ’att i tudine pop del pr imo (e al certosino lavoro d’angol i del fratel lo di lui) che al basso del secondo. In veri tà, i l contr ibuto di Schneider (quel dub sempre più et-nico sul quale i l musicista sta lavo-rando anche in proprio) non manca di r ivelarsi prezioso, come l ’album, anticipato dal l ’ott imo EP Paris 25 (City Slang, 1997, 7.5/10) , rappre-senta un altro caposaldo del l ’elet-tronica “possibi le” del neokraut. Fluidi f icando i l sound di Veicolo in romanticherie sideral i e aggiornan-do le lezioni dei corr ier i più cosmici del la cordata tedesca, le viste ama-torial i s i stagl iano su sinusoidal i f i -

gure di synth e eleganti pose pop (Telema) , destreggiandosi tra soff ic i pennel late digital i ( I Am In The Wor-ld With You e A Lit t le Asphalt Here And There) , ci tazioni a pionieri come Art Of Noise (Prado) e del iziose f i -lastrocche (Cars) , omaggiando nel f inale i Cluster (quel l i con Eno) , r ispett ivamente nel la malinconica Die Dinge Des Lebens e nel l ’ inquie-ta Das Blau Und Der Morgen . Dal lo scient ismo, i To Rococo maturano del iziose marinerie elettroniche r i -mandando a memoria la lezione enoiana del Neroli e comportandosi di conseguenza, come botanici in un’evoluzione che si r ivela humus per molt issima elettronica da ca-meretta che s’accaserà tanto al la Morr ( l ’et ichetta inaugura nel 1999 con un lavoro di B. Fleischmann) quanto al la Kit ty-Yo, Monica Force e compagnia assort i ta.Del resto i l biennio 1998-2000 è i l periodo più fortunato del la sce-na nu-kraut. Vengono pubbl icate le eccel lent i prove di Mouse On Mars (Glam , Domino, 1998, 7.0/10) , Notwist (Shrink , Vicious Circle, 1998, 7.0/10) , Pluramon (Render Bandits , Mi l le Plateaux, 1998, 7.3/10 con Jaki Liebezeit al la batte-r ia), gl i esordi improntat i sul dub di Schneider-Mapstat ion (Sleep, Engi-ne Sleep , Staubgold, 2000, 6.5/10) e Pole (1 , Kiff SM, 1998, 6.5/10) , ma per quel che ci preme r imarcare questo è i l momento del l ’album per antonomasia dei Tarwater Animals, Suns & Atoms (Kit ty-Yo, 2000, 7.5/10) , i l fondamento del l ’elettro-pop (Ottanta e no) a venire. Che i Tarwater, avessero le capacità di scrivere del le canzoni era un dato quasi assodato, che sapessero scri-vere del le All The Ants Left Paris e Seven Ways To Fake A Perfect Skin fu un’autentica sorpresa. L’atmosfe-ra agrodolce, le soluzioni morbide del l ’elettronica del la prima sono da subito carta carbone per molt issi-mi indie-kid, mentre la magia elet-tro-r inascimentale del la seconda è letteralmente da brividi , senz’altro un capolavoro. I l resto è una carrel-lata di st i l i , specie nei sette minuti jazz-etno-lounge di Noon con canto a due tra Lippok e Justin Electra (e una splendida pioggia di note di si-tar e tablas sul f inale), oppure nel le

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complessità cinematico-noir di The Trees o nel groove techno di At Low Frequency (con un Lippok a sfode-rare un registro à la Unknow Plea-sures meets Morrissey) che inf luen-zerà non poco Schneider TM (al tro gagl iardo berl inese con i l quale i l duo andrà in tournée quel l ’anno passando anche in I tal ia). Tra un motivo parigino Dauphin Sun , o i Tortoise r ichiamati in Song Of The Moth , a r icamare gl i spot incusto-dit i con le consuete part i strumen-tal i , quel che ne viene è senz’altro un lavoro completo e cal ibrato, al la faccia del revival ‘80 e dei tedeschi “che non sanno suonare”.

2001 in stalloI l pop scomposto e poi r icomposto di The Amateur View e Animals, Suns & Atoms , al quale gl i stessi capofi la Mouse On Mars guardano con sempre maggiore insistenza, fa grande presa sul la cr i t ica e su-gl i stessi musicist i “del settore”. Nel giro di pochi mesi quegl i album sono pietre di paragone per la nu elettronica dei 2000 e di conse-guenza, in un cl ima di cambiamen-to e sovraccarico, con i To Rococo Rot a giocare la carta dei guest-star (e del progetto su commissione), i l duo Lippok-Jestram a proiettare frammenti di musiche per teatro e gl i stessi Robert Lippok e Stefan Schneider a intraprendere progett i sol ist i , s ’avvia un periodo di passi a lato, r iavvolgimenti e r ipensamenti . Tra tutte le prove, la più deludente è senz’altro quel la più attesa. Mu-sic Is A Hungry Ghost (Mute, 2001, 5.5/10) del la cordata To Rococo Rot, I -Sound (che già aveva par-tecipato in una traccia del la prova precedente) e Alexander Balane-scu ( famoso per le cover dei Kraf-twerk di Possessed , 1992, Intercord Tonträger GmbH), f inisce per bazzi-care un ambient-techno (dai soventi mood poppeggianti) che soltanto in un paio di occasioni s’avvicina al la suff ic ienza (Your Secrets , A Few Words) , e questo nonostante l ’ inec-cepibi le quanto ornamentale viol ino del maestro (From Dream To Dayl i-ght e Along The Route) e l ’apporto ai loop del dj . Una sorte migl iore tocca invece Kölner Brett (Staub-gold, 2001, 6.5/10) , costruzione del

col lett ivo d’architett i b&k+ al quale l ’album è dedicato nel formato di 12 tracce unti t led di tre minuti ciascuna giocate tra techno per cassa perlo-più regolare (una devoluzione del la f i losof ia del cut and mix?) e episo-di scopertamente pop con chitarre protagoniste (ennesimo indizio del-la piega post-rock elettronica e an-t icipazione dei Tarwater a venire). E sempre in vena di passi di lato (o indietro) Not The Wheel (Gusstaff , 2001, 6.0/10) dei Tarwater, rappre-senta una compilat ion di frammen-t i di musiche per f i lm e teatro, in-stal lazioni e altre rari tà, in odor di making of del l ’album precedente, un lavoro dai momenti al talenanti tra discret i elettro-pop (Expected) , curiosi insert i s infonici con l ’aiuto di Shinju Gumi (Lost Stalker) e skip-pabi l i sketch in st i le Mil le Plateaux (Host/Body/Host e Rejoice In The Sun) , o dal tagl io orientale ( I Want My Machinery To Disappear) . Mag-giormente degno di nota, ma sol-tanto per un gioco di specchi, Open Close Open (Raster Noton, 2001, 6.5/10) di Robert Lippok, uscito per la Clear Series del la Raster Noton, un EP di tre movimenti ( in poco più di venti minuti) a base di ambient-gl i tch e noise, tra micro variazioni r i tmico-melodiche, f ield recordings e loop al la William Basinski . In prat ica nul la di nuovo, se non per la magia del secondo movimento (f ield recordings e grande ambiente soni-co), ma i l resto è luogo comune da molt i anni.

A Sparkle in The Rain. La maturità

Stanchi di esplorare i vel lut i v iola e le atmosfere che avevano caratte-r izzato gente come Port ishead e For Carnation negl i anni Novanta, Ro-nald Lippok e Bernd Jestram deci-dono di voltare pagina. I l nuovo ca-pitolo, Dwellers On The Threshold (Kit ty-Yo, 2002, 6.8/10) si presenta nel le vest i di un elettro-pop da ca-mera dove suonato e sintet ico si mescolano e si compenetrano in soluzioni or ientate oltre i l muro e al dì la del le claustrofobie di Bri -stol. L’abbraccio è caloroso mentre gl i spazi si distendono senza che questo comport i brusche rotture o preponderanza del le canzoni sul le track (con le qual i i Tarwater conti-nuano i l lavoro di r icerca e di sce-nograf ia). Del resto, i l nuovo corso è più cantautorale che mai e molt i brani si indir izzano nel più natura-le binomio folk-pop, ovvero voce e chitarra e da questo scheletro, in proiezione verso l ’al to, tutto i l resto (f iat i e viol ini , percussioni afr icane, pianoforte e altr i strani strumenti in costante dialogo e integrazione). L’ input del “suonato” è i l naturale step al l ’apertura anche per alcune col laborazioni, tra gl i ospit i di que-st ’album Tone Avenstroup ( i l rea-ding di 70 Rupies To Paradise Road che apre l ’album in posa motorista al la Neu!) , Nicholas Addo-Nettey ( le percussioni 1985 , Phin e Dogs And Light Tents) e lo stesso Ste-fan Schneider ( le tast iere in Phin) , come anche le cover diventano al-trettant i segni d’ampliamento dei confini (presente Miracle Of Love degl i Swans , di cui però si continua ad apprezzare l ’or iginale…). E per

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tutte queste ragioni, l ’album rap-presenta l ’ ingresso in una maturi tà fatta d’ invidiabi l i conquiste ma an-che di momenti di stanchezza. Se da una parte i l songwrit ing di Lippok cresce e si presenta più versati le, catturando specialmente i l gusto francese, dal l ’al tra non sempre gl i arrangiamenti coprono alcune incer-tezze in fase di scri t tura, ma tant ’è, la formula t iene e terrà senza pla-teal i cadute di tono, al contrario dei To Rococo.I l t r io r i torna, un paio di anni più tardi, con Hotel Morgen (Domino, 2004, 5.0/10) , un album che si vuo-le essenziale in una posa specula-re al le prove dei Tortoise del dopo Standards . I r isultat i sono propor-zionalmente similar i : r ipercorren-do le prospett ive architettoniche di Kölner Brett , la trackl ist decostrui-sce l ’ambient (questa volta preva-lentemente house d’ inizio Novanta) attraverso un cocktai l di r i tmi “re-golari” e i l consueto pbm da came-retta. I r isultat i non sono per nul la lusinghieri : i l pop di Sol , le stesse tartarughe di Dahlem , le i l lusioni dal catalogo Morr Music (Tal) e i clas-sici spunti di un tempo (Miss You , Bologna) sono prossimi al la com-pi lat ion chi l l out (Cosimo , Portrait Song) che al pop trasf igurato di The Amateur View ; uniche eccezioni per Non Song (vicina a certe cose di Biosphere) e Ovo (puntel lata di gl i tch e pianoforte), ma non basta-no a giust i f icare una prova in cui gl i stessi musicist i pare non abbiano creduto f in dal l ’ inizio. “L’album è stato registrato tra Berl ino e Istam-bul e ha avuto una gestazione diff i -ci le. Una volta pubbl icato nessuno era soddisfatto del l ’ intero lavoro”, afferma Ronald Lippok durante l ’ in-

tervista. Del resto, poco male: le teste sono altrove e come al sol i to è Stefan Schneider i l più att ivo, in-daffarato com’è in ben due progett i paral lel i , quel lo sol ista che sta dan-do i suoi frutt i e quel lo sul lato soul in duo con Volker Bertelmann (dei Tonetraeger). Da segnalare Version Train (Scape, 2003, 7.0/10) tra Ja-maica e Germania con ospite i l reg-gaeman Ras Donovan, un album tra ambient, dub e landscape gl i tch che aggiorna Rastakraut Pasta di Moe-bius e Plank (Sky Records, 1980) e la bel la prova del 2006 (Distance Told Me Things To Be Said , Scape, 2006, 6.8/10) . Per quanto r iguarda Music A.M. è interessante invece la miscela Morr e polveri Stereo-lab, quanto le celest ial i atmosfere Moonshake calate in una pastiera elettro soul molto 70, ma un po’ au-toreferenziale al la lunga (A Heart & Two Stars , Quartermass / Audioglo-be, 2004, 6.5/10 , e Unwound From The Woods , Quartermass / Audio-globe, 2006, 6.4/10) . Sul versante Lippok bros, i l chitar-r ista Robert bissa l ’anzidetto Ep del 2001 con Falling Into Komeit (Monika, 2004, 6.3/10) , ovvero Fal-l ing Into Place dei Komeit - edulco-rat i poppers di casa Monika - visto con occhi un po’ bleep e molto bit (Schemes Like These) . Un disco che fa numero e solo quel lo; men-tre i l f ratel lo Ronald con Bernd è già al lavoro per i l successore di Dwellers… , che viene pubbl icato da Morr Music (B.Fleishmann, Lal i Puna, Isan, Styrofoam, Manual…) l ’et ichetta che più di ogni al tra deve la sua esistenza al sound Tarwater. The Needle Was Travelling (Morr / Wide, 2005, 6.5/10) segna per i l duo un ulter iore passo verso la melodia e gl i arrangiamenti acustici ( in que-sta occasione si sentono trombone, viol ino, violoncel lo) e, come per i l precedente, r icorrono vari contr i -but i (Schneider Tm , Marc Weiser dei Rechenzentrum e Hanno Lei-chtmann noto anche come Stat ic), e cover (Babylonian Tower dei mi-sconosciut i Minimal Compact) , con la differenza che qui l ’ul ter io-re concessione è per un pop tout court. La scommessa è pressoché vinta: Across The Dial ( ludici noises à la Kim Hiorthøy), e Unseen The

Disco (up-beat sinfonica molto ac-catt ivante) funzionano molto bene, ma da altre part i i l songwrit ing si banal izza un tant ino (The People e la coda per coro di bambini accom-pagnata da sonori tà arabeggianti) . Del resto, segno dei tempi, i l r ichia-mo al catalogo Morr con brani come Stone (a non nascondere arrangia-menti à la Styrofoam) , e Jackie ( i l Fleischmann di Welcome Tourist) , connotano una retroguardia piutto-sto che i l contrario. I l nuovo lavo-ro Spider Smile (recensione a pag XX) r iassetta proprio questo aspetto r i tornando nel contempo a accarez-zare i l discorso sul “poema-acusti-co” maturato in Silur . Nato da una commissione di una publ ising house di Chicago (poi abort i ta), e da una sonorizzazione di uno spettacolo teatrale (entrambi progett i aventi in comune la letteratura americana), l ’album rappresenta per cert i aspet-t i un r i torno al l ’essenza del verbo Tarwater. Sinestesiche associazioni di parole e suoni, scenograf ie mu-sical i dove pop è soltanto un’escre-scenza e la polpa non è altro che un reading musicale astratto che è tutt ’uno con la propria ambience . Per i l nuovo To Rococo Rot, Ronald Lippok, raggiunto via mail mentre st iamo chiudendo i l magazine, fa sapere che è già in fase di lavora-zione e verrà pubbl icato per la Do-mino a settembre di quest’anno. “È stato registrato in una session di due giorni perciò avrà un approccio molto più spontaneo e l ive del suo predecessore”. I l t i tolo è ancora top secret.

Edoardo Bridda

r ingrazio Gianni Avel la per i l

prezioso supporto

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B r i g h t E y e s – C a s s a d a g a ( S a d d l e C r e e k , 1 0 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : f o l k , c o u n t r y, s o n g w r i t i n gChi ha segui to l ’evoluzione di Conor Oberst , specie negl i u l t imi tempi, sa per certo che ambizione e faccia tosta non gl i d i fet tano, anzi ; è uno che spesso r ischia prosaicamente di far la fuor i dal vaso, ma al la f ine, in un modo nel l ’a l t ro, casca in piedi . Cassadaga è la conferma def in i t iva di questo assioma. Registrato in quattro studi d iversi , con la produzione smisurata del sol i to Mike Mogis, g l i arrangiament i magni loquent i del t rom-bett ista Nate Walcott e l ’a iuto di un’ampia schiera di ospi t i - da M. Ward a John McEnt i re, da Janet Weiss (Quasi , Sleater Kinney) ai fedel i del team Saddle Creek (Maria Taylor , membri d i Rylo Ki ley e Now I t ’s Overhead) - l ’a lbum non lascia niente al caso, piut tosto ha uno scopo preciso. Ovvero, d imostrare che Conor è degno di indossare la veste che ha voluto cucirs i addosso: quel la di cantautore totale , autore di un fo lk car ico del l ’epos di una generazione (una nazione) intera, come Dylan e Springsteen pr ima di lu i . Vi sembra azzardato? Ascol tate un po’ I f The Brakeman Turns My Way , Classic Cars , Soul Singer In A Session Band , immischiate in egual misura di pathos Blonde On Blonde e solenni tà assort i te The River / Born To Run . Così, la scr i t tura va di par i passo con l ’apparato imbast i to da Mogis e Walcott , f ra c lassica forma folk, l i r iche intr i -se di America (per grazia di d io, a l r iparo da faci le retor ica) e un generoso dispiego di effet t i special i , dal l ’epopea simi l -morr iconiana di archi nel l ’ in iz ia le Clauradients al romant icume quasi Cohen - con annesso canto di s i rene - d i Make A Plan To Love Me , a l country psych di Middleman f ino al la sospensione f inale del la bal lad Lime Tree , sostenuta ad hoc da archi a dir poco cinematic i .E i l passato? Del l ’ immediatezza del pur ambizioso I ’m Wide Awake It ’s Morning restano solo I Must Belong Somewhere (una f i lastrocca country, d i quel le che gl i r iescono megl io) e la c lassica Four Winds , e c ’è anche una t imida r ipresa del le sonor i tà electro di Digital Ash In A Digital Urn in Coat Check Dream Song ; No One Would Riot For Less , dal canto suo, esempl i f ica al megl io i l corso at tuale, nel l ’ant imi l i tar ismo del testo (à la Masters Of War ) , le ombre trat teggiate dal l ’orchestra, e i l carat ter ist ico v ibrato di Oberst , qui a i l imi t i del la parodia ( l ’ ideale per tut t i i suoi detrat tor i , in prat ica).E intanto, ascol to dopo ascol to s i fa strada la convinzione che, a prescindere dal l ’abi to (confezionato splendida-mente, t ra l ’a l t ro) , le composiz ioni s iano più sol ide di quanto sembri . Sotto sot to i l re non è nudo, tut t ’a l t ro, e la prosopopea non è che l ’ inevi tabi le conseguenza di una personal i tà tanto ingombrante da non poter essere igno-rata, a l punto da trasformare l ’arroganza – paradossalmente - in v i r tù. Che poi è, da sempre, la pura essenza di Br ight Eyes. Ne siamo cert i , la cr i t ica americana impazzirà per Cassadaga , e Conor raggiungerà i l suo obiet t ivo. Si accettano scommesse. (7.3/10 )

A n t o n i o P u g l i a

Recensioni

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turn it on

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C a p p a b l a c k – F a ç a d e s & S k e l e t o n s ( S c a p e / A u d i o g l o b e , 3 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : h i p h o p / i n d i e t r o n i c aI g iapponesi , s i sa, quanto a sper imentazioni audaci non sono secondi a nessuno. La via nipponica al la sper imentazione passa per l ’estremizza-zione, i r rompendo sul panorama musicale con violenza o con spiazzante i ronia in quals iasi campo musicale s i c iment ino i music ist i del Sol Levante (che sia hardcore, noise o techno). Sarà per un complesso di infer ior i tà verso gl i occidental i , che l i ha portat i perf ino a disegnare i personaggi dei fumett i con occhi tondi p iut tosto che a mandorla: sta di fat to che i l lavoro prefer i to di molt i music ist i g iapponesi è quel lo di re interpretare i gener i “occidental i ” calcando la mano.I Cappablack confermano questa tendenza esplorando i l terr i tor io del l ’h ip hop, l inguaggio mai come oggi usato (e qualche vol ta abusato) come con-

teni tore da r iempire con la logica del “chi p iù ne ha più ne metta”. Qualcuno mette tanto e bene, qualche al t ro mette poco e male. I g iapponesi sempl icemente, esagerano.Al d i là dei r i fer iment i archi tet tonic i ( la t raduzione del t i to lo sarebbe, appunto, r i fer i ta al le component i d i base di un palazzo, la facciata e la strut tura portante) espl ic i tamente associat i a l la composiz ione musicale, Façades & Skeletons è un disco che lascia a bocca aperta per l ’abbondanza di r i fer iment i e la sfacciataggine con la quale i l duo, formato dai due programmator i iLLEVEN e Hashim B. prende l ’h ip hop e c i g ioca come fosse un pal lone, ma senza preoccuparsi d i bucar lo.Sonor i tà pseudo-eight ies, pennel late massiccie di e lectro pop e indietronica e un insol i to rapping in giapponese, mantengono sempre al ta la percezione che si t rat t i d i uno scherzo ben fat to, una musica che non si prende mai sul ser io.Eppure la qual i tà musicale è al ta, i l progetto ha una sua coerenza, nonostante r isul t i inafferrabi le nel le sue inf i -n i te sfaccettature. L’atmosfera in iz ia le, che con i suoi r ipetut i scratch, r isul ta una sorta di omaggio al l ’o ld school sty le (Counterat tack Intro ) , s i d i legua subi to in un sound dardeggiante, in l inea con l ’avant hop americano che più abbiamo avuto modo di apprezzare (Sl ide Around ) . Ma c’è spazio per tut to in quest i 55 minut i che sembrano un’eterna var iabi le temporale, anche per i r i tmi sghembi e f rammentat i à la Prefuse 73 o per i g iochett i e lectro di 5th Dimension e di Akarui-Mirai , senza dubbio uno dei moment i p iù rappresentat iv i d i tut to l ’a lbum, con i l suo andamento sornione e metal l ico e i l japa-rapping di un ( in)certo Emirp , che ha i l sapore di una presa in giro. I r resist ib i l i o i r r i tant i . Nessuna via di mezzo. (7.1/10 )

D a n i e l e F o l l e r o

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A A . V V. - A Tr i b u t e To J o n i M i t c h e l l ( N o n e s u c h / Wa r n e r, 2 4 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : c o v e rA lungo annunciato, ecco concret iz-zarsi , g iusto nel momento in cui ar-r ivano not iz ie di un imminente r i tor-no del la fo lksinger canadese (da tempo r i t i ratasi dal la scena musi-cale), questo progetto for temente voluto dal la Nonesuch, che ha inca-r icato un manipolo assort i to di fan per una panoramica sul la carr iera del la Nostra. L’a lbum abbraccia per la maggior parte, e prevedibi lmen-te, i fecondi anni ’70, t ra fo lk-rock e progressivo avvic inamento ai ca-noni jazz. Le cover, va detto subi to, sono personal i e questo rende meri -to agl i ar t is t i coinvol t i , sot to l inean-done, se mai ce ne fosse bisogno, i l loro valore. Si va dal l ’onnipresente Sufjan Stevens , qui con Free Man In Par is che r ibal ta la fo lk-song or i -g inale (da Court And Spark , del ’74), a l lungandola e orchestrando-la al la sua maniera, in una sent i ta minisui te con sinfonia d’archi , a l -l ’esper imento bjorkiano, The Boho Dance , n innananna ral lentata per sola voce e tast iere, a Caetano Ve-loso che r ivede una Dreamland in chiave tropical ista; a l t rove è man-tenuto i l nudo folk (For The Roses , Cassandra Wi lson), f ino al le ver-s ioni in chiave soul bal lad ( i l Pr ince di A Case Of You) e chamber pop jazzy ( i l Costello del la melanconi-ca Edith And The Kingpin , uno dei p icchi del l ’a lbum). Tra reinvenzio-ne e omaggio, i l d isco spazia t ra le mal inconie di Blue (presente con ben tre pezzi) e i l fo lk pr imigenio di For The Roses , estendendosi a tut to i l decennio Settanta e un po’ o l t re, e test imoniando l ’ inf luenza che la Mitchel l ha avuto su un insie-me piut tosto eterogeneo di music i -

st i . Non tut to è al lo stesso l ivel lo e qualcosa qua e là non funziona per i l verso giusto, ma quando succede (Stevens, Björk, Costel lo…) le can-zoni s i compenetrano e l ’armonia che scatur isce è subl ime. Non solo per fans. (6.7/10 )

Te r e s a G r e c o

A A . V V. - B P C C a m p i n g C o m p i l a t i o n Vo l . 3 ( B p i t c h C o n t r o l / A u d i o g l o b e , 2 6 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : e l e t t r o n i c aTorna El len Al l ien dopo l ’exploi t d i Orchestra Of Bubbles , i l lavoro a quattro mani con Apparat giudi-cato da più part i uno dei migl ior i a lbum del l ’anno passato. Si t rat ta del terzo volume del la ser ie Cam-ping, i l sampler del l ’et ichetta del la dj ber l inese. In apertura Bln degl i Jahcoozi d i Sasha Perera, un ibr ido techno-hop a base di r i tmi spezza-t i , scratch e r ime che giocano sul dual ismo anglotedesco Bln-Lnd. Prossimo inno? Si passa poi a i r i t -mi robot ic i d i Go To Disco a f i rma Tomas Andersson per poi svar ia-re t ra i gener i e i mood, passando ai turbini acidi targat i Feadz al dub bastardo dei Modeselektor , dal minimal ismo st i loso e asett ico di Zander VT al la rovente Your Sexy Beast d i TimTim. L’al iena contr ibui-sce con un remix per Matthew Pat-terson Curry aka Safety Scissors e con l ’ inedi to Red Planets in coppia con Apparat , un brano siderale di buon auspic io per i l futuro. Vecchie conoscenze del la BPitch Control come Paul Kalkbrenner , Tomas Andersson e Sascha Funke hanno legato i l propr io nome agl i a l t r i due capi to l i del la ser ie, mentre t ra le nuove leve da segnalare i ber l inesi Zander VT , g ià su 12” per la sussi-diar ia MEMO. I l d isco esce in ver-s ione CD e sotto forma di t re v in i l i contenent i le potenzial i bombe da dancef loor.(6.5/10 )

P a o l o G r a v a

A A . V V. - I n t e r n a t i o n a l D e e j a y G i g o l o s C D Te n ( I n t e r n a t i o n a l D e e j a y G i g o l o R e c o r d s / A u d i o g l o b e , 1 9 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : e l e c t r oCon dieci anni d i at t iv i tà e più di

200 t i to l i in catalogo, la bavarese (ora ber l inese) Gigolo Records può r i tenersi una del le più important i e inf luent i label e let t roniche del de-cennio, responsabi le del l ’esplosio-ne a l ivel lo planetar io del la scena electro(clash). Le celebrazioni in i -z iano con i l decimo volume del-la raccol ta International Deejay Gigolos , un doppio CD curato da Hel l in persona pieno di inedi t i e di pezzi f inora disponibi l i solo su 12”. Scorrendo le due ore e mezza ci s i imbatte in August d i Woody, qui resa in una versione caleidoscopica da parte di Appet izer, nel le acroba-zie aphexiane del g iovane dj l i tua-no Igors Vorobjovs, nel la sghemba Chin Eater, a base di r i tmi resinosi e percussioni e lastomeriche, del belga Arbot ique, next-big-thing di casa Gigolo.

Da segnalare i l lamento inumano di The Model in un deserto di micro-frat ture/micropunte (You Are Always On My Mind ) , g l i onnipresent i The Presets con una i r r iconoscibi le Are You The One? I l d iabol ico Hell la butta giù dura con una dub-version int i to lata Is Hel l The One And Only Dominator? del c lassicone ninet ies Dominator dei ravers olandesi Hu-man Resource . Sal ta al l ’occhio la quasi totale assenza di g igolo sto-r ic i (come Fischerspooner, David Carret ta, Terence Fixmer, Miss Ki t -t in & The Hacker, Savas Pascal id is, Zombie Nat ion), non sappiamo se sia dovuta al la rot tura di rapport i con la label d i Helmut Geier o al la scel ta del boss di puntare su nuove leve. Internat ional Deejay Gigolos : next generat ion? (6.5/10 )

P a o l o G r a v a

A A . V V. A m e r i c a n G i g o l o I I I ( I n t e r n a t i o n a l D e e j a y G i g o l o R e c o r d s / A u d i o g l o b e , 5 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : e l e c t r o - h o u s eI l terzo volume del la ser ie Ameri -can Gigolo, dopo quel l i curat i da Tiga e Abe Duque, v iene aff idato a Concetta Kirschner a.k.a. Prin-cess Superstar . La dj-producer americana di or ig ine s iculo-polac-ca, esplosa un paio d’anni fa con i l concept album My Machine , at t inge a piene mani dal catalogo del la la-bel d i Hel l con un part icolare gusto per la dissezione e manipolazione al l imi te del mash-up. Dopo l ’aper-tura aff idata al lo svedese Dibaba con l ’e lectro Happy Bir thday Mr. President , la pr incipessa fa scon-trare i l patron Hel l con l ’ iconocla-sta Mu , ma quando dal le macer ie emergono i versi “sweet seduct ion in a magazine, endless pleasure in a l imousine . . . ” d i fe l ix iana memoria i l messaggio è chiaro: d ivert imento al le masse. Senza snobismi inut i -l i e pescando avant i e indietro nel tempo. E al lora largo al bastard-clash Vital ic Vs. M.I.A , a l l ’anthem 1982 di Miss Ki t t in & The Hacker ( ibr idato da Interplanetary di Se-bastien San nel Lightspeed Mix ) e ai Fischerspooner remixat i da Hel l mandat i a disgregarsi nel la aci -dissima Mtt Inversion d i Traxx . La Kirschner remixa Steamworks degl i austral i new-new wavers The Pre-sets , s i autoci ta con Darl ing Nikki , European Accent (a nome Djs Are Not Rockstars) e come The Disko-kaines, in combutta con Marf low.Se avete in programma una festa aggiungete un posto per Concetta, la pr incipessa del la del la k i tchabi l i -ty. (6.5/10 )

P a o l o G r a v a

A l e x D e l i v e r y - S t a r D e s t r o y e r ( J a g j a g u w a r / Wi d e , 2 3 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : a v a n t p o p , i n d i e t r o n i c aAlex Del ivery non è un mal iardo in-die rocker del la cordata Jagjaguwar. Alex Del ivery è piut tosto un quin-tet to di New York che potrebbe aver aff idato la produzione del propr io album a lu i , i l fantomat ico eccentr i -co da cameretta del caso. I l r isvol to

è tosto, imprevedibi lmente prevedi-bi le in strut ture cosmiche e cacofo-niche, schizzate e narcolet t iche. Se vogl iamo levarci la vogl ia, i c inque suonano come un ensemble post-rock chicagoano sotto acido muria-t ico, g l i Xiu Xiu remissat i da Ar ie l Pink, la lezione dei Neu! r iv ista da Casiotone For The Painful ly Alone.

Non fatevi ingannare dal l ’unicorno da pi t tore del la domenica in coper-t ina (o del l ’ ingrato impaginato à la prog group dei Settanta) per mano di Marika Kandelaki (membro del la band), la t rackl ist a l terna sui te di o l t re nove minut i a minutaggi bre-vi dal br icolage elet t ronico: cuore indie-pop e skin intercambiabi l i t ra kraut, g l i tch e avanguardia. Komad , per dire, è una stordente sui te da cameretta che at t raversa indenne moment i avant-pop, stasi robo-minimal e disco sper imentale à la Arthur Russell (come dire anche i Residents che r imettono mano al music ista), Scotty è un valzer del-l ’assurdo tra rumorismi jap e fo lk lo-re morr iconiano.

È pur sempre la melodia i l f i l rou-ge, ma immancabi lmente la passio-ne sposa sui te indie-troniche come Milan che decl ina un pop à la The Sea And Cake ( in versione elet t ro-nica) al l ’autobahn Neu! per l ’ igno-to, oppure Sheath-Wet in svi luppo sinfonico. Provate a immaginate i l catalogo Morr r iv isto da un corr iere cosmico e farc i te d’elet t ronica povera, effet-t i e effet t in i e avrete, p iù o meno, Alex Del ivery. Un lavoro, s i d iceva, tosto ma che nasconde moment i d i puro t rasporto e notevole det-tagl io sonico. Se volete ascol tar lo

ora (grat is) qui c ’è i l l ink: ht tp: / /w w w . a d d r e s s 0 . c o m / s c / p l a y e r /pl .php?playl ist id=473. Se amate l ’approccio ve lo porterete proba-bi lmente a casa. (7.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

A l e x G o p h e r - S e l f T i t l e d ( G o 4 M u s i c / Wi d e , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : h o u s e - p o p A cinque anni d i d istanza dal l ’u l t i -mo album Wuz , Alex Gopher esce con un disco omonimo che segna un deciso r i torno al le or ig in i , s ia a l ivel lo sonoro, per la for te ispirazio-ne eight ies, s ia dal punto di v ista tecnico, per l ’abbandono del voco-der e l ’ampio ut i l izzo di strumenta-zione rock. Non diment ichiamo che Alex a metà degl i anni ‘80 suonava negl i Orange insieme ai futur i Air e a Xavier Jamaux . L’ incipi t Out Of The Inside punta decisamente al dancef loor, house contagiosa carat ter izzata da syn-th str isciant i e tast iere t ravolgent i , uno di quei pezzi che magnet izza-no i neuroni e mandano in loop i moviment i , for te di un refrain elet-t ro-pop al la Ul t ravox che non dà scampo. La chicca è i l pezzo che segue, Brain Leech . Già usci to come doppio maxi-s ingle, ha nume-r i per r ipetere l ’exploi t d i Toop Toop dei Cassius . Parte morbosa, inal-za rampe sintet iche ed esplode nel cantato disco-epic, potrebbe esse-re un f into mash-up tra Pet Shop Boys e Daft Punk e int i to lars i One More Chance, On More Time . Nasty Wish ci r iporta con i p iedi per terra, Alex sfodera la chi tarra acust ica e la butta sul la bal latona, scivolando clamorosamente nel le paludi del te-dio, Isn’ t I t Nice non r isol leva le sor-t i , sembra un outtake (scartato) di Pocket Symphony degl i ex-compa-gni Dunkel e Godin e con Boulder Colorado si tocca i l fondo, facendo aff iorare, t ra un mmh mmh imbaraz-zante e un armonica stucchevole, i l fantasma di Simon Le Bon .Al la f ine c i s i t rova di f ronte a dei pastrocchi indie-elet t ro-pop che più che a un piacevole decompressio-ne in sala chi l l -out fanno pensare al conoscente sf igato che at tacca bot-tone quando si è in f i la per i bagni .Megl io premere in f ret ta i l tasto skip per r ibut tars i in pista con la

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turn it on

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C o c o r o s i e - T h e A d v e n t u r e s O f G h o s t h o r s e & S t i l l b o r n ( To u c h & G o / Wi d e , 9 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l k h i p h o pSante e puttane. Madonne e Maddalene. Sierra e Bianca, smuovono, pro-vocano, div idono. Al sol i to, ruff iane e volubi l i , raccogl ieranno ancor di p iù lodi e disprezzo con questa terza prova, specie se accanto al le canzoni del lo scr igno, al mondo dei g iocattol i e al la calza del la strega, c ’è i l rap a var iare i l tema folk, le basi h ip-hop a contrappunto del le r ime, pose à la Björk a l isc iar la coda e etnica prêt-à-porter a colorar le paret i . Un resty le che fa un po’ Novanta in apparenza (Dead Can Dance e Loop Guru in Rainbowarr iors ) , che nasconde i l v iv ido dettagl io del l ’ indietronica at tuale e che sia t i to lo che copert ina cercano di depistare. Megl io così , le adven-tures fanno sorr idere non tanto per i l caval lo di Sleepy Hol low , o per gl i abi t i s iculo-secessionist i del le Casady, quanto per i l porcel l ino di gomma che se lo schiacci suona, i l gong e le mol le di Beep Beep, e dozzine di a l t re chincagl ier ie del miracolo economico. Sintonizzarsi sul part icolare, la scenograf ia, penetrando una femmini l i tà adulatr ice (ma in r icerca) t ra passato e presente, is t into e sensual i tà, è una via al l ’ascol to. Del resto c ’è n’è da par lare, e per un po’ , a part i re dal rapping infant i le di Rainbowarr iors , g l i Amari in carrozza, e del lo scenar io da f iaba losangel ina di Promise , una sorta di “ featur ing of” d i loro stesse sfuggente e fugace. La produzione per mano di Valgeir Sigurðsson , pr incipale col laboratore del la summenzio-nata (non a caso) Björk, è i l tassel lo a completamento di molt i brani , specie per quel lo per i l quale vale la pena d’ascol tare tut to i l resto, Japan , una marcetta a passo di car i l lon-carosel lo che procede per tapping sul tasto del r i tmo in scatola ( l ’amico Mc Spleen), Giamaica al la Albarn spianata sul cartone del Ris iko. A cantar la due sol-datesse improbabi l i ma f iere che dicono di essersi ispirate a Wee Wil l ie Winkie, uno di quel l i che non si cambia mai d’abi to ed è perennemente in pigiama a bussare al le f inestre. Che dio le fu lmini . Se avete pazienza per cert i ghiacci e geyser (Houses e Miracle ) , avrete Animals , bal lad urbana per piano ed effet t i , l ’evidenza che se c’è bisogno di tener un palco, lo s i t iene. (7.0/10 )

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caussiana Carmi l la , f resca e avvol-gente, t ra protesi robot iche, giostre i ta lo-disco, percussioni cr istal l ine e ranze spasmodiche. Come nel la successiva Game , e l l i t t ica e mu-tante, Gopher gioca in casa e porta a casa i l r isul tato. La conturbante 5000 Moons si salva grazie i l con-tr ibuto prezioso di Helena Noguer-ra dei Nouvelle Vague . Una ver-s ione Brain Leech chiude un disco al ta lenante, che osci l la t ra intuiz io-ni br i l lant i e sabbie mobi l i creat ive, t ra déja-vu intr igant i ed ennui d i ffu-so. (6.0/10 )

P a o l o G r a v a

F r e d A n d e r s o n / H a m i d D r a k e - F r o m T h e R i v e r To T h e O c e a n ( T h r i l l J o c k e y / Wi d e , 2 3 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : j a z zStor ico sassofonista di Chicago (ma nato in Louis iana), c lasse ‘29, propr ietar io di quel Velvet Lounge famoso nel la wind ci ty e ol t re per le stratosfer iche jam sessions, co-fondatore del la stor ica AACM , Fred Anderson è uno di quei music ist i che t i fa credere al l ’esistenza di uno spir i to inafferrabi le e inest in-guibi le che volendo puoi chiamare jazz. Hamid Drake, batter ista del 1955, v iene anch’egl i dal la Lou-siana, conosce professionalmente Anderson da un trentennio, vanta al le sue spal le col laborazioni con Wayne Shorter , Malachi Thom-pson, Herbie Hancock , Pharoah Sanders e soprat tut to Don Cherry . Dopo i l successo del la precedente esper ienza (Back Togheter Again , Thr i l l Jockey 2004), i due f i rmano un al t ro lavoro assieme coinvolgen-do i l dut t i le Jeff Parker al la chi tar-ra, Josh Abrams a basso e guimbri (strumento a corda marocchino, dal la speziata legnosi tà) ed i l ver-sat i le Harr ison Bankhead a v io lon-cel lo, p ianoforte e basso.I l r isul tato è questo From The Ri-ver To The Ocean , un lavoro in cui certo mist ic ismo disteso di stampo col t raniano s’ impasta con esot i -c i effor t ed eleganza mister iosa di stampo Blue Note. I l sax disegna traiet tor ie spezzate ma suaden-t i , spampana l ’ impr int ing f ree t ra argute e calde elucubrazioni che potrebbero idealmente s i tuarsi t ra

Wise One d i Trane (quasi c i tata in For Brother Thompson ) e Inner Urge d i Joe Henderson . Drake dal canto suo espl ica idee r i tmiche global izzant i fat te di palpi t i carai -bic i , s incopi mozzaf iato, f remit i e sfarfal l i i (sent i te lo nel la sguscian-te Planet E ) , ordendo una r i lassa-tezza inquieta che lambisce la più calda solenni tà. I comprimari - s i fa per dire - fanno un lavoro egregio: v i bast ino la chi-tarra di Parker nel la t i t le t rack (quei r icami che sanno di rarefazione e psichedel ia) e l ’agi le controcanto di v io loncel lo al lest i to da Bankhead nel la dinoccolata Strut Time . Le composiz ioni , tut te or ig inal i , f idano più sul l ’epi fania del le voci in gio-co che al t ro, ma hanno i l mer i to di convergere in una black music eso-ter ica e generosa, dove i l sacro e la v i ta s i spiegano, s i consolano, s i ravvivano. Proseguendo sul lo stes-so marciapiede. (7.2 /10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

A n t e l o p e – R e f l e c t o r ( D i s c h o r d , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : n o - c o r eDal le part i d i Washington D.C. con-t inuano a sfornare dischi in regime di auster i tà. E’ la vol ta degl i Ante-lope, t r io guidato dal chi tarr ista Ju-stin Moyer (ex El Guapo / Super-system), mentre gl i ex Vertebrates Bee Elvy e Mike Andre s i scambia-no basso e batter ia. Reflector , pro-dotto da Ian MacKaye, è un disco minimale nei suoni e r idot to nel le dimensioni , durando poco più di 25 minut i . Diment icatevi l ’e lemento muscolare dei Supersystem e l ’ur-genza espressiva t ip ica del catalo-go Dischord, i suoni sono r ipet i t iv i e ipnot ic i e i test i pungent i vengono

spesso declamat i da Just in in t ran-ce. Concentrat ion è una scatola vuota, una “scatola metal l ica” dove i l basso r imbalza come una pal la di p ixel nei v ideogame d’antan. Just in Jesus e Col lect ive Dream r icordano i l t r ibal ismo freddo di certa no wave e spostano i r i fer iment i b lack dal-l ’America al l ’Afr ica. Avete presen-te i meravigl iosi esper iment i degl i Ex a l le prese con la musica et iope usci t i su cassetta qualche anno fa dopo i l tour nel corno d’Afr ica?Da Mirror ing e Flower emergono i Jane’s Addiction p iù esot ic i , in Deadeye g l i Antelope suonano con i Supersystem sotto roipnol , in Wan-der ing Ghost e Contract ion tappet i micro-funk rei terat i accompagna-no la cant i lena distante e al iena di Moyer. I l d isco ha un fascino sini -stro e contagioso, un esper imento r iusci to che apre nuove f inestre e cambia l ’ar ia in casa Dischord.Just in Moyer / Destroyer / Jesus, dopo l ’exploi t warhol iano come Edie Sedgwick e i l mezzo passo falso di A Mil l ion Microphones s i conferma come una del le ment i p iù br i l lant i del la scena capi to l ina. (7.0/10 )

P a o l o G r a v a

A r c t i c M o n k e y s – F a v o u r i t e Wo r s t N i g h t m a r e ( D o m i n o / S e l f , 2 3 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : w a v e r o c kInut i le negar lo, c ’è stata una bufe-ra. La comparsa sul le scene degl i Arct ic Monkeys ha r imesso in di-scussione un po’ d i cose (magari non stret tamente dal punto di v ista musicale, ok). Che l i amiate o l i detest iate, c ’è un pr ima e un dopo Whatever People Say I Am, That’s What I ’m Not , i l d isco venduto più velocemente nel la stor ia del la Gran Bretagna, fet iccio di un’ intera ge-nerazione di indie k ids d’Oltrema-nica. E così, forse anche più di a l t r i sophomore records d i questa stagione (Bloc Party, Maximo Park, Kaisers), Favourite Worst Night-mare ha i l compito di d imostrare che non si è t rat tato solo di for tu-nate cont ingenze: pur nel l ’occhio del c ic lone, quest i quattro ragazzi s i danno da fare sul ser io, possono migl iorare, evolversi , crescere; poi beh, c i sono i Klaxons a l le calca-

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gna, quindi megl io contrat taccare f inché si è in tempo. Al lora, come compl icare la t rama di un plot g ià a r ischio? Anzi tut-to, nel cest ino le bal late (almeno in apparenza): c ’è bisogno di un impatto ancora maggiore, d i pezzi adatt i a i concert i : i l ru l lo compres-sore di Brianstorm è la partenza in quarta che ci vuole, così come le t racce seguent i , cartucce schizza-te e anfetaminiche, con quel tocco di ruff ianer ia che non guasta affat-to ( i l secondo singolo Fluorescent Adolescent , o Teddy Picker che ci ta t ra le r ighe Save A Prayer dei Du-rans…). Poi , qualche corposa in ie-z ione di p- funk, ché i l dancef loor non può più at tendere; e al lora vai d i Gang Of Four (D Is For Dan-ger ) , scimmiottament i – ehm.. . m’è scappato – Klaxons (This House Is A Circus ) e Modest Mouse (Old Yel low Br ick ) . Inf ine, v ia quel l ’at t i -tudine slack , p iut tosto maggiore at-tenzione a dettagl i tecnic i ed arran-giament i : r i ffoni , break, crescendo, intrecci d i chi tarra e cambi di umo-re (Only Ones Who Know, Do Me a Favour , 505 ) , con una produzione un po’ p iù levigata ma asciut ta - per gent i le concessione di James Ford / Simian e Mike Crossey - a com-pletare i l lavoro. E per i fan del pr i -mo disco? Ci sono sempre i test i d i Alex Turner, uno dei migl ior i autor i d i l i r iche in c i rcolazione a sent i re i br i tannic i (per noi verbosetto, in ver i tà…) , e le nostalgie Libertines / Smiths di The Bad Thing .Tutto ok, quindi : Favour i te Worst Nightmare è propr io quel lo che ci vuole per far restare su di g i r i i l mo-tore del le Scimmie. Occhio al retro-visore, però… (6.5/10 )

A n t o n i o P u g l i a

A t S w i m Tw o B i r d s - R e t u r n i n g To T h e S c e n e O f T h e C r i m e … ( G r e e n U f o s / Wi d e , a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : s o n g w r i t e rReinterpretare se stessi . Ri t inger-s i d i un al t ro colore. Ripescare nel passato per infondere nuova vi ta. Qualcuno avrà da r id i re e guarderà male questo t ipo di “speculazioni” , ma quando si t rat ta di Roger Qui-gley pr ima di pronunciare quals iasi g iudiz io è bene ascol tare. Messa

da parte l ’esper ienza con i Mon-tgol f ier Brothers, non abbandona però le t inte scure e int ime che del gruppo avevano fat to la for tuna sul f in i re dei Novanta, e, prendendo a prest i to alcuni brani usci t i sul de-butto 1969 Til l God Knows When e qualcosa sparso nei r icordi , punta tut to sul suo car isma vocale, esat-tamente a metà t ra i l Morrissey p iù desolato ( la poesia per seicorde di Fal l ing From Trees , i l chiaroscuro di Laziness And The Lack Of The Right Medicat ion , i l pop leggiadro di Wine Destroys The Memory ) e i l Sylvian p iù r iservato (quel bozzet-to di melanconica f ragi l i tà di Gig-gl ing Fi ts ) , con un trasporto quasi

Archive per iodo You All Look The Same To Me ( In Bed With Your Best Fr iend ) . Un album fat to di chi tarra acust ica e qualche sparuta per-cussione, quando non elet t ronica, intenso e ver i t iero propr io come i l suo autore. Da ascol tare prevalen-temente per se stessi . (6.9/10 )

Va l e n t i n a C a s s a n o

A To y s O r c h e s t r a - Te c h n i c o l o r D r e a m s ( U r t o v o x / A u d i o g l o b e , 1 9 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e p s y c hL’ idea indie-rock dei campani A Toys Orchestra può vantare una def in iz ione, una r icchezza e una generosi tà che scava un solco r i -spetto al la pur crescente media nazionale. Nel caso di questo Te-chnicolor Dreams , terzo album in sei anni d i at t iv i tà, la scel ta di un producer autorevole come Dustin O’Halloran (g ià testa pensante dei Devics, nonché pianista “ in propr io” e autore di soundtrack - è sua quel-

la di Maria Antonietta ) s i r ivela az-zeccat issima, perché consente ad Enzo Moretto e soci d i padroneg-giare con dis invol tura la r idda di co-dic i espressiv i t i rat i in bal lo, quindi d i sbr ig l iare al massimo l ’ invent iva. I l che l i porta ad agire in una di -mensione che - poniamo – prende le mosse dal le ferv ide t r ibolazioni degl i Eels e f in isce dal le part i del le apprensioni cosmiche f loydiane. Nel mezzo ci sono un sacco di cose, appar iz ioni e reminiscen-ze come ologrammi r igurgi tat i da una sensibi l i tà ipertrof ica. Un pa-tchwork ubr iacante di : prof luvi e let t r ic i psych/blues tra i Beatles di Abbey Road ed i l Bowie f rom mars ( Invis ib le ) , f iabesco sovra-sensor ia le Mùm mischiato a tene-rezze Corgan (Letter To Mysel f ) , western-beat ipercromat ic i un po’ Blur un po’ I Am Kloot (Amnesy Internat ional , in l izza per i l t i to lo del l ’anno), cabaret McCartney tra c iondolament i Calexico (Mrs. Ma-cabret te ) , un piano che r ie labora memorie Let I t Be t ra palpi tazioni Malkmus (Power On The Words ) , eppoi ancora f isarmoniche pinoc-chiesche, sospensioni onir iche Ra-dar Bros , insert i orchestral i peppe-r iani , dolcezza al lampanata Belle And Sebastian , guizzi car icatural i e lectropop, stentorea dis invol tura Lennon/Badly Drawn Boy , residui emocore poster izzat i . . .È migl iorata la scr i t tura e la capaci-tà d’ interpretare i pezzi (un plauso ai preziosi controcant i d i I lar ia De Angel is) . Gl i arrangiament i sem-brano obbedire al l ’horror vacui che r icordavamo (tast iere d’ogni ordine e grado, elet t roniche a guarnire, p ianoforte. . . ) ma r iescono a non debordare, def inendo assieme al mood quel senso di fantasmagoria da camera, di v iaggio al lucinato nel cuore del le propr ie ossessioni , dove la v i ta e la memoria sonica par lano uno stesso, palpi tante l in-guaggio. I l pelo nel l ’uovo? Manca forse un po’ d i carne a queste v is io-ni , i l p ig l io ad alzo zero del le cose terrene. Ma sospetto s i t rat t i d i una scel ta precisa, d i cui prendo at to. (7.2/10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

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B a s i a B u l a t – O h M y D a r l i n g ( R o u g h Tr a d e / S e l f , 2 0 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l k , s o n g w r i t i n gDopo alcuni EP ed un lungo rodag-gio l ive, la canadese Basia Bulat - d i stanza a Toronto – arr iva al d isco d’esordio, registrato a Montreal e prodotto da Howard Ti lerman (God-speed You! Black Emperor, The Ar-cade Fire). Songwri ter e chi tarr ista con un background essenzialmen-te jazz e fo lk, predi l ige atmosfere acust iche e avvolgent i , che la av-vic inano al la musical i tà di una Na-thalie Merchant e al la pr ima Joni Mitchell fo lgorata dal fo lk-rock. Non che non abbia una sua per-sonal i tà, anzi . La sua ci f ra st i l is t i -ca è ben def in i ta, essenzialmente fo lksy , che trova i l suo compimento in bal lad in acust ico ( la del iz iosa Before I Knew in apertura, la dy-laniana t i t le t rack), accompagnate dal p iano ( I Was A Daughter) e da-gl i archi ( la marcetta di Bit ter Wal-tz dal l ’ incedere pigro, la romant ica Snakes And Ladders fo lk-rock con l ’ impeto e lo scatto Arcade Fire ) e in deviazioni jazz da camera (Why Can’t I t Be Mine ) . Al t rove è puro chamber-pop comunque mai lezio-so ( la s inuosa La-Da-Da sostenu-ta da un tappeto di percussioni) . I l senso del la misura e un equi l ibr io t ra le part i rendono questo album un esordio interessante, in at tesa di u l ter ior i svi luppi . I l Canada con-t inua a sorprenderci , ancora una vol ta. (7.0/10 )

Te r e s a G r e c o

B e n F r o s t - T h e o r y O f M a c h i n e s ( B e d r o o m C o m m u n i t y, 1 3 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : e l e t t r o n i c aBen Frost . Frost come gelo. Ben che ha l ’ar ia di uno che regge i l peso di tut to l ’universo sul le pro-pr ie spal le. Uno che incurvato sem-pre più sul laptop sviscera le sue cupe ossessioni con la mania e la dediz ione di un Savonarola del nuovo mi l lennio. Un sol i tar io. Uno fuor i dal gruppo. Uno che è pas-sato dal l ’ex nuovomondo Austral ia a quel pezzo di inverno che si è fat to terra che chiamiamo Is landa. E la sua musica è come lu i . Fuor i contesto, fuor i moda, fuor i tempo

(massimo). Quel l i dal la memoria buona si r icorderanno di un al t ro disco di Frost che gironzolava per alcune playl ist qualche anno fa. I l non meno che ot t imo Steel Wound per intenderci . Un pregiat issimo diamante ambient tagl iato a colpi d i

chi tarra effet tata. I l nuovo Theory Of Machines cambia veste. Abiura totalmente al lo struggimento d’am-biente e s i ingrossa a colpi d i cupi r i f lessi industr ia l i . Vaste pianure di e let t ro-drones tesi e ansiogeni , come in un cl ima da thr i l ler sempre sul punto di def lagrare. Come avere uno scheletro metal l ico e r ivest i r lo di carne buona. Se una panoramica d’ambiente è ancora possibi le, s i t rat ta piut tosto di un colpo d’occhio sul la Los Angeles del 2029 distrut-ta da Skynet. Questa “ teor ia del le macchine” è mater ia le dark che an-che sul p iano musicale s i mimet iz-za come un cyborg t ra gl i umani, immaginando un possibi le ibr ido t ra Amon Tobin e gl i Swans . Del resto una dichiarazione d’amore è pronta per l ’occasione: We Love You Mi-chael Gira. (7.0/10 )

B i l l C a l l a h a n – Wo k e O n A W h a l e h e a r t ( D r a g C i t y / Wi d e , 2 4 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : s o n g w r i t i n gLa mutazione è compiuta. Smog non ha più mot ivo di essere: Bi l l Cal lahan l ’ha fagoci tato in nome di una per icolosa matur i tà art ist ica. D’al t ronde i l nuovo mi l lennio c i ave-va già introdott i a un cambiamento se non drast ico almeno sostanziale (nel l ’approccio più che nei contenu-t i ) con gl i episodi Supper e A River Ain’ t Too Much To Love . Inut i le

sperare in sprazzi obl iqui col t i da un passato neanche così lontano; Bi l l ha scel to la comodità del for-mato pop int imista e, c i manchereb-be, intende percorrer la pagandone pure lo scotto. Certo, non suonerà mai celebre o rassicurante al la stregua di un Ja-mes Taylor ( i l nostro v iene pur sem-pre dai tempi del l ’ indie che conta e del modus lo- f i ) ; ma i l country- fo lk-pop sempre più da camera (anzi da cameretta) cantato soavemente in From The Rivers To The Oceans o The Wheel è intrugl io ormai più indicato agl i appassionat i d i Wi l l ie Nelson che a quel l i d i certa al ter-nat iv i tà acust ica al la Barret t o al la ‘Skip’ Spence. Bel la Sycamore , quasi un ‘c lassico’ g iocato con i l vocabolar io universale del la natura e del le sue metafore e, a l sol i to, r i -cavata da quel la manciata di accor-di reediani (questa vol ta è toccato a Satel l i te Of Love ) buoni per ogni r i let tura. Gl i arrangiament i d i Nei l Hagerty (Royal Trux) non fanno la di fferenza. Deani Pugh-Flemmin-gs non conferma i l pathos discreto che la voce femmini le ha f in i to con l ’assumere nel l ’u l t ima produzione di Cal lahan. I l v io l ino di El izabeth Warren r ischia appena più di quel lo suonato durante un lento quals ia-s i in un quals iasi honky tonk. Noia nei paragraf i Day , Honeymoon Chi-ld e nel s ingolo (br i l lante, ma solo nel l ’andamento) Diamond Dancer . Night concede scampol i del sol i -to/sol ido romant ic ismo rarefat to del quale faremo bene ad accon-tentarci . A concludere i l sound del pr imo Johnny Cash in A Man Needs A Woman Or A Man To Be A Man , pervenuto da una Nashvi l le mezza i r radiata da un indolente sole po-meridiano. (6.7/10 )

F i l i p p o B o r d i g n o n

B l o n d e R e d h e a d - 2 3 ( 4 A D / S e l f , 1 0 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : d r e a m p o p , w a v eA forza di respirare ar ia br i t ish in casa di Ivo Watts-Russell , i Blon-de Redhead suonano oggi p iù ingle-si degl i inglesi stessi . Un inglese del iz iosamente d’antan però. Con quel tocco di c lasse che solo Alan Moulder r iesce a dare ai suoni . I l “suo” tocco di c lasse. Quel lo che

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turn it on

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K e r e n A n n – S e l f T i t l e d ( C a p i t o l , 2 3 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : s o n g w r i t i n gIncur iosisce Keren Ann, per i l personaggio volutamente non eclatante e piut tosto in disparte che ha saputo crearsi . Poco conosciuta nel nostro paese, una discograf ia abbastanza nutr i ta ( i pr imi due album in f rancese, col laborazioni con Benjamin Biolay, progett i col lateral i e alcune colonne sonore al l ’at t ivo) e un’esistenza nomade div isa t ra Par ig i e New York, esce ora con questo omonimo ( i l terzo disco cantato in inglese), d i cui ha curato anche produzione e arrangiament i . Distaccandosi dal la dimensione acust ica con cui era più conosciuta, ecco-la aff rontare un pop-rock dagl i arrangiament i part icolarmente curat i , in cui canta f inalmente a piena voce, dopo l ’ int imismo e i l raccogl imento vocale del precedente Nolita (Capi to l / Blue Note, 2004). I l songwri t ing r ichiama i suoi onnipresent i model l i , da Gainsbourg a Francoise Hardy e Suzanne Vega , per dipart i rs i verso atmosfere à la Radiohead e Air ( In Your Back per esempio, che fa pensare al le ul t ime cose di Char lot te Gainsbourg, dove non a caso c’è ben più che lo zampino del duo francese), inf lussi beat lesiani ( la onir ica Between The Flat land… ) e song atmosfer iche (Liberty con vocals wyatt iani) che r imandano a Eno e Phil ip Glass , u l t ima passione musicale di Keren. L’album si snoda tra contrappunt i vocal i ( i l s ingolo Lay Your Head Down ) , un funk-wave-disco nel pezzo di chiu-sura (Caspia ) e le consuete bal lad (The Harder Ships Of The World , Where No Endings End in cui r i t roviamo tut to lo spleen d i cui è capace la Nostra). Sempre più raff inata, Keren prosegue i l suo percorso, ancora teso verso una “c lassic i tà” d i fondo che la immerge insieme in una dimensione atemporale al d i fuor i d i quals iasi moda, in cui le i v ibra secondo le sue personal issime frequenze. (7.3/10 )

Te r e s a G r e c o

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ha già dato a gente come Depeche Mode , Smashing Pumpkins , Nine Inch Nails , My Bloody Valentine e che ora regala propr io al t r io più retro-futur ista di indielandia. Tol ta di mezzo la r ivoluzione pienamente r iusci ta a metà di Misery Is A But-terf ly , Kazu e i gemel l i Pace non potevano che lasciarsi t rasportare dal l ’accogl iente r isacca del dream pop iper-prodotto. Zuccherosissimi e laccat issimi. Molto più teenage

dol l che teenage r iot , con Kazu lo-l i ta come non mai a intonare ma-l iz iosa e melanconica i “ la- la- la ” d i 23 e le pantomime kubr ickia-ne di Dr. Strangelove . A far così , i t re suonano paurosamente Lush e chiamano a c i tazione decine di gruppett in i d i epoca C86, Sarah, Creat ion… dream-shoegaze insom-ma, ma scevr i da tut ta quel la ruvi-dezza chi tarr ist ica. Di fat t i quando Moulder c i s i mette, i l peso del lo studio l i t raveste quasi da novel-le s i rene synth. Le i r resist ib i l i The Dress e Publ isher sfoggiano r i tmi di modernar iato elet t ro-pop e i l g io-chino sembra assai s imi le a quel-lo dei f rancesi OMR . Tutto molto molto chic ma leggermente gel ido, considerando anche che se i due transalpini sot to i l vest i to non han-no niente, lo stesso non può certo dirs i per i Nostr i . I l per icolo vero semmai è che tanto l i f t ing sonoro t rasformi in oro la plast ica e che tut to s ia quindi b iodegradabi le con i l passare del tempo. Enjoy The Si-lence avrà pure le rughe sul vol to, ma cont inuiamo ad ascol tar la. Un tempo molto più lungo di quel lo che si concede a questo pur piacevole lavoro dei Blonde Redhead, che si

at taccherà al le nostre orecchie per tut ta la stagione pr imavera/estate 2007. (6.7/10 )

A n t o n e l l o C o m u n a l e

B r e t t A n d e r s o n - S e l f T i t l e d ( V 2 , 2 7 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : p o p r o c k , c r o o n i n gNel 1977, in una famigerata punta-ta di Happy Days, un improbabi le Fonzie munito di sci d ’acqua ed im-mancabi le giubbotto di cuoio sal tò una piscina di squal i , t ra inato dal motoscafo di Richie Cunningham; una scena così poco credibi le da marcare i l punto più basso raggiun-to f ino a quel momento dal la s i t -com. “Sal tare lo squalo” ( jump the shark ) è così d iventata un’espres-sione comune in America, che in-dica i l momento in cui una ser ie te levis iva di successo arr iva a una sorta di punto di non r i torno, aldi là del quale c ’è sol tanto un lento, ine-sorabi le decl ino. Ora, quand’è che Bret t Anderson avrebbe “sal tato lo squalo”? Per molt i nel 2002 con A New Morning , canto del c igno dei Suede, per al t r i a i tempi di Head Music (1999), e c ’è chi addir i t tura va indietro f ino al l ’abbandono di Bernard But ler nel lontano 1994. I l fat id ico debutto so-l is ta, che arr iva due anni dopo la - d igni tosa ma modesta - parentesi The Tears , è probabi lmente dest i -nato a fugare ogni dubbio. Bret t , ahi lu i , non ha sol tanto sal tato lo squalo, ha propr io perso la bus-sola: con lo spleen e i l v igore di un tempo offuscat i insieme a quals iasi r icerca sonora e st i l is t ica, p iomba oggi inesorabi le nel manier ismo di un crooning pop-rock, miserabi l is ta f ino al la car icatura, senza nerbo. Viene in mente lo Scott Walker com-merciale dei pr imi ‘70, i l Bowie mul-t imi l ionar io degl i ’80 o lo spaesato Morr issey del l ’ immediato post-Smi-ths; ma se quest ’u l t imo è sempre r iusci to a far la f ranca t i rando fuor i l ’asso del le l i r iche, Anderson pare aver smarr i to perf ino ogni capaci-tà poet ica, sopraffat to da patet ismi di ogni t ipo (ok l ’aver raggiunto la quarant ina, ma cos’è questo pian-gersi addosso?) e metafore t ra le più banal i (su tut te, Dust And Rain e le sue simi l i tudini drug-related). Se i l pr imo singolo Love Is Dead e

To The Winter s i g iocano la - faci le - carta del la bal latona per archi in st i le Verve, e la mal inconia tardo-Cure di Scorpio Ris ing più che sen-t i ta suona imbarazzante, è megl io gl issare quando si provano registr i p iù rock ( Int imacy , Dust And Rain ) . Fanno megl io One Lazy Morning , Ebony e i l valzer The More We Pos-sess The Less We Own Course , ma è solo forma, svuotata di ogni sostanza. Di ff ic i le far decol lare un album francamente evi tabi le, forse perf ino per i fan: parafrasando l ’ i l -lustre col lega Jarvis , questa è solo una bad cover version del Bret t che fu. (4.8/10 )

A n t o n i o P u g l i a

C a l v i n J o h n s o n & T h e S o n s O f T h e S o i l s - S e l f - T i t l e d ( K R e c o r d s / G o o d f e l l a s , 2 4 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : b l u e s - l o - f iCalvin Johnson è i l fondatore del la K Records, dei Dub Narcot ic Stu-dios, dei Dub Narcotic Sound Sy-stem , come di mi l le al t re cose. Si capisce come abbia molta gente intorno che non disdegni una col la-borazione con la sua persona.Calvin Johnson, voce bar i tonale e sbi lenca al lo stesso tempo, fu nel lontano 2003 spronato da Khaela Maric ich del le Blow e da Jason An-derson a fare un disco che racco-gl iesse le sue canzoni migl ior i r i -suonate da music ist i d i a l t r i gruppi chiamat i a l l ’uopo. Nacquero i Sons Of The Soi ls, e nel lugl io del lo stes-so anno fu registrato i l d isco di cui t rat t iamo ora, Calvin Johnson & The Sons Of The Soil .Questa s impat ica r impatr iata, d i -c iamolo subi to, non br i l lerebbe nel la discograf ia dei nostr i let tor i , anche dei p iù fedel i a l credo ga-rage o blues. È più l ’occasione di r icapi to lare le esper ienze del no-stro, dai Beat Happening agl i Halo Benders . Passando, ovviamente per i Dub Narcotic Sound System - come nel la pur sempre smagl ian-te Banana Meltdown , g ià or ig ina-r iamente momento di aggregazione con la compagnia di John Spencer - ora con basso funky, cui è aff idato, come nei tempi d’oro, l ’andamento melodico, con la chi tarra peren-nemente r i tmica, se non distorta.

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Quest ’u l t ima, evidentemente, è blues f ino al l ’osso, quasi lontana, nel suo essere acidi f icata dal de-serto. E, in def in i t iva, se s i passa sopra al la voce di Calv in, non r ima-ne al t ro che un disco blues, soul in alcuni f rangent i (Can We Kiss ) , d i importanza prat icamente nul la nel mondo del la musica.Se non si passa sopra al la voce vo-lutamente pr incipiante di Calv in, se ne r imarrà incur iosi t i , o infast id i t i , come accade a ogni brui t isme mu-sicale. Ma certo, c i sono tant i a l t r i cr i ter i per dare una let tura cr i t ica di un disco, che noi non percorrere-mo. (5.5/10 )

G a s p a r e C a l i r i

C r ë v e c o e u r – # 1 ( D r e l l a / 5 i v e R o s e s , 1 2 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : w e s t e r n - i n d i e - r o c k B e x a r B e x a r – Tr o p i s m ( O w n / Wi d e , 8 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : r o c k i s o l a z i o n i s t a…Due maniere diverse di toccare le corde più emozional i del l ’ascol-tatore. Dal la Francia, lancia la sf ida un tr io s icuramente non or ig inale nel la proposta ma super lat ivo nel la resa. Crëvecoeur s i pone sul la scia del-l ’ indie-rock più chiaroscurale pro-posta negl i u l t imi decenni da bands come Black Heart Procession e Dirty Three , passando per le v is io-ni desert iche dei Calexico . Grossa inf luenza ha però l ’atmosfe-ra c inematograf ica; non solo perché sono sol i t i usare v isuals in sede l ive come elemento centrale del loro show, ma anche e soprat tut to per-ché suonano come una sorta di Mor-r icone dal background rock intento a musicare un f i lm di Jodorowski ,

epoca The Holy Mountain . Aperture melodiche e chi tarre calde e sciol -te, qua e là t racce di t rombe e v io l i -n i , ma soprat tut to un mood tr iste ed evocat ivo creano cl imi paragonabi l i a l l ’u l t imo Ronin . L’ incipi t d i un pez-zo come Jul iet te – chi tarra acust ica e t romba lancinante – è poi assur-damente v ic ino al fo lk apocal i t t ico di Death In June , ferme restando le distanze sideral i t ra i due progett i . Disco sabbioso e drammaticamente intenso. Come cert i moment i del lo spaghett i western. (6.5/10 )Dal l ’a l t ra parte del l ’oceano r ispon-de Bexar Bexar con una musica per colonne sonore immaginar ie. Armato di sola chi tarra, t rat teggia paesaggi a metà t ra l ’ isolamen-to efebico di Labradford e l ’at ip i -co chi tarr ismo gl i tch di Fennesz . Ad emergere è quindi un senso di atavica t r is tezza ben distante dal-le melodie del icate del precedente Haralambos; qui la composiz ione ruota intorno al la chi tarra, sf iora-ta in punta di d i ta per creare me-lodie acust iche poi f rammentate, d isgregate, manipolate con f i l t r i ed electronics. A vol te (Cotton In The Grossness ) s i ha l ’ impressione di ascol tare i l John Fahey epoca The Transfiguration Of Blind Joe Death in versione dis idratata e ma-l inconica; a l t re l ’ambient al la Eno resa caust ica e dronata (Unsett led And Unable ) .Bexar Bexar s i propone come una sorta di f ingerpicker isolazionista capace di evocare paesaggi e at-mosfere di una l impida ed intro-spett iva bel lezza. (6.5/10 )

S t e f a n o P i f f e r i

C u t C i t y - E x i t D e c a d e s ( G S L , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : e m u l i n t e r p o l Splendidi anacronismi in confezioni luccicant i . Fossero usci t i nel 2000, in contemporanea agl i Interpol , o avessero preso almeno i l t reno de-gl i Editors , quest i quattro ragazzi svedesi avrebbero senz’al t ro gua-dagnato un posto in scalet ta, ma ora che i l fenomeno revival ista è stato r iproposto, r ipreso, r imaste-r izzato e cover izzato f ino al la nau-sea, i l loro debutto suona scontato e anacronist ico. Dicevamo del l ’EP

omonimo nel 2005: mancanza di personal i tà ma buone canzoni , compatte e senza fronzol i . Ora, ap-purata una produzione migl iore e un ventagl io di r i fer iment i leggermente ampl iato, non ci resta che r ibadire gl i espedient i ut i l izzat i . Like Ashes Like Mi l l ions e Numb Boys e Dul l Mi les suonano esattamente come gl i Interpol , Antic ipat ion (con tan-

to di tast iere wave 80 in autocom-piacimento) scopiazza Echo & The Bunnymen e Cul t in un discorso più roccioso (ma emulo), Damaged cala la maschera plagiando strofe dei Joy Div is ion senza troppi pa-temi. Per capirc i basta questo. Se non r iusci te a far a meno d’aspet-tare maggio per l ’usci ta del la nuo-va fat ica degl i Interpol , dategl i un occhio, a l t r iment i passate la mano. (5.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

D a k o t a S u i t e – Wa i t i n g F o r T h e D a w n To C r a w l T h r o u g h A n d Ta k e Aw a y Yo u r L i f e ( G l i t t e r h o u s e , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s l o w - c o r eBisogna possedere una certa predi-sposizione al la lentezza per avvici-narsi al la musica dei Dakota Suite. Che per farla più breve basterebbe sussurrare i l nome dei Red House Painters , per vedere quanti abban-donerebbero questa pagina, e quan-t i invece ci si tufferebbero accanit i . Perché la questione r isiede proprio qui: certe sommesse sonorità o si r i f iutano incondizionatamente o si amano perdutamente. Di quest’ul-t imo sentimento è emblematico i l fatto di quanti orfani nostalgici ab-bia lasciato lo smantel lamento del la

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casa rossa di Mark Kozelek . Che, a dire i l vero, i l tempo per accasarsi nuovamente l ’avrebbero avuto visto che gl i inglesi Dakota Suite è dal 1996 che pubblicano periodicamen-te siffatt i dischi. Ma purtroppo la vi-sibi l i tà di cert i gruppi, si sa, è come quella di certe isole non turist iche. E proprio di sol i tudine e nostalgia par-lano le canzoni del l ’ inglese Chris Hooson , colui che da sempre siede in cabina di regia di questa band. Tutt i gl i album sfornati dai Dakota Suite, non ne fa eccezione quest’ul-t imo, si muovono sul le stesse coor-dinate: di latazione sonora costruita dal lo sf iorare degl i strumenti, sul la quale struggenti insert i sinfonici ac-centuano ancor di più la lentezza imperante, in parte addolcita dal la del icatezza di una voce sussurrata. Tutto composto e prodotto superba-mente. Molto vicini ai primi Norfolk & Western , la loro musica si muove fragi le tra folk d’autore, slow-core e digressioni cinematiche. Canzoni come Because Our Lie Breathes Differently , Never Much To Say e A Darkness Of Moons sono pronte a sf iorare del icate i sensi. Sono isole inesplorate sul le qual i trovar r i fugio quando i l naufragio si fa inevitabi le.

Ma attenzione l ì la sol i tudine regna incontrastata e un salvataggio può apparire come una vana speranza. Per cuor i for t i . (6.7/10 )

A n d r e a P r o v i n c i a l i

D a v i d S h r i g l e y – L a t e N i g h t Ta l e s : F o r c e d t o S p e a k w i t h O t h e r s ( A z u l i / A u d i o g l o b e , 5 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s p o k e n - w o r d“ I l c ie lo s i fa nero e s i schiude.

C’è una pioggia torrenziale. Tuoni e lampi che colpiscono rock stars e pubbl ico. Molt i d i quest i muoiono mentre tut to brucia t ra le f iamme. La terra s i apre e ronzant i mosche accerchiano corpi senza vi ta. Si sente odore di morte ovunque. La pioggia cont inua a cadere, e t ra un tuono e un lampo compare lu i , Sa-tana, e tut t i i corpi impugnano gl i strument i per accompagnarlo nel-la sua performance. È veramente grande. Yeah! Grande!”Pensateci , sembra i l Monterey Pop Fest ival v isto dagl i occhi d i Cl ive Barker oppure da un Terry Gi l l iam in del i r io al lucinogeno; invece è far ina di David Shr ig ley, ar t is toide inglese al la sogl ia degl i anta, che dopo qualche cameo nei LateNight Tales di Air e Four Tet , debutta uf-f ic ia lmente con un disco di spoken word per Azul i . Art ista t rasversale di var io stampo: dai fumett i (str iscia set t imana sul le pagine del Guar-dian) al le animazioni (sue quel le del v ideo Good Song dei Blur) s ino al la sat i ra; padrone di un t rat to con-fusionar io come un bimbo ai pr imi pennel l i e tagl iente parol iere à la Ivor Cut ler (anche se meno inquie-tante), dunque anarchico jo l ly t ra i l -logico e bizzarro. Per sempl i f icare lo potremmo incastonare nel g iusto mezzo tra l ’anzidetto Cut ler e Peter Blegvad, ma sarebbe un po’ t roppo, pure per lu i , quindi soffermiamoci a l presente senza disturbare i l pas-sato. orced to Speak with Others s i presenta come detto in apertura, ovvero nel del i r io dantesco di Rock Fest ival : parole di Shr ig ley (ma a declamare è ta l Steven Sutcl i ffe) e batt i to s in istramente hip hop. Bi-sogna ascol tare e immedesimarsi nel le corde del nostro, anche nel la grot tesca stor ie l la del l ’ insetto che r i lascia le sue uova al l ’ interno di cervel l i umani – “sono un insetto piccolo. Quando dormi at t raverso sul tuo v iso, entro nel tuo cervel -lo…un ot t imo posto per i miei bam-bini…” – di Eggs per entrarci den-tro. Trame folkye ( I Am Good ) , echi dub (Our Chi ldren ) , percussioni ac-cidentate (Clumbs Father/You Don’t Love Me )… Basta cosi : r ischio di r imanerci . David Shr ig ley, Fi le un-der: border l ine music. (7.0/10 )

G i a n n i A v e l l a

D a v i d T h o m a s B r o u g h t o n - I t ’s I n T h e r e S o m e w h e r e ( B i r d w a r / Wi d e , 2 6 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l kOriginar io del la zona di Leeds, Da-vid Thomas Broughton esordisce nel 2005 con i l sorprendente The Complete Guide To Insufficien-cy , campionar io di fo lk acust ico dronato in sol i tar ia, con chi tarra acust ica, effet t i in loop, drum ma-

chine, percussioni assort i te e can-tato mantr ico. One man band con una cospicua at t iv i tà l ive, music i -sta e graf ico, autore del le coper-t ine dei suoi d ischi , Broughton mo-stra un’at t i tudine che, partendo dai numi tutelar i Drake e John Fahey , lo assimi la ai fo lkster più recent i , da Bi l l Cal lahan-Smog a Devendra Banhart , f ino al la musical i tà di un Antony. I l 2007 lo vede impegnato in alcuni progett i , t ra cui una pros-sima col laborazione con i l son-gwri ter d i Leeds Benjamin Wethe-r i l l e quest ’u l t imo I t ’s In There Somewhere , raccol ta di mater ia le mai pubbl icato e composto negl i u l -t imi sei anni . Tra t racce acust iche minimal i (Circle Is Never Comple-te ) , f ramment i in loop (Graceful ly Si lent ) , bozzett i appena accennat i (The Heart You Don’t Look Out For ) e dark songs più composi te (Why Are You Not Here ) , l ’a lbum non ci racconta in real tà niente che non si sapesse già sul Nostro, conferman-done la c i f ra st i l is t ica. In at tesa di a l t r i progett i a venire. (6.4/10 )

Te r e s a G r e c o

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turn it on

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L e M a n Av e c L e s L u n e t t e s – S e l f T i t l e d ( M y H o n e y – Z a h r, 2 0 0 7 ) G e n e r e : p o pPrima o poi doveva accadere che qualcuno si accorgesse di questo com-bo dal tocco magico e la scr i t tura soave “conf inato” t ra le quattro mura amiche del la piccola My Honey Records (et ichetta home made facente capo, guarda caso, al la stessa band). Ci ha pensato Zahr Records, che sul l ’onda degl i ot t imi r iscontr i ot tenut i dal la produzione più recente dei Le Man Avec Les Lunettes, s i è presa la br iga di sponsor izzare i l loro esor-dio discograf ico adul to. Che si t rat t i d i lungimiranza o sempl ice for tuna ci sent iamo comunque di r ingraziare, dal momento che, ad oggi , l ’unico modo per apprezzare i l pop etereo raccol to nel le dodic i t racce di questo disco era distr icarsi t ra gl i innumerevol i Ep/CdR (Qui Cherche Trouve e Saturate Than Reverse It ) , spl i t (Love Is Not For Me ) , s ingol i in v in i le (How To Improve Your Backhand ) e compi lat ion (A Century Of Covers ) partor i t i dal la creat iv i tà s inuosa ma frammentar ia del la formazione bresciana. Compito di per sè arduo se si considera la scarsissima di ffusione del mater ia le.Con Le Man Avec Les Lunettes ci s i t rova invece tra le mani un bignami pronto al l ’uso composto da mater ia le già edi to ma non per questo meno interessante, soprat tut to in v i r tù del l ’a l to l ivel lo qual i tat ivo del la scr i t tura e per la part icolare cura r iservata ad ogni s ingola t raccia. Una proposta at tenta ai det tagl i , che passa agevolmente dagl i incroci melodic i à la Lennon-Mc Cartney al le evanescenze t ip iche di un et ichetta come la La-brador, dal l ’ impeto melodico dei Belle & Sebastian a l la psichedel ia più colorata, dai suoni g iocattolo ai contorni e let t ronic i languidi . Element i che soprat tut to in Tennis System & I ts Stars, Wimbledon, For A Lover, Victor ian Swimming Pool - non a caso i brani che provengono dal le registrazioni p iù recent i del la band - , s i t rasformano in splendidi esempi di pop ora minimale, ora mal inconico, ora venato da passioni l isergiche tremolant i . (7.5/10 )

F a b r i z i o Z a m p i g h i

5 0 s e n t i r e a s c o l t a r e

D i n o s a u r J r – B e y o n d ( F a t P o s s u m - P i a s / S e l f , 2 7 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e r o c kPer molt i , è un sogno che diventa real tà. Per al t r i , è l ’ inevi tabi le con-seguenza del la reunion di un paio d’anni fa. Per al t r i ancora, se ne poteva comodamente fare a meno. Fan, real ist ic i e scett ic i , tut t i han-no ragione e tut t i s i sbagl iano, su Beyond . Perché in fondo sono - s iamo - tut t i condannat i a l lo stes-so Eterno Presente, fat to di r i torni (s iano essi at tesi , inaspettat i e im-probabi l i ) , tour/r impatr iata, antolo-gie, r is tampe deluxe . Poi , f in t roppo faci le i ronizzare su una band che ha scel to di chiamarsi Dinosaur, non vi pare? Chiunque di recente abbia v isto dal v ivo i l r icost i tu i to t r io – in questa forma, assente dal le scene dal 1989 - , avrà avuto modo di accorgersi che la potenza sonica or ig inar ia è invar iata (semmai, resa più feroce e devastante dal le mega-ampl i f ica-zioni a disposiz ione oggidì) , e che quel l ’ insana tensione fra Mascis e Bar low su cui s i reggono i g iochi , oggi come al lora, è prat icamente in-tat ta. Piace pensare che scr ivere e registrare queste canzoni s ia stata una conseguenza naturale del tor-nare a suonare insieme, nonostan-te i l c in ico bastardo dentro di noi sugger isca invece si t rat t i d i f reddo calcolo o peggio, stanca rout ine ad uso e consumo del pubbl ico pagan-te (vedi anche al la voce: reunion Sebadoh) .Piut tosto, sarebbe bel lo vedere J. , Lou e Murph come i r inat i Crazy Horse d i Ragged Glory : impronta r iconoscibi le s in dal la pr ima nota, furore giovani le appena stemperato

da matura r i f lessiv i tà, ident i tà inos-sidabi le, propr io come la vogl ia di esserci . Una suggest ione che si fa reale nel la lunga cavalcata di Pick Me Up , per esempio, o nel l ’apocr i fo Young This Is Al l I Came To Do , o ancora nel le bal late semi acust iche - t ip icamente Mascis - Crumble e I Got Lost . Per i l resto, negl i incon-fondibi l i power pop Almost Ready e Been Here Al l The Time , nel le sferzate hard rock-grungy di I t ’s Me e nel le puntual i appar iz ioni d i Bar-low (Back To Your Heart , Lightning Bulb ) , tut to è al suo posto: i deci-bel , i watt , i l muro impenetrabi le di chi tarre, i fuzz lur id i , le possent i ru l late di Murph, i l basso maltrat ta-to di Lou, i r i ffoni , g l i assol i tamarr i , le melodie istantanee e i l canto in-dolente di Jay. Certo, adesso i l c i -n ico bastardo dentro di noi tornerà a fars i sent i re… ma basterà alzare i l volume. Ché Beyond , in f in dei cont i , è un bel d isco. Sparatelo a pal la nel lo stereo, sfondate gl i a l to-par lant i e i vostr i t impani , e amen. (7.2/10 )

A n t o n i o P u g l i a

D n t e l - D u m b L u c k ( S u b P o p / A u d i o g l o b e , 2 4 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : e l e t t r o n i c aUno che sguazza nel l ’oceano mu-sicale da tredic i anni non è un pi -schel lo quals iasi , soprat tut to se porta i l nome di Jimmy Tambo-rel lo . Che si present i sot toforma di James Figur ine, Postal Service (con i l f ido Ben Gibbard) o Dntel , i l Nostro c i gode parecchio a prender-s i i l suo tempo. Sei infat t i g l i anni t rascorsi da Life Is Full Of Pos-sibil i t ies (Plug Research, 2001), c inque invece quel l i necessar i per portare a compimento Dumb Luck , in mezzo col laborazioni e progett i col lateral i , ut i l i poi , come sempre, quando arr iva i l momento di lavo-rare per sé. E come i l precedente, anche quest ’u l t imo disco pul lu la di nomi eccel lent i : ad esclusione del pr imo e omonimo brano, in cui è lu i in pr ima persona ad esporsi sot to una cascata di screzi e let t ronic i e chi tarre r iverberate, fanno capol ino Edward Droste dei Gr izzly Bear ( i bucol ic i echi vocal i d i To A Faul t , come degl i Akron/Family rabbo-ni t i ) , Valerie Trebeljahr e Markus

Acher dei sempre at tesi Lal i Puna (ghigni robot ic i e voce monocorde su un’asciut ta r igorosi tà deutsche per I ’d Like To Know ) , Jenny Lewis dei Ri lo Ki ley ( la futur ist ica country bal lad di Rol l On ) , quel prezzemolo di Conor Oberst , ma tanto s iamo abi tuat i a sent i r lo dappertut to ( i l lamento aggraziato t ra implosioni s intet iche di Breakfast In Bed) , la fu lg ida Mia Doi Todd ( l ’agrodolce miscugl io elet t roacust ico di Rock My Boat ) . Su tut t i , a vegl iare e ac-cudire le stanze sonore scrupolo-samente create ad personam, lu i , J immy, con i suoi g l i tch gent i l i e generosi a l lo stesso tempo, con la sua at tenzione per i l det tagl io mai invadente, con i suoi synth ad av-volgere pattern r i tmici sul l ’or lo del col lasso. Che si prenda pure tut to i l tempo del mondo, dunque, se que-sto serve a far maturare un frut to come Dumb Luck . (7.1/10 )

Va l e n t i n a C a s s a n o

E l i o t L i p p - S t e e l e S t r e e t S c r a p s ( H e f t y / A u d i o g l o b e 5 m a r z o , 2 0 0 7 ) G e n e r e : h i p h o pRistampa del mini-album conte-nente outtakes, remix e inedi t i del for tunato Takoma Mockingbird , per El iot L ipp, f iore al l ’occhiel lo del l ’u l t ima marea di h ip-hoppers apol id i del nuovo mi l lennio. Stee-le Street Scraps raccogl ie in una decina di roteant i breakbeats una ser ie di f ragranze viv ide e soprat-tut to smooth, da let to e cuff ia come da chi l l out d i c lasse, ancor megl io party sof t in cerchie stret te. C’è n’è di c lasse e s i sente dal la pr i -ma nota, come i 3 remix ampl iano le potenzial i tà dei brani or ig inal i ( i r ichiami f ine Ottanta di I l la Than , i l feel ing jazzy di Tic Tac e l ’Aphex poppy di Glasspipe r ispett ivamen-te remissate da Earmint , John Hu-ghes e Victor Bermon), soprat tut to c i sono tante f ragranze: c lassic i tà soul , funk e synth-pop ‘80, e mo-dernismi IDM, indietronic i e pure post-rock electro. Come Dabrye, Lipp accosta basi h ip hop a sedu-cent i l inee tast ier ist iche, come Dr Dre, ama quel funk fe l ino e son-nolento. Soprat tut to, o l t re i r i fer i -ment i , i l ragazzo di Takoma affasci-na per i lustr in i appiccicat i a i suoi

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 �

sample, r i ff che sbucano d’ incanto t ra i p la id del beat. Se avete per-so l ’a lbum, magari in iz iate da l ì . I l next step sarà quest ’eppì, una se-duzione al la quale è di ff ic i le resi -stere. (7.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

F o r g e t C a s s e t t e s – S a l t ( O n e L i t t l e I n d i a n / Ta n g l e d U p / G o o d f e l l a s , 5 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e r o c kForget Cassettes è una band che in iz ia lmente non r iesci a deci f rare. La loro è una musica faci le al l ’ap-parenza ma, ad un esame più ap-profondi to, r isul ta estremamente complessa. Si d i rebbe infat t i i l sol i -to gruppo rock con voce femmini le potente e predominante. Ma la s i -tuazione non è così sempl ice. Sarà che la sezione r i tmica viene dagl i And You Wil l Know Us By The Trail Of Dead . Sarà che la cantan-te Beth Cameron – autr ice di tut t i i brani – ol t re a piegare la sue corde vocal i a piacimento (ora melodiche e r i lassate, ora tese e disperate f ino al lo spasimo) al lo stesso tem-po maneggia la chi tarra elet t r ica con un misto di del icatezza e fur ia selvaggia. Sarà che i pezzi sforano spesso i l muro dei c inque minut i . Sarà. I l fat to è che Salt s i r ivela un sal iscendi d i st i l i ed inedi te an-golazioni ( indie?) rock, in cui s i a l -ternano sferragl iant i r i ff grunge ad improvvis i – ma non improvvisat i – moment i d i calma apparente (Venis On ) , b lues s inghiozzant i f ig l iastr i d i Pj Harvey (Quiero, Quieres ) , stro-fe hard possent i e muscolar i (The Catch ) e r i tornel l i che sanguinano sofferenza (Sleeper ) . Ed ogni va-r iazione ha sempre una propr ia ra-gione d’essere e un propr io perché al l ’ interno di ogni canzone. L’at ten-zione al lora resta al ta per tut ta la durata del cd. Così come i l coinvol-gimento. Non è certo cosa da poco. (7.0/10 )

M a n f r e d i L a m a r t i n a

K i e r a n H e b d e n & S t e v e R e i d – To n g u e s ( D o m i n o / S e l f , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : i m p r o , e l e t t r o n i c a , j a z zI l connub io da sogno t ra i l man i -po la to re K ie ran Hebden (aka Four

Tet ) ed i l ba t te r is ta S teve Re id cont inua. Dopo aver da to a l le s tampe in man iera quas i s imu l ta -nea i p r im i due ep isod i de l la se -r ie Exchange Session è ogg i la vo l ta d i ques to Tongues , te rzo e , veros imi lmente , u l t imo prodot to d iscogra f ico genera to de l la cop-p ia ang lo -amer icana. Reg is t ra to in te ramente da l v ivo senza r i cor -re re ad a lcun t ipo d i sovra inc is io -n i ne l corso d i due a t t igue sedu-te svo l tes i a Londra ne l febbra io de l lo scorso anno, Tongues è la d imost raz ione concre ta d i quan-

to l ’ i b r idaz ione t ra e le t t ron ica e jazz , d j e s t rument is t i possa anco-ra rappresentare un va l ido campo d i s tud io (e conseguentemente d i p rova) ne l l ’ambi to de l la sper imen-taz ione. Mer i to d i due “a t to r i ” ec -ce l len t i che non s i vergognano ne l g iocare aper tamente con suon i e con le s t ru t tu re , t ra t ta re l ’ improv-v isaz ione non come un g io ie l lo p rez ioso ma come un ba locco d i legno con i l qua le d iver t i re e d i -ver t i rs i (sopra t tu t to ) senza cor re re mai i l r i sch io d i d iven tare ted ios i o pegg io ancora no ios i , inv i tando a l l ’appuntamento pers ino ch i ama get ta rs i t ra le b racc ia de l dance-f loor (Rhythm Dance ) . Un esem-p io . (7.0 /10 )

S t e f a n o R e n z i

F o n o d a – E v e n t u a l l y ( B u r o / Wi d e , m a r z o 2 0 0 7 ) g e n e r e : s l o w c o r e , p o s t r o c kBastano poche note per inquadra-re i Fonoda e per capire con cosa avremo a che fare. I l t r io tedesco infat t i s i presenta da subi to come i l c lassico gruppo slow-core che non

nasconde qualche inf luenza post-rock. A metà t ra gl i Arab Strap e i mai eguagl iat i White Birch d i Star is Just a Sun , Eventually si r ivela comunque un buon disco per quan-to forse st i l is t icamente un po’ l imi-tato. Non ci resta quindi che lasciare che gal leggi un po’ nei t impani , r iascol -tare più vol te i p lumbei accordi d i A Spiral Ant , i l lento incedere di Not Dead, Just Sleeping [They Are] e The New Red , quest ’u l t ima div isa in due part i e che si conclude con un bel l ’accompagnamento di t romba. Apprezzabi le anche i l crescendo post-rock di Si lence Means Disea-se (peccato per quel la voce ur lata poco incis iva) e soprat tut to i l pop al ra l lentatore di Ambient Take No. 1 [w. i .a. ] che resta una del le cose migl ior i del l ’a lbum. Le basi c i sono: vediamo cosa ci r iserveranno per i l futuro.(6.0/10 )

R o b e r t o C a n e l l a

F r i d a H y v ö n e n - G i v e s Yo u : M u s i c F r o m T h e D a n c e P e r f o r m a n c e ‘ P u d e l ’ ( L i c k i n g F i n g e r s , 2 4 g e n n a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : C h a m b e r - P o p , S o u lNo, non è una ragazza come le al -t re. Non i l fenomeno indie che bru-cia i l quarto d’ora e poi v ivacchia sui t izzoni del la eff imera notor ietà ( f inché dura). La brava Fr ida è una che si è data e s i dà un gran daffa-re, perché la f iamma ce l ’ha dentro. Ed è - at tenzione - una f iamma do-mata. Nel caso di questo Pudel , c i v iene data la possibi l i tà di scorgere un di le i u l ter iore prezioso aspetto. Dieci t racce ( in real tà ot to più due suggest iv i ma impalpabi l i intro/ou-tro) concepi te per l ’omonimo spet-tacolo di danza del coreografo Dor-te Olsen , del quale nul la mi è dato sapere se non appunto l ’aff lato mal inconico, l ’autunnale languore, la bramosa apprensione che trasu-da dal le melodie. Opportunamente arrangiate per “piccola orchestra”, ovvero gl i archi del l ’Amanda Quar-tet , la t romba, i l contrabbasso, i l c lar inet to, la f isarmonica e la tuba suonat i dal bravo Bebe Risenfors più - naturalmente - i l p iano e la voce del la nostra cara svedesina.Che non scorda di scomodare i lan-guor i soul d ’ in iz io Sevent ies, t ipo

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la stupefat ta mest iz ia di Came A Storm ( lo Young p iù etereo al l ie-tato da una ser iosa Carole King) o i l mesto struggimento di Fal l Is My Lover ( t ra l ’ immancabi le Laura Nyro e la Kate Bush d i The Man With The Chi ld In His Eyes ) . Però s ’ incar ica al t resì d ’ imbast i re mar-cette mit te leuropee che mast icano swing brumoso (Cricket ) e indef i -n ib i l i angosce (New Messiah ) , op-pure valzer in i ora nostalgic i (quel la specie di apocr i fo Tori Amos che r isponde al nome di See How Came Into Town ) e ora febbr i l i ( i l f r izzante fatal ismo di Oh! Oh!) . Sent i che la sua voce acquista al b isogno una carnosa sfrangiatezza, la osservi d is impegnarsi t ra i t re-mori e le apprensioni d i This Night I Recal l You , in quel la complessa convergenza di st i lemi col t i e pop da sembrare i Suede d i The 2 Of Us to l t i i cascami glam, e al lora capisci che c’è del l ’a l t ro, che ver-ranno tempo ed occasioni per fars i rapire ancora da Fr ida, con diverse incalcolabi l i modal i tà. Non vediamo l ’ora. (7.1/10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

F u c k i n g C h a m p s - V I ( D r a g C i t y / Wi d e , 2 4 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : a l t m e t a l Del la ser ie i l g ioco è bel lo f inché è breve. Cosa questa che i FC non devono aver imparato se cont inuano imperterr i t i da anni a f racassare i cosiddett i al malaugurato ascoltatore con la r iproposiz ione ab eternum del pomposo hard-rock al la Boston/Scorpions. Va bene l ’ intento i ronico, va bene la presa in giro totale di pose e sonor i tà del l ’hard-rock più cafone e mainstream del l ’universo, ma r iproporre una sol fa del genere per un’ intera carr iera mi sembra decisamente t roppo. A voler essere veramente buoni s i potrebbe pensare a dei b landi Don Caballero brufolosi in f issa col repertor io degl i Iron Maiden , ma quel lo di VI (or ig inale, no?) è un i ronico t r ibuto al l ’universo pomp-rock con tut to i l corol lar io di r i tmiche pompate, assol i t remebondi e scale vort icose. Manca - deo grat ias - la voce, in quanto i FC hanno avuto almeno i l buon gusto di proporsi come combo strumentale.

E pensare che non suonano neanche male, e che quando decidono di a l lontanarsi seppur di poco dal canovaccio metal /AOR per avvic inarsi a percorsi alt r i ( la seconda parte di A Forgotten Chapter In The History Of Ideas ) lasciano intendere che, se solo lo volessero, potrebbero essere qualcosa di p iù interessante. A quanto pare non lo vogl iono affat to. (4.5/10 )

S t e f a n o P i f f e r i

F u j i y a & M i y a g i - Tr a n s p a r e n t Th ings (Groen land / Aud iog lobe , 1 6 M a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s p a c e k r a u t“Non f idart i del le apparenze”, cosi mi conf idò un vecchio saggio. Io c i caddi , nel l ’apparenza, nel 2002 non

appena stanai Fuj iya & Miyagi : pen-sai ad un duo nipponico e c i spesi cur iosi tà; notando poi , g i rovagando tra not iz ie sul loro conto, che i l duo era in ver i tà un tr io, occidentale per di p iù.Ascol tando i l loro debutto, Electro Karaoke In The Negative Style , l i bol la i subi to come space-pop-pers di seconda mano (al la Zero 7 per intenderci) , maledicendol i per come non avessero osato t rarre l in-fa dal la t i t le t rack – Neu! andante – invece di sbizzarr i rs i in muzak da cocktai l . Poi però s i sono decis i a r igurgi tare quel la vena krauta pr i -ma repressa (o comunque ibr idata in maniera oggi obsoleta) in una ser ie di d ieci pol l ic i v in i l ic i che r i -spondono ai nomi di In One Ear & Out The Other/Conductor 7 , Col-larbone/Cassettesingle e Ankle Injuries/Photocopier . Part iamo

da quest ’u l t ima, Photocopier : un funk sghembo di Can proporzioni , laddove i l cantato rapisce come i l Damo Suzuki d i One More Night . Dic iamocelo: c i p iace. Sussegue un r i tmo quadrato e deciso: quel lo che si d ice monotono, o megl io motor i -co. Conductor 71 e Cassettesingle s i congiungono al l ’ introdutt iva Ank-le In jur ies nel segno dei Neu!. Al la mercè di Hal logal lo . Pi tchfork par la già di paladini del lo Space-Disco (una dance post- tut to con i ta lo, kraut e electro) ed episodi come In One Ear & Out The Other e Col lar-bone c i stanno dentro; così come Sucker Punch proiet ta ancora dal le part i dei Can funk e la t i t le t rack - inorr id i te se volete - d iverte nel suo essere mal iz iosamente Steely Dan…Si termina con Cyl inders , bal lata cosmica à la LCD Soundsystem . Murphy stesso l i ama, che come pure Suzuki apprezza. Del resto t ra una ci tazione cinef i la (chi non r icorda i l maestro Miyagi?) e una let terar ia (Transparent Things è i l t i to lo di un l ibro di Vladimir Nabo-kov, colui che ispirò Stanley Kubr i -ck nel la t rasposiz ione del romanzo Lol i ta ) Fuj iya & Miyagi r isvegl iano i l lato più pop dei corr ier i cosmici . E r ibadiamocelo: c i p iace! (7.5/10 )

G i a n n i A v e l l a

F u r s a x a - A l o n e I n T h e D a r k Wo o d s ( E c p l i s e / AT P R e c o r d i n g s / G o o d f e l l a s , 1 6 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : f r e e f o l kSola nel la Selva Oscura. Spero c i s ia del l ’auto i ronia in un t i to lo del genere. Un t i to lo a metà t ra i l dan-tesco e la f iaba popolare nel lo st i le di Cappuccetto Rosso et s imi l ia. E manco a dir lo c i rcolano foto di Tara Burke che si aggira per i l bosco in completo rosso e probabi lmente le r iuscirà di incontrare anche i l lupo catt ivo Stephen O’Malley , un al t ro che non fa una session fotograf ica se non sta in mezzo al f i t to e s in i -stro fogl iame boschivo. De resto, i mef i t ic i adept i del b lack metal han-no tut to un immaginar io da r ispet-tare. La stessa cosa calza a pen-nel lo per i weirdos free folkers. Se non st iamo nel bucol ico andante e palesemente Sixt ies, vedi g l i scatt i

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turn it on

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L i n d s t r o m – I t ’s A F e e d e l i t y A f f a i r ( S m a l l t o w n S u p e r s o u n d / Wi d e , 2 0 f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s p a c e d i s c oPrima i l col lega Pr ins Thomas omaggia mastro Göttsching in un dodic i pol l ic i dedicato; poi L indstrom, in coppia con lu i , r iesuma dal l ’archiv io dei Can una traccia fet iccio come Mighty Gir l ( r intracciabi le solo ed esclu-sivamente nel le Peel Session dei teutonic i datate 1995) per invert i r la a quadrato groove disco. Quindi : krautrock nel la sua accezione pre-house - E2-E4 del lo stesso Göttsching più corr ispett ivo i ta l ico Sueño Lat ino - euro disco e r i tmiche lat ine.

La chiamano space disco. Una scena, quel la space, ma volendo pure co-smic house, che vede nel duo Lindstrom & Pr ins Thomas l ’estremità lumi-nosa di un iceberg abi tato da tant i , tant issimi personaggi del l ’area norve-gese, Oslo in part icolare, che stanno r iportando nel le piste gl i zat teroni , i boccol i nero corvino di Giorgio Moroder e i l d is incanto balear ico.Qui c i occupiamo di I ts A Feedelity Affair , long-playing di Hans Peter Lindstrom che raccogl ie molte del le ante-r ior i produzioni del nostro al ternate a nuovo mater ia le.Ovvio in iz iare con I Feel Space , la t raccia che ha imposto Lindstrom nel le piste disco più sper icolate e k i tsch: una base serrata in puro st i le Moroder, la l inea di synth che quasi r icalca una voce femminea. Pare di sent i re un amplesso interminabi le di Donna Summer. È I Feel Love proiet tata nel lo spazio. Space, appunto.Un ossuto funk come Cane I t For The Original Whit ies porta i l r i tmo ad un nuovo l ivel lo: s i assapora una r i tmica à la Yeah d i LCD Soundsystem . Colpisce. Poi , sempl icemente, s i r i torna dal le part i del nat ivo di Ort isei : There S A Drink In My Bedroom , Further Into The Future hanno quel bat t i to euro che fa molto sensuale. Another Sta-t ion , balear ica come da tempo non se ne sent iva, r iprende l ’appeal cosmico che fu di Göttsching/Sueño Lat ino e The Contemporary Fix , u l t ima creazione di L indstrom, è la t raccia più ipnot ica del lavoro. I d j sono avvert i t i… (7.5/10 )

G i a n n i A v e l l a

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per Ecstat ic Peace fat t i da Matt Va-lentine e Erika Elder , st iamo nel tenebroso del le foreste t ipo Uton o Agitated Radio Pilot . Non si scap-pa e Tara Burke stavol ta ha deci-so di g iocare sul s icuro anche con queste facezie fashion di corredo. Si fa fat ica, infat t i , a star le dietro con i l nuovo lavoro. Fuor di dubbio che dare un successore al magico Lepidoptera non fosse cosa faci-le, ma Alone In The Dark Wood graff ia poco e s i adagia t ranqui l lo nel lo st i le più manierato del la No-stra. Ergo, gran dispiego di far f isa e vocal izzi ether-drone a iosa. Di s icuro non è una che ha smarr i to completamente per strada tut to i l suo talento. Lo dimostrano piccol i congegni meravigl iosi e fuor i dal tempo come Lunar ia Enters The Blue Lodge , Black Haw o Alone In The Dark Wood . , ma sono ecce-zioni mentre in Lepidoptera , Man-drake o Madrigals In Duos erano la regola. Semmai parte del fascino di questo lavoro der iva dal la mano di Sami del la Fonal , che si poggia su buona parte dei suoni pr ivandol i del la pesantezza psych che i Bardo Pond avevano dato al precedente album. Forse è anche per questo che i referent i d i ret t i d i Fursaxa sembrano essere sempre più le al -tere s ignore f inniche del weird fo lk, come Islaja e Lau Nau . Insomma, per dir la in modo classico, Alone In The Dark Wood è un disco di t ran-siz ione. (6.5/10 )

A n t o n e l l o C o m u n a l e

G l e n n J o n e s - A g a i n s t W h i c h T h e S e a C o n t i n u a l l y B e a t s ( S t r a n g e A t t r a c t o r s A u d i o H o u s e , 1 3 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l kCome raccontavamo nel la mono-graf ia sui Cul De Sac , i l loro chi-tarr ista e fondatore Glenn Jones fu fo lgorato t rent ’anni fa dal b lues post moderno di John Fahey e non ne fa mistero. Dopo aver intrat tenu-to contat t i epistolare col Maestro, ha in segui to toccato i l c ie lo con un di to grazie a un’epocale col labo-razione tra quest i e i l suo gruppo, poi mostrando lo spir i to del devoto adepto nel debutto sol ista This Is The Wind That Blows I t Out . Ora che Fahey non è più t ra noi e i l

post rock ha contr ibui to ad asse-gnar l i i l ruolo stor ico che gl i com-pete, ne restano gl i echi ovunque e in questa seconda sort i ta di Jones più che al t rove. Nemmeno sarebbe possibi le i l contrar io d’al t ra parte, considerando che la poet ica del la scuola “gui tar sol i ” tut tora s i ap-poggia - per i l suo lato più creat i -vo - a l le intuiz ioni d i Fahey e Rob-bie Basho . Lo fa evidente Against Which The Sea Cont inual ly Beats , registrato a Martha’s Vineyard, in-sulare residenza chic appannaggio dei r icchi del la Costa Orientale e

local i tà dove i l tempo pare esser-s i fermato. La cosa ha certamente ispirato in larga misura i l r isul tato f inale, d isteso e di una sereni tà rara nel l ’uomo di Takoma Park, ed è in c iò – e nel la coppia di t racce “cooder iane” in apertura e chiusura - che Glenn trova una propr ia v ia. Viaggia a r i t roso per buona parte del la scalet ta, sfoggiando un arma-mentar io di accordature minuziosa-mente descr i t to nel l ibret to (arr ic-chi to di bel le foto, repert i d ’epoca e toccant i note) e scavando nel l ’ im-maginar io, nei r icordi , t ra amici e luoghi che non sono solo i l b lues del Del ta e gl i Appalachi . Sempre in punta di d i ta, ma sostenendosi su un approccio che lascia f i l t rare par-tecipazione, come r ivela l ’omaggio scoperto The Teething Necklace (For John Fahey) . Dai d ieci e più minut i d i movimento inter iore Free-dom Raga a l l ’ immersione profonda David And The Phoenix , passando per l ’ i ronia ant ica di Richard Nixon Orchid , una tenue tut tavia nervosa Cady e la crepuscolare Heartbreak Hi l l , non si but ta di fat t i v ia nul la in c i rca un’ora di suggest ioni , re-

gistrate pr incipalmente al la pr ima take dal l ’ot t imo Anthony Esposi-to , che del bostoniano cura anche i l suono dal v ivo. Sfoggio di genui-na mot ivazione e capaci tà tecniche mai f in i a sé stesse rendono Again-st Which The Sea Cont inual ly Bea-ts qualcosa di p iù del l ’ennesimo disco a base di chi tarra fo lk-blues, non solo in v i r tù del fat to che Jo-nes lavora con queste sonor i tà da tempi in cui cost i tu ivano mater ia da carboner ia, e di conseguenza ne maneggia abi le ogni sfumatura. Da seguire con ancor più at tenzione, al lora, megl io se facendosi a iutare dal nostro muscolo involontar io più importante. (7.3/10 )

G i a n c a r l o T u r r a

G r a n t - L e e P h i l l i p s - S t r a n g e l e t ( Z o e , 2 7 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l k r o c k A sent i re queste canzoni non si può non pensare ai pr imi due paz-zeschi a lbum dei Grant Lee Buffa-lo. I l paragone, ahinoi , è un at to di masochist ica crudel tà. Laddove quel l i sbuzzavano incubi e sogni lasciandoci stravol t i ad osservar-ne i l corpic ino straziato e t reman-te, le qui present i mol lano buffet t i , ammiccano, r ie laborano gl i amori e le ossessioni del pur bravo Grant Lee, senza mai (mai più) sguainare la lama. Ché l ’ex-bufalo pare ormai uno che si accontenta . Gioca a cambiare qualche carta in tavola, ad inventarsi i l jo l ly del g lam immischiato br i tpop - vedi i l passo denso à la Suede d i Chain Lightning e l ’eclatante sculet ta-mento Bolan d i Raise The Spir i t - oppure scior ina fascinosi stordi -ment i orchestral i come un Lennon sognato da Beck (Dream In Color ) , quando non torve romant icher ie Nick Cave aspersi d i f iddle e v i -brafono (Ki l l ing A Dead Man ) . Roba che funziona, intendiamoci . Ma che scorre innocua, spiegazza tensioni ( i Bunnymen sf rangiat i cow-punk di Runaway ) e abbandoni ( i pastel l i psych pseudo Mercury Rev d i Re-turn To Love ) senza mai affondare i l colpo. Quando però rasenta l ’ insulsaggi-ne piaciona - vedi i l s ingolo Soft Asylum (No Way Out) , t ipo gl i u l t i -mi U2 r i fat t i da Seal - quasi non ci

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si crede. Così come ad una Johhny Guitar p iù colesterolo che st ival i , o al le r imembranze Elton John /Mc-Cartney d i Same Blue Devi ls , en-nesimo boccone sdolc inato da man-dare giù. L’u l t imo, per for tuna, è So Much , una specie di Mellencamp preda di f regole Oasis . La carr iera sol ista di quest ’uomo, dopo i pr imi confortant i segnal i , sta prendendo una brut ta piega. (5.0/10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

H e t e r o S k e l e t o n – E n L a S o m b r a D e l P a j a r o Ve l l u d o ( L o a d / G o o d f e l l a s , 2 0 0 7 ) G e n e r e : f r e a k - j a z z - n o i s eHetero Skeleton è un brano di un recente album dei Butthole Surfers. Probabi lmente, anzi s icuramente, non sarà solo quel lo, ma c’è una certa aff in i tà t ra la fo l le i ronia di questo quintet to di Hels inki e l ’ ico-noclast ia dei “surf ist i del buco del culo”, da farc i pensare ad un’ ispira-zione diret ta nel la scel ta del nome. A parte le supposiz ioni , è veramen-te di ff ic i le recuperare informazioni su questa band f in landese, volu-tamente nascosta dietro immagini d issacrant i e una musica impossibi -le da def in i re senza usare la parola rumore. Ci s i chiedeva se i tentat iv i d i avvic inarsi a l rumore bianco dei Wolf Eyes potessero essere supe-rat i e come. Beh, abbiamo trovato la r isposta con questo disco, prodotto nientemeno che dal la Load, a test i -monianza del l ’ interesse crescente per i gener i “estremi” (a dir poco!) da parte di et ichette discograf iche di un certo l ivel lo (vedi Sub Pop), a l la faccia degl i interessi d i merca-to. En La Sombra Del Pajaro Vel-luto è l ’apoteosi del f reak- jazz-noi-se, ma sarebbe alquanto r idut t ivo def in i re così una musica che aspira a schiantarsi pesantemente sui t im-pani del l ’ inconsapevole ascol tatore già dai pr imi c inque secondi d i mu-sica. Nessun t ipo di compromes-so, nessuna tregua. Due brani (ma potrebbero essere dieci , duemila o cento, tanto sono indef in i t i nel la forma) in cui i l gr indcore dei Car-cass, i l f ree jazz dei Fly ing Lutten-bachers e i l noise dei Wolf Eyes si incontrano in un’esplosione di suo-ni che giocano a nascondersi g l i uni negl i a l t r i , confondendosi nel mara-

sma. Uno st i le che potrebbe r ichia-mare i l p iù estroso e punk-or iented Zorn, un al t ro grande est imatore del le soluzioni estreme.Solo quattro minut i sono concessi a l malcapi tato (se inconsapevole) ascol tatore per r i lassare le s inapsi . Nel l ’u l t ima parte di El Serpente Del Amor ( lo spagnolo sgrammaticato è una carat ter ist ica di quest ’a lbum) l ’atmosfera s i fa molto più grave e i l tempo ral lenta a dismisura dando la sensazione di una brusca frena-ta da un veicolo in corsa. Per molt i ( t ra quel l i che avranno i l coraggio di ascol tare tut to i l d isco) saranno sempl icemente dei pazzi . Qualcuno l i considererà genial i . Chi non cer-ca i l compromesso non si aspetta certo giudiz i moderat i . Loro dei g iu-diz i sembrano fregarsene al tamen-te. (7.2/10 )

D a n i e l e F o l l e r o

I s o l a t i o n Ye a r s – S i g n S i g n ( S t i c k m a n R e c o r d s / S e l f , a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : f o l k - r o c k Come al sol i to. Sono sette anni che gl i svedesi Isolat ion Years pro-pongono inal terata la loro formula fo lk-rock. Tanto quanto immutato è r imasto, purtroppo, anche quel-l ’a lone di anonimato che l i c i rcon-da. Tre buoni a lbum al le spal le, pochissimi r iconosciment i . A poco sono servi t i i l contrat to con la stes-sa et ichetta dei Motorpsycho e i l lungo tour con gl i ( International) Noise Conspiracy . Nonostante i t re album f inora pubbl icat i non ab-biano mai portato nessuna r i levante r ivoluzione nel loro suono, la loro successione è test imonianza di una

maturazione qual i tat iva costante. I l loro è un rock c lassico tanto incl ine al l ’a l t -country, quanto al fo lk, che negl i anni ha acquistato l ievi ma important i sfumature pop. A ciò non fa eccezione neanche questo nuovo lavoro del la band svedese. Addir i t -tura Sign Sign sembra r ipercorre passo per passo i l t ragi t to fat to f ino ad oggi dal la band. Si passa dal-le chiare inf luenze rock dei pr imi Wilco (Landsl ide ) a quel le psiche-del iche dei Motorpsycho (That´s Al l There Is ) , f ino al p iù c lassico rock americano personi f icato di recente da un inesaur ib i le Frank Black (The Monastery Waits ) . Come al sol i to non si respira atmosfera nordica in queste t racce. Siamo più v ic in i a cert i paesaggi ar id i e solar i t ip ic i del la west coast americana, che i l pensiero del la Svezia fa al ludere a un adul ter io bel lo e buono.Infat t i l ’unica vera novi tà r ispetto ai loro precedent i lavor i è propr io rap-presentata dal l ’episodio più svede-se e anche più r iusci to del l ’a lbum: Albino Chi ld , la canzone che apre l ’a lbum. Sembra usci ta diret tamen-te dal la penna dei loro connazional i Amandine ; dunque un folk rurale mal inconico dai toni cupi e som-messi che r inuncia a quel la compo-nente rock, costante di tut te le loro canzoni . È tut to fat to così bene, t ra tocchi d i p ianoforte, arrangiament i d i archi e di f iat i mai inopportuni , chi tarre sbarazzine che scaldano, cor i e controcant i in puro stampo country, che come al sol i to però la-scerà gl i Isolat ion Years nel semi-anonimato. Ne siamo sicur i , pur-t roppo. Più che suff ic iente. Come al sol i to, del resto. (6.5 /10 )

A n d r e a P r o v i n c i a l i

J a m i e T - P a n i c P r e v e n t i o n ( V i r g i n / E M I , 2 9 g e n n a i o 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e w h i t e b r i t h i p - h o p Jamie T è un t ipo in grado di vo-mitart i dozzine di strofe in posa post-punk con una leggera stonatu-ra reggae e accompagnarsi d i sola chi tarra, effet t in i e prat icamente nul la più. È un ragazzo acqua e sa-pone che gl i dai anche sedic i anni , un fenomeno fresco come i l p iù f re-sco Patr ick Wolf , ma a di fferenza sua e del le pose neo-classiche, al

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pop e al le compagini indie, prefe-r isce uno slaking torrenziale dove, t ra scazzo e f r izzo, s i racconta e t i racconta. È un Pete Doherty r ipu-l i to dal le droghe con tut te le levet-te energet iche al top. Par la par la e tu a seguir lo su e giù per quel le strofe che a vol te dicono nul la e a vol te quel lo che vorrest i . La luna, la metro, i l mare, Ike & Tina. Ave-re 21 anni . La scuola. Young Gir ls. I soldi e le s igaret te. Jamie te le canta e te le strof ina davant i a una TV in una scenograf ia d’apparta-mento br i t ish. Girano i canal i : c ’è i l Jamie whi te hip-hop, i l ragazzo che in r ima t i stravolge una indie song mettendoci dentro quel chiacchie-r iccio da The Streets . Disadattato? Macché. Poi c ’è i l Jamie indie-rock a cui p iacciono le basi drum’n’bass. Quel lo che t i suona come un Casio-tone For The Painful ly Alone in eu-for ia da ganja. E i l Jamie T novel lo Br ight Eyes dal fo lky ai minimi ter-mini . Quel lo un po’ Arctic Monkeys a l lunapark (Operat ion ) . Ci p iace e non poco la f reschezza che c’è qui dentro, una cathyness contagio-sa. Bal l i e ascol t i . Bass e reggae. Ascol t i e bal l i . Perché di ff ic i lmen-te in tanta var ietà t i v iene i l dubbio che dietro al la T c i s ia i l poco dei fenomeni di p last ica. Prendete pure Shei la , la più c lassica base tum-tum-cha-tum-cha e i l p iù t ip ico whi-te hip hop anni 90, una bal lata buo-nista da r ise up del ghetto in mano al nerd, nossignor i lo scarto di voce (scherzi , l ’ugola cartoon, una diz io-ne indie), e i tocchi cazzoni degl i ospi t i nel backstage bastano a far la di fferenza. Quest ione di poco es-ser se stessi . Stato di grazia che r ibussa al la porta in Calm Down Dearest , ruff iano i l r i tornel lo, ma

geniale quel lo s laking soul s imi l -Cocorosie (quel le di ora). I l v ideo casal ingo poi , che più disarmante non si può, completa i l quadret to e non resist iamo al la s impat ia, a l l ’ac-cortezza del l ’arrangiamento che quando si t rat ta del canto c i sei , e quando in bal lo c ’è una produzio-ne al la buona ci fa i , hai vogl ia. Noi facciamo che gl i d iamo (7.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

J o h n C a l e - C i r c u s L i v e ( E m i / C a p i t o l , 2 2 f e b b r a i o 2 0 0 7 ) g e n e r e : l i v e , r o c kNon poteva essere che questo lo sbocco naturale del la r inata fase rock di Cale, tornato da tre anni a questa parte ad imbracciare la sei corde e a fars i accompagnare da un’aff iatata rock band, come ai bei tempi di Sabotage / Live (1979) e John Cale Comes Alive (1983). Ecco quindi un’operazione corposa (2 cd e un dvd) che cattura questo momento del la carr iera del gal lese nel la sua dimensione ideale, ovve-ro i l l ive act (momento ancora in at to, t ra l ’a l t ro: i l Circus Live Tour sta toccando propr io in quest i g ior-ni i l nostro Paese). Non si pensi però a un classico album rock dal v ivo: esecuzione, missaggio e pro-duzione sono quel le di un lavoro in studio.Cosa troverete al lora in questo di -sco? Anzi tut to, ogni possibi le con-ferma r iguardo ciò che sol i tamente s i d ice del l ’ex Velvet : ar t is ta in con-t inuo movimento, sempre mosso da nuovi st imol i , sempre un passo più avant i r ispetto cert i suoi coetanei ( tacendo di col leghi p iù giovani) . In questo caso, più avant i persino di se stesso ( ! ) : le canzoni del l ’u l t imo Black Acetate (2005) appaiono qui r iarrangiate e t rasformate, anche drast icamente, mettendo ancora più in mostra l ’e lemento r i tmico e l ’aggressiv i tà rock del le chi tarre, nel la r icerca di una via caleiana a l funk bianco (su tut te, Woman ; men-tre manca al l ’appel lo l ’u l t imo sin-golo inedi to, Jumbo In The Modern World ) . A questo s i aggiunga la r iv is i tazio-ne e t rasf igurazione di quarant ’an-ni d i personale stor ia musicale al la luce del la contemporanei tà ( la sua contemporanei tà) , che rende Cir-

cus Live assolutamente at tuale e moderno, ol t re che straordinar ia-mente compatto nel lo st i le. Venus In Furs , in questa versione, sembra davvero scr i t ta ier i - con tut to r i -spetto per le rese del col lega Reed - nonostante i l cert i f icato di nasci-ta reci t i 1966; lo stesso dicasi per i r ipescaggi a l vetr io lo dal per iodo più selvaggio e incompromissor io del la carr iera, quel lo di metà ’70 (Helen Of Troy , Save Us , Dirty Ass Rock’n’Rol l , Cable Hogue , Walking The Dog ) , mentre l ’accostamento coraggioso e iconoclasta Femme Fatale / Rosegarden Funeral Of Sores la dice tut ta su come questo art ista s i rapport i a passato, pre-sente e futuro. Fra scint i l le electro, sampler e chi tarre (ora graff iant i , ora blues), cambi drast ic i d i ca-denza e atmosfera, moment i d i im-provvisa quiete e sequenze sempre suggest ive (vedi la sui te registrata ad Amsterdam che chiude i l cd2), questa è una celebrazione, e insie-me un nuovo e importante tassel lo di un percorso art ist ico dal le poten-zial i tà ancora inesplorate. (7.5/10 )

A n t o n i o P u g l i a

K h a n - W h o N e v e r R e s t s ( To m l a b / A u d i o g l o b e , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : s o u l - f u n kSol i t i escamotaggi : voce soul , i l dub ovunque, bianco su nero. E Can Oral , noto giramondo ( tanto che è di ff ic i le anche capire la nazional i tà dei geni tor i ) , a r icorre i sol i t i not i per fare un sunto divergente del le sue esper ienze plur id i rezional i .Giunto al quarto disco, Khan decide di chiudere con le osannate espe-r ienze techno del suo passato (una su tut te, in senso relat ivo ma an-che un po’ assoluto, g l i Air Liqui-de ) , cambia et ichetta (da Matador a Tomlab) e s i lancia nel le mode del momento, cercando di dare prova del la propr ia abi l i tà professiona-le nel destreggiarsi con tut to (e i l passo coinvolgente di Excommuni-cat ion sembra dargl i ragione). Le tendenze sono nere, o quel modo bianco di r i leggere le inf luenze black, sono strat i f icazioni da c lub di moment i b lues e funk ( I Got To ) , tempi quasi breakbeat (Str ip Down ) da far ondeggiare i present i , chiose ragga-muff in al dub (Satan

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G e t a t c h e w M e k u r i a & T h e E x & G u e s t s – M o a A n b e s s a ( Te r p R e c o r d s , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : n o i s e j a z zC’era una vol ta un vecchio leone del sax, autent ico monumento del jazz et iope da sessant ’anni a questa parte. E c ’era una vol ta una band olande-se, nota ai p iù per la scel lerata at t i tudine impro-noise. Accadde che s’ in-contrarono e decisero di far scontrare v ive – dal v ivo - le apparentemente i r r iducibi l i d iversi tà st i l is t iche, t imbr iche, cul tural i , poet iche. Forse fu i l brodo di col tura, un jazz che in un modo o nel l ’a l t ro obbediva a spasmi selvat ic i ed empit i l iberator i , o forse fu i l lubr i f icante degl i ot toni e degl i organi chiamat i a completare l ’organico, fat to sta che i l marchingegno funzionava. Cigolando e rombando come se le ruote dentate non col l i -massero a dovere, s l i t tando di lato e sbuffando la fat ica stessa di suonare plausibi le. Ma: funzionava. E c’era, t ra quei ghigni f rastagl iat i , t ra le vampe squi l lant i , t ra gl i stral i bop e i col lassi f ree, t ra i fantasmi swing, dix ie e jungle, nel le occasional i invett ive a cuore aspro, tut to un movimento in avant i e di lato che forzava la cassaforte del la l ibertà avvi l i ta, v io lata, negata. La l ibertà di un popolo, forse, d i possedere le chiavi del propr io dest ino. O, se prefer i te, la l ibertà che la musica a vol te pretende d’ incarnarsi secondo l ’estro e in spregio d’ogni coordinata. Al punto che quei mot iv i et iopi f in i rono col somigl iare a raff iche Parker o esacerbazioni Nick Cave o bai lammi Mingus o i r idescenze June Of ’44 o funeral i Ell ington o nevrastenie Negu Gorriak o stral i Stooges . Tutto assieme, forse. Magari .Accadde, è accaduto. Non molto tempo fa, prat icamente ier i . Ce lo racconta questo disco, gioioso e torvo, oscu-rato da nubi punk/blues e spasmi funk, a l leviato dal respiro d’un jazz f rondoso e terr igno. Come un colore che non sei abi tuato a vedere ma che è sempre esist i to. (7.6 /10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

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Backwards ) . Addir i t tura r i ff b lues hendr ix iani (Take I t Out On Me) .Un momento: può un produttore tut tofare come Can Oral fare al -t ro? Potrebbe, se decidesse di fare dischi sol ist i . Tanto più che Khan sembra aver def in i t ivamente scel to i l “ rock” ( le v i rgolet te sono pinze) come mezzo di espressione perso-nale, v isto che, per la pr ima vol ta, non si aff ida a turnist i a l la voce, ma ut i l izza la propr ia, la r iscalda e ingagl iardisce ( in Golden Dawn fa l ’anel lo mancante t ra la chi tarra r i t -mica funky e un basso che avrebbe potuto martel larc i i l cervel lo a casa di John Lydon).A cont i fat t i , però, questo - come gl i a l t r i suoi - r imane i l d isco di un pro-duttore, che fa sfoggio del la propr ia bravura e la antepone a un proget-to musicale. C’è di nuovo che per quanto r iguarda Who Never Rests i l r isul tato convince. (6.5/10 )

G a s p a r e C a l i r i

K i t – B r o k e n Vo y a g e ( U p s e t T h e R h y t h m / G o o d f e l l a s , 9 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e f r e a k r o c kUno spl i t con I portentosi Wives (PPM, 2003), uno con gl i eroi del momento Deerhoof (Narnack, 2004) ed un ul t imo con Captain Ahab & Rose For Bodhan (Hug Li fe, 2005) non possono che essere un ot t imo bigl iet to da vis i ta per un gruppo come Kit . Americanissimi - è faci le immaginar l i sedurre l ’ intel l ighenzia del sot tobosco statuni tense come un t ipo di stampa europea - i quat-t ro ragazzi d i Oakland, Cal i fornia, nel l ’esordio discograf ico per la londinese Upset The Rhythm (ot-t ima agenzia di booking, ol t re che et ichetta dotata di un curr iculum

di tut to r ispetto) assecondano lo sfogo di uno scassat issimo indie rock che copula sguaiatamente con noise s labbrato ed effet t is t ica r i -gorosamente low f idel i ty (Tethered Wing, Fake Broken Legs , Forest ) ; no wave spast ica ed esagi tata (Flat Earth , Star Sign , Fixed Compass ) ; f ree jazz anarcoide per strument ist i a l le pr ime armi (Maps , Star Sign ) . Sì che pare ta lvol ta di t rovarsi a l cospetto di una versione pop dei Blood Brothers , ta la l t ra di esse-re in compagnia degl i u l t imi Black Eyes in f issa con i l f ree; sempre comunque con l ’ombra dei God Is My Co-pilot ad osservare dal l ’a l to con espressione sorniona. I l tut to r isul ta a t rat t i indisponente, persi -no fast id ioso ( le stonature a tut t i i cost i in Naut ical Lament ) : ma an-che grazie ad una predisposiz io-ne innata per la melodia ( la press sheet l i def in isce “a super-melodic exper imental rock band from Oak-land, Cal i fornia) faranno senz’al t ro v i t t ime presso certuni segment i d i pubbl ico - i l cui pr imo pensiero sarà quel lo di andare a v is i tare la pagi-na MySpace dedicata al gruppo. (6.0/10 )

V i n c e n z o S a n t a r c a n g e l o

L a u r a Ve i r s – S a l t b r e a k e r s ( N o n e s u c h / Wa r n e r, 2 6 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e - r o c kDopo il considerevole Year Of Me-teors (Nonesuch, 2005), la folkster Laura Veirs continua a sorprendere. Terzo album per la sussidiaria della Warner, Saltbreakers è, ancor più compiutamente del predecessore, un compendio ormai ampiamente matu-ro della sua musica. Muovendosi in un ampio territorio situato tra folk-rock, rhythm & blues, elettronica e indie-pop, accompagnata dai f idi di sempre (tra cui i l bassista/chitarri-sta nonché songwriter Karl Blau e i l batterista produttore Tucker Mar-tine), realizza una sorta di concept stratif icato, che si nutre avidamen-te della sua passione letteraria e di quella per i l mondo naturale, marino e astrale in particolare. Ecco allora che a partire dal t itolo (che indica le onde del mare) le metafore naturali visualizzano un mondo di immagi-ni che da un lato ci riportano con-

cettualmente all ’universo l iquido di Rock Bottom di Robert Wyatt, dal-l ’altro esprimono compiutamente le sue passioni; la letteratura in primis, da cui scaturisce l ’amore per le la vividezza delle immagini (derivatale anche dalla l ingua cinese, sua anti-ca passione). E ritroviamo infatti co-piose citazioni nel disco, dal porto-ghese José Saramago (nel realismo magico dell ’ indie-rock di Don’t Lose Yourself ) al Moby Dick di Melville (citato in Ocean Night Song, bal-lad evocativa con la viola di Eyvind Kang), in un rimando di immagini che hanno per motivo conduttore i l mare (e le onde), e i misteri che cela, richiamando fluttuazioni inte-riori profonde. I testi infatti questa volta sono personali, r if lettendo più

da vicino vicende autobiografiche. Musicalmente i l disco segna anche un più marcato interesse per le ra-dici della musica americana, come in To The Country (una ninnananna country-gospel) registrato nella stes-sa cabina di regia di Johnny Cash e June Carter a Hendersonvil le, in Tennessee e nel rhythm & blues del-la immaginifica t i t le track, tra clap hands e contrappunti corali di tutta la band. Dal suo universo di meta-fore colte e immagini vivide, Laura Veirs compone così un affresco com-posito, confermandoci i l suo stato di grazia. (7.3/10)

Teresa Greco

L o u B a r l o w ( a s S e n t r i d o h ) – M i r r o r T h e E y e E P ( A c u a r e l a , f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : f o l k , l o - f iUlt imamente i l buon Lou Bar low non si sta facendo mancare niente, ma propr io niente. Non gl i bastano le prof icue reunion di Dinosaur Jr.

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 9

e Sebadoh ( in tour negl i States in quest i g iorni) , t rova persino i l tem-po per scr ivere ed incidere c inque canzoni tut to da solo, r ispolverando per l ’occasione i l vecchio moniker che era sol i to usare in s i tuazioni come questa, Sentridoh . Mirror The Eye r iparte da dove lo aveva-mo lasciato un paio d’anni fa, da quel l ’Emoh che nel la sua fragi l i tà acust ica t rovava una compiutezza (quasi) def in i t iva; o l t re a r ipren-derne i l mood pacato e r i f lessivo in Yawning Blue Messiah e You’re A Goat , Lou si d iverte ad intorbi -dire i l suo ormai carat ter ist ico in-t imismo folk con sconcezze lo- f i d i fondo, vedi Faith Def ies The Night e la t i t le t rack che r iportano dr i t -te ai tempi di Bubble And Scrape (1993) e dei pr imi esper iment i dei Folk Implosion. I l preludio al nuovo – e ormai probabi le - a lbum dei Se-badoh? (6.8/10 )

A n t o n i o P u g l i a

L o v e O f D i a g r a m s – M o s a i c ( M a t a d o r / S e l f , 9 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e - m a t hCi hanno fat to tanto at tendere, g l i austral iani Love Of Diagrams , per i l loro terzo disco, Mosaic ; a lun-ga at tesa, lunga soddisfazione, po-tremmo ipot izzare. A buona produ-zione ( i l d isco è stato registrato a Chicago da Bob Weston degl i Shel-lac), a l t ret tanta godur ia, s i potrebbe aggiungere. In effet t i l ’a lbum è suf-f ic ientemente appagante, soprat tut-to per i l basso, che, pieno e musco-loso, t rascina l ’organico - vogl ioso di r iprendersi l ’eredi tà che t i ra una l inea rumorosa tra Jesus Lizards e math-rock tut to, incatt iv i ta dal la New York “No” (quest ’u l t ima, man-co a dir lo, c i tata dal la compagine di Melbourne come madre putat iva). Accanto a esso si aff i l ( i )a la batte-r ia, a comporre una sezione r i tmica inconfondibi le. Detto questo, l ’ im-pressione è che però in Mosaic c i s ia qualcosa di molto più t radiz io-nale dei geni tor i , d i p iù v ic ino al la mediana di percorrenza del rock. La conferma si nasconde dietro a una descr iz ione completa. Anal iz-zando la chi tarra, infat t i , non sarà di ff ic i le cogl ierne la diment icanza – forse volontar iamente – del la le-z ione chicagoana. Sempl icemente,

la chi tarra fa la chi tarra sol ista. Ma la maggiore discr iminante sono i vocal izzi melodic i femmini l i , a metà t ra i l d istacco di Siouxsie (e quel per iodo r i torna nel l ’ennesima r iproposta del passaggio Warsaw -Joy Division d i Al l The Time) e i l coinvolgimento dei Pixies ; e s i f i -n isce per rendere vano ogni sforzo matemat ico del lo spezzettamento r i tmico (Single Cable ) . Forse al lora in questo disco è in at to un espe-r imento interessante; sot to i l f into nervosismo, c ’è un progetto pop-rock con mezzi tendenzialmente ru-morist i , un po’ incatt iv i to, ma sotto la sovrastrut tura, le sol i te strut ture. I l r ischio, in quest i casi , è che i r i -sul tat i s iano meno interessant i dei proposi t i . (6.0/10 )

G a s p a r e C a l i r i

M a t t h e w H e r b e r t – S c o r e ( ! K 7 / A u d i o g l o b e , 2 6 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s o u n d t r a c kQuando Matthew Herbert c i s i met-te è capace di t i rar fuor i dal suo repertor io di tut to. Questa vol ta, a distanza di nemmeno un anno dal-l ’u l t imo Scale , s i presenta con un sunto di tut to l ’estro messo al ser-v iz io del dorato mondo del c inema per un arco di tempo che copre i d ieci anni . Ma, at tenzione, non le mega produzioni hol lywoodiane, bensì piccol i f i lm indipendent i , p iut-tosto che spettacol i teatral i o cor-tometraggi , partor i t i da un’Europa che in quest i d ic iassette brani pro-fuma di Mediterraneo. Pensate al -l ’Herbert d i Goodbye Swingtime in vacanza in Spagna oppure invest i to dal la s indrome di Stendhal a l Lou-vre di Par ig i e v i sarete avvic inat i a l le atmosfere di Score . La magni-loquenza disperata di Funeral , len-

ta e melanconica i l g iusto per sot-to l ineare una scena drammatica, oppure lo swing impastato di e let-t ronica di Running From The Cre-di ts , con signore in abi to da sera e s ignor i impomatat i , e la gigantesca sala da bal lo di Rivol i Shuff le , su cui non ci d ispiacerebbe immagina-re un Fred Astaire fare uno dei suoi numeri , magari insieme al Frank Si-natra di Singing In The Rain , qui in versione aggiornata 2050. Finendo al l ’a lba con i l tango struggente e appassionato di Cafe De Flore (Tr io Repr ise) , che lascia per strada le vest ig ie lounge di cui l ’aveva r ico-perto Doctor Rocki t facendone una hi t . Non un nuovo e imprescindibi le lavoro, ma un al t ro tassel lo da ag-giungere a quel complesso puzzle di nome Herbert . (6.8/10 )

Va l e n t i n a C a s s a n o

M a x i m o P a r k – O u r E a r t h l y P l e a s u r e s ( Wa r p / S e l f , 1 3 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e , w a v e , p o pCome si comportano i c inque di Newcast le al secondo album, ov-vero la ghigl iot t ina che in questo in iz io 2007 ha già fa lc iato Bloc Par-ty e Kaiser Chiefs, Rakes e Arct ic Monkeys (vedi rece a in iz io sezio-ne )? A fronte di A Certain Trigger , esordio car ino ma non part icolar-mente esal tante di due anni fa, i Maximo Park sembrano aver mante-nuto quel p ig l io or ig inar io che al lora ce l i faceva appar i re f reschi quanto basta, anziché subire – come i nomi c i tat i sopra - un pesante resty l ing da parte del la produzione (che, in ogni caso, ha i l suo peso: Gil Nor-ton , g ià negl i annal i per i l suo lavo-ro coi Pixies ) . E a questo punto s i potrebbe anche r ivalutare la fat ica precedente, se i l suo lasci to sono fragrant i power pop al la Jam / Ultravox! come Gir ls Who Play Guitars o The Unshocka-ble ; a l contempo, Paul Smith e i suoi cercano di superare la formula imboccando la strada del la bal lata indie-wave, segnando una buona manciata di punt i con le v ibrazio-ni Smiths / R.E.M . d i Nosebleed e Books From Boxes e le dolcemente eight ies Your Urge e Sandblasted And Set Free , mentre certe l i r iche acute e f iccant i fanno degnamente

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i l loro lavoro. I l s ingolo Our Veloci-ty , con le sue parodist iche movenze Devo , a l la luce del l ’ intero set pare più un depistaggio (o l ’estremo

sber leffo emul , fate voi) , così come A Fortnight ’s Time , che pure con-ta su un r i tornel lo di s icura presa; perplessi tà sorgono piut tosto quan-do spuntano inat tesi vocal izzi a l la Eddie Vedder (Russian Li terature , Paris ian Skies ) o f lash emo (Karao-ke Plays ) ; roba da sgranare gl i oc-chi a l l ib i t i , ma sono solo at t imi , in fondo. Fatt i due cont i , Our Guilty Pleasures smuove le acque quanto basta, aggiungendo prospett iva, i l che non guasta mai. Non si poteva chiedere di megl io ai Maximo Park, a ben pensarci… (6.7/10 )

A n t o n i o P u g l i a

N a d a – L u n a i n p i e n a ( R a d i o f a n d a n g o / E d e l , 2 m a r z o 2 0 0 7 ) g e n e r e : r o c k d ’ a u t o r eQuel “deun deun deun” onomato-peico che i r rompe su Luna in piena come un fol le emissar io del caos r i -marrà a lungo nel la memoria degl i spettator i d i Sanremo, s ia di quel l i che hanno apprezzato la coerenza del la cantante nel portare in r iv iera una canzone che nul la concedeva al la platea nazional-popolare s ia di quel l i per i qual i quel la dissonan-za faceva del brano una schi fezza e basta (ahimé esistono, e tengo-no anche blog). Nada, insomma, ha r ibadi to sul palco più popolare d’ I ta l ia che ormai i l suo percorso musicale l ’ha portata al t rove, verso un rock post-anni ’90 con un piz-z ico di I ta l ia nel le melodie: non a caso ha chiamato non solo Cristi-

na Donà per la serata dei duett i , ma anche i l suo chi tarr ista Lorenzo Cort i ad arrangiare un disco che, meno “educato” nel suono r ispetto a Dove sei sei ( i l suo preceden-te Fest ival , 1999), meno var io di L’amore Ë fort issimo… , ammorbi-disce di poco le informal i chi tarre Par ish- iane del precedente Tutto l ’amore che mi manca e di n iente i l mood dominante dei suoi d ischi da quando ne è diventata autr ice, ovvero una rabbia innocente me-scolata a dis incanto sornione.Già, perché se certe cose del mon-do cont inuano a far t i schi fo le i r -requietezze non passano con l ’età, così come una certa innocenza trova sempre la forza di tornare a sperare e combattere anche dopo le delusioni , che tut t ’a l p iù lascia-no tracce di consapevolezza amara e insieme sorr idente in un vocione già basso ai tempi del l ’esordio nel ’69: s i sentono infat t i i 30 e ol t re anni che div idono i l t imbro con cui nel ’73 cantava la c iampiana La passeggiata da quel lo odierno del-la splendida Pioggia d’estate che

ne r iprende l ’atmosfera. E per non

sbagl iars i , Tutto a posto r ibadisce senza mezzi termini che l ’autr ice non è paci f icata affat to: “a posto un cazzo”, se è una r isposta al Bob Marley di No Woman No Cry , è poco elegante ma di indubbia chiarezza).

Così, dopo una t i t le- t rack che sta convertendo i perplessi , t roviamo tra r i fer iment i ed inf luenze padro-neggiat i con mano salda, la pigr iz ia f r icchettona di Distese , g l i ammic-cament i b lues de I l sole è grosso , i l lo- f i de L’at taccapanni e gl i echi del la f loydiana Money in La ver i tà , mentre Combinazioni ( t ra Reed e CSI ) chiude i l cerchio r iprendendo quel “daun daun” già r iarmonizza-to sul f inale del brano sanremese. L’ insol i ta incursione nel lo st i le-Pra-vo di Niente più chiude un disco che conferma la piena salute di una musa che ormai fa come le pare, a Sanremo o nel l ’ indie. (7.0 /10 )

G i u l i o P a s q u a l i

B u r n i n g S t a r C o r e – B l o o d L i g h t n i n g ( N o F u n P r o d u c t i o n s , m a r z o 2 0 0 7 )R e l i g i o u s K n i v e s – R e m a i n s ( N o

F u n P r o d u c t i o n s , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : n o i s e , d r o n e r o c k

Parlavamo del la s ig la No Fun pochi mesi fa, in occasione del l ’usci ta del doppio DVD contenente le gesta del fest ival noise di Brooklyn. No Fun è ora anche un viat ico discograf ico per le malsane puls ioni sonore di a lcuni dei soggett i p iù f reak (out) del la scena underground america-na. Burning Star Core a l secolo C. Spencer Yeah è un col to fur-bacchione che decide volutamente di tuffars i nel la discar ica per r ina-scere a nuova vi ta. La sua musica r icorda le instal lazioni d ’ar te con-temporanea fat te con i mater ia l i d i scarto. Nel caso speci f ico feedback e drones sono gl i e lement i d i cui s i serve per aff rescare desolat i pano-rami urbani . A dispetto del conte-sto, nel la maggioranza dei casi , le arcate di suono rei terato che pro-getta hanno anche diverse qual i tà musical i che si prestano al p iacere del l ’ascol to. Non è Prurient per in-tenterci . Di fat t i v iene sempre f ic-cato nel calderone del f ree noise contemporaneo ma se ne distanzia puntualmente. Anche questo disco, in assoluto uno dei suoi migl ior i , v ive del lo stesso equivoco. Basta però lasciarsi t rascinare dal le ma-reggiate di feedback mandato in loop, dal le rei terazioni manipolate f ino al la car icatura (A Curse On The Coast sembra in ta l senso un pezzo dei pr imi Swans ra l lentato f ino al -l ’eccesso) e dal le urt icant i p ianure di noise che anziché fare male cau-sano assuefazione ( i 13 minut i e passa di The Universe Is Designed To Break Your Mind ) , che lo rendo-no, in questo, molto s imi le a cert i Double Leopards . Propr io quest i u l t imi sono poi la radice for te che al imenta gl i autor i del l ’a l t ra usci ta del la No Fun Product ions, i Reli-gious Knives . I l legame è diret to perché due terzi del la band, Maya Mi l ler e Mike Bernstain, vengono propr io da l i . Completa i l t r io Nate Nelson dei Mouthus . Se i Double Leopards non dovessero fare più dischi sarebbe una brut ta perdi ta. A maggior ragione che f ino ad ora la maggioranza del le f i l iazioni pro-dotte, Zaimph e GHQ per esempio, sono sempre valse i l prezzo del b i -g l iet to. I Rel ig ious Knives però mi

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M o n t a – T h e B r i l l i a n t M a s s e s ( K l e i n R e c o r d s / A u d i o g l o b e , f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e - p o pMonta? Chi mai sarà? Domande leci te sì , ma decisamente fuorviant i . Per-ché qui c iò che conta è la musica, ed essa sancisce sin da subi to che ci t roviamo di f ronte ad un disco pop di tut to r ispetto: raff inato, morbido e int imista al punto giusto. Dodic i canzoni che par lano da sole. Non ci sa-rebbe al t ro da aggiungere. Ma se ci d i lunghiamo è sol tanto per rendere onore al l ’ar tef ice di s i ffat ta musica, cercando di contr ibuire in parte a confer i rg l i f inalmente quel la meri tata v is ib i l i tà che gl i spetta di d i r i t to. È i l tedesco Tobias Khun – ex chi tarr ista e cantante dei Miles – l ’unico t i -to lare del progetto, che già da quattro anni s i c imenta in sol i tar ia sot to la s ig la Monta. Nel 2003 gl i bastò sol tanto scavalcare i l conf ine per t rovare nel l ’austr iaca Klein Records una f idata e lungimirante et ichetta pronta a pubbl icare con solerzia ogni sua usci ta. Where Circles Begin (2004), i l suo precedente album d’esordio aveva già mosso posi t ivamente la cr i t ica. Ma l ’eco mediat ica non fu suff ic iente a far incensare giustamente l ’a lbum. I l quale r imase così piacere di pochi e let t i . The Bri l l iant Masses r iunisce in sé i l megl io del la musica pop indipendente, non negando però neanche una certa propensione verso una classic i tà di fondo. Si va dal le più nobi l i e intramontabi l i inf luenze br i tanniche a quel le più soffer te e sporche del l ’underground statuni tense, passando da un certo fo lk cantautor ia le di u l t ima generazione. I l tut to f ru l lato e r iproposto or ig inalmente grazie a una r iusci ta alchimia s intet ica tanto immediata quanto f ig l ia di un profondo lavoro di r icerca sonora. Khun r iesce magnif icamente a giocare dialet t icamente con le dicotomie di p ieno e vuoto, leggerezza e profondi tà, solar i tà e cupezza, da rendere l ’a lbum di faci le e confor-tevole ascol to. In più di un’occasione vengono a mente i Beatles , Ell iott Smith , i Notwist g l i Sparklehorse e non ul t imi i Death Cab For Cutie , soprat tut to per la somigl ianza vocale con Ben Gibbard . Infat t i canzoni come Capitulate , Good Morning Stranger e Homecoming , debbono molto a ta l i marcate inf luenze. Ma la bravura di Khun sta propr io nel non far pesare cert i inf lussi grazie ad una personal issima giustezza st i l is t ica con la quale cura ogni part icolare. I l suono non è mai sovraccar ico, ogni sua componente sembra sempre ben dosata e ben misurata da non far registrare alcuna caduta di tono. È propr io l ’essenzial i tà con la quale Monta costruisce i suoi mosaic i pop a rapirc i dolcemente. Come avviene prontamente nel la del icat issima e struggente Everything e nel la più immediata e t rasportante How Does I t Feel , s icuramente gl i episodi p iù r iusci t i . Undic i canzoni leggere, che si muovono in punta di p iedi abbeverando la nostra sete di faci l i ma toccant i ascol t i che assecondino teneramente le nostre giornate. (7.8/10 )

A n d r e a P r o v i n c i a l i

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sembrano di gran lunga i migl ior i . Di fat to tut ta l ’ur t icante foresta di drones e note sostenute che al i -mentava la musica dei Leopardi qui v iene cancel lata in partenza. I t re s i lasciano inghiot t i re senza paura in lunghissimi e al lucinat i corr idoi d i esoter ismo kraut, con tanto di organo e vocal izzi lugubr i con la Mi l ler impegnata ad esorcizzare i l demone di una Nico andata com-pletamente a male. Remains rac-cogl ie le pr incipal i t i rature l imi tate pubbl icate negl i u l t imi due anni e l i r iunisce nel pr imo disco vero e propr io. Davvero encomiabi l i per i l cuore (nero) rétro che gl i fa battere i pols i . (7.5/10 )

A n t o n e l l o C o m u n a l e

P o l a – S e l f T i t l e d ( I o n i k R e c o r d i n g s , 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e t r o n i c aCapovolgere le lat i tudini . Riscr ive-re le geograf ie dei suoni . Mettere un piede in America, lasciarne un al t ro a Ber l ino e custodire i l cuore a Catania. E poi mostrare al mon-do i l r isul tato. Con talento. At t i tu-dine. Classe. Tre ingredient i che fanno di questo disco – l ’esordio sul la lunga distanza di Pola – un piccolo gioiel lo sbucato al l ’ improv-viso dal la scena indipendente. La mente che si cela dietro la s ig la del progetto è i l catanese Tazio Iaco-bacci , g ià batter ista degl i splendidi Tellaro . Con i qual i in questa av-ventura sol ista condiv ide almeno un paio di e lement i . La musica, in-nanzi tut to. Quel l ’ indietronica che ormai sembra non uscire più tanto bene ai legi t t imi creator i ( i tedeschi che ruotano intorno al la zona Morr) e i cui semi stanno cominciando a germogl iare in I ta l ia. E poi i l dest i -no meramente discograf ico. Come i l gruppo-madre, anche Pola non ha trovato al loggio t ra le et ichette indipendent i i ta l iane. E se la band di Setback On The Right Track s i è accasata presso la teutonica 2nd Rec ( la stessa che distr ibuisce in Europa gl i a lbum dei Giardini Di Mirò) , i l cd eponimo di Iacobacci ha v isto la luce grazie ad una piccola indie statuni tense, la Ionik Recor-dings. E meno male che almeno gl i americani hanno visto giusto. Per-ché i l lavoro è notevole, e per cert i

versi sorprendente. Rispetto al le mal inconie atmosfer iche dei brani contenut i a l l ’ interno del quinto volu-me di Po Box.52 (una ser ie di spl i t pubbl icat i nel corso del 2003 dal la Wal lace), infat t i , Pola v i ra con de-cis ione verso si tuazioni p iù r i tmate e pop, pur mantenendone l ’approc-cio raff inato. Coadiuvato in qualche episodio dal la voce appassionata di Francesco Cantone dei già c i -tat i Tel laro, Iacobacci confeziona sette canzoni che, se non mostra-no nuove vie e nuove traiet tor ie per l ’ indietronica, rappresentano co-munque un’ indispensabi le boccata d’ossigeno ad un t ipo di suono che molt i ormai considerano ad al t iss i -mo r ischio di ossidazione. Ma forse i l problema sono sol tanto le idee che lat i tano, non gl i strument i usat i per espr imerle. (7.0/10 )

M a n f r e d i L a m a r t i n a

P o l e - S t e i n g a r t e n ( ~ s c a p e / A u d i o g l o b e , 5 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : e l e t t r o n i c a , d u b , g r o o v eLo sguardo è più scopertamente r ivol to al mondo dance (di ier i ) , eppure s i basa (a tut t ’oggi) sul la scuola “spezzetta e r icomponi” dei To Rococo Rot. Al lo stesso modo del t r io ber l inese, Betke compi la mid-tempo quadrat i centel l inando gl i effet t i , cospargendo l ’ar ia di una straniante ant i -psichedel ia gigiona e domest ica, con un occhio r ivol to al groove e uno al l ’e l io. La part i ta è t ra stat ico e dinamico: te lecamera f issa e scenar io in movimento con qualche sporadica interferenza, un gioco di layer ing fat to di in & out di l inee minimal, unguent i speziat i , in-tars i noise (di chi tarra specialmen-te). E ogni brano si carat ter izza

così, a l lo stesso modo, insinuan-do una sf ida latente al l ’ascol tato-re e cat turandolo in f in dei cont i , s ia at t raverso l ’accatt ivante gioco r i tmico (dub-breakbeat-groove) s ia grazie al l ’uso br i l lante del lo humor t ip ico deutch . Manca magari i l mo-mento c lou in Steingarten , eppure è uno di quegl i a lbum che t i pren-dono a lato, lasciando democrat ic i margini per i l sot tofondo. L’obbiet-t ivo, del resto, è l ’ intrat tenimento da salot to. E Betke sa esattamen-te come girano gl i umori e le ten-denze del “set tore”. Buono ma non buonissimo. Intel l igente con troppa consapevolezza di esser lo. Ad ogni modo… (6.8/10 )

E d o a r d o B r i d d a

P o w e r h o u s e S o u n d – O s l o / C h i c a g o : B r e a k s ( A t a v i s t i c / Wi d e , 2 0 0 7 ) G e n e r e : j a z z - f r e e i m p r o v i s a t i o nKen Vandermark, assieme a Mats Gustafsson si conferma tra i jazzist i più interessanti di questi anni. Pote-re del jazz, musica afro-americana paradossalmente e inaspettatamen-te evoluta tra l ’America e le zone più fredde d’Europa. A suggellare que-sto splendido stato di forma degli improvvisatori europei è l ’et ichetta Atavist ic, divenuta ormai casa co-mune dei f i loni più sperimental i sia del jazz che del rock, rappresentati in I tal ia dai romani Zu , ormai (grazie anche al lavoro di questa label) tra i nostr i rappresentanti più degni a l i -vel lo internazionale. Oslo/Chicago: Breaks inaugura i l nuovo progetto di Vandermark, una doppia forma-zione che si divide tra la Norvegia e gl i U.S.A. Due album registrat i in due anni diversi, che provano a dare un nuovo volto al jazz parten-do da presupposti completamente diversi r ispetto al la tradizione. Tre sono i pi lastr i musical i attorno ai qual i Vandermark organizza le due formazioni, diverse in tutto tranne che per la presenza, oltre che del suo inconfondibi le sax, del bassista elettr ico Nate McBride: la potenza r i tmica del funky di James Brown , i l dub di Lee “Scratch” Perry e l ’ idea di col lage dei Public Enemy . Tre diversi modi di intendere l ’evo-luzione del la musica afro-americana nata dal blues e dal jazz classico e

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divenuta un l inguaggio sempre più universale. Se i l set strumentale registrato a Oslo (e datato giugno 2006) trova i l suo marchio dist int i -vo nel la presenza dei suoni elettro-nici manipolat i da Lasse Marhaug, che conferiscono al la musica una miscela elettro-acustica del tutto part icolare, nel la parte dedicata al le session chicagoane (basate, sul la carta, quasi sugl i stessi material i del la precedente e registrate l ’an-no prima), è la presenza del chitar-r ista Jeff Parker (già nei Tortoise) a dominare la scena. Ma se questi sono i tratt i dist int ivi , non mancano i punti fermi. Le inf luenze musical i sopraccitate orientano la composi-zione verso una musica inconfondi-bi lmente centrata sul basso, prat ica estranea al la t ipica costruzione jaz-zist ica “from the top down”, che re-lega in secondo piano la sezione r i t -mica. L’ improvvisazione l ibera trova l infa vitale nei r i ff del basso, gene-randosi e r i-generandosi attraver-so semplici e brevi motivi melodici per poi naufragare nel l ’ ispirazione

dei musicist i . Nul la di caotico, anzi. Una compostezza che r icorda i l da-visiano Bitches Brew , più che le orge sonore di Free Jazz di Ornette Coleman . Forse è proprio in que-sta idea di ordine che Vandermark si dist ingue dal più anarchico Gu-stafsson. Tante le dediche (una per ogni brano), anch’esse con lo scopo di tratteggiare gl i or izzonti ispirat ivi del le due formazioni: immancabi-le Miles Davis (2-1-75), padre del jazz-rock, ma c’è spazio anche per Burning Spear (Exit-Sal ida) e ad-dir i t tura per gl i Stooges (New Dirt). Segno ulteriore, questo (se ce ne fosse ancora bisogno), che i l futuro

del jazz passa per i suoi f igl i , più o meno legit t imi. (7.4/10)

D a n i e l e F o l l e r o

R a d i c a l F a c e – G h o s t ( M o r r M u s i c / Wi d e , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e - p o pBen Cooper , uno dei due giova-nissimi fondator i degl i statuni ten-si Electric President , se ne esce in sol i tar io con i l progetto Radical Face, sempre sotto l ’egida del l ’et i -chetta ber l inese Morr Music. Ghost non rappresenta al t ro che la sua anima pop, nuda e cruda. Nono-stante in alcuni episodi facciano capol ino insert i e let t ronic i , le can-zoni s i muovono ineccepibi lmente su terr i tor i puramente cantautor ia-l i ; ora arrangiate morbidamente da complesse orchestrazioni s infoni-che, ora mosse da una più sempl ice vena folk. Certo, le assonanze con i l gruppo madre ci sono e s i sento-no: i r i fer iment i p iù v ic in i sono sem-pre quel l i dei Death Cab For Cutie d i Plans e dei Grandaddy p iù int i -mi. Ma dove gl i Elettr ic President s i accontentavano del l ’ incis iv i tà immediata del le loro faci l i melodie, i Radical Face scendono più in pro-fondi tà, donando maggiore spes-sore art ist ico al la loro formula. Ciò accentua indubbiamente l ’e leganza del le canzoni , comportandone però una minore immediatezza. Convi-vere con questo fantasma s igni f ica fars i cul lare da morbide ed eteree canzoni d ’autore: leggerezza e profondi tà coniugate del icatamen-te. Come avviene magistralmen-te nel la struggente e mal inconica Sleepwalking o nel la più spettrale e sospesa The Strangest Things. Raff inato indie-pop in formato ta-scabi le, gr i ffato Morr Music. Punto e a capo. (6.8/10 )

A n d r e a P r o v i n c i a l i

R o y M o n t g o m e r y – I n r o a d s : N e w A n d C o l l e c t e d Wo r k s ( R e b i s , f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : p s i c h e d e l i aRoy Montgomery deve essere uomo di spir i to, come si intuisce dai t i to-l i astrusi che mette al le sue pièce strumental i e dal le pochissime in-terv iste che ci sono in c i rcolazione. Nel l ’ immortale scambio di vedute

con i l Piero nazionale, uno che ha contr ibui to non poco a far g i rare i l suo nome, Roy r imane sempre sul-le r ighe nel r ispondere al le sue do-mande. Scaruff i : “Entertaining Mr. Jones mi r icorda un po’ le ant iche bal late fo lk, ma ci sento ancora un’ inf luenza indiana.. . È una mia paranoia? ” ; Montgomery: “Credo propr io che sia tu o qualcosa che t i er i fumato. . . Te lo dico perché l ‘ idea di base era tut t ’a l t ra. . . ” . In-dipendentemente da cosa si fos-se fumato Scaruff i , i l nome di Roy Montgomery è r imbalzato di appas-sionato in appassionato soprat tut to grazie al tam tam provocato dal le sue entusiast iche recensioni , in un’epoca in cui i l p2p non esiste-va ancora e gl i mp3 erano ancora una faccenda per tecnic i del suono. Sembra passata un’eterni tà, ma si sta par lando solo dei pr imi anni ’90. Anni in cui i suoni d i et ichette come Drunken Fish e Corpus Hermet icum erano davvero roba esoter ica. Tut-to i l contrar io di come è oggi che per ascol tare o informarsi su certe cose basta mettere qualche nome su Google o su un programma di p2p. Con i l senno di poi , s i capisce quanto Roy Montgomery s ia f igura centrale per i suoni degl i anni ’90. Insieme ai Dead C è probabi lmente i l nome più importante usci to fuor i dal la Nuova Zelanda. Fondamentale per l ’a lchimia del pr imissimo suono Kranky e quindi per buona parte del post-rock a venire. L’uomo è musi-calmente inat t ivo da anni , ma l ’oc-casione per tornare a par lare di lu i c i v iene offer ta dal la doppia compi-lat ion l icenziata dal la piccola Rebis. Inroads è i l c lassico album compi-lat ivo di inedi t i e outtakes. Un bel v iaggio art icolato in due dischi , che mostra tut te le sfaccettature e le evoluzioni del magico gui tar sound di Roy. Dal l ’estet ismo ambient di Scenes From A Southern Island e Temple IV agl i scenar i esot ic i d i And Now The Rain… , dal la psi-chedel ia cosmica degl i Hash Jar Tempo agl i astrat t ismi più cr ipt ic i del le ul t ime prove, The Allegory Of Hearing per esempio. E’ evidente i l t r ibuto che Montgomery paga al la t radiz ione del la chi tarr ismo raga, in pr imis al grande Sandy Bull , ma col tempo ha saputo disegnare

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un’archi tet tura di suono tut ta sua. I l suo è un mondo tut tora selvaggio e incontaminato che vale s icuramen-te la pena esplorare. Questa com-pi lat ion off re una chiave d’accesso, comoda e indolore. (7.0/10 )

A n t o n e l l o C o m u n a l e

R y C o o d e r – M y N a m e I s B u d d y ( N o n e s u c h / Wa r n e r B r o t h e r s , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : r o o t s r o c k A t i rar fuor i dal l ’armadio i l p iù t r i to dei luoghi comuni, Cooder bisogne-rebbe inventar lo se non ci fosse. Solo che così non si porterebbe den-tro quel mezzo secolo di sapienza musicale sedimentata che ne fa i l genio che è. Non solo “americana”, g iacché nel tempo Ryland ha inse-gui to la cur iosi tà che gl i pulsa nel-le vene spingendosi a Oriente, nei Caraibi e pure là dove tut to è nato, in Afr ica. A fare i l comprimario, p iù spesso che no, mettendoci i l nome e servendo da vetr ina. In cambio c i abbiamo guadagnato dischi splen-didi e un al largamento del nostro scibi le sonoro sul quale in tant i non avremmo neppure scommesso. Te-nendo dietro al la voce inter iore che lo guida, Ry giunge ora al secondo pannel lo di una tr i logia che ragio-na sul la scomparsa del lo spir i to e del Sogno Americano. O piut tosto, dei mi l le sogni che lo cost i tu ivano: di segui to al l ’epopea perdente del “barr io” Chavez Ravine, My Name Is Buddy presenta infat t i set tanta minut i che narrano un Esopo del la Grande Depressione, in una favola reale che si serve di animal i per r i -f let tere sul passato (e quindi lo sta-to at tuale) del l ’Unione. I l racconto di un gatto comunista, un ranocchio c ieco predicatore e un topo sinda-

cal ista che at t raversano i l paese sul lo sfondo del le lot te per i d i r i t t i , c iv i l i e del lavoro: s imbol i dentro i l f lusso degl i event i , quel lo che poi sui l ibr i chiamano La Stor ia. Rac-contato, cantato, fat to vedere con occhi e orecchie da capaci tà meta-for iche e conoscenza musicale fuo-r i d iscussione. Oltre i l d isegno del racconto, per le mani s i ha un “et p lur ibus unum” sonoro, un’opera insieme at tuale e non, nel senso che r ichiede tem-po per essere recepi ta, at tenzione nel seguire i legami indissolubi l i d i parole e musiche, percorse sul la tavolozza d’ol t reoceano senza tra-lasciare nessun colore e anzi in-s inuandosi t ra i r isvol t i cromat ic i . Ry Cooder s i accompagna ai so-dal i d i sempre (Jim Keltner , Fla-co Jimenez , i l f ig l io Joachim ) e ne raccogl ie di nuovi tut tavia ant ichi , sempre e comunque scel t i in base al l ’esigenza dei brani stessi , che interpret ino un personaggio o con-tr ibuiscano al l ’atmosfera. Ed ecco i l p iano di Van Dyke Parks appar i re e scomparire dal fo lk cel t ico ol t reo-ceano Cat And Mouse , la t romba di Jon Hassel ombreggiare nel ta lk in ’ jazz One Cat, One Vote, One Beer , Paddy Moloney spargere color i d ’ I r -landa su Suitcase In My Hand , Pete Seeger mantenere saldo i l cordone ombel icale con l ’oggetto del r icor-do. Da par suo, i l chi tarr ista resta per lo più in disparte, orchestrando e tessendo, prendendosi i r i f let tor i per la toccante speranza conclusi -va di Farm Gir l e There’s A Br ight Side Somewhere , megl io se dopo aver rammentato i suoi vent ’anni a f ianco di Beefheart (Red Cat Ti l l I Die , la t i t le- t rack). Più d’ogni a l t ra cosa, leggendo con voce ferma le pagine del la preziosa encic lope-dia v ivente che è egl i stesso. Sfo-gl iando i l possente errebì Sundown Town e i l country acust ico Hank Wil l iams ; pensando a un Fogerty g iovane che con gl i Stones s i fa amico di John Hiatt in Three Chor-ds And The Truth ; g ioendo con la polka paesana Footpr ints In The Snow ; velando col valzer un Dylan lat ino per Christmas In Southgate e dipanando l ’a l lucinato jazz Green Dog . Avvolgendoci dentro gl i spazi così ant ichi da fars i inf ine moderni

del la straordinar ia Cardboard Ave-nue . Musica fuor i da quals iasi suc-cessione di is tant i come i temi che aff ronta, grazie a un matr imonio t ra forma e contenuto che l ’ansimante contemporanei tà quasi mai r iesce a celebrare. Perché occorrono spal-le larghe ed esper ienza, v is ione e sent imento per far lo. Serve uno come Ry Cooder. (8.0/10 )

G i a n c a r l o T u r r a

S a p a t – M o r t i s e a n d Te n o n ( S i l t b r e e z e , m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : p s i c h e d e l i a , s p a c e r o c kUna nuova comune di sbal lat i ado-rator i del p iù acido degl i Dei Rock rumoreggia sempre più for te in quel d i Louisvi l le. E’ l i che abi tano i pr incipal i esponent i del col let t ivo Black Velvet Fuckere . Un nome che è tut to un programma per una piccola label responsabi le di a lcuni drogat issimi capolavor i sot terranei d i quest i anni . Mater ia per al lucina-zioni d i pr im’ordine come lo straor-dinar io album del l ’anno passato f i rmato dai Valley Of Ashes , disco che trasuda ipnosi pel lerossa ed è capace di apr i r t i in quals iasi mo-mento la porta per la Loggia Nera. Detto che intorno a questa gente girano anche amici del la vecchia guardia come i l buon David Pajo f resco di un nuovissimo gruppo me-tal ( ! ) chiamato Dead Child , e che pr ima del la f ine del l ’anno ci t ro-veremo sicuramente a par lare del d isco dei Phantom Family Halo , band con membri dei For Carna-t ion che ha debuttato per pochi in-t imi l ’anno scorso e che, pr ima di questa estate, sarà r istampata a t i ratura decente, s iamo qui ora a par lare dei Sapat, gruppo che ac-cogl ie dentro di se soggett i var i del col let t ivo, come Kr is Abplanalp dei Val ley Of Ashes e Aaron Rosenblum dei Son Of Earth . Fuor i d i dubbio che questo s ia dest inato a r imane-re t ra i migl ior i debutt i del l ’anno in corso. Immaginatevi una parabola che parte dai suoni roots made in America e va a f in i re nel la fausta Germania del krautrock. I Sapat fanno esattamente quel lo, avvic i -nandosi per estet ica a No Neck Blues Band e Jackie O’ Mother-fucker eppure suonando molto più

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N a d j a - To u c h e d ( A l i e n 8 / Wi d e , 1 3 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : d r o n e d o o m m e t a lI l secondo disco dei Nadja suona tanto possente e ispirato quanto i l se-condo degl i Jesu è una delusione. I l doom metal d i marca drone portato in auge dal g i ro di Stephen O’Mal ley e James Plotk in t rova con questo Touched un al t ro capi to lo importante. I Nadja arr ivano da Toronto e sono solo una del le facce del mult ip lo Aidan Baker , che qui s i d iv ide con i l bassista Leah Buckareff . Per la seconda usci ta su Al ien8 i due r ipescano un cdr del 2002 e lo r imettono totalmente a nuovo r isuonando e registran-do tut to ex novo. I l r isul tato è un tour de force per le orecchie nel suo compresso sound iperdistorto e saturato. Baker porta le sue qual i tà di grande archi tet to ambient anche nel doom metal d i matr ice sabatthiana. I Nadja fanno doom del la biosfera. Lent i e melmosi ma due metr i sopra i l c ie lo . L’approccio è radicalmente opposto a quel lo di Plotk in e O’Mal ley: se i Khanate affondano le unghia e le ossa nel sot terraneo, i Nadja s i innalzano nel l ’etere e premono dal l ’a l to. In prat ica quel lo che Just in K. Broeder ick ha cercato di fare con i Jesu r iuscendoci solo in parte. Stay Demons sembra propr io un pezzo di quest ’u l t imi . Uno shoegaze del g iurassico, ma i Nostr i ot tengono i r isul tat i migl ior i quando Baker mette diret tamente mano ai drones mandandol i in un loop perpetuo a modulare le distorsioni colossal i . Incubat ion / Metamorphosis come una var iante doom dei brani d i Oneiromancer . Flowes Of Flesh invece vanta anche l ’uso di un pigl io growl nel la voce, t radendo aff in i tà con gl i Esoteric , anche se in assoluto i l debi to maggiore i Nadja lo pagano verso i Godflesh . Aidan Baker come motore propuls ivo del duo non r isparmia niente e disegna un’al t ra opera di pr im’ordine. Resta i l mistero di come faccia a far convivere qual i tà e quant i tà, contando tut t i i suoi progett i e le sue at t iv i tà. Sembra fare quasi a gara con Richard Youngs a chi ne fa uscire di p iù. La media qual i tat iva è però straordinar iamente al ta e questo secondo disco uff ic ia le dei Nadja la r inforza ul ter iormente. (7.2/10 )

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musical i e meno pr imit iv i . Si lan-ciano in boogie woogie infernal i a rot ta di col lo, scale escher iane di chi tarra senza una via di sbocco, grovigl i funk- jazz che fanno i l verso al la His Magic Band , e metaf is iche danze kraut ora nel la vena dei Neu! ora in quel la più t r ibal teutonica di Limbus 4 e Siloah . Fante i l brano che chiude i l d isco r iassume tut t i g l i umori del l ’opera inscenando un canto mantr ico nel la più devastata canicola messicana. Un del i r io al sapor di peyote. Cul to immediato. (7.5/10 )

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S h i t d i s c o - K i n g d o m O f F e a r ( F i e r c e P a n d a / G o o d f e l l a s , 1 6 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : e l e c t r o c l a s hLa Fierce Panda si fa i l funerale. E scegl ie questo lavoro degl i scozze-si Shi td isco come parziale colonna sonora. Ci sono molte cul ture che prefer iscono celebrare un trapas-so con una festa, p iut tosto che coi p iagnistei . Kingdom Of Fear c i d ice che la Fierce Panda si sente aff i l iata a queste cul ture, perché gl i Shi td isco non si occupano cer-to di marce funebr i , quanto di mar-cette elet t r iche e spigl iate, svol te come un buon compito in c lasse.Si parte ( I Know Kung Fu ) con un funk’n’rol l accompagnato da vocal i -tà punkeggiant i (con tanto di ur let t i à la Pulsallama ) , hand-clap e sfo-go in levare veemente quasi come i leggendar i Contorsions. E così, p iù o meno, s i cont inua. I l tut to resta in un bi l ico (emul) t ra i Liars del pr imo disco (nei moment i migl ior i ) e Franz Ferdinand , LCD Soundsy-stem , Rapture e compagnia, per un festeggiamento punk-funk elet t roni-co e col let t ivo che, se oggi non an-dasse così di moda, sembrerebbe quasi s incero (ne è prova Another , che by-passa i tempi recent i per scagl iars i d i ret tamente sul post-punk, senza mediazioni) .La voce, va da sé, è inglese e ga-gliarda (primi anni Ottanta) - come in 72 Virgins, che fa muovere le spal-lucce come faceva Ian Curtis prima che diventasse epilettico. Che dire di più? Niente. Vi piacerà, se non ne avete abbastanza. (5.8/10)

Gaspare Caliri

S i s t e r Va n i l l a – L i t t l e P o p R o c k ( C h e m i k a l U n d e r g r o u n d / A u d i o g l o b e , 2 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : i n d i e p o pMett i su Litt le Pop Rock e t i chie-di che diavolo s ia sal tato in testa a quel l i del la Chemikal Underground: mai, in dodic i anni d i onorata car-r iera, era stata messa sotto con-trat to una band che r iprendesse così al la let tera sonor i tà conosciu-te (nel lo speci f ico, l ’ indie pop-rock scozzese di metà / f ine ’80). Com’è che quest i t iz i c i tano apertamente Pastels , Jesus And Mary Chain e la wave del la Creat ion tut ta?

Poi vai a leggere i credi ts, e tut-to diventa improvvisamente chiaro. Come nel le bur le più r iusci te, i Si-ster Vani l la al t r i non sono che quei mattacchioni – s i fa per dire – di J im e Wi l l iam Reid che, in at tesa del la prevista reunion dei JMC, s i prendono qui cura del la sorel la mi-nore Linda , protagonista e vocal ist del progetto; a scanso di equivoci , completano i l quadro Ben Lurie , g ià bassista dai tempi di Honey’s Dead e compagno di J im nel s ide project Freeheat, e Stephen Pastel (guest d’eccezione in Two Of Us) . Tutto in famigl ia quindi , per un disco che a part i re dal la sua del iz iosa referen-zial i tà ( f ra c i tazioni espl ic i te, scioc-chezze twee, sussurr i Mazzy Star ed immancabi l i bal late Velvet Un-derground) s i r isolve in uno squi-s i to omaggio a un’epoca d’oro del pop scozzese. (6.7/10 )

A n t o n i o P u g l i a

S t o o g e s - T h e We i r d n e s s ( V i r g i n / E M I , 1 4 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : s p a s t i c g l a m“Gli animal i hanno un‘anima e an-dranno in paradiso ” Karol Woyt i la

(Roma, 1990). L’ intera carr iera di Pop è legata a un unico impertur-babi le obbiet t ivo: “ fare schi fo” . Un’ idea sempl ice, una fede orto-dossa (e megl io) protestante che porta tut tora l ’uomo di sessant ’an-ni a dimenarsi sul palco megl io di quando ne aveva vent i , facendo per giunta schi fo anche più - e an-che megl io - d i pr ima. Sarà che le droghe di oggi sono sof ist icate, che l ’a lcol è megl io lasciar lo stare (e anche le s igaret te fanno male). Che tra Lemmy e Iggy crepiamo pr ima noi . Sarà meri to di quel cane di Dr. Albini , o di My dick is turned into a t ree , del Dalai Lama che fa r ima con mari juana, eppure, l ’ Igua-na, dopo aver fat to le prove gene-ral i con i f ratel l i Asheton in Skull Ring , dopo trent ’anni torna con gl i Stooges. E gl i Stooges fanno schi-fo. Un assioma invincibi le o quasi , È schi fosa Idea Of Fun che fa r ima con “ is k i l l ing everyone”. Schi fosa ATM con i l c ingolato Detroi t che non è mai andato fuor i moda. Schi-fosa pure Mexican Guy , t ra le Black Panthers e i l fascismo dei Big Black (at tual issimo). Più schi fose e quindi schi fosissime: She Took My Money (con i l sax marcio di Steve Mackay) e le pose à la Id iota ber l inese di The Weirdness e Passing Cloud che certo, sono out of t ime, con gl i Stooges non c’entrano nul la, ma se si par la di democrazia come qual-cosa che abbia un senso al lora c i va bene tut to. Del resto non sono weird per niente, le cose à la New York Dolls come dire Trol l in ’ (hard blues, r i tornel lo seni l parodist ico, s intonia FM) e le pose spast ic-glam di You Can’t Have Fr iends e Free And Freaky ( idem con patate, ma arrosto), molto s imi l i a l sound semi-ser io del la reunion dei pr imi ma con molt i watt in più (e i ronia in meno). Che Iggy sia i l maggior responsabi-le del fat to che ci p iaccia lo schi fo e che ci faccia schi fo quel che ci p iace è assodato e sant i f icato; ad ogni buon modo, nel momento in cui canta The End Of Chr ist iani ty lo sappiamo già: come animale andrà in paradiso. E senza pagar pegno per giunta. (6.3/10 )

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S t a r s O f T h e L i d – A n d T h e i r R e f i n e m e n t O f T h e D e c l i n e ( K r a n k y / Wi d e , 2 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : a m b i e n t c l a s s i c a c o n t e m p o r a n e aNon poteva essere diverso i l r i torno degl i Stars Of The Lid, dopo sei anni d i assenza dal l ’acclamato The Tired Sounds of… Come tut te le star che hanno un fan-base da r ispettare anche la coppia Wi l tz ie-McBride fa at tenzione a onorare alcune regole speci f iche. Quindi i l nuovo at tesissi -mo lavoro è magni loquente, mastodont ico, colossale, epico. Esattamente come si conviene al le stel l ine texane del la palpebra post- isolazionista. And Their Refinement Of The Decline d i ff ic i lmente scontenterà chi cer-cava da loro un nuovo abissale turbinio ambient in cui sprofondare. Chi l i ha ignorat i f inora invece proseguirà ad ignorar l i , perdendosi però alcune straordinar ie pagine di musica contemporanea. Solo i superf ic ia l i possono lasciarsi ingannare dal la forma del doppio album. Questo disco non è un remake di The Tired Sounds Of… . Piut tosto è un r icercat issimo sequel che evolve le intuiz ioni ipot izzate in quel lavoro e nel d isco dei Dead Texan . Questo s igni f ica aumentare gl i e lement i acust ic i , r idurre i campionament i , enfat izzare i l s infonismo melodico, andare ad impattare sempre di p iù con l ’ immaginar io c inematograf ico. I r i fer i -ment i a l le colonne sonore di Zbigniew Preisner e George Delarue , g ià giocat i in passato, d iventano qui ancora p iù preminent i . Addir i t tura i due si spingono a c i tare la s infonia n° 2 di Alan Hovhaness The Mysterious Moun-tain , nel la versione diret ta da Fr i tz Reiner e tenendo comunque a precisare che è soprat tut to i l terzo movimento che l i ha ispirat i .

Tutto questo s igni f ica che la musica dei due tende a r ientrare sempre di meno nel la categor ia “ambient” e sempre di p iù al la voce “c lassica contemporanea”. La cal ig ine pulv iscolare che animava i precedent i lavor i qui è in secon-do piano. I l suono è più fumoso e sfocato e come tale più at tento al l ’evoluzione melodica. Le emozionant i panora-miche ambiental i non mancano di certo, come nel le due part i d i Art iculate Si lences , in Don’ t Bother They’re Here o Dopamine Clouds Over Craven Cottage. E’ nel passare dal pr imo al secondo disco che la componente s infonica diventa sempre più evidente. Even I f You’re Never Awake (Deuxieme) e Even (Out) + fanno da ponte.

I sal i e scendi d i Another Bal lad for Heavy Lids e The Daughters Of Queit Minds. I l v io loncel lo neo classico del le tormentate Hiberner Toujours e Tippy’s Demise. I l suono di un occhio gettato ol t re la biosfera in That Finger On Your Temple Is The Barrel Of My Raygun. Le note congelate di un piano in Humectez La Mouture ad apr i re una solenne melodia à la Vangelis , pr ima che cal i i l s ipar io con la magni loquente (e annichi lente) December Hunt ing For Vegetar ian Fuckface. Quel la di Wi l tz ie e McBride è una musica come sempre avulsa dai concett i d i spazio e tempo. Meno dark ed ermet ico di The Tired Sounds Of… ma non meno problemat ico e complesso, And Their Refinement Of The Decline conferma in pieno lo status dei due autor i . Ci vorranno mesi pr ima di padroneggia-re completamente tut to i l lavoro. Del resto c ’è ancora molto tempo pr ima che i l catalogo Kranky arr iv i a 150.. . (7.5/10 )

A n t o n e l l o C o m u n a l e

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Ta r w a t e r - S p i d e r S m i l e ( M o r r / Wi d e , a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : p o p t r o n i c aIn iz ia lmente i Tarwater s i erano fat-t i amare e odiare per i propr i gra-ni t ic i mood, scur i e oppiacei . Suc-cessivamente, dopo Atoms, Suns & Animals sono diventat i s inonimo del Morr Sound, un’ indietronica agrodolce dal le venature c inemat i -che e popadel iche. Lo scorso anno i l duo ha compiuto dieci anni . Dieci anni d i temi e var iazioni . Due lustr i t ra Ber l ino e i l mondo circostante.Un passo indietro r ispetto al pop ar ioso e ot t imista del preceden-te Needle Was Travell ing , Spi-der Smile rappresenta quel sound adul to in perenne surf t ra sobr io romant ic ismo e r i f lessione umorale che i l duo porta avant i da sempre. Una formula prevedibi le al la quale sarebbe stupido chiedere r ivoluzio-ni , un canzoniere t ra i l pensiero de-bole e i l certosino arrangiamento; una coerenza art ist ica a cui è sem-pre segui to i l g iusto decanto t ra un album e l ’a l t ro. Concepi to come un insieme di brani e t rack ispirat i da osservazioni at torno al l ’Ameri -ca, l ’a lbum scansa la r icerca del-la perfect song appropr iandosi d i sensazioni e landscape, giostrando moment i scur i e leggerezza. I test i sono f igurat iv i ma soprat tut to nar-rant i , i suoni e le parole s i destreg-giano in arpeggi d i chi tarra, tast ie-re e effet t i a r iempimento ma senza esagerare. Nessuna posa pol i t ica, eppure un disco pol i t ico. In World Of Things To Touch basterebbe i l solo t i to lo. La domanda è: come ci s i sente in un mondo di cose da toc-care? Dove tut to è v is ivo? Stesso discorso per lo ska decl inato Morr Music di When Love Was The Law In Los Angeles , momento di svago e al tempo nostalgia di un tempo remoto. Sono entrambe del le hi t , quel la coppia di canzoni che i l duo assicura da sempre in ogni episo-dio. E i l resto sta subi to sot to: s ’ap-prezzano gl i smalt i cal i forniani per chi tarra s l ide di Arkestra (un brano ispirato da un viaggio con la mit i -ca band di Sun Ra at t raverso i col -l i scozzesi) e una love song come When Tomorrow Comes (commia-to del l ’a lbum). Inf ine non mancano gl i strumental i (part icolarmente

eff icace la r inascimentale Shir ley Temple dagl i accent i AIR e 4AD, e Witch Park , te la nervosa tra im-pro percussiva e r i ff angolar i ) , e i l momento cover (Sweethome Under White Clouds , dei Virgin Prunes, un discreto western lounge-noir) . Ne siamo convint i : Spider Smile è i l torbato f i rmato Tarwater. (7.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

Te l e v i s i o n P e r s o n a l i t i e s – A r e We N e a r l y T h e r e Ye t ? ( O v e r g r o u n d / G o o d f e l l a s , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : l o - f i , p o p , s o n g w r i t i n g Chi se non Dan Treacy poteva in-c idere un d isco per essere s tato t i ra to fuor i d i ga lera? E’ andata propr io così : Are We Nearly There Yet? nasce come pegno d i grat i tu -d ine nei conf ront i d i ch i , t re anni fa , raccolse p iù d i 1000 s ter l ine con un concer to t r ibuto per con-sent i re a l s ig . Te lev is ion Persona-l i t ies d i usc i re da l la nave-pr ig ione in cu i era detenuto. Una v icenda a i l imi t i de l l ’ incredib i le , che ha se-gnato la f ine d i uno dei per iod i p iù oscur i de l la sua carr iera (o de l la sua v i ta , è uguale) , e l ’ in iz io d i un ’ immediata e miracolosa r inasc i -ta , cu lminata con un contrat to con la Domino e la pubbl icaz ione l ’an-no scorso d i My Dark Places . Pr i -ma d i ogni cosa, però, sono venute le canzoni qu i contenute, scr i t te in par te durante la detenz ione, reg i -s t ra te a Londra immediatamente dopo e rese pubbl iche so lo oggi da l la Overground. Chi conosce bene i l personaggio – a d i r poco “a l l imi te” , come sol tanto Syd Bar-rett o Danie l Johnston pr ima d i lu i - sa p iù o meno cosa aspet tars i , e in fa t t i quest ’a lbum è i l regalo ideale per tu t t i i cu l tor i de l can-tautorato border l ine : f i las t rocche in fant i l i , parodie i r res is t ib i l i , s tor te canzoncine ind ie, b izzarr i espe-r iment i s t rumenta l i , tu t to in una veste squis i tamente appross imat i -va e lo- f i , fa t ta d i drum machine, tast ier ine cas io, ch i tar re scordate e voc i s tonate; le carat ter is t iche che hanno reso Dan una leggen-da u l t ra- ind ie da quasi t rent ’anni , insomma. Ci sent iamo d i aggiun-gere che, ne l la sua immediatez-za e g io iosa spontanei tà , Are We

Near ly There Yet? r isch ia per f ino d i surc lassare i l precedente lavoro su Domino, rest i tuendoci anz i i mi -g l ior i Tv Personal i t ies poss ib i l i da mol to , mol to tempo a questa par te . Poss ib i le? Sent i te la t i t le t rack , lo s t ruggente p iano bar in s t i le tardo Cohen d i Al l The King’s Horses , le incredib i l i cover d i I f I Should Fal l Behind (Spr ingsteen) e Mr Br ight -s ide (s ì , quel la de i Kil lers , che c i cred iate o no) , la s t renna Flaming Lips / Grandaddy d i Al l The Mid-n ight Cowboys , le sorprendent i a f -f in i tà con Johnston in I Get Sca-red… e You Are Loved ; grandioso, fosse anche so lo per The Eminem Song , puro d is t i l la to de l l ’a t tua le Treacy-pensiero. Un ar t is ta sem-pl icemente ineffab i le , s ì , ma così vero da s tar male. Per d i r la come lu i , “questo cd mi rende orgogl ioso e mi de lude come quals ias i a l t ra cosa abbia mai fa t to ” . Prendere o lasc iare. (7.0/10 )

Antonio Pugl ia

T h e A l i e n s – A s t r o n o m y F o r D o g s ( E m i / C a p i t o l , 3 0 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : v i n t a g e p o p , p s y c h

Questo non è i l nuovo d isco de l la Beta Band , ma in un cer to senso pot rebbe esser lo . Non so lo perché r i t rov iamo g l i o r fan i John Mac lean e Robin Jones, le cu i t racce aveva-mo perso sub i to dopo i l nauf rag io d i t re ann i fa (ment re de l l ’ex lea-der Steve Mason, a .k .a . King Bi -scui t Time , le t racce s i sono per -se davvero… ma questa è un ’a l t ra s tor ia ) . Ass ieme a i due c ’è Gordon Anderson , l ’o r ig inar io songwr i ter de l la band d i F i fe , che mol lò tu t to

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ai tempi de l pr imo s ingo lo Dry The Rain (che pure aveva composto) . I l Syd Barret t de l la s i tuaz ione, e non so lo per la sua f issaz ione con i p ianet i e g l i ex t ra ter res t r i : la leg-genda vuo le che, ment re i co l legh i s fornavano d isch i a tu t to sp iano, abb ia f requenta to vo lontar iamente un is t i tu to menta le , per c i rca una dec ina d ’ann i . La cosa non g l i ha comunque impedi to d i rea l izzare a lcun i d ischet t i a nome Lone Pi -dgeon con l ’a iu to de l f ra te l lo Ken-ny, che a l t r i non è che que l King Creosote , f igura d i cu l to de l l ’ ind ie made in Scot land e deus ex machi -na de l la Fence Records.A l t r iment i det to , g l i A l iens sono la Beta Band come avrebbe potu to essere . Un ’ ipotes i suppor ta ta da l -le a f f in i tà f ra l ’ inc ip i t d i Rox e i l canovacc io d i Dry The Rain , o l t re che da l l ’a rmamentar io eccent r i -co d i t rovate sonore provv is to da MacLean e Jones, ne l consueto impasto sonoro psych d i synth , moog, e f fe t t i da v ideogame, co-re t t i assor t i t i e improvv is i cambi d ’a tmosfera ; i l r i su l ta to mig l io re in questa d i rez ione è probabi lmen-te i l funk-d isco fu tur is ta d i Robot Man . Ma in rea l tà , la mus ica è cambia ta p iù d i quanto non sembr i . Mer i to d i Anderson, la cu i mater ia favor i ta è senza dubbio la ps ichedel ia s ix t ies in ogn i sua poss ib i le espress ione (da l la West Coast a Londra e Cam-br idge, con una sb i rc ia t ina a i pr imi ’70) , che però non v iene s t ravo l ta e d iger i ta con fare sovvers ivo ma ossequia ta in un b lob u l t ra-c i taz io -n is ta , che va da Al l A long The Wa-tchtower in ch iave Clapton / Traf -f ic (Set t ing Sun ) a l Sgt . Pepper ( I Am The Unknown ) , da l vaudev i l le d i R ick Wr ight a Smiley Smile (Glover ) , da John Cale v i ra to Pro-co l Harum (She Don’ t Love Me No More, Honest Aga in ) a l sur f Beach Boys / Chuck Berry (The Happy Song ) , da i Mamas & Papas (To-morrow ) a CSNY (Caravan ) . Poco male se la f reaker ie d i un tempo è p iù ar redo che rea le a t t i tud i -ne; accanto a l l ’u l t imo cap i to lo de i Bees, Astronomy For Dogs è un merav ig l ioso d isco d i v in tage pop. (7.0 /10 )

Anton io Pugl ia

T h e B e e s – O c t o p u s ( V i r g i n , 1 9 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : v i n t a g e ( m e t a ) p o p A tre anni da quel Free The Bees che settava la macchina del tempo al 1965 per uno dei migl ior i d ischi d i v intage pop di in iz io mi l lennio, r infranca constatare che i Bees non hanno perso un br ic io lo del la loro f reschezza, e anzi r impastano i l loro amalgama con l ’aggiunta di nuovi ingredient i , rendendolo ancor più sapor i to. Le api del l ’ Isola di Wight sono sempre intrappolate nel passato, non è un mistero, anzi c i sguaz-zano che è un piacere; solo che stavol ta le coordinate s i a l largano ul ter iormente, da Abbey Road ( i l country&western al la Ringo Starr del l ’ in iz ia le Who Cares What The Quest ion Is ) a l Big Pink del la Band ( i l funk bianco di This is For Better Days ) , f ino a Kingston ( i l reggae e i l dub di Listening Man , Stand , Left Foot Stepdown , arr ivate dr i t te dal

catalogo Trojan) . Aldi là del l ’eclet t i -co c i tazionismo a 360°, la marcia in più del sestet to di Aaron Fletcher e Paul But ler è probabi lmente i l saper creare un’atmosfera gol iardica - lo humour i r resist ib i le di End Of The Street , parente stret ta di Monkey Payback dal d isco precedente, o i l past iche indo-folk- t ropical ista di Ocular ist - , in un patchwork divertente, ispi -rato e intel l igente di gener i e at t i -tudini , tanto compatto da superare gl i analoghi tentat iv i d i Beta Band e Gomez , le due band br i tanniche più faci l i da accostare. That ’s en-tertainment! (7.0/10 )

A n t o n i o P u g l i a

T h e B i r d A n d T h e B e e – S e l f T i t l e d ( E m i / C a p i t o l , 3 0 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : l o u n g e , p o pUn po’ d i jazz, un tocco di c lassic pop, un pizzico di e let t ronica, una spruzzata di dancef loor, i l tut to condi to da un’estet ica volutamente catchy, v intage e Sessanta. La r i -cet ta di Inara George e Greg Kur-stin , in arte The Bird And The Bee, è tut ta qui , nel la r icerca di un soft pop zuccheroso e sof ist icato quan-to basta, che vada bene tanto per l ’ora del l ’aper i t ivo quanto per la serata al c lub. Considerando l ’ac-cogl ienza r iservata a questo debut album negl i States, con un brano – Fucking Boyfr iend - che ha ad-dir i t tura scavalcato Madonna nel la chart d i Bi l lboard, pare che i due abbiano centrato i l loro obiet t ivo. Se mest iere e consapevolezza hanno sicuramente un peso ( le i è la f ig l ia di Lowel l George dei Lit-t le Feat , svezzata da gente come Jackson Browne e Van Dyke Parks; lu i , da tast ier ista e produttore, van-ta un carnet di col laborazioni che vanno da Beck a i Flaming Lips, da Peaches a Lily Allen) , i l lavoro di cesel lo a vol te è ta lmente f ino da r ivest i re i l tut to di una pat ina plast i -f icata, non sempre gradevole. In f in dei cont i n iente di i r reparabi le, se spuntano fuor i gustose cherry son-gs - una t i ra l ’a l t ra, come le c i l iegie - come Again & Again , o soffuse nebbiol ine electro come Prepare-dness , o bol l ic ine f r izzant i s imi l -Stereolab come La La La e My Fair Lady . (6.7/10 )

A n t o n i o P u g l i a

T h e G o F i n d – S t a r s O n T h e Wa l l ( M o r r M u s i c / Wi d e , 4 a p r i l e 2 0 0 7 ) G e n e r e : e l e c t r o p o p , i n d i e t r o n i c aÈ un r i torno che scalda i l cuore come un arcobaleno dopo un nubifragio. Perché The Go Find è sinonimo di tre cose. Quali tà, scri t tura, melodia. Che puntualmente fanno capolino in questo Stars On The Wall . Nel sen-so che non ha perso nul la di quel gustoso approccio poptronico che qualche anno fa portò Dieter Ser-meus, al l ievo belga di Styrofoam , ai vert ici del Morr sound, con l ’esordio

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di Miami , uscito ormai quasi tre anni fa. La formula si r ipete con questo secondo capitolo, con Dieter stavol-ta accompagnato da una vera band. I l quartetto naviga sornione tra mor-bide bal late electro ( Ice Cold Ice), incalzanti r i tmi disco (Dictionary) e tentazioni pop-rock (We Don’t Wan-na). Forse manca qualcosa del la freschezza del l ’album precedente, ma resta comunque un lavoro sol i-do e ben congegnato. E conferma, se ce ne fosse davvero bisogno, la bontà del progetto. (6.8/10)

Manfredi Lamart ina

T h e Yo u n g G o d s - S u p e r R e a d y / F r a g m e n t é ( P i a s / S e l f , 1 6 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : d o o r s f o r c y b e r - p u n k sNostalg ic i del cyber-punk, del tech-no rock targato Prodigy, del pathos del Trent Reznor dei tempi andat i e naturalmente del grunge futur i -s ta d i casa Young Gods, i l corpo d i Manson è serv i to. Super Ready / Fragmenté, è l ’u l t ima fat ica d i una di quel le crew che non retrocedo-no neanche con la p is to la g l i t ter a l la tempia, soprat tut to quando in bal lo c i sono i Novanta (quel l i d i Tv Sky del 1992 per in tenderc i ) , e tut t i quei neuroni che sono f in i t i nel f lusso canal izzatore. Alcune del le migl ior i at t i tudin i del -la decade sono qui , in un compas-so t ra l ’ immaginar io apocal i t t ico, le teor ie del le masse-rave, i fumett i vampireschi come Blade , f i lm come Strange Days ecc. . L’ ideale per un venerdì sera nel c lub dark st robo v ic ino casa in compagnia degl i an-droid i mani d i forb ice p iù famosi del tempo, i Borg. Prendete la t i t le- t rack, una st rofa in f rancese reci tata a l l ’ in f in i to su un drumming elet t rock, colate d i synth e la specia l i tà del la casa: chi tarre s intet iche (un po’ anchi -losate però non del tut to innocue). È uno dei moment i p iù automat i -c i del d isco ma ne dà contempo-raneamente la c i f ra st i l is t ica t ra evoluzioni declamate/contro l la te del cantante e un arrangiamento ancora per icoloso, un magma che tace, borbot ta, esplode e s i quie-ta e d i nuovo …Super Ready ap-punto. Tra mest iere ( I ’m The Drug , prat icamente un Eddie Vedder in-t rappolato nel la matr ice) e qual i tà

( i l Reznor + Prodigy d i Freeze , i l caval lo da bat tagl ia madmax C’est Quoi C’est Ça , i Suic ide d i About Time ) i l t r ip post-nucleare regge la sf ida arr icchendosi d i quel tocco d i duemi la sot to forma di radioat-t iv i tà da sampledel ia laptop. Nien-te d i r ivo luz ionar io a i f in i musical i ma quel che conta è che messo da parte un cer to snobismo, g l i Young Gods, pure quel l i p iù tamarr i (El Magni f ico ) o super-cool (Un Point C’est Tout ) convincono ancora e neppure i l s i tar abbacinato d i Stay With Us (quel la melodia f rancofo-na per cer t i vocoder f rancesi) è da scartare. Insomma r iscopr iamol i e poi andiamo a recuperare le pr ime due prove (dove i r i f le t tor i erano più bassi e la c lasse p iù evidente) . (6.5/10 )

Edoardo Br idda

T h e e M o r e S h a l l o w s - B o o k O f B a d B r e a k s ( A n t i c o n / G o o d f e l l a s , 2 4 A p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : a v a n t - p o pCi hanno messo più di tre anni i cal i -forniani Thee More Shallows a con-fermarci di essere qualcosa di più di una buona pop-rock band. Anni passati ad aggiustare i l t i ro e a mi-gl iorare ciò che già avevano fatto di buono. Chi aveva ascoltato More Deep Cuts (e magari ne era r imasto entusiasta) non poteva non r imane-re un po’ sorpreso per i l passaggio dal la et ichetta-promessa Monotreme (Turn negli U.S.A.) a una realtà più importante come Anticon. Ma cosa c’entrano i TMS con la Anticon? In realtà, i più attenti avranno notato che la f irma per l ’et ichetta newyor-chese è solo i l passaggio ulteriore (e quasi obbl igato) di una col labo-razione reciproca cominciata già dai tempi del l ’album precedente: lo

scambio di favori tra Odd Nosdam e Why? e i tre musicist i cal i forniani in svariat i ep, remix e album (Elephant Eyelash e Burner) ne è la test imo-nianza lampante. Se si aggiunge l ’ interesse crescente per la Anticon nei confronti del pop più attento al le sonorità avant, diventa più semplice farsi una ragione di questo incontro in apparenza poco giust i f icabi le. L’att i tudine “aperta” del la band di Dee Kesler, Chavo Fraser e Jason Gonzales, tendente al l ’accostamen-to del le musiche più diverse (dal Kraut rock a Debussy), r imesco-landole in chiave pop, viene para-dossalmente a coincidere al la per-fezione con l ’atteggiamento uguale e contrario del la Anticon di raff inare ciò che è grossolano. I l r isultato è un arr icchimento reciproco che vede in Book Of Bad Breaks la sua rea-l izzazione. I l “ tocco” di Odd Nosdam fa effett ivamente la differenza, rega-lando al la musica quegli spunti elet-tronici che ancora le mancavano. Chitarre e batteria f l i r tano con gl i arrangiamenti t ipicamente Anticon, ormai divenuti un marchio di fab-brica, e ne nascono gioiel l ini come Night At The Knight School e Proud Turkeys : due facce del la stessa me-daglia, la prima che str izza l ’occhio al l ’electro-pop anni ‘80, l ’al tra che si aff ida a chitarre graff ianti e un andamento t ipicamente rock che r i-corda i Thin Machine di Bowie.

Del resto i l fantasma del Duca Bian-co, simbolo egl i stesso del la musica come “progetto aperto”, oltreché del pop “ intel l igente”, aleggia in buona parte del l ’album. Lo si percepisce non solo nel la voce melodiosa e al lo stesso tempo fredda di Kesler, ma anche nel le scelte musical i , nel-l ’ incedere r ipeti t ivo di Fly Paper o nel l ’ ipnotismo orientaleggiante di The White Mask , in assoluto tra i momenti migl ior i del l ’album insie-me al la psichedelia elettronica di Chrome Caps . Chiamiamola pure maturi tà, se questo termine sta ad indicare maggiore consapevolezza del le proprie scelte art ist iche. Ma che i Thee More Shallows fossero un’ott ima band lo avevamo già capi-to anni fa. Ci mancava la conferma. E’ arr ivata. (7.3 /10)

Daniele Fol lero

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T h r a n g h - E r z e f i l i s c h ( A l t i p i a n i / G o o d f e l l a s , 1 6 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : j a z z - c o r eEcco un gruppo i ta l iano - romano, per essere precis i - che sa deci-samente par lare i l l inguaggio jazz-core, mischiar lo col math-rock, con un po’ d i post , con violenza e mo-r igeratezza, senza avere come r i -sul tante la sol i ta, ma giocoforza in-fer iore, r iproposiz ione del la magica cacofonia di Sun Ra. No, non sto par lando degl i Zu , anche se quest i rappresentano i l r i fer imento imme-diato e più eff icace per espr imere a parole la musica dei Thrangh, sor-presa del panorama Alt ip iani , col loro enigmat ico (dal punto di v ista diz ionar ia le) Erzefi l isch . È stupe-facente la loro capaci tà di interval -lare - come in Sagapa , ma in real tà ovunque - passaggi tor to ise- iani (se non addir i t tura di der ivazione Soft Machine ) con escrescenze rumoriste improvvise al la Painkil-ler . A quest i u l t imi i l pensiero va quando i l sassofono, f i lo rosso del-l ’a lbum, corre ol t re la tonal i tà per sfociare nel puro sfogo di f iato. Ai Don Caballero quando r iemerge l ’armonia al fu lmicotone degl i esor-di del gruppo chicagoiano, e a vol-te anche agl i Shellac (Erzef i l isch l i combina con un tema melodico svi luppato contemporaneamente da sax, basso e chi tarra e con ca-valcate quasi gr ind). E, g iusto per non tacere al t re inf luenze, s i pensa al Denison/Kimball Trio (Asa Nisi Masa ) , quando le pennate r i tmiche inquadrano provvisor iamente la ra-refazione. Alcune tracce sono sen-za t i to lo, e s i capisce che la scel ta è voluta, in cert i casi (quel l i eclet-t ic i come in questo disco) oppure s i opta per r icercat i nomi à la Sedia , o s i r ip iega su boutade astruse, o sul s i lenzio. Del le t re, le ul t ime due, che sono segno di un progetto poe-t ico: r inunciare al la t raduzione di note in idee l inguist iche. (7.3/10 )

G a s p a r e C a l i r i

Tr i a n g u l o D e A m o r B i z a r r o – S e l f T i t l e d ( M u s h r o o m P i l l o w, 2 0 0 7 ) G e n e r e : i n d i e r o c kMa davvero un al t ro mondo – un’al-t ra musica – non è possibi le? Dav-vero s iamo condannat i a v ivere

sot to l ’ombra lunga del sacro bino-mio UK-USA, ed essere province provincial i d i una moda globale? Oppure si può, s i deve rompere gl i schemi, recuperare l ’orgogl io, e ca-r icare a testa bassa contro quest i maledett i c l iché che mort i f icano le nostre aspirazioni e le nostre iden-t i tà? Certo che si può. Certo che si deve. Un movimento che parta dal basso, che apra le strade ver-so una musica realmente globale, dove le di fferenze siano r icchezza, dove la contaminazione sia i l pun-to d’arr ivo, dove l ’ ident i tà non sia né appiat t imento né revanscismo nazional ista. E cominciamo al lora con i madri leni Tr iangulo De Amor Bizarro. Che sì , prendono i l propr io nome dal la quasi omonima canzone dei New Order . Ma qui i suoni sono ben diversi . Come gl i obiet t iv i . Che puntano a r iscr ivere l ’ indie rock – quel lo che parte dal l ’America dei Sonic Youth p iù pop per at terrare nel la Norvegia dei Motorpsycho – tenendo ben piantat i per terra un paio di palet t i . Pr imo: r iprendere la lezione dei maestr i angloameri -cani senza per questo scadere in uno ster i le copia&incol la. Secondo: la l ingua. Basta con l ’ inglese, che cantato con accento ispanico cor-re i l r ischio di t rasformare l ’ intera operazione in una parodia di cui nessuno sente i l b isogno, tantome-no chi l ’ inglese lo par la dal la nasci -ta. Largo invece al lo spagnolo, per spazzare v ia con una potenza so-nica impressionante i l pregiudiz io che vuole recintare questa l ingua al l ’ interno del la orr ida sfera maca-renica . Perché i Tr iangulo De Amor Bizarro fanno indie, e non in ingle-se. E coloro che nutrono dubbi e inarcano sprezzant i i l sopraccigl io – “ehi, amico, i l rock s i canta in in-glese, l ’hanno inventato loro, a noi tocca Sanremo e agl i spagnol i le mossette lat ino americane” – sono pregat i d i a lzare for te i l volume e far part i re la perfezione pop di El Fantasma De La Transic iòn (un brano che è un inno d’amore eter-no al l ’ indie rock), i l casino l imi t rofo al punk-funk – più i l punk che funk – di Isa Vs. El Part ido Humanista , i l terror ismo sonico di Ardiò La Virgen De Las Cabezas . I l d isco purtroppo è ancora inedi to in I ta l ia. L’unico

modo per procurarselo è at t raverso i l s i to www.mushroompi l low.com. Ma ne vale la pena. (7.0/10 )

M a n f r e d i L a m a r t i n a

U n s a n e – V i s q u e e n ( I p e c a c / G o o d f e l l a s , 1 3 m a r z o 2 0 0 7 ) G e n e r e : h a r d c o r e , n o i s eGran bel la evoluzione per gl i Unsa-ne. Ora i cadaveri l i avvolgono in teloni di plast ica anziché lasciarl i a marcire, testa decapitata e pozza di sangue, sul le fet ide rotaie del la me-tropol i violenta. I padrini del la vec-chia guardia newyorkese tornano in piena forma per la nuova mattanza, dopo lo stanchissimo Blood Run che due anni or sono l i aveva salva-t i dal l ’obl io degl i anni ’90. Visqueen segna cambi di guardia, di prospet-t iva, ma non di approccio. Ora i tre furoreggiano su Ipecac, l ’et ichetta di Mike Patton, che pare sempre più propensa a diventare l ’Amphetami-ne Repti le del 2000, come dimostra-to anche dal l ’ul t imo Melvins di po-chi mesi fa. Come se non bastasse i tre macellai si fanno lucidare a festa i l sound da uno con l ’orecchio lun-go come Andrew Schneider (Cave In, Made Out Of Babies, Pel ican). I l r isultato al la f ine è più o meno in regola con la loro discografia. Le urla disumane di Chris Spencer non cedono un grammo di efferatezza al l ’avanzare del l ’età. Stessa cosa per i l drumming tentacolare di Vin-ce Signorel l i , In compenso i l suono progettato da Schneider r iempie le casse e regala nuove profondità al le note del basso. I fan del la prima ora saranno pronti a storcere i l naso con l ’arpeggio country del l ’ iniziale Against The Grain , ma arr ivano su-bito le chitarre splatter a rovesciare indietro crani e spine dorsal i nel le fe-

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roci arr inghe hardcore di This Stops At The River , No One , Disdain , Eat Crow . Insomma, Visqueen sembra quasi una versione in technicolor di Scattered, Smoothered And Unco-vered , pur senza avere la Scrape del l ’occasione. Eravamo tutt i pron-t i a dare addosso ai vecchiett i del noise-hardcore, ma questo disco tutto sommato ci dice che le loro quotazioni art ist iche sono in r ialzo. (6.8/10)

Antonello Comunale

Wolf & Cub – Vessels (4AD / Self , 4 apri le 2007) Genere: psych rockNon deve meravigl iare tanto la v i -cenda di una band austral iana che bussa - non senza una certa suppo-nenza - a l la porta di Ivo Watts-Rus-sel l con in mano un solo 7” (Thou-sand Cuts ) , e per tut ta r isposta assiste - d i certo non incredula - a l concret izzarsi d i un esordio disco-graf ico targato 4AD. Non può me-ravigl iare, se l ’a lbum di debutto in quest ione è aperto con grandeur da un brano come Vessels , imponente macigno di psych-rock acido come i Primal Scream in f issa con i l kraut, basso e batter ia a vergare un’anda-tura ossessiva e paranoica.Al la stregua dei conterranei Wolf-mother , con cui hanno spesso div i -so i l palco, i Wolf & Cub, ol t re che per un rock psichedel ico di indubbia matr ice anglosassone, impazzisco-no per certo stoner con ascendent i Hawkwind : musica per spazi - men-tal i , pr ima che geograf ic i - espansi e surreal i d i cui l ’Austral ia, come certe regioni degl i States, abbon-da. Così in This Mess e Steal Their Gold pare di ascol tare dei Fu Man-chu osservat i da insol i te lat i tudini dance- t ropical i ; e i l miraggio di un deserto non è mai stato tanto sfo-cato quanto gl i accordi del la al lu-c inata divagazione per sola musica di Conundrum . Se a tut to questo s i aggiungono r igurgi t i d i psichedel ia Spaceman 3 – quasi un dazio da tr ibutare al la terra che l i ha adotta-t i : quel l i del le strumental i Vultures Part 2 e Kingdom , quest ’u l t ima ve-nata dub - ed un paio di potenzial i h i t - la sfacciataggine Kasabian d i Seeds Of Doubt - ecco che i l senso di meravigl ia con cui abbiamo esor-di to non è più supportato, a l chiu-

dersi d i un c i rcolo, da alcuna ragion d’essere. (7.0/10 )

Vincenzo Santarcangelo

Velvet Score – Scarecrows (BlackCandy Records, 6 marzo 2007) genere: post- indieI Velvet Score sono cresciut i . E pa-recchio. Laddove Youth s i metteva sostanzialmente in scia s lowcore-noise, questo Scarecrows prova a mettere i l sale sul la coda d’un pen-nuto umorale. Ci prova, e - malgra-do l ’angolosa traiet tor ia del volo - spesso r iesce. A costo di esagerare, come accade nei nove minut i del la conclusiva Moon Won’t Wake Toni-ght, una specie di sui te improbabi le ma stranamente plausibi le, con le sue sperse apprensioni Sigur Ros, i fa lset t i e i controcant i gospel , le fo late sanguigne di chi tarra, le ro-mant icher ia d’archi e gl i inneschi valzer t i rat i . E’ la propaggine estre-ma d’un percorso al t r iment i int imo, r i tagl iato t ra torment i soul , sussul t i funk e ruvider ie psych, i l tut to av-vol to in una pel l icola di accomo-dante propensione - massì - indie. Tutte queste compl icazioni st i l is t i -che trovano naturale r i f lesso negl i arrangiament i , f rastagl iat i , umbra-t i l i , suadent i : v i luppi cosmici ed arty di chi tarre e tast iere (vedi Fal-l ing Stars Know Where To Fal l , va-gamente f lamingl ipsiana), i l passo languido e sgualc i to di archi e v i -brafono, le s l ide untuose e i campa-nel l in i ( t ra gl i echi dEUS di Bionic) . Non stupisce che le note stampa r i fer iscano di sessioni t ravagl iate. Al la f ine però i l producer Giacomo Fiorenza può vantare un al t ro bel lavoro nel palmares, mentre quest i ragazzi - col loro post- indie fosco e v ibrante, contagiato da inquietudini e languor i d i var ia natura - possono (devono) guardare al futuro con la testa un po’ p iù al ta. Senza smette-re di cercarsi , perché ancora non si sono trovat i del tut to. Sono (sol tan-to?) sul la buona strada. (6.5/10)

Stefano Solvent i

Yellow6 – Painted Sky (Resonant / Wide, 2 apri le 2007) Genere: ambient, post rockEra un matr imonio che si doveva fare, quel lo t ra Jon Attwood in arte

Yellow6 e la Resonant. Un matr i -monio da tenersi sot to una tormenta ad immaginare panorami vast i . La label br i tannica ha ormai raggiunto i l consol idato marchio di fabbr ica. La v is ione di una musica a caval-lo t ra post-rock e ambient in quel-lo che sembra un sent iero dolce e bonar io nel la regione del le musiche eteree. Resonant come gr i ffe di lusso per suoni che sanno di vento, nuvole, cosmo, inverno. Mi chiedo se par leremmo di certe der ive del post-rock, oggi , negl i anni 2000, se David Gi lmour non avesse suo-nato la sua chi tarra a quel la ma-niera, dando “quel” suono ai Pink Floyd del dopo Barret t . Molt iss imi dinosaur i at tual i del post-rock, de-nunciano più analogie con quest i u l t imi che con i suoni d i Louisvi l le. Sarà anche per un certo gusto per i l suono r iverberato portato in auge dai Mogwai , comunque sia davvero per questa schiat ta moderna val la pena di usare la def in iz ione che Ju-l ian Cope d iede del gruppo di Dark Side Of The Moon : “Mantra da sog-giorno ” . Questo per Yel low6 è co-munque i l sesto disco. Quindi non è uno al le pr ime armi o che non ha mai avuto niente da dire. Si r icor-dano con piacere suoi precedent i lavor i come Melt Inside , Music For Pleasure e i l t r ip l ice The Beauti-ful Season Has Past una sorta di manifesto personale. A questo giro, At twood si spinge un po’ fuor i dal -la nube ambient. Painted Sky è un lavoro molto più tangibi le dei pre-cedent i , come lascia intuire anche i l t i to lo. Meno elet t ronica e intui -z ione. Più suoni lavorat i . Più post rock der ivat ivo quindi . I l r isul tato è in l inea con le ul t ime cose di casa Resonant come gl i Olvis se non propr io con gl i u l t imi Explosions In The Sky , e nei casi migl ior i s i a l l inea a certe cose di Lanterna . Probabi lmente sarebbe stato pre-fer ib i le un uso maggiore del l ’e let -t ronica. Attwood cerca di cambiare nel la cont inui tà ma r imane come a metà del guado. I l d isco troverà co-munque i l suo pubbl ico t ra gl i ap-passionat i del genere. (6.0/10 )

Antonel lo Comunale

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E m a n u e l e E r r a n t e – M i g r a t i o n s ( A p e g e n i n e / Wi d e , o t t o b r e 2 0 0 6 d i s t . f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : a m b i e n t - t r o n i c aI l carosel lo astrat to di Rugiada , i l loop pianist ico avvol to in c inemat i -che del r icordo di Nubes , i l groove e le metronomie di Wheels smalta-te di sot t i le psichedel ia, i l Sat ie di Sogno , i campionament i del mare e le c i tazioni degl i arcani Black Tape For A Blue Gir l d i Calabr ia . In al -t re parole Migrat ions è una sorta di termometro del la contaminazione acust ico-elet t ronica del l ’ambient degl i u l t imi anni – e t i rando fuor i a lcuni sample a mia vol ta - t ra mo-ment i ammal iant i e r i f lessiv i , adul t understatement e contemporary meditat ion. Ad ogni modo, di ff ic i le dist inguere dove f in isce la scr i t tura descr i t t iva del l ’autore e dove in iz ia-no cert i punt i acquis i t i del set tore. L’ambient, s i sa, è soggetta a una rapida senescenza, le idee nuove invecchiano nel g i ro di un anno, e soprat tut to, s i ut i l izzano le stesse macchine (e interfacce) per creare prat icamente ogni scenograf ia. Ar-r ivat i a l punto d’aff i lare la penna, i l fondatore del la net label Openlab Records (noto anche come Mais), c i sorprende con Waltz ing Chiara : un girotondo di r icordi Cineci t tà. Fel l in i e Dino Risi in un car i l lon sempl ice sempl ice (ma perfet to) . Teniamolo d’occhio. (6.0/10 )

E d o a r d o B r i d d a

M a g a z i n e – T h e C o r r e c t U s e O f S o a p ( V i r g i n , 1 9 8 0 - V i r g i n , 1 9 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : n e w - w a v eI l numero 28 ot tenuto in Inghi l ter-ra nel maggio del 1980 non servì a salvare The Correct Use Of Soap da quasi t re decadi d ’obl io: avve-nuta senza part icolar i r icorrenze da celebrare, c i lascia quindi stupi t i

questa r istampa Virgin con tanto di bonus track (quattro b-side d’epo-ca, ut i l i p iù che al t ro ai complet i -st i ) . Non era inusuale, a f ine anni Settanta, che la stessa band produ-cesse album radicalmente diversi a distanza di pochi mesi (bast i pen-sare a Wire e Public Image Ltd) : così , part i t i dal le bizzarr ie a metà f ra pop barocco e hard-rock di Real Life e t ransi tat i per la prog-wave elet t ronica di Secondhand Dayli-ght , g iunse i l momento per i Ma-gazine di chiudere i l cerchio in una terra di nessuno fra new-romant ic e power-pop. L’apertura è aff idata a Because You’re Fr ightened , con le chi tarre di John McGeoch a fon-dere power-chord punk e l iquidi tà Fripp , la voce schizzata di Howard Devoto a narrare di fobie e rapport i d i coppia, la torrenziale batter ia di John Doyle a far da guida. Strut-turalmente non siamo distant i dagl i Only Ones d i Another Gir l Another Planet o dal Nick Lowe di I Love The Sound Of Breaking Glass : a far la di fferenza sono i l nevrot ico dan-dismo di Devoto, i r icami del la band e la produzione di Martin Hannett , che schiaccia i l suono di chi tarre e tast iere, ma ne incrementa la sciol -tezza, elemento necessar io ad una band come i Magazine, spesso in-tenta a giocare sul le sfumature e a lambiccare i l p iù possibi le gl i ar-rangiament i . La tendenza new-ro-mant ic è confermata da Sweetheart Contract - con le tast iere di Dave Formula a sf idare Gary Numan per f reddezza e suono al ieno - e dal funk di Stuck , con intrecci r i tmic i rompicapo e r i tornel lo pop-ambient. I l basso di Barry Adamson domi-na Thank You (cover di Sly & The Family Stone) , vel lutata new-wave dove scienza dub e raff inato gusto estet izzante s i sposano manco fos-se una jam fra Scritt i Politt i e Jah

Wobble ( l ’a l t ro grande bassista br i tannico del l ’epoca). I due vert i -c i sono però I Want To Burn Again - saggio black-music (cor iste soul , basso sincopato, p ianoforte funky) affogato in sovrannatural i d iscese di s intet izzatore - e A Song From Under The Floorboards , con Adam-son a disegnare magistral i f igure pop-funk, cosicché Devoto possa elargire una del le sue melodie più elaborate e uno dei suoi test i p iù disgustat i (This is a song from un-der the f loorboards, th is is a song from where the wal l is cracked, my force of habi t , I am an insect ) . Nel la contrapposiz ione fra gl i amant i dei Magazine chi tarr ist ic i e quel l i sovrarrangiat i del la matur i tà, r imaniamo quindi neutral i . I l loro percorso, a tut t ’oggi fondamenta-le, è un po’ lo specchio del la new-wave inglese, part i ta dal punk per aumentare gradualmente la com-plessi tà degl i arrangiament i : The Correct Use Of Soap è da questo punto di v ista un caleidoscopio as-soluto, un punto di non r i torno al quale la stessa band non saprà rea-gire (un ul t imo album – Magic Mur-der And The Weather – pubbl icato f ra lo scontento generale, quindi lo sciogl imento). (8.0/10 )

F e d e r i c o R o m a g n o l i

Backyard

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D i e M o u l i n e t t e s – F ü r E i n e H a n d v o l l – 1 0 J a h r e Ve r s t r i c k t ( E c h o k a m m e r - H a u s m u s i k / Wi d e , 1 6 f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : r e t r o p o pI l pop è un enigma dal le cont inue capaci tà r igenerat ive, laborator io perenne dove conf lu iscono e s i mescolano sogno e real tà, passato e futuro. Addiz ionato del pref isso “retro”, ha regalato cose important i a part i re da quel l ’ imprecisato mo-mento di metà anni Novanta in cui molt i s ’ infatuarono di c inemat ismi sonor i , i ronia e musiche “esot iche”. Passat i i c lamori restano oggi i p iù for t i del lot to, come le teutoniche Moul inet tes, t r io di ragazzotte at t ive dal 1996 cui s ’è aggiunto in segui to un giovanotto. Quartet to di ta lento che da sempre s’aff ida al la l ingua madre per i l cantato e mescola di -s invol to le suggest ioni d i cui sopra, cogl ie l ’occasione del decennale di carr iera per pubbl icare una r icca antologia che pesca bene lungo tre album, svar iat i s ingol i e col labora-zioni . Produzione discograf ica par-s imoniosa, dunque, perciò di valore uni formemente elevato, che senza inventar nul la di nuovo gode di una scr i t tura eccel lente e off re gustosi confet t i che si inf i lano pian piano sotto la corteccia cerebrale f ino a diventare presenza f issa. Musica che, com’è giusto, s i fa for te del propr io sorr idente c i tazionismo, e at t raversa con classe estrema i propr i passaggi obbl igat i : colon-ne sonore (Deep Down , poco noto gioiel lo acid lounge di Morricone ) , t ropical i tà un po’ d isturbata ( Immer Nie Am Meer ) , echi d i g i r l groups dei Sessanta (Meine Liebe Ist Wie Ein Asylantrag ) . Tutt i sapor i armo-nizzat i con somma maestr ia dagl i Stereolab , qui band di r i fer imento, poi r icopert i d i f iocchi (Zaubervogel Barbie , sul la bambola più famosa del g lobo) e svolazzant i la- la- la (Drei Mädchen ) , oppure sottopost i a t rapiant i d i jazz da cool genera-t ion ( la br iosa Der Letze Spiel tag , Du Fl iegst Hoch,Reini Furrer ) , tech-no-pop scioccamente geniale (Lie-be Auf Dem Land ) , marcette degne di Sean O’Hagan (Cary Grant ) . Ci s i prende assai poco sul ser io, ed è al t ro valore aggiunto, aggirando-si t ra canzoni sugl i ormoni e stor ie

adolescenzial i ( la fenomenale - in i ta l iano! - Alf io Brambi l la raccon-ta l ’amore est ivo sul lago di Lecco da parte di una del le s ignor ine…), saggiando le moderne ossessioni e pescando nel l ’ immaginar io v in-tage, ot t imista però mal inconico, d i mobi l i in plast ica e minigonne, let t i rotondi e monoscopi . Inf ine, poiché al cuore non si comanda, mentre lodo le inat tese ombrosi tà velvet iane del la fenomenale cover di Hildegart Knef (chi?) Gestern Hab’ Ich Noch Nachgedacht , spez-zo una lancia a favore di Herr Rossi Sucht Das Glück , s ig la del cartone animato di Bruno Bozzetto I l Signor Rossi , che col suo “viva la fe l ic i tà, chi la cerca non ce l ’ha… ” accom-pagnò numerose ore fe l ic i del sot-toscr i t to qualcosa come trent ’anni fa. E s iccome ir radiare di nuova vi ta i r icordi è prerogat iva del mi-

gl ior pop, avrete inteso che qui ve n’è in abbondanza, se da centel l i -nare o mandar giù d’un f iato vedete voi . Nice is the new cool d i rebbero Die Moul inet tes, e concordo in pie-no. (7.4/10 )

G i a n c a r l o T u r r a

N i c o – T h e F r o z e n B o r d e r l i n e : 1 9 6 8 - 1 9 7 0 ( R h i n o U K , 2 6 f e b b r a i o 2 0 0 7 ) G e n e r e : g o t h i c , f o l kSi chiama Evening Of Light i l brano che chiude la versione or ig inale di The Marble Index . Una cascata di note che si r i f let tono l ’un l ’a l t ra. La voce asett ica ad evocare in stato di t rance: “ I vent i d i mezzanotte che abi tano al la f ine dei tempi ” . Un pic-colo manifesto per una musica che non passa senza fer i re, con l ’effet-to col laterale di lasciart i con un di -sturbato sentore di ombra. Come un

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velo che t i s i poggia addosso. Un velo che non vedi ma che sent i . La Nico post Chelsea Girl ha sempre evocato sensazioni s in istre come questa, basta scorrere rapidamen-te le note del booklet accluso al la presente r istampa, per poggiare l ’occhio su dichiarazioni analoghe. Ad esempio quel la celebre di John Cale : “The Marble Index è un arte-fat to non una comodità…non puoi vendere i l suic id io ” o ancora “The Marble Index non è un disco che ascol t i . E’ un buco in cui cadi ” af-fermazione di Frazier Mohawk che si avvic ina paurosamente al cele-bre adagio di Nietzche: “Quando guardi nel l ’abisso, l ’abisso guarda dentro te ” . Tutto questo per cercare di descr ivere con poche parole lo status di a lg ida devastazione che fuor iesce dai d ischi del la musa di Andy Warhol . Un umore ul t rater-reno di nero impenetrabi le che ha fat to epoca. Rhino fa ora un favore al le nuove generazioni e distr ibui-sce in doppio cd i due capolavor i noir d i Nico: The Marble Index e Desertshore . Con l ’aggiunta di svar iat i out takes, demo e al ternate versions, più una r ivernic iata data ai suoni con una nuova master izza-zione. Un’occasione i r r ipet ib i le. En-trambi marchiat i a fuoco dal l ’a lche-mico matr imonio t ra la voce di Nico e gl i arrangiament i d i Cale, sono ol-t re i l rock e non gl i assomigl iano af-fat to. La grammatica è radicalmen-te diversa e deve molto al le “ let ture al te” in cui s i c imentava Cale. Se si togl iessero i suoi arrangiament i però avremmo comunque la voce e l ’harmonium di Nico. I l peso speci-f ico di questa musica straordinar ia è comunque tut to suo. Dare vot i ad una cosa del genere è r id icolo, ma credo che si possa dare con faci l i tà un (8.0/10 ) a l progetto del la dupl i -ce r istampa integrata e al la graf i -ca del l ’ar twork. Per la musica no. Questa musica non chiede vot i , ma solo perdiz ioni .

A n t o n e l l o C o m u n a l e

N e i l Yo u n g – L i v e A t M a s s e y H a l l , 1 9 7 1 . A r c h i v e s - P e r f o r m a n c e S e r i e s Vo l 0 3 ( Wa r n e r / R e p r i s e , 1 3 m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : l i v e , c l a s s i cMegl io farc i l ’abi tudine: quattro

mesi dopo i l Live At Fi l lmore East del 1970, ecco una nuova usci ta del le Performance Ser ies, col lana di l ive uff ic ia l i legata al mastodon-t ico progetto Archives ( la cui par-tenza uff ic ia le è prevista entro l ’an-no con un pr imo cofanetto di 8 cd e 2 dvd). La maniacal i tà e la cura nel confezionare i l prodotto sono le sol i te, così come la straordinar ia qual i tà del mater ia le, s ia audio ( i l concerto in quest ione era stato re-gistrato professionalmente in v ista di una possibi le release uff ic ia le) , s ia v ideo ( i l DVD raccogl ie l ’ inte-ra performance, mista a immagini d ’epoca in commento al le canzoni) ; completano i l tut to svar iate memo-rabi l ia, dagl i appunt i del tour ad im-magini esclusive e rare appar iz ioni te levis ive e document i v ideo. Una manna per ogni younghista che si r ispett i , certo; ma se questo Live at Massey Hall ha immediatamente scalato le c lassi f iche americane - i l migl iore r isul tato raggiunto dal Lo-ner dai tempi di Mirror Ball (1995) - , a l lora c ’è s icuramente del l ’a l t ro.Basterebbe la cronologia: s iamo a in iz io 1971, a metà strada fra l ’usci ta di After The Goldrush e la real izzazione di Harvest . Pr ima di recarsi a Nashvi l le per le regi -strazioni , Nei l s i imbarca in una tournée sol ista per rodare le nuo-ve canzoni ; l ’ intenzione in iz ia le è di real izzare un album l ive come i l for tunato 4 Way Street d i CSNY, ma l ’ incostante Shakey presto ab-bandonerà l ’ idea per seguire l ’am-biz ione che lo porterà a real izzare la sua magnum opus . In ogni caso, quel lo che viene catturato su na-stro i l 19 gennaio al la Massey Hal l d i Toronto è un piccolo tesoro, vuoi per la sola qual i tà del la set l is t , vuoi per la resa impeccabi le del la per-formance, t ra int imismo conf iden-ziale e nuda passione.

Armato di sol i p iano e chi tarra, r i -curvo sul lo strumento, una tenda di capel l i d isordinat i a copr i rg l i i l v iso, Nei l snocciola una dopo l ’a l t ra le sue gemme, dai g iorni dei Buffalo Spr ingf ie ld ( I Am A Chi ld , On The Way Home), a i fast i del supergrup-po (Helpless , Ohio ) , passando per gl i inevi tabi l i c lassic i , a lcuni g ià acclamat i (Tel l Me Why , Don’t Let I t Br ing You Down ) , a l t r i ancora in

nuce (A Man Needs A Maid e Heart Of Gold , uni te in un’ inedi ta sui te al p iano); non mancano inol t re rar i tà come Journey Through The Past , Love In Mind e See The The Sky About To Rain (qui nel loro inno-cente contesto or ig inar io, strap-pate dal l ’ar ia angosciante di Time Fades Away e On The Beach) , e le oscure Bad Fog Of Lonel iness e Dance Dance Dance (quadr ig l ia gioiosa, regalata a Danny Whitten per i l coevo debutto dei Crazy Hor-se).Poche stor ie, qui c ’è tut ta l ’essenza del Nei l Young cantautore: un inte-ro universo di inquietudine, di pas-sione, di f ragi l i tà, d i poesia senza tempo. Sempl icemente imperdibi le. (8.0/10 )

A n t o n i o P u g l i a

S i l m a r i l - T h e Vo y a g e o f I c a r u s ( L o c u s t M u s i c / A u d i o g l o b e , m a r z o 2 0 0 7 )G e n e r e : f o l k p s y c h Amant i del le stranezze, s intoniz-zatevi . Soprat tut to se non vi schi fa mescolare incenso e pietre magi-che, l ibr i sacr i ed LSD. Diret tamen-te da Mi lwaukee, anno del Signore 1973, ecco a voi i Si lmari l d i Mat-thew Peregr ine. Prendete nota de-gl i indiz i : ragione sociale ispirata a Tolk ien, aff lato cr ist iano che spr iz-za da tut t i i por i , la non trascura-bi le compl icanza rappresentata dai torment i gay del leader. Due album, Given Time.. .Or the Several Roa-ds del ‘73 e No Mirrored Temple del ‘74, per una carr iera t ragica-mente misconosciuta. L’et ichetta chicagoana Locust Music r iesuma oggi mater ia le da codest i lavor i per real izzare questa succosa compi-lazione, un’ora di fo lk bal lads mi-

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st iche, v is ionar ie, speranzose, feb-br i l i , cupe, incantate. Un senso di comunità hippie nel posto sbagl iato e c lamorosamente in r i tardo al l ’ap-puntamento con la Stor ia, perciò r intanata nel la sacrest ia a cantar-s i /contarsi valzer medievaleggiant i ( la dimessa solenni tà Fairport d i Vespers ) e t remori acidul i (g l i am-miccament i Pretty Things d i Mara-natha ) , sdi l inquendosi t ra dolc i ip-nosi fo lk ( la stupenda Harrow Hi l l , t ipo i Grateful Dead acust ic i col t i da f regole pastoral i ) e squarci d i a l t rove fatato ( la r iverberat issima Windbridge , come un Roy Harper d i pergamena). Più che i l canto di Peregr ine - co-munque al l ’a l tezza di un Kaukonen - le melodie sono marchiate dal l i -r ismo del la cantante Sharon Col-bert tendente ad un certo f ideismo l isergico che rende la solenni tà del soprano talora stucchevole f ino al car icaturale (vedi su tut te la con-clusiva Songs Of Apocalypse ) . Tut-tavia, grande è i l fascino di episodi qual i l ’ in iz ia le Poust in ia ( t r i l lo di mandol ino e r imbombi nebulosi) e soprat tut to Given Time , sorta di micro sui te che esplora sospensio-ni Fahey ed elet t r ic i tà cal i forniane mentre la melodia svolazza e sen-tenzia come una nonna perduta di Joanna Newsom . La gustosa man-canza di coesione, i p iani sonor i sconnessi , la f ragranza dei t imbr i , la strana consapevolezza degl i az-zardi (vedi i l synth robot ico nel f i -nale di Revelat ion ) , tut to cospira a rendere questo disco un’esper ienza sconcertante e accorata, preziosa occasione di nostalgie insensate. (7.3 /10 )

S t e f a n o S o l v e n t i

Ta s a d a y – Ta s a d a y B o x 1 9 8 1 -2 0 0 7 ( Wa l l a c e / A u d i o g l o b e , f e b b r a i o 2 0 0 7 )G e n e r e : p o s t - p u n k d ’ a v a n g u a r d i aNeanche i l tempo di accennare ad una r iscoperta del post-punk i ta l ia-no (cfr. (Some I ta l ian) post-punk, SA#29) ed ecco che se ne mate-r ia l izza un nuovo ed intr igante tas-sel lo. Tempo fa era toccato a Neon e Pankow, poi a i Fr ig idaire Tango, ora è i l turno di Tasaday; tut te for-mazioni che, sul f in i re degl i ‘80,

osarono introdurre in un mercato ancora acerbo le istanze post-punk virate secondo diverse incl inazioni (dark, e let t ronica, wave, ebm).La Wal lace tr ibuta i l g iusto onore al l ’ent i tà Tasaday recuperando rare e/o introvabi l i re leases dei pr imi ma già stabi l i passi del col let t i -vo mi lanese (per iodo 1982-1990). Confezionate in uno spartano box metal l ico (15CD + 1DVD) le regi-strazioni r iguardano sia i due di -st int i gruppi Die Form e Orgasmo Negato (poi t rasformat is i in Nul la Iperreale), dal la cui fusione nac-quero i Tasaday, s ia le pr ime pro-ve col let t ive sot to questo moniker. Infat t i , se la condiv is ione di spazi f is ic i (sala prove, studio e spesso e volent ier i palco) e obiet t iv i (una miscela avanguardist ica di musica e performances vis ive) sancì da subi to l ’esistenza dei due gruppi come ent i tà col let t iva, fu sol tanto dal la cassetta In Un Si lenzio Oscu-ro (ADN, 1983) e dal lp Apr i rs i Nel Si lenzio che la s ig la Tasaday vide uff ic ia lmente la luce. I l box segue perciò cronologicamente l ’ost inato percorso del le mi l le anime di Tasa-day ( in studio, l ive, in ediz ioni pr i -vate) dai pr imi vagi t i debi tor i del -le suggest ioni wave/post-punk del tempo, al le future evoluzioni in cui convivevano rumorismo post- indu-str ia le di matr ice TG e avanguardia noise, t r ibal ismo r i tuale e nevrot i -ca art-wave; tacendo per quest io-ni d i spazio del l ’anel i to esoter ico e del le commist ioni t ra art i v isual i , performances vis ive e musica che formano la personale c i f ra st i l is t ica del progetto lombardo. Un recupero fondamentale soprat tut to in tempi di necrof i l i revival new wave al l ’an-glosassone, ster i l i e pedisseque imitazioni del le intuiz ioni d i a l lora, d i una at tual issima preistor ia post-punk i ta l iana. Per chi non c’era, ma anche per chi c ’era e dormiva. (10/10) ovviamente.

S t e f a n o P i f f e r i

X i u X i u – R e m i x e d & C o v e r e d ( 5 R C , 1 0 a p r i l e 2 0 0 7 )G e n e r e : r e m i xUn disco così - anzi un doppio cd così, per un totale di 80 minuti e passa - può essere letto (ott imist i-camente) in almeno un paio di modi:

o come intertesto o come leccornia per appassionati . Da un lato gl i Xiu Xiu si dipingono attorno, in Remixed & Covered , un mondo di gruppi vi-cini e lontani, perché sia più chiaro cosa i nostr i decidono che gl i sia visto vicino. D’altra parte bisogna vedere se vale la pena di occupar-si di questa auto-celebrazione, o se possiamo con franchezza r ispar-miarla al le persone care. Da questo punto di vista la trackl ist parla da sola, cioè sprona l ’ascoltatore al le proprie considerazioni e al le proprie curiosità, secondo i gusti .Meno posit ivamente, c’è da dire che oggi, dopo Air Force , credia-mo un po’ meno in Jamie Stewart , e un’uscita come questa può essere un’ott ima argomentazione per cor-roborare la nostra disi l lusione. Ma va anche detto che la r iscri t tura di alcuni loro componimenti, nel loro essere mutanti farciture di effett i , è cosa interessante. Ne è prova i l crescendo quasi pop (quasi roman-t ico) di Apistat Commander r i fatta da Sunset Rubdown . Convincono meno remix come quello di Fabulous Muscles , f i rmato Kid 606 , maggior-mente i r i facimenti più stravolgen-t i , più lontani dal l ’or iginale: quel l i i rr iconoscibi l i come Support Our Troops di Devendra (già comparsa due anni fa in uno spl i t proprio con i nostr i protagonist i) o come I Love The Valley Oh! (totalmente “r imelo-dizzata” da Her Space Holiday), o quasi irr iconoscibi l i come Clowne Town nel la versione acustica di Ma-rissa Nadler , giusto per prendere i quattro esempi da Fabulous Mu-scles . Ma, per tornare in pace con gl i Xiu Xiu, al la f ine convincono di più le versioni original i . I l l ivel lo è altalenante; ma siamo di parte, e at-tr ibuiamo i momenti migl ior i a merit i xiuxiu-iani, gl i episodi meno bri l lanti a colpe del la compagine di remixa-tori e coverizzatori . Rimane un nodo gordiano, quel lo che, una volta sciolto, svelerebbe la vera natura degl i Xiu Xiu, se quella di composi-tori , o quel la di bricoleurs. (6.4/10 )

G a s p a r e C a l i r i

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! ! ! - C i r c o l o d e g l i A r t i s t i , R o m a ( 2 9 m a r z o 2 0 0 7 )Dopo tre anni di assenza dai palchi romani, i !!! tornano per la presen-tazione del nuovo Myth Takes. La fama dell ’ensemble americano si è notevolmente allargata, tanto che il Circolo è gremito all ’ inverosimile da rendere paradossalmente quasi impossibile i l ballo. Nessun gruppo spalla è previsto in scaletta, e di-fatti i l pubblico non vuole altro che cominciare a scatenarsi al ritmo del-le chitarre e delle percussioni degli otto musicisti, chiamati fuori a gran voce. Appena giunti sul palco non danno spazio a convenevoli e i due batteristi partono immediatamente con ritmi irresistibil i . Nic Offer con-tagia i l pubblico, semmai ve ne fosse bisogno, con i suoi irrefrenabil i mo-vimenti, e lo coinvolge in orgiastici ball i sulle note di All My Heroes Are Weirdos. I brani proposti sono pre-si indifferentemente da Louden Up Now e i l loro ult imo lavoro, tutti pro-posti in una veste più aggressiva ri-spetto a quella in studio, preferendo muri di suono di chitarra spacey ai sintetizzatori (i l Moog viene uti l izza-to solo in un paio di pezzi), tanto che più di punk-funk si dovrebbe parlare di funk-noise. Alle ritmiche da dan-cefloor si aggiunge anche un conti-nuo scambio di strumenti sul palco che vivacizza ancora di più la sce-na. Quando John Pugh entra a dare man forte ad Offer non c’è davvero possibil i tà di restare fermi: dopo es-sersi scatenato con A New Name, scende tra i l pubblico continuando a cantare, esaltando ancora di più i presenti. Quando arrivano Yadnus e Hello? Is This Thing On? sembra oramai d’essere più ad un rave che ad un concerto: non c’è una singola persona che non si muova. Nono-stante alcune pause troppo lunghe tra un pezzo e l ’altro, i !!! non fanno

mai calare l ’entusiasmo del pubbli-co, da cui sono idolatrati come delle vere e proprie rockstar. L’unica delu-sione è la durata del concerto: appe-na un’ora e un quarto, giustif icabile però dall ’ impegno profuso dagli otto, che oltre a suonare si muovono non meno di chi è lì per vederli. Un uni-co bis viene concesso dal solo Tyler Pope, che torna sul palco per un im-motivato noise-drone chitarristico di pochi minuti, a sottolineare l ’aggres-sività che differenzia le esibizioni dal vivo dai dischi in studio.

Andrea Monaco

F a t h e r M u r p h y - G a n e s h C a f è , B o l o g n a ( 2 3 f e b b r a i o 2 0 0 7 )Le pareti rosse, gli specchi, le luci soffuse e i soffitt i a sbuffo dell ’area concerti del Ganesh Cafè - un se-minterrato di sei per sei posto esat-tamente sotto alla zona pub del lo-cale -, sembrano fare i l paio con la musica dei Father Murphy. Anch’es-sa evanescente, ricca di sfumature, dispersa in un alveo minimal-folklori-stico figlio della psichedelia del Cap-pellaio Matto e parente stretto delle anoressie formali di Will Oldham e compagnia. Un concerto, quello di Bologna, che in realtà non è un concerto ma un happening tra pochi intimi, funestato dallo scarsissimo spazio a disposi-zione per impianto e pubblico - i l pri-mo non altezza, i l secondo costretto in pochi metri quadrati - ma sostenu-to da una band che riconferma l’otti-ma impressione suscitata al momen-to della pubblicazione dell ’ult imo Six Musicians Getting Unknown. Ed è proprio da lì che idealmente si parte alla ricerca dell ’universo sghembo e affascinante della formazione trevi-giana, con un’ irresistibile Tell You A Secret che cita la Baby Lemonade di Syd Barrett pur suonando origi-nale, con i colori appiccicosi di Brain

e le progressioni trascinanti di It ’s Raining Smiling Tunas Dear C. Lee, con la narcotica Butterfl ies & Bats e i l grandangolo distorto di Seeds, con la We Know Who Our Enemies Are tratta dall ’ult imo split Father Murphy / Lorenzo Fragiacomo. Nel complesso un live spedito di un’ora e mezza, che tra momenti riusciti e qualche caduta di tono, ha ripercor-so la storia recente dei tre, regalan-do sul f inale qualche testimonianza degli esordi (i l garage di Rollerco-ster). E tutto questo nel disinteres-se (se non incomprensione e una punta d’osti l i tà) dei gestori di Via Polese, abituati a ben altro intrat-tenimento e vibrazioni musicali. I l 24 aprile suonerà sullo stesso pal-co Beatrice Antolini, sempre della scuderia Madcap: siamo certi che per qualcuno sarà soltanto un’occa-sione per vendere qualche bicchiere di birra in più.

F a b r i z i o Z a m p i g h i

K l a x o n s + D i s c o D r i v e - R o l l i n g S t o n e , M i l a n o ( 8 m a r z o 2 0 0 7 )La possibil i tà di verif icare se questo benedetto new rave esiste davvero o è solo un’etichetta inventata dalla stampa d’Oltremanica arriva al pub-blico italiano nel t iepido giovedì sera di una primavera anticipata, per l ’ap-puntamento con la prima Brand New Night organizzata da MTV (mandata in onda il 21 marzo). Sarà l ’ ingres-so gratuito, sarà l ’hype arrivato fin qui, ma ben presto i l Roll ing Stone si riempie a tappo, lasciando poco - o nullo - scampo ai numerosi astanti, quasi tutti r igorosamente ventenni. Di quello che i “nostri” Disco Drive (di cui aspettiamo l’ormai imminente prova in studio sulla lunga distanza, prevista per i l prossimo giugno) sono capaci di combinare su un palco ab-biamo parlato di recente; diciamo che in questa sede i torinesi vanno

Dal vivo

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vicini al rubare la scena ai “cugini” britannici, con un p-funk abrasivo e tribale di scuola fine ‘70, che trova nell ’elemento percussivo i l suo prin-cipale punto di forza, con i l basso di Matteo a sostenere un’impalcatura su cui Alessio e Jacopo sono liberi di costruire figure ritmiche e rumori-stiche ai l imiti del free. Forse manca ancora i l brano definit ivo, l ’anthem che in questi casi è la chiave di vol-ta, ma in ogni caso l’ impatto è sicu-ro, i l l ive è un trip sudato e anfetami-nico, e viene proprio da pensare che dall ’altra parte della Manica questi ragazzi giocherebbero già da tempo in premier league… Che poi è quello che è successo in pochissimo tem-po agli headliner della serata, f ino a non più di un anno fa degli emerit i sconosciuti e oggi uno degli act più caldi in circolazione. Come calda è la – poca – aria che circola già dalle prime note di Two Receivers, futuri-stica e kitch opening track di Myths Of The Near Future. A vederli, i Kla-xons non sarebbero poi così diversi da tanti altri emul-wave rockers: ap-paiono assolutamente normali nelle loro felpe e pantaloni larghi, altro che quelle caricaturali mise dei rivali Horrors; non è invece così “norma-le” i l loro arsenale di riff schizoidi, ritmi impossibil i e falsetti t irati all ’ in-verosimile, almeno a giudicare dalla

bolgia che si solleva quando parto-no i singoloni spaccatutto Magick e Atlantic To Interzone. L’esperienza su palco non è molta e si vede, ma i quattro si difendono bene, compen-sando i l imiti con entusiasmo conta-gioso; sarà la loro musica, o quella nebbia di sudore misto ad alcol che ha preso i l posto dell ’aria, ma star fermi è impossibile. Certo, i pregi e i difetti sono gli stessi riscontrati su disco, con l ’alternarsi di brani kil ler a riempitivi, anche se dal vivo i l di-vario si avverte molto meno; e così non stupisce che Totem on the Time-line e la cover di It ’s Not Over Yet di Grace diventino uno degli highlight di un concerto che, per quanto breve (i l repertorio è pur sempre quello che è), ha raggiunto l ivell i di intensità e partecipazione che mancavano da un po’ a concerti rock di band emer-genti (Franz Ferdinand degli esordi compresi). Un attimo, abbiamo detto rock? Scusate, è l ’abitudine…

A n t o n i o P u g l i a

L C D S o u n d s y s t e m - R o l l i n g S t o n e , M i l a n o ( 2 2 m a r z o 2 0 0 7 )Aria da bravo ragazzone, qualche chilo di troppo fasciato da una t-shirt non proprio della misura giusta, bar-ba incolta di pochi giorni. Non lo si può di certo associare allo stereotipo della rockstar, eppure James Mur-

phy, complicil ’ Hot Chip Joe Goddard e la vocalist Nancy Wang, ha grinta da vendere e a renderlo unico è pro-prio i l contrasto tra un aspetto che è la negazione dell ’animale da palco-scenico e l ’energia irrefrenabile che è capace di trasmettere al pubblico, in uno spettacolo che rinvigorisce la cultura del dancefloor con puri mo-menti di rock al fulmicotone. A do-minare la scaletta è naturalmente i l nuovo The Sound of Silver, infra-mezzato qua e là dai cavall i di bat-taglia del primo album, tra cui arriva senza farsi attendere una versione accelerata di Daft Punk Is Playing At My House. Tanto per affondare i l col-po, ecco i l freschissimo tormentone North American Scum, r iff ruffiano ma impossibile da assecondare, so-prattutto con le gambe. Ma il gioco si fa serio quando parte i l synth di Tribulations e la platea si trasforma in un delirio di mani e piedi impazzi-ti, un unico coro a far risuonare l ’eco nel locale. Un ragazzo riesce a sali-re sul palco ma la security lo rimette prontamente al suo posto, Murphy con fare paterno esclama in inglese “siete fantastici , ma non fatevi male” . A seguire, la sarabanda house Beat Connection, l ’esplosiva furia punk di Movement, valorizzata dall ’am-plif icatore della chitarra sparato al massimo al momento giusto, e una

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versione molto “extended” di Yeah, con un Murphy ormai completamente calato nella parte di gran cerimonie-re della serata e intento a martoriare la batteria senza ritegno su quello che è i l brano-mantra del genere. I l canovaccio è noto: i l t iro funk-wave esplode nella maggior parte dei casi in assoli distorti ed effetti sintetici da modernariato anni Ottanta, forse troppi e troppo particolareggiati per essere resi appieno dall ’acustica del locale (On Repeat, Thril ls), ma for-giati quel che basta da strumenti e mixer per rendere i l groove degli LCD senza sbavature. Anzi, se in studio i l coté elettronico tiene sempre sot-to controllo quello più abrasivo, nel l ive i ruoli si invertono e tutto tende ad andare meravigliosamente sopra le righe: l ’att itudine punk straborda nella disco, i l r itmo spinge l’accele-ratore e non abbassa mai la guardia, anche tra un pezzo e l ’altro. Dopo un’ora e mezzo di ininterrotti beat, i l bis riserva la sorpresa di una cover dei Joy Division (No Love Lost) e i l tr ibuto a New York che corona anche The Sound of Silver, quella malinco-nica ballata un tantino troppo debi-trice ai bassifondi di Lou Reed ma perfetta da cantare sudati e contenti con un accendino in mano. O, come insegna Mr. Murphy, crooner d’ecce-zione, con un asciugamano in testa.

S t e f a n i a B u o n a g u i d i

M o r k o b o t – S p a z i o 2 11 , To r i n o ( 1 0 f e b b r a i o 2 0 0 7 )I Morkobot sono un power trio stru-mentale dedito allo stordimento dello spettatore per mezzo di un suono po-tente e distorto, informe e imprevedi-bile. I l palco dello Spazio211 è diviso in due da una pedaliera straripante di distorsori, delay, f langer, sembra una pista di atterraggio per astronavi aliene. Ai suoi lati chitarra e basso vengono seviziati senza pietà, men-tre i l batterista svolge i l compito di t i-moniere, è lui che detta la direzione, monta e demolisce impalcature ritmi-che atte sostenere i l magma sonico prodotto dai due compagni. I l drum-ming frammentato e funambolico, di derivazione math, distingue il suo-no dei tre dal maremagnum stoner-sludge-heavier-than-you che rende certe band tremendamente scontate e in fin dei conti innocue. Immagi-

nate le muraglie sonore innalzate da Earth e Skullflower r icoperte di l iquido l isergico, a Justin Broadrik rapito dagli Hawkwind e deportato sul pianeta Om, a Zorn In The Sky (Valley) With Diamonds. Lin, Lan e Len, questi gli pseudonimi dei tre, passano gradualmente dal jazz-core al doom, dallo space-rock al weird noise spazzando via ogni barriera sti l istica con l’ inesorabil ità di una catastrofe. I l r isultato è ipnotico e mostruoso, un trip sonoro ad alta intensità da consumare a stomaco vuoto e occhi bendati.

P a o l o G r a v a

S a v a g e R e p u b l i c - R i s i n g S o u t h ( N a p o l i , 1 2 m a r z o 2 0 0 7 )Bruce Licher ha indubbiamente compiuto un bel gesto, permettendo la reunion del la band che nel l ’ imma-ginar io degl i ascol tator i p iù raff inat i ha sempre sottointeso i l suo nome. Ormai agiato graf ico pubbl ic i tar io, ha probabi lmente prefer i to non mettersi nuovamente in gioco, ma di buon grado ha accettato l ’ in iz ia-t iva dei compagni, a iutandol i addi-r i t tura nel la distr ibuzione del nuovo ep, Siam , per i l quale ha disegnato la copert ina. I l 12 marzo 2007, al Ris ing South di Napol i , assist iamo così a un concerto dei Savage Re-public senza deus ex machina. La sensazione, immediatamente pr i -ma che i nostr i salgano sul palco, è quasi quel la di assistere a una cover band, ma poco importa: s i r ivelerà la migl iore cover band ipo-t izzabi le. Del la formazione stor ica (per quanto nessuno di quest i fos-se presente in Tragic Figures) r i -t roviamo Thom Fuhrmann (basso, chi tarre, voce), Greg Grunke (bas-so, chi tarre, voce) e Ethan Port (b i -done, chi tarre, voce), coadiuvat i da Val Haller (basso) e Alan Waddin-gton (bat ter ia) . Apre Tabula Rasa , con Fuhrmann e Hal ler a imposta-re la cavalcata a due bassi , men-tre Grunke e Port uncinano con le chi tarre. Fuhrmann fa da showman, interagisce con i l pubbl ico e s i pro-diga in buffe faccine. Chi s i aspet-tava un concerto ser io ( f reddezza dal palco) e estremo ( f iamme e tro-vate industr ia l i var ie) sarà r imasto deluso: non chi volesse divert i rs i e stabi l i re un contat to col music ista.

Fuhrmann par la di cont inuo fra un brano e l ’a l t ro, da vero mattatore, e sol leva più di una r isata, ma a parte un bidone d’ol io da un cent inaio di l i t r i posto a un lato del palco, e un armadio di metal lo ut i l izzato verso la f ine, nessuna trovata part icolar-mente shockante. Più di un br iv ido ha in compenso percorso la schiena durante l ’esecuzione di Heads Wil l Rol l , cover degl i Echo & The Bun-nymen sorprendentemente r ispet-tosa del l ’or ig inale, con Fuhrmann che tentava - con r isul tat i notevol i - d i imi tare i l t imbro di Ian McCul-loch . Al t ro sobbalzo al l ’at tacco di un doppio giro di basso inconfon-dibi le, Jamahir iya , prolungata f ino a sf iorare l ’ ipnosi kraut, ancor più di quanto facesse l ’or ig inale, e con Port indiavolato a percuotere i l b i -done, doppiando i l bat t i to di Wad-dington. Comica la partecipazione di un ragazzo del pubbl ico che, spronato da Port , raccogl ie una bacchetta e lo aiuta percuotendo i l b idone da sotto i l palco. A f ine bra-no Fuhrmann gl i promette un posto come nuovo batter ista, invi tando Waddington a andarsene, f ra le r i -sate general i .Fortunatamente Waddington r ima-ne e - dopo una feroce versione di Sucker Punch con Grunke a sgo-lars i in ur la sovraumane - del iz ia i l pubbl ico dettando i l r i tmo di Pro-cession sul l ’armadio di metal lo. È l ’apice del la serata, una tempesta percussiva, una trance senza egua-l i . I due bis ( Ivory Coast e Exodus ) sembrano quasi arr ivare in sordi-na dopo un mastodonte come Pro-cession , ma Port r iesce comunque a galvanizzare i present i , quando come gesto conclusivo del concer-to sol leva i l b idone e rabbioso lo schianta sul palco. Un suono perfet t ib i le (qualche pro-blema con i volumi dei bassi) non ha scal f i to la gr inta del quintet to, che - come del resto in Siam - s i è dimostrato più duro e meno al -chimista del previsto, p iù v ic ino al post-punk scort icato di Tragic Fi-gures che ai t re album cui Fuhr-mann, Grunke e Port hanno messo mano dal 1985 in poi .

F e d e r i c o R o m a g n o l i

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Wa y n e S h o r t e r - S p e a k N o E v i l ( B l u e N o t e , 1 9 6 5 ) Formidabi le quel 1964. Per i l jazz, certo. Giacché intanto che la “new thing” covava def in i t ive def lagra-zioni , v idero la luce t i to l i come Out To Lunch (d i Dolphy), Point Of De-parture (d i Hi l l ) , The Sidewinder (d i Morgan) e soprat tut to i due ca-polavor i col t raniani A Love Supre-me e Crescent . A proposi to di sa-xtenor ist i , Wayne Shorter era uno dei nomi più caldi sul la scena. Nato nel ’33 a Newark, g ià diret tore mu-sicale dei Jazz Messangers d i Art Blakey (dal ’59 f ino – appunto – al ’64), veniva indicato da molt i come i l p iù t i to lato epigono di Trane. Cer-to, era impossibi le al lora come oggi prescindere del tut to dal g igante di Hamlet, ma lo st i le di Wayne di-mostrava un “raziocinio deviante” ben dist inguibi le e già art icolato come una cal l igraf ia propr ia. In ogni caso, nel l ’apr i le di quel l ’anno registrò Night Dreamer , in agosto JuJu e in dicembre questo Speak No Evil . Tre lavor i straordinar i , de-gne conseguenze di un per iodo fer-t i l iss imo che non a caso lo v ide nel f rat tempo “convocato” da sua mae-stà Miles Davis , del quale quintet-to diverrà una sorta di co- leader per sei i r r ipet ib i l i anni , durante i qual i verrà prodotta musica ( f i rma-ta in gran parte da Wayne) che non f in isce di affascinare e sconcertare per l ’audacia del le soluzioni armo-niche e strut tural i .Come del resto fa questo Speak No Evil , d isco espressamente ispirato al mondo del noir e del l ’esoter ico, e pur tut tavia uno tra i lavor i p iù accessibi l i del Nostro. Occorre in-nanzi tut to notare come r ispetto al le due precedent i incis ioni r imanga un solo membro col t raniano in forma-zione, i l v i r tuoso batter ista Elvin Jones , che ol t retut to lavora piat t i e tamburi con un senso del la misura pressoché inedi to (senza prende-re neanche un assolo!) . Troviamo

al t resì Herbie Hancock a l p iano ( in sost i tuzione di McCoy Tyner) e Ron Carter a l basso ( in vece di Reggie Workman), paventando così una sorta di “davis izzazione” stem-perata in parte dal la presenza del “messanger” Freddie Hubbard a l la t romba, i l cui p ig l io vol i t ivo sta più o meno agl i ant ipodi r ispetto al la t repida solenni tà di Mi les. La mist i -canza t imbrica così apparecchiata rendeva l ibero i l sassofonista di cu-rare in tut to e per tut to la propr ia idea jazzist ica, fat ta di atmosfere agi l i e s inuose, di sfumature calde e avvolgent i , d i f raseggi caracol-lant i e lunghe pennel late al lusive, d i post-bop redento al capezzale del b lues però per nul la arreso al la moderni tà, che anzi domina con la dis invol tura di chi s i è abbevera-to nel modale, d i chi t iene aperte possibi l i tà melodico/armoniche in-calcolabi l i . Se Dance Cadaverous guarda a Kind Of Blue preconiz-zando Nefertit i (con la t rama r i tmi-ca assorta e f rastagl iata, i l tepore scivoloso del tema, l ’e leganza eso-t ica e la sdrucciolevole tensione degl i assolo), Witch Hunt guarda al le dinoccolate agniz ioni hard-bop di Soultrane , mentre la t i t le- t rack gigioneggia magnif icamente con la st i losi tà ammiccante del pr imo quintet to davis iano, almeno f inché piano, drumming, sax e t romba (nel l ’ordine) non si mettono a scuo-tere i l fusto spampanando i conf in i t ra bop, modale e f ree. Invece, come vuole i l t i to lo, in Fee-Fi-Fo-Fum soff ia una brezza umo-rale per non dire umorist ica (con Hubbard gradevolmente sbruffone e Shorter sul le t racce di sbuff i e guizzi Sonny Roll ins) , a l contrar io di quanto accade in Wild Flower , dove su un tempo di valzer i l tema si d ipana f lemmatico, una posa suadente che inf ine s ’accartoccia grazie al f rastagl iato bai lamme r i t -mico apparecchiato da Jones. Last but not least , occorre dire di quel-

la Infant Eyes (a tut t i g l i effet t i i l pezzo “ intruso” r ispetto al lo pseu-do-concept del programma) col suo refolo t iepido di sax, poche note estenuate in diret ta dal cuore, la lenta, t repida quiete (una proces-sione di palpi t i smorzat i magnif ica-mente ordi ta da Carter e Jones), ed i l p iano di Hancock che sembra un r i f lesso sfasato di luna, gragnola di note sul la pel le increspata di un lago. Queste le sei sfaccettature di una pietra (preziosa) angolare, cui r i fars i ogni vol ta che c’è bisogno di r i f let tere sul rapporto t ra com-plessi tà e immediatezza. Da questo punto di v ista, Shorter giunse qui ad una sintesi forse insuperabi le. Anche per lu i .

S t e f a n o S o l v e n t i

(Gi)Ant Steps#5

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Nat i come “Proget to S inger Wan-ted” - so t t i le operaz ione d i marke-t ing on- l ine pro t ra t tas i per un anno che prevedeva la sce l ta d i un can-tan te t ra i cand ida t i che avessero presenta to la mig l io re par te voca-le per le bas i s t rumenta l i pos ta -te da l la band su l s i to www.s inge-rwanted .ne t - g l i Improponibi l i r iassumono in ques to demo i l la -voro d i s in tes i por ta to a te rmine ass ieme a Dopp ia K – aka Maur iz io - , i l fo r tunato d i tu rno . Un coacer -vo d i s t i l i cos t ru i to su r i tm iche in levare che pur r i cordando a l la lon -tana i l lavoro d i fo rmaz ion i come i Negramaro , sceg l ie comunque d i a f f idars i a un approcc io energ ico in b i l i co t ra doc i l i p rogress ion i e ch i ta r re acuminate . L’h ip hop s i mesco la a melod ie s low- tempo che r i cordano i Red Hot Ch i l i Peppers in Scuse , r i f f d i basso invas iv i conv ivono con d i f fus i sp igo l i e le t t r i c i in Anime a metà , ruv idezze à la Pear l Jam presenz iano in Dissoc iaz ione , c rossover e funk d i scuo la Rage Aga ins t The Mach ine d iventano la sp ina dorsa le d i Dopo Luna . I l tu t to in un guazzabug l io mus ica-le v i ta le e tu t to sommato apprez-zab i le , m ina to in a lcun i f rangent i da una conv ivenza fo rza ta t ra ego

repent in i sba lz i o rmona l i , e le t t r i -che ecc i ta te e dens i tà rea t t i ve , s i consumano le se i t racce de l te r -zo ep isod io de i Damien, mus ica che o l t re ad avere l ’e f fe t to de l Prozac anche su un vecch ie t to come i l so t toscr i t to – asco l ta tev i Enfant Ter r ib le e po i g iud ica te - , most ra un gruppo capace e da l le idee ch ia re . Le s tesse che pro -bab i lmente hanno permesso a l la fo rmaz ione d i fa rs i apprezzare in contes t i impor tan t i come Arezzo Wave e I l Vio l ino e La Se lce e d i apr i re per a r t i s t i de l ca l ib ro d i Tre A l legr i Ragazz i Mor t i , Pao lo Ben-vegnù, Yupp ie F lu , L inea 77 , Of -f laga D isco Pax . (7.0 /10 )

d i Fabr iz io Zampigh i

S i d e BQuesta de l cesenate Mark Zonda è una racco l ta d i canzon i con te -nu te ne i suo i demo ed ep prece-dent i (s i va da l 1999 a l 2007) che c i fa tu f fa re la tes ta in una vasca da bagno p iena d ’acqua ca lda . Da so t to s i sen tono melenso pop ann i o t tan ta , me lod ie app icc icos iss i -me, voc i s tonate ed e lementar i r i tm i d ig i ta l i . E ’ d iver ten te , com-p le tamente es t ran ian te , sembra d i aver r i cevu to de i co lp i in tes ta : puro s fasamento menta le . To l ta l ’acqua e la vasca r imane de l

s t rumenta l i poco inc l in i a l la so t -tomiss ione. (6.5 /10 ) Con un t i to lo come Super Muff Ep – che r i ch ia -ma vo len te o no len te lo s to r ico Superfuzz Bigmuff de i Mudhoney – era d i f f i c i le passare inosserva-t i . E ancora p iù d i f f i c i le sarebbe s ta to p re tendere d i non ven i r ca-ta logat i so t to que l g runge che p iù d i d iec i ann i fa faceva rombare i l cuore d i un ’ in te ra generaz ione d i rocke t ta r i .Poco impor ta a i Morvida , che o l -t re ad indossare con un cer to s t i le camic ia d i f lane l la e Dr.Mar tens d ’o rd inanza – The C i rc le sembra un ’ ou t take de l g ià c i ta to g ruppo d i Seat t le – dec idono d i sp inge-re l ’acce le ra to re f ino a i con f in i con lo s toner. Nascono cos ì Age Of Empi re e Ghost , ep isod i che a i Kyuss devono pa t r imon io genet ico ed educaz ione, pur suonando hard e ne l medes imo is tan te evocat iv i , ruv id i e vagamente ps ichede l ic i , so l id i e a t ten t i a l le me lod ie . Come de l res to The P ic tu re , oas i meta l -l i ca in cu i s i in t recc iano r i tm iche aderent i e echoes s imi l -shoe-gaze – i B lack Rebe l Motorcyc le C lub d i Whatever Happens To My Rock ’n ’ ro l l - , acce le raz ion i spa-smodiche e mur i d i r i f f . Pos i t i va l ’ impress ione genera le , pur ne l -l ’o t t i ca d i una propos ta fo r temente der iva t iva . (6.7 /10 )P iu t tos to s f i z ioso anche Flame Thrower, Apr i l Shower de i mar -ch ig ian i Damien . Mer i to de l le g i -ravo l te punk rock e de l le me lod ie a r iose , d i un approcc io fondamen-ta lmente easy e d i d is ton ie appe-na abbozzate , d i ro tond i tà à la Ju -l ie ’s Ha i rcu t e d i r i f fon i e labora t i su l lo s t i le d i In te rna t iona l No ise Consp i racy. Con in p iù un mix a r -mon ico e paradossa le d i i r ruenza g iovan i le e matur i tà compos i t i va .Tra una ba t te r ia in c rescendo e

WE ARE DEMO#15

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 �

WE ARE DEM

O

l ow- f i pop au t is t i co , una do lc ias t ra ps ichede l ia o rgan is t i co- tas t ie rosa che ar r i va a tog l ie r t i i sen t iment i ed una voce mai veramente a l suo pos to che s i inerp ica su l le me lod ie che da p icco l i amavamo asco l ta re su l l ’au torad io de l lo z io . Se non v i in fas t id isce ma anz i amate i l la to

p iù imbarazzante de i F laming L ips , de l John Frusc ian te p iù d rogato o anche Luca Carbon i e sopra t tu t to non r iusc i te p iù a v ivere senza la “mus ica” d i Ar ie l P ink , dovete con-cedere un asco l to a ques ta racco l -ta d i demo. Io per o ra la met to da par te , t ra le cose che r iasco l te rò vo len t ie r i . (6.8 /10 )Che t i z io i l pesarese Lorenzo Piz -zorno ! Ti ch iede se t i va d i asco l -ta re a lcune de l le sue canzon i , po i t i sve la che ne ha inc ise p iù d i quat t rocento de i gener i p iù var i , da l sou l a l la mus ica med ieva le . Lo guard i inc redu lo neg l i occh i e ca -p isc i…che non s ta scherzando.

Questa omonima racco l ta d i sed ic i canzon i ch i ta r ra e voce ne cog l ie fo rse l ’aspet to p iù cantau tor ia le . Sono i numer i d i un capace in -t ra t ten i to re an t i fo lk , i mono logh i d i un menest re l lo ubr iaco d i amo-re e v i ta , incont ro l lab i l i f luss i d i cosc ienza che spesso rasentano i l de l i r io , a vo l te d ispera to , p iù spesso au to i ron ico . S i sor r ide , s i r ide anche, oppure s i spro fon-da ne l l ’amarezza p iù bu ia , res ta i l fa t to che sono canzon i sc r i t te bene, come non s i sen te spesso e t ra le qua l i , lasc iando perdere qua lche ep isod io p iù p re tenz ioso e cos t ru i to (perdonab i le da ta la mo le de l la p roduz ione) , s i asco l ta -no que l l i che po t rebbero t ranqu i l -

lamente essere de i nuov i c lass ic i de l la canzone d ’au tore i ta l iana : E’ so lamente una bazza , Ma non do-vevo d iventare come i Beat les? e Ma che be l lo su tu t te . Un ta len to nascos to che ins ieme a i var i Vi t to -r io Cane e Ste fano Amen pot rebbe dare , se scoper to , nuovo lus t ro a l la beneamata t rad iz ione i ta l i ca su l la sc ia d i Mo l then i , Baba lo t e Bugo. (7.2 /10 ) Asco l ta t i da l v ivo presso la sede d i Ora d ’Ar ia , quar -t ie r genera le de l la o rmai benea-mata d i t ta R ibèss Records , i Mad Pour L’Unheard s i fecero no tare per la capac i tà d i c reare una ca lda a tmosfera cora le , compar tec ipa ta , d iver t i ta e d iver ten te . Ne l lo ro p r i -mo demo Videad t rov iamo r i lassa-te ba l la te acus t iche , f i l as t rocche c iondo lan t i , canon i fo lk -popo lar i , amer ican i ed europe i , t rasandat i e sca lc ina t i come sempre dovreb-bero , qua lcosa che t i aspet te res t i da l l ’ i ncont ro de i Gomez con i F la -ming L ips p iù acus t ic i e i l p r imo Beck a l l ’a rmon ica , percuss ion i s ib i lan t i e tambur i da cambusa a spez ia re una mesco la , s tonata e ps ichede l ica , de i l inguagg i p iù d i -spara t i : ing lese , f rancese, i ta l ia -no , tedesco, d ia le t to modenese ( i nos t r i s i s i tuano t ra Carp i e Mode-na) e ch issà cos ’a l t ro , a sugger i re una nuova l ingua z ingara e p iu t to -s to mus ica le .Ti aspet te res t i d i t rovar l i , un po ’ s t racc ion i e un po ’ c lown, ad ogn i ango lo de l la s t rada in que l le g io r -na te dove tu t to sembra d i r t i : “ p i -g l ia su i l tuo ces t ino e par t i , par t i verso i l so le , perché domani è un a l t ro g io rno” . In futuro s i d ice canteranno in i ta-l iano. Gl i s i augura i l megl io, nel f rat tempo non perdetel i dal v ivo. (7.0 /10 )

d i Dav ide Brace

B o n u s Tr a c kDa dove sono da dove vengono dove vanno g l i Xpasm , non mi è da to sapere . Que l che so è che sono un duo e fanno dance- funk ed e lec t ro wave ma tu ch iamala se vuo i techno, in un miscug l io d ’ ing lese e qua lcos ’a l t ro (o è so lo la p ronunc ia?) , con l ’e le t t ron ica che f r igge , c rep i ta , s t r ide , s ib i la come spasmi Fac tory t ra mic ror i t -

m iche a bruc iape lo Warp , i l p ig l io U l t ravox ! t ra gh ign i A lan Vega e omel ie nevras ten iche Fa l l . Sono a l l ’esord io , ed è que l che s i d ice un buon in iz io (vo to : 6.5 /10 web: www.myspace.com/xpasm ) . Da l la fa t id ica Cor regg io , i t re Gazebo Penguins fanno i n ipo t in i ipera-drena l in ic i d i z io Jon Spencer e nonno Rot ten , r iuscendo tu t tav ia ( tu t tav ia?) a mantenere una cer -ta a l lu re evo lu t i va . Ot to t racce a ra f f i ca in ques to Penguin Inva-s ions , cen t r i fuga d i d is to rs ion i s f rang ia te ed e le t t ron iche r ia rse , nevras ten ie P ix ies e Fugaz i su l nas t ro ( te le ) t raspor ta to re , gu izz i Arc t i c Monkeys ne l t r i ta tu t to deg l i zombie S igue S igue Sputn ik . Una sc iccher ia (vo to : 6.6 /10 web: www.gazebopengu ins .com) . I Nina Sub Nive sono invece un duo e la lo ro spec ia l i tà è la t ras f iguraz ione d i sou l , h ip -hop, b lues , gospe l , funk in un tea t r ino sdrucc io levo le d i as -surd i tà u rbane, c rudezze e las t i che e minacce Su ic ide , t rad iz ione fo lk sch ian ta ta su l marc iap iede e le t -t ron ico , un d isequ i l ib r io fo rmale sconcer tan te e - qu ind i – gus toso . Anz i parecch io (vo to : 6.7 /10 ma i l : b runo@clocch ia t t i@l ibero . i t ) .

d i S te fano So lvent i

8 4 s e n t i r e a s c o l t a r eClas

sic

Sound Round , Pick Up The Peace e Endless Wire , t re numeri inten-samente rock dal l ’u l t imo lavoro in studio - anno 2006 - dei The Who, Endless Wire . F in qui nul la di necessar iamente s ingolare (sal-vo l ’assunto che ogni d isco nuovo dei The Who vale almeno dieci dei Rol l ing Stones pescat i nel l ’u l t imo ventennio) e quel lo che scr iveremo poco stupirà chi segue con devozio-ne la psichedel ia meno mediadica, ma le canzoni d i cui sopra nascon-dono una voce dal le retrovie che, credi ts al la mano, meri ta la dovuta at tenzione. I l celato vocal ist è Bi l ly Nichol ls. Chi è costui è presto det-to: un ta lento. Non un novel l ino, ma anzi uno stagionato c inquantot ten-ne reo di essere capi tato, nel fervo-

re creat ivo dei sevent ies, nel posto sbagl iato al momento giusto.

Wo u l d Yo u B e l i e v e ?La vicenda art ist ica di Nichol ls ha in iz io, quindi , nel la luccicante Lon-dra post-swingin’ che poi , in effet t i , tanto swing più non era: i referen-t i americani - b lues, soul , i l rock & rol l e certo pop - sul le pr ime cano-vaccio i r r inunciabi le per quals iasi anglosassone ansioso di abi tare i l music biz scemano, e la persona-l i tà ormai forgiata dei g iovani in-glesi sa che i l secondo lustro dei ’60 può essere aff rontato in totale autarchia. Certo, esistono le eccezioni e Bi l ly Nichol ls fu questo: un eccezione, anzi un eccezionale enfant prodige

che al Bing Bang prefer iva – sost i -tu iva, immaginava - l ’ inf in i ta diste-sa del l ’oceano paci f ico; i l salato sapore del lo stesso anziché l ’ i r r i -tante pioggerel l ina londinese. Pre-sto saremo chiar i…È’ i l 1966 quando i l sedicenne Bi l -ly persuade George Harr ison con un demo tanto grezzo quanto intr i -gante. Favorevolmente impressio-nato dal prodotto e d’accordo con l ’edi tore musicale Dick James, i l Beat le aff ida i l ta lentuoso ragazzi-no al l ’esperto session man Caleb Quaye (poi in seno ai Mirage) per un nuovo demo che colpisce l ’a l lora manager dei Rol l ing Stones nonché boss del la Immediate Records An-drew Oldham . Tutto sembra girare per i l verso giusto, tant ’è vero che Nichol ls v iene subi to inser i to nel-l ’organigramma del la label in veste di tecnico in studio, e senza aver inciso alcunché di uff ic ia le guada-gna la st ima di cal ibr i come Ronnie Lane e Steve Marr iot (ovvero brac-cio e mente dei Small Faces ) . Le pr imavere fanno i l loro corso, e le stel le pure. Per i l c igno una pr i -ma possibi l i tà di svettare. I l celebre Del Shannon, autore del l ’ immortale Runaway , canta Led Along . Tutto, parole e musica, ad opera di Bi l -ly Nichol ls. Non un hi t memorabi-le, ma un parziale cenno al c i rcui to che conta; ta le da permetter l i , nel contempo, di abbozzare quel lo che sarà i l cardine del futuro debutto. I l s ingolo Would You Bel ieve , com-pl ice un Oldham novel lo Jack Ni tz-sche e for te del l ’apporto di Lane e Marr iot , s i r isolve nel 1968, e sem-pre nel medesimo anno la stor ia s i presta ad accogl iere quel lo che le encic lopedie rock r icorderanno come l ’a l ter-ego albionico del som-mo Pet Sounds .Ecco l ’eccezione sopra accennata, ecco la pioggia che si spegne nel-

d i G i a n n i A v e l l a

Billy Nicholls Daytime boy

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Classic

l ’oceano. I l d isco dei Beach Boys - è sempre la stor ia che par la - at-tecchì anzi tempo in br i tannia (gl i States lo capirono al ra l lentatore) e Would You Bel ieve lo r ichiama in più f rangent i .Occhio ai partecipant i : Denver Gerrard e Barry Husband (ovvero i Warm Sound) , l ’ancora moderata-mente conosciuto (ma poco ci man-cava…) John Paul Jones , i l futuro Humble Pie Jerry Shir ley, i l ses-sion man (proveniente dal contro-verso Their Satanic Majesties Re-quest degl i Stones) Nicky Hopkins ol t re ovviamente ai f idat i Caleb, lane e Marr iot . Logico che i l lavoro s i present i con Would You Bel ieve , miracolo di pop fastoso che f l i r ta gaio t ra Strawberry Fields Beat les-iani (palese nei pr imi secondi) e Di-sneyrama take à la Br ian Wi lson. La voce di Bi l ly Nichol ls s i avvale di registr i pr ima conf idenzial i (Come Again ) poi del tut to fanciul leschi (Life Is Short , con spiego di f iat i brass), e giovandosi , t ra l ’a l t ro, d i un gusto precoce per l ’arrangia-mento - con tant i grazie a mister Ni tzsche - r iesce a dar respiro a canzoni che sono ver i g io ie l l i d i pop barocco (Feel ing Easy ) .Dayt ime Gir l , g ià nel s ingolo d’esor-dio, ha nel la sua versione a cappel-la l ’omaggio più sent i to al l ’estro di sant i tà Brian Wilson ; ma si sente anche, nel la l isergica Being Happy , un aplomb vis ionar io notevolmen-te aff ine ai Pink Floyd barret t iani . L’ i r resist ib i le Marr iot d i Gir l From New York , poi , è un abbagl io se ascol tato dopo la l isergica I t Br in-gs Me Down .Le copie promozional i fanno i l g i ro degl i ambient i e non mancano gl i entusiasmi, ma la scel lerata fo l l ia

di Andrew Oldham, vest i tosi arbi t ro del Nostro, r imanda inspiegabi l -mente i l d isco a data da dest inarsi , congelando cosi le al i d i quel c igno prossimo al volo…

D y i n g S t a rBi l ly Nichol ls è deluso ma r imane nei ranghi del la Immediate, e dopo i l breve cameo non accredi tato in Ogdens’ Nut Gone Flake dei Smal l Faces donerà al la coetanea Dana Gi l lespie Life In Short , canzone che insieme al la r ipresa di London So-cial Degree (da Would You Bel ieve ) andrà ad ul t imare i l secondo album del la fo lk s inger.Intanto l ’ Immediate chiude i bat ten-t i . I l decennio anche, e con esso tut ta una ser ie di avveniment i , Al ta-mont, Helter Skel ter / Char les Man-son, che r iporterà un intera genera-zione coi p iedi per terra.I ’70 vedono l ’esponenziale cresce-re del l ’ar t - rock e del progressive: ora s i pr iv i legia l ’accademia al -l ’ is t into. Le muragl ie di synth t r ion-fano e l ’eyel iner fa coolness. Nichol ls sembra vagare nel nul la f in quando un reduce come Pete Townshend , pronto per i l debut-to sol ista, chiede al Nostro una canzone. L’ex The Who è servi to: Forever ’s No Time At Al l compare in Who Came First e l ’amiciz ia s i consuma. Ora occorre r icambiare i l favore. Nel 1974 c’è anche Townshend – ol t re a Caleb Quaye, Ronnie Lane, Ron Wood e Ian McLagan – nel r i -torno di Nichol ls, Love Songs . Che dire di un disco cosi ; opera pura e s incera di un ragazzo non ancora vent ic inquenne ma con stor ie a suf-f ic ienza da ral legrare i futur i n ipo-t in i . Un rock molto Fm-or iented con slanci à la Who in Gypsy nonché west-coast anthem – vedi Travel-lers Joy – al la stregua di Crosby, St i l ls , Nash & Young. Ral legr iamoci per i l r i torno ma in giro – dic iamocelo – c ’era di me-gl io. I l tempismo: questo manca a Ni-chol ls. È una prat ica che non lo r iguarda; o forse la schiva senza farne drammi. Cosi c i spieghiamo White Horse del 1977, disco l icen-ziato quando le orecchie di tut t i , cr i t ica e pubbl ico, sono r ivol te al

rock pr imordiale - solo più vanesio e ampl i f icato – dei punk.Ma i l d isco avrà la sua glor ia: la bel l iss ima Can’t Stop Loving You sarà r ipresa da Leo Sayer - ma ce-latamente anche dai Jacksons Five, s i ascol t i la loro I ’ l l Be There - che la porterà nel le top ten, e anche un al t ro The Who, Roger Dal t rey, farà di Without Your Love un successo.Ci esul iamo nel raccontarvi d i Un-der One Banner del 1990 e Pe-numbra Moon del 2001, dischi d i maniera rockista che nel migl iore nei casi (Dying Star ) suonano come r impatr iate degl i Eagles e nel peg-giore (Warr ior ) sf i lano via manco fosse Bryan Adams.Ad onor di cronaca dic iamo, invece, che nel 2001 c’è stato un Stil l En-twined che di canzoncine gradevol i ne aveva (Memory Lane ) , ma cre-diamo che ci s i possa fermare qui .Rimane un unico interrogat ivo, ov-vero come si sarebbe comportato Would You Believe a l cospetto del White Album e di The Kinks Are the Vil lage Green Preservation Society , d ischi l ibratesi nel 1968 al la voce div in i tà. Nessuno potrà mai dir lo, e neanche la stampa in cd del 1999 ( i l v in i le sarà cul to per decenni) tacerà ta le interrogat i -vo…

8 � s e n t i r e a s c o l t a r eClas

sic

d i M a s s i m o P a d a l i n o

i nipoti del Capitano

Don Van Vl iet o del naïve in note. Oggi tut t i danno per scontato Cap-tain Beefheart . Ci è mancato poco, al g iro di boa del lo scorso decennio, lo s i c i tasse pure per descr ivere gl i a lbum di Gigi D’Alessio o di El isa. Per icolo scampato comunque, seb-bene i l nostro Capitano Cuordibue, s ino ad una quindicina di anni orso-no, non fosse poi così popolare, né tantomeno à la page , persino per i cul tor i d i Frank “Duke Of Prunes” Zappa, amico-r ivale sin dal la pr ima adolescenza del nostro bel f iguro. Scontata (e mica poi tanto! , poiché davvero è stata ‘scontata’ , vale a dire pagata) l ’eredi tà e i l lasci to del la Magic Band, del Cuordibue da sempre fedele spal la nei Six-t ies, per la pr ima ondata new wave br i tannica e non - dai Pere Ubu a i P.I .L . , dai Flying Lizards a l Pop Group non ce n’era uno che vales-se che non fosse chino sui suoi me-ravigl iosi dischi - è ancora, invece, tut ta da sondare la parte avuta dal Nostro sul le musiche dei due de-cenni successivi . Sondare speleo-logicamente, direi , poiché molt i dei gruppi devot i a l Capitano ebbero vi ta, discograf icamente par lando, breve e tormentata, o al la megl io, lunghetta ma neglet ta. Tutto però cominciò - non, r ibadiamolo, a l ivel-lo di sole “ inf luenze”, quanto per un vero e propr io recupero del blues surreal ista di Don - con un misco-nosciuto 7”. Anzi , a voler spaccar la punta al capel lo, col retro di que-sto stesso (Do The Square Thing , Abstract Records). Registrato nel febbraio 1984, presso i Greenhouse Studios, Zowee , a dispetto di quel tanto di zappiano che si t rascina nel t i to lo, è puro magicband sound. I Three Johns d i John Langford, già mastermind dei br i tannici Mekons, bruciano quel lo stesso gracchiante, bluseggiante, propel lente adrenal i -

nico che inf iammò le var ie Electr i -c i ty o Zig Zag Wanderer su Safe As Milk . Usci to nel 1965, l ’a lbum in quest ione di mister Ottava To-nante ( impressionante l ’estensione vocale del nostro Capitano), Alex St Clair e Ry Cooder al le chi tarre elet tr iche, i l lumina con questo suo modo di incastrare f i lastrocche-dada a musiche car icatural i sì , ma anche devastant i d ’ impatto, tut to i l contenuto del brano preso a model-lo dei Three Johns.Ma al t r i , e ben più oscur i epigoni, ebbe i l nostro bravo Cpt. Beefheart . Un nome su tut t i , per salvar lo dal-l ’obl io: Zoogz Rift . E pescando dal-la sua nutr i ta discograf ia, in iz iata nel lontano 1979, un 33 gir i su tut t i : Idiots On The Miniature Golf Cour-se (Snout) . Def inir lo amator iale, bi -s lacco e pressappochist ico è dire poco. La Magic Band, comunque, con tut ta la sua foga strumentale schizzata ed oleograf ica al contem-po, r iv ive glor iosamente in questo conturbante disco. Great Apes Ate Grapes , What Can We Feed To The Lions, Rabbit And Lady o Lazy Su-san , compl ic i anche vocal i tà aff in i - per t imbro non certo in estensione - , r iv ivono quel lo stesso miscugl io geniale di generi r iv is i tat i (dal r ’n ’b al blues, dal la boutade zappiana a quel la falso-caraibica) che por-tò la Magic Band a destrut turare i l tardo beat in una forma parossist i -ca di ul t rafusione di generi e st i l i musical i ‘d i consumo’. La parodia, quindi , svolge un ruolo a dire poco determinate in quest i solchi . Non molt i anni dopo, e proveniente da ben al t ro background, la Cal i fornia anni 70 dei c lub più scalcagnat i , un al t ro, ben più importante, mu-sic ista, avvic inò la lezione di Bee-fheart , adottandone modi e posture musical i . Par l iamo di Tom Waits . Swordfishtrombones ( Is land),

anno di grazia 1983 e capolavoro di Tom, probabi lmente non avreb-be mai v isto la luce senza l ’a iuto, tut t ’a l t ro che accessorio, del la f ida compagna, di v i ta e poi anche d’ar-t i , Kathleen Brennan. Mostr i pol i -formi e vocalmente eccedent i ogni grazia del cosiddetto ‘bel canto’ , qual i Underground, Shore Leave o 16 Shel ls From A 30-Ought-Six sono repert i beefheart iani s in nel midol lo. Percussiv i senza posa, ca-racol lant i nel la vocal i tà estenuata e l icantropa di Tom, essi r i f let tono quanta e quale parte nel l ’ ispira-zione di questo album la f igura di Don Van Vl iet r ivestì per Waits. Ben più di mi l le parole non varrebbero a dimostrar lo. Ripiombando, però, nel sottosuolo più oscuro e acerbo degl i anni 80 al loro spegnersi , c i imbatt iamo in una al t ra formidabi le creatura beefheart iana.I Bloodloss , nat i nel 1983 da uno scisma interno ai temibi l issimi Lu-br icated Goat, vanno annoverat i f ra i grandi cul tor i d i sempre del maestro di Cucamonga. I loro 7” del 1987 e del 1990 lo test imonia-no con certezza. Ma ancora megl io fanno i loro ful l - length. Un t i to lo per tut t i , oramai con un piede del la no-stra narrazione nei Ninet ies. Live My Way (Reprise, 1995, v ini le su In The Red),con Mark Arm dei Mudho-ney ad aff iancare i membri or ig inar i del la band Renestair EJ e Mart in Bland, br i l la di genio beefheart iano soprattut to quando è Renestair a t i -t i l lare l ’ugola benedetta. Un pezzo quale Face Down In The Mud , ad esempio, è puro eserciz io, tut t ’a l t ro che abusivo, di professione bee-fheart iana. Gl i stessi Lubricated Goat , quindi , f in iscono dr i t t i dr i t t i nel calderone dei Beefheart-adept i . Dare un ascol to ai tant i dei loro LP per cogl iere i l senso di queste mie affermazioni . Ed anche, o soprat-

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tut to, quel l ’a l t ro esplosivo progetto messo su da Stu Gray con l ’a l lora compagna Kat Bjel land, anche in forze al le Babes In Toyland, denomi-nato Crunt . L’album omonimo esce per la texana Trance Syndicate ed è registrato nel 1993, dà sfogo ai bol lent i spir i t i beefheart iani soprat-tut to nel l ’esagitato singolo Swine/Sexy ( Insipid Vyni l , 1993, brani in-clusi nel 33 gir i ) . Eccentr ic i in tut-to, e v ieppiù nel l ’ indie rock toccato dal nostro pezzo, furono invece dei beefheart iani camuffat i sì , ma an-che r iconoscibi l issimi ad un ascol-to at tento. I Rudimentary Peni d i Nick Bl inko. I l t r io londinese, di fat t i , mostra nel capolavoro Cacophony (Outer Hymalaian, 1987) come con-centrare nel t i ro hardcore emotivo e dirompente tut ta una ser ie di in-f luenze, che del la l infa di Cuordibue si nutr i rono (P.I .L. , Bir thday Party, Swans, Pere Ubu fra le al t re), per comporre una sorta di Trout Mask Replica del l ’hardcore br i tannico maggiormente evoluto. Inol t randoci a capof i t to nei 90 incontr iamo, non inaspettatamente nel novero dei beefheart iani d.o.c. , art ist i come PJ Harvey o US Maple. Cominciamo dal la div ina PJ. Nel nobi le canzo-niere assemblato partendo dal 1992 dal la talentuosa Pol ly Jean emer-gono segni inequivocabi l i del co-siddetto ‘morbo del cuordibue’. Sin-tomi conclamati sono un po’ tut te le t racce di Rid Of Me ( Is land, 1993) e, sul successivo To Bring You My Love (1995), quel la Meet Ze Mon-sta che i l savio Capitano r iconob-be come carne del la propr ia carne, sangue del suo sangue, str ingendo

di conseguenza una imperi tura ami-ciz ia con la nostra Pol l ic ina. Gl i US Maple , dal canto loro, procedono in una specie di decostruzione del le armonie del la Magic Band - al tez-za Trout Mask Replica (1969) - , facendole vibrare di quegl i inf lus-si (no)wave che nel la Chicago dei medi 90 tanto spirarono, vent i lando la scena locale. Long Hair In Three Stages (Skin Graft , 1995) è come se mettesse in uno smagnet izzato-re la dinamo beefheart iana e, una vol ta completamente scar ica, ne r iassemblasse schegge e part i mor-te per creare una nuova, non meno inconsueta, forma di musica mut i-lata, inascol tabi le, f ree e demen-te. Quasi s icuramente, ad onor del vero, la palma di maggior i eredi , ma non meri epigoni, d i Don Van Vl iet nel la decade precedente spetta agl i Old Time Reli jun . Assodato i l me-desimo vibrato capr ino, deformato in yodel demente dal luci fer ino Har-r ington DeDyoniso, volgiamo quindi lo sguardo ad un pezzo da novanta quale l ’a lbum Uterus And Fire (K, 1999). Cramps , Birthday Party , Blues Explosion , Honeymoon Kil-lers, Beast Of Burbons , Inca Ba-bies e chissà quant i a l t r i , f ra not i ed ignot i , vagano sottoforma di spettr i inter ior izzat i f ra le note del plat ter. Canzoni come Dagger , l imitando-ci ad un unico esempio, fondono la vocal i tà detonante del Capitano con la foga declamator ia, da comi-zio pre-pol i t ico, dei Dead Kennedys di Jel lo Biafra. Sortendo r isul tat i d i grande suggest ione nel campo del pr imit iv ismo naïve pr incipiato a suo tempo dal la sol i ta Magic Band.

Concludiamo quindi questo, poi non tanto breve, excursus nel mondo degl i innumerevol i eredi del Capi-tano, c i tando almeno un’al t ra ma-snada di moderni barbar i devot i a l suo cul to. I Clawhammer , cal i for-niani e capi tanat i da Jon Wahl e Christopher Bagarozzi , con dischi come Ramwhale (SFTRI, 1992), contenente Succotash , e Pablum (Epi taph, 1993) con Montezuma’s Hands , che immaginiamo come cantata dal Beefheart di Mirror Man (Buddah, 1965, 1971) accele-rato in un cic lotrone e poi dissan-guato lentamente da uno squarcio di pazzia Devo- luzionista. E sicco-me lo spazio, più che i l tempo in questo caso, c i è veramente t i ranno (parafrasando Biscardi) , aggiungia-mo, nel f inale di art icolo e a mo’ di l is ta dei cadut i , un breve elenco di nomi di art ist i sui qual i sfogare tut te le vostre l ib idini d i r icercator i beefheart iani novel l i o espert i (sen-za nessuna pretesa di completezza, sol tanto per offr i re uno, f ra gl i innu-merevol i , percorsi al la mater ia t rat-tata). Eccolo: Bir thday Party, Gal lon Drunk, Membranes, No Trend, Lake Of Dracula, Royal Trux, Pussy Ga-lore, Jon Spencer, Chrome Cranks, Mule, Cash Audio, Half Japanese, Minutemen, Bugskul l , Ed Hal l , Gri f ters, God Is My Co-Pi lot , Gary Lucas, Gibsons Bros, Trumans Wa-ter, Polvo, Fly ing Luttenbachers, Volcano The Bear, Sun City Gir ls, Eugene Chadbourne, Pr imus, Bore-doms, King Snake Roost, Rai l road Jerk, Spongehead, Mount Shasta, Oxbow. E quest i solo per r imanere nel l ’u l t imo ventennio di musica!

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O l d T i m e R e l i j u n - U t e r u s A n d F i r e ( K , 1 9 9 9 )Un disco di torr ido blues pr imit iv ista. Un disco di jazz amator ia le, suonato come in un giardino di infanzia nel quale Don Van Vl iet , idealmente, s iede e manomette tut t i i g iochi per bambini , in maniera tanto più astrat ta quanto più ‘hanno un senso’ . Perso di v ista quest ’u l t imo, tut to davvero può accedere nel l ’opera seconda di Harr ington DeDyoniso e dei suoi . Doo Rag e Bassholes , Birthday Party e Cpt. Beefheart in concubinaggio con-t inuato vanno a dare forma a capolavor i , sguaiat i per lo yodel l ing demente di Harr ington, qual i Archaeopteryx Claw , Dagger , Telephone Cal l e Off ice Bui ld ing . Lo scacciapensier i

usato rende ancor più surrealmente pr imit ive ta l i focose canzoni uter ine. Dopotut to, g l i OTR, i l loro dest ino bee-fheart iano lo portano scr i t to nel nome scel tosi (una del le song più bel le di Trout Mask Replica ) .

B l o o d l o s s - L i v e M y Wa y ( R e p r i s e , 1 9 9 5 )Sassofono e t romba, con tanto di organo aggiunto, ed una fur ia bel lu ina che al terna le propr ie escandescenze a pezzi p iù pacat i . Beefheart c ’è, e s i sente, soprat tut to laddove a cantare è Renestair (Disgust Ourselves o Face Down In Mud ) , mentre quando al micro-fono al lunga la mano Mark Arm, al lora l ’atmosfera s i fa brumosa. Quasi quasi s i potrebbe par lare di noir-blues. The Ki l ler Inside Me , del romanziere J im Thompson, ne r icaverebbe una fel ice colonna sonora da questo album dove sguaiatezze efferate e pacate carezze notturne si fondo in una unica, d issodante, onda sonora capace di portare in superf ic ie

una pat ina di beefheart iana fol l ia anche quando sono gl i Stones p iù dur i ad essere t i rat i in bal lo.

C l a w h a m m e r - P a b l u m ( E p i t a p h , 1 9 9 3 )Jon Wahl e Chr istopher Bagarozzi esordirono nel 1989 con tre 7”. Candle Opera , uno di quest i , è ibr ido perfet to f ra Devo, Guns And Roses e southern boogie. A part i re dal loro pr imo 33 gir i (Clawhammer , 1990), la catena del le inf luenze - a l lora comprendent i anche Patti Smith , Television , Pere Ubu - aggiunge un suo anel lo for te con una vera e propr ia ossessione per i l garage-beat ululato del pr imo Beefheart . Pablum , terzo disco lungo in ordine di appar iz ione, dis integra ogni certezza st i l is t ica. Nut Powder, Montezuma’s Hands, Vigi l Smi le, Malthusian Blues sono forre di balzana fol l ia hardcore decostrui te à

la Don Van Vl iet . Psicot ica e demenziale, spast ica e al lucinata, l ’ugola ur lante di Whal rappresenta i l vero t ra i t d ’union f ra l ’uomo e i l suo doppio manicomiale.

To m Wa i t s - S w o r d f i s h t r o m b o n e s ( I s l a n d , 1 9 8 3 )Weil l & Brecht meet Cpt. Beefheart . Stufo oramai di r ipetere, autoparodiandosi , la parte del beatnik ubr iacone, senza un soldo e senza donne, e anche un po’ put taniere dei d i -schi su Repr ise degl i anni 70, i l vecchio Tom decide di cambiare rot ta. Ed anche et ichetta discograf ica. La nuova Is land asseconda la sua novel la vena di fo l l ia musicale. Sword-fishtrombones è un album, come dicono in USA, larger than l i fe . F isarmonica, Hammond, harmonium, t rombone, cornamusa e marimba a dare l infa, dentro quadret t i narrat i d i v i ta (s)v issuta e svi l i ta, ad una travolgente f iera, balzando fra st i l i e gener i d iversi (dal lo

swamp al la lounge, dal southern boogie al la bal lata conf idenziale) unt i sul capo dal la mano benedicente del Capi tano Cuoredibue.

U S M a p l e - L o n g H a i r I n T h r e e S t a g e s ( S k i n G r a f t , 1 9 9 5 ) Se Fred Frith , quel lo dei Guitar Solos (Virgin, 1974), avesse duel lato in s ingolar tenzone musicale con i Red Crayola o la Magic Band , forse i l r isul tato non sarebbe stato poi tanto dissimi le da questo fo lgorante esordio. Hey King è paradigma perfet to di questo modo di suonare, a l l imi te f ra improvvisazione col ta ed incol ta, che fu anche del gruppo al f ianco di Van Vl iet . Spast ico e disart icolato, i l suono sfugge ad ogni i r regimentazione, tanto c lassi -f icator ia, quanto di st i le. Qui , e nel l ’a lbum tut to, d i propr iamente bel lo ed ascol tabi le non

c’è molto. Si v ive t i rat i come elast ic i dal le invis ib i l i d i ta del demiurgo Beefheart . Non spezzarsi , una vol ta tesi a l l ’ascol to. . . bhe, questo è compito e affare esclusivamente vostro.

Z o o g z R i f t - I d i o t s O n T h e M i n i a t u r e G o l f C o u r s e ( S n o u t , 1 9 7 9 )Robert Pawl ikowski , ossia Zoogz Rif t , forse in ossequio al le sue radic i s lave e, chissà, magari polacche, sembra incarnare perfet tamente quel la vena di fo l l ia surreal ista e de-formata che fu di scr i t tor i come Gombrowicz. Idiots On The Miniature Golf Course , a cominciare da questa sua ossessione per le temat iche del g iovani l ismo ipersport ivo ed id iota, sembra propr io una trasposiz ione in note del romanzo Ferdydurke . Misantropico e dispersivo, eccessivo e caot ico, cat t ivo e i ronico, d issacrante e r i f lessivo, l ’at to pr imo

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di questo Beefheart in sedicesimo scaraventa una quant i tà di gener i stranot i (novel t ies adolescenzial i , spast ic-songs d’accatto, componiment i f ree e astrat t i che manco Moondog) in un calderone r ibol lente di jamming rock aut ist ico e al ienato.

P J H a r v e y - R i d O f M e ( I s l a n d , 1 9 9 3 )Yuri-G , Man Size , 50 Ft Queenie , Rid Of Me , Dry , Rub Ti l e, dulc is in fundo, la cover del la dylaniana Highway 61 , assorbono come spugne la produzione tagl iente e feroce, mai disposta al r iso neanche se sardonico, d i quel mago del lo studio di registrazione che fu Steve Albini . Beefheat, in questo secondo disco del la nostra PJ, è come colpi to al lo stomaco da un gancio di inaudi ta disperazione esistenziale. I l dolore, così cocente e snervante, der iva nel le canzoni in scalet ta più dal cantautorato depresso anglosassone che non dal var iegato carrozzone indie-rock cui spesso questo disco viene associato e r i fer i to. Qui , invece, di r i -fer i te r imarranno solo le vostre orecchie nel l ’ immediato dopo ascol to. Rid Of Me , Sbarazzat i d i me. Non segui te i l sugger imento espl ic i to nel t i to lo, e conservate questa gemma di cd per i vostr i ascol t i p iù dolent i .

R u d i m e n t a r y P e n i - C a c o p h o n y ( O u t e r H y m a l a i a n , 1 9 8 7 ) Un cd st ipato di canzoni che sono ‘solo’ spunt i sonor i , abbozzi genialoidi sfuggi t i a l -l ’or ig inar ia matr ice hardcore del gruppo anglosassone. In bi l ico f ra dark, c lassico punk e hardcore feroce ed al lupato, Cacophony d istrugge l ’uni tar ietà concettuale del l ’opera d’arte-album dis integrandola in una mir iade, sol i tamente solo abbozzata, d i intuiz ioni (a)musical i potent issime. Dub sconvol to, hard rock dei Sevent ies, jamming i r razionale incomprensibi le, post punk swansiano e di marca pret tamente P.I .L . , s lanci chi tarr ist ic i ‘apert i ’ s t i le Sonic Youth , rappresentano la conci l iazione - sot to forma di d isco rock - d i tut to quanto sembrava inconci l iabi le f ino al lora per un genere chiuso come è i l conservat ivo hardcore. Cacoph-ony , un ideale Trout Mask Replica del l ’hc targato Uni ted Kingdom.

C r u n t - C r u n t ( Tr a n c e S y n d i c a t e , 1 9 9 4 )Crunt. “Sexy music for a sexy group”. Ma di una sensual i tà malvagia, mutevole, luci fer ina. Dentro la scatola di cartone chiusa di un album, un universo intero di odi b lasfeme (quel la ai maial i d i Sweet Heart , Sweet Meats ) o, p iù sempl icemente, d i var iant i meno barbare del l ’ar te inferoci ta che fu dei Lubricated Goat (dai qual i Stu ‘Spam’ Gray proviene). Tre accordi t re, fuor i dal la grazie di ogni sof ist icazione armonica, per sempre dedi t i ad un rock’n’rol l cresciuto dal le macer ie fumant i del le armonie di marca Magic Band , i Crunt non sono un sempl ice gruppo musicale. Sono l ’ambizione massima di ogni intel l igente che vogl ia fars i passare, per bur la o chissacchè, per cret ino, e c i marci su. Cioè, sembrare i l p iù cret ino f ra i cret in i . Di ff idate gente da questa parvenza fal lace. Dietro i Crunt c i rcolano le idee di una mente musicale bis lacca ma geniale. Prendiamone at to.

T h e T h r e e J o h n s - D o T h e S q u a r e T h i n g ( 7 ” , A b s t r a c t R e c o r d s , 1 9 8 4 )Do The Square Thing , lato A di questo 45 gir i del 1984, caracol la in una dance dai r i tmi industr ia l i come d’uso al l ’epoca. A meravigl iare, però, nel la sua grezza e meravigl iosa es-senza beefheart iana è i l rovescio di questo pezzo di v in i le. Zowee rapprenta in Inghi l terra, e per l ’ intero cont inente europeo, la pr ima vera incarnazione, ai tempi in cui i l noiserock è ancora in fase embrionale, d i tut to quanto i l Beefheart di Dropout Boogie ( r i ff minaccioso al soldo di un r i tornel lo sguaiato ed ubr iaco) rappresentò nei lontani Sessanta. Un pezzo memorabi le, usci to su formato r idot to poco pr ima del l ’a lbum, pregevol issimo anche esso, Atom Drum Bop (Abstract , 1984). Un pezzo diment icato, ingiustamente obl iato. I l pezzo più cal l igraf icamente beefheart iano del lot to e, non paia strano, anche uno dei maggiormente t rascinant i , coinvolgent i anthem d i marca Sixt ies al l ’epoca ( i Sessanta minor i tar i , quel l i cui , a dir i t to, Beefheart è ascr iv ib i le) . Recuperatelo.

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T h e A s s o c i a t e s - T h e A f f e c t i o n a t e P u n c h ( F i c t i o n , a g o s t o 1 9 8 0 ) G e n e r e : w a v e p o p Riscopr i re oggi g l i Associates s igni f ica procurarsi qualche bel sussul to cardiaco. Erano essenzialmente un duo, i l cantante Bi l ly Mackenzie ed i l pol istrument ista Alan Rankine, entrambi fu lminat i sul la v ia del Bowie teutonico, ma in possesso di abbastanza r isorse in propr io da operare una sintesi capace di t rascendere gl i st i lemi del Duca Bianco. E non di poco. Oggi infat t i , col pr iv i legio di una prospett iva parecchio al lungata e volendo/potendo contorcere la cronologia come più c i aggrada, possiamo r invenire nel loro sound r iverber i dei Roxy Music , dei pr imi Radiohead , degl i Ultravox con o senza punto esclamat ivo (ovvero, quel l i d i Foxx e quel l i con Ure), poi ancora Echo & The Bunnymen , PIL , Bauhaus… La voce di Mackenzie è tumida, nevrastenica, teatrale, capace di guai t i sconnessi e crooner ismi sordidi , un carosel lo febbr i le dove puoi d ist inguere i l fantasma ebbro di Jim Morrison , lo sferzante dandismo di Br ian Ferry, i s ingul t i ipercinet ic i d i David Byrne . Quanto a Rankine, autore di tut te le musiche, distr ibuisce chi tarre radent i e pastel l i s intet ic i con espressionismo selvat ico e artsy, get tando un ponte insidioso tra certe ispide pugne Gun Club , i guizzi smerigl iat i Manzanera ed i p i t tor ic i ordi t i Eno .Quest i due talentacci scozzesi misero in piedi g ià nel ‘76 un progetto, The Ascorbic Ones , operante in quel d i Dundee. Nel ‘79 decisero di cambiare ragione sociale in The Associates, esordendo con un singolo come mini -mo emblemat ico: la cover di Boys Keep Swinging , pezzo f i rmato Bowie/Eno contenuto in Lodger (EMI, 1979), u l t imo capi to lo del la famosa tr i logia ber l inese. Una svol ta decis iva, anche al la luce del fermento post-punk che incendiava i l Regno. Tempo pochi mesi e vedrà la luce The Affectionate Punch , d ieci t racce che danno fondo a tut te le loro ossessioni e - presumo - capaci tà. Dal la t rafelata t i t le- t rack (che mette d’accordo Talk ing Heads e Roxy Music) , a l lo sferzante cabaret d i Even Dogs In The Wild (che spedisce viv id i morr iconismi in mezzo al la steppa, ant ic ipando la teatral i tà nomade di certo Patrick Wolf) , dal l ’angolosa solenni tà di Transport To Central ( la cui grat icola di chi tarre sarà piaciuta non poco ai Radiohead di My Iron Lung ) a l la soul-wave amniot ica di Deeply Concerned (col canto mol lemente sovraesposto), passando dal l ’epic i tà adenoidale di Amused As Always ( t ra i Bauhaus e i Police p iù v is ionar i ) e dal valzer ino psicot ico di Paper House (chi tarre tagl ient i e marmorini fantasmi del la Nico eniana).Par l iamo dunque di un album composi to, una mist icanza di sentor i e fogge e umori che potrebbero ubr iacare quals iasi indie-rockers. Tuttavia, propr io questa propensione – seppur feroce – al la “s intesi caleidoscopica”, questa t roppa grazia anal i t icamente godur iosa, è forse i l pr incipale di fet to del l ’a lbum, non focal izzato su di un centro di gravi tà estet ico che possa render lo immediatamente r iconoscibi le nel fo l to dei segni e dei l inguaggi scatur i t i da quel fer t i l iss imo per iodo. Forse per questo, la band sarà sempre sul punto di esplodere t ra le grandi real tà mancando di fat to l ’appunta-mento con la Stor ia. Se i l successivo Fourth Drawer Down (1981) s i r ivelerà album inter locutor io, Sulk (1982) tenterà la carta del wave-pop capace di coniugare guizzi ipercromat ic i XTC e decadent i t remori jazzy (vedi la sconcertante cover di Gloomy Sunday ) . Una sterzata t roppo brusca per i gust i d i Rankine, la cui chi tarra suona sempre più intrusa nel sound del la band. L’egida Associates r imane presto in mano al solo Mackenzie, che andrà avant i f ino al ’90, quando avvierà la carr iera in sol i tar io. L’u l t imo at to r isale al 1997, quando i l male del secolo - la depressione - lo porterà al suic id io. Sipar io.

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F a b r i z i o D e A n d r è – N o n a l d e n a r o , n é a l l ’ a m o r e , n é a l c i e l o ( P r o d u t t o r i A s s o c i a t i , 1 9 7 1 ) G e n e r e : f o l k c a n t a u t o r i a l e Nessuno si sognerebbe di mettere in dubbio la forza e la freschezza dei versi di De Andrè, tanto meno col senno di poi di chi ha avuto la possibil i tà di scavare nel profondo dei versi di Faber, congelati nella storia dopo la sua scomparsa. Ma la musica? E’ disarmante constatare quanto poco si sia detto e scritto su un autore come lui, ottimo poeta, ma pur sempre un musicista.Il problema dei cantautori della generazione degli anni ’60 – ’70 è stato quello di trascurare, per una urgente esigenza di comunicabil ità, i l lato musi-cale delle proprie canzoni-storie, mirando a un’essenzialità “dylaniana” che favorisse la percezione dei testi. I Guccini di turno, i De Gregori (e chi più ne ha più ne metta) non hanno fatto altro che imitare fantomatici cantastorie post-l itteram, rendendo piacevole con la musica ciò che, altrimenti, sarebbe risultato piuttosto ostico trasmettere alle masse: messaggi polit ici, sociali (e anche qui, chi più ne ha più ne metta). Non De Andrè. I l cantautore genovese, profondo conoscitore di musica popolare, ha sempre considerato fonda-mentale i l legame tra musica e poesia, l ’ interconnessione tra musicalità dei versi e potenza narrativa della musica. L’interesse fi lologico per generi popolari come la ballata, a partire dai suoi esordi, lo testimonia in pieno. Niente è lasciato al caso, niente è sottomesso alla parola. Come lo testimoniano anche l’ incessante ricerca musicale, oltreché linguistica, culminata in capolavori come Creuza De Ma, e le svariate collaborazioni con gli ottimi musicisti di cui si è sempre circondato. Nicola Piovani, compositore che non ha certo bisogno di presentazioni, è uno di questi. Senza di lui un capolavoro come Non al denaro, né all’amore, né al cielo non sarebbe potuto nascere, con tutto i l r ispetto per chi gli ha dato i l nome.Gli anni ’70, si sa, sono stati gli anni della l iberazione musicale, della sperimentazione a 360 gradi. I l senso di apertura, le infinite possibil i tà che questo decennio ha portato con sé, hanno invaso tutti i generi musicali: i l pop si sentiva in dovere di poter attingere dalla musica “colta”, le radio l ibere permettevano una diffusio-ne più condizionata ai gusti che al profitto economico e i l rock progressivo si ergeva a simbolo di questo continuo scambio tra piani f ino ad allora troppo separati. Non al denaro… nasce in questo clima di trasformazione musicale, proprio nel momento in cui l ’ Italia apriva le porte al progressive britannico, cominciando a dialogare con le forme classiche e gli arrangiamenti orchestrali attraverso gli esperimenti di gruppi come Osanna, Area, New Trolls, Balletto Di Bronzo. A modo suo, come sempre, con questo concept album liberamente tratto dall ’Antologia di Spoon River di E. L. Masters, De Andrè sembra voler omaggiare questi nuovi l inguaggi musicali. Anche se aveva già affrontato la forma del concept album con La Buona Novella e le forme classiche con Tutti Morimmo a stento ( ispirato alla Cantata settecentesca), in Non al denaro… Faber compie, musicalmente, un salto di qualità non indifferente. Gli ar-rangiamenti orchestrali, gli sviluppi tematici (come nel caso del motivo principale dell ’ iniziale La coll ina, in continua trasformazione, come fosse i l tema di una sinfonia di Brahms), la sovrapposizione di parti in forma di suite (la straor-dinaria Un ottico, emblema di questa evoluzione musicale), l ’uso di strumenti classici come clavicembali e violini, la dicono lunga sul lavoro musicale che sta dietro un album il cui giudizio è rimasto sempre troppo condizionato (non a torto, per carità, ma eccessivamente) alle tematiche umane e sociali legate ai personaggi descritt i . Personaggi che qui, a differenza dell ’Antologia, diventano estremamente simbolici e possono essere raccolti in due tematiche principali, discostandosi dalla descrizione soggettivistica di Masters: l ’ invidia (Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore) e la scienza, con le sue contraddizioni etiche (Un medico, Un chimico, Un ottico). Gli uomini che “dormono sulla coll ina” di De Andrè sono strappati alla borghesia della piccola America di inizio Novecento e resi at-tuali, poiché, come lui stesso ebbe modo di dire “anche nel nostro tipo di vita sociale abbiamo dei giudici che fanno i giudici per un senso di rivalsa, abbiamo uno scemo di turno di cui la gente si serve per scaricare le sue frustrazioni”. I l suonatore Jones, l ’unico a cui De Andrè lascia i l nome originale (trasformandolo, però, da violinista a suonatore di f lauto, probabilmente per ragioni poetiche) si divincola da questi stereotipi con la sua libertà, divenendo una sorta di alter ego dell ’autore, troppo coscientemente peccatore per essere paragonato agli altri personaggi. Ma tutti, proprio tutti, come se la morte l i avesse resi uguali “dormono, dormono, sulla coll ina”.

Daniele Follero

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D i a r i o d i u n o s c a n d a l o ( d i R i c h a r d E y r e - G B , 2 0 0 6 )Lo scandalo al centro del f i lm non è tanto quel lo che unisce la giovane Sheba, docente di ar te in un l iceo inglese, al suo alunno quindicenne quanto, soprat tut to, quel lo del l ’amore seni le, testardo, egoista e saff ico che colpisce Barbara, anche le i docente nel lo stesso l iceo, per l ’amabi le col lega. È la stor ia di un t r iangolo d’amore postmoderno alquanto var iega-to: un quindicenne, una giovane nai f e una conturbante, enigmat ica, v i r i le lesbica at tempata. I l d iar io del t i to lo è quel lo che Barbara scr ive in un contesto domest ico sol i tar io e r igoroso che i l f i lm mostra molto lentamen-te. Fin dal l ’ in iz io la stor ia è raccontata da Barbara in voice-over, le sue parole sono trat te da un’ ipotet ica let tura del d iar io e l ’ambiente è quel lo offer to da una versione avar iata del r igore Br i t ish dei col legi : g l i a lunni pensano più a giocare o a scopare che al la stor ia o al la let teratura, zero st imol i . Mancanza di st imolo anche a casa del la giovane maestr ina Sheba: on r ischia di d iventare una famigl ia perfet ta in pieno ambiente l iberal (e i l confronto di c lasse è presente come al sol i to nel la t radiz ione inglese) solo perché c’è la presenza disturbante del ragazzino Down. Presenza che viene def in i ta in modo assolutamente pol i t ical ly incorrect da Barbara in voice-over: “ imbarazzante presenza, a t rat t i noiosa”. Scandalo del pen-siero che r imane in una parte inespressa (o conf idenziale: i l d iar io) d i una donna inglese abi tuata al “cannibal ist ico bon ton” di un paese dove le cose si pensano ma non si d icono mai, tut to segret i e bugie. L’obiet t ivo di Barbara è sbarazzarsi del l ’ ingombrante presenza del la famigl ia di Sheba. E la vogl ia di sesso in questa versione d’amore non c’entra assolutamente nul la, r ispetto a quel l ’a l t ro t ipo di scambio int imo con i l ragazzino (e non potrebbe che essere così) . Tant ’è che non si va ol t re ad un’ innocua carezza sul le braccia che, però, è tanto più imbarazzante, raccapr icciante perché oscena ( fuor i dal le usual i rappresentazioni dove è quasi sempre assente l ’amore f is ico seni le) , d i quanto possano essere i palesi e sgrammaticat i messaggi che lu i manda al suo oggetto del desider io, generalmente stra-sent i t i e spacciat i ovunque e quindi non scanda-losi . Ma l ’amore che vuole Barbara è diverso. Pr ima di tut to è mentale, non solo nel senso di ‘cerebrale’ ma nel senso del la totale autonomia, del l ’autarchia ( i l d iar io è una del le forme let terar ie più autarchiche, vedi Anais Nin). In sostanza i d iar i v ivono di v i ta propr ia e f in iscono per lamentare un problema di d istacco dal mondo esterno, di mancate coincidenze. I l f i lm è avvincente e intr igante soprat tut to al l ’ in iz io, s i perde un po’ nel la seconda parte ma c’è un pref inale intenso ( i l montaggio al ternato t ra Sheba e Barbara) e un f inale ancor più beffardo e cat t ivo. Sheba/Cate Blanchett è luminosa nonostante l ’ imbarazzante ingenui tà del suo personaggio, Barbara/Judi Dench è intensa secondo un r i tmo perfet to.

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la sera della primaG u i d a p e r r i c o n o s c e r e i t u o i s a n t i ( d i D i t o M o n t ì e l - U S A , 2 0 0 6 )

Questo piccolo f i lm del l ’esordiente Di to Montìel è t rat to dal l ’omonimo l ibro di memorie del lo stesso regista, ambientato a metà degl i anni ‘80 nel quar-t iere Astor ia del Queens. E’ i l racconto del l ’estate afosa di quattro ragazzi r iuni t i in una banda dal futuro incerto e imprevedibi le. Uno di loro (Di to: i l f i lm è largamente autobiograf ico) r iuscirà ad andarsene ma sarà costret to a r i tornare molt i anni p iù tardi a causa del la malat t ia del padre. Subi to sal -tano al la mente al t r i f i lm precedent i che potremmo def in i re urban dramas come Kids - da cui prende i l senso del l ’ innocenza perversa degl i adole-scent i che scherzano col fuoco senza saper lo - Fa’ la cosa giusta – con cui ha in comune tempi e luoghi , la NY 80s - ma anche Bronx o Mean Streets . Anche l ’odio può essere un r i fer imento nonostante nonostante provenga da tut t ’a l t ra parte del mondo; eppure che sia Par ig i o New York, tut t i i sobborghi sembrano avere gl i stessi problemi: droga, promiscui tà sessuale, odio atavico f ra gangs. Non c’è un vero e propr io discorso di de-nuncia sociale o razziale: i l f i lm è volutamente “abbandonato a se stesso”; in questo senso è abbastanza r iusci ta la volontar ia sospensione di qual -s iasi t ipo di g iudiz io. Questo grado zero di presenza autor ia le fa tut t ’uno con i l grado d’ incoscienza con cui sembrano vivere la loro v i ta i ragazzi . Incoscienza non causata dal la giovane età, quanto invece da un’ innocente appartenenza ad un ambiente senza speranza dove i l v ivere e i l mor i re s i equivalgono. Soffrono senza sapere i l perché, e l ’unico ad intravedere la luce, Di to, sfugge portandosi d ietro i l senso di colpa nei confront i dei geni-tor i abbandonat i , come se l iberarsi dal dest ino di r inunce e stent i possa essere passibi le di r improvero. Così è costret to a r i tornare, per togl iers i quel peso dal la coscienza che è mancata a tut t i g l i a l t r i . Che, infat t i , non se la passano troppo bene: chi s i arrabatta, chi in pr ig ione, chi morto. C’è da dire che, s icuramente, è la c i t tà la vera protagonista di questo f i lm, un po’ come fu per Mean Streets . Solo che là era Manhattan e qui Queens; eppure s i respira la stessa ar ia asf i t t ica ma indispensabi le, con i l conseguente amore-odio che i personaggi nutrono per essa. Montìel ha cercato di rendere nel la maniera più ver i t iera possibi le, in l inea con i personaggi , anche lo stes-so quart iere Astor ia (non troppo cambiato r ispetto al 1986) dove ha girato i l f i lm. Nessun Empire State, nessuna veduta ovvia sul la c i t tà. Nessuna retor ica celebrat iva anche nel lo st i le dimesso del f i lm, che è completamente in l inea con una formula quasi documentar ist ica real izzata con l ’uso del voiceover e degl i sguardi in camera. Due cose ancora: i l f i lm sarebbe da vedere in l ingua or ig inale, i d ia loghi sono molto interessant i per quel lato più conversat ivo che diret tamente informat ivo. Seconda cosa: Robert Downey Jr, g ià ragione di per sé del la v is ione di questo f i lm: sempl icemente intenso e dolente come quando canta.

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L’ a l b e r o d e l l a v i t a ( d i D a r r e n A r o n o f s k y – U S A , 2 0 0 6 )Da mesi , ormai, non si fa al t ro che r icordare i f ischi che Darren Arono-fsky s i è beccato al Fest ival d i Venezia. Bisognerebbe spiegare come mai. Forse perchè, con solo due pel l icole – i l kafk iano I l teorema del delir io e l ’anfetamico Requiem For A Dream , cinema nuovissimo e sorprendente - Aronofsky era r iusci to subi to ad imporsi a l l ’at tenzione mondiale. Forse perchè quei f i lm non erano né sempl ic i , né convenzional i . Forse perchè a vol te i l c inema fa a meno dei g iudiz i dei cr i t ic i , e s i d i ffonde come un contagio presso i l grande pubbl ico. Forse perchè i l suo nome era diventa-to molto più che un nome: un’aura dorata. Forse perchè è umano, t roppo umano, gr idare al genio, a iutare qualcuno a scalare le r ip ide paret i del consenso, e poi spingere giù nel burrone i l malcapi tato al pr imo passo falso – del resto, un c lassico nel la stor ia del c inema: bast i r icordare i l caso sfortunato di Dune , i l terzo f i lm di Lynch . Eppure, sebbene L’albero della vita sia un f i lm costrui to male, a t rat t i incomprensibi le, al la moda , come molto c inema contemporaneo – è faci le r intracciare la prol i ferazione del le l inee narrat ive, la r icorsiv i tà del tempo, i sal t i spazio-temporal i , l ’e l i -minazione dei raccordi , l ’astuzia del la stor ia nel la stor ia, i l g ioco di r ime e r imandi t ra una stor ia e l ’a l t ra – non è un f i lm inut i le . I l perchè è presto detto. I l f i lm racconta qualcosa di profondamente umano: la r icerca di una cura contro la morte, la pazienza e i l del i r io che ci vogl iono solo per pensare che una cosa del genere s ia possi-bi le. Ora, o l t re ad essere un tema parecchio abusato s ia al c inema che in let teratura, la r icerca del l ’El is i r d i lunga vi ta, o del la Fontana del la Giovinezza, è una costante che ha at t raversato tut te le epoche e tut te le cul ture. Non esiste lat i tudine, né tempo, che non abbia custodi to, con simbologie e forme narrat ive di fferent i , un part icolare mito del l ’ immortal i tà. E Aronofsky, consapevole come pochi regist i , con un tagl io decisamente antropologico, p iù che un f i lm sembra costruire un piccolo saggio - un catalogo ragionato del mito del l ’ immortal i tà che elenca, e lega tra di loro, tut te le grandi der ivazioni che sgorgano da quel mito: le rel ig ioni (quel la cr ist iana, buddista, lo spir i tual ismo del ta i -chi) , la scienza (quel la al l imi te t ra ingegner ia genet ica e cura del le malat t ie) , le art i del racconto ( i l c inema, la let teratura). Insomma, L’albero della vita , p iù che un f i lm new age , è un’opera ambiziosa-mente s incret ica e del tut to post-moderna. È un l impidissimo esempio di un c inema moltepl ice e strat i f icato, che car ica per eccesso le s imbologie, con i l compito di rendere evidente la complessi tà, la moltepl ic i tà – ma anche, la confusione – dei tempi in cui v iv iamo, dove tut to appare contemporaneo e contraddi t tor io, dove non ci sono l imi t i , ma cont inui sconf inament i d i campo. Molto più di Babel , questo f i lm mostra la global izzazione dei mit i e dà conto del la loro c i rcolazione, del loro intreccio: per questo non poteva che r isul tare sconclusionato.

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la sera della primaS a t u r n o c o n t r o ( d i F e r z a n O z p e t e k – I t a l i a , 2 0 0 6 )

Spunt i d i r i f lessione. Pensier i , meditazioni . Sol i tudini e condiv is ioni . Foto di gruppo in interni , f i rma in calce per le v is ioni quot id iane di Ozpetek: nessuna fata, nessuna ignoranza, nessuna sacral i tà. Solo l ’anel i to e i l de-sider io, la tensione degl i affet t i , la loro cura, la fenomenologia, racchiusa nel salot to per la cena di festa, nel g iardino tr iste del la casa di campagna, nel la sala d’at tesa del l ’ospedale o nel l ’ar ia gel ida d’una camera mortuar ia. I l personaggio chiave del le pel l icole di Ferzan è sempre un gruppo: ami-c i , conoscent i , compagni. Pezzo col let t ivo composto da framment i che si staccano dal f lusso inf in i to sot to le luci del la te lecamera, brani emot iv i che at t raversano i l quot id iano e c i mettono l ì , sedut i e t ranqui l l i , t rasformando la pol t rona del c inema in un metro di tavola, uno spazio che r iunisce un qualunque gruppo di amici in una qualunque ci t tà. Tutto è medio e tut to è normale, tut to è tenue. Tutto scorre e lacera. La dipendenza e la diversi tà, la droga e gl i affet t i , la rabbia e i b lack-out comunicat iv i , le separazioni e le bugie. Le parole spezzate, g l i abbracci , e gl i occhi che improvvisamente cadono, perdendo la luce mentre la bocca mast ica la carne del le polpette. I r i tual i che esorcizzano una dipart i ta improvvisa, che interrompe i l f lu i re e costr inge a r ipensare, a elaborare: ancora un lut to, ancora quel punto interrogat ivo. Forse quest i non sono argoment i universal i , né temat iche di stret ta at tual i tà: sono assaggi che passano sotto l ’occhio del regista, sono mani e corpi , vest i t i , abi tudini . Int imità condiv ise. Quando i l f i lm f in isce c’è una pal l ina che r imbalza sul tavolo, da una parte al l ’a l t ra, e Intor -no, i l gruppo intero, i l personaggio. I l dolore arr iva e passa al la prossima, evento cr i t ico che cerca r isposte. I l f i lm f in isce e sembra che nul la s ia successo. Qualcuno si aspetta ancora i r isvol t i , le direzioni . Ma la metafora, la sola metafora che esce da questo f i lm è la bel lezza i r r ipet ib i le dei percorsi d i una persona at t raverso le sue relazioni , le sue condiv is ioni , nel le sue immagini d i gruppo. Come un album di fotograf ie che improvvisamente s i anima, e che, quando una di queste foto scompare, prosegue comunque, inelut tabi le, a r igenerarsi at t raverso al t r i occhi , a l t re stor ie nel le pagine. Al t re piccole immagini animate del personaggio col let t ivo di Ozpetek, un personaggio sempl ice che senza par lare r isponde, e stret to a sé, prosegue. Come la pal l ina di una piccola par -t i ta di p ing- pong.

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L’infernale Quinlan (di Orson Welles - USA, 1958)Marlene Dietr ich disse una vol ta che dopo aver par lato con l ’amico Wel les s i sent iva come una pianta appena innaff iata. Ed è esattamente la stessa sensazione che nasce dal la v is ione di questo capolavoro. Come se tut ta la teor ia del c inema, la sua quintessenza si possano concentrare in quest i 93 minut i d i puro racconto per immagini : una specie di t rat tato su “cosa è i l c inema”. Qual è la ragione del la coincidenza tra un f i lm di Wel les e i l c inema stesso? Lo st i le; ovvero, non solo i l suo modo inconfondibi le di v io lentare i l imi t i narrat iv i e formal i d i Hol lywood, quanto qualcosa di p iù r icercato, d i non diret tamente spendibi le. Lo st i le è un fat to prezioso, che non si adegua al le basse stature e questo f i lm di Wel les rappresenta la pura raff igurazione del suo st i le personale. Dal punto di v ista narrat ivo (anche se la narrat iv i tà nel regista è sempre più debole del dato l inguist ico-formale) i l f i lm è la contrapposiz ione tra due personal i tà opposte, entrambi detect ive: Wel les (Quinlan) è un inve-st igatore geniale che non esi ta a fabbr icare prove per supportare le sue intuiz ioni , uccide per incastrare l ’avversar io, non nasconde la sua at t ra-z ione per i l potere e i l denaro ed è intener i to solo dal r icordo del la mogl ie morta. L’a l t ro, Heston (Vargas) è razionale, g iusto, bel lo ma freddo, disat-tento verso la neo-sposa e dotato di un’ intel l igenza banale. Wel les man-

t iene su un l ivel lo di costante ambigui tà i l confronto f ra i due. I l fascino rappresentato da Quinlan è decisamente più inquietante, conturbante, sensuale addir i t tura di Vargas, per quel la mescolanza tra gigant ismo maniacale, corruzione megalomane e ingenuo infant i l ismo. Niente a che vedere con l ’ovvietà l ineare di Vargas, pol iz iot to integerr imo, innocuo, noioso ed elegante, mari to anestet izzato dal l ’ossessione del lavoro. Fin dal le pr ime due scene già tut te le carte sono sul tavolo ma quel processo di focal izzazione che è t ip ico del c inema (e in genere del racconto) ancora è indecidibi le. Chi ha ragione fra i due detect ive? chi è veramente Quinlan? Da che parte sta? Eppure nonostante l ’ambigui tà, lo spettatore s i t rova inspiegabi lmente costret to ad amarlo. Così quel la che è messa sul campo sembra essere una morale immorale: sei costret to ad amare un del inquente megalomane. Truffaut la chiama “morale del la purezza degl i assolut i ” . La scena f inale che sciogl ie l ’ intreccio è, in questo senso, rappresentat iva: l ’ immagine di un Quinlan ubr iaco, ormai prossimo al la f ine, r imasto solo con i l r icordo di chi ha profondamente amato e che ora non c’è più, r i f iuto umano sul la r iva di un f iume nero e melmoso, in mezzo a detr i t i e sporciz ia. “Mi scuso di essere un farabutto, non è colpa mia se sono un genio, muoio, amatemi” : sono le parole con cui Truffaut esempl i f ica tut ta la scena f inale. Non ci può essere nul la di p iù preciso per descr iver la. Questo f i lm è diventato celebre per l ’ in iz ia le piano-sequenza, c i tato anche da Al tman ne I Protagonist i (1992). È uno dei p iù bel l i v ist i a l c inema ( insieme a quel l i d i Hi tchcock); inut i le descr iver lo, ma bast i d i re che è un movimento s ia lungo l ’asse del la profondi tà che lungo quel lo del l ’a l tezza. In real tà è un mo-vimento di tut to: l ’auto dove è contenuta la bomba, la coppia che cammina lungo la strada, i passant i e i carret t i che intersecano la v ia, le ombre del le persone. La macchina da presa con obiet t ivo grandangolare fu piazzata sul tet to di un’auto che viaggiava accostata al la strada, assumendo di cont inuo una prospett iva leggermente diversa r ispetto a c iò che inquadrava. Si t rat ta di un procedimento, i l camera-car, che fu ut i l izzato nei sessanta nei t ra-vel-movie. A questo proposi to La Pol la (Biskind in La Pol la, Sogno e real tà americana nel c inema di Hol lywood, I l Castoro, 2004, pag.206.) fa un confronto a mio avviso interessante. Mentre in quest ’u l t imo caso una tecnica ( i l camera-car) serve i l procedimento di costruzione del mito (è un mitologema) del paese al la par i d i un catalo-go tur ist ico sul le bel lezze del la nazione ( i l v iaggio, i l movimento, la fuga), nel caso di Wel les la stessa tecnica serve i l solo obiet t ivo di mettere in campo i l mater ia le informat ivo senza nessuna imposiz ione, in modo che sia lo stesso pubbl ico a decidere di scegl iere o scartare i det tagl i inquadrat i nel la scena. Così, ancora una vol ta, s iamo imbarazzat i , spiazzat i : c ’è una bomba, un uomo corre, la coppia arr iva, s ’ inf i la in macchina, una mir iade di personaggi at t raversa la scena, la macchina da presa l i segue, poi l i perde, arr iva un’al t ra coppia, sorr idono, la macchina da presa lascia l ’auto che scompare, e segue la nuova coppia per un lungo trat to, per poi r i t rovare l ’au-

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la sera della primato che era scomparsa… chi dobbia-

mo seguire? Che sta succedendo? La stor ia di chi c i v iene racconta-ta? Questo è un buon esempio per def in i re i l c inema di Wel les: non c’è mai una forma prestabi l i ta, una strut tura centrale. È sempre un cer-chio labir int ico su cui lu i lavora in una progressione decrescente man mano che i l f i lm procede. Abbiamo già due indiz i per capire che lo st i le s ia qualcosa d’ inaffer-rabi le (di personale) che scardina ogni previs ione. In sostanza una tendenza a far sal tare la focal iz-zazione del lo spettatore. Dic iamo-ci la ver i tà: quante vol te in un f i lm sappiamo già tut to f in dal l ’ in iz io? Certo c ’è i l meccanismo del genere ad aiutarci ma si t rat ta anche del la necessar ia uni tar ietà del la strut tu-ra f i lmico-narrat iva. Mai spiazzare t roppo i l pubbl ico era la regola hol-lywoodiana. Quel tanto che basta, magari , ma sempre dentro al l imi te del la coerenza del la l inea narrat iva. Pochi sono i regist i che osarono, in questo senso, scardinare i l s istema: Hi tchcock e Wel les con le dovute di fferenze. In entrambi la cosa si compiva sia at torno ad un dato di natura meta-cinematograf ica (r iguardo al la natura del racconto per immagini e al la sua credibi l i tà) , s ia al dato di natura et ica (che razza di uomo è i l personaggio che ho di f ronte? O megl io che t ipologia di carat tere è i l personaggio?). In entrambi i casi l ’obiet t ivo è stato spiazzare lo spettatore propr io mentre sta sot toscr ivendo i l pat to di fedel tà al l ’ immagine ( la famosa momentanea sospen-sione del l ’ incredul i tà) . I l noir a l quale questo f i lm appart iene è uno dei gener i p iù controversi ma una sua tendenza universalmente ac-cettata è la predi lezione per i contrast i , anche moral i , f ra ombre e luci (male e bene, apparenza e reale). Di f ronte a c iò v iene meno la capaci tà di g iudiz io e d’ invest igazione. In due parole: l ’ambigui tà del mondo e la t r is tezza esistenziale del l ’ io (è forse i l genere più romant ico). Ma nei ‘50 qualcosa cambiò e fu i r r imediabi lmente connesso al l ’avvento del colore. Inol t re, se nel decennio precedente i l detect ive duro e coraggioso al la Phi l ip Marlowe si dava al la v io lenza (o a mezzi i l legal i ) dentro ad una cornice di umanità e di condanna del la corruzione; nei ‘50 comparvero i pr imi detect ive veramente catt iv i , vendicat iv i , rabbiosi , v io lent i . I l detect ive Hammer di Un bacio e una pistola, per esempio. L’Hammer di Spi l lane (da cui fu t rat to quel f i lm) era una copia degenere del Marlowe di Chandler: “aveva la durezza senza la moral i tà, una violenza non frenata da un codice personale”, secondo Truffaut. Inol t re se nei ‘40 l ’andare contro la legge da parte del detect ive era s imbolo di un’ integr i tà morale gigantesca e i r r iducibi le al burocrat ismo del la legge, i detect ive deL decennio successivo, vedi Quinlan, non osservano le leggi soprat tut to per un impulso pr imit ivo e ormai degenere (e la catena degl i assassini commessi da Quinlan lo dimostra). Eccoci quindi arr ivat i a stabi l i re lo st i le di Wel les nel la predi lezione a buttare fuor i lo spettatore dai suoi g i r i rassicurant i anche se gradevol i t ra le “case prefabbr icate” del c inema classico. Non diment ichiamoci , infat t i , d i quel lato i ronico che è forse una del le produzioni p iù evident i del lo suo st i le di . In tut t i i suoi f i lm i l suo sorr iso beffardo fa piazza pul i ta del grado di ser iosi tà di tut te le strut ture narrat ive. Mai prendere t roppo sul ser io c iò che vedete, sembra dire Wel les ai suoi spettator i : in fondo siete solo al c inema!

Costanza Salvi

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Cr ist ina Zaval loni , bolognese, ha div iso la sua giovane ma già affermata carr iera di cantante tra i l jazz e la musica contemporanea. Def ini ta da molt i l ’erede di Cathy Berberian, cont inua i l suo incessante approccio sper imentale provando a mettere d’accordo Monteverdi e Andriessen, Berio e Rossini . Dopo tante monograf ie dedicate ai “cosiddett i ” contemporanei, proviamo a fare i l punto del la s i tuazione interrogando una grande interprete sul suo rapporto con la musica del Novecento

I l jazz e la musica contemporanea hanno accompagnato praticamente tutta la tua carriera artistica. Con quale delle due musiche hai cominciato?Con i l jazz. La passione per la musica classica moderna è venuta dopo, mentre studiavo canto e composizione in Conservator io.

Come è nata la tua passione per i l canto?Sono cresciuta con un padre musicista, ho sempre cantato, da che ho memoria. Ripeto spesso che credo di avere imparato pr ima a cantare poi a par lare! La decisione di fare la cantante a l ivel lo professionale e mettermi a studiare sul ser io, però, è venuta verso la f ine del l iceo l inguist ico e l ’ho messa in prat ica dopo i l conseguimento del la matur i tà.

Cosa ti ha avvicinato ai compositori “cosiddetti” contemporanei?La cur iosi tà per i l nuovo e una forte fascinazione per i l suono moderno: a l ivel lo armonico, melodico, r i tmico. Inol t re la disponibi l i tà,

per molt i anni , a mettere i l mio strumento ( la voce) a disposizione del la loro r icerca composit iva: è un “usarsi” reciproco, un interesse vicendevole.

Nel 1997 hai debuttato nell ’opera con La Scala Di Seta di Rossini, ma i l genere (mi riferisco all ’opera dell ’800, quella da repertorio) non sembra coinvolgerti più di tanto. È solo un’ impressione?Non è un’ impressione: l ’Opera del l ’Ottocento, i l melodramma tradizionale, non è i l repertor io che sento a me congeniale. Mi t rovo più a mio agio nei lavor i moderni oppure, come mi sta capi tando sempre più spesso negl i u l t imi tempi, nel le opere barocche, nel la musica ant ica, Monteverdi in pr imis.

I l compositore olandese Louis Andriessen rappresenta senza dubbio un personaggio importante nel tuo percorso di musicista. Cosa vi lega artisticamente?Curiosi tà, apertura, senso del l ’umorismo, amore per i l jazz e l ’ improvvisazione, sudditanza assoluta al la musica, “da servire e non da usare”, un certo gusto tagl iente per le v irate improvvise, in musica e non. Per i l resto siamo molto diversi e abbiamo imparato a conoscerci lentamente, negl i anni . Io apprendo tanto da lui e forse anche lui è stato ispirato da alcuni t rat t i del mio temperamento t ip icamente i ta l iani : la teatral i tà, la resa drammatica del la narrazione, i l racconto.

Qualcuno ti ha paragonata a Cathy Berberian, soprattutto per l ’uso

plastico che fai della voce, l ’ ironia che riesci ad esprimere anche nella più profonda drammaticità e per la capacità di adattare la voce a sti l i molto differenti tra loro. Personalmente sono d’accordo con chi lo sostiene. In ogni caso, un’eredità pesante. Cosa ne pensi?Sono lusingata da questo paragone ma sono talmente consapevole del l ’enormità del ta lento di Cathy Berber ian da non r i tener la affat to un’eredi tà pesante: sempl icemente le i è le i e io sono io, ognuno è unico e i r r ipet ib i le. Cercare di essere a pieno sè stessi è l ’unica via possibi le, s ia nel la v i ta che, a maggior ragione, nel l ’ar te. La Berber ian è stata un faro per me, un esempio da imitare, una meravigl iosa fonte di ispirazione. Poi qualche anno fa mi è stato commissionato dal Teatro di Reggio Emil ia uno lavoro per r icordar la nel 20° anniversar io dal la scomparsa. Ne è nato lo spettacolo Con tutto i l mio amore : un’esperienza catart ica con la quale sento di aver le t r ibutato i l mio omaggio più sent i to.

Nel 1998 hai coperto i l ruolo di Justine/Juliette (un personaggio a dir poco estremo) ne La Pasion Selon Sade di Sylvano Bussotti . Com’è andata?Bene! Era la mia seconda produzione moderna, dopo i l Pierrot Lunaire d i Schoenberg . Grazie al l ’a iuto di un fantast ico diret tore musicale (poi diventato grande amico) come Claudio Lugo e al la preziosa regia di Roberto Valent ino. È stata una bel l issima esperienza che mi ha traghettato in un mondo che già desideravo frequentare.

d i D a n i e l e F o l l e r o

intervista a Cristina Zavalloni

s e n t i r e a s c o l t a r e 9 9

i cosiddetti contemporanei

Un’altra tua grande passione è la musica barocca. Di recente hai avuto un ruolo nell ’ Incoronazione di Poppea di Monteverdi, l ’autore che in quell ’ambito sembri predil igere in assoluto. Come riesci a mettere d’accordo Monteverdi, Berio, Rossini e i l jazz, considerando anche le grandi differenze tecniche che ognuna di queste musiche comporta?Dal punto di v ista vocale, questa convivenza st i l is t ica è possibi le grazie ad una sol ida tecnica “belcant ist ica” che mi è stata insegnata dal cantante e insegnante Michelangelo Curt i e ad uno studio quot idiano, che fa sì che io cerchi cont inuamente un modo tut to personale di muovermi in generi così diversi senza farmi male e cercando di non snaturarmi.

Ti sei cimentata in una miriade di interpretazioni di musica contemporanea spaziando da autori come De Falla, Ravel e Schoenberg, arrivando a sperimentatori come Berio e Dallapiccola. Esiste un compositore al quale sei particolarmente legata? Perchè?A parte i l legame affet t ivo con Andriessen, direi d i no. Eseguo spesso Berio, perchè molta del la sua musica fu scr i t ta per la Berber ian, con la quale ci sono fort i aff in i tà st i l is t iche e vocal i d i cui abbiamo già par lato. Ma non mi pare di poter indiv iduare un legame pr iv i legiato con un compositore speci f ico.

C’è, invece, un compositore di cui vorresti eseguire le musiche ma non l ’hai ancora fatto?Più d’uno. Purcell , ad esempio. Vorrei tanto cantare i l ruolo di Didone nel Dido & Aeneas , ma mi at t i ra molto anche La Voix Humaine d i Poulenc .

La tua carriera discografica è cominciata con l ’Open Quartet. Di cosa si tratta? Esiste ancora? Quali sono le formazioni musicali con le quali hai cantato e al le quali t i seni più legata? E un musicista in particolare?L’Open Quartet è stato i l mio pr imo

gruppo, abbiamo lavorato insieme per molt i anni , registrando tre cd. I component i sono via v ia cambiat i , t ranne i l fedel issimo Francesco Cusa a l la batter ia, che ha mi l i tato nel gruppo dagl i esordi r imanendone sempre i l p i lastro pr incipale. Open Quartet s i è sciol to l ’anno scorso, momentaneamente, per lasciare posto ad una nuova formazione con cui sto girando in questo per iodo: è sempre un quartet to con Stefano De Bonis , Antonio Borghini e Gabriele Mirabassi e fa seguito ad un cd che ho appena real izzato per l ’et ichetta Egea dal t i to lo IDEA . Ogni formazione con cui ho lavorato in quest i anni è stata un’occasione preziosa di cresci ta.

La tua carriera musicale, come anche i tuoi studi, sono molto legati al le musiche definite “colte”. Qual’è, invece, i l tuo rapporto con la popular music?Ott imo. La pop(ular) music - quando è bel la - mi piace, l ’ambiente che la muove, lo show biz, meno. Comunque ho col laborato diverse vol te a produzioni pop, anche se mai a mio nome, sempre ospi te di al t r i musicist i .

Bologna, la tua città, nel recente passato ha avuto un ruolo molto importante sia per i l jazz che per la musica contemporanea in Ital ia: realtà come Angelica, i l Dams, spazi di studio e di espressione, sono nati in un clima di fermento e creatività che forse oggi sta un

po’ sfumando. Che ne pensi? Cosa ti sembra sia cambiato e cosa è rimasto più o meno uguale?A r imanere immutato mi pare sia i l pubbl ico che segue queste at t iv i tà: i l Dams cont inua ad essere un grande bacino di utenza, una fonte inesauribi le di pubbl ico giovane, f resco, pieno di idee. A mutare sono state forse le ambizioni del la c i t tà: tende sempre più ad ospi tare i cosiddett i grandi event i p iut tosto che a sostenere la produzione locale, è più impegnata a garant i re l ’accesso in centro al le automobi l i che non a mettere a disposizione dei c i t tadini spazi di aggregazione cul turale, è t roppo esausta dal tentat ivo di salvare le casse del prest ig ioso Teatro Comunale - prosciugate da decenni di mala gest ione - per potersi permettere di promuovere real tà musical i minor i . Cerca di t rasformarsi nel la metropol i che non credo sarà mai, r ischiando di perdere per strada i l fascino e la poesia di una ci t tadina universi tar ia bel la e a misura d’uomo. Ma non prendiamocela tanto con Bologna: questo è un andazzo che si respira un po’ ovunque. Dappertut to i c inema tendono a chiudere per t rasformarsi in centr i commercial i o appartament i pr ivat i . Ci sono però preziose sacche di resistenza che ci lasciano f iduciosi , a Bologna per esempio la Cineteca, un ott imo modello di struttura eff iciente guidata dal l ’ intel l igenza e dal l ’entusiasmo di persone competent i .

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