Appunti sulla presenzia della «Canace» di Sperone Speroni ... · Speroni nell'Aminta di Torquato...

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CRITICÓN, 87-88-89, 2003, pp. 201-213. Appunti sulla presenza délia Canace di Sperone Speroni nell' Aminta di Torquato Tasso Renzo Cremante Université di Pavia Non si intende, con questi appunti, ritornare ancora una volta sulla complessa vicenda dei discordanti rapporti cheil Tasso intrattenne per più decenni col suo antico maestro padovano 1 . Ci si limitera, piuttosto, a fornire poco più di un sommario catalogo —ben lontano, si presume, dalla completezza— délie reminiscenze délia Canace incapsulate nella favola pastorale del Tasso: non già, s'intende, per tentare di istituire impossibili comparazioni tra esperienze poetiche tanto disomogenee per ordine di grandezza e tra loro assolutamente inconciliabili, ma per suggerire eventuali percorsi di lettura e contribuiré ad illuminare quel quadro storico-letterario «nel quale e per il quale soltanto», se è lecito trasferire alla tragedia dello Speroni il giudizio fermo e risolutivo espresso quasi quarant'anni fa da Carlo Dionisotti a proposito dell'antagonistica Orbecche di Giovan Battista Giraldi, «un'opera cosí nuda di poesia e di pensiero ma indubbiamente distinta da buone intenzioni e da efficaci suggerimenti, ebbe ed ha un'importanza storica» 2 . Che Y Aminta proceda dal modello fórmale délia Canace è sentenza già passata in giudicato alla fine del Cinquecento, corne confermano le congiunte, ben note ed autorevoli, seppure non disinteressate, testimonianze di Battista Guarini, in una lettera indirizzata allô stesso Speroni in data 10 luglio 1585 3 (da leggere pero con la ragionevole riserva, per usare le parole del Carducci, che il mittente «lusingasse di 1 Per cui si rimanda a Daniele, 1998. 2 Dionisotti, p. 120. Il testo délia Canace si cita secondo l'edizione compresa in Teatro del Cinquecento, che corregge in qualche punto l'edizione critica a cura di Ch. Roaf citata nella nota 6, alla quale si rinvia per i testi délia polémica. 3 Guarini, Délie Lettere... , p. 23.

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CRITICÓN, 87-88-89, 2003, pp. 201-213.

Appunti sulla presenza délia Canace di SperoneSperoni nell'Aminta di Torquato Tasso

Renzo CremanteUniversité di Pavia

Non si intende, con questi appunti, ritornare ancora una volta sulla complessavicenda dei discordanti rapporti che il Tasso intrattenne per più decenni col suo anticomaestro padovano1. Ci si limitera, piuttosto, a fornire poco più di un sommariocatalogo —ben lontano, si presume, dalla completezza— délie reminiscenze déliaCanace incapsulate nella favola pastorale del Tasso: non già, s'intende, per tentare diistituire impossibili comparazioni tra esperienze poetiche tanto disomogenee per ordinedi grandezza e tra loro assolutamente inconciliabili, ma per suggerire eventuali percorsidi lettura e contribuiré ad illuminare quel quadro storico-letterario «nel quale e per ilquale soltanto», se è lecito trasferire alla tragedia dello Speroni il giudizio fermo erisolutivo espresso quasi quarant'anni fa da Carlo Dionisotti a propositodell'antagonistica Orbecche di Giovan Battista Giraldi, «un'opera cosí nuda di poesia edi pensiero ma indubbiamente distinta da buone intenzioni e da efficaci suggerimenti,ebbe ed ha un'importanza storica»2.

Che Y Aminta proceda dal modello fórmale délia Canace è sentenza già passata ingiudicato alla fine del Cinquecento, corne confermano le congiunte, ben note edautorevoli, seppure non disinteressate, testimonianze di Battista Guarini, in una letteraindirizzata allô stesso Speroni in data 10 luglio 15853 (da leggere pero con laragionevole riserva, per usare le parole del Carducci, che il mittente «lusingasse di

1 Per cui si rimanda a Daniele, 1998.2 Dionisotti, p. 120. Il testo délia Canace si cita secondo l'edizione compresa in Teatro del Cinquecento,

che corregge in qualche punto l'edizione critica a cura di Ch. Roaf citata nella nota 6, alla quale si rinvia per itesti délia polémica.

3 Guarini, Délie Lettere... , p. 23.

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troppo il fastidioso sopracciglio del cattedrante di Padova», e magari indulgesse «a unacotai nebbiuzza di passione propria contro il povero Tasso»)4, e di Angelo Ingegneri,nella pagina d'apertura del discorso Della poesía rappresentativa (1598), che vale forsela pena di citare5:

Dietro a costoro [i. e. PAriosto e il Trissino] venne d'acuto ed elevato intelletto lo Speroni, eadditô per aventura colla sua Canace la strada, per la quale caminando poi più felicementenell'Aminta il giudiciosissimo Tasso, non pure egli eccitô (corne s'è detto) molti sublimiingegni alla composizione di diverse tragédie, comedie e pastorali, ma egli ebbe in sorte distabilire questa terza spezie di drama, prima o non ricevuta o non apprezzata od almeno nonposta nella guisa in uso che s'è fatto da allora in qua.

Non devono sfuggire, a me pare, il rilievo ed il significato del fatto che la tragediasperoniana, per le conclamate innovazioni tematiche e formali oggetto di valutazioneniente affatto concorde da parte dei contemporanei e argomento di una vivace querelledestinata a prolungarsi fin oltre la soglia del secólo xvu, sia dal Tasso prontamentericonosciuta come indiscutibile modello di imitazione e di aemulatio, innalzata al rangodella citabilità, riguardata sotto il profilo testuale e funzionale come un vero e propriorepertorio di filosofía amorosa in versi, come un erario di auctoritates, di moduli tecnicie dialogici, di procedimenti espressivi, alla stregua dei più celebrati esemplari antichi edi pochi, forse, contemporanei. E non è illecito ipotizzare che il Tasso, frequentatore aitempi del giovanile soggiorno padovano della «privata camera» del maestro, oltre cheai testi a stampa dei fautori e dei detrattori della tragedia, abbia potuto altresi accederé,direttamente o indirettamente, agli scritti apologetici dello stesso Speroni, già compostinegli anni Cinquanta ma che avrebbero visto la luce postumi soltanto nel 1597.

E' probabile che l'accertata sentenza si fondi, in primo luogo, sul dato più vistoso econtroverso della ragione métrica (che è tema, come sappiamo, niente affattosecundario neüe polemiche cinquecentesche intorno alia Canace), sulla fondamentaleinnovazione della «mistión delli eptasillabi colli endecassillabi»6 e della rima, che avevatrasformato radicalmente il paradigma métrico della grammatica trágica elaborata dalTrissino. Si noti, tuttavia, che tale innovazione è dal Tasso circoscritta ai soli recitativi,che occupano poco meno del 20% dei 1996 versi che compongono la favola pastorale:nella quale, dunque, il duttile, pieghevole strumento dialogico di gran lungapreponderante rimane pur sempre Pendecasillabo sciolto (metro al quale rimarràprogrammaticamente fedele, del resto, lo stesso Tasso trágico, cosí nel Galealto comenel Torrismondo). Quanto ai caratteri esterni e agli indici metrici primari, rispetto aliaverseggiatura della Canace il recitativo deü'Aminta, ad un primo sommario esame,sembra in certa qual misura distinguersi per un leggero incremento nell'impiegodell'endecasillabo, pur sempre accanto alia nettissima prevalenza del verso «rotto» (peril quale si passa da una percentuale di quasi il 72% a poco più del 65,5 %, mentrerimane pressoché irrilevante l'incidenza del quinario), e per una ancora più accentuatararefazione della rima (i versi irrelati salgono da circa il 65 % a circa il 74,5 %, con un

4Carducci, 1896, pp. 84-85.5 Ingegneri, Della poesía rappresentativa..., p. 4.6 Speroni, Canace e scritti in sua difesa..., p. 259.

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incremento di quasi 10 punti percentuali); anche più sensibile il calo délie occorrenze,nel caso dell'Aminta affatto sporadiche, di rime al mezzo o interne. Quanto alla rima,quale suggestione avrebbero mai potuto esercitare sulla «portentosa» maestrevolezzaritmica del Tasso quelle serie interminabili di rime sciatte ed andanti in -ore (di granlunga la rima più frequentata nella Canace, ripercossa anche tre o quattro volte diseguito), o in -ire e in -are, di rime desinenziali o suffissali (comprese moite di avverbi in-mente), o magari di rime equivoche o derivative o antonimiche? Mentre dallo Speronipotrebbe dipendere la presenza non fortuita, neW'Aminta, di omeoteleuti desinenziali, didue o tre o più membri, del tipo «l'esser guardata, amata e desiata» (v. 155), «servendo,meritando, supplicando» (v. 157), «godendo ed ammirando» (v. 616), «ridendo epiangendo» (v. 831); «Ma, mentre ella s'ornava e vagheggiava» (v. 873), «tacendo / eriverendo» (vv. 1015-1016), «vivendo e sperando» (v. 1348), «andammo eritrovammo» (v. 1385), «servendo, amando, / piangendo e disperando» (vv. 1979-1980); da confrontare con Canace, v. 133: «Voi guárdate et udite et aspettate», vv.150-151: «Lieto ti vederei, / Amerei, loderei, onorerei», v. 178: «Conosciuto ecresciuto», 1155: «Udendo e ragionando», vv. 1221-1223: «Formato e consecrato /All'alma dea Giunone. / Cosi guardato alquanto e comendato», vv. 1260-1261:«Ripiene di dolore, / Di stupore e d'orrore», v. 1454: «Dispergessi e affogassi».

Alla intelaiatura délia Canace sembrano rinviare, intanto, alcuni procedimenti topicidélia técnica dialogica e drammatica délia favola pastorale. Si pensi a deprecazioniconvenzionali quali: «Tolga Dio che mai faccia / cosa che le dispiaccia» (vv. 1084-1085), o «Dio faccia ch'ei non sia tra questi rari» (v. 1315), per le quali soccorronosubito numerosi i riscontri nella tragedia, cfr. per esempio Canace, vv. 220-221:«Voglia Dio che tai motti / Non tornino in sospiri»; 346: «Faccia Dio ch'io m'enganni»;vv. 393-395: «il quale / Voglia Iddio che non sia vera novella / D'alcun futuro maie»;vv. 442-444: «Faccia Dio, o reina, / Che ogni vostro travaglio e ogni sospetto / Sempresia sogno et ombra»; vv. 1303-1305: «Tolga Iddio che giamai / II disio di vendetta /Sieda in un cor reale». Oppure ad un inciso come «e voglia / pur Dio che questo fingeresia vano» (vv. 185-86), eco probabile, di là dalla autorizzazione dantesca (Inf., XXVIII78), di Canace, vv. 1208-1209: «Cosí faccia Giunone / Che vano sia il mió antivedere»(da cui dipende ancora Aminta, vv. 608-609: «ed io n'andai con questo / fallaceantiveder ne la cittade»). O ad interlocuzioni interrogative, come questa di Tirsi indialogo con Aminta nella seconda scena del primo atto: «E' possibil pero che, s'ella ungiorno / udisse tai parole, non t'amasse» (vv. 540-541), da ricondurre al dialogoconcitato della Nutrice con la protagonista, in Canace, vv. 901-903: «E' possibil peroche non paventi / La schiera de' tormenti / Che va inanzi al moriré?». O a formuleottative come quella che âpre il quarto atto áelYAminta (è sempre Dafne che parla):«Ne porti il vento, con la ria novella / che s'era di te sparsa, ogni tuo male / e presente efuturo» (vv. 1479-1481), dove affiora il ricordo di Canace, vv. 876-879:

Fa' che questa mia vitaPossa tanto schermirsi dagli affanniE presentí e futuri,Che ella si salvi e duri;

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Ed ancora, l'esclamazione dolorosa e sconsolata di Aminta, nella seconda scena delterzo atto : «Oh dolente principio; oimè quai fine / già mi s'annuncia!» (vv. 1394-1395), riecheggia manifestamente, di là dalla remota ascendenza euripidea (Hec. 181),quella di Canace, quando apprende dal Famiglio di Macareo che il segreto del suoamore incestuoso è stato clamorosamente scoperto: «O dolente principio! / Che paroleson queste? che novelle / Di là entro n'apporti?» (vv. 1119-1121). Nella medesimaseconda scena del terzo atto, sulla quale avremo l'occasione di ritornare fra poco, neldialogo di alta tensione drammatica con Nerina sopraggiunta a ragguagliare ilprotagonista circa la presunta morte di Silvia, l'interrogazione che Aminta sembrarivolgere prima di tutto a se stesso: «Poco parti aver detto?» (v. 1412, ma si vedanoanche i vv. 1078-1079: «Poco dunque ti pare / che infelice io sia», e 1112: «E pocoparti questo?»), ripete, quasi alla lettera, le parole pronuncíate a parte da Macareosubito dopo aver ascoltato dalla Cameriera il racconto del funesto sogno premonitoredi Deiopea: «Poco parle aver detto!» (v. 597); cosi corne, nel prosieguo dell'azione,l'interrogazione dilemmatica di Nerina, di fronte alla richiesta di Aminta di poterconservare almeno, per ricordo, il velo di Silvia: «Debbo darlo o negarlo?» (v. 1454),riecheggia forse l'esitazione ed il turbamento del Ministro di Eolo, presso Canace, vv.1879-1880: «Debbo dirgli o tacer di suo figliuolo / Quel che ho visto et udito?». Allatécnica del dialogo riconduce anche l'esempio di Canace, 1684-1686, del Famiglio ilquale «al volto e alia favella / Altro non par che rechi / Salvo pianto e dolore», ripresodal Tasso nel dialogo fra il Coro e il Nuncio nella seconda scena del quarto atto (vv.1638-1640): «CORO Or ch'apporta costui, / ch'è si turbato in vista ed in favella? /NUNCIO Porto l'aspra novella / de la morte d'Aminta». Un ultimo esempio, per questaparte, lega il racconto di Elpino, nella scena finale dell''Aminta, vv. 1919-1920 («Noimuti di pietate e di stupore / restammo a lo spettacolo improviso»), al ricordo di Eoloche, nel punto cruciale dello svelamento del parto incestuoso di Canace, «Muto dallostupore / Mirava or la reina / Che era meno venuta, or la nutrice» {Canace, vv. 1239-1241).

In questo caso la ripresa coinvolge non solo la scrittura drammatica ma anche lastessa struttura ed organizzazione scenica, se pochi versi prima, nel medesimo soliloquiodel Ministro, il commento che suggella la definitiva uscita di scena di Macareo, nonsenza il presentimento del suo imminente suicidio («Partito è mormorando, / Portatodal furore», vv. 1866-1867), potra bene essere riecheggiato da Dafne, nelcorrispondente luogo de\V Aminta, per accompagnare il protagonista, anch'egli appenacongedatosi dalla scena per una partenza apparentemente senza ritorno: «Ohimè, conquanta furia egli si parte!» (v. 1464). La stessa Dafne lo ripeterà ancora di li a poco aSilvia, nella scena d'apertura del quarto atto (vv. 1568-1572):

II vidi poseía, allorach'intese l'amarissima novellade la tua morte, tramortir d'affanno,e poi partirsi furioso in frettaper uccider se stesso.

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E si noti corne anche questi versi siano tramati di echi speroniani, dalla «novellaamara» della morte di Canace che Macareo intuisce dal «silenzio dolente» del Coro deiVenti (vv. 1627-1632, e si veda ancora Aminta, vv. 1354-1355: «Dunque a me purconviene esser sinistra / côrnice d'amarissima novella»), al deliquio di Deiopea che cadeugualmente «trammortita» (v. 1237), quando deve pur riconoscere di essere stata«Trista e certa indovina / Di quel che era e di quel che esser dovea». E subito primaDafne, accennando al tentativo di suicidio di Aminta («e mostró quella strada al ferroaudace, / che correr poi dovea ¡iberamente», vv. 1566-1567), aveva mostrato diricordarsi delle parole di Macareo, presso Canace, vv. 1811-1815:

Se tu non fossi tale,Uccider ti dovea parlando il nomeSolo di quel pugnaleChe nella tua CanaceMise il suo ferro audace.

Alio stesso modo accade che la peripezia di Aminta ricalchi per più aspetti quella diMacareo. L'apostrofe, per esempio, con la quale il pastore innamorato di Silvia sirivolge al dolore, nella citata seconda scena del terzo atto (vv. 1417-1419: «Dolor, chesi mi cruci, / che non m'uccidi ornai? tu sei pur lento! / Forse lasci l'officio a la miamano»), di là, ancora una volta, dalla comune fonte petrarchesca della prima delle trecanzoni "sorelle" (Rerum Vulgarium Fragmenta, LXXI, vv. 46-47), corrispondeperfettamente, nello svolgimento dell'azione, a quella di Macareo presso Canace, vv.1709-1714; e si tratta, nonostante le accuse di inverosimiglianza mosse daü'anonimoautore del Giudizio d'una tragedia di Canace e Macareo7, di versi che avranno unalarga fortuna trágica e tragicómica fra Cinque e Seicento e saranno imitati, fra gli altri,da Ludovico Dolce, da Antonio Decio, da Muzio Manfredi, da Prospero Bonarelli8:

Dolore, onde io son pieno,Pace non vo' da te, ma solamenteTanto di tregua, quantoMi bastí per udireLa brevissima istoriaDel mió nuovo mattire.

E poco dopo, all'interno della medesima scena, di là ancora una volta dalla memoriapetrarchesca della canzone CCCXXXI dei Rerum Vulgarium Fragmenta (vv. 43-44), leparole di Aminta: «Bello e dolce morir fu certo allora / che uccidere io mi volsi» (vv.1430-1431), ricalcano manifestamente quelle di Macareo (Canace, vv. 1862-1865):«Bello e dolce moriré / E' ora il mió, dovendo esser cagione / Di far viver mió padre / In

7 Giudizio d'una tragedia di Canace e Macareo, con molte utili considerazioni circa l'arte della tragedia ed'altri poemi, in Speroni, Canace e scritti in sua difesa..., pp. 151-152.

8 Cfr. per esempio Dolce, La Hecuba, ce. lOr e 31v; Decio, Acripanda, c. 113r; Manfredi, La Semiramis,c. 42 v; Bonarelli, Filli di Sciro, p. 343.

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continuo martire»9. Ed ancora più avanti (secondo il racconto del Nuncio), quandoAminta disperato si appresta a darsi la morte, il suo volto sembra illuminarsi di unindefinibile sonriso: «ed egli un cotal poco / parve ridesse, e serenossi in viso; / ondequell'atto più rassicurommi» (vv. 1693-1695); ed è lo stesso sorriso che balena sul voltodi Macareo prima che egli abbandoni, come abbiamo appena ricordato, la scena e lavita (vv. 1869-1874):

[...] ma un raggio d'allegrezzaChe a guisa di baleríoFra quella folta nebbia di doloreGli riluce nel viso(Allegrezza pero piena d'orrore)E' manifestó indizioDi futura tempesta.

Ma la corrispondenza puô spingersi, procedendo a ritroso, fino alia confessione delproprio «fallo amoroso» da parte di Macareo in dialogo col Famiglio, punto nodaledell'intera tragedia, se è vero che proprio sulla distinzione «fra coloro che peccano perforza d'amor soverchio e tirati da grandissimo affetto, e quelli che per presonzione etemerità e per dispreggio délie leggi commettino simili eccessi» (per citare la prima delletre Lezioni sopra i personaggi)t0, si fonda, nella fattispecie, la controversainterpretazione speroniana della catarsi aristotélica; si vedano i vv. 616-619:

Sa ben che '1 mió peccato,Non malizia mortale,Ma fu celeste forzaChe ogni riostra virtù vince et ammorza.

Ed Aminta: «cosa io non feci mai che le spiacesse / fuor che l'amarla: e questo a me fuforza, / forza di sua bellezza e non mia colpa» (w. 1086-1088).

In più di un'occasione la reminiscenza testuale comporta, del pari, effetti scenici,come per esempio nelle parole del Nuncio con cui si apre la seconda scena del quartoatto (vv. 1634-1637):

lo ho si pieno il petto di pietatee sipieno d'orror, che non rimironé odo alcuna cosa, ond'io mi volga,la quai non mi spaventi e non m'affanni.

Valga il confronto con quelle di Macareo, ugualmente in apertura di scena, pressoCanace, vv. 547-552:

9 Più marcata la reminiscenza petrarchesca nella ripresa di Torrismondo, 3217-18: «Bello e dolce moriréera allor quando / lo fatto non l'avea dolente e tristo» (sonó parole pronuncíate da Rosmonda nell'epilogodella tragedia). E cfr. anche le parole di Mirtillo, in Guarini, // Pastor Fido, p. 242 (atto V, scena III): «Oh,che dolce morir, quando sol meco / il mió mortal moría, / né bramava morir l'anima mia».

1 0 Speroni, Canace e scritti in sua difesa..., p. 218.

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Oggi non odo o vedo alcuna cosaChe lieta sia e mentre in qualche modoCerco di consolareQuessti sensi dolenti,Sempre nuova parola o nuova vistaNuovamente m'attrista.

Un altro episodio della tragedia speroniana che deve aver lasciato un'impronta bensalda e resistente nella cangiante immaginazione tassiana è il diverbio di stamposenecano che oppone la crudeltà di Eolo alla pietà del suo Consigliero (Canace, vv.1354-1366):

EOLO Pianti, sospiri e dimandar mercedeForan le lor ragioni.

CONSIGLIERO Lecito è lor, quando non hanno altre armi,Usar pianti e sospiriIn lor difesa e dimandar mercede.

EOLO Non voglio eser traffittoDa cotali armi, úsateA ferir la giustizia.

CONSIGLIERO Se l'arme di pietadeTémete, or vi pensateQuanto sian pauroseA' miseri soggettiQuelle di crudeltade:

se ne rimane traccia vistosa —non senza il furto dichiaratamente esibito di un interoendecasillabo— nelle parole di Dafne nella prima scena del primo atto delPAminta (vv.159-161): «Fui vinta, io te '1 confesso, e furon l'armi / del vincitore umiltà, sofferenza, /pianti, sospiri, e dimandar mercede» (ma il furto potrebbe essere stato propiziato dallamemoria rítmica della canzone petrarchesca délie metamorfosi, Rerum VulgariumFragmenta, XXIII, vv. 36-37: «ver' cui poco già mai mi valse o vale / ingegno, o forza,o dimandar perdono»); sicché con le «arme di pietade» si possono, poco dopo,identificare quelle della bellezza, se ascoltiamo ancora le parole di Dafne, e siriferiscono a Silvia, nella seconda scena del secondo atto (vv. 828-830): «fanciulla tantosciocca quanto bella, / che non s'avveggia ancor come sian calde / Parmi di sua bellezzae come acute» (ma Paccostamento suonava già ambiguo nella scena precedente, nelsoliloquio del Sátiro che si appresta a «correré adosso» alia protagonista, vv. 816-817:«Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo, / di pietà, di bellezza»).

Altri rinvii al «trágico successo» di Canace e Macareo riguardano, per esempio, lacontrapposizione fra «crudeltade» e «tarda pietade», non meno centrale per ilpersonaggio di Silvia che per quello di Eolo. Nelle parole che il Ministro rivolge aMacareo verso l'epilogo della tragedia i due termini dell'antitesi meritano la mise enrelief della rima, per di più ricca (Canace, vv. 1839-1842):

Bastivi di saper che vostro padre,Pien di tarda pietade,

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Biasimando sé stessoPiange sua crudeltade

(e si noti che «crudeltade» e «pietade» rimano ancora in Canace, vv. 118-120, 1362-1366 e 1666-1668, mentre si adatta anche meglio al carattere délia protagonista lavariante «feritate», pure in rima sempre ricca con «pietate» in Aminta, vv. 292-296 e1855-1857)11. E cfr. Aminta, vv. 394-399 (dove il sintagma «tarda pietate» è rimarcatodal ritmo dattilico dell'endecasillabo):

[...] e forse (ahi sperotroppo alte cose) un giorno esser potrebbech'ella, commossa da tarda pietate,piangesse morto chi già vivo uccise.

Ed è motivo su cui ritorna lo stesso Eolo, presso Canace, vv. 1953-1958:

[...] in manieraChe la presente e la futura etade,Scordatasi del tuttoDe-llor falli amorosi,Biasmerà solamenteLa mia crudelitade,

fornendo in tal modo un modello per il ravvedimento di Silvia, nella prima scena delquarto atto dell'Aminta, vv. 1591-1595:

Ohimè, che tu m'accori, e quel cordoglioch'io sentó del suo caso inacerbiscecon l'acerba memoriade la mia crudeltatech'io chiamava onestate.

Ma la finale professione di amore e di morte da parte di Silvia conserva forse lamemoria di un'analoga dichiarazione di Macareo, ugualmente costruita, all'interno diuna sequenza di quasi tutti settenari, sulla contrapposizione dei tempi verbali, trapassato remoto e presente (o futuro), l'uno contrassegnato dalla negazione («nonvolsi», «non potei»), l'altro dall'affermazione («sarô», «debbo»). Valga il confronto diAminta, vv. 1771-1776:

Dovea certo, io doveaesser compagna al mondode l'infelice Aminta.Poscia ch'allor non volsi,saró per opra tua

11 Fra gli esempi di pentimento tardivo si ricordi anche Erode, presso Petrarca, Triumphus Cupidinis III,70-72: «Vedi com'arde in prima, e poi si rode, / tardi pentito di sua feritate, / Marianne chiamando che nonl'ode» (e si noti l'accento di settima del v. 71).

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sua compagna a l'inferno;

e Canace vv. 1642-1648:

Nacqui con lei, che solo,Senza sua compagnia, per aventuraNon potea la mia StellaDarmi alla vita mia.Vissi seco e per lei:Se seco non potei,Debbo morir per lei.

La memoria tassiana puô altrimenti appuntarsi su locuzioni verbali, sintagmi oschemi ritmico-sintattici di particolare significato o rilevanza espressiva. Si confronti,per esempio, Canace, vv. 1086-1089: «Certo null'altra cosa / Più t'agguzza l'ingegno /A' sùbiti consigli / Ne i presentí perigli», con l'inciso, a cavallo di verso, di Aminta, vv.477-478: «(guarda quanto Amore / aguzza Pintelletto)»; o magari Canace, vv. 1351-1352: «Certo se témete / Di vederli et udirli», con Aminta, vv. 525-526: «e più nonvoile / né vedermi né udirmi». Saranno forse la corrispondenza simmetrica e l'armonicoequilibrio del chiasmo o la dirompente energia della prolessi, ad inizio di verso, delcomplemento oggetto del pronome di prima persona, ad elevare il tasso di memorabilitàdi una formula cosí caratteristica della scrittura artificiosa e compUcata della Canace edella risoluta inclinazione dello Speroni per le contrapposizioni, le antitesi, le antinomie:«Piaccia a lui il comandare: / Me l'ubidire aggrada» (vv. 351-352). Ed il TassodeirAminta mostra infatti di consérvame chiara e distinta memoria in più luoghi ed invari contesti, come dimostra il riscontro dei vv. 100-102: «Altri segua i diletti del'amore, / se pur v'è ne l'amor alcun diletto: / me questa vita giova»; vv. 192-193:«Faccia Aminta di sé e de' suoi amori / quel ch'a lui piace: a me nulla ne cale»; vv.1987-1988 «bea pur gli altri in tal guisa: / me la mia ninfa accoglia» (nei primi dueesempi è Silvia che parla, il terzo appartiene aH'invocazione ad Amore del Coro finale).Ancora, l'eco delle parole di Canace (vv. 774-775): «Nasci, figlio infelice / Di piùinfelice madre», sembra riflettersi in un luogo della seconda scena del quarto atto dellafavola pastorale, là dove Silvia si rivolge alia «fascia di zendado» che non aveva potutosostenere il peso del corpo di Aminta quando egli si era precipitato dal dirupo: «Cintoinfelice, cinto / di signor più infelice» (vv. 1765-1766).

Si consideri, altrimenti, questa battuta di Eolo, invitato dal suo Consigliero, neldialogo d'apertura della tragedia speroniana, a placare l'ira di Giunone [cfr. Canace, vv.200-202): «Forse placaré lei, perché io meno ami / L'uno e l'altro mió figlio? / O l'unl'altro non ami?». Dell'interrogazione dubitativa sembrano conservare memoria rítmicale parole di Dafne neWAminta, vv. 173-175: «Forse ch'ei non è bello? o ch'ei nont'ama? / o ch'altri luí non ama? o ch'ei si cambia / per l'amor d'altri?». In questacircostanza l'ovvia considerazione che, quando si tratti di testi destinad aliarappresentazione, anche fattori di ordine teatrale e scenico possono giocare qualcheruólo nella memorizzazione e nella ripresa di segmenti testuali, puó essere fácilmenteribadita dal riscontro, nelle due sequenze cítate, di una perfetta corrispondenzastrutturale, dal momento che la citazione tassiana appartiene al dialogo fra Dafne e

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Silvia con cui parimenti si âpre la favola pastorale. I cui debiti nei confronti dellatragedia, per rimanere ancora per un momento nelPambito delle scelte formali estilistiche, riguardano, infine, un altro aspetto non secondario della sperimentazionedella Canace e cioè Paltissima frequenza di concetti oppositivi e di procedimenticontrastivi (come anche di bisticci, di giochi verbali, di artifici paronomastici, talora dimanifesta ascendenza dantesca) che ingombrano la trama dialogica della Canace (èproprio su tali «giocolini», «adombramenti», «girandole» verbali che si appunta, fral'altro, la severa censura dell'autore del Giudizio d'una tragedia di Canace e Macareo).Si pensi a formule del tipo: «Del molto che io soffersi / Poco potei sentiré» (vv. 18-19);«Me liberal della lor libertade» (v. 244); «E me dopo me sei» (v. 294); «e se non fosse /Che io son caro a colei che mi è si cara» (vv. 646-647); «Onde sol per piacerti / Contra'1 proprio piacere uccider volse / Quella santa onestade» (vv. 704-706); «Odio a mortela vita» (v. 866); «Viver dopo lor morte / Non debbo se io volessi, / Né vorrei se iopotessi» (vv. 1535-1537); «Lei da me la sua morte, / Me da lei la mia vita /Discompagna e dilunga» (vv. 1649-1651); fino a quell'invocazione al «Letto dei mieidiletti» (v. 1780) che non sfuggirà all'imitazione del Marino12. Ebbene, anche a modellisiffatti accade eventualmente che si applichi, sebbene in misura sensibilmente piùridotta, l'esercizio emulatorio del Tasso: cfr., per esempio, Aminta, vv. 187-188: «al finprocuri / ch'a lui piaccia colei cui tanto ei piace»; v. 203: «mentr'ei volse da me quelch'io voleva»; v. 397: «piangesse morto chi già vivo uccise»; 1559-61: «e '1 ferro sariagiunto a dentro, / e passato quel cor che tu passasti / più duramente»; vv. 1628-1629:«Caro prezzo a chi '1 diede; a chi i riceve / prezzo inutile e infame», ecc. Anchel'artificio di variazione e contrapposizione dell'aggettivo possessivo di Canace, vv. 874-875: «Viva al tuo Macareo / La via tua, tua non già, ma sua», sarà ripreso in Aminta,vv. 195-196: «ma esser non puô mio, s'io lui non voglio; / né, s'anco egli mio fosse, iosarei sua»; e vv. 1629-1631: «Oh potess'io / con l'amor mio comprar la vita sua; / anzipur con la mia la vita sua». Il catalogo puô anche comprendere quest' esempio dianadiplosi, che preleviamo dal Prologo della Canace recitato dall'Ombra: «Qua nacquie in questa cesta / (Questa cesta medesma / Oggi vedrete in man della nutrice / Di miamadre meschina)» (vv. 75-78), esempio riprodotto dal Tasso in tutt'altro contesto, nellaprima scena del terzo atto àt\YAminta, là dove Tirsi racconta come l'innamoratoprotagonista sorprendesse Silvia legata dal Sátiro ad un albero, «ignuda corne nacque»:«ed a legarla fuñe era il suo crine: / il suo crine medesmo in mille nodi / a la pianta eraavvolto» (vv. 1235-1237).

Per concludere, echi vistosi della Canace si ritrovano, infine, nell'Amore fuggitivo, ilcosiddetto epilogo dell'Aminta (recitato da Venere e ispirato, corne si sa, all'omonimoidillio di Mosco), a cominciare dal riferimento ai «mansueti mortali» (v. 22), in mezzoai quali la dea dell'amore annuncia di voler discendere e ai quali del pari si rivolge, nelprologo della tragedia, l'Ombra del «misero innocente» figliuolo di Canace e Macareo;cfr. i vv. 115-116: Che posso io più, se non volgermi a voi, / Mansueti mortali». Edancora, Venere, presso il Tasso, sa bene di non poter trovare Amore in mezzo ailedonne non meno leggiadre che sdegnose: «non è alcuna di voi che nel suo petto / dar li

12 In una canzonetta di lontananza della sezione Amori della terza parte della Lira (E' partito il mio bene,61). Cfr. Marino, Amori, p. 87.

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voglia ricetto / ove sol feritate e sdegno siede» (vv. 34-36); ma il suo appello non trovaneppure ascolto da parte degli «uomini cortesi»: «Ma non risponde alcun: ciascun sitace» (v. 58), «Ma voi non rispondete» (v. 137). Anche in questo caso mi sembra moltoprobabile che il Tasso si sia ricordato di un episodio fra i più patetici della Canace e cheabbiamo già avuto l'occasione di richiamare, là dove Macareo chiede al Coro dei Ventinotizie della gemella amata, ottenendone per risposta un «silenzio dolente», che egliattribuisce a un sentimento di compassione nei suoi riguardn3; mentre piùrealísticamente commenta il Famiglio (vv. 1619-1621): «Non è fra tutti loro un sicórtese / Che sola una parola / Vi renda per risposta» (e si confronti, d'altro canto, nellaseconda scena del primo atto della favola pastorale, il silenzio che Silvia oppone adAminta dopo la sua primitiva dichiarazione d'amore, vv. 524-525: «un silenzio turbatoe pien di dure / minaccie»). Ma è ancora più notevole, nelle parole della madre, laraffigurazione del pargoletto Amore (vv. 83-105):

Fácilmente s'adira,fácilmente si placa; e nel suo visovedi quasi in un puntoe le lagrime e '1 riso[...];gli occhi infiammati e pienid'un ingannevol risovolge sovente in biechi; e pur sott'occhioquasi di furto mira,né mai con dritto guardo i lumi gira.Con lingua, che dal lattepar che si discompagni,dolcemente favella, ed i suoi dettiforma tronchi e imperfetti;

ritratto tanto più sconcertante se, non senza qualche sorpresa, vi si possono ritrovare,fin nella lettera, gli stessi connotati e i contrastanti colorí deH'allegrezza esagerata e «ford'ogni ragione» (v. 306) con cui Eolo si presenta sulla scena all'inizio della tragedia,mostrando di non temeré l'implacato desiderio di vendetta di Venere. Per il Consiglieroche li descrive in un soliloquio e non ignora che il cuore della madre di Enea «moltefíate / D'ira più che d'amor fu visto ardente» (vv. 192-193), essi sonó infatti «certissimisegni / Del conceputo suo nuovo furore» (vv. 347-348), forieri di lutti imminenti; cfr.Canace, vv. 333-432:

Tingersi in un momentoDi contrarii colori;Gli occhi infiammati e pregniDi lagrimoso risoVolger talor in biechi;Mostrar nello spirareChe '1 diletto Faffanni;

13 La scena sarà lodata, fra gli altri, da Fioretti, Proginnasmi poetici, p. 130.

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Rauca sonar la voce e le paroleCon sùbiti sospiriInterromper nel mezzo.

Ma anche Torrismondo, come la stessa Alvida confida alla Nutrice, dopo averconsumato «come sposo non già, ma come amante / [...] le furtive occulte nozze» (vv.107-108) con la principessa di Norvegia, «tinge di pallore il volto, / [...] o '1 china aterra / Turbato e fosco; e se talor mi parla, / Parla in voci tremanti, e co' sospiri / Leparole interrompe» (vv. 169-75). Citazione, quest'ultima, che solleciterebbe adestendere, magari in un'altra occasione, Panalisi intertestuale alla tragedia e forseall'intera opera poética di Torquato Tasso.

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Resumen. Ya desde fines del Quinientos es cosa admitida que la Aminta —el drama pastoril de TorquatoTasso escrito y representado en 1573 y publicado en 1580— procede del modelo formal de la Canace,tragedia de Sperone Speroni compuesta en 1541 y publicada en 1546. Además de los aspectos métricos, seexaminan las deudas textuales más notables —técnica del diálogo, estructura escénica, procedimientosestilísticos— de la Aminta (y del Amore fuggitivo) del Tasso con el experimento trágico de Speroni, objeto deuna viva polémica durante toda la segunda mitad del siglo xvi.

Sunto. È sentenza già passata in giudicato alia fine del Cinquecento che VAminta —la favola pastorale diTorquato Tasso scritta e rappresentata nel 1573 e pubblicata nel 1580— proceda dal modello fórmale dellaCanace, la tragedia di Sperone Speroni composta nel 1541 e pubblicada nel 1546. Oltre che sugli aspettimetrici, questi appunti ragguagliano sui non irrilevanti debiti testuali contratti dal Tasso dell!'Aminta (edell'Amore fuggitivo) nei confronti dell'incondito esperimento speroniano che, trasformando radicalmente ilparadigma trágico codificato dal Trissino, fu oggetto di una vivace polémica per tutta la seconda meta delsecólo xvi . Tali debiti interressano, in particolare, la técnica dialogica, la struttura scenica e alcuniprocedimenti stilistici.

Summary. Already from the end of the sixteenth century, it was taken as given that the Aminta —TorquatoTasso's pastoral drama, written and performed in 1573 and published in 1580— carne from the formalmodel of the Canace, Sperone Speroni's tragedy written in 1541 and published in 1546. Apart from metricalaspects, Tasso's Aminta's (and the Amore fuggitivo) most important textual borrowings are studied (such asdialogue techniques, scenic structure, and stylistic procédures) and compared to Speroni's less well wroughtexperiment, which became the object of a lively polemic during the second half of the sixteenth century.

Palabras clave. Aminta. Canace. Italia. SPERONI, Sperone. TASSO, Torquato. Tragedia.