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Laura Valle – Lezioni di Diritto dell’ambiente – a.a. 2007/08 07/01/2008 1 Diritto dell’ambiente Diritto: insieme di regole deputate a risolvere in maniera pacifica i conflitti tra gli uomini. Nella nostra materia regole che hanno la funzione e l’obiettivo della tutela dell’ambiente nell’interesse della collettività. Ambiente: la protezione dell’ambiente comprende la tutela della salute umana e delle risorse naturali come paesaggio, flora, fauna, suolo, acqua, aria, clima. Disciplina delle biotecnologie. Si tratta di norme che hanno per finalità la tutela dell’ambiente. Quindi misure a tutela dall’inquinamento che può danneggiare la salute umana, la flora, la fauna, la salubrità dell’aria e delle acque. Trattamento dei rifiuti e dei siti inquinati. Regolazione di quelle opere che comportano un impatto sull’ambiente Biotecnologie: ogni tecnica che utilizza gli organismi viventi o loro parti per fare o modificare prodotti, per migliorare piante o animali o per sviluppare microrganismi destinati ad usi specifici oppure, meglio, applicazione di principi scientifici ed ingegneristici al trattamento di materiale biologico allo scopo di fornire beni o servizi. I campi di applicazione delle biotecnologie ambientali sono: la salvaguardia delle risorse naturali, la prevenzione dei danni ambientali, il trattamenti dei rifiuti solidi e liquidi e delle emissioni gassose ed il risanamento delle aree contaminate. Un settore specifico delle biotecnologie ambientali è costituito dalle applicazioni degli ogm e degli mgm per l’agricoltura ai fini di prevenire contaminazioni ambientali e di rendere i vegetali coltivati più resistenti ai fattori ambientali esterni. Tutela contro i danni all’ambiente. Nel corso del tempo si è passati da misure di correzione e riparazione a misure di prevenzione e di precauzione. 3 ordini di fonti dalle quali provengono le norme a tutela dell’ambiente: 1. fonti internazionali 2. fonti comunitarie 3. fonti nazionali Politiche di tutela perseguite attraverso le norme di diritto: o attraverso precetti la cui violazione comporta una sanzione, modello obbligo-sanzione o attraverso strumenti economici e finanziari: tassazione per chi inquina, sussidi e incentivi per chi adotta procedure che riducono le conseguenze inquinanti o politiche di sensibilizzazione dei cittadini, attività informative e di accesso all’informazione ambientale Principio generale: SVILUPPO SOSTENIBILE SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO Le diverse fonti di cui si è detto si coordinano tra loro nel modo seguente.

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Laura Valle – Lezioni di Diritto dell’ambiente – a.a. 2007/08 07/01/2008 1

Diritto dell’ambiente Diritto: insieme di regole deputate a risolvere in maniera pacifica i conflitti tra gli uomini. Nella nostra materia regole che hanno la funzione e l’obiettivo della tutela dell’ambiente nell’interesse della collettività. Ambiente: la protezione dell’ambiente comprende la tutela della salute umana e delle risorse naturali come paesaggio, flora, fauna, suolo, acqua, aria, clima. Disciplina delle biotecnologie. Si tratta di norme che hanno per finalità la tutela dell’ambiente. Quindi misure a tutela dall’inquinamento che può danneggiare la salute umana, la flora, la fauna, la salubrità dell’aria e delle acque. Trattamento dei rifiuti e dei siti inquinati. Regolazione di quelle opere che comportano un impatto sull’ambiente Biotecnologie: ogni tecnica che utilizza gli organismi viventi o loro parti per fare o modificare prodotti, per migliorare piante o animali o per sviluppare microrganismi destinati ad usi specifici oppure, meglio, applicazione di principi scientifici ed ingegneristici al trattamento di materiale biologico allo scopo di fornire beni o servizi. I campi di applicazione delle biotecnologie ambientali sono: la salvaguardia delle risorse naturali, la prevenzione dei danni ambientali, il trattamenti dei rifiuti solidi e liquidi e delle emissioni gassose ed il risanamento delle aree contaminate. Un settore specifico delle biotecnologie ambientali è costituito dalle applicazioni degli ogm e degli mgm per l’agricoltura ai fini di prevenire contaminazioni ambientali e di rendere i vegetali coltivati più resistenti ai fattori ambientali esterni. Tutela contro i danni all’ambiente. Nel corso del tempo si è passati da misure di correzione e riparazione a misure di prevenzione e di precauzione. 3 ordini di fonti dalle quali provengono le norme a tutela dell’ambiente:

1. fonti internazionali 2. fonti comunitarie 3. fonti nazionali

Politiche di tutela perseguite attraverso le norme di diritto:

o attraverso precetti la cui violazione comporta una sanzione, modello obbligo-sanzione o attraverso strumenti economici e finanziari: tassazione per chi inquina, sussidi e incentivi

per chi adotta procedure che riducono le conseguenze inquinanti o politiche di sensibilizzazione dei cittadini, attività informative e di accesso all’informazione

ambientale Principio generale: SVILUPPO SOSTENIBILE SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO Le diverse fonti di cui si è detto si coordinano tra loro nel modo seguente.

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Il diritto attuale è fondamentalmente organizzato per sistemi giuridici che vigono nei singoli ordinamenti nazionali, anche se più di un’istanza spinge al superamento dei confini nazionali, soprattutto, per quanto riguarda il diritto dell’ambiente, per quei problemi, come quello del governo del clima, che sono per loro natura globali e non si prestano ad essere regolati da norme nazionali.

1. Trattato Ce e Regolamenti comunitari 2. Costituzione e Leggi costituzionali 3. Leggi ordinarie e Decreti legislativi 3 bis. Leggi regionali 4. Regolamenti 5. Usi o consuetudini

Entrata in vigore della legge. Perdita di efficacia della legge. Applicazione delle norme giuridiche. Interpretazione della legge. Funzione del giudice. Paesi di civil law e Paesi di common law. Concetto giuridico di Ambiente A seguito dell’istituzione del Ministero dell’ambiente, avvenuta con l. n. 346 del 1986, la Corte costituzionale è intervenuta a delineare il concetto di ambiente. Corte cost., n. 210/87, ambiente come valore costituzionale, diritto fondamentale della persona e interesse fondamentale della collettività. Corte cost., n. 641/87, ambiente come bene immateriale unitario, con varie componenti suscettibili di tutela anche separatamente. Titolare del diritto all’ambiente è lo Stato, in nome della collettività. DIRITTO DELL’AMBIENTE DI FONTE INTERNAZIONALE (vedere materiali: articolo di F. Antich, Origine ed evoluzione del diritto internazionale ambientale. Verso una governance globale dell’ambiente. Attenzione! L’articolo è precedente all’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, per cui bisogna correggerlo sul punto nel senso che il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005). Norme consuetudinarie: numero limitato in quanto il settore ambientale del diritto internazionale è relativamente recente. Norme pattizie: ossia derivanti dai Trattati internazionali Numerose convenzioni internazionali (sp. settoriali; es. Convenzione di Vienna sulla protezione della fascia di ozono, 1985; Convenzione di Rio sulla biodiversità, 1992; Convenzione di Nairobi sulla diversità biologica, 1992; ma si studiano poi). Le convenzioni di materia ambientale però difficilmente (tranne forse Kyoto) comminano divieti precisi aventi ad oggetto determinate attività inquinanti. In generale le Convenzioni si limitano a stabilire obblighi di cooperazione (in funzione preventiva), di informazione, di consultazione, ispirandosi ai criteri dello sviluppo sostenibile, della responsabilità intergenerazionale e dell’approccio precauzionale (v. infra).

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Ci si è chiesti se il diritto internazionale consuetudinario imponga l’obbligo di non compiere atti nocivi in modo di evitare di recare danno al territorio di altri Stati. Ciò che configgerebbe con il principio di sovranità, secondo il quale la libertà di sfruttamento del proprio territorio costituisce uno dei più importanti contenuti della sovranità territoriale. Es. utilizzazione fiumi internazionali che modificano l’afflusso delle acque nello Stato contiguo, disastro di Chernobyl del 1986. No, eccetto forse per l’utilizzazione delle acque in modo tale da nuocere agli altri Stati utilizzatori (ora Convenzione internazionale sul diritto di utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali, 1997, ma non ancora in vigore), ma Dichiarazioni di Stoccolma (art. 21) e di Rio (art.2). Lugaresi però dice: si con riguardo al divieto di inquinamento transfrontaliero e al principio di cooperazione tra Stati. Si può pensare ad una consolidazione dei principi delle dette Dichiarazioni. Per quanto riguarda questa fonte di provenienza di regole di rilievo per il diritto dell’ambiente sono importanti una serie di Dichiarazioni di Principi che sono frutto dell’attività di Conferenze indette dall’Onu. Definizione e compiti dell’Onu, istituito nel 1945 per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Suoi organi. Conferenza di Stoccolma 1972 (leggere il testo della Dichiarazione) L’attenzione principale della Conferenza di Stoccolma si concentrò sulla cooperazione internazionale in materia di ambiente, mentre 20 anni più tardi alla Conferenza di Rio sulla questione più ampia della relazione tra ambiente e sviluppo a livello nazionale e internazionale. Dopo lo sviluppo scientifico e tecnologico del dopoguerra, l’ambiente fu una vittima degli effetti collaterali negativi di questi sviluppi. La Svezia propose nel 1968 di riunire una conferenza Onu, che si tenne nel 1972, al fine di aumentare la consapevolezza e di identificare i problemi ambientali che richiedevano una cooperazione internazionale. La Conferenza ebbe luogo nel mezzo della guerra fredda ma vi parteciparono Russia e Cina. Come esito della Conferenza furono istituiti ministeri e agenzie dell’ambiente in più di 100 paesi, elemento chiave per portare avanti i risultati della Conferenza. La quale segnò anche l’inizio dell’incremento esplosivo di organizzazioni intergovernative e non-governative dedicate alla tutela dell’ambiente. In vent’anni si stima che furono formate circa 100.000 organizzazioni. Fu istituito l’UNEP (United Nations Environment Programme, Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) (www.unep.org), a Nairobi, come strumento per promuovere i risultati della Conferenza; l’Unep assunse l’assetto di organo ausiliario dell’assemblea generale delle Nazioni Unite avente funzione di studio, programmazione, promozione, razionalizzazione e assistenza tecnica agli studi nell’ambito del diritto internazionale dell’ambiente. La Dichiarazione e il Piano d’azione, con le raccomandazioni per l’azione internazionale adottati a Stoccolma, furono strumentali al successivo rapido sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente. Il Principio 21 della Dichiarazione ha un’importanza particolare; esso contiene la previsione secondo la quale gli Stati hanno la responsabilità di assicurare che le attività all’interno della loro giurisdizione o controllo non causino danni all’ambiente oltre i loro confini. Ad ogni modo, nel corso degli anni questa evoluzione in senso positivo divenne una vittima del suo stesso successo in ragione della crescente frammentazione e della mancanza di coerenza nel sistema di governance internazionale dell’ambiente. Il Summit di Johannesburg sarà considerato un passo

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verso il riordino della situazione, anche attraverso un rafforzamento dell’UNEP. Quest’ultimo ha conseguito molti successi sin dagli anni ’70 ma, in parte a causa della relativa debolezza dell’area dedicata all’ambiente nelle amministrazioni nazionali, il Programma non ha potuto raggiungere il reale potenziale previsto al tempo di Stoccolma. Rapporto Brundtland 1987 Al decimo anniversario della Conferenza di Stoccolma la questione era quanto terreno di quello perso poteva essere riguadagnato. L’assemblea generale dell’Onu stabilì una speciale commissione indipendente sotto la presidenza del primo ministro norvegese Brundtland. Quando furono pubblicate le conclusioni della Commissione Brundtland nel 1987 il clima politico era più recettivo. La Commissione sviluppò concettualmente il rapporto tra ambiente e sviluppo, rispetto al quale le divisioni tra nord e sud del mondo non erano diminuite da Stoccolma. Nel corso degli anni ’80 si era fatto strada il consenso sulla circostanza che il degrado dell’ambiente mina le basi dello sviluppo economico a meno che non si facciano dei passi radicali. Allo stesso tempo i paesi in via di sviluppo abbracciarono la prospettiva secondo la quale se fosse stata data priorità alla povertà e al sottosviluppo, ne sarebbe sortito un ambiente equilibrato e sostenibile. La Commissione nel suo rapporto, denominato Our Common Future, enfatizzò l’importanza della crescita economica e promosse il concetto di “sviluppo sostenibile”, definito come una crescita che soddisfa i bisogni di oggi senza pregiudicare quelli delle generazioni future. Non fu possibile adottare il nuovo concetto di sviluppo sostenibile quale titolo della Conferenza di Rio che ebbe quello più generico di “ambiente e sviluppo”. Conferenza di Rio de Janeiro 1992 (leggere il testo della Dichiarazione) Promozione dello sviluppo sostenibile. Furono adottati tre documenti:

1. Dichiarazione di Rio 2. Agenda 21: prospetto dettagliato delle azioni da intraprendere per il 21° secolo che copre

anche le azioni a livello nazionale, sottolineando la responsabilità dei singoli Stati. 3. Statement on Forest Principles

Furono aperte alla firma:

1. Convenzione sui mutamenti climatici (ratificata dall’Italia con l. n. 65 del 1994), organo istituito: Conferenza delle parti

2. Convenzione sulla biodiversità (sulla tutela delle risorse biologiche; es. disciplina di caccia e pesca)

3. (seguite a breve dalla) Convenzione sulla desertificazione Fu creato uno speciale sistema finanziario il Global Environment Facility (GEF) al fine di fronteggiare le problematiche globali dell’ambiente. Fu creata la Commissione sullo sviluppo sostenibile (CSD – Commission on Sustainable Development) nell’ambito del Consiglio economico e sociale dell’Onu. Problema: i contenuti delle Dichirazioni di Stoccolma e di Rio non hanno forza vincolante, soft law.

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Millenium Development Goals, 2000 Conferenza di Johannesburg, 2002 Dichiarazione di Johannesburg

o Promozione e rafforzamento dello sviluppo sostenibile o Sradicamento della povertà, cambiamento modelli di consumo o e di produzione o Protezione e gestione delle risorse naturali o Nuova dimensione dei problemi: globalizzazione o Promozione del dialogo e della cooperazione

UNIONE EUROPEA Dal 1973: 1° Programma d’azione Atto unico europeo, 1987: nuovo titolo (artt. 174-176) dedicato alla tutela dell’ambiente. Con il Trattato di Amsterdam, 1997, la tutela dell’ambiente ha assunto una valenza trasversale nell’ambito delle politiche comunitarie. Art. 6: tutte le politiche devono tenere conto delle esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente specialmente nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.

I Cambiamenti Climatici Conferenza di Kyoto, Protocollo di Kyoto 1997 (in base alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, riunione del 1997) Atto esecutivo che contiene obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sulla attuazione operativa di alcuni degli impegni della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (United Nation Framework Convention on Climate Change, aperta alla firma a Rio de Janeiro) firmato nel dicembre del 1997 a conclusione della terza sessione plenaria della Conferenza delle parti (COP3). Il Protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli a economia in transizione (i paesi dell’Est europeo) a ridurre complessivamente del 5,2 per cento le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e, più precisamente, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Il paniere di gas serra considerato nel Protocollo include sei gas: l’anidride carbonica, il metano, il protossido di azoto, i fluorocarburi idrati, i perfluorocarburi, l’esafloruro di zolfo. L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono stratosferico e che per altri aspetti rientrano in un altro protocollo, il Protocollo di Montreal) è il 1995. La riduzione complessiva del 5,2 per cento non è uguale per tutti i paesi. Per i paesi membri dell’Unione europea nel loro insieme la riduzione dovrà essere pari all’8 per cento, per gli USA al 7 per cento, per il Giappone al 6 per cento. Il Protocollo di Kyoto entrerà in vigore dopo 90 giorni dalla ratifica da parte di non meno di 55 paesi parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, compresi i paesi dell’Annesso I (cioè sostanzialmente i paesi industrializzati) che siano responsabili nel complesso di almeno il 55 per cento delle emissioni complessive di CO2 relative al 1990. Il Protocollo incoraggia i governi a collaborare tra loro, a migliorare la loro efficienza nel settore dell’energia, a riformare i settori dell’energia e dei trasporti, a promuovere forme di energia

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rinnovabile, eliminare inappropriate misure fiscali e imperfezioni del mercato, limitare le emissioni di metano provenienti dalla gestione dei rifiuti e dal sistema energetico, e a proteggere le foreste e altre “fonti” di carbone. Il processo intergovernativo interessato è monitorato dalla Conferenza delle parti (COP) e dai meeting delle parti (MOP) per il Protocollo. Le parti intraprenderanno azioni appropriate per rivedere gli accordi in base delle migliori informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche. Si individuano tre diverse categorie di Paesi:

1. Paesi in via di sviluppo, che non sono sottoposti ad obblighi di riduzione di gas ad effetto serra ma esclusivamente a obblighi di cooperazione e scambi di informazioni.

2. Paesi in transizione verso un’economica di mercato, che sono tenuti ad obblighi ridotti quanto alle emissioni di gas ad effetto serra.

3. Paesi economicamente avanzati, per i quali il Protocollo fissa mediamente al 5% la percentuale di riduzione delle emissioni di gas per il periodo 2008-2012.

Meccanismi flessibili introdotti dal Protocollo:

• Joint Implementation (implementazione congiunta): è una misura che prevede la collaborazione tra Paesi sviluppati e che consente ad un Paese dell’annesso I di ottenere crediti di emissione grazie a progetti di riduzione delle emissioni oppure di assorbimento delle emissioni di gas ad effetto serra sviluppati in un altro Paese dell’annesso I.

• Clean Development Mechanism (meccanismo di sviluppo pulito): strumento analogo al precedente dal quale si differenzia perché interessa Paesi appartenenti all’annesso I e Paesi che non vi appartengono.

• Emission Trading: misura ammessa tra I Paesi appartenenti all’annesso I e consiste nella creazione di un mercato dei permessi di emissione.

I meccanismi di flessibilità sono considerati supplementari rispetto alle azioni domestiche. Le resistenze della Russia e la persistente opposizione degli Stati Uniti alla ratifica del Protocollo sono legate ai criteri utilizzati per la distribuzione dei costi per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento dei fenomeni di cambiamento climatico previsti per il primo periodo di attuazione del Protocollo (2008-2012). In questa prima fase i costi graveranno solo sui Paesi industrializzati. La debolezza di questo criterio deriva dal fatto che probabilmente alla fine del primo periodo di applicazione (2012) altri paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile) raggiungeranno e potranno persino superare i livelli di emissioni dei paesi industrializzati. Cosicché il contenimento imposto ai Paesi più sviluppati rischia di essere compensato dall’incontrollato aumento delle emissioni da parte di quei paesi in via di sviluppo che si stanno incamminando sulla strada dello sviluppo economico. Si è costituito un gruppo di lavoro con il compito di elaborare una strategia per il periodo post-Kyoto, ossia obblighi di riduzione vincolanti per i Paesi industrializzati dopo il 2012. Sito del Protocollo di Kyoto: http://unfccc.int As of 28 September 2006, 166 states and regional economic integration organizations have deposited instruments of ratifications, accessions, approvals or acceptances. The total percentage of Annex I Parties emissions is 61.6%. La Conferenza di Marrakech del 2001 ha prodotto gli Accordi di Marrakech sull’applicazione del Protocollo di Kyoto. L’elemento chiave degli accordi riguarda la specificazione del sistema di scambi dei permessi di emissione. Secondo tali accordi ciascuno Stato vedrà attribuirsi una quota percentuale di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra denominata diritto di emissione. Se uno Stato produce una percentuale di gas ad effetto serra maggiore di quella autorizzata godrà della

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possibilità di acquistare, da un Paese che ne produce di meno, la sua eccedenza di diritti di emissione. Il Protocollo di Kyoto prevede che si inizi a discutere sui cambiamenti climatici successivi al termine del primo periodo di riferimento, 2008-2012, alla fine del 2005. In vista di ciò si è riunito il Consiglio europeo nella primavera del 2005. L’Unione europea e i suoi Stati membri hanno ratificato il Protocollo nel maggio 2002, prima della Conferenza di Johannesburg dell’agosto-settembre 2002. L’Unione europea ha dato la sua approvazione Con decisione del Consiglio del 25 aprile 2002 n. 358. L’Italia ha ratificato e dato esecuzione al Protocollo di Kyoto con la l. n. 120 del 2002. La Conferenza di Montreal sui cambiamenti climatici del 2005 ha aperto la strada sugli interventi da intraprendere su scala mondiale dopo il 2012, tra cui soluzioni per coinvolgere Paesi che per il momento non sono vincolati dagli impegni di Kyoto. Conferenza di Nairobi, novembre 2006. Conferenza di Bali, dicembre 2007 Iniziative europee per l’attuazione del Protocollo di Kyoto Tutela dell’ambiente versus competitività economica. Obiettivi:

- ampliare la partecipazione a tutti i paesi responsabili - massima utilizzazione dei meccanismi di progetto e allo scambio dei diritti di

emissione, ossia mantenimento di strumenti flessibili e basati sul mercato - innovazione e cambiamenti tecnologici - adattamento alla nuova situazione climatica - sinergie con altre politiche comunitarie, ad es. sullo sviluppo della sicurezza

nell’approvvigionamento energetico, la riforma della politica agricola e le politiche sulla qualità dell’aria

La dir. 2003/87 (modificata dalla dir. 2004/101) ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra all’interno dell’Unione. Questa direttiva è stata recepita con l. n. 316/2004 successivamente abrogata dal d. lgs. n. 216 del 2006 che stabilisce che nessun impianto potrà esercitare le attività che comportino l’emissione di gas serra elencate nell’allegato A della direttiva senza essere munito dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità nazionale competente. Il ministro dell’ambiente e il Ministro delle attività produttive approvano il Piano nazionale di assegnazione che determina il numero totale delle quote di emissioni che si intendono assegnare ai singoli impianti che diverranno titolari di un diritto ad emettere determinate quantità di gas ad effetto serra. L’avvio del sistema di scambio di quote di emissione è avvenuto nel 2005. Si fissa un prezzo per le emissioni delle quote di carbonio al fine di favorire il cambiamento nel comportamento in materia di investimenti. In sede europea si ritiene che solo riduzioni delle emissioni superiori a quelle previste dal Protocollo di Kyoto potrebbero portare a risultati soddisfacenti, che soli potrebbero “prevenire un’interferenza con il sistema climatico dannosa per il sistema antropico” come richiesto dall’art. 2 della Convenzione sui cambiamenti climatici.

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Il Protocollo di Kyoto prevede che si inizi a discutere sui cambiamenti climatici successivi al termine del primo periodo di riferimento, 2008-2012, alla fine del 2005. In vista di ciò si è riunito il Consiglio europeo nella primavera del 2005. In vista della preparazione delle sua considerazioni il Consiglio europeo ha richiesto alla Commissione di preparare un’analisi dei costi e dei benefici dell’azione contro i cambiamenti climatici, che tenga conto di considerazioni sull’ambiente e allo stesso tempo sulla competitività. Primo Programma, dal 2000 Second European Climate Change Programme (ECCP II), 2005 In the Communication "Winning the battle against climate change", the Commission announced it would launch the Second European Climate Change Programme (ECCP II) by the end of 2005. The European Climate Change Programme is the Commission's main instrument to discuss and prepare the further development of the EU's climate policy. As before, the Commission plans to run this Programme in close cooperation with a wide range of stakeholders. Further information regarding the activities of the ECCP I can be found on European Climate Change Programme I. The second phase of the European Climate Change Programme (ECCP II) was launched on 24 October 2005. The ECCP II consists of several working groups: 1) ECCP I review (with 5 subgroups: transport, energy supply, energy demand, non-CO2 gases, agriculture), 2) aviation, 3) CO2 and cars, 4) carbon capture and storage, 5) adaptation, 6) EU ETS review. Grazie alle misure previste e all’utilizzo dei meccanismi di Kyoto l’Unione europea riuscirà a ridurre entro il 2010 le proprie emissioni del 9,4% rispetto all’anno di riferimento. I dati più recenti rivelano una diminuzione delle emissioni pari ad appena l’1,7% rispetto al 1990. Consiglio europeo, marzo 2007: riduzione delle emissioni di gas serra del 30% rispetto al 1999 entro il 2020. Iniziative utili alla riduzione delle emissioni:

- diffusione delle fonti di energia rinnovabile - miglioramento dei metodi di combustione degli autoveicoli - miglioramento dell’efficienza degli edifici - diffusione dell’idrogeno rinnovabile - fissione nucleare - migliore gestione delle risorse agricole e forestali

http://ec.europa.eu/environment Misure dell’Ordinamento Italiano

Delibera Cipe n. 123, 19 dicembre 2002, in attuazione della l n. 120/2002 in attuazione del Protocollo di Kyoto. Misure per la riduzione dei gas serra

Codice dell’ambiente, artt. 267 ss.

• il codice dell’ambiente promuove tutte le azioni volte all’impiego di forme di energia

elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, secondo la disciplina della dir. 2001/77 e del d.lgs. n. 387/2003.

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• Il d. lgs. 152/06 ha prolungato la validità dei certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta da fonti rinnovabili, portandola da 8 a 12 anni.

I certificati verdi sono la nuova struttura di incentivazione delle fonti rinnovabili dopo la liberalizzazione del settore dell'energia disciplinata dal D. Lgs. 79/99 (cosiddetto decreto Bersani). Titoli che vengono riconosciuti ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili per impianti entrati in esercizio dopo 1° aprile 1999 e costituiscono incentivo che viene riconosciuto a questi produttori per investire nelle tecnologie rinnovabili (energia prodotta da sole, acqua, vento, maree, geotermia). Il prezzo del certificato verde si forma sul mercato perché i produttori di energia da fonti fossili devono acquistare una certa quota di certificati verdi ogni anno. V. sito internet grtn.it, voce; certificati verdi. Le fonti principali di energia rinnovabile sono quella solare, idroelettrica, eolica e da biomassa. Queste forme di energia sono nella maggior parte del mondo le uniche risorse locali disponibili. Esse derivano direttamente o indirettamente da quella solare, ed hanno il vantaggio di presentare generalmente un basso impatto ambientale, ad esclusione dell'incenerimento della biomassa o dei rifiuti urbani; gli svantaggi maggiori consistono, ad eccezione dell'energia idroelettrica e della biomassa, nella loro estrema variabilità ed intermittenza. Alcune di queste risorse (celle solari) producono energia a costi attualmente maggiori di quelle fossili e nucleari. • Per tutti gli impianti che producono emissioni dev’essere richiesta una specifica

autorizzazione all’autorità competente (Regione o altra indicata da l. regionale), artt. 269 ss., corredata da un progetto dell’impianto e da una relazione tecnica che descrive il complessivo ciclo produttivo. Tale autorizzazione ha una durata di 15 anni. L’autorità competente è autorizzata ad effettuare presso l’impianto tutte le ispezioni che ritenga necessarie per verificare il rispetto dell’autorizzazione. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione l’autorità competente procede, a seconda della gravità dell’infrazione, alla diffida o alla revoca dell’autorizzazione e alla chiusura dell’impianto ovvero alla cessazione dell’attività. Chi esercita un’attività in assenza della prescritta autorizzazione oppure continua l’esercizio dell’attività successivamente alla revoca della stessa è punito con l’arresto da due mesi a due anni o dell’ammenda da 258 euro a 1032 euro.

• Artt. 291 ss. Codice ambiente, caratteristiche merceologiche dei combustibili consentiti

indicati in allegato al Codice. Sanzioni penali per gli impianti, sanzioni amministrative per gli impianti termici civili.

Con le l. finanziarie vengono stanziati dei fondi per la riduzione delle emissioni e per la promozione dell’efficienza energetica e delle fonti sostenibili di energia.

Convenzione sul clima (dopo Rio), entrata in vigore nel 1993 Obiettivo di prevenire i cambiamenti climatici: riduzione Co2 e gas serra La protezione della fascia di ozono (v. materiale fornito ai fini di sola consultazione) Convenzione di Vienna, 1985 e relativi Protocollo di Montreal, 1987, poi successivamente modificato, entrata in vigore nel 1988 Tale accordo prevede, a seguito di modifiche del 1992, la eliminazione completa dell’uso delle sostanze inquinanti entro il 1996. Tappe differenziate per i Paesi in via di sviluppo.

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Preoccupazione per i paesi in via di sviluppo con meccanismi finanziari che prevedono finanziamenti con lo scopo di aiutarli a ridurre o a eliminare l’uso di sostanze che deteriorano la fascia di ozono. Sono entrati Cina, India e Brasile e successivamente quasi tutti i Paesi in via di sviluppo. Pericolo: mercato nero. Notizie sui recenti sviluppi emersi dagli incontri delle Parti si trovano anche sul sito della Commissione europea, DG ambiente (http://ec.europa.eu, politiche UE, cliccare su link ambiente) Regolamento Ue n. 2037/2000 sulle sostanze che danneggiano lo strato di ozono Sostituisce completamente il precedente Regolamento del 1994. Con questo Regolamento ci si attiene agli obblighi assunti con la Convenzione di Vienna e con il Protocollo di Montreal. Sistema di obblighi che vietano la produzione, la messa in commercio, l’uso in processi produttivi, la limitazione (soggetta ad autorizzazione) all’importazione e all’esportazione di una serie di gas, i clorofluorocarburi, il tetracloride, il tricloretano, gli idrobromofluorocarburi e gli altri indicati negli allegati al Regolamento. I cluorofluorocarburi sono perciò proibiti negli aerosol, come solventi, come sostanze refrigeranti. Si constata come lo sviluppo tecnologico ha consentito la produzione di sostanze sostitutive. Il passaggio a nuove tecnologie o prodotti potrebbe significare delle difficoltà per le piccole e medie imprese in particolare. Gli Stati membri dovrebbero perciò considerare di prevedere forme appropriate di assistenza che consentano a tali imprese di affrontare i cambiamenti necessari. Sono consentite delle eccezioni in alcuni casi in cui tali sostanze servano ad usi essenziali, ad es. medici, di ricerca o militari. Si introducono delle forme di monitoraggio dei consumi di queste sostanze da parte di produttori, importatori, esportatori. Si devono osservare cautele anche nella dismissione di quei beni (es. frigoriferi, estintori) che contengano queste sostanze. La Commissione europea sta supportando numerosi progetti di ricerca diretti a migliorare la comprensione e le previsioni sul danneggiamento della fascia di ozono. Per la ricerca dei documenti normativi comunitari: http://eur-lex.europa.eu Ordinamento italiano L. n. 549/93 modificata da l. n. 179/97

L’Inquinamento dell’Aria Convenzione di Ginevra, 1979, sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza, ratifica ed esecuzione con l. n. 289/82 Piogge acide. Contenuto prevalentemente programmatico. Finanziamento di un programma di cooperazione per il monitoraggio delle sostanze che inquinano l’atmosfera in Europa. Riduzione delle emissioni di zolfo e loro flussi transfrontalieri. Emissioni di ossidi di azoto e loro flussi transfrontalieri. Ozono a livello del suolo. Protocollo di Goteborg, 1999. Anche ammoniaca. Poche ratifiche.

- scambi di informazioni

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- consultazioni - attività di ricerca - attività di sorveglianza

Convenzione di Stoccolma, 2001, messa in atto dal Regolamento n. 850/2004 La Convenzione di Stoccolma, stabilita in occasione di un convegno tenutosi a Stoccolma dal 22 al 23 maggio 2001, si pone come obiettivo l'eliminazione e la diminuzione dell'uso di alcune sostanze nocive per la salute umana e per l'ambiente definite Inquinanti Organici Persistenti (POP). I POP sono composti chimici con proprietà tossiche che si propagano nell'aria, nell'acqua o nel terreno e, a causa della loro scarsa degradabilità, risiedono nell'ambiente per lungo tempo. Principio di precauzione. [Gli Inquinanti organici persistenti (o POP, acronimo dell'inglese Persistent organic pollutant) sono composti organici di sintesi molto pericolosi per l'ambiente e per la salute pubblica.I POP sono altamente tossici e sono caratterizzati da persistenza e bioaccumulabilità. L'immissione nell'ambiente comporta la contaminazione di suolo, acqua e aria, e di tutti gli organismi che vi vivono, uomini compresi. Nonostante questo divieto, alcune di queste sostanze sono ancora utilizzate ed altre non sono ancora incluse nella lista come:

• BFR o bromurati, i cosiddetti ritardanti di fiamma • PCB o policlorobifenili • PFC o composti perfluorurati • fenoli • ftalati ]

Il documento riguarda 12 inquinanti principali: aldrin, clordano, dicloro difenil tricloroetano (DDT), dieldrin, endrin, eptacloro, mirex, toxafene, esaclorofene e tre intere classi di composti:

• policlorobifenili (PCB), • policlorodibenzodiossine (PCDD o più comunemente detta Diossina) • policlorodibenzofurani (PCDF).

Sono in seguito state incluse quattro sostanze già in discussione dal 1998: pentabromodifenolo, clordecone, esabromodifenile e esaclorocicloesano. La convenzione è entrata in vigore il 17 maggio 2004 ed hanno già aderito 150 paesi tra cui gli stati membri dell'Unione Europea Alcune deroghe ai divieti sono accordate ad esempio per il DDT che resta indispensabile per i paesi in via di sviluppo per la lotta contro la malaria. I paesi industrializzati si obbligano a fornire assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo e ai paesi ad economia di transizione per aiutarli a conformarsi agli obblighi della convenzione. Direttiva comunitaria 1999/30, sui valori limite di qualità dell’aria, entrata in vigore nel luglio 2001 Fissazione di valori limite di: anidride solforosa diossido di azoto ossidi di azoto piombo Direttiva comunitaria 1996/62, sulla valutazione e gestione della qualità dell’aria Pone le basi di una strategia comunitaria di insieme per la qualità dell’aria.

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Ha per obiettivo: - definizione di valori limite - di soglie d’allarme - di valutare la concentrazione di inquinanti nell’aria - comunicazione al pubblico delle informazioni su questi elementi - miglioramento e mantenimento della qualità dell’aria

Misure dell’Ordinamento Italiano D.Lgs. n. 351/1999 Il Ministero dell’ambiente fissa con decreto

- valori limite e soglie d’allarme - margini di tolleranza

piani d’azione regionali Codice dell’ambiente

• Artt. 267 ss. del Codice ambiente. Disciplina delle emissioni: al fine di limitare le emissioni chiunque intenda realizzare un nuovo impianto o modificare un impianto esistente deve richiedere l’autorizzazione alla Regione o alla diversa autorità competente al rilascio. L’Allegato I al codice prevede i valori limite di emissione.

• Art. 271: valori limite di emissione • Artt. 282 ss. Codice ambiente, disciplina degli impianti termici civili. Sanzioni

amministrative pecuniarie per il mancato rispetto delle previsioni di legge.

• Artt. 291 ss. Codice ambiente, caratteristiche merceologiche dei combustibili consentiti indicati in allegato al Codice. Sanzioni penali per gli impianti, sanzioni amministrative per gli impianti termici civili.

• Art. 294

• D. lgs. n. 351 del 1999 in attuazione della dir. 96/62 in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria, affida al Ministero dell’ambiente di concerto con quello della Sanità la fissazione dei valori limite di qualità dell’aria (limiti massimi di accettabilità) e dei valori guida di qualità dell’aria. I primi al fine di evitare o ridurre gli effetti dannosi sulla salute umana o sull’ambiente nel suo complesso; i secondi per la prevenzione dei medesimi a lungo termine. La normativa si affida alla applicazione di standards ambientali, quali valore limite, valori obiettivo e soglie d’allarme per i diversi inquinanti indicati nell’allegato I. Questi standards possono essere affiancati da piani d’azione regionali.

Inquinamento elettromagnetico (v. testo l. n. 36/2001, per sola consultazione) Le misure contro l’inquinamento elettromagnetico si basano sul principio di precauzione in quanto il legislatore è intervenuto a fini di tutela in assenza di un’individuazione certa degli effetti a breve, medio, lungo termine di tale tipo di inquinamento. La scienza medico-legale non è infatti ancora giunta ad una conclusione certa sulle possibili conseguenze che la presenza di onde elettromagnetiche può generare, a breve ed a lungo termine, sulla salute dell’uomo, ma da qualche anno sono stati emanati specifici provvedimenti normativi miranti a contenere entro certi limiti l’inquinamento elettromagnetico.

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Le finalità della legge concernono la tutela della salute della popolazione rispetto alle onde elettromagnetiche generate da elettrodotti, impianti radioelettrici compresi gli impianti per la telefonia mobile, i radar e gli impianti per la radiodiffusione; la promozione della ricerca scientifica per l’indagine degli effetti a lungo termine dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; nonché la tutela dell’ambiente e del paesaggio anche attraverso azioni di risanamento idonee a minimizzare l’intensità e gli effetti di tali campi. Consiglio dell’Unione europea, raccomandazione 1999/519 (le raccomandazioni non sono vincolanti anche se hanno per obiettivo che il destinatario tenga un determinato comportamento), relativa alla limitazione alle esposizioni ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz con cui ha fatto propri i limiti fissati dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (Ong che ha fatto l’esame per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). L’Italia ha introdotto limiti ancora più restrittivi con la l. n. 36 del 2001. Limitazione alle esposizioni ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz. Introduzione di:

- limiti di esposizione: valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non dev’essere superato

- valori di attenzione: valori che non devono essere superati negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate

- obiettivi di qualità: valori da rispettare ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi magnetici.

I limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità sono stati fissati con due Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 luglio 2003. Il superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione è punito – salvo che il fatto non costituisca più grave reato – con la sanzione amministrativa del pagamento della somma da 1.032 euro a 309.874 euro. La violazione delle misure adottate con regolamento governativo relativamente alle caratteristiche tecniche degli impianti e alla localizzazione dei tracciati per la progettazione, la costruzione e la modifica di elettrodotti e impianti per telefonia mobile e radiodiffusione. Disciplina di Diritto privato che viene in considerazione di fronte a problematiche di tipo ambientale Due discipline civilistiche applicabili in via parallela alle discipline ambientali quando i fattori nocivi interessino le singole persone:

- disciplina delle immissioni, art. 844 - disciplina del fatto illecito, art. 2043, danno alla salute, art. 32 Cost.

Codice civile Art. 844 Immissioni «Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

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Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso». Art. 2043 Risarcimento per fatto illecito «Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Attività industriali a rischio di incidente rilevante esempi di incidenti:

• Seveso, 1976 • Romania, 2000. Un’impresa di lavorazione dell’oro ha causato la fuoriuscita di circa

100.000 metri cubi di acqua mescolata a cianuro nel fiume Lapus; tali acque si sono poi riversate nel Danubio.

• Olanda, 2000. Esplosione in una fabbrica di fuochi d’artificio. • Tolosa, Spagna, 2001. Esplosione in una fabbrica di fertilizzanti.

Convenzione di Helsinki sugli effetti transfrontalieri degli incidenti industriali, 1992 Convenzione destinata ad applicarsi ai paesi europei, agli Usa, al Canada. Ha per oggetto le attività industriali che implicano l’impiego di sostanze pericolose. Si fonda sul principio della prevenzione: gli stati devono adottare delle politiche e delle strategie volte a ridurre i rischi di incidenti industriali. Debbono stabilire delle norme di sicurezza, eventualmente istituire dei sistemi di autorizzazione, permettere una valutazione dei rischi, prevedere degli studi di impatto, applicare le tecnologie più appropriate, sorvegliare le attività pericolose. E’ previsto inoltre l’obbligo di definire e organizzare le situazioni di emergenza e le misure che consentono di ridurre gli effetti transfrontalieri degli incidenti. Si prevede un sistema di notificazioni che prevede per il caso in cui occorra un incidente industriale o ve ne sia una minaccia imminente la notificazione alle parti interessate. Sono prese misure per limitare per quanto possibile gli effetti degli incidenti. Seconda Direttiva Seveso n. 1996/82 (da ultimo modificata nel 2003), recepita con d. lgs. n. 334/99 (modificata con d. lgs. n. 238 del 2005) Sistemi di direzione e controllo sicuri Piani di emergenza Pianificazione dell’uso del territorio Sistema di ispezioni effettivo La direttiva è lo strumento mediante il quale la Comunità europea soddisfa ai suoi obblighi assunti in sede internazionale, in particolare a quelli che sorgono dalla convenzione sugli effetti transnazionali degli incidenti industriali. Il fine è la prevenzione degli incidenti e la limitazione dei loro effetti sull’uomo e sull’ambiente.

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Le sostanze interessate si trovano indicate agli allegati della direttiva.

- prevenire gli incidenti - limitare le loro conseguenze - le industrie devono notificare le sostanze detenute, la loro politica, un rapporto di

sicurezza. Se interviene un incidente vi è un obbligo immediato di notificazione all’autorità competente

- gli Stati pongono in essere politiche di urbanizzazione adeguate. Pongono in essere un sistema di ispezioni. Rapporti annuali. Devono informare la Commissione degli incidenti intervenuti sul loro territorio.

Inquinamento acustico l. n. 447/1995 valori limite valori di attenzione valori di qualità sanzioni amministrative e penali

Inquinamento del mare e delle acque Casi famosi di inquinamento A partire dal 1953 gli abitanti della baia di Minamata in Giappone furono vittima di una strana epidemia. Le inchieste svolte finirono per accertare la responsabilità delle industrie locali che per anni avevano riversato mercurio nel mare che si era accumulato nei pesci e nei molluschi che erano stati consumati dalla popolazione con la conseguenza morti, malformazioni nei feti, ecc. 1967 – la petroliera gigante Torrey Canyon si spezzò al largo delle coste della Cornovaglia riversando 10.000 tonnellate di greggio che andarono a macchiare le coste francesi e inglesi. Questa fu la prima catastrofe ambientale resa nota dai media, ciò che portò alla presa di coscienza della fragilità dell’ambiente marino e dei problemi economici che potevano derivare da un tale genere di inquinamento. Per di più erano interessati dal problema sei Paesi, con riguardo alla bandiera battuta dalla nave, alla società che ne aveva la proprietà, alla nazionalità dell’equipaggio, delle vittime, ecc. 1999 – la petroliera Erika che navigava con bandiera maltese e trasportava idrocarburi per conto della società Total si è spezzata in due a sud della punta Finistere, in Bretagna. Ne sono fuoriuscite 20.000 tonnellate di petrolio che hanno inquinato oltre allo spazio marittimo, circa 400 km di costa atlantica. 2002 – la petroliera Prestige, battente bandiera delle Bahamas, che trasportava 77.000 tonnellate di petrolio si è trovata in difficoltà al largo delle coste spagnole. Dopo essere stata rimorchiata per cinque giorni, il suo scafo si è rotto ed è affondata.

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Questi due ultimi eventi scossero molto l’opinione pubblica, ciò che ha contribuito a prendere misure giuridiche a livello internazionale e a livello comunitario. Le prime convenzioni sul diritto del mare vengono siglate nel contesto delle Nazioni Unite nel 1958; queste si occupano però più della delimitazione degli spazi marittimi che dell’inquinamento delle acque. OMI – Organizzazione Marittima Internazionale, è l’agenzia specializzata delle Nazioni unite per il miglioramento della sicurezza dei mari e per la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi. E’ competente anche per la cooperazione tecnologica tra gli Stati. www.imo.org Convenzione di Montego Bay, 1982, entrata in vigore nel 1994 (N.B.) Di diverso tenore è la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (CNUDM) firmata a Montego Bay nel 1982 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 2 dicembre 1994, n. 689) con la quale gli Stati si impegnano a proteggere e a rispettare l’ambiente marino, assumendo l’obbligo di adottare singolarmente o congiuntamente tutte le misure necessarie per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento dell’ambiente marino utilizzando i mezzi più adatti di cui dispongono. Gli Stati si impegnano a vigilare che le attività poste sotto la loro giurisdizione e il loro controllo non mettano in pericolo l’ambiente di altri Stati o non pregiudichino l’ambiente in zone al di là di quelle sulle quali esercitano la loro sovranità (si deve avere presente che il mare è “diviso” in varie zone con riguardo all’esercizio su di esso della sovranità degli Stati o di poteri di controllo. Lo Stato esercita la sua sovranità sulle acque interne e sul mare territoriale, cioè fino a 12 miglia dalla costa, esercita diritti sovrani sullo sfruttamento della zona economica esclusiva, ZEE, ossia sulle acque fino a 200 miglia dalla costa, e sulla piattaforma continentale, ossia il fondo marino e il sottosuolo fino a 200 miglia dalla costa. L’alto mare, oltre la ZEE, è libero). Si tratta di una convenzione quadro che ha fornito la base per l’adozione di successive convenzioni regionali o aventi oggetto più delimitato. Si ritiene che un buon numero delle sua disposizioni siano entrate a far parte del diritto internazionale consuetudinario. La Convenzione prende in considerazione le diverse forme di inquinamento che possano derivare da cause diverse. Si occupa di contrastare l’inquinamento di origine tellurica, quello di origine atmosferica, proveniente dai fiumi e dagli oleodotti, quello derivante dalle attività di immersione, quello derivante dalle attività di navigazione. Devono essere preservati gli ecosistemi rari e gli habitat delle specie in pericolo. Le misure introdotte sono destinate a evitare l’inquinamento derivante dal ricorso a tecnologie o all’introduzione intenzionale o accidentale di specie non indigene che rischino di introdurre mutamenti considerevoli e nocivi all’ambiente. La cooperazione tra Stati è diretta, oltre che all’introduzione di normative dirette a contrastare le varie forme di inquinamento, alla notificazione dei rischi e degli episodi di danno verificatesi, alla realizzazione di piani d’urgenza comuni, di studi e programmi di ricerca. Per quanto riguarda l’inquinamento derivante dalle attività di navigazione la Convenzione prevede obblighi degli Stati diretti ad introdurre forme di controllo sulle navi, da esercitarsi non solo da parte dello Stato di bandiera della nave, ma anche dallo Stato del porto in cui la nave volontariamente attracchi, e dallo Stato costiero relativamente al mare territoriale e alla zona economica esclusiva (ZEE). Convenzione Marpol, sull’inquinamento marino, 1973 (che sostituisce la precedente Convenzione di Londra del 1954) N.B.

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Ha come scopo di mettere fine all’inquinamento da idrocarburi ed altre sostanze nocive e di ridurre al massimo il riversarsi in mare di questo tipo di sostanze. Si prevede la progressiva sostituzione delle petroliere a scafo semplice. Convenzione sull’intervento in alto mare in caso di incidente o di pericolo di incidente procurante un inquinamento da idrocarburi, Bruxelles, 1969 Consente agli Stati di intervenire in caso di incidente o di minaccia incombente di incidente Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento del mare risultante dalla dispersione di rifiuti, 1972 Lista nera: rifiuti vietati Lista grigia: permesso speciale Lista III: permesso generale Inquinamento di origine terrestre, linee direttrici elaborate dal PNUE – Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, 1985 Inquinamento di origine atmosferica, Convenzione sull’inquinamento atmosferico a lunga distanza e Convenzione sulla protezione della fascia d’ozono Problema di cui si è interessato l’Omi a partire dal 1980 è quello del riempimento delle stive delle navi con le acque marine, una volta che abbiano scaricato le stive. Questo apre il problema del trasferimento in luoghi lontani dei batteri, delle piante e degli animali marini. Nel 2004 si è adottata una Convenzione sul controllo e la gestione delle acque delle stive. Convenzione sulla responsabilità civile da inquinamento da idrocarburi, Bruxelles 1969 N.B. Danni emergenti e misure per il ripristino. E’ obbligato il proprietario della nave. Responsabilità oggettiva. Limitata. Nel 1971 si è creato il fondo per l’indennizzo dei danni da inquinamento da idrocarburi FIPOL. Quando il proprietario non può assicurare l’indennizzo o l’ammontare oltrepassa quello previsto dalla Convenzione. www.iopcfund.org Convenzione internazionale sulla responsabilità e sull’indennizzo dei danni legati al trasporto in mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose (SNDP), 1996 N.B. Regole simili a quelle della Convenzione di Bruxelles del 1969 Diritto comunitario La Comunità europea risulta aderente di diverse convenzioni internazionali, laddove sia possibile (in alcuni casi infatti, quando la convenzione si sia formata nel contesto di organizzazioni internazionali aperte unicamente agli Stati nazionali, l’adesione della Comunità europea non è possibile).

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Le Convenzioni che la Comunità europea ha siglato sono ad es. la Convenzione sulla protezione dell’inquinamento marino del Baltico, 1974, la Convenzione per la protezione dell’Atlantico Nord est, o la Convenzione di Barcellona sulla protezione contro l’inquinamento del mare Mediterraneo, 1976. In occasione dell’applicazione di quest’ultima Convenzione si è posto dinanzi alla Corte di giustizia delle comunità europee la questione della applicabilità diretta, ossia della vincolatività diretta per gli Stati membri, di una Convenzione firmata dalla Comunità. Nel 2002 è stata creata l’Agenzia europea per la sicurezza marittima con il compito di coadiuvare la Commissione nell’elaborazione e revisione della legislazione comunitaria. Dir. 2001/106: controllo delle navi da parte dello Stati del porto. Gli Stati membri devono garantire ispezioni effettive su almeno il 25% delle navi. Dir. 2002/59, relativa all’attivazione di un sistema comunitario di sorveglianza e informazione sul traffico marittimo con le finalità della sicurezza e dell’efficienza del traffico marittimo. Viene, tra l’altro, introdotto l’obbligo di segnalare la presenza di merce pericolosa ed inquinanti a bordo delle navi. Regolamento 417/2002, sul ritiro delle navi a scafi semplice dalle acque comunitarie. L’inquinamento di maggiore rilievo rimane tuttavia quello volontario, dovuta allo svuotamento dei serbatoi delle navi in mare. La dir. 59/2000 si applica a tutte le navi che fanno scalo in un porto della comunità qualsiasi sia la loro bandiera; esse hanno l’obbligo di svuotare le cisterne ei rifiuti nelle installazioni specificamente dedicate. Dir. 2005/35, inquinamento provocato dalle navi Strategia sull’ambiente marino per salvaguardare i mari e gli oceani europei Dir. 2005/205

Inquinamento e gestione dell’utilizzazione delle acque Per quanto riguarda le risorse idriche il problema non è solo quello della tutela contro l’inquinamento ma anche quello della loro gestione, per permettere anche alle generazioni future l’utilizzo di questa risorsa. L’inquinamento è diverso a seconda dell’utilizzazione delle acque, domestica, industriale, agricola, per la navigazione, per la produzione idroelettrica, ecc. L’inquinamento può derivare, per es.:

- dallo scarico di sostanze nocive diretto o indiretto (ad es. attraverso il suolo); - può essere di tipo termico, come quello dell’acqua utilizzata per raffreddare le

centrali elettriche - può derivare da fosfati e nitrati presenti nei fertilizzanti.

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Carta europea dell’acqua, 1968 Testo non vincolante che afferma che la qualità dell’acqua deve essere preservata a dei livelli adatti e deve essere preservata la salute pubblica. Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 1992 Convenzione quadro Cooperazione tra Stati anche con accordi specifici per elaborare politiche e programmi diretti alla protezione contro l’inquinamento delle acque transfrontaliere. Conservazione degli ecosistemi. Convenzione sul diritto relativo all’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali a fini diversi dalla navigazione, Onu, 1997 Utilizzazione dei corsi d’acqua transnazionali Diritto comunitario La Comunità europea inizia a interessarsi della regolamentazione delle acque sin dagli anni ’70; in questo ambito sono molti gli interventi comunitari. Esistono delle direttive:

- sulle acque superficiali destinate alla produzione di acqua alimentare (dir. 75/440) che fissa dei valori corrispondenti a differenti qualità delle acque superficiali;

- sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (dir. 98/83) per l’utilizzo diretto, la preparazione dei cibi, altri usi domestici, l’utilizzo da parte delle industrie alimentari, avente per obiettivo la protezione della salute umana dagli effetti negativi dell’utilizzo di acque inquinate; la distribuzione d’acqua che crei un rischio per la salute dev’essere vietata o ristretta e i consumatori devono essere avvisati.

Dir. quadro 2000/60 (leggere documento fornito) La materia è stata riorganizzata grazie all’attenzione sul tema sin dal 1995 che hanno portato all’adozione della dir. quadro n. 2000/60 che è destinata ad abrogare una serie di direttive ora in vigore fino al 2007 o al 2013. Si basa sul presupposto che è necessario sviluppare una politica comunitaria integrata in materia di acque. Ins. Art. 1 direttiva Tale direttiva si preoccupa di regolare le acque della Comunità, escluse le acque marine, come un tutto unico, siano esse acque dolci, salate o sotterranee. La regolazione si basa sul concetto di ecosistema e non sulla diversa tipologie delle acque. Gestione della quantità e della qualità delle acque. Riduzione delle emissioni di sostanze pericolose nelle acque. Qualità: fissazione di valori limite di emissioni. L’inquinamento causato dallo scarico, da emissioni o da perdite di sostanze pericolose dovrebbe essere arrestato o gradualmente eliminato. L’individuazione delle sostanze pericolose dovrebbe eseguirsi sulla base del principio di precauzione. Quantità: limitazione dell’estrazione delle acque.

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Altra novità è la gestione delle acque per distretto idrografico e tanto in applicazione della Convenzione sulla gestione dei laghi internazionali e dei fiumi transfrontalieri di cui sono firmatarie la Comunità e i suoi Stati membri. Gli Stati devono censire i bacini idrografici sul loro territorio e creare i distretti idrografici per i quali dovranno creare le autorità e i dispositivi amministrativi adeguati. Là dove sia necessario dovranno crearsi dei distretti idrografici internazionali. Per ciascun distretto si elaboreranno un piano di gestione e dei programmi delle misure di intervento. Nell’ambito di ciascun distretto dovranno essere censite le zone protette, ossia che necessitano di una protezione speciale; si può trattare di acque di superficie, sotterranee o della conservazione di specie o di habitat particolari. La direttiva introduce tre tipi di strumenti:

1. le analisi e gli studi iniziali 2. un’analisi economica per la gestione dell’acqua 3. la sorveglianza sistematica da parte degli Stati secondo le medesime basi scientifiche.

Recupero dei costi dei servizi idrici in base al principio “chi inquina paga”. Dir. 2006/11 sull’inquinamento causato da determinate sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico Riprendi come testo considerando della dir. Dir. 91/676 sulla protezione delle acque contro l’inquinamento provocato dai nitrati provenienti dalle coltivazioni agricole Ha per obiettivo di ridurre tale tipo di inquinamento e di prevenire tale tipo di inquinamento in quanto i nitrati di origine agricola rappresentano la principale fonte diffusa di inquinamento delle acque comunitarie. Gli Stati devono assicurare un livello generale di protezione contro tale inquinamento. Devono stabilire un codice di comportamento sulle buone pratiche agricole che dovrà essere elaborato da parte degli agricoltori. Programmi di formazione e di informazione degli agricoltori. Dir. 2006/7 sulla qualità delle acque di balneazione

- sorveglianza e classificazione delle acque per la balneazione - gestione della qualità delle acque - informazione al pubblico

Le acque saranno classificate: insufficienti, sufficienti, buone, eccellenti. Tale classificazione dovrà essere completata per il 2015. Le acque qualificate come insufficienti potranno dopo 5 anni di questa classificazione essere oggetto di un divieto di balneazione.

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Difesa del suolo e delle acque – Disciplina interna, Codice dell’ambiente Tutela delle acque dall’inquinamento, artt. 73 ss. Codice dell’ambiente Art. 73 (v. art. 1 dir. 2000/60), leggere Art. 75, autorità competenti Art. 76, qualità delle acque

Piano di tutela delle acque di cui all’art. 121, autorità di bacino: definisce gli obiettivi, è adottato dalle Regioni

Art. 78, standard di qualità, Allegato al Codice I Piani di tutela contengono gli strumenti per il raggiungimento degli standard Tutela quantitativa della risorsa e risparmio idrico, artt. 95 ss. Codice dell’ambiente (obiettivi dir. 2000/60) Art. 95, pianificazione del bilancio idrico, Autorità di bacino finalità:

- evitare ripercussioni sulla qualità delle acque - consentire un consumo idrico sostenibile

Art. 98, risparmio idrico Art. 99, norme tecniche sul riutilizzo delle acque reflue, devono essere adottate dal Ministro dell’ambiente; anche regioni nella competenza regionale Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi, art. 100 ss. Art. 101, criteri generali disciplina degli scarichi Art. 108, scarichi di sostanze pericolose Art. 124: tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati Strumenti di tutela, artt. 117 ss. Codice ambiente Art. 117: piano di gestione per ciascun distretto idrografico (articolazione del Piano di bacino) Art. 121, piano di tutela Art. 124, autorizzazione

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Sanzioni, artt. 133 ss.

- amministrative - penali

Gestione dei rifiuti Esistono diversi tipologie di rifiuti, di diversa pericolosità Convenzioni internazionali Convenzione di Basilea, 1989 (sottoscritta dall’Unione europea nel 1994) Convenzione di Bamako sul controllo degli spostamenti transnazionali di rifiuti pericolosi e loro smaltimento, 1991 Aggiunge alla Convenzione di Basilea i rifiuti radioattivi Disciplina comunitaria Dir. 75/442 sui rifiuti Dir. 91/689 sui rifiuti pericolosi Disciplina nazionale Artt. 177 ss. Codice ambiente Art. 177 Gestione dei rifiuti Bonifica dei siti inquinati Art. 178 Rifiuti: recupero smaltimento principi di:

- precauzione - prevenzione - proporzionalità - responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti

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- «chi inquina paga» soggetti interessati: Stato Regioni Province autonome Enti locali Artt. 179 – 181, Prevenzione e Riduzione della produzione di rifiuti e Recupero dei rifiuti Art. 182, Smaltimento dei rifiuti Ipotesi residuale, per il caso in cui i rifiuti non possano essere recuperati Art. 183, Definizione di rifiuto e altre definizioni, es. produttore e detentore Art. 184, comma 5°, rifiuti pericolosi. Regioni: poteri regolamentari Art. 188, Oneri a carico dei produttori e detentori Art. 189, Catasto dei rifiuti L’Apat provvede alla costituzione e gestione del catasto telematico Art. 159, Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti Art. 192, Divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti Art. 199: Piani regionali Art. 205, Misure per incrementare la raccolta differenziata Art. 208, Autorizzazione per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti Art. 255, sanzioni amministrative per l’abbandono dei rifiuti Art. 256, sanzioni penali per le attività di gestione dei rifiuti non autorizzate Imballaggi, art. 217 ss. La normativa ha lo scopo di prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente Art. 224 Consorzio nazionale imballaggi: per il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio e garantire il coordinamento della raccolta differenziata.

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Gestione di particolari categorie di rifiuti, Art. 227 ss. Rifiuti Disciplina comunitaria Dir. 75/442 modificata nel 1991, dir. 91/156 Disciplina internazionale Bonifica dei siti contaminati Art. 239 ss. Codice ambiente Art. 242

- La bonifica è a carico di chi ha inquinato - sono stabiliti limiti di contaminazione che non devono essere superati - oltre i quali (o anche quando vi sia il pericolo attuale e concreto che si superino i limiti)

l’interessato deve provvedere alla bonifica E’ prevista una sorta di responsabilità oggettiva: è sufficiente il nesso di causalità tra comportamento inquinante e inquinamento e non occorre la colpa in capo al danneggiante. Possibilità di un contribuito pubblico alle spese di bonifica nel caso in cui vi siano interessi pubblici alla bonifica. Qualora agli interventi di bonifica non provveda l’interessato provvede d’ufficio il comune o, in caso di inerzia, la regione a spese dell’interessato. Se provvede l’interessato deve essere presentato un progetto di bonifica dell’area inquinata. Valutazione di impatto ambientale – VIA

Esiste una Convenzione in ambito Onu, Convenzione sulla valutazione di impatto ambientale nel contesto transfrontaliero, 1991 alla quale ha aderito la Comunità europea; ha lo scopo di adottare procedure per la valutazione di impatto ambientale di opere che possono avere ripercussioni ambientali in più paesi.

Si tratta di una materia di derivazione comunitaria

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Attuazione della dir. 2001/42 sulla valutazione degli effetti di determinati piani sull’ambiente; e della dir. 85/337 modificata dalla dir. 97/11 sulla valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, integrata successivamente dalla dir. 2003/35. Esempi: Mose, aeroporti, Progetti pubblici o privati, v. art. 4, comma 4° Valutazione del progetto rispetto a: uomo, fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, paesaggio, beni e patrimonio culturale. Art. 23 ss. Codice Ambiente esclusione per: opere a scopi di difesa nazionale, interventi necessari o urgenti, interventi a scopi di protezione civile, opere di carattere temporaneo (art. 23, comma 4). Art. 24 La VIA delle assicurare:

- la protezione della salute e il miglioramento della qualità della vita umana, il mantenimento della varietà delle specie e la capacità di riproduzione dell’ecosistema, l’uso da parte di tutti delle risorse naturali, lo sviluppo sostenibile

- per ciascun progetto devono essere valutati gli effetti diretti e indiretti della sua realizzazione sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sul clima, sul paesaggio …

- devono essere garantite l’informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento. Art. 25 La VIA compete:

- per i progetti sottoposti ad autorizzazione statale e comunque aventi impatto ambientale interregionale o internazionale, il Ministero dell’ambiente

- negli altri casi all’autorità individuata dalla regione o dalla provincia con propria legge procedura: 1. domanda con allegati:

- progetto - studio (predisposto da e a spese del committente o proponente) - sintesi non tecnica

2. pubblicità: deposito dei documenti negli uffici individuati in modo che siano consultabili dal pubblico 3. istruttoria 4. giudizio di compatibilità ambientale, con provvedimento motivato che deve essere dato entro 90 gg. dalla pubblicazione della documentazione procedure specifiche per:

- infrastrutture e insediamenti produttivi di interesse nazionale, d.lgs. n. 190/2002 - autorizzazione integrata ambientale per le centrali termoelettriche, d.lgs. n. 59/2005

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Valutazione ambientale Strategica - VAS Con la VAS la Comunità europea ha inteso realizzare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Dir. 2001/42 Art. 4, comma 2° Codice ambiente: la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e programmi di intervento sul territorio ed è preordinata a garantire che gli effetti sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione. Piani e programmi che presentino questi requisiti:

1. riguardino i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti e della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli che siano eventualmente anche sottoposti alla valutazione di impatto ambientale

2. concernano i siti designati come zone di protezione speciale.

- Rapporto ambientale da allegare al piano e programma: deve contenere gli effetti che il piano o il programma può produrre sull’ambiente

- Valutazione da parte delle autorità competenti

- Giudizio di compatibilità ambientale e approvazione del piano o programma proposto

Tutela del Paesaggio Art. 9, comma 2° la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. n. 42/04 integrato dal Codice ambiente

Tutela e disciplina dei beni paesaggistici Art. 9 Cost.: La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione Nozione di bene giuridico Nozione di bene, art. 810 c.c.: cosa che si ha interesse a fare oggetto di diritti

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Beni pubblici - patrimonio indisponibile dello Stato: es. foreste, miniere, cose di interesse storico e

artistico, art. 826 c.c. - demanio pubblico: es. spiagge, acque pubbliche, strade, acquedotti, immobili di

interesse storico e artistico, art. 822 c.c. Si tratta di beni che non possono essere acquistati da terzi, ma sui quali si possono solo costituire i diritti stabiliti dalla legge; la tutela di questi beni spetta all’autorità amministrativa. Codice dei beni culturali e del paesaggio, d. lgs. n. 42 del 2004 (v. per la consultazione) Art. 131 ss. Coordinamento tra diverse autorità amministrative, me è la Regione ad avere il ruolo preminente Adozione di piani paesaggistici, artt. 135 e 143

- dichiarazione di notevole interesse pubblico - beni individuati come di interesse pubblico ex lege, art.142

L’apposizione del vincolo paesaggistico non comporta il divieto assoluto di trasformazione e modificazione dei luoghi oggetto del vicolo, ma soltanto l’assoggettamento di dette iniziative all’autorizzazione della pubblica amministrazione, art. 146. Sanzioni penali

- per chi deturpa o distrugge bellezze naturali - per chi esegue lavori su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in

difformità da essa Sanzione amministrativa Rimessione in pristino, cioè ricostituzione dello stato dei luoghi.

Disciplina delle aree protette Parco nazionale Gran Paradiso Parco nazionale d’Abruzzo Parco nazionale del Circeo Parco nazionale dello Stelvio istituiti ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione l. quadro n. 394 del 1991 (modificata nel 1998) collaborazione tra diverse autorità: Stato, Regione e altri enti locali Individuazione di aree naturali protette.

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Si tratta di ogni porzione di territorio che in ragione delle sue caratteristiche «fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche» presenti un «rilevante valore naturalistico e ambientale». La dichiarazione di area naturale protetta conferisce al territorio uno specifico regime giuridico e di gestione inteso alla salvaguardia della sua integrità e alla conservazione di:

- specie animali e vegetali - singolarità geologiche - formazioni paleontologiche - comunità biologiche e biotipi - valori scenici e panoramici - processi naturali, ed equilibri idraulici, idrogeologici e geologici.

Possono essere:

1. Parchi nazionali: organi del parco, piano del parco 2. Parchi naturali regionali e interregionali 3. Riserve naturali

Sanzioni penali per: nuove costruzioni o trasformazione di quelle esistenti o mutamento di utilizzo del terreno; cattura, danneggiamento di specie animali, raccolta danneggiamento di specie vegetali Sanzioni amministrative: per violazione delle disposizioni degli organi di gestione delle aree naturali. Questa classificazione è stata poi integrata, principalmente per tenere conto di convenzioni internazionali, specie la convenzione di Ramsar del 1971, e delle direttive comunitarie in materia di uccelli selvatici (dir. n. 79/409) e di conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche (dir. 92/43). Quindi alle aree protette di cui sopra si sono aggiunte:

- le zone umide di importanza internazionale - le zone di protezione speciale (ZPS), dir. 79/409 - le zone speciali di conservazione (ZSC), dir. 92/43 - le aree naturali protette, definizione di chiusura del sistema, con riferimento alle altre

aree naturali protette

Tutela della Flora e della Fauna Convenzione sulla diversità biologica (biodiversità), Rio de Janeiro, 1992 consultare testo convenzione Convenzione Cites – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, 1973 in vigore per l’Italia dal 1980 approvata nell’ambito delle Nazioni Unite (compresa nel programma Unep) Lo sfruttamento commerciale è assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono una delle principali cause dell’estinzione e rarefazione in natura di diverse specie.

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In Italia la sua attuazione è affidata a più ministeri, principalmente al Ministero delle Politiche Agricole, tramite il servizio Cites del Corpo forestale dello Stato. L. n. 157 /1992, attuazione tra l’altro della dir. 79/403 La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato.

- Pone limiti all’attività venatoria, consentita in quanto non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle proprietà agricole.

- D.p.r. n. 357 del 1997, attuazione della dir. 92/43 Rete ecologica europea di zone speciali di conservazione denominata Natura 2000. I siti da proteggere sono individuati dalle Regioni.

I Soggetti del Diritto dell’ambiente A livello comunitario Agenzia per l’ambiente www.eea.europa.eu istituita con Reg. 1210/90 operativa dal 1994, conta 31 Stati membri. Svolge, tra l’altro, funzioni di raccogliere, registrare e diffondere dati sullo stato dell’ambiente; fornire alla Comunità e agli Stati membri le informazioni necessarie per formulare e attuare politiche ambientali efficaci. Ministero dell’ambiente Costituito con l n. 349 del 1986 Strutture operative del Ministero dell’ambiente APAT, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici Organo di supporto tecnico COMITATO ECOLABEL-ECOAUDIT CORPO FORESTALE DELLO STATO Regioni ed altri Enti locali ARPA, Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente

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l. n. 61/94 Dipendenti dalle Regioni. Supporto tecnico agli interventi delle Regioni Associazioni ambientaliste

Strumenti economici Marchio ecologico, cd. Ecolabel Volto a promuovere prodotti che durante l’intero ciclo di vita presentano un minore impatto sull’ambiente e a offrire ai consumatori informazioni accurate e trasparenti sull’impatto ambientale dei prodotti. Introdotto dal Regolamento n. 880/92 modificato dal Regolamento Ce n. 1980/2000. L’organismo nazionale competente a rilasciare il certificato è legato da un rapporto di tipo contrattuale con l’impresa che richiede il marchio. Viene steso un accordo in cui vengono inserite le condizioni d’uso del marchio, le ipotesi di riesame e di revoca. Ecogestione o Ecoaudit Introdotta dal Regolamento n. 761/2001. Ha lo scopo di monitorare l’assetto organizzativo delle aziende consentendo la registrazione in un apposito elenco comunitario (Eco-management and audit scheme, EMAS) di quelle seriamente impegnate in progetti di miglioramento dell’efficienza ambientale. ISO Introdotta nel 1996, International Standars Organization. Maggiore diffusione rispetto ad Emas, ha validità mondiale. Su processi produttivi e su prodotti Dal sito ISO (www.iso.org): Why standards matter What if standards did not exist? If there were no standards, we would soon notice. Standards make an enormous contribution to most aspects of our lives - although very often, that contribution is invisible. It is when there is an absence of standards that their importance is brought home. For example, as purchasers or users of products, we soon notice when they turn out to be of poor quality, do not fit, are incompatible with equipment we already have, are unreliable or dangerous. When products meet our expectations, we tend to take this for granted. We are usually unaware of the role played by standards in raising levels of quality, safety, reliability, efficiency and interchangeability - as well as in providing such benefits at an economical cost. ISO (International Organization for Standardization) is the world's largest developer of standards. Although ISO's principal activity is the development of technical standards, ISO standards also have important economic and social repercussions. ISO standards make a positive difference, not just to engineers and manufacturers for whom they solve basic problems in production and distribution, but to society as a whole. The International Standards which ISO develops are very useful. They are useful to industrial and business organizations of all types, to governments and other regulatory bodies, to trade officials, to conformity assessment professionals, to suppliers and customers of products and services in both

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public and private sectors, and, ultimately, to people in general in their roles as consumers and end users. ISO standards contribute to making the development, manufacturing and supply of products and services more efficient, safer and cleaner. They make trade between countries easier and fairer. They provide governments with a technical base for health, safety and environmental legislation. They aid in transferring technology to developing countries. ISO standards also serve to safeguard consumers, and users in general, of products and services - as well as to make their lives simpler. When things go well - for example, when systems, machinery and devices work well and safely - then it is because they conform to standards. And the organization responsible for many thousands of the standards which benefit society worldwide is ISO. The ISO Strategic Plan 2005-2010 outlines the global vision of the Organization in 2010, together with the seven strategic objectives set out to meet the expectations of the ISO members and stakeholders. Who ISO is ISO is a network of the national standards institutes of 157 countries, on the basis of one member per country, with a Central Secretariat in Geneva, Switzerland, that coordinates the system. ISO is a non-governmental organization: its members are not, as is the case in the United Nations system, delegations of national governments. Nevertheless, ISO occupies a special position between the public and private sectors. This is because, on the one hand, many of its member institutes are part of the governmental structure of their countries, or are mandated by their government. On the other hand, other members have their roots uniquely in the private sector, having been set up by national partnerships of industry associations. Therefore, ISO is able to act as a bridging organization in which a consensus can be reached on solutions that meet both the requirements of business and the broader needs of society, such as the needs of stakeholder groups like consumers and users. What ISO's name means Because "International Organization for Standardization" would have different abbreviations in different languages ("IOS" in English, "OIN" in French for Organisation internationale de normalisation), it was decided at the outset to use a word derived from the Greek isos, meaning "equal". Therefore, whatever the country, whatever the language, the short form of the organization's name is always ISO. How it all started International standardization began in the electrotechnical field: the International Electrotechnical Commission (IEC) was established in 1906. Pioneering work in other fields was carried out by the International Federation of the National Standardizing Associations (ISA), which was set up in 1926. The emphasis within ISA was laid heavily on mechanical engineering. ISA's activities came to an end in 1942. In 1946, delegates from 25 countries met in London and decided to create a new international organization, of which the object would be "to facilitate the international coordination and unification of industrial standards". The new organization, ISO, officially began operations on 23 February 1947. Read Friendship among equals - Recollections from ISO's first fifty year for a historical perspective of ISO.

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What 'international standardization' means When the large majority of products or services in a particular business or industry sector conform to International Standards, a state of industry-wide standardization can be said to exist. This is achieved through consensus agreements between national delegations representing all the economic stakeholders concerned - suppliers, users, government regulators and other interest groups, such as consumers. They agree on specifications and criteria to be applied consistently in the classification of materials, in the manufacture and supply of products, in testing and analysis, in terminology and in the provision of services. In this way, International Standards provide a reference framework, or a common technological language, between suppliers and their customers - which facilitates trade and the transfer of technology.

Il danno ambientale Vedere il codice dell´ambiente Artt. 299 300 301 304 305 306 311 318

Le biotecnologie – Gli organismi geneticamente modificati Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza relativo alla Convenzione sulla diversità biologica, 2000 D. Lgs. n. 224/2003, attuazione della dir. comunitaria n. 2001/18