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Appunti di Chirurgia Geriatrica

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Appunti di

Chirurgia Geriatrica

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Generalità sulla Chirurgia Geriatrica

L’intervento terapeutico nell’anziano ha questi obiettivi:

- massimizzare la potenziale aspettativa di vita, e la qualità della vi-

ta;

- eliminare la sofferenza (scopo palliativo!);

- essere interventi il meno deostruenti possibile.

La chirurgia può essere molto rischiosa per il paziente anziano. Il soggetto

anziano è difatti sovente portatore di uno stato di polipatologia. Inoltre bi-

sogna tener conto che, spesso, l’intervento chirurgico viene effettuato

d’urgenza anziché in elezione; questo comporta un notevole problema per

la sua salute, dato che stress del genere sono poco tollerabili. Si è calcolato

infatti che all’aumentare del numero delle malattie associate, la mortalità

aumenta. Ad esempio, per una malattia associata la mortalità post-

operatoria è del 6%, mentre per 4 malattie associate la mortalità sale al

76%. In geriatria è più difficile sopravvivere alle complicazioni. In genere

in urgenza la mortalità è da 3 a 10 volte più grande che in elezione.

E’ possibile classificare i pazienti geriatrici in queste categorie:

I) individuo in normali condizioni di salute;

II) paziente con malattia sistemica di lieve entità;

III) paziente con malattia sistemica di media entità, non invalidante;

IV) paziente con malattia sistemica invalidante, che costituisce un

costante pericolo per la sopravvivenza;

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V) paziente moribondo, che non si ritiene possa sopravvivere per

più di 24 ore con o senza l’intervento chirurgico.

Il tipo di paziente può essere quindi “I”, “II”, “III”, etc; all’indicazione

viene aggiunta una “E” se necessita di un intervento di urgenza. Questa

suddivisione in classi è stata effettuata dalla A.S.A. Americana. La IV clas-

se ASA ha una mortalità del 35%, la V classe ASA del 100%.

La mortalità post-operatoria può essere dovuta a:

a) cause respiratorie (atelettasia, polmoniti);

b) cause cardiache (infarto, aritmie, edema polmonare acuto, scom-

penso);

c) infezioni (peritoniti da G-);

d) tromboembolia polmonare (importante la profilassi eparinica);

e) malattie cardiovascolari;

f) insufficienza renale;

g) ictus cerebrale;

h) deficit nutrizionale.

Una condizione di malnutrizione è riscontrata nel 50% dei pz ospedalizza-

ti in chirurgia, e nel 44% di quelli in medicina. Le cause di malnutrizione

sono da ricercarsi in una cattiva dentizione, della diminuzione del “gu-

sto”, nella disfagia, in malattie croniche, in disturbi neurologici e psicolo-

gici. Indicatori di malnutrizione nell’anziano solo la perdita di peso, ipoal-

buminemia, scadimento del “performance status”, altri segni biochimici.

Ovviamente la diminuzione dell’introito di cibo diminuisce il substrato

energetico a disposizione per il metabolismo, con ciò che ne segue.

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La malnutrizione è anche importante per il pz chirurgico; essa va corretta

in qualche giorno prima dell’intervento chirurgico (ovviamente questo

non è possibile in urgenza). L’apporto calorico va dunque aumentato per

os o per via parenterale.

Bisogna fare molta attenzione alla refeeding syndrome; si tratta di un sovrac-

carico di liquidi nello spazio interstiziale che può instaurarsi se la nutri-

zione è incrementata molto già da subito. Per evitare che questo avvenga

bisogna correggere gradualmente lo stato nutritivo del soggetto.

La via enterale è preferibile; si può usare la bocca o un sondino; per bocca

quando il pz è in grado di assumere il 50% del fabbisogno calorico (si dà

miele, marmellata, pappa reale). Se il pz non ci riesce, è il caso di applicare

un sondino (naso-gastrico o anche gastrostomico, o anche digiunostomico

– se c’è stenosi pilorica, ad es.,).

La nutrizione tramite sonda può dar luogo a complicanze, e queste posso-

no essere:

a) meccaniche – ostruzione meccanica da parte dei cibi, dislocazioni

anomale del sondino, gocciolamento peritoneale;

b) metaboliche – refeeding sindrome, disidratazione, iponatriemia, i-

perglicemia, aumento dell’azotemia.

La nutrizione parenterale è indicata quando c’è l’impossibilità assoluta ad

alimentarsi (es., fistola entero-cutanea, pancreatine acuta severa). Essa è

condotta utilizzando una vena periferica o centrale. Di solito si utilizzano

le vene periferiche perché sono più accessibili. La centrale si usa se biso-

gna dare molti liquidi e se c’è rischio di trombizzazione. Evitare eccessiva

quota proteica. Anche nella nutrizione parenterale ci sono complicazioni,

dovute alla presenza del catetere (febbre settica), trombosi della vena, tra-

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slocazione batterica (per “messa a riposo” dell’intestino e ipotrofia dei vil-

li) con rischio di sepsi e shock.

Per quanto detto, si vede bene che l’età avanzata IN QUANTO TALE non

è un fattore di rischio – di per sé – per la chirurgia geriatrica. Non è tanto

l’età anagrafica quella che conta, ma l’età “biologica”. Per questo qualcuno

diceva che la vecchiaia è un processo al quale il soggetto va preparato.

Il paziente geriatrico va affrontato direttamente, senza interporre – quan-

do è possibile – i familiari: ciò aiuterà il soggetto a partecipare attivamente

all’operazione, sentendosi direttamente “parte in causa” (gli anziani sono

spesso depressi!).

Con l’età si manifestano dei cambiamenti nella composizione corporea:

- aumento di : componente grassa, peso corporeo;

- diminuzione di : massa scheletrica, acqua totale, volume plasmati-

co.

L’acqua totale corporea decresce con l’età; si tratta perlopiù di una disidra-

tazione intracellulare. Aumenta pertanto il fabbisogno idrico, in ragione

anche della entità della dispersione individuale; il fabbisogno aumenta an-

cor di più in corso di malattia chirurgica. Per monitorare lo stato idrico bi-

sogna riportare:

a) peso corporeo giornaliero su letto-bilancia;

b) pressione e frequenza cardiaca;

c) entrate e uscite idriche;

d) ematocrito e dati sugli elettroliti;

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e) osmolarità plasmatici;

f) peso specifico urinario.

Con l’età avanzata si realizzano modificazioni varie a carico di organi e

apparati; ecco in rassegna i più importanti:

a) Vasi: placche fibrose, stenosi coronariche, iperplasia media e intima,

diminuzione della distensibilità con aumento della rigidità per

l’aorta e i grossi vasi, aumento della P.A., diminuzione della perfu-

sione coronarica (con rischio di ischemia miocardica).

b) Cuore: ipertrofia ventricolare sx, calcificazione e rigidità degli osti

valvolari, aumento della rigidità delle pareti cardiache, diminuzio-

ne della contrattilità, diminuzione dell’ “indice cardiaco”1, diminui-

ta sensibilità alle catecolamine (ciò porta a ridotta capacità di fare

tachicardia compensatoria), aritmie. La valutazione cardiologica

preoperatorie è fatta con ECH e prove funzionali (ad es., il “test del-

la bicicletta” (!); è un test dinamico in cui ci si aspetta una risposta

tachicardia; se la risposta non arriva o è molto sopita è indicativa di

patologia).

c) App. respiratorio: alterazioni della parete toracica, della muscolatu-

ra respiratoria, del parenchima polmonare; ciò porta all’aumento

della frequenza respiratoria e delle resistenza ventilatorie, e a una

riduzione dell’ampiezza delle escursioni respiratorie. Inoltre si ri-

duce l’area capillare effettiva e la diffusione gassosa, per cui le pro-

1 L’indice cardiaco è il rapporto tra la portata cardiaca e la superficie corporea; la sua diminuzione è dovuta alla riduzione del volume circolante e della energia contrattile.

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ve spirometriche e l’emogas danno risultati alterati rispetto al gio-

vane.

d) Rene: diminuisce la filtrazione glomerulare, i tubuli e i glomeruli

mostrano segni di senescenza, così come la membrana basale e

l’interstizio (fibrosi), per cui c’è una deficienza tubulare. Disunisce

la capacità di acidificare, di clearance dei farmaci, di concentra-

re/diluire le urine. Il rene non può più correggere le alterazioni i-

droelettrolitiche, acido/base, polemiche. E’ necessario ridurre il do-

saggio dei farmaci ad escrezione renale.

e) Digerente: alterazioni nella motilità esofagea, atrofia gastrica, villi

intestinali; si altera la muscolatura del colon (sviluppo facile di di-

verticoli).

f) Fegato: diminuisce la produzione di acidi biliari e aumenta quella

di colesterolo, diminuisce il flusso ematico per il fegato e il traspor-

to epatobiliare; e lievemente compromessa l’attività catabolica per i

farmaci. Il n. di epatociti invece aumenta (poliploidia, inclusioni),

mentre diminuisce il volume totale dell’organo.

g) Immunità: si ha un rallentamento generala di un po’ tutte le attività

(ipers. Ritardata, risposte alle vaccinazioni e agli agenti infettivi…),

per cui i quadri clinici risultanti saranno sfumati, e le infezioni più

frequenti. Gli organi linfoidi periferici divengono più piccoli, le cel-

lule T diminuiscono e divengono meno sensibili alle interleuchine,

ma più sensibili alle prostaglandine.

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Le alterazioni della funzionalità acido/base possono portare il soggetto in

acidosi. Per riportare il soggetto alla normalità occorre somministrare del

bicarbonato secondo questa formula:

deficit di HCO3 x peso corporeo in kg x 0,3

il risultato è in mEq.

Come si fa la valutazione preoperatoria del paziente?

1) anamnesi ed esame obiettivo;

2) routine ematochimica2;

3) ECG;

4) Rx torace;

Nel postoperatorio invece bisogna sapere che il pz sopporta meglio lo sta-

to patologico di base che le complicazioni. “Più controllo intensivo che te-

rapia intensiva”. Da controllare:

a) P.A, polso, aspetto clinico (se è “pallido è sudaticcio”: ipoglicemia);

b) Attività respiratoria;

c) Ossigeno, temperatura, controllo del dolore;

d) Volemia, peso corporeo, equilibrio acido/base;

e) Prevenzione della “coronembolia”, dei sanguinamenti gastroenteri-

ci, delle piaghe da decubito.

2 Emocromo, piastrine, clearance creatinina, uremia, glicemia basale, elettroliti, proteinuria, albu-minemia, prove emocoagulative.

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Patologia biliare

Si tratta di un gruppo di patologie che ha un’alta incidenza nella popola-

zione geriatrica; le patologie più frequenti sono la colecistite calcolosa, la

colecistite acuta e la calcolosi delle vie biliari.

Nell’invecchiamento la colecisti subisce delle modificazioni: la muscosa va

incontro ad atrofia per via della alterazioni circolatorie, la capacità contrat-

tile può risultare alterata; l’ epatocoledoco si dilata, e a livello della papilla

si realizzano alterazioni di stenosi e/o di insufficienza.

Colecistite calcolosa

Si tratta di una condizione patologica della colecisti che realizza un qua-

dro di infiammazione di lunga data (a volte il reperto è quello di una “co-

lecisti a porcellana”), spesso in soggetti che sono anche diabetici o cirrotici.

E’ un intervento che sovente viene fatto in elezione, quindi con tutta tran-

quillità. La diagnosi viene fatta valutando la storia pregressa del paziente,

e valutando la situazione colecistica per via ecografia; il quadro clinico o-

biettivo può essere molto scarso.

La terapia viene condotta perché previene le complicanze e risolve even-

tualmente dei sintomi “fastidiosi” che il paziente può accusare. La terapia,

chirurgica, può esser condotta per via tradizionale o per via laparoscopica.

La laparoscopia, qui come in altri casi, andrebbe sempre preferita, sebbene

in qualche caso vi sono delle controindicazioni.

Ad esempio, se il paziente ha una patologia respiratoria e/o una patologia

cardiovascolare non bisogna procedere. Infatti per effettuare la laparosco-

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pia bisogna insufflare in addome CO2, e ciò provoca un aumento di questa

sostanza nel sangue (l’anziano ha una buona capacità riequilibrativi?) e un

sollevamento del diaframma che può provocare una compressione sulla

vena cava e un deficit della funzionalità circolatoria.

Colecistite acuta

Pu rappresentare una complicanza della colecistite calcolosa; infatti il de-

cubito del calcolo nella colecisti può provocare una reazione infiammato-

ria acuta. Questa è molto pericolosa poiché espone a rischio di perforazio-

ne, di sovrainfezione (empiema, gangrena, colecistiti enfisematose).

Altre cause responsabili possono essere digiuno prolungato, nutrizione

parenterale totale, terapia intensiva, cardiopatie scompensate, traumi.

Il soggetto lamenta un dolore all’ipocondrio dx; c’è febbre, leucocitosi; a

volte, però, il dolore è più sopito, di tipo gravativo. La diagnosi è clinica

ed ecografia.

La terapia può essere medica (digiuno più antibiotici max per 2 gg) o chi-

rurgica se si prospettano complicazioni; in tal caso l’intervento è

d’urgenza.

Calcolosi delle vie biliari

E’ una patologia la cui clinica può essere silente; la diagnosi viene infatti

spesso fatta accidentalmente, durante un esame Ecografico. Oppure, la

diagnosi può essere fatta quando dovessero manifestarsi delle complican-

ze, come ad esempio una febbre di tipo settico. Raramente si manifesta un

itero, poiché la papilla, negli anziani, è spesso ipotonica e dunque inconti-

nente. La diagnosi può essere anche condotta con TAC o con ERCP. In tal

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caso, come sempre, l’intervento è diagnostico e terapeutico allo stesso

tempo.

Il trattamento, oltre che endoscopico, come già visto, può anche esser con-

dotto per via laparotomia: è possibile operare una coledocolitotomia (cioè

si apre il coledoco e si asporta il calcolo) o una papillosfinteroplastica.

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Patologia gastrointestinale

Ulcera peptica

L’ulcera peptica, nell’anziano, ha una prevalente localizzazione gastrica.

Essa origina da disturbi trofici dovuti a lesioni vascolari e anche alle ca-

renze, vitaminiche e proteiche, che l’anziano spesso manifesta. Accanto a

queste cause, sono anche frequenti nell’anziano ulcere da stress. Le ulcere

senili sono più grandi di quelle dell’adulto, hanno sede più alta e sono più

rischiose, poiché lo spessore del viscere è diminuito.

La clinica dell’ulcera peptica nell’anziano può essere silente, o accompa-

gnarsi a dolori vaghi e imprecisati; frequentemente l’esordio si realizza

tramite una delle temibili complicanze. La diagnosi è endoscopica.

Le complicanze sono rappresentate dall’emorragia e dalla perforazione.

L’emorragia può essere anche letale. L’emorragia viene trattata inizial-

mente in maniera “medica”, quindi si passa eventualmente ad un tratta-

mento endoscopico (sclerosi endoscopica dei vasi sanguinanti) o chirurgi-

co (in ultima analisi). Questo trattamento iniziale consiste innanzitutto

nell’incannulare una vena per poter infondere liquidi; si monitorano p.a. e

frequenza cardiaca, si compiono esami in urgenza. Attraverso un sondino

è possibile analizzare il sangue versato, e dalle sue caratteristiche è possi-

bile capire la gravità del processo (sangue rutilante indica che il soggetto

sta sanguinando al momento!). La sede dell’emorragia va lavata e tampo-

nata utilizzando il Maalox (idrossido di Magnesio e di Alluminio), quindi

il paziente va messo a digiuno (diminuisce l’acidità), e va trattato con o-

meprazolo e similari; possono essere somministrati farmaci che riducono

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l’ipertensione portale (se presente, come avviene ad es., nei cirrotici). Se

occorre, c’è l’indicazione alla trasfusione.

La perforazione dell’ulcera aumenta la sua frequenza in età avanzata; si

tratta di un intervento d’emergenza con alta mortalità. Il classico dolore “a

pugnalata” del soggetto adulto qui può essere del tutto assente, o sostitui-

to da un dolore vago. L’anziano può non manifestare subito febbre e leu-

cocitosi, può non manifestare da subito un addome acuto. Al momento in

cui vien condotto un esame Rx può non visualizzarsi la falce d’aria sotto-

diaframmatica, poiché l’epiploon può aver avuto il tempo di coprire la

perforazione. In tali casi la laparotomia è diagnostica. Nei casi dubbi si e-

segue una TAC. Il trattamento antibiotico va effettuato prima e dopo

l’intervento.

Stenosi pilorica

La condizione di stenosi pilorica nell’anziano è diagnosticata con ritardo

rispetto al soggetto giovane, poiché nel vecchio la senescenza gastrica

comporta di per sé una gastrectasia; lo stomaco diminuisce il peso, e

l’ipotrofia ghiandolare, tra l’altro, offre spesso quadri di gatrite atrofica.

La stensi pilorica può conseguire ad un’ulcera peptica; più spesso è una

patologia di vecchia data, quindi cronica.

Il paziente manifesta un vomito a distanza dai pasti: mangia ma non in-

grassa; egli ha anche una alcalosi ipocloremica e segni di disidratazione.

La diagnosi è fatta con endoscopia o per via radiologica.

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In caso di stenosi serrata il trattamento chirurgico prevede dilatazione, pi-

loroplastica, interventi derivativi (di cui il più utilizzato è la gastrodigiu-

nostomia).

CR gastrico

E’ una tipica malattia della terza età, molto frequente in Giappone. Fattori

connessi con il suo sviluppo sono una dieta squilibrata, acloridria, presen-

za di polipi con diametro superiore a 2 cm.

La sintomatologia, variabile e sfumata, fa sì che la diagnosi sia tardiva; in-

tanto si assiste ad anoressia e dimagramento. Un sintomo classicamente

descritto è la sarcofobia (il paziente non ha più gusto nel mangiare carne).

La diagnosi è con endoscopia + biopsia, TAC per stadiazione. Terapia chi-

rurgica al più presto possibile e anche a semplice scopo palliativo.

Occlusione intestinale

Frequente nell’età anziana, riconosce tra le cause più frequenti:

a) strozzamento erniario;

b) neoplasie;

c) carenza di elettroliti;

d) allettamento;

e) sovradosaggi di antidepressivi;

f) bezoario;

g) fecalomi;

h) ileo biliare;

i) briglie aderenziali;

j) masse endoaddominali.

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L’occlusione intestinale realizza una dilatazione dell’ansa a monte, con i-

persecrezione ghiandolare. Ciò non fa che aumentare la pressione endo-

luminale, e si riflette sul tirono venoso, che viene ostacolato; alla fine si ha

un edema della parete, che può portare a seri disturbi trofici. Le conse-

guenze generali sono un aumento della pressione endoaddominale, che

comporta una ridotta mobilità del diaframma e un aumento riflesso della

pressione endotoracica. Nel torace si possono realizzare disturbi da com-

pressione sulla vena cava inferiore, con ciò che può seguirne (aumento

della p.a. per deficit di ritorno venoso).

E’ possibile distinguere una occlusione intestinale “alta” da quella “bas-

sa”. Nella forma alta:

- addome piatto;

- vomito, con perdita di acqua e sali;

- la terapia mira soprattutto a correggere gli squilibri idroelettrolitici.

Nella forma bassa, invece (di solito localizzata al colon sx e dovuta a vol-

volo o a sviluppo di fecalomi; raramente per neoplasia):

- distensione addominale anche notevole;

- scarsità dei fenomeni relativi a turbe elettrolitiche, perlomeno pre-

cocemente;

- possibile effetto sulla continenza della valvola ileocecale.

Bisogna in ogni caso riequilibrare il paziente. L’intervento chirurgico pre-

vede l’operazione di stomia; di solito si opera una colonstomia. Altri in-

terventi possibili, ma più difficilmente eseguiti, sono la ciecostomia e una

operazione in un tempo unico di resezione + anastomosi.

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Disturbi vascolari intestinali

Di norma il letto vascolare splancnico è soggetto ad una autoregolazione

che coinvolge i valori della p.a. e della pressione parziale di ossigeno.

Questi meccanismi possono essere alterati nell’anziano, che quindi risulta

più a rischio di sviluppare disturbi vascolari in sede intestinale; a ciò si

aggiunge il fatto che il soggetto può essere portatore di placche ateromato-

se lungo i rami mesenterici.

Tutto ciò espone il soggetto anziano ad una continua lieve ipossia che, a

lungo andare, fa sentire i suoi effetti soprattutto nelle parti più superficiali

dell’intestino, e cioè sulla mucosa.

Gli eventi più temibili comportano edema della parete, stravaso emorragi-

co per alterazione della permeabilità vasale, sofferenza dei tessuti; è possi-

bile che si realizzi un quadro di shock settico. Le “conclusioni” possono

giungere a scompenso cardiaco e ipovolemia.

ICMC – Insufficienza celiaco-mesenterica cronica

Si tratta del quadro delineato dalla presenza di lesioni vascolari che pos-

sono essere congenite o meno (ad esempio possono essere di carattere ate-

rosclerotico, come spesso in realtà accade nell’età anziana). Le lesioni ate-

rosclerotiche si realizzano dapprima nella mesenterica superiore, poi nella

inferiore; possono anche svilupparsi nel tripode celiaco. Esse si fanno mol-

to pericolose quando determinano una stenosi superiore al 50% del lume

del vaso e una pressione che non supera i 70 mmHg.

Il paziente lamenta un dolore postprandiale, dimagramento, alterazioni

dell’alvo (stipsi o diarrea); è possibile il riscontro di un soffio addominale

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all’origine della mesenterica superiore, e di segni di vasculopatia sistemica

(ad es., segni di sofferenza delle estremità degli arti). Il paziente può anche

avere sangue nelle feci.

Per diagnosticare una condizione del genere si possono eseguire dei test

utilizzando sostanze vasodilatatrici come la trinitrina o l’alcol. Queste so-

stanze causeranno un miglioramento della sintomatologia.

La terapia è medica (anticoagulanti, vasodilatatori) o chirurgica. Si posso-

no fare interventi diretti di angioplastica oppure inserire un by-pass.

Quando si usano by-pass non dovrebbero essere utilizzati quelli composti

da materiale sintetico.

IVMA – Infarto intestinale acuto

E’ una condizione rara, ma drammatica. Colpisce soprattutto i soggetti di

sesso maschile. Di solito si tratta di un disturbo di circolo arterioso, piutto-

sto che venoso. Alla base c’è:

a) aterosclerosi;

b) embolia;

c) cause funzionali (vasospasmo).

Anche in questo caso, la obliterazione del vaso risulta critica quando è su-

periore al 50% e causa una pressione endoluminale inferiore a 70 mmHg.

La mortalità è più elevata in caso di trombosi mesenterica che non per o-

struzione embolica.

Il paziente sta malissimo, ma a volte il quadro può essere anche poco o

nulla significativo (specie se in fase precoce). All’anamnesi è spesso de-

nunciata claudicatio intermittens, valvulopatia, cardiopatia.

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La diagnosi è spesso “di sospetto”; una laparoscopia è diagnostica. Il so-

getto ha anche leucocitosi (ma non febbre), aumento di Hct, della fosfatasi

alcalina, alcalosi metabolica. Altri espedienti diagnostici sono la Rx diretta

addome e l’arteriografia.

La terapia è chirurgica; nella fase pre-infartuale si può condurre un inter-

vento sui vasi, nella fase avanzata non c’è che da operare una resezione in-

testinale, ben ricordando, comunque, che l’anastomosi crea sempre un ri-

schio di deiscenza.

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Arteriopatie obliteranti croniche – A.O.C.

Le AOC degli arti inferiori rappresentano una delle più frequenti manife-

stazioni dell’aterosclerosi. Maggiore prevalenza nei maschi. La localizza-

zione è distrettuale e la sintomatologia dipende dalla sede ed è evolutiva.

In ordine di frequenza, le arterie interessate sono:

1) femorali;

2) sedi aorto-iliache;

3) periferiche;

4) metà superiore del corpo.

Fattori di rischio sono fumo, diabete, ipertrigliceridemia, ipertensione ar-

teriosa. La placca ateromatosa causa una riduzione del flusso; si formano

circoli collaterali che garantiscono una perfusione sufficiente a riposo ma

inadeguata con l’attività; conseguono variamente disturbi trofici.

L’esame obiettivo consente di far sì di formulare diagnosi di arteriopatia

sia in senso orientativo sia in relazione allo stadio della malattia. Perché ci

sia una riduzione è necessario che almeno i 2/3 del lume arterioso siano

ostruiti. Si possono ascoltare dei soffi. Le loro caratteristiche sono:

- stenosi moderata acme in protosistole;

- stenosi media acme in mesosistole;

- stenosi grave acme in telesistole con prolungamento diastolico;

il tutto si rileva meglio dopo esercizio fisico.

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Come si classificano clinicamente queste arteriopatie?

- I stadio: sintomatologia silente;

- II stadio : claudicatio intermittens;

- III stadio: dolore a riposo;

- IV stadio: lesioni trofiche.

I sintomi quindi sono claudicatio intermittens, dolore a riposo, lesioni tro-

fiche. La claudicatio compare dopo uno sforzo muscolare e regredisce con

il riposo. Varia da sensazione di fastidio a dolore crampiforme. Esprime

l’inadeguatezza del flusso ematico in condizione di maggiore richiesta ed

è causata dall’ischemia muscolare. E’ sempre provocata dall’attività fisica;

remissione completa del sintomo con la fine dell’attività fisica.

Il dolore a riposo è un segno clinico grave, è espressione di ridotta irrora-

zione cutanea; dolore a insorgenza notturna, a riposo, stimolato dal fred-

do. Il dolore è riferito al piede, è resistente agli analgesici.

Le lesioni trofiche hanno sedi acrali, al calcagno, al malleolo laterale. Sono

ulcere piccole, superficiali, con margini irregolari, con scarso tessuto di

granulazione; compaiono spontaneamente o dopo lieve trauma, il dolore

associato è variabile.

Si può avere una gangrena, secca o umida; il dolore è molto intenso, o può

essere assente per necrosi delle terminazioni sensitive.

La diagnosi è strumentale (Doppler vasi, arteriografia). Trattamento con

agioplastica. In realtà, però, il trattamento varia con lo stadio clinico:

l’indicazione chirurgica è assoluta per il III e IV stadio, è relativa per il II. Il

tutto dipende da fattori locali (sede, estensione, pervietà vie di afflusso, ca-

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libro del vaso, calcificazioni) e generali (assenza di disturbi coronarici o ce-

rebrali, malattie gravi). Ovviamente occorre comunque associare medica-

menti:

a) stadio II: cardiocinetici, mantenimento p.a. adeguata;

b) stadio III: in più, elevazione della testa e del tronco, terapia ipovo-

lemizzante ed emodiluizione, antiaggreganti, analgesici, fibrinoliti-

ci; indicazione chirurgica.

La terapia chirurgica mira alla rivascolarizzazione; può anche essere con-

dotta una simpaticetomia (nelle situazioni iniziali in cui non c’è ostruzione

completa del vaso).

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Piaghe da decubito3

Eziopatogenesi:

a) pressione localizzata;

b) atrofia cutanea e muscolare;

c) sovrainfezione (ad es., da incontinenza);

d) malnutrizione e metabolismo.

Si classificano in:

a) piaghe “acute” o da stress;

b) piaghe propriamente dette, in zona sacrale e/o calcaneale;

c) piaghe “croniche”; sono numerose e tendono alla confluenza.

Nel tempo di realizza un edema, con arrossamento della parte, una necro-

si superficiale, con formazione di un’escara, e una gangrena. Questo porta

alla formazione di un vero “piastrone” e quindi all’ulcera, oppure può ri-

manere tale e dar luogo alla cosiddetta “piaga torpida”.Il trattamento è

generalmente preventivo. Alimentazione ipercalorica e iperproteica per

os, correzione della iperglicemia, ipoalbuminemia, tasso di Hb; igiene per-

sonale, cateterismo vescicole in caso di incontinenza, materassi antidecubi-

to (di solito materassi ad acqua).

La piaga viene medicata accuratamente, evitando contaminazioni succes-

sive.

3 Di questo argomento c’è una lezione fatta dal prof. Capurso; una volta fatta quella… questa è i-nutile.

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Prolasso del retto

E’ una patologia dell’età avanzata, ma vi sono anche casi pediatrici, di na-

tura verosimilmente malformativa.

Si tratta della fuoriuscita, attraverso lo sfintere anale, di tutta l’ampolla ret-

tale, o di parte di essa, con protrusione di tutta la parete. La sua esterioriz-

zazione può essere spontanea o in occasione del “ponzamento”4.

Diversa è invece la situazione del prolasso mucoso del retto. In questo ca-

so si tratta dello scivolamento del solo strato mucoso, trasportato dalle feci

in occasione del ponzamento. Il prolasso mucoso può essere associato a

manifestazioni emorroidarie (le emorroidi non sono altro che vasi sotto-

mucosi, posizionati oltre la linea dentata).

Dunque possiamo dire che esiste un prolasso rettale completo e un prolas-

so rettale mucoso. Il prolasso rettale completo comporta:

a) mantenimento in sede dello sfintere anale;

b) presenza di uno strato intermedio di divisione tra parete rettale e

cilindro di ampolla disceso;

c) all’ispezione, il cilindro rettale disceso mostra pliche concentriche;

d) necessità di parecchio tempo per essere evidente clinicamente.

Il prolasso rettale mucoso, invece:

a) non manifesta la presenza del “solco” di separazione (infatti il retto

non discende per tutta la sua estensione parietale);

b) all’ispezione, la parte discesa presenta pliche radiali;

c) la patologia è di facile evidenziazione e manifestazione.

4 Si prega vivamente di usare questo termine elegantissimo.

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Per spiegare il prolasso rettale completo sono state approntate due teorie.

Secondo una di esse, esso sarebbe dovuto ad un aumento persistente e in-

gravescente della pressione endoaddominale nello scavo del Douglas;

questo comporterebbe un sempre maggiore abbassamento del punto più

declive dello scavo stesso, fino a provocare una discesa della parete rettle

per compressione dall’interno. Secondo altri, invece, il prolasso derivereb-

be da una lassità del retto, stimolata dal transito delle feci: è solo il retto ad

essere debole, per questo lo sfintere anale resta in sede.

Quest’ultimo fenomeno è alla base della stipsi che spesso viene accusata: il

manicotto rettale trasportato dalle feci non fa che precludere il corretto

transito; contemporaneamente la pressione locale è molto elevata, e ciò da

luogo a un fastidioso tenesmo, che perdura finchè non si realizza una ipo-

tonia sfinteriale, che però causa incontinenza rettale.

Il prolasso rettale mucoso, invece, sarebbe dovuto all’esistenza di un pun-

to isolato circonferenziale della parete del retto che tende ad invaginarsi;

punto che si trova più in basso di quello che sarebbe responsabile del pro-

lasso rettale completo.

Situazioni che predispongono al prolasso sono:

a) diastasi della “fionda degli elevatori”, formazione anatomica che

entra nella costituzione del pavimento pelvico;

b) condizioni di dolicocolon o dolicosigma;

c) “ano beante”, cioè più largo del normale;

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d) disposizione più rettilinea del solito dell’ampolla (variabilità ana-

tomica individuale).

In pratica in tutti questi casi viene meno la capacità di resistenza dei tessu-

ti; e questa situazione si aggrava con il tempo.

Ovviamente da questa condizione il paziente riceve notevoli disagi: la

mucosa è all’esterno, e quindi può infettarsi più facilmente, ha danni trofi-

ci (può ulcerarsi), determina, come abbiam visto, alterazioni del tono sfin-

teriale e incontinenza.

La terapia è chirurgica, e può prevedere:

- ancoraggio del retto alla parete pelvica ossea;

- utilizzo di una rete di materiale protesico che realizzi una forte cica-

trizzazione che causi quindi aderenza degli strati rettali;

- resezione del retto con anastomosi a sigma o a parte del retto che

rimane in situ.

Gli interventi vanno eseguiti da personale specializzato ed esperto.

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