Appunti del Corso di Patologia e Fisiopatologia...

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Università degli Studi del Piemonte Orientale A. Avogadro Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Appunti del Corso di Patologia e Fisiopatologia Generale del Professor E. Albano - PARTE 1 - A.A. 2013/2014

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Università degli Studi del Piemonte Orientale A. Avogadro

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

Appunti del Corso di Patologia

e Fisiopatologia Generale del

Professor E. Albano

- PARTE 1 -

A.A. 2013/2014

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INDICE FISIOPATOLOGIA

L’INFIAMMAZIONE ....................................................................................................................... 3

Gli attori del processo infiammatorio ...................................................................................... 3

La fase vascolare ............................................................................................................................ 4

Infiammazione sierosa ............................................................................................................... 6

Infiammazione siero-fibrinosa .................................................................................................. 6

Infiammazione catarrale ........................................................................................................... 6

Infiammazione purulenta .......................................................................................................... 6

Infiammazione emorragica ....................................................................................................... 6

I mediatori del processo infiammatorio ....................................................................................... 7

Attivazione della risposta infiammatoria ................................................................................. 7

Sostanze che mediano l’infiammazione .................................................................................. 10

Diapedesi leucocitaria .................................................................................................................. 17

Selectine, loro recettori e loro attività .................................................................................... 18

Ruolo delle piastrine nel processo di diapedesi leucocitaria ................................................ 18

Fagocitosi ...................................................................................................................................... 20

Terminazione dell’infiammazione .............................................................................................. 22

Infiammazione cronica ................................................................................................................ 24

RISPOSTE SISTEMICHE ALL’INFIAMMAZIONE ................................................................ 28

Leucocitosi .................................................................................................................................... 28

Risposta di fase acuta ................................................................................................................... 28

Effetti metabolici .......................................................................................................................... 29

Patogenesi della sindrome infiammatoria sistemica (SIRS) e dello shock settico .............. 30

Patogenesi dell’ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome) .......................................... 30

Febbre ........................................................................................................................................... 30

Fisiopatologia della febbre ...................................................................................................... 31

Evoluzione del processo febbrile ............................................................................................. 31

LA FIBROSI ..................................................................................................................................... 33

La cirrosi epatica .......................................................................................................................... 33

MECCANISMI DI RIPARAZIONE DEL DANNO TISSUTALE ............................................. 34

Riparazione delle ferite dermo-epidermiche e del tessuto epiteliale ....................................... 34

Reclutamento della risposta infiammatoria .......................................................................... 34

Neoangiogenesi ......................................................................................................................... 35

Riparazione ............................................................................................................................... 36

Riparazione delle fratture ossee .................................................................................................. 38

Guarigione del tessuto nervoso ................................................................................................... 39

Gli esiti del processo di riparazione ............................................................................................ 39

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L’INFIAMMAZIONE

L’infiammazione è la risposta al danno da parte dei tessuti vascolarizzati. Il suo scopo è quello di

reclutare materiale difensivo nella sede danneggiata. Non è quindi uno stato, bensì un processo e

come tale presenta una dinamica propria. Inoltre, si integra con la risposta immunitaria ed è

filogeneticamente molto antica. Le interazioni tra le due entità avvengono sia nella fase di

riconoscimento della noxa patogena, sia nella fasi effettrici e di riparazione.

Il processo infiammatorio è noto da tempi immemorabili per quanto concerne il suo quadro

sintomatologico(tumor, dolor, calor,

functio lesa). Inoltre, esistono dei

modelli costantemente riprodotti nei

processi infiammatori acuti.

es. polmonite acuta: alveoli che

presentano dilatazione dei vasi e pieni di

essudato(tante cellule).

es. miocardite acuta: il tessuto

danneggiato risulta profondamente

infiltrato da cellule infiammatorie.

L’infiammazione presenta una sua particolare evoluzione; se

la causa del danno è eliminata si determina infiammazione

acuta e poi guarigione, mentre, la causa perdura nel tempo, si

determina infiammazione cronica.

Gli attori del processo infiammatorio

Le cellule che vengono coinvolte nel processo infiammatorio sono quelle che è possibile ritrovare

nei vasi sanguigni, soprattutto a livello del distretto capillare. Tra questi vi sono cellule endoteliali,

leucociti, suddivisibili in granulociti(eosinofili, basofili e neutrofili) e agranulociti(monociti e

linfociti), globuli rossi e piastrine.

• Neutrofili: presentano citoplasma acidofilo con numerosi granuli distinti

in primari, con ricco contenuto di proteine ad azione difensiva come

lisozima, enzimi litici e mieloperossidasi, secondari, con proteine ad

azione difensiva come lisozima e lattoferrina, e terziari, contenenti

diversi enzimi litici. Il contenuto viene riversato all’esterno con

vescicole, dove esegue diverse funzioni.

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• Monociti: numericamente meno numerosi, hanno vita lunga e possono anche proliferare; sono

divisi in monociti circolanti, grosse cellule dal grande nucleo e dal citoplasma grigiastro

ricco di granuli contenenti enzimi litici e un vasto

corredo di mitocondri, in grado di modificare il loro

assetto differenziativo producendo grande varietà di

mediatori, e una seconda popolazione che non viene

reclutata subito, ma è coinvolta nei processi della

risposta ripartiva(non è ancora chiara la loro funzione). I

macrofagi tissutali derivano dai monociti che possono

differenziarsi in diverse tipologie di macrofagi. Ognuna di queste varianti ha caratteristiche

diverse e costituiscono sentinelle che si attivano in risposta al danno.

• Mastocita basofili: poco numerosi, ma molto specializzati. Precursori di cellule presenti nel

tessuto noti come mastcellule, dove si localizzano le IgE e si attivano in caso di allergie ed

infiammazioni rilasciando soprattutto istamina.

• Eosinofilo: rappresentano il 2% delle cellule del sangue; partecipano alla

difesa dei parassiti e alla regolazione del processo immunitario.

• Linfociti: cellule chiave nelle risposta immunitaria, interagiscono con i

monociti nella risposta infiammatoria.

• Plasmacellule: ricche di reticolo endoplasmatico rugoso necessario alla

sintesi di anticorpi.

• Piastrine: mancano di nucleo; si attivano dopo il danno legandosi fra loro

e liberando il contenuto dei loro granuli. Partecipano alla sintesi di

mediatori coinvolti nella terminazione dei processi infiammatori.

Importanti per la riparazione tissutale: interagiscono con cellule

endoteliali, che presentano molecole di adesione se infiammate.

• Cellule endoteliali: libera fattori proinfiammatori ed esprime molecole di

adesione e regola il tono vascolare e quindi la quantità di sangue che affluisce.

Le cellule derivano da un precursore comune. La sintesi è regolata dalle stesse risposte

infiammatorie.

La fase vascolare

I vasi sanguigni rappresentano il punto chiave del processo infiammatorio.

Dopo un taglio sulla cute si possono osservare i segni clinici

dell’infiammazione, come ad esempio prendiamo il rubor(rossore).

Circa 20-40 secondi dopo la lesione, l’area appare arrossata, per

attivazione di istiociti e mastociti; si osserva quindi una zona di

iperemia dovuta a

vasodilatazione (in seguito

all’apertura di sfinteri precapillari con conseguente aumento del

flusso sanguigno)e attorno alla zona lesa appare un alone

arrossato. Dopo 1-3 minuti la zona si presenta ancora arrossata,

ma la parte centrale è pallida e da essa fuoriesce del liquido (la

pressione tende a ridurre l’iperemia).

Un aspetto importante è dato dall’innervazione: dalle fibre

sensitive che innervano gli sfinteri precapillari, stimolate dalla

lesione, liberano sostanza P e/o ATP, condizione che determina

apertura dello sfintere. Si ha inoltre attivazione di istiociti e

mastcellule, che degranulano liberando istamina, la quale

determina vasodilatazione.

A livello dei capillari si ha aumento del flusso sanguigno con

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espansione del letto capillare stesso, che determina quindi il quadro di iperemia. Questa variazione

del microcircolo modifica i livelli di pressione dei capillari ed è responsabile del cosiddetto tumor,

ossia dell’aumento della permeabilità.

È importante tenere conto delle forze implicate nella filtrazione e nel riassorbimento dei liquidi

lungo i capillari e le venule (legge di Starling degli scambi idrici capillari). In particolare, si ha

partecipazione della pressione laterale o idrostatica e della pressione oncotica.

Il liquido che fuoriesce forma l’essudato

infiammatorio.

Per evidenziare il tumor si effettua un

esperimento: dopo aver iniettato in circolo

dell’inchiostro di china si osserva dove si

posizionano le particelle di nerofumo; è

possibile notare che esse si localizzano negli

spazi sottoendoteliali. Quindi, non solo aumenta

il numero di capillari inondati di sangue, ma si

determina anche un fenomeno per cui si ha

passaggio di particelle; ciò avviene grazie alla

contrazione delle cellule endoteliali, che

delimitano dei varchi tra esse stesse. In questo

modo si ha aumento della permeabilità capillare.

Ci sono cause ed entità diverse per quanto

riguarda l’aumento della permeabilità:

• Casi lievi, di breve durata, per squilibri idrostatici, che vedono transitori aumenti della

permeabilità

• Ferite e ustioni di modesto grado sono caratterizzate da aumenti di permeabilità più massicci

• Casi gravi (ustioni termiche, ipossia, sindrome da schiacciamento) in cui è possibile

riscontrare danni all’epitelio, elevata fuoriuscita di liquidi e passaggio di componenti

proteici; possono fuoriuscire anche le cellule.

La formazione dell’essudato è dovuta ad alterazioni a livello degli equilibri idroelettrolitici, con

aumento della permeabilità capillare. Si ha una distinzione tra trasudato ed essudato:

• Trasudato: ha peso specifico inferiore a 1,012 (simile a quello dell’acqua), è caratterizzato da

un basso contenuto proteico. Si forma per alterazione degli equilibri idroelettrolitici, ma

senza aumento della permeabilità vascolare(es. idrotorace)

• Essudato: ha peso specifico superiore a 1,020, la quantità di proteine totali è maggiore che nel

trasudato. La sua formazione deriva dalla variazione degli equilibri idroelettrolitici e

dall’aumento della permeabilità capillare(es. pleurite acuta)

La finalità del processo infiammatorio è il trasferimento dal sangue all’interstizio di sostanze

tramite l’essudato. Alcune forme di essudato infiammatorio prevedono anche il passaggio di cellule,

che è un fenomeno attivo. Grazie ai segnali che determinano il trasferimento delle cellule dal

sangue agli spazi intercellulari si forma l’infiltrato infiammatorio. Le cellule che possono essere

coinvolte sono leucociti, talvolta eritrociti (ad esempio nella polmonite lobare), per aumento della

permeabilità vascolare, passaggio di proteine e cellule della serie bianca e rossa (microemorragia).

La composizione cellulare dell’infiltrato infiammatorio non è costante nel tempo. In generale, la

prima tipologia di cellule coinvolta è data dai granulociti neutrofili, che compaiono nell’essudato

già nelle prime ore. La loro presenza nell’essudato è transitoria, essi infatti sono destinati a essere

rimpiazzati (dopo l’attivazione vanno incontro ad apoptosi) da altri tipi cellulari. Nelle fasi avanzate

si assiste al reclutamento dei monociti, che differenziano in cellule macrofagiche a lunga

sopravvivenza. I monociti-macrofagi possono essere anche responsabili della perpetuazione cronica

dell’infiammazione. Successivamente intervengono cellule specializzate, i linfociti (il loro

reclutamento può avvenire o meno, se avviene esso è tardivo). Spesso nelle infiammazioni acute i

linfociti non sono reclutati, oppure vengono reclutati tardi.

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La formazione dell’essudato si suddivide in 3 fasi:

• Iniziale transitoria, che dura circa 30 minuti e dipende dall’istamina.

• Immediata prolungata, che inizia subito e può durare anche diversi giorni; si deve alla lesione

dell’endotelio.

• Ritardata prolungata,che dura da 4 a 24 ore e può essere caratterizzata da dolore.

Infiammazione sierosa Processo flogistico caratterizzato da essudato limpido, povero di cellule e

fibrina che nella cute si può accumulare fra epitelio e derma a formare bolle o

flittene in conseguenza a stimoli di natura fisica o chimica(conseguenza della

permeabilità capillare modificata).

Infiammazione siero-fibrinosa Processo flogistico caratterizzato da essudato ricco di fibrina, derivata

dalla trasformazione del fibrinogeno(es. miocardite fibrinosa da

infezione virale). Porta ad alterazione della superficie sierosa stessa.

Infiammazione catarrale Interessa mucose che producono muco per la presenza di cellule caliciformi mucipare, quali le vie

aeree superiori, l’apparato gastroenterico e l’apparato urogenitale, con la formazione di un essudato

ricco di muco che possiede attività battericida poiché contiene ferritina, lisozima ed IgA secretorie.

Infiammazione purulenta Caratterizzata dalla presenza di essudato ricco di cellule flogistiche, chiamato pus. Ha consistenza

cremosa, colore giallastro e pH acido(circa 5,7) dovuto alla presenza di acido

lattico. È prodotto in presenza di batteri detti piogeni(es. meningite

purulenta). Il pus tende a raccogliersi in cavità a formare ascessi. Si forma

per necrosi colliquativa del tessuto e circoscritta da una membrana costituita

da tessuto di granulazione detta membrana piogena. Se l’essudato purulento

non è circoscritto si forma un flémmone, mentre se si raccoglie in cavità

preformate, quali pleura, peritoneo ecc.., si crea un empiema.

Infiammazione emorragica L’infiltrato flogistico è caratterizzato dalla presenza, oltre che di leucociti, anche di un’elevata

quantità di globuli rossi, provocata da una lesione diretta dei capillari ad opera di una noxa

patogena(es. polmonite acuta).

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I mediatori del processo infiammatorio

I mediatori coinvolti nel processo infiammatorio sono responsabili della formazione di un’intricata

rete di segnali. Molti dei mediatori hanno funzioni pleiotrope, ossia svolgono più attività

contemporaneamente. Si possono immaginare come parole, che assumono un significato diverso a

seconda della frase. Molti di essi sono strettamente interdipendenti nell’interazione tra immunità

innata e specifica.

L’immunità innata coinvolge molte cellule e costituisce la prima risposta. L’immunità specifica

coinvolge poche cellule in quella che è la seconda risposta.

Attivazione della risposta infiammatoria L’attivazione della risposta infiammatoria può essere scatenata mediante due diversi meccanismi:

• segnali derivanti da agenti infettivi: PAMPs (Patogen Associated Molecular Patterns)

• segnali derivanti dal danno cellulare: DAMPs (Damage Associated Molecular Patterns).

I PAMPs e i DAMPs sono recepiti dai PRR (Pattern Recognition Receptors), recettori a bassa

affinità che determinano l’attivazione delle risposte cellulari, con rilascio di mediatori della risposta

infiammatoria.

Esempi di PAMPs:

• Lipoproteine

• Glicolipoproteine

• Lipopolisaccaridi

• Acido lipoteicoico

• Flagellina

• DNA e RNA a doppio o singolo filamento

• Peptidoglicani

• Peptidi formilati (formil-metionina)

• Glicidi contenenti mannosio

• Zimosano

• Lipidi ossidati

I PRR possono essere

• recettori solubili:

- collettine: lectina legante il mannosio (MBL), proteine A e D del surfactante (SP-A, SP-D),

dectina 1 e 2, ficoline

- fattori del complemento

- pentrassine corte: proteina C reattiva (CRP), proteina sierica dell’amiloide (SAP)

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- pentrassine lunghe: PTX2-4, pentrassine neurali. Sono prodotte in periferia e legano cellule

in apoptosi oppure organismi patogeni.

• recettori di membrana (a 7 eliche):

- recettori dei peptidi formilati (FRP1, FRP2)

- recettori lectinici: recettori del mannosio

- recettori Toll-like

- recettori scavenger (spazzini): CD14, CD36,

RAGE, LOX1, SR-A, SR-B

• recettori citoplasmatici:

- recettori NOD (NOD1 e 2)

- recettori RIG-1-like (RLR): RIG-1, MDA5

- AIM-2

- NOD-like (NLPR1-14)

La famiglia dei Toll-Like Receptors (TLR) nell’uomo è formata da 9 membri e devono il loro nome

alla somiglianza con i recettori Toll, scoperti nelle mosche. Essi possono esistere in forma

monomerica oppure in forma dimerica e possono agire come recettori singoli oppure combinati con

altre proteine di membrana, come ad esempio CD14.

I TLR hanno una vasta capacità di risposta a un gran numero di PAMPs, con un relativo grado di

specificità. Gruppi di TLR riconoscono gruppi di PAMPs e DAMPs.

Dall’interazione tra TLR4 e CD14 si scatena una via di trasduzione del segnale che culmina con

l’attivazione di NFkB, via attivata in risposta al riconoscimento da parte di CD14 del complesso di

LBP(Binding Protein) con LPS(lipopolisaccaridi batterici, soprattutto gram-). La porzione

intracellulare del TLR va incontro a una modificazione conformazionale, con conseguente

reclutamento di Myd88. Si forma un complesso

con due chinasi, IRAK-1 e IRAK-4, che

fosforilano TRAF6. La proteina TRAF6

fosforilata forma un complesso con TAK1 e

TAK2, che determina attivazione di NFkB. Ci

può essere il coinvolgimento di un’altra via, per

cui si attiva una cascata di chinasi che mantiene

i segnali proinfiammatori.

Alcuni TLR trasducono il segnale attraverso una

via indipendente, che coinvolge TIRF: si ha

aggregazione intracellulare, si attiva TRF3, ciò porta alla trascrizione degli interferoni primari.

Alcuni TLR, come il 7 e il 9, non si trovano sulla membrana cellulare, ma negli endosomi (che si

formano per i processi di micropinocitosi cellulare); essi riconoscono mRNA a doppio filamento e

DNA con sequenze CpG, determinando attivazione di una via di trasduzione di allarme e di una che

dà attivazione degli interferoni primari, determinando così resistenza alle infezioni virali.

È importante sottolineare il ruolo cruciale del sistema di NFkB, attivato in risposta a segnali

provenienti da patogeni o danno cellulare, esplicati sotto forma di mediatori proinfiammatori.

Evento cruciale è la fosforilazione di IKK1 e IKK2, complessati con NEMO nella forma inattiva.

Dopo la fosforilazione, queste chinasi fosforilano il complesso di inibizione di NFkB, chiamato IkB;

si liberano i dimeri p65-p50 di NFkB, che migrano nel nucleo, attivando così l’espressione genica

di:

• mediatori proinfiammatori

• molecole di adesione

• molecole per la produzione di prostaglandine, NO

Questo programma si attua in cellule monocitarie ed endoteliali.

Mutazioni a carico di CD14 danno diminuzione della risposta a lipopolisaccaridi. Mutazioni a

carico di TLR4 o IRAK-4 determinano riduzione della risposta a batteri e aumento della gravità

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dell’infiammazione. Polimorfismi genetici a carico di NEMO di PKA sono alla base di una ridotta

capacità di risposta a virus o batteri.

Tra i PRR citoplasmatici si annoverano i recettori NOD, i recettori RIG e i recettori RLR.

I RLR riconoscono sequenze di RNA a doppia elica o frammenti di DNA, attraverso il recettore

MDA5. L’attivazione di questa via si ha nella risposta a virus. I recettori RLR legano le molecole di

RNA attraverso attività enzimatica elicasica, ubiquitinazione e legame alla membrana

mitocondriale; si attivano meccanismi di trasduzione che coinvolgono chinasi (IKK1, TRIF, ecc.),

che determinano attivazione di fattori di trascrizione per interferoni (α e β). Gli IFN-α e –β

promuovono la trascrizione di geni antivirali, determinando blocco della proliferazione cellulare,

resistenza all’infezione virale, attivazione di RNAsi, il risultato è il contenimento della diffusione

virale. Questo meccanismo, filogeneticamente antico, è indipendente dall’immunità. Un esempio è

dato dal meccanismo di controllo del raffreddore.

I recettori della famiglia NOD e NOD-like appartengono a un ulteriore sistema di allarme, che è

l’inflammosoma. Esso è un complesso di recettori intracellulari che comprende un membro della

famiglia delle proteine NALP, cui appartengono NOD1 e NOD2, la proteina adattatrice ASC e la

molecola effettrice, costituita dall’enzima proteolitico che attiva IL-1 (ICE) e molecole correlate.

Si ha attivazione di tale complesso in seguito al riconoscimento di DAMPs:

• HMGB1(High-Mobility Group Box 1 protein), da parte di TLR-2/-4 e RAGE. HMGB1 è una

proteina nucleare che viene rilasciata durante la lisi nucleare.

• Acido urico

• Cromatina e DNA (TLR-9)

• Heat shock proteins (TLR-2, CD14)

• Galetine (CD2/3)

• Thioredoxina

• Prodotti di degradazione della matrice extracellulare

• Miosina non muscolare (IgM)

• Fosfolipidi ossidati

• Proteine formilate mitocondriali

• Proteine rilasciate durante la necrosi cellulare (ad esempio SAP130, riconosciuta dal recettore

CLEC4E presente sulla membrana cellulare macrofagica)

Le proteine recettoriali si possono aggregare a formare un complesso intracitoplasmatico che può

legare ASC, la quale complessa con caspasi 1. Il risultato è l’attivazione della caspasi 1, che è in

grado di attivare una proteina presente in forma inerte nel citoplasma (IL-1β o IL-18). IL-1β ha un

ruolo importante nell’attivare la risposta infiammatoria, da sola scatena segnali di allarme (in modo

simile a PAMPs e DAMPs). La risposta infiammatoria può essere enormemente amplificata, poiché

una singola cellula che riconosce un PAMP rilascia grandi quantità di IL-1-. Questo avviene in

pochi millisecondi, a differenza della risposta mediata da NFkB, che passa per il nucleo.

IL-1 innesca una via di trasduzione del segnale uguale a quella del TLR. Quindi ne mima gli effetti,

in modo amplificato, determinando così l’attivazione di un grande numero di cellule infiammatorie.

Questi tipi di segnali sono indispensabili nella risposta adattativa. Quando una cellula dendritica

riconosce un antigene in presenza di attivazione di recettori per DAMPs e PAMPs, si attiva e

scatena una risposta, inducendo una risposta immunitaria di tipo adattativo molto rapida.

Il riconoscimento di un antigene quando non si ha attivazione mediata da PAMPs/DAMPs

determina anergia. Questo è importante nelle malattie autoimmuni.

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Sostanze che mediano l’infiammazione

Per quanto riguarda i mediatori dell’infiammazione, si distinguono quelli generati dalle cellule e

quelli provenienti dal plasma:

• Dalle cellule:

- Istamina

- Ossido nitrico

- PAF

- Eicosanoidi

- Enzimi (proteasi)

- Derivati dell’ossigeno

- Citochine/chemochine

- Sostanza P

Tra le amine vasoattive è importante l’istamina, un mediatore della risposta vascolare primaria.

L’istamina è contenuta nei granuli primari dei mastociti, all’interno dei quali è legata a catene di

glicosaminoglicani con serotonina e chimasi; deriva dall’amminoacido istidina per una reazione di

decarbossilazione. I complessi contenuti nei granuli dei mastociti sono rilasciati subito dopo

l’attivazione cellulare. Gli stimoli che causano la degranulazione e quindi la liberazione di istamina

sono:

• Agenti fisici (trauma, calore)

• Reazioni immunologiche: i mastociti possiedono il recettore per le IgE

• Presenza di anafilotossine (C3a, C5a)

• Presenza di prodotti liberati da neutrofili, monociti e piastrine

• IL-1

L’azione dell’istamina si esplica attraverso la stimolazione dei recettori H1 (e H2), presenti sulla

membra a di cellule endoteliali, macrofagi, ecc. Le cellule endoteliali:

• si contraggono, aumentando la permeabilità dei vasi;

• producono ossido nitrico (NO), che raggiunge le cellule muscolari lisce, inducendo

vasodilatazione;

• espongono molecole di adesione per i leucociti.

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L’istamina stimola le fibre nervose, inducendo prurito. Questa sostanza ha effetti rapidi ma

transitori, infatti è rapidamente inattivata dall’enzima istaminasi, rilasciato da neutrofili ed

eosinofili. Se non c’è liberazione di altri mediatori, gli effetti cessano presto.

L’ossido nitrico (NO) è sintetizzato a partire dall’amminoacido arginina grazie all’azione di una

famiglia di enzimi che prende il nome di NO sintasi (NOS). Nelle cellule endoteliali è presente un

isoenzima cosititutivo, eNOS, attivato dal calcio. La

produzione basale di NO è responsabile del tono vasale;

l’aumento di NO derivante da eNOS è responsabile della

vasodilatazione che caratterizza le prime fasi

dell’infiammazione. Nei macrofagi attivati viene indotto un

altro isoenzima NOS, denominato iNOS (NOS inducibile):

iNOS non è regolata dal calcio ed è in grado di sintetizzare

NO in quantità molto elevate. In queste condizioni NO non

funziona solo come vasodilatatore, ma formando

nitroperossido che contribuisce all’azione battericida:

NO + O2- ONOO-

NO può inoltre legarsi all’amminoacido tirosina, formando nitrotirosina.

I metaboliti dell’acido arachidonico possono essere prodotti dagli enzimi cicloossigenasi 1 e 2

(COX1 e COX2) oppure per ossidazione mediata

dagli enzimi lipossigenasi.

Nell’infiammazione hanno una funzione importante

soprattutto PGH2, PGG, PGE2 e PGF2, che

esplicano un ruolo di supporto all’azione

dell’istamina, rendendo gli effetti più duraturi e

persistenti. Le prostaglandine stimolano la

permeabilità vascolare, determinano

vasodilatazione, inducono chemiotassi, attivano le

cellule endoteliali e i macrofagi, partecipano alla

risposta sistemica all’infiammazione (risposta febbrile). Per quanto riguarda COX, distinguiamo:

• COX1: atta alla produzione basale di prostaglandine, è ubiquitaria

• COX2: responsabile della produzione di prostaglandine durante la risposta infiammatoria. È

un enzima inducibile (attraverso NFkB).

La sintesi di prostaglandine si combina con l’attività delle 5-lipossigenasi (raramente di 15-

lipossigenasi). L’ossidazione in posizione 5 dell’acido arachidonico determina la produzione di

leucotrieni, molecole con struttura non ciclizzata che spesso sono coniugate con glutatione; a

seconda dell’amminoacido proveniente dalla molecole di glutatione si ha:

• LTA

• LTD

• LTC

Ci sono anche LTE e LTB. I leucotrieni LTE4, LTD4 e LTC4 stimolano l’aumento della permeabilità

capillare e la contrazione del muscolo liscio bronchiale. LTB4 stimola inoltre la chemiotassi dei

neutrofili.

Leucotrieni e prostaglandine erano detti SRS-A (Slow Reacting Susbstances of Anaphylaxis).

Il lisofosfolipide che si forma in seguito all’azione dell’enzima fosfolipasi A2 forma il PAF(Platelet

Activating Factor, fattore di attivazione delle

piastrine). Il PAF deriva dall’acetilazione in

posizione 2 del liso-PAF, derivante dalla

fosfatidilcolina. Il PAF è responsabile di una vasta

gamma di effetti:

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• agisce sulle cellule dell’epitelio renale, stimolando la sintesi di prostaglandine.

• stimola, a livello di monociti-macrofagi, l’aggregazione, la chemiotassi, l’aumento della

distensione, la differenziazione, la produzione di anione superossido e la produzione di

prostaglandine e trombossano.

• stimola la chemiotassi degli eosinofili.

• stimola l’attivazione e l’aggregazione a livello delle piastrine.

• stimola la contrazione delle cellule muscolari lisce dei vasi.

• stimola aggregazione, chemiotassi e marginazione dei neutrofili.

• stimola la contrazione delle cellule endoteliali a livello venulare.

• stimola la contrazione delle cellule del mesangio.

Le citochine sono mediatori proteici capaci di mettere in comunicazione tra loro le cellule. Sono

segnali scambiati tra le cellule e agiscono in maniera autocrina/paracrina; possono avere effetti

endocrini. Comprendono molti composti chimici diversi, tra cui:

• Proteine che agiscono come fattori di crescita localmente o a livello del midollo emopoietico

(GM-CSF)

• Interferoni, primari (α e β), secondari (γ)

• Interleuchine: un gruppo di mediatori proteici che mettono in comunicazione cellule diverse.

Oltre alle interleuchine propriamente dette c’è il TNF-α e -β. Vi sono anche le chemochine,

responsabili della regolazione della motilità cellulare.

Considerando le citochine in base alla loro funzione,

abbiamo:

• Citochine emopoietiche: GM-CSF

• Citochine dell’immunità specifica: IL-2, IFN-γ,

IL-4

• Citochine infiammatorie primarie: IL-1, TNF-α,

IL-6

• Citochine infiammatorie secondarie: IL-12,

chemochine

• Citochine antinfiammatorie: TGF-β, IL-10

Interleuchina-1 (IL-1) è una citochina infiammatoria

primaria viene liberata dall’inflammosoma a partire da un precursore intracellulare. Partecipa a un

complesso sistema di attivazione, che comprende recettori e molecole antagoniste. Agisce a livello

del suo recettore specifico, che è IL-1R. Questo recettore funziona se è presente il corecettore ACP.

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Il complesso costituito da IL-1R e ACP recluta la proteina intracellulare Myd88, si ha la cascata

vista nei TLR che culmina nell’attivazione di NFkB. Esistono IL-1α e IL-1β, esse possiedono

funzioni simili.

Il complesso di attivazione è regolato dal fatto che esiste un recettore Decoy, privo della porzione

intracellulare (per splicing alternativo); Decoy è un recettore che antagonizza gli effetti di IL-1,

infatti quando l’interleuchina si lega ad esso non si ha trasduzione del segnale. Se il recettore Decoy

è espresso sulla membrana, esso compete con IL-1R, limitando il messaggio attivato da IL-1.

Quando la risposta infiammatoria termina, si osserva un aumento dell’espressione del recettore

Decoy. Il recettore Decoy può essere idrolizzato, si genera così una forma solubile che lega IL-1, la

quale quindi non può interagire con IL-1R.

Esiste una molecola antagonista di IL-1, IL-1ra (IL-1 Receptor Antagonist), che lega IL-1R con

elevata affinità, spiazzando così IL-1 (funge da antagonista competitivo). Aumenta nel corso dello

spegnimento della risposta infiammatoria.

Gli effetti di IL-1 comprendono:

• A livello delle cellule infiammatorie: attivazione dei granulociti neutrofili

• Attivazione dei macrofagi, che producono NO, citochine, prostaglandine

• Sulla parete vascolare, determina ipotensione, sindrome di permeabilità capillare, espressione

di molecole di adesione, produzione di prostaglandine, PAF

• Stimola la produzione di anticorpi da parte delle cellule B

• Stimola la produzione di linfochine da parte delle cellule T

• Nel fegato induce la produzione di proteine di fase acuta (attraverso la produzione di IL-6)

• Determina aumento del riassorbimento osseo

• Stimola il rilascio di amminoacidi dalle proteine muscolari

• Determina, a livello dei fibroblasti, proliferazione, aumento della sintesi di collageno e

procollagenasi

• Agisce sul midollo emopoietico determinando neutrofilia e linfopenia

• Agisce sul sistema nervoso centrale, è responsabile dei sintomi legati alla febbre (astenia,

perdita di appetito, sonnolenza)

Il Tumor Necrosis Factor α (TNF-α) è essenzialmente una citochina pro infiammatoria primaria,

largamente prodotta dalle cellule infiammatorie (granulociti, monociti, linfociti T attivati, NK e

NKT), e dalle cellule parenchimali quando alterate da danni. Il livello ematico di TNF-α aumenta di

diversi ordini di grandezza nel corso di infiammazione sistemica. Vi sono 2 pool di TNF-α: uno è

immediatamente disponibile, ed è legato al rilascio di molecole di TNF-α poste sulla membrane

delle cellule (mediato dall’enzima TACE, una proteasi); l’altro prevede la produzione di nuovo

TNF-α. Il TNF-α agisce su due tipi di recettori: TNFRI (p55) e TNFRII (p65). Si tratta di recettori

trimerici, che innescano la via di attivazione di NFkB. Il TNF-α ha un importante ruolo nelle vie di

sopravvivenza cellulare. L’eventuale risposta citotossica mediata da TNF-α deriva dalla somma di

stimoli diversi.

Gli effetti di TNF-α e IL-1 sono largamente sovrapponibili:

• Stimolano il rilascio di derivati lipidici

• Stimolano la sintesi di citochine, quindi la sopravvivenza cellulare

• Stimolano il rilascio di altre citochine e di chemochine

• Stimolano la migrazione dei leucociti

• Stimolano la liberazione di mediatori vasodilatatori

• Stimolano l’immunità adattativa: attivano i linfociti Th1, il che costituisce un ulteriore

stimolo alla produzione di TNF-α e IL-1

• Stimolano il rilascio di IL-6

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Interleuchina-6 (IL-6) è una citochina primaria, ma il suo compito è relativamente subordinato a

TNF-α e IL-1. Essa ha un ruolo complesso, perché agisce sia favorendo la sopravvivenza sia

stimolando la risposta di organi periferici, come il fegato. In particolare, IL-6:

• Agisce come fattore di crescita emopoietico e per la differenziazione megacariocitaria

• Stimola la proliferazione dei linfociti B

• Amplifica la stimolazione dell’endotelio a produrre molecole adesive e chemochine

• Induce la produzione di proteine di fase acuta

• Induce la febbre.

Il recettore per IL-6 è costituito da due componenti:

• IL-6Ra è il vero e proprio recettore

• Proteina adattatrice GP-130.

La trasduzione del segnale porta

all’attivazione di JAK3, che fosforila

Stat; il dimero Stat-Stat entra nel nucleo

e attiva la trascrizione genica.

Lo stesso recettore di IL-6, se tagliato,

può comportarsi da recettore solubile,

antagonizzando gli effetti di IL-6.

Le citochine primarie partecipano alla

produzione di quelle secondarie: i

macrofagi stimolati da TNF-α e IFN-γ

rilasciano IL-12, che attiva macrofagi e

cellule endoteliali; i macrofagi stimolati

da TNF e IL-1 rilasciano chemochine e

fattori di crescita.

Le chemochine (chemiotactic cytokine) sono una famiglia di circa 50 piccole proteine basiche (8-10

kDa), dotate di attività chemiotattica e che condividono caratteristiche strutturali. In base alla

posizione dei residui di cisteina, che formando ponti disolfuro determinano la struttura

tridimensionale che interagisce con i diversi tipi di recettori, si distinguono 4 sottofamiglie di

chemochine:

• Chemochine CXC: i due residui di cisteina sono intervallati da 1 amminoacido. es.

IL-8, IP-10, SDF1, BCA-1.

• Chemochine CC: i due residui cisteinici sono adiacenti.

es. MCP, MIP.

• Chemochine CX3C: vi sono 3 amminoacidi tra i due residui di cisteina.

es. frattalchina.

• Chemochina C: linfotactina. Possiede solo uno dei residui di cisteina di riferimento.

La caratteristica di tali molecole è legata al fatto che riconoscono gruppi di recettori simili:

• Il recettore per CXC è detto CXCR

• Il recettore per CC è detto CCR

• Il recettore per CX3C è detto CX3CR

Spesso una citochina riconosce più recettori. La proprietà che caratterizza tutte le citochine è quella

di indurre la motilità di diversi gruppi di cellule. A seconda del tipo cellulare interessato, le cellule

presentano recettori diversi:

• Il neutrofilo esprime soprattutto CXCR1, CXCR4

• Il linfocita T helper esprime, tra gli altri, CCR1, CXCR4, CCR2

• Il linfocita B esprime CCR2, CCR6, CXCR5

• Il linfocita T attivato esprime soprattutto CCR (2, 5, 6, 7, 10)

• La cellula dendritica esprime soprattutto CCR1, CCR4

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• Il monocita esprime CXCR4, CXCR1, CX3CR3, CCR2

• Il macrofago esprime CCR5, CXCR4

I recettori per le chemochine sono dei GPCR. Si ha attivazione della via mediata da fosfolipasi C,

DAG, IP3 e PKC. A valle, le chemochine determinano polimerizzazione dei filamenti di actina,

adesione, riarrangiamento del citoscheletro, differenziazione e proliferazione, attivando così un

macchinario per la motilità e quindi per il passaggio dei leucociti dal sangue all’interstizio.

I mediatori presenti nel plasma sono invece:

• Sistema delle chinine

• Sistema del complemento

• Sistema della coagulazione

• Sistema della fibrinolisi

Il sistema delle chinine è legato all’attivazione di cascate proteolitiche che liberano peptidi,

soprattutto bradichinina e callidina, mediante taglio proteolitico del chininogeno ad alto peso

molecolare (High Molecular Weight Kininogen).

Le chinine inducono risposte vascolari quali aumento

della permeabilità, attivazione delle cellule

endoteliali, rilascio di istamina e citochine da parte

delle cellule infiammatorie. Possiedono il duplice

ruolo di invio di segnali di allarme e di attivazione

dell’infiammazione. Il sistema delle chinine è

filogeneticamente antico e svolge un ruolo di

supporto nei confronti degli altri sistemi. Esso ha un

ruolo importante negli stimoli dolorifici, infatti le

chinine sono recepite da terminazioni nocicettive del

sistema nervoso periferico.

Le chinine sono mediatori a breve vita, infatti

vengono rapidamente inattivate per taglio proteolitico dalle carbossipeptidasi 1 e 2.

Ruolo chiave nella produzione di chinine è assunto dalla proteasi callicreina, che si forma a partire

dalla precallicreina per taglio proteolitico. Il fattor XII della coagulazione o fattore di Hageman

taglia la precallicreina, attivandola a callicreina. Il fattor XII è suscettibile al contatto con superfici

cariche negativamente, esso percepisce la variazione di carica elettrostatica sull’endotelio. Il fattor

XII si lega a superfici cariche negativamente e si attiva a fattor XIIa, che è una proteasi. Taglia

molecole coinvolte nella cascata coagulativa (attiva il fattor XI) e agisce sulla precallicreina, dando

callicreina.

I due sistemi della coagulazione e delle chinine dialogano anche attraverso altri modi. La callicreina

attiva il plasminogeno in plasmina, che degrada la fibrina. La plasmina è una proteasi aspecifica,

essa inoltre attiva il C3 a C3b.

Il sistema del complemento è un sistema a cascata molto più complesso di quello delle chinine;

include oltre 20 componenti e costituisce un importante punto di interrelazione tra immunità innata

e specifica. I soggetti con problemi a livello del sistema del complemento presentano deficit della

risposta infiammatoria e gravi infezioni. Nel quadro dell’infiammazione, questo sistema promuove

il riconoscimento e la fagocitosi da parte delle cellule di microorganismi estranei o di costituenti

cellulari. Esso è atto alla rimozione degli immunocomplessi e alcune molecole prodotte nel corso

della cascata del complemento hanno ruolo di opsonine.

Nella risposta infiammatoria, il complemento è importante per formare C3 e C5 convertasi. Questo

perché C5 e C3 attivati hanno un ruolo nel favorire l’attivazione delle cellule infiammatorie e la

fagocitosi, infatti C3a e C5a sono anafilotossine. I segnali mediati da citochine inducono una

aumentata espressione dei recettori C3aR e C5aR da parte di cellule endoteliali e fagociti; a loro

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volta i segnali indotti dal legame delle anafilotossine ai recettori

determina l’incremento dell’espressione di citochine e altri

mediatori proinfiammatori, causando aumento della

permeabilità, vasodilatazione e diapedesi dei leucociti. C3a, C4a

e C5a sono attivatori aspecifici per mastcellule, piastrine,

granulociti.

Il complemento partecipa al processo infiammatorio mediante la

produzione di peptidi come C3b, C4b, C3d, molecole che

determinano attivazione dei granulociti neutrofili ed eosinofili e

delle cellule dendritiche e NK.

Le proteasi leucocitarie sono rilasciate negli spazi intercellulari,

spesso in seguito a degranulazione. Esse creano il terreno

operativo per le cellule infiammatorie.

Il sistema delle proteasi comprende un gran numero di fattori,

che si classificano in base al meccanismo catalitico:

• Serin-proteasi: elastasi, catepsina G, proteinasi 3, triptasi, attivatore del plasminogeno,

chimasi, granzima A e B

• Metallo-proteasi: collagenasi interstiziale (MMP-1), collagenasi neutrofila (MMP-8),

gelatinasi 72 kDa (MMP-2), gelatinasi 92 kDa (MMP-9), stromelisina 1-3 (MMP-3, -10, -

11), matrilisina (MMP-7), metalloelastasi (MMP-12)

• Cisteina-proteasi: catepsina S, catepsina L, catepsina B, catepsina H

• Aspartico-proteasi: catepsina D

Principali azioni biologiche delle proteasi leucocitarie:

• Degradazione di molecole della matrice extracellulare

• Degradazione di proteine plasmatiche

• Conversione del plasminogeno in plasmina

• Attività antimicrobica

• Induzione della secrezione di citochine

• Degradazione di mediatori dell’infiammazione

• Degradazione di recettori

• Attivazione leucocitaria e piastrinica

• Induzione della secrezione di muco

• Conversione e attivazione di proenzimi

I mediatori dell’infiammazione possiedono tre ruoli principali:

• Vasodilatazione:

- Istamina, serotonina (secrete da mastociti e piastrine)

- Prostaglandine (secrete da tutte le cellule)

• Vasopermeabilità immediata:

- Istamina, serotonina (mastociti, piastrine)

- Bradichinina (plasma)

- LTC4, LTD4, LTE4 (leucociti, mastociti)

- PAF (endotelio, piastirne, ecc.)

- C3a, C4a, C5a (plasma)

- Proteasi (neutrofili, cellule in necrosi)

• Vasopermeabilità ritardata:

- Citochine (macrofagi, cellule NK)

• Chemiotassi:

- LTB4, HETE (mastociti, leucociti)

- C3a, C4a, C5a (plasma)

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- PAF (endotelio, piastirne, ecc.)

- Chemochine (macrofagi, neutrofili, ecc.)

- Prodotti batterici

• Opsonizzazione:

- C3b (plasma)

- Proteine di fase acuta (plasma)

- IgG, IgM (plasma)

• Danno cellulare:

- Radicali liberi, ROS (leucociti attivati, macrofagi)

- Enzimi leucocitari (leucociti attivati)

- Enzimi lisosomiali (cellule necrotiche)

- Enzimi batterici (batteri)

• Dolore:

- Bradichinina (plasma)

- Prostaglandine (tutte le cellule)

Diapedesi leucocitaria

Le cellule che partecipano alla migrazione leucocitaria hanno una capacità motoria intrinseca che

permette loro di muoversi in una specifica direzione grazie a segnali chemiotattici.

E’ possibile studiare la capacità migratoria delle

cellule con la Camera di Boyden, costituita da

due compartimenti separati da una membrana

semipermeabile con pori; nella camera superiore

si trova la sospensione cellulare, in quella

inferiore si inocula la sostanza di cui si vuole

valutare la capacità chemiotattica. Si valuta il

numero di cellule che passano dalla camera

superiore a quella inferiore. Si può quantizzare, con questo strumento, la capacità delle diverse

sostanze di indurre chemiotassi. Tali sostanze sono:

• Peptidi batterici formilati

• PAF

• Leucotriene B4

• C3a, C5a, C4a

• IL-1β, TNF-α

• Chemochine

Il processo di migrazione leucocitaria è complesso. Tra i

fattori che lo favoriscono si ha il rallentamento del flusso

sanguigno che avviene in seguito a vasodilatazione e

aumento della permeabilità vascolare. Nel normale

flusso, i leucociti sono vicini alla parete endoteliale, ma

non è permessa la loro adesione. Nel caso

dell’infiammazione (fase vascolare), la marginalizzazione

è accentuata. Uscendo liquido dal plasma, gli eritrociti

tendono a impilarsi formano i rouleaux e i leucociti si

legano all’endotelio attivato.

Il meccanismo di diapedesi prevede anche l’attivazione

dell’endotelio, che espone una serie di molecole di

adesione e libera segnali che mediano l’adesione

leucocitaria. Ad esempio, se si espongono le cellule

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endoteliali a IL-1, la quota di leucociti che si legano all’endotelio aumenta.

L’adesione leucocitaria presenta diverse fasi:

• 1)I leucociti vanno incontro a una serie di contatti transitori con l’endotelio che prendono il

nome di tethering (titillamento). Questi contatti transitori permettono lo scambio di messaggi

tra leucociti ed endotelio, grazie ai quali si ha attivazione dell’endotelio stesso, che espone

molecole di adesione; anche i leucociti esprimono nuove molecole di superficie. Importante è

il rilascio di citochine e chemochine.

• 2)Si ha un progressivo rallentamento dei leucociti; il rotolamento di queste cellule

sull’endotelio determina la formazione di nuovi contatti e nuovi scambi.

• 3)Si arriva a un punto di arresto, in cui il leucocita ormai adeso all’endotelio si ferma e

stimola l’endotelio a creare dei varchi tra le giunzioni cellula-cellula e anche attraverso le

singole cellule.

• 4)Il leucocita si infila nei varchi neoformati (diapedesi vera e propria), arrivando così

nell’interstizio.

Le molecole di adesione leucocitaria sono

esposte sulla membrana delle cellule

endoteliali e sono riconosciute da recettori

posti su quella dei leucociti. Si possono

suddividere in 2 categorie di proteine:

• Selectine: questo gruppo comprende E-

selectina e P-selectina. Si legano a

CD11 e CD18 e sono molecole

altamente glicosilate. Vi è anche una

L-selectina, sulla membrana

leucocitaria.

• Superfamiglia delle immunoglobuline:

comprende ICAM-1, ICAM-2 e

VCAM-1. Esse sono riconosciute da

integrine leucocitarie.

Selectine, loro recettori e loro attività

I glicani sialilati di tipo Lewis X sono espressi in grande quantità quando il leucocita è attivato. P-

ed E-selectina sono responsabili del fenomeno di tethering.

ICAM e VCAM sono molecole che necessitano di essere sintetizzate espressamente (via NFkB) e

che determinano un’ulteriore attivazione dell’endotelio da parte delle citochine primarie. Sono

responsabili della trasduzione di segnali intracellulari che permettono il dialogo tra leucociti ed

endotelio.

Si ha che:

• tutti i leucociti esprimono LFA-1 (Leukocyte Function Antigen-1) o CD11a/CD18; esso è un

recettore per ICAM-1/-2

• i monociti e i linfociti, inoltre, esprimono l’integrina α4β1 o VLA-4, controrecettore per

VCAM-1

• i granulociti neutrofili e i monociti, inoltre, esprimono l’integrina β2 on MAC-1 o

CD11b/CD18, che può legare ICAM-1

La diversa cronologia di espressione è legata al diverso ruolo delle molecole di adesione nel

regolare la diapedesi.

Ruolo delle piastrine nel processo di diapedesi leucocitaria L’esposizione di segnali di allarme sull’endotelio (endothelial distress) costituisce un meccanismo

di attivazione piastrinica. L’esposizione di P-selectina e di fattore di Von Willebrand (vWF)

favorisce l’attivazione delle piastrine. Il legame tra piastrine e leucocita risulta essere addirittura più

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potente di quello tra piastrina ed endotelio. Le piastrine rilasciano importanti molecole-segnale,

come il fattore tissutale, e favoriscono il rilascio di citochine e chinine.

Gli stimoli alla migrazione leucocitaria nei siti infiammatori:

Esiste un modello di indirizzo dei leucociti.

L’attivazione cellulare nella formazione dell’essudato

infiammatorio avviene secondo una sequenza temporale ben

precisa:

Le cellule interagiscono tra loro in modo complesso, con

comportamenti diversi.

I neutrofili sono i primi a essere coinvolti (attirati da P-selectina,

ICAM-1); quando sono attivati e si trovano nell’interstizio rilasciano il contenuto dei granuli, tra cui

figurano ROS, citochine proinfiammatorie; hanno attività citotossica e fagocitaria nei confronti di

patogeni e materiale cellulare. I granulociti neutrofili rilasciano fattore LL37 e catepsina G, che

sono responsabili del mantenimento della condizione di attivazione endoteliale e del richiamo di

monociti nell’interstizio.

Nell’evoluzione del processo infiammatorio si ha poi la fase in cui si attirano in modo crescente i

monociti, che presentano caratteristiche e attività funzionali duttili e articolate. I macrofagi possono

sopravvivere a lungo; i monociti possono differenziare ad altri tipi cellulari, ad esempio a cellule

dendritiche. Ci sono due tipologie di attivazione dei monociti, con caratteristiche funzionali

opposte:

• in relazione a stimoli proinfiammatori i monociti si attivano in senso M1: la loro attività

consiste nel rilascio di ROS, NO, IL-1, IL-6, IL-12, IL-23; essi distruggono cellule (sono

citotossici). La risposta di tipo M1 è stimolata da TNF e IFN-γ (rilasciato dai linfociti Th1) e

da segnali di allarme (PAMPs, LPS).

• la risposta in senso M2 è ritenuta essere quella che caratterizza i macrofagi quando essi

collaborano alla riparazione tissutale e al rimodellamento della matrice extracellulare (per il

rilascio, tra le altre cose, di TGF-β). IL-4 e IL-13 (rilasciate dai linfociti Th2), IL-10, CSF-1 e

immunocomplessi+IL-1/LPS stimolano la risposta M2. Si osserva poca produzione di NO e

di citochine infiammatorie; si ha aumento del rilascio di recettore Decoy, che antagonizza gli

effetti di IL-1. Le cellule macrofagiche M2 possiedono capacità fagocitarie e di APC

(presentazione dell’antigene). Esse inoltre permettono di uccidere o di circoscrivere parassiti

pluricellulari; sono coinvolte nelle manifestazioni allergiche.

La polarizzazione dei macrofagi in un senso piuttosto che nell’altro è il risultato di stimoli

ambientali diversi; alcune risposte, inoltre, hanno carattere sia M1 sia M2.

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Fagocitosi

I fagociti inglobano microrganismi, cellule e detriti cellulari e li degradano nell’apparato

lisosomiale. La fagocitosi inoltre è importante per la presentazione dell’antigene. È un processo in

cui sono coinvolti numerosi segnali.

Per inglobare, il fagocita emette estrusioni coperte da membrana, avvolgendo così il materiale da

fagocitare. Questo processo è stimolato da segnali innescati dal contatto fagocita-materiale. Si

forma quindi un vacuolo di

fagocitosi, in cui i granuli riversano

il loro contenuto (proteasi, idrolasi,

molecole antibatteriche). Il fagocita

può inglobare più bersagli

contemporaneamente.

Inizialmente, si ha il riconoscimento

da parte della membrana del fagocita

di potenziali bersagli. Ciò è mediato

da PRR e recettori scavenger; il

meccanismo è potenziato

dall’interazione di proteine solubili

che svolgano la funzione di

opsonizzazione o buttering (“rendere

più appetibile”); tali proteine

possono essere immunoglobuline (IgG, soprattutto), molecole del complemento (C3b, C5b) che

rimangono adese alla superficie su cui si sono formate, oppure opsonine non specifiche. La

fagocitosi può avvenire anche senza opsonizzazione.

I fagociti possiedono sulla membrana numerosi recettori ad alta affinità.

Le risposte intracellulari comportano la migrazione dei

granuli e la degranulazione. Si attivano proteine G legate al

recettore per l’opsonina, si attiva PLC, si ha liberazione di

DAG e IP3, con attivazione di PKC che fosforila numerosi

substrati; l’aumento del calcio intracellulare determina

modificazione del citoscheletro, degranulazione, fusione dei

granuli primari e secondari e dei lisosomi con il fagosoma.

Passano così enzimi: proteasi, proteine cationiche,

lattoferrina, idrolasi, lisozima, ecc.

I segnali attivati dall’aumento del calcio intracellulare e

dall’attività di PKC regolano il burst ossidativo dei fagociti i

quali, se stimolati, vanno incontro ad aumento del consumo

di ossigeno non associato ad aumento dell’attività metabolica, ma correlato alla formazione di

complessi multiproteici associati alla membrana del fagosoma: si tratta dell’enzima NADPH

ossidasi. Si usa NADPH grazie all’azione di una flavoproteina che trasferisce elettroni all’ossigeno.

L’enzima NADPH ossidasi è una

macchina molecolare che genera anione

superossido O2-, che viene riversato nel

fagosoma. Il sistema serve a produrre

quantità massicce di anione superossido.

Si deve usare molto ossigeno, è richiesto

aumento del flusso ematico; il NADPH è

generato dalla via del pentoso fosfato. Il

significato funzionale alla base

dell’attività della NADPH ossidasi

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risiede nel fatto che l’anione superossido viene convertito, all’interno del fagosoma, in H2O2, che a

sua volta è substrato dell’enzima mieloperossidasi (MPO), che catalizza una reazione di

alogenazione: l’alogeno è soprattutto cloro e lo ione ipoclorito che si forma determina danni nei

microrganismi con cui entra in contatto.

Nel corso dell’attivazione dei macrofagi ci possono

essere dei problemi, che sfociano in alterazioni della

fagocitosi. L’attivazione può avvenire prima che il

vacuolo si sia chiuso, si ha quindi il fenomeno del

rigurgito durante il pasto: si formano numerosi vacuoli

e si ha rilascio del contenuto dei granuli, soprattutto

enzimi. Nella cosiddetta fagocitosi frustrata, invece, il

bersaglio da fagocitare è troppo grande, si hanno più

fagociti con più vacuoli ma ciò non è sufficiente, perciò

il contenuto dei granuli fuoriesce negli spazi

intercellulari; questo fenomeno accade spesso.

In alcune condizioni, dove predominano bersagli indigeriti o ci sono difetti nel meccanismo stesso,

l’attivazione dei fagociti può determinare danno tissutale, per azione soprattutto di ROS ed enzimi

litici. Questo è ben visibile in casi di infiammazione cronica.

In alcune condizioni, alla base delle alterazioni della fagocitosi vi sono dei difetti genetici, e la

capacità di eliminare uno o più batteri risulta compromessa. Ad esempio, nella CGD (Chronic

Granulomatous Disease, malattia granulomatosa cronica), alla base della quale vi è una mutazione

a carico di NADPH ossidasi, il complesso è meno attivo o addirittura inattivo, perciò la generazione

di ROS è deficitaria e il soggetto affetto da CGD risulta essere incapace di uccidere microrganismi

catalasi positivi (si producono piccole quantità di H2O2, che viene rapidamente degradata, per cui la

MPO non forma ione ipoclorito). Aumenta il rischio di infezione da S.

aureus.

Nella deficienza di adesione leucocitaria (LAD) di tipo 1 e di tipo 2, si

hanno problemi a livello di CD18 nel primo caso e nella fucosilazione dei

carboidrati nel secondo; il risultato è una maggior predisposizione a

infezioni causate da batteri gram negativi, S. aureus e altri, a causa di

difetti nel reclutamento dei leucociti tali per cui i fagociti non riescono a

migrare nell’interstizio. La LAD1, ad esempio, è caratterizzata da estrema

neutrofilia con assenza di essudato purulento.

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Terminazione dell’infiammazione

L’infiammazione è un processo che si deve spegnere poiché un meccanismo che sia potenzialmente

in grado di innesca il processo infiammatorio

può anche determinare un profondo danno

tissutale.

Nella terminazione del processo

infiammatorio è importante il fenomeno

dell’efferocitosi, in cui i macrofagi eliminano i

corpi apoptotici. L’apoptosi dei

polimorfonucleati (PMN) porta alla loro

progressiva diminuzione durante il processo

infiammatorio e costituisce un segnale per la

risposta dei macrofagi, che riconoscono i

segnali “find me and eat me” ed eliminano

così i corpi apoptotici. Si osserva che il numero dei macrofagi aumenta alla fine del processo

infiammatorio. I corpi apoptotici sono riconosciuti da un set di recettori, essi infatti esprimono

molecole di fosfatidilserina, cui si legano fattori

extracellulari come β2-GPI e GAS-6, che hanno i loro

recettori sui macrofagi.

Si ha una variazione nell’assetto funzionale del

macrofago, diminuiscono i segnali che determinano

rilascio di citochine proinfiammatorie, a favore di una

riprogrammazione del macrofago, che rilascia citochine

con attività antinfiammatoria: IL-10 è la tipica citochina

antinfiammatoria.

Si liberano anche altri mediatori, capaci di determinare la

terminazione del processo infiammatorio.

La fagocitosi dei corpi apoptotici serve anche perché

quando i granulociti vanno incontro ad apoptosi vengono espressi recettori come CCR5, che

costituisce una “trappola” per chemochine proinfiammatorie (CCL3, CCL5), che attraggono i

granulociti neutrofili. Si eliminano dall’ambiente circostante anche altre chemochine

proinfiammatorie: i macrofagi rilasciano MMP-12, che agisce su chemochine come CXCL8 e

CXCL3, inattivandole; MMP-2 modifica CXCL7, si formano dei peptidi che bloccano le

chemochine (per legame con i recettori CCR1-3). Si ha così una progressiva eliminazione di

fagociti, parallelamente a una riprogrammazione dei macrofagi in senso antinfiammatorio (M2) e a

una diminuzione del livello di chemochine.

Forse si ha anche il reclutamento di un’ulteriore popolazione di monociti, osservazioni nel

miocardio hanno dimostrato che il rilascio di CX3CL1 determina il richiamo di una popolazione di

monociti CD14-/CD16+, si tratta di macrofagi con aumentata capacità

di eliminazione di corpi apoptotici e aumentata tendenza a determinare

la fine dell’infiammazione e la guarigione del tessuto.

Nello spegnimento della risposta infiammatoria sono coinvolti alcuni

mediatori lipidici, che derivano da acido arachidonico (AA), acido

docosanesanoico (DHA, C22:6) e acido eicosapentenoico (HPA,

C20:5); questi ultimi due appartengono alla categoria degli acidi ω-3.

Dall’acido arachidonico derivano le lipossine. I neutrofili attivati

producono LTB4 a partire da LTA4, che deriva dall’azione della 5-

lipossigenasi (5-LOX) sull’acido arachidonico (AA). Dato che i

neutrofili non possiedono attività LTC4-sintetasica, essi passano LTB4

alle piastrine, che invece la possiedono; esse, inoltre, possono produrre

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lipossina-A a partire da LTB4 dei neutrofili, grazie all’azione della 12-LOX.

Le 15-epilipossine, -A e -B, derivano dall’acido arachidonico per azione della COX-2. L’acido

acetilsalicilico, principio attivo dell’Aspirina, determina acetilazione di COX-2, che diventa così

una 15-lipossigenasi, che addiziona ossigeno all’acido arachidonico generando derivati ossigenati,

che sono alla base delle epilipossine; si possono così generare mediatori antinfiammatori. In

particolare, le epilipossine:

• determinano diminuzione dei segnali dolorifici, del rilascio e dell’attività delle citochine,

dell’adesione all’endotelio e della migrazione dei polimorfonucleati

• promuovono l’attività antifibrotica e l’eliminazione dei corpi apoptotici dei PMN da parte dei

macrofagi

I mediatori lipidici importanti nello spegnimento dell’infiammazione, oltre a lipossine ed

epilipossine, sono le resolvine (D ed E), le protectine e

le maresine (maresina: macrophage mediator in

resolvin inflammation).

La lipossina A agisce sui recettori AXL (FPR1), blocca

la migrazione dei granulociti e favorisce quella dei

monociti, diminuisce l’adesione dei neutrofili, la

formazione di ROS, l’attività di NFkB e il rilascio di

CXCL8.

Le resolvine interagiscono con i recettori ChemR23,

riducendo l’attività di NFkB nei macrofagi; competono

con il legame di LTB4 a BTL1 dei neutrofili,

inibendone l’attività chemiotattica. Queste molecole

inducono l’espressione di CCR5. Determinano inoltre, a

livello delle cellule dendritiche, una diminuzione della produzione di IL-12.

Protectine e resolvine sono sintetizzate da macrofagi stimolati a mutare il loro pattern

differenziativo.

Alla terminazione del processo infiammatorio partecipano numerose altre molecole.

L’adenosina, che lega i recettori A2, determina aumento della sintesi di IL-10, stimola la fine

dell’attività funzionale dei macrofagi, dà riduzione del rilascio di citochine proinfiammatorie,

blocca il rilascio di IL-12 da parte delle cellule dendritiche.

L’infiammazione ha ripercussioni a livello del sistema nervoso

centrale: per afferenze dovute alla stimolazione di recettori dolorifici

(anche verso l’ipotalamo), per azione sull’ipotalamo di citochine

proinfiammatorie (IL-1 e TNF-α, che determinano il quadro della

febbre). A causa dell’attivazione dell’ipotalamo si ha rilascio di CRH,

che agisce sull’adenoipofisi, che produce ACTH, che agisce sulla

ghiandola surrenale, che libera cortisolo. Il cortisolo ha effetti

importanti sulla modulazione della risposta infiammatoria: a livello

periferico, agisce sulle cellule infiammatorie (e dell’immunità

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adattativa), l’interazione tra cortisolo e recettore intracellulare dà il complesso HR, che si attiva

rilasciando HSP ed entrando nel nucleo, dove si lega a sequenze di

DNA responsive e modula la sintesi proteica, ad esempio di

lipocortina, annessina A1, fosfatasi di MAPK:

• Lipocortina e annessina A1 bloccano la risposta infiammatoria

perché a livello intracellulare inibiscono l’enzima fosfolipasi A2

(PLA2), perciò non si libera acido arachidonico

• La fosfatasi di MAPK è responsabile del blocco di chinasi come

JNK e p38MAPK, che sono ingaggiate da TLR e IL-1R.

Il complesso HR interferisce con NFkB, sopprimendone l’attività.

Annessina A1 rappresenta un segnale diffusibile, capace di bloccare la

trasmigrazione leucocitaria e l’attivazione delle mastcellule e di

aumentare la fagocitosi di corpi apoptotici.

L’incapacità di risolvere l’infiammazione acuta è responsabile delle sviluppo di fenomeni

infiammatori cronici.

Infiammazione cronica

L’infiammazione cronica deriva da un prolungamento di un’infiammazione acuta che non è riuscita

a eliminare l’agente flogogeno; si instaura quindi in presenza di agenti flogogeni non eliminabili

facilmente (es. tubercolosi, corpi estranei, autoimmunità).

L’infiammazione cronica è in genere definibile come istoflogosi, nel senso che presenta una

spiccata componente tessutale, a differenza dell’infiammazione acuta o angioflogosi, in cui prevale

la componente endoteliale.

Nell’infiammazione cronica viene meno il coinvolgimento vascolare e predomina l’infiltrato

parvicellulare, costituito soprattutto da linfociti e monociti, con pochi polimorfonucleati. Si

osservano spesso alterazione e danno parenchimale, talvolta in associazione con meccanismi di

riparazione tissutale. Nella polmonite cronica, ad esempio, si osservano tessuto fibroso, danno

alveolare, ispessimento dei setti interalveolari residui; altri esempi di infiammazione cronica

associata a patologie sono l’aterosclerosi, l’obesità, l’artrite reumatoide, la bronchite cronica, ecc.

Le caratteristiche principali dei processi infiammatori cronici sono:

• Formazione dell’infiltrato

• Distruzione dei tessuti

• Attivazione dei meccanismi di riparazione

Le cellule dell’infiammazione cronica sono: macrofagi, linfociti, cellule predisposte alla riparazione

tissutale (fibroblasti).

I macrofagi sono cellule di derivazione monocitaria in

grado di moltiplicarsi e di differenziarsi. Le funzioni dei

macrofagi sono: la fagocitosi, la stimolazione dei

fibroblasti attraverso il rilascio di specifiche citochine,

l’amplificazione del processo di chemiotassi mediante

alcuni mediatori (ad esempio CCL2) e l’interazione con i

linfociti in qualità di cellule presentanti l’antigene (APC).

I monociti-macrofagi sono estremamente versatili e

producono un gran numero di molecole:

• Molecole ad attività antibatterica:

- Idrolasi acide

- Fosfatasi

- Lisozima

- Catepsina G

- Defensine

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- ROS

- NO

• Fattori della coagulazione:

- Attivatore del plasminogeno

- Fattor III

- Fattor V

- Fattor VIII

• Fattori del complemento:

- Fattore B

- C3

- Properdina

• Mediatori proinfiammatori:

- IL-1

- IL-6

- TNF-α

- IL-12

- IFN-β

• Mediatori antinfiammatori:

- IL-10

- TGF-β

- Prostaglandina E2

• Agenti chemiotattici:

- PAF

- Chemochine (CCL2, CCL3, CCL5, CXCL8)

• Fattori di crescita midollari:

- M-CSF

- GM-CSF

• Fattori angiogenetici:

- PDGF

- EGF

- FGF

- VEGFs

• Enzimi attivi sulla matrice extracellulare:

- Elastasi

- Metalloproteasi

Nelle infiammazioni croniche convivono vari processi:

• Attivazione dell’infiammazione e distruzione cellulare: si hanno macrofagi M1

• Riparazione dei tessuti e deposizione di matrice extracellulare: vi sono macrofagi M2

Non è ancora chiaro come i due tipi di risposta convivano: o esistono due popolazioni di macrofagi

diverse, oppure esistono fenotipi macrofagici che hanno entrambe le caratteristiche.

I linfociti T sono distinguibili in CD4+ (T helper) e CD8+ (citotossici).

Tra i linfociti Th CD4+ distinguiamo:

• Linfociti Th1: secernono IFN-γ, TNF-α, IL-1; attivano in senso M1 i macrofagi

• Linfociti Th17: producono IL-17, IL-22; sostengono risposte di tipo proinfiammatorio nei

macrofagi

• Linfociti Th2: producono IL-4, IL-5, IL-13; determinano polarizzazione dei macrofagi in

senso M2

• Linfociti Tregolatori: producono IL-10, che tende a spegnere l’infiammazione.

In malattie autoimmuni e nell’aterosclerosi, la presentazione dell’antigene a linfociti Th1 determina

aumento della stimolazione dei macrofagi, che a loro volta attivano i linfociti, per cui il processo si

perpetua.

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In presenza di parassiti e reazioni allergiche, la secrezione di IL-4, IL-5 e IL-13 caratterizza il

fenotipo dei linfociti Th2; ciò permette di segregare il microrganismo.

La differenziazione a Th1 o Th2 dipende dallo stimolo, che è la presentazione dell’antigene, e da

citochine, e condizione la differenziazione dei macrofagi.

Nell’infiammazione cronica aumentano i linfociti Th1 e Th17, mentre diminuiscono i Treg e

talvolta i Th2. Ruolo del linfocita Th1 nell’infiammazione cronica:

Nelle infiammazioni croniche i macrofagi possono assumere aspetti particolari e caratteristici:

• Cellule epitelioidi, di forma allungata(20-40 μm di diametro), hanno un ciclo vitale della

durata di 1-4 settimane. Sono in grado di differenziarsi ed eventualmente di sdifferenziarsi.

La membrana plasmatica appare ricca di estroflessioni che, intersecandosi con quelle delle

cellule adiacenti, conferiscono un aspetto a palizzata. Le cellule epitelioidi hanno scarsa

attività fagocitaria, mentre sembrano essere orientate verso la secrezione in particolare di

fattori di crescita utili per la differenziazione delle cellule macrofagiche.

• Cellule giganti multinucleate(200-300 μm di diametro) si distinguono in due tipi a seconda

della disposizione dei nuclei:

- Cellule di Langhans: qui i nuclei sono disposti a ferro di cavallo in periferia

- Cellule da corpo estraneo: i nuclei, nel citoplasma, sono in posizione centrale o casuale.

Le cellule multinucleate possono originare per divisione del nucleo senza divisione cellulare o per

fusione di elementi macrofagici indotta dal MMF (Macrophage Forming Factor).

Il ruolo delle cellule multinucleate non è ben noto, infatti esse hanno una scarsa attività fagocitaria e

non sembrano neppure essere delle cellule orientate verso la secrezione.

Tratto caratteristico dell’infiammazione cronica è la distruzione tissutale, che è provocata da

macrofagi (soprattutto se attivati e polarizzati in collaborazione

con linfociti T) e dagli effetti dell’agente lesivo. Si osserva un

quadro di necrosi caseosa, che comporta perdita della struttura

del tessuto (ad esempio nel granuloma ghiandolare). In risposta

alla distruzione del tessuto si innesca un processo di

riparazione, che si protrae nel tempo dando luogo ad aumento

della deposizione di collagene e della formazione di tessuto

fibroso; ciò avviene anche per effetto di specifiche citochine.

Come risultato, calano la cellularità e la vascolarizzazione. La

fibrosi, esito comune di molti processi infiammatori cronici, può

avere gravi conseguenze anatomo-funzionali.

I fibroblasti sono gli elementi cellulari responsabili della reazione fibrotica che generalmente si

associa e conclude il processo infiammatorio cronico. Si possono riconoscere almeno 3 tipi di

fibroblasti, che sembrano rappresentare la stessa cellula ma in momenti differenti:

• I fibroblasti attivi sono

cellule di forma allungata e

nucleo ovalare con reticolo

endoplasmatico rugoso e

apparato di Golgi ben

sviluppati e numerose

vescicole di secrezione

• I fibroblasti quiescenti o

fibrociti hanno un nucleo più

denso e organuli scarsamente sviluppati

• I fibroblasti contrattili o miofibroblasti presentano dense zone di adesione cellulare tipo

desmosomi, fibrille ben sviluppate e membrana nucleare frastagliata. La liberazione di

citochine pro-fibrogenetiche come TGF-β da parte dei macrofagi stimola l’attivazione dei

miofibroblasti.

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Dal punto di vista istopatologico si hanno essenzialmente due tipi di istoflogosi:

• Interstiziale: il processo infiammatorio è diffuso

• Granulomatosa: è una risposta infiammatoria focale e ben delimitata, caratterizzata

dall’accumulo e dalla proliferazione di leucociti mononucleati associati o meno a linfociti.

Il granuloma è una forma di infiltrato infiammatorio cronico

organizzato caratteristicamente in una forma rotondeggiante. Le

reazioni granulomatose sono distinte in:

• Granulomi da ipersensibilità: dovuti a noxae con attività

antigenica che inducono una reazione di ipersensibilità di

tipo IV

• Granulomi da corpo estraneo: la noxa in questo caso non

attiva nessuna risposta immunitaria, ma rimane all’interno

del fagocita, distruggendolo o attivando il rilascio dei

granuli. Il materiale estraneo non eliminabile dal

macrofago (ad es. schegge, cristalli, asbesto), quindi viene

segregato nel granuloma. La risposta prevede alcune fasi:

1) Accumulo di macrofagi attivati in senso M1, che

circondano il corpo estraneo

2) I macrofagi spengono l’attività infiammatoria e circoscrivono il corpo estraneo, spesso

fondendosi in cellule giganti, segregando il corpo estraneo attraverso la stimolazione

di una risposta fibrogenetica.

Esempi di granulomi da corpo estraneo: il primo è in

risposta a un filo di sutura, il secondo è dovuto a silicosi

polmonare. Si notano l’intensa attività fibrotica e

l’assenza di risposta infiammatoria.

Nel granuloma infiammatorio, lo stimolo che ha

provocato l’attivazione della risposta infiammatoria resta

antigenicamente attivo e si ha reazione linfocitaria

(generalmente mediata da linfociti CD4+).

Nel caso del granuloma tubercolare si osservano le

tipiche caratteristiche della

risposta infiammatoria

cronica. Si osserva un’ampia area di necrosi caseosa o coagulativa, a

causa anche del danno ipossico; la zona necrotica è circondata da uno

strato di cellule macrofagiche epitelioidi (che spesso contengono il

micobatterio). Talvolta i micobatteri non possono essere eliminati e

possono proliferare all’interno dei macrofagi. Se la risposta CD4 e CD8

non rende competenti i macrofagi e i linfociti CD8+ non eliminano i

micobatteri si ha espansione dell’area di necrosi, con la convergenza dei

granulomi, che formano la cosiddetta caverna tubercolare: si osservano

cellule giganti (nella figura, di tipo Langhans) circondate da cellule

epitelioidi, e all’esterno i linfociti.

La Coccidosi polmonare è un tipico granuloma, che presenta spesso due

sferule di C.Immitis fagocitate da una cellula gigante tipo Langhans.

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RISPOSTE SISTEMICHE ALL’INFIAMMAZIONE

Il processo infiammatorio è volto a distruggere, diluire, rimuovere o almeno circoscrivere l’agente

lesivo. Per fare ciò, mobilita le difese dell’organismo e attiva i meccanismi di riparazione; è una

risposta difensiva, ma può anche causare danni nei tessuti interessati. Inoltre, è una risposta locale,

ma può produrre effetti sistemici, che sono:

• Leucocitosi

• Risposta di fase acuta

• Effetti metabolici

• Febbre

Leucocitosi

La leucocitosi è tipica in corso di processi infiammatori. È caratterizzata da cambiamenti

quantitativi e qualitativi.

Normalmente, i leucociti sono presenti in numero di 10.000 per mm3; in

caso di leucocitosi si arriva a 20.000 leucociti/mm3. Il meccanismo

dipende da una mobilitazione del pool marginato e del pool di riserva

midollare. Le citochine coinvolte sono GM-CSF, G-CSF, M-CSF, Multi-

CSF (IL-3). Meno comunemente si verifica una leucopenia (ad es. in

febbre tifoide, brucellosi, tubercolosi), riconducibile a effetti di

metaboliti batterici sul pool proliferante.

Per quanto concerne i cambiamenti qualitativi, il più comune è la neutrofilia (aumento dei

neutrofili)che possono arrivare a costituire il 90% dei leucociti circolanti. Meno comunemente si

riscontrano linfocitosi (i linfociti superano il 20-30%), monocitosi (aumento dei monociti, senza

leucocitosi) o eosinofilia. Le citochine coinvolte (GM-CSF, M-CSF, IL-5) hanno effetti tipo-

specifici.

Il fenomeno della leucocitosi, nei suoi aspetti, è legato al fatto che, in risposta a stimoli

infiammatori, vengono reclutate le riserve presenti nei tessuti: una quota importante è

marginalizzata nei vasi polmonari e viene immessa in circolo; i monociti presenti a livello splenico

possono essere liberati nel giro di pochi minuti.

Risposta di fase acuta

La risposta di fase acuta consiste in una modificazione della composizione delle proteine

plasmatiche caratterizzata dall’aumento di certe proteine a

scapito di altre, in seguito a riprogrammazione della sintesi

proteica, in particolare a livello epatico; le proteine che

caratterizzano la reazione di fase acuta sono funzionali

all’infiammazione. In molti casi gli aumenti dei livelli delle

proteine in questione sono marcati, e possono fungere da

marcatori diagnostici. Le citochine infiammatorie primarie

(IL-1, TNF-α, IL-6) modulano la sintesi epatica di proteine di

fase acuta, che migliorano l’efficienza dei meccanismi

dell’infiammazione e, in particolare, della fagocitosi.

Le proteine di fase acuta comprendono:

• Proteine la cui concentrazione aumenta del 50%:

- Ceruloplasmina: lega il rame, ha attività

antiossidante

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- Proteine del complemento (C1q, C3, C4): coinvolte in fagocitosi, modulazione della

chemiotassi leucocitaria, legame delle cellule apoptotiche

- Fibronectina: per la riparazione tissutale

- Componente P sierica dell’amiloide (SAP)

• Proteine la cui concentrazione aumenta da 2 a 4 volte:

- Glicoproteina α1 acida

- α1-antitripsina: inibisce le proteasi

- α1-antichimotripsina

- Fibrinogeno

- Aptoglobina: legata al trasporto dell’emoglobina

- Proteina legante il mannosio (MBP): atta al riconoscimento di agenti infettivi e cellule

apoptotiche

- Proteina legante il C4 (C4BP)

• Proteine la cui concentrazione aumenta di alcune centinaia di volte e anche più di mille

volte:

- Proteina C reattiva (CRP): atta al riconoscimento di agenti infettivi e di cellule apoptotiche

- Siero amiloide A (SAA): per il riconoscimento di cellule alterate e cellule apoptotiche

• Proteine la cui concentrazione diminuisce:

- Albumina

- Transferrina

- Apo AI

- Apo AII

- Alfafetoproteina

- Glicoproteina α2 HS

Effetti metabolici

Numerosi sono gli aspetti metabolici associati alle reazioni di fase acuta e, in generale, al processo

infiammatorio. L’infiammazione, infatti, è un processo dispendioso dal punto di vista energetico. Si

verifica una rielaborazione dell’assetto metabolico, che permette all’organismo di fornire energia

nelle reazioni coinvolte nell’infiammazione:

• Aumentano i livelli plasmatici di ormoni: glucagone,

insulina, ACTH, cortisolo, catecolamine, GH, tiroxina,

aldosterone, vasopressina

• Aumenta il catabolismo proteico, ciò comporta debolezza

muscolare per perdita della massa magra con conseguente

astenia

• Aumento della gluconeogenesi

• Alterazioni del metabolismo lipidico: aumento di VLDL e

trigliceridi, calo di HDL

• Resistenza all’insulina, che è un ormone che

aumenta nel corso dell’infiammazione.

Questo evento dipende da modificazioni a

livello intracellulare, poiché sebbene i

recettori siano funzionanti e la quantità di

insulina sia normale/alta, la trasduzione del

segnale è ridotta a causa dell’azione di

mediatori proinfiammatori (IL-6, IL-1, TNF-

α), i quali promuovono la fosforilazione in

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serina di IRS-1 e IRS-2, che normalmente funzionano se fosforilate in tirosina e quindi ora

sono incapaci di svolgere il normale compito di proteine adattatrici; TNF-α e IL-6, inoltre,

stimolano l’attivazione di JNK e IKB, che sono attivate anche da stress del reticolo e da ROS

e inibiscono IRS. SOCS1 e SOCS3, attivate da IL-6, ubiquitinano, inibendo, IRS.

• Aumento della sintesi di proteine di fase acuta

• Variazioni nella distribuzione ionica: ad esempio diminuisce il livello di ferro disponibile, per

calo della sintesi di ferrtina (questo è un meccanismo batteriostatico

Patogenesi della sindrome infiammatoria sistemica (SIRS) e dello shock settico

Patogenesi dell’ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome)

L’ARDS è una patologia caratterizzata da diffusa lesione a livello dell’epitelio

respiratorio, con edema alveolare diffuso, per elevati livelli circolanti di TNF-

α. I granulociti passano negli alveoli e si attivano, ciò compromette l’attività

respiratoria per calo degli scambi alveolari dei gas.

Febbre

La febbre consiste in un aumento della temperatura corporea per modificazione della regolazione

dei centri termoregolatori ipotalamici. È una delle manifestazioni più comuni del processo

infiammatorio e in genere dei processi che prevedono aumenti dei livelli di citochine (infezioni,

neoplasie).

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Gli stimoli che determinano variazioni nel settaggio dei centri ipotalamici dipendono dall’attività di

citochine primarie (IL-1) sulle cellule endoteliali che circondano i centri stessi, si produce PGE2 che

attraversa la barriera ematoencefalica e attiva i nuclei paraventricolare e dell’area preottica. Per

questo motivo gli inibitori di COX sono antipiretici.

Fisiopatologia della febbre

Per quanto riguarda il processo di termogenesi chimica, esso risulta essere legato all’attività degli

ormoni tiroidei e delle catecolamine, che, nel tessuto adiposo bruno, determinano aumento della

sintesi di UCP, proteina che determina il disaccoppiamento della produzione di ATP dalla

respirazione cellulare a livello mitocondriale, aumenta il consumo di ossigeno e l’energia viene

dispersa sotto forma di calore; nel muscolo scheletrico si verificano contrazioni involontarie e

inefficaci, si ha il brivido. Il pallore tipico dello stato febbrile consegue alla vasocostrizione

periferica, che garantisce una minor termodispersione.

Evoluzione del processo febbrile L’evoluzione del processo febbrile avviene in 3 fasi:

• Ascesa o effervescenza: caratterizzata da aumento della

temperatura, brivido

• Equilibrio o fastigio: il centro termoregolatore è settato a una

temperatura alta, che si mantiene costante; assenza di

brivido e pallore, ma si modifica l’assetto metabolico

• Discesa o defervescenza: caratterizzata, tra le altre cose, da

sudorazione profusa, termodispersione, vasodilatazione

A seconda dell’innzalzamento termico, distinguiamo:

• Febbre bassa o febbricola: innalzamento di 1°C rispetto alla norma

• Febbre media: aumento di 1-2°C rispetto alla norma

• Febbre alta: innalzamento di 2-3°C rispetto alla norma

• Febbre altissima o iperpiressia: temperatura superiore a 41,5°C

È importante considerare l’andamento della curva termica, in particolare per formulare una

diagnosi.

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L’andamento riflette i periodi di crescita del plasmodio all’interno degli eritrociti: ogni accesso

febbrile corrisponde alla lisi dei globuli rossi, con passaggio del plasmodio in circolo

Ci sono febbri periodiche ereditarie, dovute ad alterazioni nella risposta alle citochine. Esse

presentano curve termiche particolari, con aumenti transitori che si hanno in certi periodi dell’anno.

La febbre presenta delle condizioni favorevoli e sfavorevoli.

Quelle favorevoli sono:

• A temperature elevate è minore la proliferazione e la virulenza di numerse specie batteriche e

virali patogene, poiché la febbre permette aumento dell’efficacia di IFN

• Le temperature elevate favoriscono la funzionalità delle difese immunitarie dell’ospite

(aumento dell’attività fagocitica e battericida dei neutrofili e citotossica dei linfociti)

Quelle a sfavore, invece:

• Alterazioni del ricambio idroelettrolitico (disidratazione e acidosi metabolica)

• Alterazioni del metabolismo energetico (elevato consumo calorico associato a scarca

introduzione di alimenti: depauperamento delle scorte di glicogeno, dimagrimento,

aumentato catabolismo delle proteine muscolari fino all’atrofia muscolare)

• Aumento frequenza cardiaca e respiratoria

• Disturbi neurologici (sonnolenza e in caso di temperature molto elevate convulsioni e delirio)

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LA FIBROSI

La fibrosi o sclerosi è una condizione caratterizzata dall’aumento di tessuto connettivale stromale,

in particolare di collagene di tipo I, all’interno di organi parenchimatosi. Nei Paesi Occidentali

questa patologia è molto rilevante, poiché costituisce circa il 45% di causa di

morte. Diversi sono gli esempi di patologie fibrotiche:

• malattie interstiziali polmonari

• cirrosi epatica e fibrosi pancreatica

• aterosclerosi

• morbo di Crohn ed insufficienze intestinali croniche

• insufficienza cardiaca

• nefropatia diabetica

• sclerodermia

• degenerazione maculare della retina

La fibrosi risulta essere strettamente correlata ai processi di riparazione; in

particolare, si determina inattivazione impropria del processo riparativo, che

procede autonomamente, senza controllo o inibizione; è lecito pensare quindi,

come questi processi subiscano modificazione.

Le malattie fibrosanti o sclerosanti croniche sono caratterizzate da un’alterazione dell’equilibrio fra

la riparazione del danno e lo sviluppo della fibrosi. L’evoluzione fibrotica è determinata da fattori

che portano il sistema a deviare dal suo normale percorso; uno di questi fattori è l’infiammazione

cronica, che determina attivazione dei fibroblasti, stimolazione dell’angiogenesi e sbilanciata

attivazione delle metalloproteasi.

Numero sono le ipotesi avanzate riguardo alla contemporanea esistenza delle attività riparatorie e

fibrotiche; una di queste è relativo alla possibilità che esistano caratteristiche di differenziazione

macrofagica intermedie.

La cirrosi epatica

Per quanto concerne il fegato, la cirrosi epatica è sinonimo di fibrosi. In caso di fibrosi, il fegato si

presenta molto duro e compatto, con possibile presenza di calcificazioni oltre che di abbondante

collagene. La deposizione di materiale fibrotico si ha inizialmente a livello degli spazi

sottoendoteliali e successivamente si osserva la formazione di travate fibrose che dissecano i lobuli

epatici alterandone la struttura anatomica. Si determina quindi un’alterazione del processo

rigenerativo con formazione di pseudolobuli, non irrorati da vasi sanguigni. In particolare le cellule

stellate, stimolate dal danno epatico cronico, proliferano e differenziano in miofibroblasti, i quali

procedono al rilascio di collagene e matrice extracellulare. I processi di infiammazione sono

teoricamente reversibili: sperimentalmente si è osservato che sospendendo lo stimolo infiammatorio

era possibile una reversione della fibrosi.

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MECCANISMI DI RIPARAZIONE DEL DANNO

TISSUTALE

La risposta al danno tissutale si esplica attraverso meccanismi con scopi precisi

• Arrestare la (eventuale) perdita di sangue: emostasi

• Combattere l’aggressione da parte di agenti dannosi

(soprattutto batteri): infiammazione

• Ricostruire i tessuti danneggiati: riparazione

I tipi cellulari coinvolti nei meccanismi di riparazione sono

molteplici, e possono variare in relazione al tipo di danno:

Riparazione delle ferite dermo-epidermiche e del tessuto

epiteliale

La guarigione delle ferite cutanee prevede una cronologia precisa di eventi che avvengono anche

contemporaneamente.

Reclutamento della risposta infiammatoria Il primo passo consiste nel reclutamento della risposta infiammatoria. Vengono richiamati e

persistono nel tessuto macrofagi e mastcellule. I macrofagi sono indispensabili, sono coinvolti nella

terminazione del processo infiammatorio e nella “pulizia” del terreno.

Importante è il ruolo del processo emostatico: rapidamente si forma un coagulo, che una volta

essiccato darà l’escara. L’escara ha una duplice funzione:

• Protegge la ferita

• Costituisce il terreno su cui si muovono le cellule durante la coagulazione

Si ha quindi degradazione di tale tipo tessuto: i macrofagi rilasciano metalloproteasi, che

digeriscono la matrice extracellulare del coagulo e determinano la liberazione di fattori di crescita

presenti nella matrice stessa.

I macrofagi, in questo contesto, hanno capacità riparativa e fibrogenetica, rilasciano mediatori per

il reclutamento dei miofibroblasti e partecipano alla neoangiogenesi; hanno caratteristiche di tipo

M2.

L’evento caratterizzante della riparazione delle ferite cutanee è la formazione del

tessuto di granulazione. Esso ha aspetto giallo-biancastro, molle, riccamente

vascolarizzato. È un tessuto particolare, caratterizzato dalla deposizione di nuova

matrice connettivale (acido ialuronico, ecc.) e un ampio letto vascolare, costituito

da capillari neoformati.

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Neoangiogenesi La neoangiogenesi è legata all’ipossia che si instaura nell’area interna della ferita. Si attiva la

risposta dei macrofagi, che secernono citochine e messaggeri proangiogenetici; il bersaglio è

l’endotelio dei vasi circostanti. Si induce così attivazione delle cellule endoteliali, che emettono

pseudopodi e degradano la membrana basale; viene stimolata la

motilità delle cellule endoteliali stesse; il “bottone” di cellule

endoteliali si sposta; una cellula leader emette pseudopodi e

controlla l’ambiente circostante. La cellula leader avanza

all’interno della matrice ed è seguita da altre cellule endoteliali in

proliferazione. Si forma una struttura a canalicolo, che costituisce

il nuovo lume vascolare. Importanti sono gli stimoli ricevuti dalle

cellule endoteliali: si tratta di segnali chemiotattici mediati

principalmente dai VEGF e da altre molecole quali semaforine, nectrine e altre proteine della

matrice; si esprimono recettori per EPO, endotelina, ecc. I nuovi vasi, quindi, si anastomizzano tra

loro formando nuovi capillari; questi ultimi inizialmente sono costituiti da sole cellule endoteliali,

successivamente si aggiungono i periciti, che circondano l’endotelio, determinano la formazione

della membrana basale endoteliale, consentono la formazione di capillari più resistenti.

Gli stimoli ipossici sono mediati da HIF:

I fattori di crescita vascolari implicati sono diversi:

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Si considerano anche MMP (metalloproteasi), inibitori delle MMP e attivatori delle MMP: si tratta

di molecole determinanti, che sono prodotte da macrofagi ed endotelio. Le MMP sono secrete come

proenzimi e sono attivate mediante taglio

proteolitico soprattutto grazie alla plasmina.

Insieme al plasminogeno si rilascia inoltre

l’attivatore tissutale del plasminogeno. Le proteine

TIMP sono inibitori tissutali delle MMP.

Riparazione Importanti eventi caratterizzano l’evoluzione verso la cicatrice: regressione dei capillari che si

restringono, arresto del flusso ed apoptosi delle cellule del sangue. Questo avviene in virtù di un

equilibrio tra fattori proangiogenetici e fattori antiangiogenetici; tra questi ultimi vi sono:

• Proteine di matrice: endostatina, arrestene, frammenti di fibronectina o di trombospondina,

ecc.

• Prodotti di secrezione, non derivanti dalla matrice: angiostatina, frammenti di plasminogeno,

vasostatina, ecc.

Si ha il coinvolgimento di modificatori della matrice extracellulare. Prima laminina e fibronectina,

che sono importanti nel tessuto di granulazione perché costituiscono un punto di attacco per

integrine di macrofagi e miofibroblasti. C’è una grande quantità di mucopolisaccaridi e

proteoglicani, che legano i GF e ne favoriscono la presentazione ai recettori presenti sulle cellule. I

fattori di crescita in questione sono PDGF, VEGF, TGF-β e FGF. FGF stimola la proliferazione e la

differenziazione di cellule connettivali ed epiteliali. Questi fattori di cresciti sono anche in grado di

stimolare la motilità cellulare.

Attori importanti del processo riparativo sono i miofibroblasti, che derivano dalla migrazione dei

fibroblasti, dalla proliferazione delle cellule nel tessuto in riparazione, da precursori mesenchimali

circolanti di origine midollare. La loro azione è importante anche per la retrazione della ferita. Essi

secernono componenti della matrice extracellulare (collagene prima di tipo III, poi di tipo I).

Formano una prima trama organizzata di collagene, poi l’intervento delle MMP determina

l’orientamento secondo le linee di forza e la cicatrice si irrobustisce.

Aspetto fondamentale della formazione del tessuto cicatriziale è la migrazione delle cellule

epiteliali. Nella riparazione delle ferite cutanee essa è precoce, inizia nelle prime ore. La velocità è

un fattore essenziale per la

guarigione, è importante che

si crei rapidamente una

barriere di protezione dalle

infezioni e che prevenga la

fuoriuscita di liquido. I due

processi principali in cui sono

coinvolte le cellule del

tessuto di granulazione sono

la proliferazione, sostenuta da

cellule contenute nelle

nicchie staminali, e

l’espansione-mobilizzazione.

L’attività di proliferazione è

sostenuta dalle stesse

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citochine di prima, in particolare da EGF; quella di mobilizzazione è sostenuta da HGF (Hepatocyte

Growth Factor, fattori di crescita anche per altri tipi cellulari) o scattern factor. Per i movimenti

sono essenziali le integrine, in particolare integrina α3β1 e integrina α2,3,4β1: si tratta di molecole

dimeriche, che si legano a laminina e fibronectina e determinano ancoraggio e liberazione di segnali

che coinvolgono le placche di adesione focale, reclutano le FAK e le chinasi Src che trasducono un

segnale per la sopravvivenza e la liberazione di fattori di crescita; queste integrine sono espresse da

miofibroblasti, cellule endoteliali ed epiteliali.

Per quanto riguarda gli organi parenchimatosi, si deve una componente determinante, che è quella

data dalle cellule staminali, essenziali per ripristinare il numero originale di cellule.

Diverse sono le tipologia dei processi di guarigione delle ferite cutanee:

• Guarigione per prima intenzione: i margini sono strettamente adiacenti, la cicatrice risulta

essere modesta, praticamente assente. Si ha restitutio ad integrum velocemente

• Guarigione per seconda intenzione: i margini sono distanti, i tempi sono allungati, il risultato

è la formazione di una cicatrice più o meno evidente, le dimensioni dipendono dall’entità del

danno.

Le cicatrici determinano menomazioni strutturali, il tessuto è rigido, poco vascolarizzato, meno

funzionale (ciò è evidente soprattutto nel caso di organi parenchimatosi).

I fattori che condizionano la guarigione delle ferite possono essere:

• Fattori locali:

- Tipo, dimensioni e localizzazione della ferita

- Apporto ematico

- Infezione

- Movimento

- Radiazioni ionizzanti

- Radiazioni ultraviolette

- Variazioni della temperatura

- Rimozione della noxa o presenza di corpi estranei

- Contatto tra i lembi della ferita

• Fattori sistemici:

- Età

- Stato circolatorio

- Stato metabolico

- Ormoni: glucocorticoidi, ACTH, GH, estrogeni, paratormone, calcitonina

- Malattie concomitanti

- Alimentazione: vitamina C, vitamina K, amminoacidi, calcio, zinco

Ci possono essere alterazioni nei processi di guarigione e di

cicatrizzazione, che talvolta sfociano nella formazione dei

cheloidi, ossia cicatrici ipertrofiche, ricche di tessuto

connettivale, caratterizzate dalla diffusa presenza di fibroblasti

e da un rallentato turnover della matrice extracellulare. I

cheloidi possono dare luogo a compressioni, può risultare

difficile compiere certi movimenti o si può avere

schiacciamento di organi. Ci sono basi genetiche che predispongono alla comparsa di cheloidi.

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Riparazione delle fratture ossee

Il tessuto osseo è organizzato in maniera peculiare; esso è caratterizzato da svariate popolazioni

cellulari (osteoblasti, osteoclasti, cellule di origine mesenchimale che fungono da precursori degli

osteoblasti). È un tessuto soggetto a continuo rimodellamento.

Nelle fasi iniziali della guarigione di una ferita ossea, si ha un

coagulo ematico che consegue alla rottura dei capillari

dell’osteoide. Il coagulo è intraperiostale o coinvolge le

strutture limitrofe; esso viene invaso da macrofagi e poi da

miofibroblasti; si forma il tessuto di granulazione. A questo

punto vengono richiamate o si formano dai miofibroblasti le

cellule condrocitarie, responsabili della deposizione di

ECM ricca di collagene di tipo II e X; la composizione

della ECM risulta essere quella della cartilagine. La

deposizione di tessuto cartilagineo richiede circa una

settimana e determina la sostituzione del tessuto fibroso

con un callo fibrocartilagineo, che spesso risulta

ridondante. Al suo interno si instaurano modificazioni

che determinano la successiva ossificazione: nelle zone

circostanti il callo si reclutano osteoclasti, atti al

rimodellamento della matrice; i callo diventa

cartilagineo e aumentano continuità e resistenza. Poi si osservano nuclei di calcificazione

endocondrale, formati da osteoblasti. Le cellule periostali invadono la matrice e, dopo un mese, si

forma un callo osseo costituito da osso compatto ma non organizzato. Successivamente si ha il

rimaneggiamento osseo e si formano nuovi osteoni; questo processo richiede mesi e dipende dai

carichi meccanici che l’osso subisce.

Il coordinamento delle attività di osteoblasti e osteoclasti dipende da citochine e da specifiche

proteine, le proteine morfogenetiche dell’osso (BMP).

I segnali indotti dalle BMPs sono

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Guarigione del tessuto nervoso

È da sottolineare che vi sono importanti differenze a seconda che ci si

riferisca a sistema nervoso centrale oppure periferico.

Sebbene vi sia una capacità di rigenerazione assonale, nel SNC ciò è

inibito dalla secrezione di glicoproteine acide da parte degli astrociti

(che sono di derivazione tipo monocitica). Nel SNC, le lesioni

neuronali evolvono in deposizioni fibromieliniche.

Nel SNP è possibile la riparazione dei nervi lesionati. La lesione degli

assoni

causa la

degenerazione anterograda e

retrograda del neurone. La

degenerazione retrograda, o

Walleriana, determina la dissoluzione

della struttura assonale. Se la lesione è

vicina al soma si può avere apoptosi

del neurone, mentre se è lontana dal

soma il nucleo può essere risparmiato.

L’evento successivo è il distacco delle

cellule di Schwann, che causa

demielinizzazione; i macrofagi

fagocitano e degradano la glia. Nel

corpo neuronale si crea un

rigonfiamento, detto ovoide di mielina,

in cui si accumulano vescicole e

mitocondri; dopo qualche giorno escono dei filamenti dendritici, ricchi di recettori per molecole

della matrice extracellulare (semaforine, eccetera). I recettori tastano il terreno circostante alla

ricerca del tracciato lasciato dal precedente neurite; il dendrite che lo trova sopravvive e si allunga

velocemente (2-3 mm/die), mentre gli altri degenerano. La crescita continua finché il neurone non

ripristina il collegamento con la struttura successiva. Si ha poi, nell’arco di settimane, la

riorganizzazione delle cellule di Schwann, che avvolgono il neurone e producono mielina,

permettendo il ripristino della struttura precedente.

I mediatori coinvolti sono FGF, altri fattori di crescita, NGF, neuropoietine, semaforine, ephrine.

Essi possono infatti essere usati come stimolanti per la reinnervazione.

Gli esiti del processo di riparazione

La riparazione del danno tissutale prevede:

• Rigenerazione delle cellule e delle strutture dei parenchimi (eventualmente)

• Riparazione dello stroma connettivale, sia per compensare le eventuali perdite sia per

rimpiazzare deficit degenerativi

Si instaura un equilibrio tra due processi:

• Replicazione connettivale, che dà luogo alla cicatrice

• Rigenerazione della struttura originaria

Ci si sposta a favore di un evento piuttosto che di un altro a seconda del tipo di tessuto:

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• Tessuto epiteliale (mucose, cute): la precoce attività della componente parenchimale

determina un buon grado di rigenerazione. Prevale la componente epiteliale su quella

connettivale

• Tessuti come SNC e miocardio: l’attività di replicazione parenchimale è modesta, mentre

prevale quella di tessuto connettivo. Si esita nella perdita di parenchima e nella formazione

della cicatrice

• Fegato e altre situazioni intermedie: dipende dai fattori che intervengono nel processo,

dall’eziologia, dalla durata del danno.

Si può esitare in fibrosi.