Appunti dalle lezioni di antichità...

137
1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo file contiene appunti dalle lezioni di Giovanni Vitucci (1917-2000) che sono ancora in fase di elaborazione e che vengono messi a disposizione dello studente; essi non sono da considerare assolutamente materia dell’esame di Storia romana, ma semplice supporto didattico per chi vuole approfondire la conoscenza dell’epigrafia e delle antichità romane]. Assai grande è l’apporto dell’epigrafia romana (o latina) agli studi di storia romana, poiché essa consente di mettere a partito una gran copia di dati e notizie, in massima non altrimenti documentati, da cui è possibile guadagnare una rappresentazione storica più valida e più ricca di minuti particolari. I testi epigrafici rappresentano infatti altrettanti documenti, che in genere gettano luce sui più svariati aspetti della vita pubblica e privata del mondo romano o romanizzato; e se buona parte delle nostre conoscenze intorno alle antichità romane nel senso più largo dipendono esclusivamente dal dato delle epigrafi, si deve anche aggiungere che fra queste alcune costituiscono documenti di primaria importanza per approfondire particolari momenti della storia di Roma. Un’idea molto precisa della ricchezza di materiali offerti dalle iscrizioni si può avere sfogliando il “Dizionario Epigrafico di Antichità Romane”, fondato da Ettore De

Transcript of Appunti dalle lezioni di antichità...

Page 1: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

1

Appunti

dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo file contiene appunti dalle lezioni di Giovanni Vitucci (1917-2000) che sono ancora in fase di elaborazione e che vengono messi a disposizione dello studente; essi non sono da considerare assolutamente materia dell’esame di Storia romana, ma semplice supporto didattico per chi vuole approfondire la conoscenza dell’epigrafia e delle antichità romane]. Assai grande è l’apporto dell’epigrafia romana (o latina) agli studi di storia romana, poiché essa consente di mettere a partito una gran copia di dati e notizie, in massima non altrimenti documentati , da cui è possibile guadagnare una rappresentazione storica più valida e più ricca di minuti particolari. I testi epigrafici rappresentano infatti altrettanti documenti, che in genere gettano luce sui più svariati aspetti della vita pubblica e privata del mondo romano o romanizzato; e se buona parte delle nostre conoscenze intorno alle antichità romane nel senso più largo dipendono esclusivamente dal dato delle epigrafi, si deve anche aggiungere che fra queste alcune costituiscono documenti di primaria importanza per approfondire particolari momenti della storia di Roma. Un’idea molto precisa della ricchezza di materiali offerti dalle iscrizioni si può avere sfogliando il “Dizionario Epigrafico di Antichità Romane”, fondato da Ettore De

Page 2: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

2

Ruggiero. Sarà poi appena necessario accennare che il patrimonio dell’epigrafia latina, il quale comprende già molte decine di migliaia di testi, si arricchisce ogni anno di nuovi trovamenti effettuati nel corso di campagne di scavo oppure soltanto casualmente. Chi desidera portare la sua indagine sulle iscrizioni latine, cioè chi nello studio di un argomento determinato vuol giovarsi anche degli eventuali elementi che le epigrafi possono fornire, si trova oggi il compito notevolmente facilitato nel rispetto della raccolta di materiali. Vale a dire che la pubblicazione del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), l’opera monumentale che l’Accademia di Berlino prese a pubblicare nel 1863 sotto l’ impulso e la guida del Mommsen, permette di avere agevolmente alla mano un gran numero di testi epigrafici prima dispersi in sillogi di dimensioni di gran lunga più modeste o in opere svariate e in massima difficilmente accessibili. Ma il CIL contiene, naturalmente, gran numero, non tutte le iscrizioni, specie per le sempre nuove scoperte cui sopra si accennava. Questi nuovi testi, che per solito sono rappresentati nelle riviste di antichità dei vari paesi (per l’Italia si devono menzionare in particolare le “Notizie degli Scavi di Antichità”, edite dall’Accademia Nazionale dei Lincei, e il “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”), vengono di anno in anno in buona parte raccolti e riediti da “L’année épigraphique” che si pubblica a Parigi. E naturalmente, anche il CIL si arricchisce di tanto in tanto di qualche nuovo fascicolo. A questo punto sarà opportuno dare un quadro della distribuzione delle epigrafi nel CIL, avvertendo che tale distribuzione è stata fatta seguendo un criterio geografico in tutti i volumi ad eccezione del I (dove sono stati raccolti testi “arcaici”, cioè anteriori alla morte di Cesare, da qualsiasi regione provengano) e dell’ultimo (volume XVI, nel quale è riunita una particolare categoria di iscrizioni, i diplomata militaria):

Page 3: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

3

Vol. I. Inscriptiones Latinae antiquissimae ad G. Caesaris mortem. Accedunt elogia clarorum virorum. Fasti anni Iulia ni. Fasti consulares ad a. u. c. DCCLXVI. P. I-II 3, 1863-1943. (Questo volume è uno di quelli di cui è stata curata una seconda edizione riveduta e corretta, che nelle citazioni viene comunemente contraddistinta mediante l’aggiunta dell’esponente 2; pertanto CIL I² significa volume I seconda edizione del CIL, mentre una citazione CIL I fa riferimento alla vecchia edizione del vol. I del CIL). Vol. II. Inscriptiones Hispaniae Latinae, 1869 ; Supplementum 1892. Vol. III. Inscriptiones Asiae, provinciarum Europae Graecarum, Il lyrici Latinae , P. I, II; Suppl. fasc. I-V, 1873-1902. Vol. IV. Inscriptiones parietariae Pompeianae, Herculanenses, Stabianae , 1871 ; Suppl. P. I-III 3, 1898-1963. Vol. V – Inscriptiones Galliae Cisalpinae Latinae , P. I, II, 1872 – 1877. Vol. VI – Inscriptiones urbis Romae Latinae , P. I-VI, 1876 – 1933. Vol. VII – Inscriptiones Britanniae Latinae , 1873. Vol. VIII – Inscriptiones Africae Latinae , P. I, II, 1881 ; Suppl . p. I -V 3, 1891-1959. Vol. IX - Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae , 1883. Vol. X – Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Sicil iae, Sardiniae Latinae , 1883. Vol. XI – Inscriptiones Aemiliae, Etruriae, Umbriae Latinae, P. I-II, 2, 1888-1926. Vol. XII – Inscriptiones Galliae Narbonensis Latinae , 1888. Vol. XIII – Inscriptiones trium Galliarum et Germaniarum Latinae , P. I-VI, 1899-1943. Vol. XIV – Inscriptiones Latii veteris Latinae , 1887; Supplementum Ostienses, I-II, 1930-1933. Vol. XV – Inscriptiones urbis Romae Latinae. Instrumentum domesticum , P. I-II, 1891-1899.

Page 4: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

4

Vol. XVI – Diplomata militaria, ex constitutionibus imperatorum de civitate et conubio militum veteranorumque expressa , 1936; Suppl . 1955. Fra questi volumi il più cospicuo nell’ insieme, per numero e importanza di epigrafi, è naturalmente il sesto, che contiene le iscrizioni di Roma (circa quarantamila; nel CIL, come nelle altre raccolte epigrafiche, le iscrizioni sono contraddistinte da un numero progressivo). Vanno inoltre ricordate: a) alcune raccolte minori edite come supplementi al CIL; - Ephemeris Epigraphica , Corporis Inscriptionum Latinarum

Supplementum, edita iussi Insti tuti Archaeologici Romani , voll. I-IX, 1872-1913

- Corporis Inscriptionum Latinarum Supplementa Italica consil io et auctoritate Academiae regiae Lynceorum edita. Fasc. I. Additamenta ad vol. V Galliae Cisalpinae , 1884.

- R. CAGNAT – A. MERLIN , Inscriptions latines d’Afrique (Tripolitaine, Tunisie , Maroc), Paris 1923.

- EM . ESPERANDIEU , Inscriptions latines de Gaule (Narbonnaise) , Paris 1923.

- V. HOFFILER – B. SARIA , Antike Inschrif ten aus Jugoslavien, I, Noricum und Pannonia Superior , Zagreb 1938.

- L. CHATELAIN , Inscriptions latines du Maroc , Paris 1942.

- A. MERLIN , Inscriptions latines de la Tunisie , Paris 1944. - H. BLOCH , Supplement to volume XV, 1 of the Corpus

Inscriptionum Latinarum , including complete Indices of the Roman Brick-Stamps , in « Harvard Studies in Classical Philology », 1947-1948.

- J. M. REYNOLDS – J. B. WARD PERKINS , The Inscriptions of Roman Tripoli tania , Roma 1952.

- P. WUILLEUMIER , Inscriptions latines des trois Gaules (France) , Paris 1963.

Page 5: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

5

- R. G. COLLINGWOOD – R. P. WRIGHT , The Roman Inscriptions of Britain , vol. I, Oxford 1965 (comprende le iscrizioni su pietra già edite nel vol. VII del CIL e quelle successivamente scoperte).

b) Altre raccolte più notevoli: - Inscriptiones Italiae. Academiae Italicae consociatae

ediderunt : vol. IV – regio IV, fasc. I: Tibur (cur. I. MANCINI , 2^ ediz., 1952. vol.VII – regio VII, fasc. I: Pisae (cur. A. NEPPI

MODENA , 1953). Vol. IX – regio IX, fasc. I: Augusta Bagiennorum et Pollentia (cur. A. FERRUA , 1948). vol. X – regio X, fasc. I: Pola et Nesactium (cur. B. FORLATI TAMARO , 1947). vol. X – regio X, fasc. II: Parentium (cur. A. DEGRASSI , 1934). vol.X – regio X, fasc. III: Histria Septemtrionalis (cur. A. DEGRASSI , 1936). vol. X – regio X, fasc. IV: Tergeste (cur. P. STICOTTI , 1951). vol.XI – regio XI, fasc. I: Augusta Praetoria (cur. P. BAROCELLI , 1932). vol. XI – regio XI, fasc. II: Eporedia (cur. I. CORRADI , 1931). Vol. XII originar. Destin alle iscr di roma? vol XIII – Fasti et Elogia , fasc. I: Fasti consulares et triumphales (cur. A. DEGRASSI , 1947). Id. id., fasc. II: Fasti anni Numani et Iuliani (cur. A. DEGRASSI , 1963). Id. id., fasc. III: Elogia (cur. A. DEGRASSI , 1937). Supplementi ai fascicoli istriani delle Inscriptiones Italiae sono apparsi a cura del Degrassi in “Memorie dell’Accademia dei Lincei” 1965, p. 233 sgg.

- ST . GSELL , Inscriptions latines de l ’Algérie, I, Paris 1922 ; II (ed. H. G. PFLAUM), Paris 1957.

Per quanto riguarda le iscrizioni cristiane:

Page 6: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

6

- I. B. DE ROSSI – I. GATTI , Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores , vol. I – II, Suppl. I, Romae 1857 – 1915.

- A. SILVAGNI – A. FERRUA , Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores. Nova series , voll. I – III, Romae 1922 – 1956.

- E. DIEHL , Inscriptiones Latinae Christianae veteres, I – III, Berolini 1925 – 1931.

È appena il caso di richiamare l’attenzione sull’ importanza che per gli studi sul mondo romano antico hanno le numerose iscrizioni in lingua greca, provenienti in massima dalle province orientali dell’ impero. Principale raccolta ne resta quella di R. CAGNAT – G. LAFAYE , Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes , I, III, IV, Paris 1911, 1906, 1927. Sarà opportuno aggiungere che la massima parte dei volumi del CIL (come anche quelli delle raccolte minori) sono forniti di indici, i quali costituiscono altrettanti repertori ricchissimi. Una particolare menzione merita la preziosa silloge di H. DESSAU , Inscriptiones Latinae Selectae (ILS), voll. I – III 2, Berlin 1892 – 1916, la quale contiene buona parte dei testi più notevoli ed è di gran lunga più accessibile del CIL (nel 1950 ha visto la luce un fascicolo speciale del già citato “Dizionario Epigrafico di Antichità Romane” contenente le tavole di conguaglio fra il CIL e le ILS, il quale rende più rapida la ricerca nelle ILS di una epigrafe nota con la citazione del CIL. Un simile conguaglio è ora incorporato nella recente riedizione delle ILS). Si tratta, nell’ insieme, di un cospicuo patrimonio epigrafico, il quale comprende iscrizioni che abbracciano un periodo di circa un millennio, dalla più antica, che è quella della f ibula aurea Praenestina del VII – VI secolo a. C. (CIL I² 3 = ILS 8561), sino alle iscrizioni della più tarda età imperiale. Ma di epigrafi veramente arcaiche è conservato un numero relativamente assai piccolo

Page 7: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

7

(generalmente nota l’ iscrizione del cippo del Foro Romano, CIL I² 1 = VI 36840 = ILS 4913, e quella del Vaso di Dueno, CIL I² 4 = ILS 8743; v. la raccolta dal titolo Inscriptiones Latinae liberae rei publicae , curata dal Degrassi e recentemente corredata di un volume di Imagines), e solo a partire dal I secolo a.C. esse si vanno gradatamente moltiplicando. La massima parte delle iscrizioni superstiti appartiene ai primi tre secoli dell’ impero, mentre già dalla seconda metà del sec. III il loro numero è in progressiva diminuzione. Una sì gran copia di testi ci è stata conservata in grazia della durevolezza del materiale su cui furono iscritti, in primo luogo il marmo (o la pietra) e il metallo (specialmente il bronzo e il piombo), sebbene a noi siano giunte anche epigrafi incise su materiali più deperibili, come le tavolette cerate di Pompei (CIL IV Suppl.) e di Alburnus maior nella Dacia (CIL III p. 921 sgg.). È peraltro da aggiungere che di molti testi non possediamo più l’originale, ed essi sono noti solo attraverso copie più o meno fedeli, che studiosi – o meglio visitatori curiosi delle reliquie della romanità – presero a trascrivere fin dal Medio Evo. Fra gli altri materiali iscritti possono ricordarsi i metalli preziosi (per lo più laminette votive), l ’avorio, l’osso, il vetro e la terracotta (questi due ultimi per lo più con marche di fabbrica). Tutto questo, naturalmente, a prescindere dalle leggende monetarie. Tralasciando qui di toccare della tecnica dell’ iscrizione, sarà opportuno ricordare che l’andamento della scrittura, che sarà poi normalmente destrorso (cioè da sinistra verso destra), nei testi più arcaici è invece sinistrorso, ad imitazione della più antica scrittura greca e, in ultima analisi, di quella fenicia da cui questa derivava (v. appresso). Pertanto sinistrorsa è la scrittura nella f ibula Praenestina e nel vaso di Dueno, mentre nel cippo del Foro Romano essa è bustrofedica, riproduce cioè l’uso greco, anch’esso arcaico, di scrivere βουστροφηδόν . Questo avverbio significa “alla maniera di

Page 8: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

8

un bue che si volta quando ara il campo”, e scrittura bustrofedica è quella formata da un continuo alternarsi di righe destrorse e sinistrorse come i solchi tracciati da un aratro. Anche i segni alfabetici presentano col volgere dei secoli vari mutamenti e da essi può trarsi un criterio di datazione che ha però in massima un valore solo approssimativo. Circa l’origine dell’alfabeto latino, basterà accennare che esso (al pari degli altri alfabeti italici, p. es. l ’umbro, l’osco, il falisco, il messapico, l’etrusco) deriva in ultima analisi da quello fenicio per il tramite degli alfabeti greci, in particolare dell’alfabeto calcidico. È noto che i Greci, adottando e adattando ai bisogni della loro lingua i segni dell’alfabeto fenicio, alcuni di questi cominciarono a usarli soltanto in un secondo momento; essi servirono a indicare nuovi suoni consonantici, e pertanto si usa denominarli “segni complementari”. Tali segni furono però usati dalle varie stirpi greche non con lo stesso valore, ma con valori diversi, e appunto in base a questa diversità il filologo tedesco A. Kirchhoff nel secolo scorso suddivise gli alfabeti greci in un gruppo orientale e in un gruppo occidentale, al quale appunto appartiene l’alfabeto calcidico. In esso infatti per indicare la gutturale aspirata chi si usava il segno complementare ↓, e non quello di X che si usava invece negli alfabeti del gruppo orientale (p. es., ad Atene). Il segno X si usava bensì negli alfabeti del gruppo occidentale (tra cui il calcidico), ma indicava il suono csi (ed è così che in latino, e poi in tutte le lingue moderne derivate dal latino, quel segno si legge ics). Si suole anche parlare di “alfabeti rossi” e di “alfabeti blu”, perché il Kirchhoff, volendo rendere più perspicuo il quadro complessivo delle molteplici varietà alfabetiche in uso presso i Greci (quanto mai “individualisti” anche in questo), diede alla fine del suo lavoro una cartina del mondo greco colorata con vari colori corrispondenti ai vari alfabeti. In questa cartina, tra l ’altro, sono colorate in rosso le regioni ove si usavano alfabeti del gruppo occidentale, in blu quelle ove si usavano certi alfabeti del

Page 9: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

9

gruppo orientale, di modo che, p. es., l ’espressione “alfabeto rosso” significa alfabeto del gruppo occidentale. Nella derivazione dell’alfabeto latino dall’alfabeto greco calcidico, i segni delle aspirate fi, theta e chi (quest’ultimo, ripetiamo, nell’alfabeto calcidico si scriveva ↓ e non X) furono accolti col valore di sigle numerali (v. appresso); il segno della zeta, testimoniato nel vaso di Dueno, scompare poi e cede il posto nella serie alla G, quindi è reintrodotto sulla fine della repubblica accanto a Y per la trascrizione di parole greche. Con queste due ultime lettere l’alfabeto latino raggiunse il numero di 23 segni, che è quello normale salvo nell’età dell’ imperatore Claudio il quale, per dirla con Tacito (Ann. XI 14), tres l it teras adiecit, quae usui imperitante eo, post obliteratae, adspiciuntur nunc etiam in aere . Esse erano il digamma inversum per indicare il V consonantico (es. VLGUS), l ’antisigma ( ), chiamato così perché si presentava come un sigma greco volto dalla parte opposta: naturalmente un sigma di forma tarda, cosiddetto “lunato”, ( ), per esprimere la doppia PS, e il segno , corrispondente alla metà di sinistra del segno dell’aspirata, per indicare il suono intermedio fra I e V delle forme come optimus e optumus . Nell’insieme l’alfabeto latino, dalle serie più arcaiche a quelle dell’età imperiale, non subì molte né sostanziali modificazioni; possono qui ricordarsi, fra i più caratteristici, i segni = E ed = F in uso nei secoli III e II a.C. Fin qui si è parlato della scrittura monumentale (o lapidaria, o quadrata). Da queste derivano – ma a prima giunta è difficile notarlo per il gran numero di varianti dipendenti dal ductus dello scrivente – la scrittura corsiva (quella delle già citate tavolette cerate o dei graffiti pompeiani) e l’unciale che, sebbene usata soprattutto nei manoscritti, compare anche in iscrizioni del III e specialmente del IV secolo d.C. Quanto alla scrittura attuariale, così detta perché spesso adoperata nella trascrizione di documenti o atti pubblici ,

Page 10: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

10

essa si distingue per una certa rotondità e fluidità dei caratteri. Tale fluidità era in origine il naturale risultato di una tecnica di scrittura consistente nel delineare le lettere con un pennello su apposito materiale (tabulae dealbatae), ed essa si conservò anche quando gli atti furono incisi sulla pietra o, più spesso, sul bronzo. (Un esempio di tale scrittura nei “Fasti Capitolini”, cfr. Inscriptiones Italiae , vol. XIII 3, o nella “tabula Claudiana” di Lione, che riporta parte del discorso tenuto in senato dall’ imperatore Claudio in favore della concessione ai Galli del ius honorum , cioè del diritto di rivestire magistrature romane; cfr. CIL XIII 1668). La lettura di un’epigrafe latina in carattere lapidario (come sono la massima parte) non richiede un occhio particolarmente esercitato. Talvolta si incontrano dei segni che risultano dalla fusione di varie lettere (del tipo =ae, per intendersi), più o meno complessi, ma in genere di non oscura interpretazione. È un procedimento che sembra ispirato al criterio di economizzare spazio e lavoro, non diversamente da quello che accade per le numerosissime abbreviazioni che si incontrano, può dirsi, in ognuna delle iscrizioni latine. Quest’uso larghissimo delle abbreviazioni è peculiare dell’epigrafe latina; dallo scioglimento di esse dipende in buona parte la lettura o la interpretazione di un’epigrafe. S’incontrano abbreviazioni degli elementi costitutivi del nome, abbreviazioni nei nomi e titoli degli imperatori, abbreviazioni nei titoli delle magistrature, di ogni altro ufficio civile e militare, delle cariche sacerdotali, e infine abbreviazioni di formule peculiari delle diverse categorie o gruppi di epigrafi (cioè di quelle onorarie, di quelle sepolcrali, di quelle giuridiche, etc.). Però di questi innumerevoli termini ciascuno ha in massima un’abbreviazione più usitata, onde con l’esercizio ne risulta di molto facilitata l’ interpretazione, e lo stesso contesto indica per solito l’esatto scioglimento di una sigla. Di queste abbreviazioni esistono poi elenchi parziali o generali che agevolano il deciframento

Page 11: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

11

ai meno esperti; p. es., particolarmente utili sono gli elenchi delle “litterae singulares” nel volume III delle ILS di H. DESSAU (pp. 752 – 797) o nelle relative sezioni degli Indici dei vari volumi del CIL. Di non poche, tuttavia, permane oscuro il significato. Brevi elenchi delle abbreviazioni più usuali, divise per categorie, saranno dati in seguito; intanto converrà accennare ad alcuni usi peculiari, come quello della sigla volta a sinistra per indicare il femminile: p. es.

= f(i l ia) rispetto a F = f(i l ius) , = G(aia) rispetto a C = G(aius) . Sarà opportuno notare qui, per incidens , l ’uso delle parentesi tonde e delle quadre nella trascrizione di un testo epigrafico. Le parentesi tonde le usiamo per “sciogliere” l’abbreviazione, e cioè in esse si racchiudono tutte le lettere risparmiate, per così dire, grazie all’abbreviazione: v. sopra l’esempio f(i l ius) . Le parentesi quadre le usiamo invece per i “supplementi”, ossia per reintegrare nel testo ciò che v’era scritto e che ora non si legge più per una qualche ragione, come nel caso di un’epigrafe frammentaria, di lettere divenute illeggibili per la secolare consunzione, etc. Pertanto se, p. es., in una iscrizione sepolcrale, che terminava con la formula assai usitata hic si tus est, sono andate perdute le ultime cinque lettere, la trascrizione del testo sarà hic sit[us est]. Altro uso peculiare era quello, per indicare il plurale, di reduplicare la sigla: così, accanto a d. n. = d(ominus) n(oster) , dd . nn . = d(omini) n(ostri duo) , oppure di ripetere l’ultima lettera in abbreviazioni che ne avessero più di una, p. es. Aug . = Aug(ustus) , Augg . = Aug(usti duo) , Auggg . = Aug(usti tres) . In quest’ultimo caso l’esempio generalmente noto è quello di coss. (= consulibus), ma si deve tener presente che talvolta questo raddoppiamento non fu usato per indicare il plurale, bensì per conferire all’abbreviazione un significato diverso da quello che ha generalmente, come nel caso di proconss . (= proconsulatus) rispetto al comune procos . (= proconsul). Per concludere questi cenni intorno alle sigle epigrafiche, si noti che nell’abbreviare le parole

Page 12: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

12

venne generalmente seguito un sistema che consisteva nel riportare o la lettera iniziale della parola (L per legio, P per praetor , e in questo caso si aveva una vera e propria “sigla” nel valore etimologico del termine, che deriva da singula sott. l it tera) o la prima sillaba più la consonante iniziale della seconda (LEG per legio, PRAET per praetor). Questo sistema, come si diceva, venne in genere seguito con poche eccezioni (quelle che danno origine alle cosiddette sigle anomale, come LG per legio); sostituire all’arbitrio una certa uniformità rispondeva a una evidente esigenza di chiarezza. Sigle erano pure, anche se in diverso modo e in una certa misura, quelle che si adoperavano per indicare le entità numeriche. È generalmente noto l’uso dei segni I, V, X, L, C, D, M col valore rispettivamente di 1, 5, 10, 50, 100, 500, 1000, ed è noto altresì che con questi numeri fondamentali poteva indicarsi qualunque altro numero sia con la loro reduplicazione (CCC = 300), sia con il sistema che uno di valore minore s’intendeva sottratto o aggiunto a un altro di valore maggiore a seconda che fosse segnato prima o dopo di quello (XL = 50-10 , LX = 50+10). Poiché nella serie dei numeri fondamentali ciascun termine intermedio di sede pari valeva 5 volte il precedente e la metà del seguente, mentre quelli di sede dispari valevano il doppio del precedente e un quinto del seguente, ciò consentiva di ridurre il non poco spazio necessario per scrivere un numero con un simile sistema additivo, sistema che per i numeri più elevati si arricchì poi di notazioni con valore moltiplicativo (v. appresso). Circa i segni dei numeri fondamentali, a parte quello per l’unità, che per la sua espressiva semplicità fu ed è generalmente usato in tutti i tipi di numerazione scritta, basterà osservare che di derivazione etrusca sembrano quelli del 5 (V) e del 10 (X); che il segno L per il 50 non è che il risultato di un’evoluzione dell’originario chi calcidico (v. sopra) attraverso le forme ↓, , , ; che il segno C (sigla di centum) fu preceduto dal Θ, mentre per il 1000 accanto

Page 13: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

13

alla M (iniziale di mille) fu largamente usato il f i calcidico Φ, la cui metà (che sembra un D) indicò il 500. Per distinguere le sigle numerali dalle comuni lettere dell’alfabeto, si usò scriverle tagliandole a mezzo con una linea orizzontale, che più tardi fu sovrapposta alla sigla stessa CCC = 300); quest’ultimo sistema fu poi usato per indicare che il numero base s’intendeva moltiplicato per mille (XXVIXXV = 26025), mentre il segno

moltiplicava per 100.000 ( CLVI = 156 x 100.000 = 15.600.000). Una maniera, questa, che semplificava molto la scrittura dei grossi numeri ed era certamente molto più sbrigativa di una più antica che si fondava sull’uso dei segni derivati dal Φ (= 1000). Questo segno era stato, per così dire, potenziato nelle forme

(= 10.000) e

(= 100.000), con i relativi dimezzamenti

= 5000 e

= 50.000. Come varianti, o piuttosto semplificazioni, di questi segni appaiono per il 10.000 le forme

,

,

(dimezzate, per il 5.000, in

,

); per il 100.000 le forme

,

(dimezzate, per i l 50.000, in

,

).

Il segno del 100.000

appare scritto più di 20 volte consecutivamente nell’elogium inciso sulla base della colonna rostrata in onore di G. Duilio (il vincitore dei Cartaginesi a Milazzo) per attestare che più di 2 milioni di assi si ricavarono dalla vendita del bottino (CIL I² 25 = ILS 65). In qualche iscrizione compare il segno per indicare il 500.000 (quingenta milia), ma esso fu generalmente poco adoperato. L’uso primitivo di distinguere dalla lettera consimile una sigla numerale tagliandola con un tratto mediano si conservò nello scrivere i simboli dell’asse (unità monetaria) e dei suoi multipli: (= as), (= dupondius , 2 assi), (= sestertius, 2 assi e mezzo, scritto appunto con due segni consecutivi di asse, II, più S simbolo del semis , i l mezzo asse; il tutto tagliato a metà dalla linea orizzontale), (= quinarius , 5 assi),

(= denarius , 10 assi).

Page 14: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

14

Poco frequente è nelle iscrizioni latine l’uso di segni diacritici od ortografici. Un segno ortoepico può considerarsi l’apex , una specie di accento acuto che a partire dall’età sillana, ma particolarmente nel I e II secolo d.C., si poneva sulle vocali lunghe per natura (in età anteriore si era talvolta seguito l’uso di geminare tali vocali scrivendo, p. es., paastores invece di pastores). Si presenta invece per lo più come un accento circonflesso il sici l icus (così chiamato perché somigliava al simbolo dell’omonimo sottomultiplo dell’asse), il quale fu usato nel I e II secolo d.C., ma assai di rado, per indicare che la lettera su cui era segnato doveva leggersi doppia (p. es. OSA = OSSA, dunque una forma di scrittura abbreviata). Per meglio distinguere le varie parole, spesso si usò interporre a mezza altezza fra l’una e l’altra dei punti, che talora nelle iscrizioni di età imperiale prenderanno la forma di palmette o rametti o foglie di edera (le cosiddette hederae distinguentes). In iscrizioni arcaiche, come quella della f ibula Praenestina o quella del cippo del Foro Romano, i punti, che invece di uno alla volta sono due o anche tre sovrapposti, vengono talora inseriti fra due sillabe di una stessa parola e in tal caso essi hanno un valore non disgiuntivo, ma piuttosto congiuntivo.

Cenni sulla onomastica romana Per utilizzare rettamente i dati offerti dalle iscrizioni latine è fra le prime cose necessario avere una certa conoscenza delle regole, o meglio, delle consuetudini più caratteristiche della onomastica romana, naturalmente con particolare riguardo all’uso epigrafico.

Page 15: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

15

Si può dire infatti, in linea di massima, che non si poneva iscrizione in cui non fossero nominati uno o più personaggi; basti pensare, p. es., alle numerosissime epigrafi sepolcrali con i nomi dei defunti, oppure a quelle dedicatorie ove dovevano figurare i nomi e di quelli che facevano la dedica e di quelli in cui onore veniva fatta. Un simile sguardo all’onomastica è poi anche molto interessante perché porta insieme a gettare un’occhiata panoramica sui vari aspetti del tessuto sociale della comunità politica romana, specie negli ultimi secoli della repubblica e nei primi dell’ impero: l’età appunto a cui in massima si riferisce, come già s’è detto, la documentazione epigrafica (cfr. J. Morris, Changing fashions in Roman nomenclature in the early empire , in “Listy Filologické” XI, Praha 1963, p. 34 sgg.). E si badi che non soltanto dal punto di vista cronologico è vasto l’ambito nel quale ci muoviamo, ma anche da quello territoriale, trattandosi dell’ insieme del mondo romanizzato; il che è sempre da tener presente per intendere di volta in volta sia la difficoltà sia il valore-limite di ogni enunciazione di carattere generale. Ai tempi di Cicerone, di Cesare, di Augusto già si era pressoché consolidato quel complesso sistema della nomenclatura romana cui si allude quando si parla dei tria nomina Romanorum . Il nome del civis Romanus si componeva allora normalmente di tre distinti elementi, il praenomen , i l nomen gentil icium , i l cognomen , che appunto in tale ordine si susseguivano p. es. Marcus Tullius Cicero. Questo, naturalmente, nell’uso ufficiale, il quale anzi comportava ancora qualche altro elemento come il patronimico e la menzione della tribù (v. appresso), mentre nell’uso familiare sarà stato sufficiente il solo prenome, p. es., o il solo cognome. Il sistema dei tria nomina fu un punto di arrivo in un lungo processo che vide all’ inizio il cittadino romano designato con un solo nome personale, come in genere l’uomo latino di età arcaica: per es. il Manios e il Numasios nominati nell’ iscrizione della f ibula Praenestina . Più tardi si passò al sistema dei duo nomina (prenome e

Page 16: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

16

nome gentilizio), e ciò avvenne per influenza degli Etruschi, quando i Romani ne derivarono la loro concezione dei rapporti giuridici di famiglia e parentela, quali si configuravano nell’ambito dell’ordinamento gentilizio. Alla base di quest’ordinamento era stato i l costituirsi di vari raggruppamenti di famiglie (gentes) i cui membri (gentiles) avevano in comune uno stesso nome (nomen gentil icium) : appunto questo nome gentilizio diventò l’elemento nominale più importante, mentre il precedente unico nome di carattere personale scadeva a semplice praenomen . Come esempio di tale scadimento si è anche sottolineato il fatto che la più antica delle strade romane in Italia, quella costruita nel 312-11 da Appio Claudio, si chiamò dal suo prenome via Appia, e non via Claudia dal suo gentilizio, come invece appunto dai gentilizi dei costruttori furono posteriormente denominate tutte le altre vie come la Flaminia, la Cassia, l ’Emilia ecc. Intanto il ben noto tradizionalismo romano, derivante dalle caratteristiche istanze nobiliari del ceto dirigente, si manifestava anche in questo campo facendo prevalere l’uso che le nuove generazioni riproducessero i nomi degli avi, e ne vennero due conseguenze. Da un lato il numero dei praenomina più usuali si andò assottigliando fino a ridursi a meno di una ventina (v. appresso); dall’altro, per distinguere in seno ai membri di una gens , poniamo della gens Cornelia , tra i non pochi che si chiamavano, p. es., Publius Cornelius (una gens , ripetiamo, comprendeva di norma numerose famiglie), si rese necessario far ricorso ad un nuovo elemento, che fu il cognomen . Questo nacque nelle casate nobili verso il III sec. a. C. come un soprannome, dapprima personale, poi anch’esso ereditario, e il suo uso si andò affermando e generalizzando molto lentamente sì che solo sul finire del I sec. a. C. diventò uno dei componenti stabili dell’onomastica romana. Si fissava così il sistema dei tria nomina (si pensi però che ancora G. Mario, p. es., o M.

Page 17: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

17

Antonio non avevano un cognomen), sistema che peraltro non era destinato a durare a lungo. Infatti già nel II sec. d. C. i tria nomina cominciarono a diventare due perché il cognomen , sostituendosi ormai come nome individuale al praenomen , fece cadere quest’ultimo in disuso; lo stesso avvenne poi, verso il IV-V sec. d. C., per il nomen gentil icium , sì che alla fine di un processo evolutivo durato parecchi secoli si ritornò al sistema uninominale. A parte da questo schema generale di riduzione dei tria nomina va considerata l’onomastica dei membri della nobiltà romana, i cui nomi, specie nel II sec. d. C., si andarono moltiplicando dando luogo ai cosiddetti polionimi. Accanto ai nomi paterni essi aggiungevano quelli della madre, quelli dell’avo materno ed eventualmente quelli del padre adottivo o di altri personaggi cui erano in qualche modo legati, sì che la loro nomenclatura, come appare riportata in alcune epigrafi poste senza badare a spese, comprendeva non soltanto un gran numero di cognomi, ma anche vari prenomi e gentilizi, che peraltro venivano sentiti anche essi come cognomi. Il console del 169 d. C. Q. Pompeo Sosio Prisco, in un’iscrizione che gli fu dedicata a Tivoli dal senato e dal popolo di quella città (CIL XIV 3609), viene menzionato coi nomi di Q(uintus) Pompeius Senecio Roscius Murena Coelius Sex(tus) Iulius Frontinus Silius Decianus C(aius) Iulius Eurycles Herculaneus L(ucius) Vibullius Pius Augustanus Alpinus Bellicius Sollers Iulius Aper Ducenius Proculus Rutilianus Rufinus Silius Valens Valerius Niger Cl(audius) Fuscus Saxa Amytianus Sosius Priscus . Di tutta questa congerie di nomi, il nostro personaggio aveva ereditato dal padre (che aveva raggiunto anch’egli il consolato nell’anno 108) quelli di Q. Roscius Coelius Murena Silius Decianus Vibullius Pius Iulius Eurycles Herculanus Pompeius ; dal nonno materno Q. Sosio Senecione (che era stato console nel 99 e nel 107) quelli di Sosius e di Senecio, dal bisavolo materno Sesto Giulio Frontino (anch’egli più volte console e comunemente noto come autore del De aquae ductu urbis

Page 18: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

18

Romae) quello di Sex. Iulius Frontinus , da un altro illustre personaggio insignito anch’egli del consolato sotto Traiano quelli di Augustanus Alpinus Bellicius Sollers. Il praenomen . – Per le ragioni già accennate, e soprattutto per aver essi sempre più perduto una vera caratteristica individuale, assai esiguo divenne il numero dei prenomi, e non soltanto dei più comuni, ma anche di quelli più rari. Nelle epigrafi comunemente non erano mai scritti per intero, ma indicati mediante le seguenti abbreviazioni: A = Aulus AP o anche APP = Appius C = Gaius CN = Gneus D = Decimus L = Lucius M = Marcus P = Publius Q = Quintus SER = Servius SEX = Sextus S o SP = Spurius TI o TIB = Tiberius T = Titus X (è la m arcaica a cinque tratti, di solito indicata dai nostri tipografi con M’) = Manius . Fra i prenomi di uso più raro si possono ricordare: K = Kaeso MAM = Mamercus N = Numerius NO o NOV = Novius R = Retus TUL = Tullus V = Vibius VO = Vopiscus

Page 19: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

19

Vari autori concordano nel riferire che i bambini ricevevano il loro nomen nel dies lustricus (in cui si svolgeva il rito della lustratio = purificazione), il quale cadeva nell’ottavo giorno dalla nascita per le femmine e nel nono per i maschi. Tra gli altri, scrive Macrobio (Saturnalia I 16,36): Est etiam Nundina Romanorum dea a nono die nascentium nuncupata qui lustricus dicitur. Est autem dies lustricus quo infantes lustrantur et nomen accipiunt, sed is maribus nonus, octavus est feminis ". In questo e nei passi consonanti degli altri autori si suole comunemente, seguendo il Mommsen, intendere nomen nel significato di vero e proprio praenomen , e distinguere tra un’imposizione per così dire privata e familiare del praenomen nel dies lustricus e una ufficiale, che aveva luogo invece vari anni più tardi. Così infatti il Mommsen riteneva si potesse superare la difficoltà rappresentata da una notizia dell’anonimo autore del l iber de praenominibus , i l quale scriveva (cap. 3): “pueris non priusquam togam virilem sumerent puell is non antequam nuberent praenomina imponi moris fuisse Scaeuola auctor est”. Non si può tuttavia fare a meno di osservare come non sia affatto sicuro che nel passo surriferito di Macrobio (e in quelli degli altri che parlano dell’ imposizione del nome nel dies lustricus) il termine nomen debba essere interpretato nel significato di praenomen , anche in considerazione dell’ importanza sempre minore che il praenomen stesso ebbe come nome distintivo individuale. Ivi più probabilmente nomen va inteso nel significato di cognomen , quello che era diventato il vero nome individuale, mentre l’assunzione del praenomen in età giovanile (cui si allude nel l iber de praenominibus) sembra da riferire a un’età precedente, nella quale vigeva il sistema dei tria nomina ma, nell’uso privato, si sentiva sempre meno il bisogno del praenomen . Comunque è un fatto che nelle lapidi sepolcrali a noi pervenute di defunti in tenera età, alcuni di questi compaiono col prenome, altri senza e quindi nulla si può affermare per questa via. (Del resto, bisogna andare cauti nell’utilizzare i dati ricavabili da simili documenti e, soprattutto, non considerarli come atti ufficiali emananti

Page 20: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

20

da un ufficio di stato civile, mentre la insopprimibile caratteristica della informazione che essi ci offrono è quella della frammentarietà, per non parlare poi della casualità dei ritrovamenti epigrafici). Pertanto si può anche dubitare che, come per lo più si crede, il termine Pupus che compare in alcune iscrizioni sepolcrali di ragazzi fosse usato in luogo del praenomen che quelli non avevano potuto ricevere essendo morti prima di prendere la toga virile (a 17 anni, circa). Per concludere questi brevi cenni sul praenomen , conviene rilevare che nell’onomastica di alcuni personaggi fungevano da praenomina dei veri e propri cognomi, e questo specialmente nel caso di personaggi appartenenti alla nobiltà. Nero era, per es., un cognome dei Claudii (si pensi a quanti si chiamarono col nome di Tiberio Claudio Nerone), ma diventa un praenomen in Nero Claudius Drusus Germanicus Caesar , come si chiamò il futuro imperatore Nerone dopo che nel 50 fu adottato da Claudio. Il nomen gentil icium . – Menzionato subito dopo il prenome, esso diventò da un certo momento l’elemento più importante dell’onomastica, non tanto per la vera e propria individuazione personale, ma come distintivo dell’ inquadramento nell’ordinamento gentilizio e, in ultima analisi, dell’appartenenza alla comunità statale. Chi era estraneo a tale comunità, come per es. uno schiavo o uno straniero, non poteva esservi introdotto senza entrare a far parte di una gens e – quello che alla fine più importava – prenderne il nomen . In sostanza i gentilizi possono considerarsi l’equivalente dei nostri cognomi; ma essendo le gentes non famiglie, bensì raggruppamenti di famiglie, essi non furono mai tanto numerosi come i nostri cognomi, anche se superarono di gran lunga l’esiguo numero dei praenomina . Il nome gentilizio si presenta comunemente come una forma aggettivale in -ius (per es. Fabius , Porcius , Postumius); inizialmente così si atteggiavano i gentilizi portati da persone originarie di

Page 21: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

21

Roma o delle altre città latine, gentil izi che ebbero poi, con l’espandersi dello stato romano, la più larga diffusione. Un’ambientazione geografica diversa hanno invece all’origine gentilizi terminanti in -arna , -erna , -enna , -enas , -inna , -ina , -inas , che provengono dall’area etrusca (per es. Mastarna o Masterna , Perperna o Perpenna , Maecenas , Caecina , ecc.). Dalla contigua area umbro – picena si denotano invece provenienti i gentilizi in anus e in -enus (Norbanus , Salvidienus , Labienus , ecc.) mentre di origine gallica sono quelli con terminazione in -acus e -avus (p. es. Aviadiacus). Pertanto è possibile talvolta ricavare dal gentilizio di un personaggio quale fosse la sua regione di provenienza. Nelle iscrizioni il gentilizio, a differenza del prenome, usualmente non veniva mai abbreviato, salvo in alcune epigrafi arcaiche ove il gentilizio è scritto senza la desinenza finale –us , p. es. Afini. = Afini(us) , Corneli. = Corneli(us) . Unica vera eccezione sotto questo riguardo presentano alcuni gentilizi, che ad un certo momento divennero così comuni, che la loro abbreviazione non poteva dar luogo ad equivoci. Tale fu il caso soprattutto dei gentilizi di quegli imperatori che fecero più larghe concessioni del diritto di cittadinanza romana. I nuovi cives Romani , come già notato, avevano bisogno di prendere un gentilizio e, per antica consuetudine, prendevano quello portato dal personaggio a cui dovevano la concessione. Si vennero così moltiplicando i Giulii, i Claudii, i Flavii, soprattutto gli Aurelii (M. Aurelio Antonino si chiamava Caracalla, autore di quella constitutio del 212 che più largamente estese nell’ impero la civitas Romana), e parallelamente con sempre maggior frequenza appaiono nelle epigrafi le abbreviazioni Iul. (= Iulius), Cl . (= Claudius), Fl. (= Flavius), Aur . (=Aurelius). Il cognomen. – Come s’è detto, questo diventò di uso comune solo verso la fine del I sec. a. C.; pertanto le iscrizioni in cui compaiono personaggi menzionati soltanto col prenome e col gentilizio difficilmente sono

Page 22: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

22

posteriori alla prima età imperiale. Nati come soprannomi individuali, i cognomina perdettero poi questa caratteristica e al pari del prenome e del gentilizio diventarono ereditari per distinguere sia tra i diversi rami di una stessa gens (p. es., in seno alla gens Licinia , i Licini Crassi , i Licini Luculli , i Licini Murenae , i Licini Neruae) sia tra gli appartenenti al medesimo ramo (p. es., i Corneli Scipiones Nasicae , che con questo secondo cognome si distinguevano dai più numerosi Corneli Scipiones). Una particolare menzione deve farsi dei cognomina ex uirtute (detti anche cognomina deuictarum gentium) assunti in età repubblicana da condottieri come P. Cornelio Scipione (Africanus), Q. Cecilio Metello (Numidicus), e poi dagli imperatori che li introdussero nella loro titolatura ufficiale. Sul moltiplicarsi dei cognomina nei polionimi, v. sopra. Altri elementi nominali. – Oltre i tria nomina , compaiono spesso nelle iscrizioni altri elementi che completano la denominazione ufficiale del civis Romanus . Così, dopo il gentilizio, compare assai di frequente il patronimico, espresso di solito mediante due sigle, quella di un prenome al genitivo seguita da f(i l ius) ; p. es. Ti(berius) Sempronius Ti(beri) f(i l ius) . Naturalmente nella nomenclatura degli schiavi e dei liberti questo elemento mancava, indizio manifesto dell’ inferiorità del loro stato giuridico. Viceversa, nella nomenclatura di un personaggio appartenente alla classe nobiliare, ricorrevano talora accanto al prenome del padre anche quelli del nonno o di altri antenati; p. es. M. Aemilius M(arci) f(i l ius) M(arci) n(epos) Lepidus . Quest’uso di elencare gli ascendenti fu comunemente seguito nelle iscrizioni che nominavano gli imperatori coi loro titoli . Qualche volta il patronimico viene indicato menzionando non il prenome, ma il cognome del padre; p. es. M. Aurelius Deciani f i l(ius) Decianus . Subito dopo il patronimico e prima del cognome fa spesso la sua apparizione un altro elemento nominale consistente nella menzione della tribus di

Page 23: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

23

appartenenza. Queste tribù (le cosiddette tribù territoriali, ben distinte dalle più antiche tribù gentilizie dei Ramnes , Tities e Luceres) erano state istituite al principio del V sec. a. C. come distretti nei quali, in base al domicilio, ciascun cittadino veniva iscritto ai fini della riscossione del tributo, delle operazioni del censimento, della leva militare. Soltanto i cittadini romani, in quanto tali, potevano (e dovevano) essere iscritti in una tribù (al contrario degli schiavi e degli stranieri che, non avendo il diritto di cittadinanza, non erano iscritti in alcuna tribù) e questo spiega l ’uso di menzionare, fra gli elementi nominali, la tribù di appartenenza. Era come dichiarare “civis romanus sum”. Il numero di queste tribù andò man mano crescendo, coll’espandersi dello stato romano, fino a raggiungere nel 241 a. C. quello di 35, numero che poi non fu più toccato (salvo forse, ma per poco, subito dopo la fine della guerra sociale). E poiché anche dopo quella data continuò l’espansione territoriale dello stato mentre il numero delle tribù restava inalterato, i nuovi cittadini furono iscritti in questa o quella tribù indipendentemente da ogni criterio di contiguità geografica. In tal modo l’appartenenza alla tribù si svincolava dal domicilio e finiva col diventare un elemento personale ed ereditario. Naturalmente, col progressivo allargarsi della cittadinanza romana cominciò a diventar più raro l’uso di menzionare la tribù fra gli elementi nominali, e dopo la constitutio Antoniniana essa a mano a mano scomparve del tutto. Delle 35 tribù, quattro (la Collina , la Esquilina , la Palatina e la Succusana , detta poi anche Suburana) erano denominate urbanae in quanto comprendevano la gran parte dei cives Romani domiciliati nell’urbe, quelli che col tempo andarono scadendo sempre più a plebaglia avida e oziosa. Le restanti 31 si chiamavano rusticae perché comprendevano i cittadini domiciliati nello ager Romanus (cioè in tutto il restante territorio dello stato escluso quello della città di Roma). Nell’uso epigrafico, anche la menzione della tribù fra gli elementi nominali si soleva fare

Page 24: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

24

mediante abbreviazioni, di cui diamo nell’elenco seguente le più usuali: 1 - Aemilia AEM 6 - Clustumina CLV 2 - Aniensis ANI 7 - Collina CO 3 - Arnensis ARN 8 - Cornelia COR 4 - Camilia CAM 9 - Esquilina ESQ 5 - Claudia CLA 10 - Fabia FAB 11 - Faleria FAL 24 - Quirina QUIR 12 - Galeria GAL 25 - Romilia ROM 13 - Horatia HOR 26 - Sabatina SAB 14 - Lemonia LEM 27 - Scaptia SCAP 15 - Maecia MAE 28 - Sergia SER 16 - Menenia MEN 29 - Stellatina STEL 17 - Oufentina OUF 30 - Succusana SUC 18 - Palatina PAL (poi Suburana) SUB 19 - Papiria PAP 31 -Teretina TER 20 - Pollia POL 32 -Tromentina TRO 21 - Pomptina POM 33 -Velina VEL 22 - Publil ia PUB 34 -Voltinia VOL 23 - Pupinia PUP 35 -Voturia VOT/VET

Page 25: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

25

(o Veturia) Ancora un altro, fra questi elementi nominali aggiuntivi, era la menzione della città in cui un cittadino aveva la sua residenza, espressa in caso ablativo e talvolta preceduta dalla parola domo; p. es.: Q. Etuvius Sex(ti) f(i l ius) Vol(tinia) Capreolus domo Vienna (ILS 9090); T. Cominius T. f(i l ius) Vol(tinia) Severus Vienna (CIL III 10224); L. Aemilius M. f. M. nepos Quir(ina) Rectus domo Roma (CIL II 3424). A cominciare dal II sec. d. C. appare talvolta nelle iscrizioni ancora un altro elemento nominale, il supernomen o signum , che consisteva in una specie di nomignolo. Esso accompagnò dapprincipio i nomi di personaggi di basso rango; poi nel III, e soprattutto nel IV secolo, venne portato anche dai membri della nobiltà. In questi casi di solito il supernomen veniva menzionato, in caso genitivo, davanti a tutti gl i altri elementi onomastici; cfr. CIL X 1965: Mauortii . Q. Flavio Maesio Egnatio Lolliano c(larissimo) v(iro) ecc. ecc. (Lolliano aveva il nomignolo di Mauortius); altrimenti appare introdotto da formule come sive , idemque , qui et , qui et vocatur , signo, signum ; p. es. C. Martius Valerius qui et Viuentius; L. Caecil ius Honoratus signo Thaumanti . Nome della donna. – Per quanto riguarda l’onomastica femminile, anch’essa ci presenta un ciclo evolutivo: dapprima i principali elementi nominali sono due, poi uno solo e infine di nuovo due. Nella fase più antica, che arriva fino a circa la metà del II secolo a. C., il nome della donna si presenta composto di due elementi: un gentilizio (quello paterno, al femminile) preceduto da un praenomen che qualche volta riproduce quelli degli uomini (p. es.: Mania Curia), ma per lo più si presenta come un cognome, (p. es.: Paulla Cornelia ; Paulla è il femminile del cognome Paullus o Paulus) o un secondo gentilizio (p. es.: Maria Fabricia ; Maria è il femminile del gentilizio Marius).

Page 26: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

26

Circa questi prenomi, così si legge nel cap. 6 del l iber de praenominibus : “Antiquarum mulierum frequenti in usu praenomina fuerunt, Rutila, Caesell ia, Rodacil la, Marrula, Burra a colore ducta. Il la praenomina a viris tracta sunt, Gaia, Lucia, Publia, Numeria; ceterum Gaia usu super omnes celebrata est”. In età successiva e fino agli inizi dell’ impero l’onomastica della donna si riduce al solo gentilizio, sì che la madre dei Gracchi, che era figlia di P. Cornelio Scipione Africano, si chiamava col solo gentilizio di Cornel ia , e così Tullia la figlia di Cicerone, Iulia la figlia di Cesare, ecc. In età imperiale il nome della donna torna a comporsi di due elementi, il gentilizio (che rimane sempre quello del padre, anche nel caso di una donna sposata) e poi un cognome che o è quello stesso del padre (p. es.: Fabia Agrippina , figlia di C. Fabius Agrippinus , console nel 148) oppure un derivato di esso (p. es. Valeria Messalina , la terza moglie dell’ imperatore Claudio, figlia di M. Valerius Messalla). Compare talvolta, sia in età più antica, sia in età più recente, il patronimico espresso con la formula abbreviata del tipo C(ai) f(i l ia) . Sotto l’ impero anche alcune donne delle casate nobili hanno un nome composto di parecchi elementi, sul tipo dei polionimi cui già s’è fatto cenno sopra; p. es. la figlia di Ser. Calpurnius Dexter, console nel 225, si chiamava Calpurnia Rufria Aemilia Domitia Seuera . Trasmissione del nome. – I figli di coniugi uniti in matrimonio nelle forme riconosciute dalla legge assumevano di regola il gentilizio del padre, come noi ora il cognome paterno. Così, p. es., tutti i figli legittimi di un Q. Fabio Massimo avevano il gentilizio Fabius (Fabia , se donna); e pertanto solo come un’eccezione, dovuta forse all’ influenza di consuetudini locali, si può ricordare l’uso attestato da alcune iscrizioni provenienti in massima parte dal territorio gallo-germanico. Qui vediamo che i figli assumono come gentilizio non quello del padre, ma un derivato del suo cognome: p. es. i due

Page 27: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

27

figli di un C. Lucius Victor ricordati nell’ iscirzione CIL XIII 6244 hanno non il gentilizio Lucius , ma i l gentilizio Victorius derivato da Victor cognome del padre, e si chiamano l’uno Victorius Florentinus e l’altro Victorius Victorinus . In altri casi vediamo prendere insieme i gentilizi del padre e della madre (p. es., nell’ iscrizione CIL X 2717, la figlia di un M. Caecil ius Caecil ianus e di una Maria L. fi l . Procil la si chiama Maria Caecil ia Procil la). Il fatto che la famosa Poppea, che era figlia di un T. Ollio, assunse il gentilizio del nonno materno Poppeo Sabino (TAC. , Ann . XIII 45) in luogo di quello paterno non può essere generalizzato e addotto a prova che così si usava fare nelle casate nobili. In quel caso infatti si trattò di una abolitio memoriae dato che T. Ollio fu coinvolto nella congiura di Seiano. Quanto al prenome dei figli legittimi, esso tende sempre più a rinnovare quello del padre o, comunque, a non uscire fuori della cerchia di quei pochissimi tradizionalmente usati nella gens . Anche il cognome, specie nel primo figlio, riproduce quello del padre, oppure è un derivato da esso (p. es. Celsinus da Celsus), ma non di rado esso risale all’onomastica materna. T. Flavio Vespasiano (l’ imperatore), figlio di un T. Flavio Sabino e di una Vespasia Polla, portava un cognome derivato dal gentilizio materno (Vespasia→Vespasianus); suo fratello maggiore si chiamava invece precisamente come il padre: T. Flavio Sabino. Un valore indicativo dell’uso comunemente seguito ha il caso offerto dall’epigrafe sepolcrale CIL IX 1506 che ricorda una famiglia composta dal padre M. Cosinius Priscus , dalla madre Tuccia Prima , e da tre figli. Di questi tre figli noi vediamo che il primo si chiama esattamente come il padre, cioè M. Cosinius Priscus ; i l secondo, M. Cosinius Primus , ha il prenome e il gentilizio del padre e il cognome della madre (Prima→Primus); i l terzo, M. Cosinius Priscianus , ha il prenome e il gentilizio del padre e, come cognome, un derivato da quello del padre (Priscus→Priscianus).

Page 28: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

28

Per quanto riguarda il nome dei figli naturali, che da un punto di vista giuridico non avevano padre, una qualche traccia ne è rimasta nelle iscrizioni: essi prendevano il gentilizio della madre e poi un prenome e un cognome qualsiasi con cui in qualche misura dissimulavano la loro condizione. In alcuni casi il cognome è quello del padre; p. es. in CIL X 2247 il figl io naturale di un Clodius Fructuosus e di una Ceionia Helias si chiama L. Ceionius Fructuosus . Circa il nome dei figl i adottivi (e si noti che quella dell’adozione fu una pratica molto frequente nel mondo romano antico, cui spingeva fra l’altro anche la preoccupazione di assicurarsi eredi che curassero debitamente i riti funerari) si deve distinguere fra età repubblicana e età imperiale. In età repubblicana il figlio adottivo prendeva i nomi dell’adottante cui si aggiungeva un cognome formato dal suo precedente gentilizio e terminante in anus . Per es., C. Octavius , dopo l’adozione da parte del prozio C. Iulius Caesar (il dittatore), si chiamò C. Iulius Caesar Octavianus (il futuro Augusto). Invece in età imperiale il figlio adottivo conservava tra i suoi nuovi nomi il vecchio gentilizio senza cambiarlo in un cognome in anus . Per es., Plinio il giovane si chiamava in origine P. Caecil ius Secundus ; adottato dallo zio materno G. Plinio Secondo (Plinio il vecchio) cambiò il suo nome in quello di C. Plinius Caecil ius Secundus (col sistema precedente si sarebbe chiamato C. Plinius Secundus Caecil ianus). Si deve tuttavia tener presente che, secondo un uso che si riscontra sin dall’epoca della tarda repubblica, l’adozione non comporta necessariamente l’assunzione del gentilizio dell’adottante da parte dell’adottato. Nome degli stranieri che diventavano cittadini romani. – Si è già accennato sopra, nel paragrafo dedicato al gentil icium , che gli stranieri cui si concedeva il diritto di cittadinanza romana prendevano il gentilizio di colui a cui dovevano la concessione, normalmente un magistrato (o promagistrato) in età repubblicana, e un imperatore in

Page 29: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

29

età imperiale. Lo stesso avveniva comunemente per il prenome, mentre come cognome questi ex stranieri conservavano il loro antico nome. Per es. lo storico Pompeo Trogo, come egli stesso aveva scritto nel libro 43 delle sue Historiae Philippicae (e come noi leggiamo nell’Epitome di Giustino), proveniva da una famiglia gallica del paese dei Voconzii, la quale aveva ottenuto la cittadinanza romana (e il gentilizio) da Pompeo al tempo della guerra contro Sertorio. Per l’età imperiale si potrà ricordare il T. Flavius Castoris f(i l ius) Alexander civitate donatus ab imp(eratore) Caes(are) Vespasiano (CIL III 6785): come mostra il suo vecchio nome e quello del padre, si tratta con ogni probabilità di un suddito delle province greco-orientali, che dall’ imperatore cui doveva la concessione della civitas ha assunto il prenome e il gentilizio conservando come cognome il suo nome di Alessandro. Nome degli schiavi e dei liberti. – Una delle note caratteristiche dell’antica società romana, come di quella greca, fu la presenza di individui in condizione di schiavitù. Era un fatto, questo, che in Grecia non aveva mancato di attirare di quando in quando la pensosa considerazione di taluni spiriti più il luminati, o soltanto più sensibili agli aspetti più gravi del fenomeno. Ma c’erano state anche prese di posizione tranquillizzanti, p. es. quella di Aristotele che aveva teorizzato la schiavitù come un fatto di natura, sicché nel mondo classico il comune sentimento morale non fu, in generale, turbato dalla presenza degli schiavi. Il numero di questi, specie per effetto delle grandi guerre di conquista combattute dal principio del II sec. a. C. in poi, si andò notevolmente moltiplicando sia in Roma, sia in Italia. Essi vennero in massima addetti ai lavori agricoli, ma non pochi vivevano in città svolgendo nelle case dei padroni le più svariate mansioni e dedicandosi talora a professioni che allora erano considerate ill iberali, come la medicina, l’architettura, l’ insegnamento. Ancora più caratteristica fu poi la relativamente grande facilità con

Page 30: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

30

cui gli schiavi venivano “manumissi”, cioè liberati dai padroni. E poiché insieme con la libertà essi ottenevano buona parte della dignità e dei privilegi della cittadinanza romana, un tal sistema (che non mancò di suscitare le meraviglie dei contemporanei) ebbe fra l’altro il benefico effetto di rinsanguare le file dei cives . Per quanto la classe di governo cercasse di mantenere gli ex schiavi, i l iberti come li chiamavano, a un gradino più basso rispetto agli ingenui , cioè ai nati liberi, per quanto il costume tradizionale imponesse al liberto una forma di sopravvivvente soggezione verso il suo ex padrone (ora divenuto il suo patronus), sì che anche dopo la manomissione egli continuò per molto tempo a chiamarsi servus , tuttavia a poco a poco la condizione di questi nuovi elementi della cittadinanza andò sempre più elevandosi. Così, p. es., dopo che Augusto ebbe in linea di massima abrogato il divieto che per tutta l’età repubblicana aveva impedito le nozze tra ingenui e l iberti , molto frequenti divennero i matrimoni fra patroni e liberte (assai rari invece quelli fra liberto e patrona; più a lungo resistettero i divieti quando si trattava di uomini o donne della classe senatoria). Ad ogni modo i matrimoni fra ex schiavi ed ex padroni testimoniano il graduale innalzamento della condizione dei liberti, confermato poi in maniera particolare dall’uso generalmente seguìto dai patroni di accogliere nelle loro tombe le spoglie dei liberti. Le epigrafi sepolcrali contengono a migliaia esempi di tale concessione del “ius sepulchri”, espressa per lo più nella forma l ibertis l ibertabusque che, se di solito appare una formula ormai stilizzata, a volte viene invece sottolineata nel suo particolare significato da disposizioni restrittive. Per es., in CIL I² 1212 si legge: “in hoc monumento neminem inferri neque condi l icet, nisei (arcaico per nisi) eos l ib(ertos) quibus hoc testamento dedi tribuique”, e in CIL VI 39479: “. . . . sibi et suis l ibertis l ibertabusque, et l ibertorum libertis et l ibertabus, et l ibertarum libertis et l ibertabus, missi qui testamento meo notati erunt”. Una certa inferiorità, rispetto agli ingenui , permase nel campo del diritto pubblico, a cominciare dal

Page 31: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

31

diritto penale, sì che, p. es., i l iberti potevano, diversamente dai nati liberi e alla stessa stregua degli schiavi, essere sottoposti alla tortura durante la istruzione dei processi criminali in cui fossero implicati, e ciò specialmente quando si trattava di far luce sull’assassinio del loro patrono. Ugualmente una certa inferiorità perdurò nei riguardi del servizio militare (i liberti furono di solito esclusi dalle legioni e ammessi invece alla marina, che era considerata di rango inferiore) e, ancor più, nel campo dei diritti politici, soprattutto per l’accesso alle magistrature, al senato, alle cariche sacerdotali. Ad ogni modo sarà opportuno rammentare come questi uffici in Roma fossero di regola appannaggio dei membri della nobiltà, sì che non soltanto i liberti, ma la più gran parte degli altri cives ne restavano di fatto esclusi. L’inferiorità dei liberti traspare anche, com’è noto, dalle frecciate di Petronio, di Marziale, di Giovenale, quantunque è da credere che un simile atteggiamento sprezzante fosse proprio dei ceti più elevati di Roma e non corrispondesse ai sentimenti degli strati più umili di Roma stessa e poi, in generale, dell’Italia e delle province dove, specialmente per l’essere cittadini romani, i l iberti si trovavano in una condizione privilegiata. Al riguardo bisognerà anche tener presente la notevole posizione che nel mondo romano i liberti raggiunsero nel campo del commercio, dell’ industria e in generale degli affari, per cui solo entro certi limiti sarà stata reale ed effettiva la diversità sociale tra liberto e ingenuus . Un lungo discorso a parte si potrebbe poi fare a proposito dei liberti imperiali, cioè degli ex schiavi degli imperatori, cui la fiducia dei loro patroni affidò spesso mansioni importanti nel palazzo: mansioni che poi, per i sempre più stretti legami intercorrenti fra amministrazione della casa imperiale e amministrazione dello Stato, si dilatarono sino a farne, specie sotto Claudio, degli alti funzionari di governo. Una categoria assai interessante, dunque, nel vario tessuto della società romana antica, e lo sviluppo relativamente ampio della

Page 32: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

32

parte che segue sulla onomastica degli schiavi e dei liberti è intesa anche a metterne in evidenza, sia pure in via indiretta, qualche caratteristica. In età più antica gli schiavi portavano un nome che non aveva nulla a che fare con quello loro originario; era un nome coniato aggiungendo al prenome del loro padrone il suffisso per (derivato da puer): p. es. Marciper , che significava il ragazzo, cioè lo schiavo, di Marco (così anche Lùcipor , Olipor = Aulipor , ecc.; cfr. PLIN . , Nat. Hist . XXXIII, 1, 26). Ma questo evidentemente solo fino ad un certo punto poteva servire come vero e proprio nome distintivo individuale, sicché in seguito, specie quando si moltiplicarono gli schiavi di uno stesso padrone, ognuno di questi ebbe un suo nome personale come Davus , Stichus , ecc. Nell’uso epigrafico, accanto al nome dello schiavo si annotava il prenome del padrone cui apparteneva, con una formula che richiama quella del patronimico per gli ingenui ; p. es. Stichus Cn. s(ervus) ; Aucta L(uci) s(erva) . Ad una certa epoca, all’ incirca tra la guerra annibalica e l’età sillana, invalse la consuetudine di indicare nelle epigrafi tra gli elementi onomastici dello schiavo anche il gentilizio del padrone; per esempio (CIL I² 2235) Apollonius Laelius Q(uinti) s(ervus) (si tratta di uno schiavo di nome Apollonio appartenente ad un Q. Lelio); Bacchus Afini(us) L(uci) s(ervus) (CIL I² 753). Per lo più il gentilizio del padrone era scritto appunto, come nell’ultimo esempio, in forma abbreviata senza la desinenza –us e ciò fece sì che una denominazione come Philemo Helvi(us) A(uli) s(ervus) fosse poi sentita come Philemo Helvi (genitivo) A(uli) s(ervus) , cioè come se nella menzione del padrone il gentilizio fosse stato preposto al prenome, e si fosse quindo detto “schiavo di Elvio Aulo”, anziché “schiavo di Aulo Elvio”. Passando ora al nome dei liberti si deve subito osservare che per l’età più antica è talvolta difficile distinguere con certezza tra uno schiavo e un ex schiavo. Tale incertezza nasce sia dall’uso, cui abbiamo or ora accennato di inserire tra gli elementi onomastici di

Page 33: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

33

un servo il gentilizio del padrone (come invece facevano di regola i liberti), sia dall’altro uso (cui pure si è accennato), secondo il quale gli schiavi, anche dopo la liberazione, continuarono a chiamarsi comunemente servi e non liberti (p. es. ancora col nome di servi si fa riferimento ai liberti nella lex Cincia de donis et muneribus , che è del 204 a. C.). Stando così le cose, e considerando che i liberti assumevano anche un praenomen , è da ritenere che in casi dubbi solo la presenza di un prenome caratteristico dell’onomastica romana potrebbe assicurarci che si tratta di un liberto e non di uno schiavo. Così, p. es., il L(ucius) Etri(us) A(uli) s(ervus) dell’ iscrizione CIL I² 2385, col suo prenome Lucio è sicuramente da considerare un liberto. Ogni ragione di dubbio scomparve quando nelle iscrizioni si cominciò ad usare (e ciò fu a partire dagli ultimi decenni del III sec. a. C.) il termine di l ibertus . Le iscrizioni anteriori alla guerra annibalica raccolte nel primo volume del CIL ce ne conservano una trentina di esempi, dai quali ricaviamo che l’onomastica del liberto si componeva in origine di due elementi principali, i l prenome e il gentilizio (oltre l’ indicazione del nome del patrono); p. es. A. Sulpicius T. l(ibertus) . Il cognome fece invece la sua apparizione relativamente più tardi divenendo di uso comune a partire dal I sec. d. C. Come mostrano le iscrizioni non posteriori al II sec. d. C., inizialmente lo schiavo dopo la manumissione assumeva un prenome diverso da quello del padrone (v. gli esempi sopra riportati); invece verso la fine della repubblica e in età imperiale il prenome del liberto corrisponde generalmente a quello del padrone. Così nell’epigrafe CIL VI 975, la quale elenca alcune centinaia di liberti che in qualità di magistri vicorum di Roma pongono una dedica all’ imperatore Adriano, questi hanno tutti il prenome uguale a quello dell’ex padrone; p. es. Ti. Iulius T. l(ibertus) Atimetus ; L. Vallius L. l(ibertus) Phoebus . Ma si trattava solo di un uso che, pur consolidandosi col tempo, patì talune eccezioni per i più vari motivi, che in qualche caso è dato cogliere. Così, p.

Page 34: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

34

es. M. Pomponius Dionysius , l iberto di T. Pomponio Attico, assunse in onore di Cicerone il prenome di Marco in luogo di quello di Tito portato dall’ex padrone (cfr. CIC. , ad Att . IV, 15). Altre volte la ragione della diversità dei due prenomi risiede nel fatto che il patrono, membro di una illustre casata, portava come prenome un antico cognome della sua gens , sì che il liberto in luogo di questo speciale cognome – prenome assumeva quello (più usuale) del padre o dell’avo del manumissore. Così i l iberti di Nerone portarono sempre il prenome di Tiberio, mentre l’ imperatore, a prescindere da quello che più tardi assunse di Imperator recava il prenome Nero. Se lo schiavo (che poteva appartenere in condominio anche a diversi padroni, uomini o donne) era manomesso da più padroni aventi, oltre lo stesso gentilizio, lo stesso prenome, egli assumeva generalmente tale prenome, per es. Q. Caelius Q(uinti) Q(uinti) (o meglio , Quintorum duorum) l(ibertus) (CIL I² 1555). Se i padroni avevano lo stesso gentilizio ma diverso prenome il liberto prendeva il prenome di uno dei padroni; p. es. L(ucius) Alfius C(ai) L(uci) l(ibertus) Prothumus (CIL I² 1236); non mancano però esempi in senso diverso: p. es., (CIL I² 1964): C(aius) M(inius) M(arci) L(uci) l(ibertus) Artemo. Il liberto di una donna, poiché questa per lo più non aveva prenome, assumeva il prenome del padre di lei: così p. es., il M(arcus) Livius Aug(ustae) l(ibertus) Menophilus menzionato nell’ iscrizione CIL VI 3939, il quale porta il prenome del padre dell’ imperatrice Livia, Marco Livio Druso Claudiano. Allorché la donna che manomette è a sua volta una liberta, e quindi giuridicamente priva di un padre, il manomesso prende il nome dell’ex padrone della sua patrona; v. p. es. CIL I² 1332 . . . . . . Lusciae T(iti) l(ibertae) Montanae T(itus) Luscius (= Gaiae , nel significato generico di mulieris) l(ibertus) Corumbus patronae pro meriteis . Tito Luscio Corumbo, liberto di una donna, fa un’offerta appunto alla sua patrona, la quale si chiama Luscia Montana liberta di Tito. Quando era schiava, Montana apparteneva

Page 35: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

35

a un Tito Luscio, ed è precisamente il prenome Tito del suo antico padrone che Montana ha passato al suo liberto Corumbo. In corrispondenza con l’uso, cui già s’è accennato, secondo il quale le donne ingenuae , tranne che in tempo più antico, non hanno il prenome, anche le liberte nelle iscrizioni compaiono per lo più nominate senza prenome. Però non mancano esempi in contrario sia in epigrafi arcaiche (p. es. CIL I² 1837: Quarta Senenia C. l .), sia in epigrafi di età recenziore (p. es. CIL VI 16450: Ser. Cornelia Ser. l . Sabina). Il gentilizio del liberto è, di regola, quello stesso del padrone o della padrona che lo manomette. Meglio dovrebbe dirsi che i liberti assumevano il gentilizio che il manumissore recava al momento della manumissione. Così, ad esempio, di Pomponio Attico, che fu adottato per testamento dallo zio Q. Cecilio, noi conosciamo un liberto di nome M. Pomponius Dionysius , uno di nome T. Caecil ius Eutychides e un altro di nome Q. Caecil ius Epirota . Questa sembra la norma generalmente seguita (e largamente richiamata, tra l’altro, nelle formule di attribuzione del ius sepulchri , come quella: l ibertis l ibertabusque . . . . quisquis extabit ex nomine), anche se in qualche caso, almeno apparentemente, ad essa si derogava. Si veda, p. es., la Caecilia duarum Scriboniarum l(iberta) Eleutheris menzionata in CIL VI 37380; a quel che pare, si tratta di una schiava liberata congiuntamente dalla Scribonia moglie di Ottaviano (poi Augusto) e dalla Scribonia nipote della precedente (come figlia di un fratello) moglie di Sesto Pompeo: perché ella rechi il gentilizio di Cecil ia anziché quello di Scribonia non è chiaro. Con un uso che si riscontra particolarmente nell’area gallo-germanica, e con riferimento anche all’onomastica degli ingenui (v. sopra), il gentilizio del liberto si presenta talora come un derivato del cognome del manumissore; così, p. es., nell’ iscrizione CIL XIII 1902 si menziona una Verinia Ingenua l iberta di un C. Verecundinius Verinus . Notevole a questo proposito l ’ iscrizione CIL XIII 2669, ove i due

Page 36: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

36

l iberti di un Q. Secundius Quigo presentano entrambi il gentilizio Quigonius , anzi uno, Quigonius Secundus , ha non solo derivato il gentilizio dal cognome del patrono, ma anche il cognome dal gentilizio di quello. Da notare poi che anche nella onomastica dei liberti, come in quella degli ingenui , non mancano esempi di cognomi – in genere, propri delle casate illustri – usati in luogo di gentilizio; CIL VI 37814: M. Sulla M. l. Hilario; 38100: C. Brutus C. l . , ecc. Nel caso di più manomissioni, se il gentilizio di costoro è identico, esso passa al liberto e quindi si ha, p. es., (CIL I² 2236): L. Aufidius L(uci) C(ai) l(ibertus) Dorot(eus) . Se invece essi hanno gentilizi diversi, il l iberto prende il gentilizio di uno di essi; p. es. (CIL I² 1430): Q. Caecil ius Cn. A. Q. Flamini leibertus (in questo caso i padroni erano tre e si chiamavano uno Cn. Cecilio, l’altro A. Cecilio e il terzo Q. Flaminio). I liberti imperiali assumevano il gentilizio dell’ imperatore, e gli indici dei nomi delle raccolte epigrafiche registrano un’innumerevole schiera di simili Iulii, Claudii, Aurelii, ecc., gentilizi divenuti tanto comuni che nelle epigrafi, come già si disse, contrariamente all’uso generale appaiono abbreviati: Iul(ius) , Cl(audius), Aur(elius) , ecc. Non mancano però esempi di liberti di imperatori che non recano un gentilizio imperiale, come il C. Asinius Aug. l ib. Paramythius Fastianus di CIL VI 34057, il C. Plotius Aug. l ib. Gemellus di CIL VI 34057, il M. Macrius Trophimus Aug. l ib . di CIL VIII 12922. Della cosa si cercò di dare una spiegazione rilevando che non di rado liberti di privati passarono nella casa imperiale a seguito di eredità o di confische, ma il Mommsen (cfr. CIL VIII p. 1335 n. 10) giustamente fece osservare che, in tal caso, di questi liberti avremmo dovuto conoscerne non pochi, ma moltissimi. In taluni casi la difficoltà si può superare pensando che si tratti di liberti non di imperatori, ma di imperatrici; così il L. Pompeius Aug. l . Fortunatus di CIL VI 1878 può intendersi come un Aug(ustae) l(ibertus) , l iberto cioè dell’ imperatrice Plotina (moglie di Traiano)

Page 37: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

37

che aveva appunto il gentilizio di Pompeia. Il L. Vibius Aug. l . Florus di CIL VI 28804 è un liberto dell’ imperatrice Sabina (moglie di Adriano) che aveva il gentilizio di Vibia, e così pure a una imperatrice era appartenuto il C. Poppaeus Aug. l . Hermes di CIL X 1906, liberto della moglie di Nerone. Una forma particolare assumono i gentilizi dei liberti che da schiavi erano stati al servizio non di privati, ma di enti come una città, una provincia, una corporazione o simili. Nell’onomastica di tali liberti appare di frequente un gentilizio di fattura caratteristica, Publicius , che si richiama alla loro precedente condizione di servi publici, ovvero a quella nuova di l iberti publici ; p. es. (CIL V 6630): C. Poblicius municipum Mediolaniensiu(m) l(ibertus) Alexander (questo Alessandro era stato schiavo dei municipes Mediolanienses, ossia dei cittadini del municipium di Mediolanium = Milano). Spesso il gentilizio di questi ex servi publici , anziché il generico Publicius , è un derivato dal nome della città cui appartenevano o dall’etnico dei suoi abitanti; p. es. (Notizie Scavi di Antichità , 1938 p. 63 = “Année Épigraphique” 1939 nr. 148): P. Ostiensis coloniae libertus Acutus; (CIL IX 4231): M. Amiternius municipum l(ibertus) Iucundus ; (CIL X 5012): Sex. Venafranius col(oniae) l(ibertus) Primogenius . In proposito si può ricordare che secondo Varrone (de lingua Latina , VIII 83) gli ex schiavi pubblici di Roma si sarebbero chiamati anticamente col cognome di Romani, mentre più tardi avrebbero assunto il nome dei magistrati che compivano l’atto di manumissione. Talvolta il gentilizio di tali liberti derivava non dal nome della città o dall’etnico corrispondente, ma da un soprannome; p. es. Benevento dall’età triumvirale si chiamò, come colonia romana, colonia Concordia Beneven um e questo spiega perché un’ex schiava della città appare nell’ iscrizione CIL IX 1538 con nome di Concordia col(oniae) l ib(erta) Ianuaria . Anche qui non mancano casi nei quali non è dato precisare l’origine del gentilizio portato da questi liberti, p. es. dal M. Valerius col(onorum) l(ibertus) Verna , ex schiavo della colonia di Ascoli (ILS 6565). La stessa cosa può dirsi a

Page 38: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

38

proposito degli ex servi pubblici di una provincia (da intendere come addetti con una qualche mansione agli uffici di governo di quella provincia); di contro a casi incerti come quello, p. es., di L. Fabius provinc(iae) l ib(ertus) Victor (“Ann. Épigr.” 1919, nr. 25), l ’ iscrizione CIL II 2230 da Corduba (= Cordova), sede del governatore della Baetica , ricorda un C. Public(ius) provinc(iae) Baetic(ae) l ib(ertus) . Riguardo al P. Cl(audius) trium Galliar(um) lib(ertus) di CIL XIV 327, il gentilizio Claudius sembra derivato dal corrispondente appellativo di Lugdunum (oggi Lione), che dai tempi dell’ imperatore Claudio si chiamava colonia Copia Claudia Augusta ed era il principale centro politico e amministrativo delle Gallie. Gli schiavi di proprietà delle corporazioni (collegia) ricevevano per solito al momento della manumissione un gentilizio derivato dal nome del collegium cui avevano appartenuto. È da notare tuttavia che anch’essi portavano talvolta il gentilizio Publicius , da mettere probabilmente in rapporto con qualche servizio pubblico disimpegnato dalla corporazione; così, p. es., il M. Publicius Secundanus nautarum Mosallicor(um) libert(us) di CIL XIII 4335, che era stato schiavo della corporazione dei battellieri della Mosa. Di gentilizi derivati dal nome della corporazione, le epigrafi ne attestano un numero cospicuo, e si può cominciare col ricordare un liberto che era stato schiavo della corporazione dei fabbri di Lambaesis , in Numidia, e che assunse addirittura i l nome di Collegius Fabricius (CIL VIII 3545). Altri esempi caratteristici: Fabricius Centonius collegiorum lib(ertus) Cresimus (CIL V 4422), il quale era stato schiavo insieme del collegium dei fabri e di quello dei centonarii ; M. Picarius socior(um) lib(ertus) Nuraeus (CIL XI 6393), il quale, come mostra il suo gentilizio derivato da picaria (=miniera di pece), era stato schiavo di una società che aveva avuto in appalto l’estrazione della pece; M. Vicensumarius M. l(ibertus) Auctus (CIL VI 5623), i l quale era stato manomesso dai soci i publici vicesimae libertatis , vale a dire la società che aveva in appalto la riscossione della vicesima

Page 39: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

39

(o vicensuma) libertatis , cioè la tassa del 5 per cento sul valore dello schiavo che veniva liberato. In maniera analoga si presentano talora formati i gentilizi di liberti già addetti al servizio in un tempio: così, p. es., il Septim(ius) Ascl(epius) Hermes libertus numinis Aesculapi di CIL III 1097. Si deve ancora notare come nessun fondamento abbia l’opinione che qualche volta i servi pubblici assumessero, da liberti, un gentilizio derivato dal nome della tribù cui la città apparteneva. In proposito si addusse l’esempio del padre del poeta Orazio ( l ibertino patre natus), il cui gentilizio sarebbe derivato dal nome della tribù Horatia cui Venosa apparteneva; ma è esempio senza raffronti negli altri numerosi a noi noti circa l’onomastica degli ex servi pubblici, e se ne deve concludere che il padre del poeta era stato schiavo non del comune di Venosa, ma di un privato che si chiamava Horatius . Il cognome, come già s’è accennato, fece relativamente tardi il suo ingresso nell’onomastica dei liberti, all’ incirca verso la fine del II secolo a. C., e nelle iscrizioni comincia ad apparire regolarmente nei primi decenni del I secolo a. C. Se si prendono in esame, p. es., le numerose iscrizioni poste a Capua dai magistri vicorum , cioè dai magistri preposti ai collegia che curavano il culto delle divinità compitali (compitum = crocevia) e che erano in buona parte liberti, si può appunto constatare anzitutto che nelle iscrizioni più antiche i liberti sono menzionati per lo più col prenome e col gentilizio, raramente anche col cognome. Così in CIL I² 673 (da attribuire probabilmente all’anno 112 o 111 a.C.) di sei liberti soltanto uno reca il cognome. Nelle iscrizioni più recenti la menzione del cognome si fa invece sempre più frequente, e così, mentre in CIL I² 682 dell’anno 94 su dodici liberti ben dieci presentano il cognome, questo è poi notato regolarmente in CIL I² 683 dell’anno 84, CIL I² 686 dell’anno 71, ecc. E il cognome, mentre nelle epigrafi più antiche è abbreviato (CIL I² 677: Ser. Sueti(us) Ser. l(ibertus) Bal . . . . L. Hordioni(us) L. l . Lab.) in quelle posteriori è scritto per intero, il che in generale

Page 40: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

40

va messo in relazione con il crescere dell’ importanza del cognome come elemento nominale. Di regola il cognome dei liberti riproduceva il loro antico nome da schiavi; e comunque fu ad essi vietato fino all’età imperiale di assumere i cognomina proprii della nobilitas . Tale uso si riflette anzitutto in quelle denominazioni del tipo Marcipor che costituì il primitivo nome degli schiavi (v. sopra). Come esempi di simili cognomi, si vedano CIL I² 996: P. Cornelius P. l . Gaipor ; CIL I² 1263: A. Caecil i(us) A. l. Olipor . Accanto a questo tipo di cognome arcaico o arcaizzante, le iscrizioni conservano una pleiade di cognomi di carattere svariatissimo, sì da prestarsi anche a classificazioni. In generale essi derivano, p. es., da nomi di divinità (CIL I² 1321a: C. Iunius C. l . Aprodisius) o di personaggi mitologici (CIL VI 38247: L. Cornelius L. l . Zethus et Amphio), da qualità fisiche (CIL I² 2519: Q. Vibius Q. l . Simus = “dal naso schiacciato”) o morali (CIL VI 6813: Ussiena P. P. (leggi: Publiorum duorum) l(iberta) Iucunda, pro nomine iucundissima), dal mestiere esercitato (CIL XIII 444: C. Afranio Clari l ib. Graphico , doctori l ibrario = maestro di scrittura). Particolare attenzione meritano i cognomi di carattere etnico, come p. es. M. Aebutius M. l. Macedo (CIL I² 1228) e, più in generale, quelli stranieri, per la maggior parte greco-orientali. Questi ultimi hanno importanza per la possibilità di stabilire la provenienza dell’ individuo, ma con risultati che vanno naturalmente soggetti alla massima cautela. Numerosi sono i casi in cui i liberti presentano un doppio cognome, dei quali alcuni andranno forse spiegati col desiderio dei liberti di dissimulare il marchio della schiavitù insito nel loro nome (si ricordi l’epigramma di Marziale VI 17 in cui egli sferza il Cinnamus che voleva farsi chiamare Cinna). A parte vanno considerati i casi in cui il secondo cognome è un derivato terminante in anus , i l quale sta per lo più ad indicare l’appartenenza ad un precedente padrone, diverso da quello che ha dato la libertà. Così p. es., il T. Flavius Aug(usti) l ib(ertus) Phoebus Othonianus di CIL XIV

Page 41: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

41

2060 si rivela come uno schiavo di nome Febo che appartenne ad Otone prima di passare in proprietà di Vespasiano, che poi lo manomise. Altre volte un simile cognome denota che il liberto fu, da schiavo, vicarius (cioè dipendente) di un altro schiavo – quest’ultimo, naturalmente, un servo di condizione asssai favorita, per solito appartenente alla casa imperiale – del quale egli conserva il ricordo tra gli elementi del proprio nome. Così, p. es., il Ti. Claudius Aug. l ib(ertus) Epictetus Acteanus (CIL VI 15027), che prima di essere liberato da Nerone era stato schiavo vicarius di Acte, la famosa schiava (poi liberta) favorita dall’ imperatore. Un altro elemento dell’onomastica dei liberti quasi sempre riportata nelle epigrafi è, s’è visto, la menzione dell’ex padrone, cui fa riscontro l’uso parallelo di indicare il nome del padre nell’onomastica degli ingenui. Peraltro tale indicazione del patrono ricorre meno regolarmente che quello della paternità per gli ingenui , onde in parecchie iscrizioni resta dubbio se i tria nomina designino un liberto o un ingenuus , non potendosi affatto considerare elemento di sicura discriminazione un cognome di provenienza straniera. Quando ricorre, la menzione del patrono è posta generalmente dopo il gentilizio, e il patrono è di solito indicato con la sigla del suo prenome; p. es. P. Terentius P(ubli) l(ibertus) Afer. Con una certa frequenza il patrono, anziché col praenomen , è indicato col suo cognomen ; p. es. L. Aurelius Cottae l (ibertus) Philostratus (CIL I² 1258). Quest’uso, almeno in qualche caso, si spiega perché il patrono è a sua volta un liberto, come in CIL V 791: Sex. Fabius Sex(ti) l(ibertus) Stephanus, Sex. Fabius Stephani l(ibertus) Laetus . Se questo Laetus si fosse detto anch’egli Sex(ti) l(ibertus) non sarebbe stato chiaro il suo rapporto con Stephanus : si sarebbe potuto pensare a due colliberti (= ex schiavi del medesimo padrone), mentre Stefano fu in realtà il padrone di Leto. Per la stessa ragione in CIL VI 38682 un liberto, per distinguersi dall’omonimo patrono che era a sua volta un liberto, si dice A. Octavius A. l(ibertus) Diocles l(ibertus).

Page 42: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

42

Nel caso di liberti di donna, la menzione della patrona avveniva di solito nella forma x l. (= Gaiae libertus) , ove il femminile del prenome C(aius) aveva il significato generico di mulier (v. sopra). Per quanto riguarda il patrono dei liberti imperiali, di solito la menzione ne veniva fatta nella forma impersonale Augusti (oppure Augustae) l ibertus , meno comunemente nella forma Caesaris l ibertus . Questo, naturalmente, quando non si voleva menzionare espressamente il nome dell’ imperatore, nel qual caso si trovano, p. es., Carnius Ti(beri) Caesaris Aug(usti) l(ibertus) (CIL VI 4312); T. Aurelius Egatheus imp(eratoris) Antonini Aug(usti) l ib(ertus) (CIL VI 8440; l ’ imperatore è M. Aurelio); oppure, quando l’imperatore è defunto e consacrato, C. iulius divi Aug(usti) l(ibertus) Cozmus (CIL VI 5202); Ti. Claudius divi Claudi l ib(ertus) Actius . Un’indicazione più ampia di tal genere, oppure la formula più concisa Aug. lib . , figura sempre nell’onomastica dei liberti imperiali, e pertanto nel C(aius) Iulius C(ai) l(ibertus) Botrus menzionato nell’ iscrizione edita in “Epigraphica” XVI 1954 p. 31 seg. accanto a un C(aius) Iulius Caesaris l(ibertus) Libanus , invece che vedere un liberto di Caligola indicato come C(ai) l(ibertus) , si deve piuttosto riconoscere un liberto dell’altro liberto C. Giulio Libano (il quale si dice correttamente Caesaris l ibertus). È da tener presente che formule come Augg. (Augustorum duorum) libertus e Auggg. (= Augustorum trium) l ibertus denotano non già uno che fosse stato liberto di due o tre imperatori successivi, ma chi, dopo esser stato schiavo in condominio di due o tre imperatori correggenti, veniva da costoro congiuntamente liberato: p. es., il Semus Aug(ustorum) n(ostrorum) lib(ertus) di CIL VI 410 era stato affrancato insieme da Settimio Severo o da Caracalla, che lo possedevano in comune. A tale proposito si deve osservare che talora la formula Augg. l ib . non può trovare spiegazione nel modo suddetto; si tratta infatti di casi relativi a periodi in cui correggenza non v’era, e pertanto con quella formula si dovrà intendere designato non un

Page 43: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

43

l iberto di due imperatori correggenti, ma un liberto di un Augustus e di una Augusta . Così nell’età di Nerone, che non ebbe correggenti, il Ti. Claudius Augustorum lib. Onirus di CIL X 6745 è da considerare affrancato congiuntamente da Nerone e Agrippina, al pari del Ti. Claudius Augg. l ib . Felix di CIL XIV 821 e del Ti. Cl(audius) Augustor(um) l(ibertus) et structor Domnio di CIL VI 9047. Non diversamente nomi di liberti della casa Flavia come T. Fl(avius) Augg. l ibert. Marcion e T. Fl(avius) Augg. l ibert. Zosimus (CIL XIV 2807) vanno intesi pensando che i due padroni erano un Augustus e una Augusta : Domiziano e sua moglie Domizia. Così ancora i numerosi liberti imperiali che recano il nome di M. Ulpius Augg. l ibertus sono da intendere come manomessi congiuntamente o da Traiano e da sua sorella Marciana o da Traiano e sua moglie Plotina. Tra gli elementi onomastici del liberto la menzione della tribù compare assai di rado (non però “mai”, come talvolta asserito), e ciò va messo naturalmente in rapporto con le limitazioni cui i l iberti andarono soggetti nell’ambito del diritto pubblico (v. sopra). L’iscrizione CIL V 5895 offre un esempio di liberto indicato con tutti gli elementi nominali disposti nell’ordine consueto: P(ublius) Valerius P(ubli) l ibert(us) Palat(ina) Tacitus , ma deve dirsi che tali esempi di nomenclatura completa sono piuttosto rari e che i liberti spesso sono nominati nelle iscrizioni col solo cognome. Anche i liberti presentano talora fra gli elementi del nome un signum ; p. es., nell’epitaffio metrico (acrostico) di T. Aelius Faustus (CIL VI 34001) si ricorda il suo nomignolo di Macarius ; in CIL VI 8464 è menzionato un P. Aelius Felix q(ui) et Novell ius Aug. l ib(ertus) . Una particolarità da segnalare riguardo all’onomastica dei liberti presentano alcune epigrafi in cui ricorrono nomi di schiavi preceduti da uno spazio in bianco: quivi si sarebbe dovuto a suo tempo aggiungere un prenome e il gentilizio del padrone, da cui lo schiavo sperava di essere manomesso. Per es., in CIL X 2134, la

Page 44: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

44

riga 4, da principio non iscritta, reca alla fine solo Carpus ; i l Mommsen annota: sic remansit non perscriptus . Videtur nomen esse servi expectantis l ibertatem. Si può ricordare anche l’iscrizione CIL V 5859, nella quale un certo Faustus provvede Viriae Maximae uxori carissim(ae) et Urso, Lupo, Leoni l ibertis futuris (Orso, Lupo e Leone erano evidentemente tre schiavi che Fausto si riprometteva di liberare). Già s’è accennato al principio che le epigrafi offrono una messe copiosa d’informazione sui più svariati aspetti della società romana e sulle principali caratteristiche che ne denotavano tutte, o quasi, le manifestazioni della vita pubblica e privata. Per quanto riguarda la vita pubblica, e in particolare le istituzioni politiche, fra i tanti capitoli che si possono delineare soprattutto sulla base della documentazione epigrafica ve ne sono due di maggiore importanza per il contributo che danno alla ricostruzione storica; in termini tecnici essi si chiamano cursus honorum e titolatura imperiale. Nella parte che segue sarà data una breve trattazione del secondo preceduta da qualche cenno sommario sul cursus honorum . A proposito del quale si comincerà con l’osservare che nelle iscrizioni, specialmente in quelle onorarie e talora in quelle sepolcrali (quando si atteggiavano anch’esse a iscrizioni in onore del defunto), il nome del personaggio era spesso accompagnato dai titoli delle diverse cariche e delle funzioni sacerdotali da lui rivestite. È un uso che possiamo seguire dall’età repubblicana a quella tardo-imperiale; ma anche qui occorre tener presente che la massima parte delle iscrizioni latine a noi pervenute datano dai primi tre secoli d. C. Esse, quindi, riflettono per lo più le condizioni del mondo romano dall’età augustea a quella dioclezianeo-costantiniana, eccettuate quelle, relativamente assai meno numerose, che appartengono al periodo repubblicano o al basso impero. In età repubblicana, e non potrebbe essere diversamente, i personaggi romani che nelle iscrizioni

Page 45: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

45

sono nominati con il loro cursus honorum appartengono di regola all’ordine senatorio, espressione della classe nobiliare che deteneva il monopolio delle cariche pubbliche. Poi, con le riforme augustee e col successivo moltiplicarsi delle funzioni svolte dallo stato attraverso i suoi organi, una certa parte (col tempo, sempre più notevole) di tali funzioni venne affidata, in Roma e fuori, a personaggi della classe equestre, mentre infine funzioni pubbliche di minore importanza furono affidate a personaggi di rango ancora più basso. Ed è così che dalle iscrizioni di età imperiale (di gran lunga le più numerose, ripetiamo) noi possiamo ricavare cursus honorum , ossia carriere, di tre categorie: carriera senatoria, carriera equestre, carriera inferiore. La prima si apriva a chi apparteneva alla nobiltà senatoria o per diritto di nascita o per esservi stato ammesso (in linea di massima, per concessione dell’ imperatore); la seconda a chi faceva parte della classe dei cavalieri; l ’ultima a chi era fuori sia dell’ordine senatorio, sia dell’ordine equestre. Esisteva un censo minimo per l’appartenenza all’uno o all’altro dei due ordini, rispettivamente di un milione e di quattrocentomila sesterzi, ma tale censo era condizione necessaria, non sufficiente per la suddetta appartenenza. Nelle epigrafi che ci hanno conservato queste carriere, i titoli delle cariche si susseguono generalmente o nell’ordine diretto o nell’ordine inverso. Nel secondo caso le cariche venivano elencate nell’ordine contrario a quello in cui erano state realmente rivestite, cioè erano riportate dalla più alta alla più bassa (p. es.: console, pretore, edile, tribuno della plebe, questore). L’ordine diretto riproduceva invece la successione cronologica della varie cariche con la sola, ma notevole, eccezione che la magistratura più elevata fra tutte veniva menzionata sempre prima delle altre (p. es.: console, questore, tribuno della plebe, edile, pretore). Anche le funzioni secerdotali venivano menzionate fuori ordine cronologico, e seguivano la menzione della magistratura

Page 46: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

46

più elevata fatta in principio (p. es.: pretore, pontefice, questore, tribuno della plebe, edile). Le cariche, cioè le magistrature e tutti gli altri uffici pubblici, come del resto le funzioni secerdotali, subirono nel corso dei secoli non poche modificazioni e, soprattutto, si andarono moltiplicando secondo uno sviluppo che coincide con quello degli schemi amministrativi della res publica populi Romani .

Page 47: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

47

CURSUS HONORUM Nelle iscrizioni, specialmente in quelle onorarie e talora in quelle sepolcrali (quando si atteggiavano anch’esse a iscrizioni in onore del defunto), il nome del personaggio era spesso accompagnato dai titoli delle diverse cariche e delle funzioni sacerdotali da lui rivestite. È un uso che possiamo seguire dall’età repubblicana a quella tardo-imperiale; ma anche qui occorre tener presente che la massima parte delle iscrizioni latine a noi pervenute datano dai primi tre secoli d. C. Esse, quindi, riflettono per lo più le condizioni del mondo romano dall’età augustea a quella dioclezianeo-costantiniana, eccettuate quelle, relativamente assai meno numerose, che appartengono al periodo repubblicano o al basso impero. In età repubblicana, e non potrebbe essere diversamente, i personaggi romani che nelle iscrizioni sono nominati con il loro cursus honorum appartengono di regola all’ordine senatorio, espressione della classe nobiliare che deteneva il monopolio delle cariche pubbliche. Poi, con le riforme augustee e col successivo moltiplicarsi delle funzioni svolte dallo stato attraverso i suoi organi, una certa parte (col tempo, sempre più notevole) di tali funzioni venne affidata, in Roma e fuori, a personaggi della classe equestre, mentre infine funzioni pubbliche di minore importanza furono affidate a personaggi di rango ancora più basso. Ed è così che dalle iscrizioni di età imperiale (di gran lunga le più numerose, ripetiamo) noi possiamo ricavare cursus honorum , ossia carriere, di tre categorie: carriera senatoria, carriera equestre, carriera inferiore.

Page 48: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

48

La prima si apriva a chi apparteneva alla nobiltà senatoria o per diritto di nascita o per esservi stato ammesso (in linea di massima, per concessione dell’ imperatore); la seconda a chi faceva parte della classe dei cavalieri; l ’ultima a chi era fuori sia dell’ordine senatorio, sia dell’ordine equestre. Esisteva un censo minimo per l’appartenenza all’uno o all’altro dei due ordini, rispettivamente di un milione e di quattrocentomila sesterzi, ma tale censo era condizione necessaria, non sufficiente per la suddetta appartenenza. Le cariche, cioè le magistrature e tutti gli altri uffici pubblici, come del resto le funzioni sacerdotali, subirono nel corso dei secoli non poche modificazioni e, soprattutto, si andarono moltiplicando. Tracciare la loro storia sarebbe tracciare la storia della costituzione e dell’amministrazione romana, ma lo schema delle carriere rimase sostanzialmente immutato, specie fino a Diocleziano e Costantino. Nelle epigrafi che ci hanno conservato queste carriere, i titoli delle cariche si susseguono generalmente o nell’ordine diretto o nell’ordine inverso. Nel secondo caso le cariche venivano elencate nell’ordine contrario a quello in cui erano state realmente rivestite, cioè erano riportate dalla più alta alla più bassa (p. es.: console, pretore, edile, tribuno della plebe, questore). L’ordine diretto riproduceva invece la successione cronologica delle varie cariche con la sola, ma notevole eccezione, che la magistratura più elevata fra tutte veniva menzionata sempre prima delle altre (p. es.: console, questore, tribuno della plebe, edile, pretore). Anche le funzioni sacerdotali venivano menzionate fuori ordine cronologico, e seguivano la menzione della magistratura più elevata fatta in principio (p. es. pretore, pontefice, questore, tribuno della plebe, edile). Carriera senatoria Le principali cariche della carriera senatoria sono rappresentate dalle antiche magistrature

Page 49: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

49

repubblicane che furono poi conservate (anche se con un ben diverso contenuto) durante l’età imperiale: la questura, il tribunato della plebe, l’edilità plebea e curule, la pretura, il consolato. Il tribunato della plebe e l’edilità plebea erano accessibili soltanto ai plebei, l ’edilità curule soltanto ai patrizi. Tali cariche avevano un ordine gerarchico che le graduava così come sono state or ora riferite, quell’ordine che Cicerone chiama certus ordo magistratuum e Livio honorum gradus . Ma il passaggio obbligatorio dall’uno all’altro gradino, sebbene anche prima fosse generalmente rispettato per consuetudine e per utilità pratica, solo all’ inizio del II secolo a. C. venne imposto dalla lex Villia annalis del 180 a. C. Questa stabilì il minimo di età per le candidature e contemplava, pare, soltanto la scala delle tre cariche curuli della questura, pretura e consolato, lasciando facoltative le cariche plebee del tribunato e della edilità, e quella dell’edilità curule. Un simile sistema, che corrispondeva alle esigenze del gruppo dirigente oligarchico, subì colpi sempre più rudi nel corso di quegli eventi che portarono alla fine del regime repubblicano, e dopo che Sulla aveva invano cercato di puntellarlo durante la sua dittatura, finì per esser scardinato. Augusto, forse in occasione della sua riorganizzazione statale del 27 a. C., stabilì come gradino obbligatorio per i plebei, tra la questura e la pretura, il tribunato della plebe o l’edilità (questa poteva essere sia l’edilità plebea sia l’edilità curule, divenuta ora accessibile anche ai plebei); i patrizi (i discendenti delle non molte superstiti antiche famiglie patrizie) potevano invece passare direttamente dalla questura alla pretura, essendo per essi solo facoltativa l’edilità curule. E non si trattava di un trattamento di favore, ma solo di equità se si pensa che annualmente v’erano dieci posti di tribuni della plebe e quattro di edili della plebe, complessivamente quattordici, di fronte a due soli posti di edili curuli. Se i patrizi fossero stati obbligati a passare attraverso questi due unici posti di edili per loro disponibili prima di accedere alla pretura, la loro carriera ne sarebbe risultata non poco ritardata.

Page 50: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

50

Durante la repubblica la carica più elevata (nonostante fosse sprovvista di imperium) fu la censura, che infatti si rivestiva di solito dopo il consolato, sia pure per consuetudine e non per legge. Ai tempi del principato la censura perdette la sua importanza e fu prima rivestita solo da qualche imperatore (Claudio nel 47, Vespasiano e Tito nel 73); poi con Domiziano divenne una carica inerente alla persona dell’ imperatore e cessò di essere considerata come un ufficio a sé stante. Già nel periodo repubblicano la magistratura più bassa, la questura, era generalmente preceduta dal servizio militare, che si prestava col grado di tribuno di legione, e da una delle cariche del vigintisexviratus . Si trattava però anche qui di consuetudine, e fu ancora una volta Augusto che stabilì come gradini obbligatori per poter rivestire la questura il servizio militare come tribuno e, prima, uno degli uffici del vigintiviratus (cui lo stesso Augusto aveva ridotto il vigintisexviratus del periodo repubblicano). Del vigintivirato facevano parte i seguenti uffici: i tresviri capitales , detti anche tresviri nocturni , istituiti sul principio del III secolo a. C. Essi avevano l’incarico di aiutare i magistrati superiori nella giurisdizione civile e penale e, tra l’altro, sorvegliavano le prigioni, facevano eseguire le condanne a morte, provvedevano alla polizia notturna, ecc.; i tresviri aere argento auro f lando feriundo (IIIviri a.a.a.f . f .) o monetales , che curavano per incarico del senato la coniazione delle monete; a partire dal 16 a. C. soltanto quella in bronzo; i quattuorviri vi is in urbe purgandis , detti anche viarum curandarum , che si occupavano a fianco degli edili della manutenzione delle vie di Roma; i decemviri stl itibus iudicandis (stl is è forma arcaica di l is), che esistevano certamente già nel III secolo a. C. e avevano competenza nei processi che si dibattevano intorno allo stato di libertà dei cittadini (per stabilire, p. es., se uno era veramente libero oppure uno

Page 51: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

51

schiavo). Da Augusto ebbero la direzione del tribunale dei centumviri per i processi relativi alle eredità, sotto la guida di un pretore. A questi quattro collegi nel periodo repubblicano se ne aggiungevano altri due, e cioè: i duoviri viis extra (propiusve) urbem (Romam passus mille) purgandis , che si trovano nominati nella lex Iulia municipalis e che furono soppressi da Augusto intorno all’anno 20 a. C., quando egli istituì la cura viarum ; i quattuorviri iure dicundo Capuam Cumas (nelle epigrafi comunemente abbreviati IIIIviri i . d. Capuam Cumas), che cominciarono ad essere eletti dopo il 124 a. C. in sostituzione dei praefecti Capuam Cumas nominati prima dal pretore urbano per esercitare, come suoi incaricati, la giurisdizione nei dieci distretti campani. Tali distretti erano quell i di Capua, Cumae, Casilinum, Volturnum, Liternum, Puteol i, Acerrae, Suessula, Atella, Calatia , ma nella titolatura di questi personaggi che vi si recavano per la iurisdictio sono sempre nominati soltanto i primi due. Anche il collegio dei IIIIviri i .d . Capuam Cumas venne soppresso, nel 13 a. C., da Augusto. Pertanto i gradini della carriera senatoria per i plebei (molto più numerosi dei patrizi) durante il principato furono: 1) una delle cariche del vigintivirato, 2) tribunato di legione, 3) questura, 4) tribunato o edilità, 5) pretura, 6) consolato. I patrizi erano esenti dal nr. 4. Nelle epigrafi che riportano i cursus honorum , i l tribunato della plebe e l’edilità compaiono sino a Severo Alessandro (222-235), che forse ne abolì l ’obbligatorietà. Il servizio d’ufficiale nella legione già al tempo di Adriano (117-138) non era più obbligatorio per la carriera senatoria, e difficilmente si trova ricordato nelle epigrafi dopo Severo Alessandro; comunque

Page 52: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

52

Gallieno (253-268) ne escluse poi gli aspiranti al senato nel momento stesso in cui vietò ai senatori l’esercizio di funzioni militari. E poco dopo – sembra – la metà del III secolo scomparvero anche gli uffici del vigintivirato. Per le singole magistrature vi erano limiti minimi di età e prescritti intervalli fra le une e le altre, e in questi intervall i, come anche dopo il consolato, il personaggio di ordine senatorio poteva essere chiamato a numerosi uffici amministrativi (da svolgere in Roma, nell’Italia, o nelle province) o anche a esercitare comandi militari. Tutte queste numerosissime funzioni erano sottomesse a una rigorosa gerarchia e divise in categorie corrispondenti alle singole magistrature che le dovevano precedere. Vi erano cioè uffici riservati agli ex questori, altri più elevati per gli ex pretori (p. es. il comando di una legione col titolo di legatus Augusti legionis ; spesso per brevità si scriveva solo legatus legionis) , altri ancora più elevati per gli ex consoli (p. es. la praefectura urbi). Tra questi uffici un’attenzione particolare meritano quelli di governatore di provincia. In età repubblicana le varie province erano state rette o da un magistrato cum imperio (console, pretore), o da un promagistrato (proconsole, propretore). Augusto introdusse riforme anche in questo campo e divise le province in due categorie: quelle “imperiali” alla diretta dipendenza dell’ imperatore (ed erano quelle ove stanziava stabilmente una guarnigione), e quelle “senatorie” (in genere territori sicuramente pacificati che non richiedevano stabili presidi), rimaste di pertinenza del senato salvo l’alta sorveglianza dell’ imperatore. I governatori di queste province “senatorie” ebbero il titolo di proconsoli, il che non significava che fossero scelti sempre fra gli ex consoli; ciò accadeva solo per le province di Asia e di Africa, mentre per le altre erano scelti fra gli ex pretori. Per esempio, un personaggio che avesse rivestito la pretura poteva ottenere la carica di proconsul provinciae Macedoniae ; ma solo se riusciva a rivestire il consolato poteva aspirare ad avere poi la carica di proconsul provinciae

Page 53: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

53

Africae . I proconsoli delle due province consolari (Asia e Africa) erano coadiuvati da tre assistenti che avevano il titolo di legati (proconsulis), quelli delle province pretorie da uno solo di questi legati; inoltre in ogni provincia senatoria vi era per gli affari finanziari un questore (ad eccezione della Sicilia che ne aveva due). Quei senatori che invece ottenevano l’incarico di governare una provincia imperiale, assumevano il titolo di legati Augusti (genitivo) pro praetore , un titolo nel quale si rispecchiava chiaramente la loro veste di luogotenenti dell’ imperatore, che aveva in tutte le province un potere generale superiore a quello dei singoli governatori. Per es., il governatore della provincia di Germania Superior si chiamava legatus Augusti pro praetore provinciae Germanicae Superioris , ove Augusti va inteso nel senso generico di imperatore e qualche volta veniva omesso per brevità. Anche i governatori di province imperiali (a seconda dell’ importanza delle province) erano scelti o tra gli ex pretori o tra gli ex consoli, cioè i consulares , i l che portò dal II secolo in poi all’uso del titolo di consularis per designare il governatore di una provincia imperiale (in luogo di quello di legatus Augusti pro praetore). Inoltre, a partire dalla seconda metà del II secolo, ma con una certa frequenza solo dall’età severiana, invece del titolo di legatus Augusti pro praetore cominciò ad usarsi per i governatori di province imperiali il titolo di praeses . Questo titolo, che propriamente aveva fino a quel momento qualificato i procuratores governatori di province equestri (piccole province di rango inferiore, distinte da quelle governate dai senatori; v. appresso), venne talvolta adoperato anche in luogo di proconsul . I governatori di province imperiali erano coadiuvati, per ciò che riguardava l’amministrazione finanziaria della provincia, da procuratores appartenenti all’ordine equestre, mentre per l’amministrazione della giustizia erano coadiuvati da comites (adsessores) . I personaggi dell’ordine senatorio a partire da una certa epoca sono menzionati nelle iscrizioni col titolo di vir clarissimus (normalmente abbreviato in v. c.),

Page 54: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

54

titolo che solo raramente appare prima di M. Aurelio (161-180), mentre dall’età dei Severi in poi viene usato sempre più largamente. Se si trattava di un personaggio defunto il titolo era quello di clarissimae memoriae vir (c. m. v.); per i familiari si usavano i titoli di clarissimus puer (c. p.) , clarissimus iuvenis (c. i .) , clarissima femina (c. f .) .

Carriera equestre Le principali funzioni della carriera riservata ai personaggi dell’ordine equestre erano le procurature e le prefetture, ma normalmente per accedervi bisognava aver prestato alcuni anni di servizio militare con un certo grado. Questi gradi, che si chiamavano militiae equestres, furono a partire dall’ inizio del II secolo in numero di tre: 1) la prefettura o i l tribunato di una coorte ausiliaria, cioè il comando col titolo di praefec tus o di tribunus di uno di quei numerosi corpi ausiliari di fanteria, chiamati cohortes e arruolati fuori d’Italia, che affiancavano le legioni; 2) il tribunato di legione, cioè il grado di tribunus militum nelle legioni, che era anche il grado con cui i giovani di famiglia senatoria prestavano servizio militare. Per distinguere fra i tribuni militum quelli appartenenti all’ordine senatorio da quelli appartenenti all’ordine equestre, si usava designare i primi coll’epiteto di laticlavii , i secondi con quello di angusticlavii (il clavus era una striscia di porpora che, come segno di distinzione, orlava la tunica, bianca, dei senatori e dei cavalieri romani; quello dei senatori era più largo ( latus) di quello dei cavalieri (angustus). In luogo del tribunato angusticlavio di legione si poteva rivestire il tribunato in uno dei corpi urbani, cioè essere tribunus di una delle coorti dei vigiles , degli urbaniciani , o dei praetoriani ; 3) la prefettura di un’ala di cavalleria, cioè il comando, col titolo di praefectus , di uno di quei numerosi corpi ausiliari di cavalleria, chiamati

Page 55: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

55

alae e arruolati fuori d’Italia, che affiancavano le legioni. Nei cursus honorum equestri ricorre di frequente l’espressione a tribus milit iis , oppure a militiis , per indicare che il personaggio ha assolto il suo obbligo militare. In età postseveriana alle tres militiae se ne aggiunge un’altra, cioè il grado di centurione nella legione (il che vuol dire che l’appartenenza all’ordine equestre si apre a ceti socialmente meno elevati; prima i cavalieri avevano servito nella legione col grado di tribuni mili tum , ora con quello più basso di ufficiale subalterno, di centurione), e si parla di quattuor militiae . Ma anche prima nel cursus honorum di cavalieri vediamo ricorrere il centurionato; su ciò v. appresso a proposito della carriera di Q. Marcio Turbone. Dopo aver prestato servizio militare nei gradi suddetti (ma poteva bastare rivestirne uno solo), il personaggio dell’ordine equestre poteva accedere a una serie di cariche civili e militari ordinate gerarchicamente e denominate procurature e prefetture. Le procurature costituivano diverse categorie che potrebbero riunirsi in tre gruppi principali. Vi erano uffici con funzioni di carattere finanziario, e i cavalieri li dirigevano col titolo di procuratores , sia in Roma sia nelle province (p. es. i l procurator vicesimae hereditatium soprintendeva in Roma all’ufficio incaricato della riscossione della tassa di successione del cinque per cento; della riscossione dei tributi nelle province si occupavano quei procuratores cui abbiamo già accennato come coadiutori dei governatori di province imperiali, e più tardi essi entrarono in funzione anche nelle province senatorie). Un secondo gruppo era quello dei procuratores con funzioni amministrative o militari in certi piccoli territori provinciali; p. es., CIL IX 5357: T. Appalio T. f . Vel. Alfino Secundo . . . . proc(uratori) Alpi(um) Atrectianar(um) ; ILS 9490: L. Titinio Clodiano . . . . praesidi et proc(uratori) prov(inciae) Epiri . Il terzo gruppo era quello dei procuratores addetti al palazzo e alla cancelleria imperiale; p. es.: procurator a rationibus , per l’amministrazione del patrimonio imperiale; procurator ab epistulis (le epistulae

Page 56: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

56

scritte dagli imperatori per regolare determinate materie avevano valore di legge); procurator bybliothecarum , ecc. Circa l’ordinamento gerarchico, cui sopra s’alludeva, delle varie procurature, la loro diversa importanza si rifletteva anche nello stipendio annuo diverso. Così nel II secolo si distinguono le quattro categorie dei procuratori sexagenarii (oppure: ad sestertium sexaginta milia), centenarii (oppure: ad sestertium centum milia); ducenarii (oppure: ad sestertia ducenta); trecenari i (oppure: ad sestertia trecenta). Uffici equestri superiori alle procurature erano le prefetture: di queste alcune erano di carattere amministrativo (praefectus annonae , praefectus vehiculorum , cioè capo del servizio postale), altre avevano un carattere militare. Così il praefec tus vigilum , cioè il comandante del corpo dei vigiles stanziati in Roma; il praefectus praetorio, cioè il comandante dei pretoriani; il praefectus Aegypti , cioè il governatore dell’Egitto, l’unica provincia importante affidata da Augusto non a un governatore senatorio, ma a un cavaliere. Tutte queste cariche erano ordinate secondo una gerarchia che subì variazioni nei diversi periodi; basterà accennare, p. es., che la prefettura del pretorio, carica piuttosto modesta quando fu istituita da Augusto, andò man mano acquistando sempre maggiore importanza finché, nel III secolo, il praefectus praetorio diventò una specie di alter ego dell’ imperatore. Si noti che la carica di praefectus urbi , anch’essa istituita da Augusto, era riservata non a cavalieri, ma a senatori di rango molto elevato. I personaggi dell’ordine equestre, a partire da Marco Aurelio – ma l’uso si generalizza solo nell’età severiana - , portano il titolo di vir egregius (nelle iscrizioni, abbreviato in v. e .), se defunto quello di egregiae memoriae vir (e. m. v.); per quelli che raggiungono le cariche più elevate il titolo distintivo diventa quello di vir perfectissimus ( il cui uso sembra cominci in età severiana) e quello di vir eminentissimus . Quando nella seconda metà del III secolo i senatori vennero esclusi dai comandi militari e dai governi provinciali, tali

Page 57: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

57

cariche furono attribuite a personaggi dell’ordine equestre, che li ricoprirono rispettivamente col titolo di praefecti legionis e di praesides provinciae . Assai spesso personaggi dell’ordine equestre venivano fatti segno di particolare riguardo da parte dell’ imperatore e trasferiti nell’ordine senatorio mediante la adlectio . Si poteva essere adlecti inter quaestorios o inter tribunicios o inter aedilicios o inter praetorios , ossia ammessi in senato con la dignità di chi avesse coperto la questure, o il tribunato, o l’edilità o la pretura, e quindi essere rivestiti delle cariche dell’ordine senatorio che normalmente seguivano quelle magistrature. Si hanno così numerosi esempi di cursus honorum misti, cioè di personaggi che cominciano la loro carriera con uffici dell’ordine equestre e la concludono con uffici dell’ordine senatorio. Dal IV secolo tutte le cariche un tempo riservate ai personaggi dell’ordine equestre scomparvero e vennero affidate a elementi della classe senatoria, sì che ormai non si ebbe più il cursus honorum equestre. L’appartenenza alla classe senatoria poteva derivare da diritto di nascita, oppure, e sempre con maggior frequenza, da adlectio, e in connessione con gli sviluppi della carriera. La carriera di solito cominciava con la questura se non, almeno da un certo momento, addirittura con la pretura, e culminava nel consolato; questo però non costituì più, come per l’ innanzi, un titolo di qualificazione per accedere ai più elevati uffici amministrativi in Roma e fuori, ma rappresentò il coronamento onorifico di una carriera particolarmente brillante. Al tempo stesso, per rivestire il consolato non era più necessario aver risalito i vari gradi del cursus honorum , e si ebbe l’elezione a console di personaggi non appartenenti all’assemblea senatoria che l’imperatore aveva voluto, con tale distinzione, ricompensare di particolari servigi.

Page 58: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

58

Intanto sia nella burocrazia di palazzo, sia nelle varie branche dell’amministrazione centrale e periferica, si era sviluppata una serie di nuovi uffici ordinati e inquadrati su basi rigidamente gerarchiche. Le funzioni più elevate della carriera senatoria erano quelle di praefectus urbi (che presiedeva il senato ed era tramite fra questo e l’ imperatore), di praefectus praetorio (v. appresso), di proconsules (v. appresso), di comites (fiduciari incaricati di importanti compiti speciali), e il relativo rango gerarchico si rispecchiava anche nella qualifica che competeva ai rispettivi titolari. Infatti il vecchio titolo di vir clarissimus fu potenziato con le qualifiche di vir spectabilis (riservata, p. es., ai proconsules) e, ancor più elevata, quella di vir inlustris (spesso vir clarissimus et inlustris , abbreviato in v. c. et inl . ), che spettava al praefectus urbi e al praefectus praetorio. Tralasciando anche per questa età ogni cenno sugli altri uffici, sia centrali sia periferici, del governo imperiale, ci si limiterà a uno sguardo sui mutamenti intervenuti nel campo dell’amministrazione provinciale, profondamente rimaneggiata ai tempi di Diocleziano, il quale spezzettò le antiche province in unità minori. Queste vennero poi raggruppate nell’ambito di distretti più ampi, le diocesi, rette dai vicarii dei prefetti del pretorio, i quali ultimi nell’ambito delle loro prefetture erano onnipotenti. Quanto ai governatori provinciali, un rango superiore a tutti gli altri competeva ai proconsules di Asia, di Africa e di Acaia, che non erano subordinati né ai vicarii né ai prefetti del pretorio, ma dipendevano direttamente dall’ imperatore, nel cui nome amministravano la giustizia. A capo delle altre province, in ordine decrescente d’importanza, vi erano dei consulares o dei correctores o dei praesides . Titolo più generico per designare i governatori di provincia fu poi quello di iudices , che alludeva alla funzione giudicante svolta dai governatori stessi. Carriera inferiore

Page 59: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

59

Coloro che non appartenevano né all’ordine senatorio né all’ordine equestre potevano accedere a svariati uffici di minore dignità. Anche questi erano ordinati gerarchicamente e, in linea di massima, costituivano quattro categorie principali. Si trattava di incarichi nell’amministrazione civile (e qui si pensi soprattutto alle svariatissime mansioni affidate ai liberti imperiali, alcune delle quali comportavano il titolo di procurator), delle funzioni militari di rango più basso fino al grado di centurione, di cariche civili e religiose esercitate nelle singole città, infine di cariche nelle corporazioni (in cui gran parte della società finì poi per essere irrigimentata). Si noti tuttavia che, specialmente nel III secolo, sempre più frequente diventò il passaggio da questa classe inferiore a quella dei cavalieri, allo stesso modo che si venivano moltiplicando le adlectiones dall’ordine equestre in quello senatorio. Quanto alle cariche nelle città (municipi, colonie), esse erano foggiate sulla falsariga delle antiche magistrature repubblicane: vi erano dei quaestores , degli aediles (detti anche duoviri aediles) e, superiori a tutti, i duoviri iure dicundo (IIviri i . d .), detti duoviri i . d. quinquennales o anche semplicemente quinquennales quando si trovavano a rivestire la carica in quell’anno in cui si dovevano esercitare le funzioni censorie, il che accadeva, come nella Roma repubblicana, ogni cinque anni. Talvolta i duoviri aediles e i duoviri iure dicundo venivano considerati come appartenenti ad un unico collegio di quattro magistrati, e compaiono così le denominazioni di quattuorviri aediles e di quattuorviri iure dicundo . Queste cariche municipali venivano spesso rivestite da personaggi che facevano anche carriera politica a Roma, e perciò nelle iscrizioni compaiono numerosi esempi di simili cursus misti, che presentano uffici della res publica Romana , p. es., console, pretore, e uffici della res publica locale.

Page 60: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

60

Nelle città vi era anche un senato, che però di rado si denominava col termine di senatus ; comunemente si chiamava ordo decurionum perché decuriones (e non senatores) erano detti i senatori municipali. Quanto alle cariche nelle corporazioni, esse riproducevano quelle municipali (così come queste erano foggiate sulla falsariga delle cariche dello stato); c’erano, p. es., degli aediles , dei decuriones , dei quinquennales , ecc. Esempi di cursus honorum senatorii Il sepolcro degli Scipioni, situato fuori porta Capena e ricordato da vari autori antichi tra cui Cicerone, Livio, Plinio, Svetonio, venne scavato verso la fine del secolo XVIII, ma già prima (come di solito quasi tutti gli antichi luoghi di sepoltura) era stato manomesso e saccheggiato. Allora vi si trovarono parecchi sarcofaghi (i Cornelii dei rami patrizi della gens costumavano farsi inumare, non cremare), quasi tutti con epitaffi che vennero per lo più resecati e trasportati poi al Museo Vaticano. Il sepolcro era stato usato dai Corneli Scipioni dall’ inizio del IV secolo alla fine del I secolo a. C., quando la stirpe si estinse; qui di seguito vengono riportati gli epitafi relativi a L. Cornelio Scipione Barbato, che fu console nel 298, di suo figlio L. Cornelio Scipione che fu console nel 259, di Lucio Cornelio Scipione nipote dell’Afriacano Maggiore, di un Gn. Cornelio Scipione che morì poco dopo aver rivestito la pretura nel 139. L’epitaffio del console del 298, che si legge sull’unico sarcofago rimasto intero, si compone di due parti (CIL I² 6, 7 = ILS 1). Una prima parte, in cui sembra inizialmente consistesse l’epitaffio, si limitava a dichiarare il nome del defunto, in caso nominativo, con una breve iscrizione non incisa, ma dipinta in vernice

Page 61: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

61

rossa sul coperchio del sarcofago: [L. Corneli]o(s) Cn. f. Scipio. Sulla faccia anteriore del sarcofago, sotto i l grande fregio che l’adorna, vennero poi elencate in un rigo e mezzo di scrittura (questa volta con lettere incise) le cariche che il defunto aveva rivestito. Sopraggiunse più tardi il gusto per gli epitaffi in forma di elogia in versi, e allora questo rigo e mezzo di scrittura, con la sua nuda elencazione di cariche, venne cancellato con lo scalpello e si incise di seguito un nuovo testo composto in versi saturnii, separati l ’uno dall’altro mediante una lineetta. Si spiega così che questo testo appare, sia per la forma delle lettere sia per la lingua, più recente dell’epitaffio del figlio di Barbato. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Cornelius Lucius Scipio Barbatus – Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque – quoius forma virtutei parisuma fuit, - consol, censor, aidilis quei fuit apud vos. – Taurasia, Cisauna Samnio cepit, - subigi t omne Loucanam opsidesque abdoucit. “Lucio Cornelio Scipione Barbato (l’ inversione del prenome e del gentilizio sembra dovuto a ragioni metriche), nato dal padre Gneo, uomo forte e saggio la cui bellezza fu del tutto pari alla virtù (notare questo ideale, di provenienza ellenica, della forma congiunta alla virtus), che presso di voi (è la pietra che parla) fu console, censore, edile. Prese nel Sannio (le città di) Taurasia e Cisauna, assoggettò tutta la (terra) Lucana e se ne fece consegnare ostaggi”. Qui il cursus honorum viene riferito con una sequenza che non è né quella dell’ordine diretto, né quella dell’ordine inverso. Si sa infatti che Scipione Barbato fu console nel 298 e censore, a quanto pare, nel 290. Che egli abbia rivestito l’edilità dopo la censura sembra assai poco probabile, anche se in quell’epoca non erano ancora intervenute le disposizioni della lex Villia, e si rit iene pertanto che egli sia stato edile non dopo il 302.

Page 62: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

62

A proposito del breve cenno sulle res gestae di Scipione Barbato con cui si chiude il suo elogium – epitaffio, è da notare che in LIVIO (X 11 – 13), l’unica fonte letteraria che ci conservi memoria di tali fatti, questi vengono presentati in maniera alquanto diversa. Parlando infatti delle imprese dell’anno 298, Livio riporta che dei due consoli quello che operò nel Sannio fu Gn. Fulvio Massimo Centumalo, i l quale ottenne alla fine anche un trionfo de Samnitibus , mentre Scipione Barbato operò nel territorio degli Etruschi, ove riportò un’incerta vittoria. Si deve allora pensare che l’elogium di Barbato contenga una falsificazione dei fatti introdotta per vanagloria dai suoi discendenti? La cosa sembra impossibile, così come d’altra parte è inammissibile che Livio abbia per confusione attribuito a Fulvio le gesta di Cornelio perché è accertato da altre fonti che Fulvio realmente combatté nel Sannio e vi riportò un trionfo. Si deve piuttosto ritenere che qui ci troviamo dinanzi a due versioni dei fatti, una meno esatta confluita in Livio attraverso la tradizione annalistica, e una più attendibile nei particolari consegnata nelle memorie gentilizie degli Scipioni. In breve: nell’anno 298 tutti e due i consoli operarono nel Sannio. Fulvio batté i Sanniti vicino a Boviano e conquistò Aufidena, dopo di che condusse il suo esercito contro gli Etruschi, che furono vinti da lui e non da Scipione (come si legge in Livio), altrimenti nell’epitaffio – è pensabile – la notizia di questa vittoria non sarebbe stata omessa. Scipione invece, dopo aver anch’egli battuto i Sanniti e occupato le due città di Taurasia e di Cisauna (altrimenti ignota, quest’ultima), passò nel territorio dei Lucani, che avevano stipulato un trattato di alleanza coi Romani ma inclinavano dalla parte dei Sanniti. La sua azione, come mostra la presa di ostaggi, era intesa a richiamare i Lucani al rispetto dei patti, ma essa venne gonfiata dai posteri che curarono la redazione dell’epitaffio e si arrivò così a parlare di “sottomissione di tutta la Lucania”. [Su questo importante documento si veda A. La Regina, L’elogio di

Page 63: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

63

Scipione Barbato, in “Dialoghi di archeologia” 1968, a. 2, nr. 2, pp. 173-190 e oltre, fra le tavole, le fig. 1 e 2]. L’epitaffio del L. Cornelio Scipione che fu figlio del precedente, e morì intorno al 230 a. C., consta anch’esso di una prima parte (nome e cursus honorum) scritta con lettere verniciate, e di una seconda parte, in forma di elogium , scritta con lettere incise sulla pietra (CIL I² 8, 9 = ILS 2, 3): L. Cornelio(s) L. f . Scipio aidiles , cosol, cesor. Honc oino ploirume consentiont R[omai] duonoro optumo fuise viro Luciom Scipione. Filios Barbati consol, censor, aidilis hic fuet a[pud vos]. Hec cepit Corsica Aleriaque urbe, dedet Tempestatebus aide mereto[d].

" Lucio Cornelio, figlio di Lucio, Scipione edile, console, censore. Questo moltissimi concordano nel ritenere che in Roma fu di gran lunga il migliore tra i buoni, Lucio Scipione. Figlio di Barbato, console, censore, edile questi fu presso di voi. Questi prese la Corsica e la città di Aleria e alle (dee) Tempeste meritamente dedicò un tempio". Questo L. Cornelio Scipione, dopo aver ricoperto l’edilità in un anno imprecisato, fu console nel 259 e censore l’anno dopo, nel 258. Il suo cursus honorum è riportato al principio in esatto ordine diretto, mentre dopo viene ripetuto disordinatamente in una formula che ricorre nell’epitaffio del padre. La lode di essere stato oino(m) duonoro(m) optumo(m) , cioè unum bonorum optimum , perde molto del suo valore quando si pensa che era come una frase fatta. Cicerone, infatti, ci ha conservato nel Cato maior (17, 61) l’epitaffio di A. Attilio Caiatino, console nel 258 e 254, che cominciava appunto con l’espressione “hunc unum plurimae consentiunt gentes populi primarium fuisse virum” (la lingua, naturalmente, è

Page 64: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

64

rammodernata da Cicerone). Sapppiamo anche che P. Cornelio Scipione Nasica nell’anno 204, quando era giovane e non ancora aveva rivestito la questura, fu giudicato dal senato “in tota civitate bonorum optimum esse”(LIV . XXIX 14, 8) e pertanto incaricato di recarsi ad Ostia a ricevere la Magna Mater i l cui culto veniva introdotto in Roma. Nel cenno sulle res gestae si ricordano le imprese di guerra compiute nell’anno del consolato contro i Corsi, fra cui la conquista della città di Aleria. Non si fa invece parola né del successivo attacco contro i Sardi e dell’assadio di Olbia (questo, forse, perché non furono condotti a termine), né del trionfo “sui Cartaginesi e sulla Sardegna e Corsica” che, come risulta dai Fasti trionfali, Scipione ottenne e celebrò (e questa volta è più difficile indicare il perché del silenzio, dato che non v’è ragione di dubitare dell’attestazione contenuta nei Fasti trionfali). Il tempio alle Tempestates , che evidentemente Scipione fece innalzare attingendo dal bottino di guerra, è ricordato anche nei Fasti di Ovidio, e quanto alla sua dedicazione si ricordi che le tempeste, specie per l’ inesperienza dei duci, furono il peggiore nemico della marina da guerra dei Romani in questi primi anni della sua attività. Più recente è l’epitaffio che segue, relativo a quel L. Cornelio Scipione il cui padre fu console nel 190 e fratello dell’Africano Maggiore (CIL I² 12 = ILS 5): L. Corneli(us) L. f . P. n. Scipio, quaist(or), tr(ibunus) mil(itum), annos gnatus XXXIII mortuos. Pater regem Antioco(m) subegit.

Page 65: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

65

“Lucio Cornelio, figlio di Lucio, nipote di Publio, Scipione, questore, tribuno militare, morto in età di 33 anni. Suo padre soggiogò il re Antioco”. Il cursus honorum di questo Scipione, così prematuramente scomparso, non oltrepassò il gradino della questura. Esso viene riportato in ordine discendente e si limita a ricordare il servizio prestato nella legione, col grado di tribuno militare, e poi la questura, che Lucio rivestì nel l67 quando, come riferisce Livio (XLV 44, 7 e 17), egli ebbe l’incarico di accompagnatore del re di Bitinia, Prusia, venuto a Roma col figlio Nicomede a far visita di omaggio al senato. In luogo delle res gestae, che il giovane non ebbe modo di compiere, si ricorda la più gloriosa impresa del padre, o meglio, quella la cui gloria ufficialmente spettava a lui: la disfatta di Antioco III re di Siria, che gli procurò il soprannome di Asiatico e che rappresentò una delle prime e principali tappe dell’ imporsi del dominio romano nel mondo greco-orientale. Se questo Scipione, come non è da escludere data la posizione ragguardevole della sua famiglia in seno alla nobilitas romana del tempo, fu eletto questore non appena raggiunse l’età legale di 27 anni stabilita dalla lex Villia, la sua data di nascita va collocata all’ incirca nel 194 e quella di morte (33 anni dopo) nel 161. Ancora più recente è l’epitaffio che segue, relativo al Cn. Cornelio Scipione Hispano che fu pretore nel 139 a. C. (CIL I² 15 = ILS 6): Cn. Cornelius Cn. f . Scipio Hispanus pr. , aid. cur., q., tr. mil . II, Xvir sl . iudik., Xvir sacr(is) fac(iundis). Virtutes generis mieis moribus accumulavi, progeniem genui, facta patris petiei. Maiorum optenui laudem ut sibei me esse creatum laetentur; stirpem nobili tavit honor. “Gn. Cornelio, figlio di Gneo, Scipione Hispano, pretore, edile curule, questore, tribuno militare due volte,

Page 66: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

66

decemviro stl itibus iudicandis , decemviro sacris faciundis . Coi miei costumi accrebbi le virtù della stirpe, generai una prole, ebbi di mira le gesta di mio padre. Seppi conservare alto l’onore dei miei maggiori, sì che essi s’allietino di avermi dato i natali. Le cariche pubbliche diedero ancor più lustro alla nobiltà della mia nascita”. Questo Gn. Cornelio fu figlio del Gn. Cornelio console dell’anno 176 a. C., e la prima parte dell’epitaffio riporta per intero e in stretto ordine discendente le numerose cariche del suo cursus honorum . A parte la dignità sacerdotale di decemviro sacris faciundis , Gn. Cornelio cominciò col ricoprire uno degli uffici che poi da Augusto in poi si dissero del vigintivirato; quindi prestò servizio militare rivestendo per due volte il grado di tribuno militare. L’ascesa attraverso i vari gradi delle magistrature lo portò alla questura (forse nel 149), poi all’edilità curule in un anno incerto e quindi alla pretura nel 139, quando dispose che venissero allontanati da Roma e dall’Italia i molti indovini Caldei (o gl’imbroglioni sedicenti tali) che l’ infestavano. Il fatto che Gn. Cornelio non abbia raggiunto il consolato fa pensare che sia morto poco dopo la pretura; perciò nell’elogium finale (questo non più in versi saturnii, ma in distici elegiaci) non si ricordano imprese guerresche. Vi troviamo invece, potrebbe dirsi, un concentrato degli ideali che ispiravano la nobilitas conservatrice del II secolo a. C. con l’adesione più convinta alle regole tradizionali del mos maiorum . Dedica di Emilio Paolo nel santuario di Apollo delfico (CIL I² 622 = ILS 8884): L. Aimilius L. f . inperator de rege Perse Macedonibusque cepet.

Page 67: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

67

« Lucio Emilio, figlio di Lucio, imperator , prese come bottino della sua vittoria sul re Perses e sui Macedoni ». L’epigrafe accompagnava la dedica di un grosso pilastro quadrangolare di marmo sulla cui sommità erano scolpite scene della battaglia di Pidna vinta nel 168 da L. Emilio Paolo. Come riferisce Plutarco (Aem. 28, 4), il pilastro era stato approntato nel santuario di Delfi per commissione di Perseo, il quale si proponeva di destinarlo a reggere una sua statua. Nella sua visita al santuario l’ imperator romano notò il pilastro e dispose che fosse invece sormontato da una sua statua. È da rilevare che fra gli elementi nominali del dedicante non si fa ancora la menzione del suo cognomen , e che egli si qualifica col titolo di imperator senza alcun cenno alla sua carica di console (a. 168) o di proconsole (a. 167). Dedica della colonia di Auximum a Pompeo Magno (CIL I² 769 = ILS 877): [Cn. P]ompeio Cn. f . [Ma]gno, imp(eratori), cos. ter, [pa]trono, publice. L’epigrafe fu incisa su una grande base destinata a sorreggere una statua dedicata a Pompeo publice , cioè a cura e spese della res publica di Auximum (od. Osimo), città del Picenum che era diventata colonia romana nel 157 a. C. Noi sappiamo che la famiglia di Pompeo aveva vaste clientele nel Picenum , e in pieno accordo con tale notizia è questa dedica che gli vediamo rivolta in qualità di patronus della città. Il cursus honorum di Pompeo, che fu così irregolare rispetto alle norme sancite dalla lex Villia e ribadite da Silla, è compendiato nella menzione delle sue acclamazioni a imperator (che, tutte riportate a seguito di

Page 68: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

68

comandi straordinari, furono tre come i trionfi celebrati nel 79 sull’Africa, nel 71 sulla Spagna e nel 61 sui pirati, Mitridate e Tigrane) e dei suoi tre consolati rivestiti nel 70, nel 55 e nel 52 (sine collega).

A. Pompeio A. f. Clu(stumina), q(uaestori), patrono municipi Interamnat(is) Nahartis, quod eius opera universorum municipium ex summeis periculeis et dif f i - cultatibus expeditum et conservatum est, ex testamento L. Licini T. f . statua statuta est.

L’iscrizione si legge su di un cippo di pietra proveniente da Terni (Interamna Nahars) e ivi conservato nel Museo (CIL I² 2510 = XI 4213 = ILS 6629). Essa ci ha conservato notizia dell’onore di una statua reso, per disposizione testamentaria di un tal L. Licinio, ad un personaggio che si era reso benemerito della città “per aver dato opera affinché tutto il municipio uscisse indenne dai più gravi pericoli e dalle più aspre difficoltà”. Era, costui, Aulo Pompeo (figlio di Aulo, nipote di Aulo); suo padre era stato tribuno della plebe nel 102, e uno dei suoi fratell i fu il più noto Q. Pompeo, che nel 74, in qualità di questore, collaborò con il proconsole d’Asia M. Iuncus per ordinare a provincia il regno di Bitinia, lasciato in eredità ai Romani da Nicomede IV, (onde gli venne il cognomen di Bithynicus). Poiché Q. Pompeo Bitinico era nato intorno al 108 a. C., la data di nascita di Aulo, che era fratello maggiore, si colloca verso il 110 a. C.; ugualmente, avendo il fratello Quinto raggiunto la questura nel 74, si considera probabile che il fratello Aulo la raggiungesse un paio di anni prima. Ad ogni modo da una dedica posta ad Eleusi da Q. Pompeo nel 74, quando era questore della

Page 69: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

69

provincia d’Asia, risulta che il fratello Aulo era al suo seguito, forse in qualità di legatus (W. DITTENBERGER, Syll. Inscr. Graec . 3^ ed., nr. 1125 : Κόϊντος Ποµπήιος Αΰλου υ[ιòς] εποίει καì ανέθηκε σùν αδελφοι ̃ς Αΰλωι καì Σέξτωι). Non è escluso che A. Pompeo fosse poi uno dei legati che Floro (I 41, 9) chiama Pompei iuvenes e che furono agli ordini di Pompeo Magno nel 67, al tempo della guerra contro i pirati. Comunque il cursus honorum di A. Pompeo non andò al di là della questura (come del resto quella del fratello Quinto), né pare che su ciò influisse l’ improvvisa morte di cui ci ha lasciato ricordo Plinio (Nat. hist. , VII 182): “Aulus Pompeius in Capitol io (protinus expiravit) cum deos salutasset”; del resto la notizia potrebbe anche riferirsi agli omonimi padre o avo. La salvezza agli Interamnates , come si deve intendere, A. Pompeo la procurò intercedendo a loro favore presso Sulla che, dopo aver battuto nell’82 gli avversari del partito democratico mariano, aveva scatenato le proscrizioni non solo in Roma, ma anche in numerose città dell’Italia, fra cui Floro (II 9, 27) ricorda appunto Interamna . Se A. Pompeo già al tempo del suo intervento presso Sulla fosse patronus degli Interamnates , oppure se fosse nominato dopo, proprio per effetto della provvidenziale intercessione, non è dato stabilire, come pure è incerto se egli poté personalmente intervenire presso Sulla oppure si avvalse della mediazione del suo gentil is Gn. Pompeo (Magno), che tante benemerenze si era già acquistate presso il dittatore. Dedica del municipio di Bovianum a Giulio Cesare (CIL I² 787 = ILS 70): [C. Iul]io Caesari im[p.], dictat(ori) iteru[m], [pont]ufici max[umo], [aug(uri), c]os., patrono mu[nicipi], d(ecurionum) c(onsulto)

Page 70: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

70

La dedica fu posta per decreto del senato municipale (decurionum consulto è formula equivalente all’altra decurionum decreto che più tardi ricorre usualmente indicata con le sigle d.d.): si trattava infatti di un atto di omaggio che la città sannitica (divenuta municipio romano dopo la guerra sociale) faceva a Giulio Cesare suo patronus. Il cursus honorum di Cesare è riportato soltanto in quella parte e, si potrebbe aggiungere, in quell’ordine d’importanza che gli autori della dedica sembrava più opportuno. Si comincia col titolo di imperator, allusivo alle vittorie militari (nel 46, dopo aver disfatti i pompeiani a Tapso, Cesare celebrò quattro trionfi: sulla Gallia, sull’Egitto, sul ponto, sull’Africa; l’anno appresso, dopo la vittoria di Munda, celebrò un quinto trionfo sulla Spagna). Segue poi la menzione della seconda dittatura (dictator iterum), l’unico elemento che ci consente di datare la dedica con una certa approssimazione. Rivestita la dittatura per la prima volta ne l49, Cesare l’assunse per la seconda volta circa l’ottobre del 48 dopo la vittoria su Pompeo a Farsàlo, e la terza volta nell’aprile del 46 dopo Tarso, sicché la dedica di Bovianum gli fu posta fra la fine del 48 e i primi mesi del 46. Si ricordano poi le cariche sacerdotali: i l pontificato massimo, cui Cesare fu eletto nel 63 (era già entrato nel collegio nel 73) e l’augurato; infine si menziona la carica di console, che Cesare rivestì 5 volte: nel 59, nel 48, ne l46, nel 45 (sine collega) e nel 44. [C(ives) R(omani) qui C]oi negotiantur [civi tatem] Coam pietatis in [C. Iulium Cae]sarem ponti- [f icem maxim]um, p[a]trem [pa]- [triae deum]que et benevol- [entiae erga] se caussa. L’iscrizione si legge su due frammenti di base di marmo trovata qualche decennio fa a Cos a ivi conservata nel museo (cfr. “Ann. Epigr.” 1947 nr. 55). La

Page 71: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

71

dedica è posta in onore della civitas Coa (indicata, secondo l’uso greco, in caso accusativo anziché in dativo) dai cittadini romani residenti in Cos, ove hanno sede le loro prosperose agenzie d’affari, dedite soprattutto al commercio e ai traffici marittimi (cfr. J. HATZFELD , Les trafiquants italiens dans l ’Orient hellénique , Paris 1919. T. FRANK , An Economic Survey of Ancient Roma , I, Baltimore 1933, p. 275 sgg.). Le buone relazioni fra la popolazione locale e i gruppi di negotiatores provenienti dall’Italia poggiavano sulla base del mutuo interesse economico, su cui poi s’innestavano i motivi di carattere politico, come in questo caso. Cos, che era incorporata nelle provincia d’Asia con lo status di civi tas l ibera, aveva manifestato, non sappiamo in concreto con quali atti, la sua pietas verso Giulio Cesare, e in relazione a ciò la colonia dei cittadini romani impiantati nella città esprime pubblicamente la sua riconoscenza, non mancado di confermare, nell’occasione, la sua gratitudine per la benevolentia dei Coi nei suoi riguardi. Quanto a Cesare, notiamo che – in relazione con la pietas dimostratagli dalla civitas Coa – il suo nome nella dedica è accompagnato dai titoli che sottolineano l’aspetto religioso, più che quello politico, dei suoi poteri. Infatti egli è detto soltanto pontefice massimo (carica cui era stato eletto fin dal 63), padre della patria (che come pater , o parens , ha titolo alla pietas dei cittadini), e, infine, puramente e semplicemente, deus . Questi due ultimi portano a collocare la dedica poco tempo prima della Idi di marzo, quando la “divinizzazione” di Cesare era ormai un fatto compiuto. M. Coelio M. f. Viniciano pr(aetori) pro co(n)s(ule), tr(ibuno) pl(ebis), q(uaestori), Opsilia uxor feci t . Si tratta di un epitaffio, proveniente dalle vicinanze di Tusculum (CIL I² 781 = XIV 2602 = ILS 883), posto in forma di dedica dalla vedova al defunto

Page 72: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

72

marito. M. Celio Viniciano è noto anche attraverso qualche cenno delle fonti letterarie, che allargano in qualche misura il quadro schematico tracciato da questo cursus honorum. Dopo aver rivestita la questura nel 56 (o qualche anno prima), Viniciano fu tribuno della plebe ne l53, cioè nell’anno in cui il corso della politica a Roma cominciò a subire un radicale mutamento d’indirizzo. Infatti tale politica, dopo essersi svolta per qualche tempo lungo la linea tracciata dagli accordi del “primo triumvirato”, risentì una prima scossa per la repentina morte di Giulia (sett. 54), la figlia di Cesare che, andando sposa a Pompeo, aveva cementato l’amicizia tra i due; e un colpo decisivo doveva riceverlo non molto tempo dopo per la scomparsa di Crasso (giugno 53), perito nella guerra contro i Parti. Mentre Cesare era fin troppo impegnato in Gallia a sedare l’ insurrezione generale scoppiata tra quelle popolazioni, Pompeo, che era rimasto a Roma invece di recarsi a esercitare nelle Spagne lo imperium proconsulare di cui era rivestito, cominciò a cercar la strada per giungere all’affermazione di un suo potere personale. Con questo intento egli dapprima impedì che si tenessero i comizi per l’elezione dei consoli, facendo ricorso ora alla obnuntiatio augurale ora alla intercessione tribunizia; così dal gennaio al luglio del 53 vi fu in Roma un luogo interregnum e, in mancanza di consoli, fu il proconsole Pompeo che aveva la più alta autorità. Era però, questa, una situazione che non poteva trascinarsi all’ infinito, e ad un certo momento Pompeo pensò di farsi rivestire dei poteri dittatoriali. Strumento della sua ambizione egli trovò nel tribuno Viniciano, che assieme al collego C. Lucilius Hirrus avanzò una proposta di plebiscito perché a Pompeo fosse conferita la dittatura (cfr. Cic. , Ad. Fam. VIII 4, 3). La proposta, peraltro, suscitò tale opposizione, che Pompeo ritenne opportuno di sconfessare l’ iniziativa presso il senato, e il senato, prendendolo in parola, incaricò lui stesso di provvedere a normalizzare la situazione, sì che a luglio si venne all’elezione dei consoli. La cosa non restò senza conseguenza, pare, sull’ulteriore carriera di Viniciano,

Page 73: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

73

che nel 51 veniva battuto nell’elezione a edile (cfr. Cic., loc. cit .). Scoppiata la guerra civile, Viniciano si schierò dalla parte di Cesare, il quale, dopo la vittoria su Farnace nell’estate del 47, lo lasciò ne lPonto a capo di due legioni (cfr. Bell. Alex . 77, 2). Nella l.2 della nostra iscr. è incerto se a Viniciano si attribuiscono i due titoli di pretore e di proconsole, oppure se egli viene designato come pretore e di proconsole, oppure se egli viene designato come pretore proconsole, con un titolo piuttosto anormale; pare, ad ogni modo, che, con l’appoggio di Cesare, egli venisse eletto pretore per il 48. Mag(no) Pompeio Mag(ni) f . Pio, imp(eratore), augure desig(nato) , co(n)sule desig(nato), por[ta]m et turres L.Plinius L. f . Rufus leg(atus) pro pr(aetore), pr(aetor) des(ignatus), f(acienda) c(uravit) . Questa iscrizione si legge su di una spessa lastra di pietra trovata a Lilybaeum (od. Marsala) e conservata nel Museo di Palermo (cfr. Dessau, ILS 8891). Essa si riferisce ai lavori di fortificazione della cinta muraria di Lilybaeum (portam et turres) eseguiti al tempo del conflitto fra Ottaviano e Sesto Pompeo. Costui (il primo dei personaggi menzionati nel nostro testo) era il figlio minore di Pompeo Magno, che, a differenza del fratello Cneo, era scampato al disastro di Munda (a. 45) e, dopo le Idi di marzo, si era inserito nella lotta tra cesariani e anticesariani ottenendo dal senato la nomina a praefectus classis et orae maritimae. Messo al bando dai triumviri, egli riuscì nondimeno con le sue forze navali a impadronirsi della Sicilia, Sardegna e Corsica, e nel 39 si fece riconoscere dai triumviri stessi questi domini, ottenendo anche di essere designato console per il 38 nonché l’elezione ad augure (cfr. Cass. Dio., XLIII 36, 4). Ma la cosa ledeva insopportabilmente gli interessi e il

Page 74: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

74

prestigio di Ottaviano, che nel 38 apriva la lotta contro di lui e, dopo vari insuccessi, la concludeva felicemente nel 36 con la battaglia navale di Nauloco (presso Messina). Sesto Pompeo fuggì in Asia e l’anno dopo morì a Mileto. Nell’iscr. di Lilybaeum è da notare che egli, oltre al titolo di imperator, porta il prenome di Magnus e il cognome di Pius, da lui assunto come a consacrare l’ impegno di vendicare l’uccisione del padre; sulla designazione a console e sull’augurato, v. sopra. Quanto a L. Plinio Rufo, oltre che come legatus pro praetore, lo vediamo qualificato come praetor designatus, il che corrisponde alla notizia riportata da Cassio Dione (loc. cit.) secondo cui, quando Sesto Pompeo ottenne di essere designato console, alcuni dei suoi luogotenenti vennero designati tribuni della plebe o pretori . In Lilybaeum Plinio Rufo, come leggiamo in Appiano (Bell. Civ., V 98), fu invano assediato da Lepido, il triumviro che doveva collaborare con Ottaviano nella lotta contro Sesto Pompeo e invece cercò di approfittarne per accrescere la sua potenza, offrendo così ad Ottaviano l’opportunità di metterlo poi completamente da parte. Lo stesso Appiano (op. cit. V, 122) riporta che, dopo Nauloco, Plinio Rufo si arrese ad Ottaviano. Dedica a Ottaviano del municipio di Saticula (CIL IX 2142 = ILS 76): C. Iulio C. f . Caeasari imp., triumviro r. p. c. , patrono d(ecurionum) d(ecreto) La dedica fu posta per decreto del sanato municipale ad Ottaviano come patrono della città (Saticula ne lSannio, corrispondente all’odierna Sant’Agata dei Goti, in provincia di Benevento). Il futuro Augusto è indicato coi tria nomina del padre adottivo Giulio Cesare, e la sua titolatura (non è qui il caso di

Page 75: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

75

parlare di “cursus honorum”) reca le qualifiche di imp(erator) e di triumvir r(ei) p(ublicae) c(onstituendae). L’acclamazione a imperator egli la ottenne per la prima volta il 15 aprile del 43, il giorno dopo la vittoriosa battaglia di Forum Gallorum presso Modena (la data è fornita dal “feriale Cumanum”, un elenco degli anniversari da solennizzare con cerimonie religiose, proveniente da un tempio di Cuma dedicato ad Augusto). Nello stesso anno 43, il 19 agosto, Ottaviano venne eletto (o, piuttosto, si fece eleggere) console per la prima volta, ma questa magistratura nella dedica di Saticula non viene menzionata; invece si menziona la carica di triumvir r. p. c. che, frutto degli accordi di Bologna con Antonio e Lepido, venne poi ufficialmente sanzionata per un quinquennio in base alla lex Titia del 27 novembre 43. Per la datazione della dadica può servire i lnome di Ottaviano, che a cominciare dall’anno 40 invece che C. Iulius C. f. Caesar (Octavianus), si chiamò Imperator Caesar divi filius (dove Imperator funge da praenomen); la dedica va pertanto collocata tra la fine del 43 e il 40. Dedica a M. Emilio Lepido da Thabraca (Année Epigr. 1959, nr. 77): M. Lepido imp. tert(ium), pont. max., IIIvir(o) r(ei) p(ublicae) c(onsti tuendae) bis, cos. i ter(um), patrono ex d(ecurionum) d(ecreto) La dedica, scoperta pochi anni or sono, venne posta “ex decurionum decreto”: un’espressione che, se non abusiva o approssimativa, fa ritenere che la città di Thabraca nella Numidia già in età triumvirale avesse gli ordinamenti cittadini di un municipio o di una colonia. Il senato locale onora come patronus della città M. Emilio Lepido (notare l’omissione del gentilizio), che negli

Page 76: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

76

ultimi anni del primo triumvirato r. p. c . Nei primi del secondo (cioè dall’estate del 40 a quella del 36) ebbe l’Africa sotto la sua giurisdizione. Il cursus honorum comincia col registrare la terza acclamazione imperiale, testimoniata qui pr la prima volta (la prima acclamazione risaliva al 47, quando Lepido celebrò un trionfo sulla Spagna; laseconda al 43, quando celebrò un altro trionfo ancora ex Hispania). Segue poi la menzione del pontificato massimo, cui Lepido fu eletto nel 44 (in luogo dell’ucciso Cesare, con l’appoggio di Antonio), e quella del triumvirato r. p. c. per la seconda volta. Infatti, scaduto i l31 dicembre del 38 il quinquennio del primo triumvirato r. p. c . , questo era stato rinnovato l’anno successivo, dopo gli accordi di Taranto, per un altro quinquennio. Infine c’è l’ indicazione del consolato per la seconda volta, rivestito nel 42 (il primo Lepido l’aveva ricoperto nel 46 come collega di Giulio Cesare). Di tutte questa cariche, quella che fornisce un terminus post quem per la datazione della dedica è, naturalmente, quella che fu rivestita per ultima, cioè il secondo triumvirato r. p. c., che ebbe inizio di fatto nell’autunno del 37 (l’ inizio ufficiale venne retrodatato al 1° gennaio dello stesso anno). La dedica pertanto fu posta dopo l’autunno del 37 e prima del settembre 36, quand oLepido venne spogliato dei suoi poteri trirumvirali ad opera di Ottaviano e messo completamente da parte (gli fu lasciato solo il pontificato massimo). Iscrizione da Aquileia in onore di C. Apuleio Tappone (CIL I² 814 = ILS 906): C. Appuleius M. f. Tappo pr., aed., tr. Pl., q., iudex quaestionis

Page 77: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

77

rerum capita(lium) Il personaggio, vissuto tra la fine della repubblica e l’ inizio del principato, è conosciuto solo attraverso questo documento che ce ne ha conservato il cursus honorum. In esso le varie cariche sono elencate in ordine inverso tranne l’ultima, quella di iudex quaestionis (= quaestionis, cioè del tribunale) rerum capitalium. Tale ufficio, che consisteva nel presiedere, in luogo di un pretore e in un determinato processo, il tribunale competente a giuducare i resti di omicidio, rapina a mano armata e incendio doloso, veniva esercitato poco prima della pretura. Evidentemente l’estensore del nostro cursus honorum ha voluto tenerlo a parte dalla elencazione cronologica delle vere e proprie magistrature, che furono la questura, il tribunato della plebe, l’edilità (anche essa, naturalmente, della plebe) e la pretura. Cursus honorum di L Funisulanus Vettonianus (CIL III 4013 = ILS 1005) : L. Funisulano L. f . Ani(ensi) Vettoniano trib(uno) mil(itum) leg(ionis) VI Vict(ricis), quaes- tori provinciae Sicil iae, trib(uno) pleb(is), praet(ori), leg(ato) leg(ionis) IIII Scythic(ae), praef(ec to) aerari Satur- ni, curatori viae Aemiliae, co(n)s(uli), VIIvir(o) epulonum, leg(ato) pro pr(aetore) provinc(iae) Delmatiae item pro- vinc(iae) Pannoniae i tem Moesiae superioris, donato [ab imp(eratore)] [Domitiano Aug(usto) Germani- co] bello Dacico coronis IIII murali, vallari, classica, aurea, hastis puris IIII, vex(il)l is IIII, patrono

Page 78: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

78

d(ecurionum) d(ecreto). Il cursus honorum è riportato in ordine diretto in una dedica che la città di Andautonia, nella Pannonia, pose al suo patronus L. Funisulano Vettoniano. Questo personaggio, sia per il suo gentilizio in – anus , sia per la tribù di appartenenza, si rivela di origine italica (cioè non provincilae; già in questa epoca non erano pochi i cittadini provenienti dalla alta borghesia della province che erano entrati nella cerchia della classe dirigente romana), e ci è noto, oltre che un cenno di Tacito, anche attraverso altre iscrizioni che confermano e completano i dati forniti da questa (nella quale si noti l’uso dell’apex). Qui, omettendo la menzione della carica del vigintivirato attestata da un’altra epigrafe, si comincia col registrare il servizio militare prestato col grado di tribuno, a quanto sembra sotto i lregno di Claudio nella legio VI Victrix, che a quell’epoca era di stanza nella Spagna. Quindi Vettoniano ottenne la questura, e la esercitò in Sicilia alle dipendenze di un procondsole di quella provincia. Seguirono il tribunato dellaplebe e, non sappiamo a quanti anni di distanza, la pretura, con la quale egli si qualificò per ricoprire cariche di maggior rilievo. Fu infatti inviato da Nerone a comandare la legio VI Scythica (allora stanziata nella Mesia) e in tale veste Tacito (ann. XV 7) lo ricorda alle dipendenza di Cesennio Peto che nel 62, in qualità di governatore della Capppadocia, dirigeva una parte del testro di guerra contro i lre dei Parti Vologese che aveva invaso l’Armenia, stato vassallo di Roma. La grave disfatta patita da Cesennio Peto non ebbe ripercussioni nella carrriera di Vettoniano, che più tardi troviamo in Roma alla direzione dell’aerarium Saturni. L’aerarium populi Romani, detto anche saturni perché situato nel tempio di saturno, alle pendici del Campidoglio, era destinato a custodire non soltanto il tesoro dello stato, ma anche svariati documenti di interesse pubblico, sì da costituire un vero e proprio Archivio di Stato. Esso rimase per

Page 79: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

79

secoli affidato, sia pure sotto il controllo del senato e l’alta sorveglianza dei magistrati superiori, ai quaestires urbani, cioè a dei giovani alle prime armi nella carriera politico-amministrativa. Fu solo Augusto che pensò di cambiar le cose affidando la direzione dell’erario a funzionari di rango pretorio dal titolo di praefecti aerari Saturni, un’innovazione che, dopo vari mutamenti, si consolidò dai tempi di Nerone in poi. Dall’erarium militare, una cassa speciale istituita da Augusto per provvedere al trattamento di quiescenza dei veterani. Il successivo incarico affidato a Vettoniano (o, quanto meno, quello registrato successivamente in questo suo cursus honorum: qualcuno infatti ritiene che esso dovette precedere, non seguire la prefetture dell’erario) fu quello di curator viarum, e precisamente di curator viae Aemiliae. Nell’ultimo secolo della repubblica si erano venuti costituendo degli uffici speciali per la gestione di affari sottratti in via eccezionale alla normale competenza delle magistrature relative, a mano a mano che queste si dimostravano ormai insufficienti per i bisogni sempre crescenti dell’amministrazione in Roma e nell’Italia. Così, appunto, erano andate le cose (per fare l’esempio più noto) nel campo dell’annona, passata dalla competanza ordinaria degli edili a quella di speciali curatori. Un analogo processo si verificò anche riguadro alle vie che da Roma di diramavano per tutta l’Italia, quando al cuni speciali curatores viarum preserp a svolgere, in varie occasioni, quelle che erano specifiche attribuzioni dei censori e dei consoli: provvedere alla munutenzione delle vie, ai contratti d iappalto relativi, ecc. Nell’evoluzione generale che al principio dell’età imperiale siriscontra in seno alle varie curiae, il tratto più importante è che tali uffici da straordinari diventano stabili, e che i funzionari che li assumono, i curaores, sono eletti non più per voto del popolo, ma sono niminati dal senato o dallo imperaotre. Il secondo caso si verificava quando l’imperaotre si era addossato l’onere della cura, come fu appunto per la cura viarum che Augusto assunse nel 20 a.C. ed esercitò per

Page 80: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

80

mezzo dei suoi rappresentanti, i curatores. Questi vennero scelti fra i senatori di rango pretorio per le vie di maggiore importanza, menre per le vie minori, come la Praenestina, la Latina, la Labicana, la Nomentana, l’Ostiense i curatores furono attinti dalla classe dei cavalieri. Così Vettoniano, che aveva già da tempo raggiunto il rango di vir praetorius , ebbe l’incarico di curator viae Aemiliae, la via fatta costruire da M. Emilio Lepido, console nel 187, dopo l’assoggettamento dei Liguri per unire quelle terre di nuova conquista con la via Flaminia. La via Aemilia andava infatti da Rimini a piacenza seguendo un tracciato che, rimasto pressoché invariato dopo più di duemila anni, è quello stasso dell’odierna via Emilia. Di poi, sembra nell’anno 78, Vettoniano raggiunse il consolato e fu, naturalmente, non consul ordinarius, cioè uno dei due consoli che entravano in carica al 1° di gennaio e davano il nome all’anno, perché in tal caso non avremmo avuto incertezze sulla data; egli fu uno dei consules suffecti che, secondo un sistema inaugurato da Cesare e protrattosi sino alle soglie del basso impero, ad un certo punto dell’anno subentravano ai consules ordinarii. In questo modo egli raggiunse i lrango di vir consularis e, con questo, la possibilità di aspirare ai più importanti comandi provinciali. Intanto veniva cooptato nel collegio dei septemviri epulonum (il sacerdozio più importante dopo quello dei pontifices, degli augures, dei quindecemviri sacris faciundis), incaricati di celebrare annualmente una cerimonia sacrificale in forma di banchetto (epulum) in onore della triade capitolina, Giove, Giunone e Mierva. Quindi Vettoniano resse la provincia di Dalmatia, che dopo essere stata dapprima una delle province senatorie, passò poi nel novero di quelle imperiali, sì che il nostro personaggio, sembra già nei primi tempi del regno di Domiziano, la governò appunto col titolo di legatus (Augusti, qui omesso per brevità) pro pretore. Lo stesso ufficio (item) egli rivestì più tardi nella provincia di Pannonia (anni 84-85) e quindi nella Mesia superiore:

Page 81: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

81

tutte nella zona danubiana, di cui dovette acquistare una buona conoscenza messa a profitto quando nell’86 partecipò alla prima fase della guerra contro Decebalo. In questo bellum Dacicum ottenne da Domiziano quelle ricompense al valore 8dona militaria) che leggiamo elencate: quattro corone, quattro hastae purae (lance senza punta e intatte dal sangue), quattro vexilla. Erano le decorazioni che spettevano a un combattente di rango consolare come lui, dato che vi era una gerarchia anche rispetto a queste insegne; a un vir praetorius, per esempio, delle ricompense suddette se ne davano non quattro, ma tre, e si scendeva a mano a mano fino alle collane e ai bracciali riservati agli uomini di truppa (armilae, torques). Nell’iscrizione le parole ab. Imp. Domitiano Aug. Germanico furono scalpellate quando, dopo la morte di Domiziano, la sua memoria venne condannata dal senato (il contrario della consacrazione come divus). Cursus honorum di L. Minicius Natalis (CIL II 6145 = ILS 1029): L. Min[incius L. Fil . Gal(eria) Na]talis cos., procos. provinc. [Africae, sodalis Augus]talis, leg. Aug. pr. Pr. divi Traia- ni par[thici et imp. Traiani Ha]driani Aug. provinc. Pan- nonia[e . . . . . . . . , curator a]lvei Tiberis et riparum et cloacar[um urbis, leg. Divi Tra]- iani Parthici leg(ionis) III Aug., l eg. di- vi Traia[ni Parthici leg. . . doni]- s donatus expeditione Dacic[a] prima a[b eodem imperatore] corona vallari, murali, aurea, has[tis puris III, vexill is III, l]eg. Pr. Pr. Provinc. Africae, pr(aetor), tr(ibunus) pl. , q(uaestor) p[rov . . . . IIIIvi]r viarum curandarum, et

Page 82: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

82

L. Minucius L. f . [Natalis Quadro]nius Verus f(i l ius), augur, trib. plebis desig(natus), q(uaestor) Aug(usti) et [eodem tempore leg. P]r. Pr. Patris provinc. Africae, tr(ibunus) mil. Leg. I Adiut(ric is) p(iae) f(idelis), l[eg. XI Cl(audiae) p. f . , leg. XIIII Ma]rt(iae) vic( tricis), IIIvir monetalis a. a. a. f . f . , balineum c[um port]ic ibus solo suo et du[ctus aquae] fecerunt. L’epigrafe fu posta a Barcino (od. Barcellona), città di cui L. Minicio Natale era originario e dove egli diede prova della sua munificenza costruendo insieme col figlio un pubblico edificio termale: balineum cum porticibus solo suo et ductus aquae fecerunt. Il cursus honorum di L. Minicio padre è riportato in ordine inverso; secondo l’uso che già fu notato, la magistratura più alta, il consolato, è menzionata al principio e fuori ordine cronologico. Infatti Minicio fu console (suffectus) nel 106, e perciò prima delle cariche registrate subito dopo di governatore dell’Africa, di sodale Augustale, di governatore della Pannonia e di curatore del Tevere, tutte cariche per assumere le quali i l consolato rappresentava la prescritta qualificazione. Più precisamente egli, poco dopo aver raggiunto la dignità di vir consularis , fu nominato a presiedere il collegio dei curatores alvei tiberis et riparum , uno dei tanti nuovi uffici creati all’ inizio del principato. Questi avevano principalmente il compito di delimiare il suolo occupato dal letto del Tevere, mutevole a seconda che il fiume fosse in regime di magra o di piena, e quindi di stabilire i confini fra esso e le adiacenti proprietà private. Ai tempi di Traiano la competenza del collegio si estese anche alle cloache della città, e allora il titolo dei suoi componenti si modificò in quello di curatores alvei Tiberis et riparum et cloacarum urbis , che è appunto quello riferito nel nostro cursus honorum . Dopo aver espletato tale incarico, Minicio venne niminato da Traiano governatore di una delle due province di Pannonia (cioè

Page 83: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

83

della superior, indicazione che è andata perduta nella lacuna che a questo punto presenta l’ iscrizione). La formula con cui la carica viene riportata: legatus Augusti pro praetore divi Traiani Parthici et imperatoris Traiani Hadriani Augusti, fa ritenere che egli ottenne la nomina da traiano negli ultimi tempi del suo principato e che venne in essa confermato da Adriano quando questi nel 117 salì al trono. Dopo essere entrato a far parte dei sodales Augustales, la più elevata delle confraernite religiose istituite, subito dopo la morte di Augusto, per la celebrazione del suo culto, Minicio Natale coronò la sua carriera ritornando in Africa, dove una ventina di anni prima aveva esercitato le funzioni di aiutante del proconsole ( legatus pr. pr. Provinciae Africae), ma questa volta come proconsole egli stesso. In quest’epoca tale carica veniva raggiunta, da quell i che ci arrivavano, generalmente non prima di una quindicina di anni dopo il consolato, e quindi nel nostro caso si arrivo a circa il 121 d.C. Fu non molto tempo dopo che fu posta la nostra iscrizione, e con questo concorda il fatto che Traiano viene menzionato come divus . Immediatamente prima del consolato, e più precisamente negli anni 104 – 105, Minicio tenne il comando della legio III Augusta , legione che era stanziata nella Numidia e il cui comando coincidava con l’ufficio di governatore ( legatus Augusti pro praetore) della numidia stessa. Inizialmente la legione era stata agli ordini diretti del proconsole della provincia d’Africa; Caligola invece la sottrasse a questa dipendenza gerarchica creando una situazione permanente di attrito fra legato della legione e proconsole d’Africa destinata a rafforzare indirettamente l’autorità imperiale in un settore così delicato dei domini provinciali. Anteriormente al comando della legio III Augusta, Minicio Natale aveva assolto lo stesso ufficio al comando di un’altra legione (il nome di questa è andato perduto nella lacuna), con la quale aveva partecipato alla expeditio Dacica prima. Si tratta della prima guerra

Page 84: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

84

contro i Daci condotta personalmente da Traiano ne l01 e 102, nel corso della quale Minicio si guadagnò le ricompense al valore adeguate a un combattente del suo rango: tre corone (la vallaris, la muralis, l ’aurea), tre hastae purae e tre vexilla. Il cursus honorum menziona quindi la prima carica che Minicio rivestì dopo esser diventato vir praetorius , ossia quella di coadiutore del proconsole d’Africa ( legatus pro praetore provinciae Africae). Questa carica va collocata intorno all’anno 100 se, come sembra, il nostro personaggio esercitò la pretura nell’anno 98. Prima della pretura vengono quindi ricordati il tribunato della plebe, la questura (esercitata in una provincia il cui nome è scomparso nella lacuna, a quel che pare insieme con la menzione del servizio prestato come tribuno militare) e una delle cariche del vigintivirato, precisamente quella di IIIIvir viarum curandarum . L’epigrafe riporta poi i lcursus honorum, anch’esso in ordine discendente, di Minicio Natale figl io, che s ichiamava L. Minicius Natalis Quadronius Verus (notare in questo polionimo il gentilizio Quadronius Proculus, collega nel consolato d iMinicio Natale padre). Egli cominciò, al solito, con un ufficio del vigintivirato (IIIvit monetalis aere argento auro flando feriundo); quindi passò a prestar servizio militare col grado di tribuno in ben tre legioni, le quali furono successivamente (l ’elencazione della legioni I Adiutrix pia fidelis, allora di guarnigione nella Dacia, la legio XI Claudia pia fidelis, di stanza nella Moesia inferior, la legio XIV (gemina) Martia Victrix, di stanza nella Pannonia superior. I nomi delle due ultime legioni sono andati perduti nella lacuna, ma ci sono ricordati in un altro documento. Dopo gli anni passati presso queste tre legioni (di solito i rampolli delle famiglie senatorie non si dedicavano con tanto impegno al tirocinio militare), Minicio ottenne la prima delle magistrature, al questura, e fu quaestor Augusti, cioè alla personale dipendenza dell’ imperatore, i lquale (si tratta di adriano, da poco succeduto a Traiano) gli concesse di ricoprire nello

Page 85: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

85

stesso anno uno dei tre posti di legato del proconsole d’Africa. In quell’anno proconsole della provincia d’Africa era suo padre, e fu senza dubbio un’attestazione di riguardo da parte dell’ imperatore quella di concedere al vecchio consolare Minicio Natale figlio, dinanzi al quale evidnetemente si profilava una brillante carriera. Nel momenti in cui la nostra iscrizione fu posta egli era tribunus plebis designatus, avrebbe cioè rivestito la magixìstratura l’anno appresso, ma sebbene non avesse ancora il rango di vir tribunicius già era stato cooptato nell’ importante collegio sacerdotale degli augures. Poi, come sappiamo da altri documenti, riuscì a percorrere una carriera non indegna di essere paragonata con quella del padre, raggiungendo anche egli il consolato (come suffectus, circa i l 133), e, infine, il proconsolato dell’Africa verso il 150. Cursus honorum di C. Caesonius Macer Rufinianus (CIL XIV 3900 = ILS 1182): C. Caesonio C. f . Quir(ina) Macro Rufiniano Consulari, sodali Augustali, comiti imp. Severi Alexandri Aug., cur(atori) r(ei) p(ublicae) Lanivinor(um) II, procos. Prov. Africae, cur. aquar(um) et Minic(iae), leg. Aug. pr. pr. German. superioris, cur. alvei Tiberis, cur. r. p. Tarracinens(ium), procos. prov. Achaiae, leg(ato) leg(ionis) VII Claud., cur. r. p. Asculan(orum), leg(ato) prov. Asiae, pr(aetori), l eg. prov. Baetic(ae), trib. pl. , quaestori prov. Narbon(ensis), trib(uno) leg(ionis) I Adiutric(is), donato donis militarib(us) a divo Marco, IIIvir(o) capitali, patri dulcissimo et incomparabili, Caesonius Lucil lus f i l ius consularis.

Page 86: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

86

Il cursus honorum è riportato per intero trattandosi di un’iscrizione sepolcrale, e le cariche sono elencate in ordine inverso. Al primo posto, fuori ordine cronologico, la menzione della magistratura più elevata, il consolato, cui s iallude con l’espressione consularis (sott. vir), seguita immediatamente dalla dignità sacerdotale di sodalis Augustalis, anch’essa riferita fuori ordine cronologico (anche se non possiamo precisarne la data). La carriera cominciò anche per Cesonio Macro con una delle cariche del vigintivirato: fu infatti triumvir capitalis; quindi intorno al 175 egli prestò servizio militare come tribuno nella legio I Adiutrix, di stanza nella Pannonia superiore, e con tale grado partecipò alla guerra contro i Marcomanni ottenendo da Marco Aurelio ricompense al valore (dona militaria, qui non specificati; per un tribuno di legione erano una o, al massimo, due corone, due hastae purae, due vexilla. Marco Aurelio è detto divus perché già scomparso quando fu apposta questa lapide, che va datata agli ultimi tempi di Severo Alessandro o poco oltre; v. appresso). Venne poi il primo gradino delle magistrature vere e proprie, la questura, che Cesonio esercitò in provincia come quaestor provinciae Narbonensis (la prima ad esser creata in territorio gallico, alla fine del II secolo a. C.). Seguirono, probabilmente già sotto Commodo, il tribunato della plebe (dopo di che Cesonio andò nella Hispania Baetica come legatus di quel proconsole) e la pretura (dopo la quale Cesonio andò in Asia come legatus del proconsole di quella provincia). Nella penisola iberica, oltre la provincia di Hispania Baetica (in età repubblicana: Hispania ulterior), v’erano anche quella di Hispania citerior (o Tarraconensis; la “Asturia et Callaecia” costituiva solo uno dei due distretti di tale provincia, e non pare diventasse mai una provincia a sé stante, sebbene in qualche iscrizione si parli di provincia Asturia et Callaecia), e quella di Lusitania, entrambe appartenenti alla categoria delle province imperiali; la provincia d’Asia era quella che venne costituita con i l regno di Pergamo, lasciato in eredità al popolo romano dal re Attalo III ne

Page 87: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

87

l133 a. C. Rotornato dall’Asia, Cesonio ebbe affidato da Commodo l’ufficio di curator rei publicae Asculanorum. I curatores rei publicae o civitatis erano stati istituiti sotto Traiano col compito di sorvegliare l’amministrazione delle finanze nelle città che godevano dell’autogoverno nel campo degli affari locali, a cominciare appunto dalla gestione del pubblico denaro. Queste città, fossero municipi o colonie comunque dotate di autonomia interna, avevano avuto fino allora le mani completamente libere riguardo al bilancio comunale, e in generale le competanti autorità locali (senato e magistrati) non avevano dato buona prova, sì che lo stato finanziario ed economico della maggior parte delle città destava non poche preoccupazioni. Fu per tanto creato questo ufficio di suprvisione delle finanze locali, e le relative funzioni furono affidate a personaggi dell’ordine senatorio, generalmente di dignità pretoria. Tale appunto l’incarico assolto da Cesonio ad Ascoli Piceno, incarico che più tardi la fiducia dell’ imperatore gli fece assolvere anche a Tarracina (od. Terracina), a Teanum Sidicinum (od. Teano), e, dopo il consolato, a Lanuvium per ben due volte. Riprendendo lo sviluppo cronologico della carriera, notiamo che dopo l’ufficio di curator rei publicae Asculanorum Cesonio fu inviato da Commodo a comandare la legio VII Claudia, di stanza nella Mesia superiore, mentre sembra che la carica successiva, quella di proconsul provinciae Achaiae, egli la ricoprisse già ai tempi di Settimio Severo. Circa questa provincia conviene ricordare che quando, dopo la distruzione di Corinto e lo scioglimento delle leghe che avevano partecipato alla guerra antiromana, la Grecia venne assoggettata al diretto dominio romano (a. 145 a. C.), essa venne collegata alla Macedonia e sottoposta al governatore di quella provincia. Più tardi, verso la metà del I secolo a. C., in varie occasioni fu staccata dalla Macedonia e costituita in provincia a sé stante, e tale fu appunto l’ordinamento che nel 27 le diede Augusto quando creò le due province senatorie di Acaia e di Macedonia, Tornato dal governo della Grecia, e dopo

Page 88: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

88

aver controllato l’amministrazione finanziaria del comune di Terracina, Cesonio fu inviato da Settimio Severo nella Spagna a governare la provincia imperiale di Lusitania e poi di nuovo, quando fu rientrato in Italia, incaricato di controllare le finanze di Teano, nella Campania. A questo punto egli raggiunse i lconsolato (probabilmente ancora sotto Settimio Severo, anche se non è possibile alcuna ulteriore precisazione cronologica) e con tale qualificazione poté assumere la presidenza del collegio dei curatores alvei Tiberis, carica riservata ad un senatore di rango consolare. Dopo aver assolto questo incarico Cesonio si recò, probabilmente per nomina di Caracalla, ad esercitare le funzioni di governatore della Germania superior, con sede a Magonza (Mogontiacum), mentre i lgovernatore della Germa nia inferior risiedeva a Colonia (la divisione fra le due province era stata attuata da Domiziano, e si noti che la Germania inferior era a nord della superior). Espletato questo comando provinciale e ritornato in Italia, Cesonio fu nominato, forse ancora dallo stesso Caracalla, curator aquarum et Miniciae. La cura aquarum, uno dei tanti nuovi uffici creati da Augusto, era stata istituita nell’11 a.C., e i tre curatores aquarum avevano competanza su tutta l’amministrazione relativa agli acquedotti di Roma e, in genere, all’uso delle acque di proprietà dello Stato. Minicia o Minucia si chiamava il portico (sito non lontano dal portico di Ottavia; porticus è femm.) nel quale fin dal tempo dell’ imperatore Claudio avevano luogo le frumentationes , cioè le distribuzioni gratuite e periodiche di grano alla “plebs frumentaria” di Roma. L’ufficio di curator aquarum et Miniciae, che Cesonio rivestì e che comincia ad essere attestato appunto al principio del III secolo, non è chiaro nelle sue attribuzioni; probabilmente il suo titolo sta a significare che i curatores aquarum dal tempo di Settimio Severo in poi ebbero una qualche connessione con la porticus Minucia, pur continuando questa ad essere usata per le frumentationes . Lasciata l’amministrazione degli acquedotti di Roma, Cesonio raggiunse l’ambìto proconsolato della provincia d’Africa,

Page 89: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

89

forse intorno al 227 d. C. e, comunque, già sotto i lregno di Severo Alessandro (222 – 235). Questo imperatore per ben due volte gli affidò poi l’ incarico di sorvegliare le finanze della res publica Lavinirum (= Lanuvinorum), e più tardi lo ebbe nel suo stato maggiore quale comes: ciò, sembra, al tempo in cui Severo Alesssandro comandava quella campagna contro i Germani che si concluse con l’ammutinamento delle truppe e il suo assassinio. Questa di comes imperaotirs Severi Alexandri fu l’ultima delle cariche di Cesonio Macro, rivestita prima della morte. Quando avvenne questa morte e, in conseguenza, quando il figlio Cesonio Lucillo curò la redazione dell’epitafio? Il fatto che Severo alesssandro non sia nominato col titolo di divus fa pensare che la lapide sepolcrale di Cesonio Macro fosse apposta quando l’imperatore era ancora in vita, cioè entro e non oltre il principio dell’anno 235, e questa sembra la cosa più probabile. Si deve però considerare che la consacrazione a divus di Severo Alessandro non fu fatta subito dopo la sua morte, ma solo a più di tre anni di distanza, dopo che fu eleminato il suo successore Massimino il Trace. Resta pertanto non del tutto esclusa la possibilità che Cesonio Macro sia morto dopo la scomparsa di Severo Alessandro e prima della sua consacrazione a divus, cioè fra il 235 e il 238. Cursus honorum di L. Cesonio Ovinio Manlio Rufiniano Basso (dagli “Atti del IV Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina”, Vienna 1964). AE 1964, 223 L. Caesonio Ovinio Manlio Rufiniano Basso c(larissimo) v(iro), cos. II, pontif(ici) maiori, pontif(ici) dei Solis, salio Palatino, prae- fecto urbis, comiti Augg., iudici sacrarum cognitio- num vice Caesaris sine appel-

Page 90: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

90

lationem cognoscendi inter (sic) f iscum et privatis, item inter (sic) privatos Roma et in provinc(ia) (sic) Africa, elec to a divo Probo ad pre[side]ndum iud(icio) mag(no), (sic) procos. provinc. Afric(ae) tertium, curat(ori) col(oniae) Carthag(iniensium), leg. Pro- vinc. Afric(ae) Carthag(iniensis), curat(ori) albei Tiberi(s) et cluacarum (sic) sac(rae) urb(is), curat(ori) r. P. Venevent(anorum), (sic) praet(ori) cand(idato) , quaest(ori) cand(idato), seviro turmae deducendae, triumviro kapitali, patrono praestantissimo, Caesonius Achilleus l ib[ert]us pos(uit). Il cursus honorum , che ci è stato trasmesso da un’epigrafe recentemente scoperta ad Aversa ed ora conservata nel Museo Nazionale di Napoli, si riferisce a un personaggio che fu figlio del L. Cesonio Lucillo Macro Rufiniano e nipote del C. Cesonio Macro Rufiniano di cui sopra si è parlato. Il cursus è interessante per il gran numero di cariche che elenca (non se ne trova un altro ugualmente lungo relativo allo stesso periodo, cioè alla seconda metà del III secolo); inoltre esso è venuto a completare il quadro delle fortune di una famiglia senatoria attraverso tre generazioni, e lungo un arco di tempo che abbraccia tutto i lIII secolo. Sebbene l’epigrafe non sia di carattere sepolcrale, ma si tratti di una dedica, è difficile ritenere che Cesonio Basso abbia rivestito ancora qualche altra carica dopo quelle che qui furono elencate (in ordine inverso) a cura del suo liberto Caesonius Achilleus (notare la mancanza del praenomen), e pertanto questo cursus

Page 91: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

91

possiamo considerarlo completo. In verità non mancano esempi di cursus in cui alcune cariche appaiono omesse (come si può constatare, nel caso di cursus riferiti da diversi documenti, mettendo questi a confronto); ciò poteva avvenire anche per maggiore brevità, ma non pare che Achilleo abbia avuta una preoccupazione del genere nel redigere questa dedica al suo patronus praestantissimus . Costui, tenuto conto della nobiltà dei suoi natali, dovette probalbilmente arrivare ben presto al consolato, poniamo intorno al 265, e pertanto si può ritenere che cominciò a risalire per i vari gradini degli honores non prima della metà del secolo (a. 250), quando appunto rivestì la crica di triumvir capitalis e poi quella di sevir turmae deducendae , titolo equivalente a quello di sevir equitum Romanorum, un ufficio onorifico nell’organizzazione dell’ordine equestre. Si noti che questa è una delle menzioni più tarde che s iabbiano dei due uffici. Quindi Cesonio Basso rivestì la questura, e poi la pretura, magistrature che ottenne entrambe agevolmentecome candidatus dell’ imperatore. Ciò vuol dire che egli, rispetto agli altri aspiranti, ebbe il privilegio della commendatio principis, vale a dire di presentarsi come raccomandato dell’ imperatore; il che, oltre ad assicurare la nomina, costituiva una distinzione nei cursus honorum . Conseguita la dignità di vir praetorius , Cesonio Basso ebbe l’incarico di controllare le finanze comunali di Benevento (curator rei publicae Veneventanorum; osservare il noto fenomeno dello scambio b-v; Veneventum pe Beneventum, come poco sopra albei per alvei); e poiché dopo questa carica viene registrata quella di curator albei Tiberis ecc., senza dubbio di rango consolare, è da ritenere che il nostro personaggio abbia raggiunto il primo consolato (come suffectus) dopo l’ufficio di curator rei publicae a Benevento e prima di quella di curator albei Tiberis et cluacarum sacrae urbis (l’urbs è detta sacra secondo la nomenclatura della vigente teocrazia imperiale: come è sacra la maestà dell’ imperatore, così è sacra la città in cui egli ha sede, e così tra l’altro sono sacrae le cognitiones vice Caesaris; v.

Page 92: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

92

appesso). Veramente si è pensato che a questo punto il cursus honorum non segua più rigorosamente l’ordine cronologico, e ciò perché la carica successivamnete elencata, quella di legatus provinciae Africae Carthaginiensis (che vuol dire legato del proconsole d’Africa con giurisdizione nella diocesi, o distretto, di Cartagine) appare per lo più rivestita non dopo il consolato, ma dopo la pretura. E motivo dell’abbandono, a questo punto, del preciso ordine cronologico sarebbe stato l’ intento di raggruppare insieme tutte le cariche rivestite in Africa. L’ipotesi è certamente ammissibile, ma non necessaria; e i nmancanza di una ragione più valida sembra bene rispettare la sequenza riferita nell’ iscrizione. Dopo aver assolto la legazione del proconsole d’Africa e, successivamente, l’ufficio di controllore della finanza locale a Cartagine furono inviati coloni sia da Cesare sia da Augusto, e pertanto essa si chiamò colonia Iulia Carthago), Cesonio Basso ottenne poi il proconsolato della provincia di Africa. Tale ufficio aveva normalmente la durata di un anno, ma nel nostro caso, e si trattò di una non comune distinzione, esso fu continuato per tre anni consecutivi (procos. provinc. Africae tertium). Tornato dal governo dell’Africa, Cesonio Basso si vide affidati alcuni incarichi nel campo dell’amministrazione della giustizia, e in primo luogo egli fu electus a divo Probo ad pre[side]ndum iud(icio) mag(no). Abbbiamo a questo punto l’unico elemento sicuro pe precisare in qualche misura la cronologia della carriera del nostro personaggio: l’ impeatore Probo, che al momento in cui fu posta la dedica era già morto (divus), regnò dal 276 a l282, e fu appunto in un periodo compreso tra questi anni che Cesonio Basso ebbe l’incarico di presiedere in iudicium magnum. Con questa espressione, che ricorre qui per la prima volta, si allude certamente a u tribunale di superiore istanza, ed è probabile che ad esso l’imperatore delegasse giudizi d’appello in materia civile. Che valore ha questa nuova testimonianza a proposito della questione circa la storicità delle rilevanti concessioni che Probo avrebbe fatto al senato nel campo

Page 93: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

93

dell’amministrazione imperiale? Tale questione s’inserisce ne lproblema più ampio deo rapporti fra poteri dell’ imperatore e poteri del senato (rapporti che, com’è noto, s ierano venuti sempre più modificando a scapito delle antiche posizioni di privilegio godute dai senatori), ed essa trae origine da una notizia riferita nella Historia Augusta. Infatti nella Vita Probi (13, 1) si legge che l’imperatore “permisit patribus ut ex magnorum iudicum appellationibus ipsi cognoscerent (giudicassero), proconsules crearent, legatos ex consulibus darent, ius praetorium praesidibus darent, l eges, quas Probus ederet, senatus consultis propriis consecrarent ”. Si sarebbe trattato di concessioni, se non di primaria importanza, almeno di grande significato per il prestigio del senato, restituendogli una parte di qualche rilievo nell’amministrazione della giustizia e nella responsabilità dei governi provinciali. Fra tali concessioni al primo posto sarebbe stata l arestaurazione dei privilegi che un tempo il senato aveva goduto come corpo giudiziario di ultima istanza: alla sua competenza sarebbero stati trasferiti quei giuduzi d’appello in materia civile che fino allora erano caduti sotto la giurisdizione del prefetto del pretorio e del prefetto urbano. Sulla attendibilità di queste notizie erano state avanzate varie riserve, anche per l’assenza nelle restanti fonti, e non soltanto letterarie, di ogni elemento di riscontro. Costituisce ora un elemneto di riscontro la notizia che Cesonio Basso fu, ad opera di Probo, eletto a prediedere il iudicium magnum? Qui senza dubbio può fare impressione il parallelismo fra due espressioni di magni iudices usato nel passo citato della Historia Augusta (ut ex magnorum iudicum apellationibus ipsi cognoscerent) e il iudicium magnum attestato per la prima volta im funzione sotto Probo; però salta agli occhi la sostanziale diversità delle due situazioni. Un conto è infatti ritenere, come si legge nel nostro cursus honorum, che sotto Probo funzionò un tribunale di seconda istanza composto di magni iudices e presieduto da un senatore di rango consolare, e un altro conto è la rappresentazione

Page 94: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

94

dei patres che ex magnorum iudicum appellationibus ipsi cognoscunt, cioè dei senatori che possono riformare in appello le sentenze emanate dai magni iudices. Se con quest’ultima espressione nell Historia Augusta si alludeva a lprefetto del pretorio, al prefetto urbano e ai governatori provinciali, allora veramente l’ innovazione introdotta da Probo avrebbe significato un innalzamento del senato; ma a sostegno di una simile opinione non vale la circostanza che un senatore fu nominato dalll’ imperatore a presiedere i liudicium magnum. Questo era un tribunato civile di appello dipendente anch’esso in ultima analisi dall’ imperatore, e il fatto che Cesonio Basso ottenne l’incarico, senza dubbio straordinario, di presiederlo, nonimplica affatto che Probo abbia fatto al senato alcuna rilevante concessione in materia giudiziaria. Del resto, fino dai tempi di Augusto il praefectus urbi era sempre stato un senatore di rango consolare, ma i lcontinuo allargarsi delle sue attribuzioni ne lcampo giudiziario non aveva mai contribuito ad accrescere il prestigio del senato, ma solo a consolidare i lpotere autocratico del principe. I successivi incarichi assolti da Cesonio Basso furono ancora nel campo dell’amministrazione giudiziaria; gli venne infatti afidata (pare ancora da Probo) la potestà di decidere mediante l’emanazione di sentenze inappellabili le cause che nascevano in materia fiscale, sia tra il fisco e i privati, sia tra privati, con una competenza territoriale che comprendeva Roma e la provincia d’Africa. Tali poteri giuduziari venivano esercitati per delega dell’ impeatore, e per questo si parla di sacrae cognitiones vice Caesaris. Poi i lnostro personaggio fu comes Augustorum duorum (chiamato cioè a far parte del seguito imperiale, generalmente in occasione d iuna spedizione militare), un’espressione da cui si ricava che l’ufficio fu esercitato in epoca posteriore alla morte di Probo, e precisamente quando l’impero era governato da due correggenti: probabilmente Caro e Carino, nel 283, o Carino e Numeriano, nel 283 – 284. Subito dopo venne la nomina a prefetto urbano, la carica

Page 95: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

95

più importante fra quelle che un senatore potesse rivestire in Roma, alla quale per maggiore distinzione l’impeaotre faceva seguir da vicino il conferimento al prefetto (che già doveva essere stato console) d iun secondo consolato. Così fu anche ne lcaso di Cesonio Basso, che diventò consul II più o meno verso i l286 (e ancora una volta suffectus, cosa inusitata dato che, per ormai vecchia consuetudine, hei raggiungeva i lsecondo consolato lo rivestiva come consul ordinarius). All’inizio del cursus honorum, subito dopo la menzione del consolato, sono raggruppate imsieme, evidentemente fuori del generale ordine cronologico, tutte le cariche sacerdotali tenute da Cesonio Basso. Egli fece parte (seguendo l’ordine dato dal cursus):

a) del collegio dei pontifices, che da un certo momento si dissero, come qui, pontifices maiores. Secondo l’opinione corrente, questo epiteto i pontefici l’avrebbero assunto per distinguersi dai pontefices dei Solis, i lsacerdozio istituito dall’ imperatore Aureliano (270 – 275) pre i lculto del deus Sol invictus, cui egli aveva innlazato un osplendido tempio nel Campus Agrippae attingendo dal bottino preso a Palmire ne l272. Questa opinione perealtro, dopo la scoperta della nuova iscrizione di Aversa, non pare si possa più condividere. Infatti da un’altra dedica posta al nosro Cesonio Basso parecchi anni prima, quando non aveva ancora raggiunto i lprimo consolato (CIL X 1687 = ILS 1206), noi apprendiamo che a quell’epoca egli era stato già eletto allle cariche sacerdotali di salius Palatinus e pontifex maior. Quest’ultimo titolo, secondo l’opinione che stiamo discutendo, non dovrebbe essere anteriore al regno di Aureliano, o meglio al 273 circa, e se ne dovrebbe ricavare che a tale data Cesonio Basso non aveva ancora raggiunto il consolato. La qual cosa sembra assai difficile da ammetttere quando teniamo presente il gran numero di cariche che ora

Page 96: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

96

sappiamo furono ricoperte dal nostro personaggio fra il primo consolato e la nomina, ottenuta da Probo (276 – 282), a presidente del iudicium magnum . Probabilmente i pontefici cominiivarono a dirsi pontif ices maiores per distinguersi dai pontefices minores , appartenenti all’ordine equestre.

b) del collegio dei suddetti pontifices dei Solis. c) del collegio dei salii Palitini , l ’antichissimo

sacerdozio cui spettava (insieme con l’altro dei salii Collini) la celebrazione degli arcaici riti in onore del dio Marte, una delle primissime divinità protettrici di Roma. L’accesso a questi due sacerdozi rimase sempre riservato ai soli membri delle famiglie patrizie, e tale era Cesonio Basso perché a suo tempo i lpadre Cesonio Lucillo, che era di famiglia plebea, era stato “electus in familiam patriciam” (CIL XIV 3902 = ILS 1186) cioè trasfetito nel patriziato per concessione dell’ imperatore.

L’ordine in cui le tre cariche sacerdotali sono riferite vuol essere un ordine d’importanza, non un ordine di successione cronologica, e così si spiega che il pontif icatus dei Solis è menzionato dopo il pontificato ordinario. Infatti dalla già citata dedica posta a Cesonio Basso quando ancora non aveva raggiunto il primo consolato noi vediamo che a quell’epoca egli era già stato eletto salius Palatinus e pontifex maior , ma non ancora pontifex dei Solis . Questa fu dunque cronologicamente l’ultima dignità sacerdotale da lui conseguita, ma nel nostro cursus honorum essa fu elencata dopo quella di pontifex maior perché meno elevata. Un’ultima cosa merita di essere sottolineata, e cioè i lfatto che nella sua lunga carriera Cesonio Basso, a differenza del padre e dell’avo, non esercitò mai un comando militare, né come comandante di legione né come governatore di province ove fossero stanziate guarnigioni militari, i lche fu almeno in parte dovuto al provvedimento con cui Gallieno (253 – 268) escluse i senatori dai comandi militari .

Page 97: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

97

ESEMPI DI CVRSVS HONORVM EQUESTRI Carriera di Sesto Afranio Burro (CIL XII 5842 = ILS 1321): Vasiens(es) Voc(ontii) patrono Sex. Afranio Sex. F. Volt(inia) Burro trib. mil. , proc. Augus- tae, proc. Ti. Caesar(is), proc. Divi Claudi, praef. Pra[e]tori, ornam[en]tis consular(ibus). La dedica (in cui vanno notati sia l’uso dell’apex, sia l’ inconsueta costruzione, con i dedicanti menzionati al principio anziché alla fine) fu posta dai Vasienses Vocontii , cioè dai Vocontii (stirpe gallica abitante nella città di Vasio, od. Vaison, nella Francia meridionale), in onore di un loro patronus. Costui ci è largamente noto per altra via, specialmente per quello che ne riferisce Tacito; si tratta infatti di quell’Afranio Burro che fu prefetto del pretorio nei primi anni del regno di Nerone e, già prima, negli ultimi anni di Claudio. Fu Agrippina che nel 51 gli fece ottenere la nomina da Claudio (Tac., Ann. XII 42), quando l’imperatrice preparava la successione al figlio Nerone; e Afranio Burro, a lmomento della morte di Claudio, fu molto utile per assicurare a lgiovinetto successore i lsostegno dei pretoriani. Poi, insieme con seneca, Afranio Burro fu uno dei principail moderatori del governo neroniano fino alla sua morte, avvenuta nell’anno 62 forse non senza che la volontà di Nerone vi partecipasse.

Page 98: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

98

Nella dedica che i Vasienses pongono al loro patronus (e, probabilmente, conterraneo, dato che la tribù di appartenenza dei Vasienses come cittadini romani era la Voltinia, cioè quella stessa di Afranio Burro) vediamo riportate, in ordine diratto, le cariche a lui successivamente rivestite. Queste peraltro sono riferite in maniera piuttosto succinta, a cominciare dalla menzione del servizio militare. Leggiamo infatti che fu tribunus militum (naturalmente, angusticlavio), senza che venga specificato in quale legione e senza alcun altro cenno che possa inquadrare la lode di Tacito, che lo dice “egregiae militaris famae”; sichhé si deve pensare che tale lode si riferisca a lmodo in cui fu esercitato il comando delle coorti pretorie. Vengono quindi enumerate, ma anche qui senza alcuna maggiore precisazione, le funzioni procuratorie esercitate da Afranio Burrro, di cui egli fu incaricato fin dai tempi di Giulia livia Augusta (la moglie di Augusto), e poi di Tiberio e di Claudio (che al tempo in cui fu posta la dedica era già divus, sicché siamo dopo l’ottobre de l54). Fu appunto Claudio che, come sopra si diceva, nel 51 lo elevò alla prefettura del pretorio facendolo succedere da solo a Lusio Geta e Rufrio Crispino (spesso la prefettura del pretorio fu affidata contemporaneamente a due titolari). Infine l’epigrafe ricorda che ad Afranio Burro vennero concessi (da un imperatore che molto probabilmente fu Nerone) gli ornamenta consularia, una distinzione che consistava in sostanza ne lconferire al prefetto, appartenente alla classe equestre, la digintà senatoria. In qualche caso invece i prefetti ottennero addirittura l’ iscrizione effetttiva al senato, e ciò talvolta attraverso il vero e proprio rivestimento del consolato. Cursus honorum di G. Minicio Italo (CIL V 875 = ILS 1374):

Page 99: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

99

C. Minicio C. f(i l io) Vel(ina) Italo IIIIviro i(ure) d(icundo), praef. coh(ortis) V Gallor(um) equit(atae), praef. coh. I Breucor(um) equit. c(ivium) R(omanorum), praef. Coh. II Varc(ianorum) eq(uitatae), trib. Milit. Leg.VI Vict(ricis), Praef. Eq(uitum) alae I sing(ularium) c. R., donis donat(o) a divo Vespasiano coron(a) aurea, hast(a) pur(a), proc(uratori) provinc(iae) Hellespont(i), proc. Provinciae Asiae quam mandatu principis vice defuncti proco(n)s(ulis) rexit, procurat. Provinciarum Luguduniensis et Aquitanicae item Lactorae, Praefec to annonae, praefecto Aegypti, f lamini divi Claudi, decr(eto) dec(urionum). (In latere) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

….Ti(berio) Iulio [Candido II, C. Ant]io Quadrato II co(n)s(ulibus).

La dedica proviene da Aquileia, dove nell’anno 105 d.C. per deliberazione del senato locale venne innalzata una statua di bronzo del nostro personaggio (che era anch’egli aquileiese). E l’epigrafe fu incisa appunto sulla base che reggeva la starua. Nel cursus honorum vanno distinte due cariche, quella di quattuorvir iure dicundo menzionata al principio, e quella di flamen divi Claudi menzionata alla fine, le quali si riferiscono enrambe alla città di Aquileia. Fondata come colonia latina nel 181 a. C., Aquileia aveva avuto dapprima come sommi magistrati i duoviri iure dicundo , sostituiti poi dai quattuorviri i . d. quando la città diventò municipio romano dopo la guerra sociale. I flamines divi Claudi erano i sacerdoti che nelle varie città si

Page 100: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

100

occupavano del culto di quell’ imperaotre, ciò che in Roma facevano i sodales Augustales Claudiales. Prescindendo da questi due honores municipali, vediamo che nel cursus di Minicio Italo sono ricordate anzitutto le militiae equestres, alle quali egli si dedicò con non comune impegno. I comandi da lui successivamente esercitati furono, nell’ordine:

a) quello di prefetto della cohors V Gallorum equitata (le cohortes auxiliariae erano di regola reparti composti di sola fanteria; equitata era invece la coorte che aveva circa un quarto dei suoi effettivi montati a cavallo).

b) Quello di prefetto della cohors I Breucorum equitata civium Romanorum (i corpi ausiliari venivano in genere arruolati fra popolazioni straniere, in questo caso i Breuci della Pannonia. Talvolta poteva accadere che tutta la cohors ottenesse come ricompensa al valor militare la concessione della cittadinaza romana, e allora questa distinzione restava collegata al nome della cohors, che continuava a chiamarsi civium Romanorum anche quando quelli che a suo tempo avevano ottenuto la civitas avevano lasciato il corpo, e la cohors era di nuovo composta di peregrini);

c) quello di prefetto della cohors II Varcianorum equitata (i Varciani erano anch’essi una popolazione pannonica; il numero d’ordine della cohors siginfica che fra quella gente era stat arruolata più di una coorte);

d) quello di tribuno (angusticlavio) nella legio VI Victrix , che nel 69 era stata trasferita dalla Spagna inGermania (Tac., Hist . IV 68);

e) quello di comandante dell ’ala I singularium civium Romanorum . Questi singulares formavano dei corpi scelti di cavalleria ausiliaria usati nelle province, e pertanto vanno distinti dagli equites singulares Augusti che costituivano una guardia del corpo dell’ imperatore.

Page 101: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

101

Dopo questo non breve curriculum militare, nel corso del quale ebe modo di guadagnarsi una ricompensa al valor militare (donis donato a divo Vespasiano corona aurea, hasta pura), Minicio Italo fu sotto i Flavi innalzato alle funzioni procuratorie, e il primo incarico che gli venne affidato fu quello di procuratore dello Hellespontus, un distretto che appunto sotto i Flavi appare distaccato dalla giurisdizione del proconsole d’Asia e retto da un apposito governatore. Quindi, a quel che pare sotto Domiziano, Minicio Italo fu incaricato dell’amminisrazione finanziaria della provincia d’Asia (procurator provinciae Asiae) e, per un certo tempo, esercitò anche le funzioni di vicegovernatore, in luogo del defunto proconsole. Quest’ultimo si ritiene generalmente fosse C. vettulenus Civaca Cerialis, del quale sia Tacito (Agricola, 42) sia Svetinio (Domitian., 10) cidicono che fu fatto uccidere da Domiziano quando govrnava l’Asia, circa l’anno 88. Di poi Minicio passò a svolgere le stesse funzioni finanziarie nelle due province galliche della Lugdunense e dell’Aquitania, dopo di che fu procurator Lactorae. Lactora (od. Lectoure) era una città dell’Aquitania che, secondo alcuni studiosi, ad un certo momento, avrebbe insieme col suo territorio costituito un piccolo distretto amministrativo governato da un procurator Augusti, l ’ufficio appunto rivestito dal nostro personaggio. Si sarebbe, in sostanza, trattato di un preludio alla formale separazione dell’Aquitania celtica dall’Aquitania iberica (rispettivamente a nord e a sud della Garuma); quest’ultima infatti nell’ordinamento provincilae disposto da Diocleziano costituì poi la provincia Novempopulana e comprese anche il distretto di Lactora. Invece secondo un’altra opinione, che a qualcuno sembra preferibile, è difficile ritenere che Lactora abbia avuto tanta importanza da dare i lnome a un distretto comprendente l’Aquitania iberica o anche soltanto una gran parte di questa. E allora è da pensare che Lactora costituisse i lcentro di

Page 102: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

102

uno dei tanti possedimenti imperiali che, sparsi in ogni parte dell’ impero, costituivano il patrimonio dell’ imperatore. A capo della loro amministrazione, e tra l’altro si doveva anche esercitare la sorveglianza su masse spesso notevoli di lavoratori schiavi e liberi, l ’ imperatore nominava un suo procurator: i varii procuratores praediorum, saltuum, vil larum , ecc. attestati in gran numero dalle iscrizioni. Minicio Italo vene quindi innalzato dalle funzioni di procuratore a quelle più importanti di prefetto, e la prima prefettura che gli venne affidata fu quella dell’annona. Istituita anch’essa da Augusto negli ultimi anni del suo regno, questa era stata dapprincipio di rango assai elevato, superiore anche alla prefettura dell’Egitto, ma poi aveva perduto d’importanza, e infatti qui vediamo che, a itempi di Traiano, era più bassa della praefectura Aegypti. Il suo compito precipuo consisteva nell’assicurare i lregolare approvvigionamento di Roma, e soprattutto nell’assicurare il fabbisogno di grano, in modo che al mercato se ne trovasse in qualunque momento e a un pezzo stabile (una cosa ben diversa, dunque, dalle frumentationes, che consistevano in distribuzioni periodiche gratuite d ifrumento a un certo numero di cittadini iscritti nelle liste della plebs urbana frumentaria). Il sevizio dell’annona richiedeva l’opera di un gran numero d’impiegati e d isddetti anche fuori di Roma; p. es., nei porti di Ostia o di Pozzuoli, dove si sbarcava i lgrano proveniente dalle province; al vertice di questa organizzazione era appunto il praefectus annonae, che l’ imperatore nominava a sua discrezione scegliendolo fra gli elementi dell’ordine equestre. Esaurito l’ incarico dell’annona, che durava all’ incirca un triennio, Minicio Italo fu promosso alla prefettura dell’Egitto, ossia alla carica di governatore dell’Egitto. Dopo Azio e la scomparsa di Cleopatra, l’Egitto era anch’esso entrato a far parte dell’ imperium populi Romani; non però nella forma di

Page 103: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

103

una provincia vera e propria, ma in quella di possedimento privato dell’ impeatore, il quale come successore d idiritto degli antichi sovrani lo governava da sé mediante un proprio rappresentante. E infatti nella riforma dei governi provincilai attuata nell’anno 27, Augusto escluse l’Egitto sia dal novero della province senatorie sia dal novero di quelle imperiali, e il territorio rimase sotto un regime speciale che ne sottolineava la diretta dipendenza dalla persona dell’ imperaotre. Fra l’altreo venne proibito che un senatore romano potesse metter piede in Egitto, e a rappresentarlo come sovrano l’imperatore scelse un cavaliere col titolo di praefectus Aegypti. Sotto Augusto la prefettura d’Egitto fu quella di rango più elevato finché non venne superata dalla nuova prefettura dell’annona; poi la graduatoria fra le due si capovolse, ma intanto la prefettura più importante era diventata quella del pretorio. A causa del divieto che un senatore mettesse piede in Egitto, le legioni che vi erano stanziate di presidio stavano agli ordini non di legati Augusti l egionis (come tutte le altre legioni), ma di praefecti legionis appartenenti alla classe equestre. [Q. MARCIO] C. f . Tro(mentina) Fron- toni Turboni Publicio Severo, domo Epidauro, p(rimo) p(ilo) bis, praef(ecto) vehic(ulorum), trib(uno) coh(ortis) VII vigil(um), trib(uno) equ(itum) sin[g(ularium)] Aug(usti), trib(uno) praet(oriano), proc(uratori) ludi magni, praef(ec to) class[is] pr(aetoriae) Misenensis, P. Va[le]rius P. f . Qui[r(ina) Va]lens o[b m]eritis. (sic)

Page 104: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

104

Questa iscrizione, venuta alla luce be l1952 a Cyrrhus, località della Siria sita a nord – est di Antiochia, è stata pubblicata per la prima volta da E. Frézouls in “Syria” XXX (1953) p. 247 e sgg. (cfr. “Ann. Épigr.” 1955, n. 225). Essa è importante non solo perché ci ha trasmesso un’interessante carriera equestre (o almeno in parte equestre), ma anche perché tale carirera venne percorsa da un personaggio di non poco rilievo, che sotto Adriano raggiunse la prefettura del pretorio. Si tratta di Q. Marcio Turbone, su cui non poche notizie ci sono state conservate sia nelle fonti letterarie (a lui si riferiscono vari accenni di frontone, di Cassio Dione, di Eusebio di Cesarea, della Historia Augusta), sia in altri documenti epigrafici: cfr. PIR II, p. 339 sg. n. 179; A. Passerini, Le coorti pretorie, Roma 1939, p. 298 sg. Prima della scoperta dell’ iscrizione di Cyrrhus non s iconosceva né i lsuo patronimico, né la sua patria d’origine (domo Epidauro, l’od. Zaptat in Dalmazia), e quanto agli sviluppi della sua carrriera si sapeva solo che egli, prima di diventare prefetto del pretorio circa il 119, era stato centurione nella legione II adiutrix in una data non precisabile fra il 103 e il 107 (cfr. CIL III 14349²), che intorno al 113 aveva ottenuto il comando della flotta del Miseno (cfr. CIL XIV 60), e che nel 118 aveva ricoperto la carica di governatore dell’Egitto. Ora invece la nuova iscrizione ci permette di seguire quegli sviluppi con assai maggior copia di particolari, anche se alcuni punti debbono ancora restare nel campo delle ipotesi. Per prima cosa, si deve cominciare col sottolineare la rapidità con cui Turbone percorse le varie tappe del suo cursus: in meno di una decina d’anni due centurionati primipilari , la praefectura vehiculorum, il tribunato di una coorte dei vigiles, il tribunato degli equites singulares, i ltribunato di una coorte pretoria, la procuratela del ludus magnus e la prefettura della flotta del Miseno. Su una simile rapidità ad un certo momento dovette influire la

Page 105: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

105

considerazione in cui (come sappiamo per altra via) Turbone fu tenuto da Adriano, che lo raccomandò a Traiano per più di una promozione e poi lo promosse egli stesso fino alla prefettura del pretorio. Ma, indipendentemente dall’appogio che Adriano gli dette a partire dagli ultimi anni di Traiano, è un fatto che anche prima la carriera di Turbone presenta uno sviluppo notevolmente rapido. La sua carriera non cominciò infatti con i gradi delle militiae equestres, come solitamente facevano gli appartenenti alla classe dei cavalieri prima di passare alla procuratele inferiori, ma cominciò con il grado di centurione, la bassa ufficialità che nelle legioni viveva a contatto immediato con la truppa e doveva assicurarne la disciplina e l’efficienza. Al centurionato di solito si arrivava dopo lunghi anni di servizio in caliga (dalla gavetta, diciamo noi), anni che si riducevano un poco per chi proveniva non dalle legioni, ma da qualche milizia scelta, p. es. quella dei pretoriani; nei riguardi di Marcio Turbone è però molto probabile si sia verificato un caso diverso e non molto frequente. È probabile cioè che egli, pur appartenendo pre nascita all’ordine equestre e potendo iniziare la carriera con le più comode militiae equestres, si sia sobbarcato – come era consentito – a rinunciare alle prerogative che gli spettavano per la sua classe sociale e abbia chiesto di servire come centurione. Era un grosso sacrificio, a cui peraltro era connesso il beneficio di non dover poi, nel seguito della carriera, indugiare nelle procuratele inferiori. Secondo questa ipotesi Marcio Turbone non sarebbe entrato nell’ordine equestre dopo una lunga e faticosa vita militare, ma ne avrebbe fatto parte fin dalla nascita, uscendone solo per gli anni dedicati all’esercizio del centurionato sì da poter raggiungere il grado di centurione primipilo non sui 45 anni (come di norma per i militari provenienti dai ranghi) ma sui 35 circa. Resta da vedere se i lsuo centurionato nelle legione II adiutrix, attestato inuna data non precisabile fra il 103 e i l107 dall’ iscrizione

Page 106: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

106

CIL III 14349² (v. sopra), è da identificare con uno dei centurionati primipilari menzionati ne ldocumento di Cyrrhus, oppure se va considerato come una tappa più bassa della sua carriera. Per maggior chiarezza, si ricorderà brevemente che (come pare più probabile), di centurioni ve n’erano 60 in ogni legione, 6 per ciascuna delle 10 coorti in cui quella si articolava, e che i 60 posti di centurione formavano una gerarchia che aveva alla base il sesto posto di centurione della decima coorte e al vertice il primo posto di centurione della I coorte, quest’ultimo designato col titolo di primipilus o primus pilus. La rapidità che contraddistingue la carriera di Turbone rende più inclini a ritenere che nella legione II adiutrix egli esercitasse già i lgrado di primipilo, all’ incirca fra gli anni 104 e 105. Ma Turbone fu anche primus pilus bis, conseguì cioè la distinzione di esercitare una seconda volta il grado del primipilato, il che si faceva a qualche anno di distanza dal primo e comportava l’aggragazione allo stato maggiore del comandante della legione con possibilità di distinguersi e aprirsi la strada a successive promozioni. A giuducare dagli elementi offerti dalle carriere più o meno analoghe, si può ritenere che Turbone esercitò il grado di primipilus bis (non si sa in quale legione) all’ incirca nel 111, dopo essere stato tra il 104 e il 110 praefectus vehiculorum, tribuno dei vigiles, tribuno degli equites singulares e tribuno dei pretoriani. Di quest iuffici particolare interesse dasta la praefectura vehiculorum, cioè ladirezione del servizio postale nell’ impero. Quella dell’ iscrizione di Cyrrhus è la più antica menzione del praefectus vehiculorum, i lquale deve ora considerarsi istituito da Traiano, mentre prima veniva considerato una creazione di Adriano. Fino a iprimi anni del suo regno Traino aveva continuato a lasciare i lservizio delle poste nelle mani di liberti imperiali, come già sotto i Flavi; poi, anche in connessione con i bisogni della sua politica di conquiste nelle terre oltre i lDanubio,

Page 107: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

107

egli dové curare i lpotenziamento del servizio postale, riorganizzandone su nuove basi l’amministrazione e creando la praefectura vehiculorum, di cui Marcio Turbone fu probabilmente il primo titolare. L’uffucio, che in seguito acquistò maggior rilievo nella gerarchia burocratica, sulle prime fu di rango inferiore, e infatti vediamo che turbone ne fu investito subito dopo aver esercitato il grado di primipilo. Assolto l’ incarico alla direzione della poste, turbone entrò nell’ufficialità dei corpi speciali di Roma: questi costituivano un atruppa scelta di condizione e di paga più elevate rispetto ai semplici milites legionarii, e normalmente erano accasermati nella città mentre le legioni erano stanziate nelle province periferiche a presidio dei lontani confini dell’ impero. I tre comandi nei corpi speciali di Roma Marcio turbone li esercitò all’ incirca nel triennio dal 108 al 110, e cominciò co lrivestire il tribunato di una coorte dei vigiles. Questo corpo era stato organizzato nel 6 d. C. da Augusto, con svariate funzioni che andavano dalla vigilanza notturna a lservizio antincendio, e si articolava in 7 coorti di un migliaio di uomini ciascuna. Comandante di ogni coorte era un tribunus, mentre i lcomando generale era nelle mani del praefectus vigilum, che prendeva gli ordini direttamente dall’ imperatore. Dal tribunato della VII coorte dei vigiles Turbone passò a quello delgi equites singulares Augusti, che costituivano un reparto a cavallo della guardia imperiale ed era no reclutati nelle province tra gli elementi fisicamente più dotati, e insieme più rozzi, per assicurarne la più fanatica devozione alla persona del principe. Complessivamente in numero di circa un migliaio, gli equites singulares erano subordinati al pretorio; essi infatti avevano alla testa un tribunus che dipendeva gerarchicamente dal medesimo comendante incapo della coorti pretorie, cioè il prefetto del pretorio. Lasciato i lcomando degli equites singulares, Turbone fu promosso al grado di tribuno die pretoriani, il

Page 108: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

108

corpo scelto anch’esso organizzato da Augusto per assolvere soprattutto, ma non unicamente, a icompiti della guardia imperiale. Esso fu articolato dapprima in 9 coorti, composta da volontari provenienti da famiglie che da più generazioni facevano parte della cittadnanza romana (scelti dunque, con un criterio opposto a quello con cui si reclutavano i semi – barbari equites singulares); le 9 coorti, raccolte nei casra praetoria che Tiberio fece costruire intorno a l23 d. C., aumentarono più tardi fino a 16 sotto Vitellio, ma poi il loro numero fu fissato a 10. Ciascuna di esse aveva alla testa un tribuno, il grado appunto ricoperto da Turbone e indicato nel nostro testo come trib(unus) praet(orianus). Di solito questo titolo veniva accompagnato dalla menzione della coorte in cui veinva esercitato il comando (p. es., tribunus cohortis V praetoriae), e ciò ha dato adito all’ ipotesi che la formula inconsueta usata nella iscrizione di Cyrrhus (dove invece la menzione del tribunato dei vigiles contiene la specificazione della coorte) rispecchi una situazione particolare. Questa consisterebbe nel fatto che Turbone avrebbbe ottenuto il grado, ma invece d iesercitarlo effettivamente alla testa di una della coorti avrebbe svolto incarichi speciali: una possibilità ben rispondente alla rapidità della carriera di Turbone, ma che peraltro non è altrimenti documentata e dà luogo a una certa perplessità. Terminato i lservizio come tribuno nei corpi di stanza a Roma, Turbone venne promosso primus pilus bis e, come s’è detto, si recò ad esercitarne le funzioni in qualche provincia, non si sa presso quale legione. Tornato a Roma, egli ottenne poco dopo da Traiano (frail 111 e il 112) la nomina a procurator ludi magni. Questo era stato probabilmente istituito da Domiziano in luogo del precedente procurator ludi creato da Claudio, e aveva l’ incarico di sovrintendente all’ istruzione dei gladiatori accantonati nelle caserme costruite in vicinanza del Colosseo e d

Page 109: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

109

iorganizzare i loro combattimenti nell’anfiteatro stesso. Ne lcampo dei pubblici spettacoli non v’era inRoma funzionario di maggior ri lievo, e la sua importanza era sempre aumentata col crescente favore d icui i duelli dei gladiatori erano stati fatti oggetto da Nerone, dai Flavi e, soprattutto, da Traiano. Questi, tra l’altro, nel 109, pre festeggiare la conquista dacica, offrì spettacoli con duelli di 5.000 coppie di gladiatori; e spettacoli altrettanto grandiosi vennero allestiti nel 112 e nel 113, quando l’ufficio di procurator ludi magni era affidato a Turbone. Fu nell’estate, circa, di quell’anno 113 che Turbone, sempre più favorito dalla considerazione in cui lo teneva Adriano, dovette ottenere da Traiano la promozione ad ammiraglio della flotta de lMiseno; infatti nell’ottobre del 113 Traiano s’imbarcava a Brindisi per compiere quel viaggio in Oriente che precedé la campagna partica, ed è probabile che l’imperatore avesse già provveduto in precedenza ai mutamneti nell’alto comando della flotta che ora era impegnata a seguirlo in Oriente. Nell’anno successivo, quando ebbero inizio le ostilità contro i Parti, furono le na vi agli ordini di Turbone a trasportar in Oriente Traiano, che arrivò ad Antiochia nel gennaio del 114. L’imperatore trattenne al suo seguito l’ammiraglio (che gli poteva essere utile, fra l’altro, per l’eventuale costruzione di flottiglie fluviali, per l’attraversamento di fiumi, per l’esperienza nel campo delle comunicazioni acquistata a suo tempo come praefectus vehiculorum) e nacque allora la circostanza per la dedica gratulatoria: circostanza a noi ignota come ignota rimane la figura del dedicante P. Valerio Valente. Marcio Turbone fu poi, nel 116, niviato da Traiano a reprimere l’ insurrezione giudaica scoppiata in Egitto e in Cirenaica, e come premio per il successo dell’operazione ottenne i lgoverno della proviancia di Mauratania e quindi (ormai siamo già sotto Adriano) un comando straordinario nella Pannonia e nella Dacia e la prefettura dell’Egitto. Nel 119, come già s’è detto, egli raggiunse l’apice della

Page 110: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

110

carriera equestre con la nomina a prefetto del pretorio: unacarica che rivestì per molti e molti anni, pare fino a l137, quando cadde in disgrazia di Adriano e fu sostituito nell’ufficio. ESEMPI DI CARRIERA INFERIORE Anzitutto una breve premessa su lsignificato che ha qui il termine “inferiore”. Esso denota, come già si disse, la carriera di personaggi che erano fuori dai due ceti socialmente più elevati della cittadinanza romana, l’ordine senatorio e l’ordine equestre, e pertanto fa riferimento a un più basso livello di dignità formale. Da un punto di vista sostanziale, peraltro, alcuni uffici di questa carriera inferiore, come quelli di segretario particolare e confidente dell’ imperatore, comportavano un tale potere effettivo, da superare di gran lunga quello dei più elevati dignitari della stessa classe senatoria; cfr. Plin., Paneg. 88, 1 “plerique principes, cum essent civium domini, libertorum erant servi”. Carriera di M. Aurelius Augg. Lib. Prosenes (CIL VI 8498 = ILS 1738): M. Aurel io Augg. l ib. Proseneti

a cubiculo Aug(usti), proc. thesaurorum, proc. patrimoni, proc. munerum, proc. vinorum, ordinato a divo Commodo in kastrense, patrono piissimo liberti bene merenti sarcophagum de suo adornaverunt .

Page 111: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

111

(In latere) Prosenes receptus ad deum Vnon(as). . .

ias S . . . . . nia Praesente et Extricato II (consulibus)

regrediens in urbe(m) ab expeditionibus. Scripsit Ampelius lib .

Incisa su di un grande sarcofago, è questa la più antica iscrizione cristiana datata dopo quella di Alessandro. Prosenes è un liberto imperiale, sembra di Marco Aurelio e Commodo, morto nel 217 (Praesente et Extricato i terum consulibus) mentre tornava dalla spedizione in Oriente, nella quale aveva accompagnato Caracalla. Il liberto Ampelius ha voluto sottolineare che egli era cristiano aggiungendo, sul lato del sarcofago, le parole receptus ad Deum , in cui taluno ha visto addirittura un influsso montanista (cfr. GRÉGOIRE , Les persecutions dans l ’empire romain , 1951, p. 108). Circa le varie mansioni che furono affidate a Prosenes, e che nell’epitafio sono riportate in ordine decrescente, si comincia col ricordare che egli fu ordinatus in kastrense a divo Commodo. Con tale espessione, di carattere piuttosto generico, si alluda certamente a qualche mansione d isecondaria importanza svolta negli uffici del palazzzo imperiale; castrensis (o kasrensis) si denominava, fra l’altro, il fiscus su cui gravavano le spese per il mantenimento del numeroso personale addetto alle più svariate incombenze ne lpalazzo imperiale. Quindi Prosenes fu innalzato a incarichi di maggior importanza, che comportavano il titolo di procuratore. Fi così anzitutto procurator vinorum, cioè preposto all’amministrazione finanziaria connessa con l’approvvigionamento del vino ne lpalazzo imperiale. Più tardi Prosenes passò a prestare la sua opera nell’organizzazione dei ludi offerti al popolo dalla munificenza del principe, e in particolare degli spettacoli gladiatorii (munera), con il titolo appunto di procurator munerum. Successivamente fu promosso a funzioni ancor

Page 112: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

112

più di rilievo, e cioè a dirigere uno degli uffici dell’amministrazione del patrimonium imperiale (procurator patrimoni). Gli venne poi affidata la direzione di un servizio molto delicato, quello, noi diremo, delle “camere di sicurezza” (thesauri) del palazzo imperiale, dove si custodivano valori di specie diverse. Da ultimo, sotto Caracalla, Aurelio Prosenete diventò cubicularius, cioè il cameriere personale, intimo e segreto, che viveva di continuo e probabilmente dormiva anche presso l’imperatore, ne lsuo cubiculum. Naturalmente v’era tutto uno stuolo di personale inferiore alle dipendenze dell’a cubiculo, i lquale era più che altro un confidente, un depositario dei segreti di corte, e quindi non di rado un pesonaggio onnipotente, molto più delle cariche più elevate dell’ordine senatorio o equestre. Quest’iscrizione è un documento di prim’ordine per intendere la diffusione del cristianesimo nell’età di Commmodo e dei Severi. In questa età i rescritti degli imperatori contro il cristianesimo restano sempre validi, almevo in teoria, ma chi oserebbe accusare un cristiano come Prosenes, liberto imperiale con mansioni di procurator? Carriera di Sex. Caecil ius Epagathus (CIL VI 1808 = ILS 1898): Sexto Caecil io

Epagatho scrib(ae) l ibr(ario) tribunicio, apparitori Caesarum, scrib(ae) l ibr(ario) q(uaestorio) III decur(iarum), viat(ori) IIIvir(um) et IIIIvir(um), scrib(ae) l ibr(ario) aed(il ium) cur(ulium), patri optimo, Sex. Caecil ius Sex. f . Quir(ina) Birronianus et

Page 113: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

113

M. Caecil ius Sex. f . Quir(ina) Statianus .

Sesto Cecilio Epagato fu probabilment un liberto, come sembrano mostrare i lsuo cognome greco e il fatto che, mentre i suoi due figli sono detti entrambi Sex(ti) f(ili i), invece tra gli elementi del suo nome non figura i lpatronimico: forse si volee evitare di scrivere Sex. Libertus. Le mansioni svolte da Epagato furono piuttosto modeste, come in genere erano quelle della categoria, cui egli apparteneva, degli apparitores, e cioè dei subalterni che stavano agli ordini dei magistrati, sacerdoti, ecc. Come scriba librarius, ossia segretario contabile e. quindi, qualcosa di be ndiverso dal librarius che era un semplice scritturale, Epagato fu alle dipendenze di vari magistrati: questori, tribuni della plebe, edili curuli. Gli scribae librarii quaestori (o, più semplicemente, scribae quaestorii, che erano suddivisi in tre decuriae) avevano la mansione, appunto come dipendenti dei questori, di tenere i libri di cassa e di procedere alla registrazione dei conti negl uffici erariali di Roma, nonché di attendere a tutte le altre prstiche burocratiche che si svolgevano nell’erario. Mansioni amministrative più o meno analoghe svolgevano nell’erario gli scribae librarii degli edili curuli e quelli dei tribuni della plebe. Epagato fu inltre attendente – potaordini (viator) alle dipendenza deitresviri capitales e dei quattuorviri viarum curandarum. Priva di ogni maggiore precisazione è imfine la menzione del servizio prestato come apparitor imperiale.

Cenni sulla titolatura imperiale

In determinate categorie di iscrizioni (come anche in documenti redatti su papiro o nelle leggende monetarie)

Page 114: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

114

l’imperatore veniva menzionato, oltre che con tutti o parte degli elementi del proprio nome personale, con una serie di titoli che nell’insieme costituiscono la titolatura imperiale. Questa merita la più attenta considerazione sia perché vi si possono cogliere concezioni e formule del potere imperiale, sia perché spesso se ne ricavano elementi importanti per la datazione di un’epigrafe e per la storia stessa dei singoli imperatori. Naturalmente, la titolatura col tempo si articolò in forme che, anche ad opera della cancelleria imperiale, si vennero a mano a mano fissando fino a rientrare in un sistema che nel II secolo giunse ad elencare anche 12 elementi principali, che si susseguivano in un certo ordine. Si veda, p. es., la titolatura di Settimio Severo riportata nell’ iscrizione CIL VI 1259 = ILS 424 : Imp(erator) Caes(ar) divi M(arci) Antonini Pii Germ(anici) Sarm(atici) f i l ius, divi Commodi frater, divi Antonini Pii nep(os), divi Hadriani pronep(os), divi Traiani Parth(ici) abnep(os), divi Nervae adnep(os), L(ucius) Septimius Severus Pius Pertinax Aug(ustus) Arabic(us) Adiab(enicus) Parth(icus) Max(imus), pont(ifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) VIIII, imp(erator) XI, cos. II, p(ater) p(atriae), proco(n)s(ul). In questa titolatura i dodici elementi si sussseguono nell’ordine seguente: 1) appellativo di Imperator 2) appellativo di Caesar 3) menzione degli ascendenti 4) elementi onomastici personali 5) titolo di Augustus 6) cognomina ex virtute 7) menzione del pontificato massimo 8) menzione della tribunicia potestas

Page 115: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

115

9) titolo di imperator 10) menzione del consolato 11) titolo di pater patriae 12) titolo di proconsul Esaminiamo in breve ciascuno di questi elementi: 1) Imperator in età repubblicana aveva indicato il magistrato o il promagistrato rivestito di imperium che, a seguito di qualche particolare impresa vittoriosa, veniva appunto con quel titolo acclamato dal suo esercito e designato all’onore del trionfo. Dopo che Cesare, abolito il riferimento a singole vittorie (che si esprimevano con gli avverbi bis o secundum , ter o tertium , quater o quartum , ecc. scritti con le sigle II , III , IIII , ecc.), ebbe trasformato imperator in un titolo permanente, l’uso del termine subì un’ulteriore evoluzione ad opera di Ottaviano. Questi per effetto dell’adozione aveva cambiato il suo nome originario in quello di C. Iulius Caesar Octavianus ; qualche anno dopo, a partire dal 40, sia per distinguersi dagli altri cittadini che recavano i comuni prenomi, sia per meglio affermare l’eredità politica cesarea, usò Imperator come prenome al posto di Gaius (e il suo nome ufficiale si fissò, più tardi, nella forma di Imperator Caesar Augustus). Il valore assunto da Imperator come di primo fra gli elementi nominali dell’ imperatore può quindi considerarsi derivato da uno sdoppiamento nel significato dell’antico titolo, che nel corso della titolatura veniva riportato al nono posto per indicare il numero delle salutazioni imperial i tributate ai singoli imperaotri. Quanto a Imperator divenuto con Ottaviano un vero e proprio prenome, si deve notare che esso non fu come tale assunto dai primi tre successori: né da Tiberio (che si chiamò ufficialmente Tiberius Caesar Augustus), né da Caligola (C. Caesar Augustus Germanicus). Nerone invece, almeno da un certo momento, assunse anch’egli il prenome di Imperator (in questo caso, invece

Page 116: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

116

di Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus , si chiamò Imperator Nero Caesar Augustus Germanicus), e la stessa alternanza si riscontra nel caso di Galba (Ser. Galba Imp. Caes. Aug. rispetto a Imp. Galba). Otone invece usò sempre Imperator come prenome, mentre con Vitellio si ritornò all’alternanza. Finalmente, da Vespasiano in poi si osservò l’uso introdotto da Augusto, e la titolatura si aprì con Imperator seguito dal cognome dell’ imperatore o, più comunemente, dal titolo di Caesar. 2) Caesar era il cognome di quel ramo della gens Iulia da cui discendeva Giulio Cesare il dittatore, cognome che passò poi per effetto dell’adozione a Ottaviano. In seguito esso fu assunto da tutti i discendenti agnatizi di quest’ultimo, compresi gli adottivi. Quando poi, con Caligola, si estinse la famiglia Giulia, l ’ imperatore Claudio assunse Caesar come cognome, ed esso diventò come un titolo distintivo della casa regnante, sì da passare da una dinasita all’altra. Allorché Adriano, nel 136, adottò L. Ceionio Commodo designandolo alla successione, gli conferì il titolo di Caesar (e quello si chiamò L. Aelius Caesar), e lo stesso fece due anni dopo con T. Aurelius Fulvus Boionius Arrius Antoninus (il futuro Antonino Pio) da lui adottato e designato alla successione in luogo del defunto Lucio Elio. Pertanto da questo momento Caesar fu esclusivamente titolo, oltre che dell’ imperatore, del successore designato, il quale se fu, in genere, un discendente diretto, talvolta non fu legato da alcun rapporto di nascita o di adozione con l’imperatore. Caesar, come titolo del successore designato, è collocato dopo i suoi cognomi: M. Aurelio, dal momento in cui fu adottato da Antonino Pio, si chiamò M. Aelius Verus Caesar; dopo la successione Imp. Caesar M. Aurelius Antoninus . 3) Menzione degli ascendenti. – Di solito è nominato il padre, ma spesso si risale fino agli avi, specialmente quando da Traiano in poi gli imperatori tennero a ricollegarsi coi loro predecessori sia in dipendenza di

Page 117: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

117

effettive adozioni sia attraverso adozioni fittizie. Nella titolatura citata come esempio appare appunto la pretesa ascendenza di Settimio Severo che, pur senza che fosse intervenuta alcuna adozione, volle dirsi figlio di Marco Aurelio, e quindi fratello di Commodo e nipote di tutta la serie degli imperatori precedenti fino a Nerva. 4) Al quarto posto, la titolatura riporta i nomi personali dell’ imperatore, e cioè da Antonino Pio in poi il prenome, il gentilizio e il cognome. 5) A questo posto appare il titolo di Augustus , che fu per la prima volta conferito ad Ottaviano dal senato nella seduta del 16 gennaio del 27 a.C., dopo che quello, nella seduta del 13, aveva dichiarato di voler deporre i poteri eccezionali che allora esercitava. Scaduti il 31 dicembre del 33 i poteri del secondo triumvirato rei publicae constituendae , nei cinque anni dal 32 al 28 Ottaviano considerò giustificato il suo dominio dello stato in base alla continuazione di quel consensus universorum (cfr. Res gest. 34) che gli aveva consentito di potiri rerum omnium in quanto aveva posto fine alle guerre civili nel novembre del 36. E fu appunto nel novembre del 36 che, mediante un senatoconsulto, veniva conferita ad Ottaviano la tribunicia potestas perpetua (v. appresso). Quella res publica che nel novembre del 36 egli riteneva di aver preso in consegna in base al consensus universorum , nel gennaio del 27 la “restituì al l’arbitrium del senato e del popolo romano” che poi gliela riconsegnò, sì che la supremazia sullo Stato, assunta a suo tempo in forma rivoluzionaria, riceveva ora un crisma di legittimità che ne riconosceva il carattere sovrumano e religioso suggellato dal titolo di Augustus . Questo, derivato dalla radice del verbo augere (come auctoritas e augurium), alludeva a una capacità di accrescere, al dono sovrannaturale di far prosperare, esplicantesi nel buon governo dello stato. Tale concetto non era familiare per i Greci, che infatti tradussero Augustus con Sebastòs (= “il venerato”, cioè praticamente “dio”). Quando salì al trono Tiberio, questi non volle che

Page 118: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

118

i l Senato gli decretasse il titolo di Augustus , anche se di fatto consentì che gli fosse attribuito. Dopo di lui il titolo fu assunto da tutti gli imperatori e, quando con Marco Aurelio e Lucio Vero ebbe inizio la collegialità nell’esercizio del potere imperiale, il titolo di Augustus spettò anche al collega o ai colleghi dell’ imperatore. A partire da Commodo il titolo di Augustus fu spesso accompagnato da quelli di pius e di fel ix , e a questi epiteti con Caracalla si accompagnava sovente quello di invictus sì che da allora in poi si ebbe di regola la sequenza pius fel ix invictus Augustus . Più tardi Augustus fu accompagnato da attributi sempre più pomposi, quali perpetuus , aeternus , victor ac triumphator semper. 6) Dopo il titolo di Augustus , la titolatura spesso riportava soprannomi onorifici di carattere etnico come Germanicus , Britannicus , Parthicus . Si tratta di soprannomi che (come i cognomina ex virtute di età repubblicana: Africanus , Macedonicus , Achaius , ecc.) venivano assunti dall’ imperatore a seguito di vittorie riportate sui popoli ai quali i soprannomi stessi si riferivano. Nella casa imperiale, il primo a ricevere un simile epiteto fu Nerone Claudio Druso, figlio di Livia e figliastro di Augusto, che per le vittorie riportate contro i Germani fra il 12 e il 9 a. C. fu chiamato dopo morto Nero Claudius Drusus Germanicus , e Germanicus diventò per lui un vero cognome che passò a suo figlio Germanico e poi a Caligola, a Claudio, a Nerone. Fu Domiziano, che assunse nell’84 il titolo di Germanicus , i l primo imperatore ad inaugurare la serie dei soprannomi di vittoria riportati nella titolatura al 6° posto, soprannomi che già dal II secolo appaiono rafforzati nella forma, p. es., di Gothicus Maximus , e poi ancora di Gothicus Maximus II , Gothicus Maximus III , ecc. 7) A questo posto la titolatura riportava la carica sacerdotale di pontifex maximus , la più elevata autorità religiosa dello Stato. Augusto fu il primo degli imperatori a rivestirla dal 12 a.C., e il suo esempio fu seguito da tutti i successori.

Page 119: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

119

8) A questo posto nella titolatura ricorreva l’ indicazione della potestas tribunicia dell’ imperatore, normalmente completata dalla cifra d’iterazione spettante a quel determinato anno. Ottaviano, come già s’è accennato, aveva ottenuto nel 36 mediante un senatus consultum la tribunicia potestas perpetua , che oltre a conferirgli la inviolabilità (sacrosancti tas) della persona, lo aveva rivestito dei poteri propri di un tribuno della plebe, in primo luogo quelli di far votare dal popolo un plebiscito e di radunare il senato per provocarne un decreto. E ciò senza che egli fosse sottoposto, al pari dei veri e propri tribuni della plebe, alle limitazioni dell’annualità e della collegialità. Questa tribunicia potestas perpetua Ottaviano la depose, insieme con tutti gli altri poteri eccezionali, i l 13 gennaio del 27; quattro anni dopo, nel 23, divenuto ormai Augustus , egli la riassunse come qualcosa di diverso inserendola, quasi a loro compimento, negli schemi di governo impostati nel 27. La tribunicia potestas veniva ora a costituire uno dei fondamenti costituzionali del nuovo regime (nella sua pretesa di presentare la nuova sostanza monarchica sotto vecchie forme repubblicane), un fondamento reso ancor più valido dal fatto che la tribunicia potestas formalmente si rinnovava attraverso tante successive conferme di anno in anno; e fu appunto questa successione annua a costituire la base per il computo degli anni di regno: come di Augusto e dei suoi successori, così dei correggenti da loro chiamati a responsabilità di governo. A proposito di questo computo è da notare che per tutto il I secolo (salvo forse un certo periodo sotto Nerone) le potestà tribunicie corrispondono agli anni effettivi di permanenza al trono dei singoli imperatori, cioè la prima corrisponde al primo anno, la seconda al secondo, e così via. Per es., nel caso di Augusto, era dal 26 giugno (pare) dell’anno 23 che il computo partiva; pertanto la sua seconda potestà tribunicia andava dal 26 giugno del 22 al 25 giugno del 21, la terza dal 26 giugno del 21 al 25 giugno del 20, e così avanti fino all’ultima che fu la 37^ e andò dal 26

Page 120: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

120

giugno del 14 d. C. al 19 agosto, giorno della sua morte. Quanto a Tiberio, egli aveva già rivestito la potestà tribunicia insieme con Augusto per 5 anni consecutivi dal 6 al 2 a. C.; poi, adottato da Augusto nel 4 d. C., assunse il 1° luglio di quell’anno la 6^ e la rinnovò di anno in anno fino alla 38^, che andò dal 1° luglio dell’anno 36 fino al 16 marzo del 37, giorno della sua morte. Per Caligola il computo partì dal giorno della sua acclamazione a imperatore (dies imperii), il 18 marzo del 37, e finì alla 4^ potestà tribunicia, essendo egli stato ucciso il 24 gennaio del 41. Per Claudio il computo cominciò dal dies imperii , 25 gennaio 41, e terminò alla 14^ potestà tribunicia, essendo egli morto il 13 ottobre 54. Con Nerone, il cui dies imperii fu i l giorno stesso della morte di Claudio, si ebbe forse (ma è tutt’altro che sicuro) un cambiamento del computo con scadenza al 10 dicembre, mentre coi Flavii fu seguìto il computo consueto. La stessa cosa deve ritenersi anche nel caso di Nerva, nonostante una certa discrepanza nei dati offerti da iscrizioni e monete. Il suo dies imperii fu il 18 settembre del 96, ed essendo morto il 25 gennaio del 98 egli non poté avere che due potestà tribunicie, la prima dal 18 settembre 96 al 17 settembre 97 e la seconda dal 18 settembre 97 fino al giorno della sua morte. L’ attestazione di una terza potestà tribunicia, che compare in alcune poche iscrizioni, deve considerarsi frutto di errore, e comunque insufficiente a farci ritenere che sotto Nerva si verificasse un cambiamento nel computo. Questo invece si verificò certamente per Traiano, dopo la morte del padre adottivo, probabilmente già nell’anno 98. Traiano era stato adottato da Nerva il 27 ottobre del 97, e da quel giorno ebbe decorrenza la sua prima potestà tribunicia, che durò un anno fino all’inizio della seconda il 27 ottobre del 98. Fu il 10 dicembre della seconda, che Traiano – come sembra – incominciò a computare la sua terza potestà tribunicia, e da allora in poi il rinnovamento avvenne ogni anno alla data del 10 dicembre. Questo sistema, che agganciava la data di inizio della potestà tribunicia inperiale alla data di entrata

Page 121: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

121

in carica degli antichi tribuni della plebe, calcolava come primo anno della potestà tribunicia il periodo intercorrente fra l’assunzione del potere e il prossimo 10 dicembre, quando appunto si faceva cominciare la seconda. Esso fu seguito regolarmente nel II e III secolo fino ad Aureliano e a Probo, mentre pare che con Caro e i suoi figli la data del rinnovamento diventasse quella del 1° gennaio. Dopo la tetrarchia si riscontra una grande varietà di computi, tale da non consentire più di utilizzare la menzione della potestà tribunicia per l’esatta datazione della titolatura in cui essa compare. 9) A questo posto riappare il termine di imperator , che comunemente si trovava anche al primo posto, ma qui seguìto dalla cifra d’iterazione (II = iterum , III = tertium , IV = quartum , ecc.). Come si è detto, esso indicava il numero delle salutazioni imperiali conferite al principe ogni volta che egli, o i suoi luogotenenti, avessero riportato una vittoria. È da tener presente che come prima salutazione si contava quella che accompagnava la salita al trono, sicché con la celebrazione del primo trionfo effettivo si registrava imp . II, col secondo trionfo imp . III, ecc. 10) A questo posto compare la notazione dei consolati rivestiti dall’ imperatore mediante la sigla cos. seguita dalla cifra d’iterazione. Gli imperatori, come i semplici cittadini, potevano essere eletti consoli, e lo furono tutte le volte che lo desiderarono, alcuni spesso, altri di rado. Quando erano nominati, facevano sempre parte della coppia dei consoli ordinarii (eponimi) e rimanevano in carica poco tempo per poi cedere il posto a consoli suffecti . La designazione al consolato si faceva sulla fine dell’anno precedente a quello in cui doveva essere rivestito, ma talvolta anche a metà o sul principio dell’anno, e per tutto il tempo intermedio l’imperatore veniva indicato col termine di consul designatus , seguito dalla cifra d’iterazione. Se, per es., nell’anno in cui rivestiva il consolato per la quinta volta egli si faceva

Page 122: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

122

designare console per l’anno successivo, nella sua titolatura si scriveva allora: cos. V, desig. VI . 11) Qui si notava il titolo di p(ater) p(atriae) , che fu assunto da Augusto nel 2 a. C. e dopo di lui da tutti i successori (salvo poche eccezioni) sin dall’ inizio del regno. 12) Tit. di proconsul , riportato meno spesso degli altri: v. sotto. Ai dodici elementi principali sopra elencati vanno aggiunti altri, come quello di censor. La censura fu assunta da Claudio nel 47, da Vespasiano e Tito nel 73 e in perpetuo da Domiziano nell’85, che da tale anno prese il titolo di censor perpetuus . Da Domiziano in poi la censura fu considerata come fusa intimamente coi poteri del principe e quindi assorbita nel titolo stesso di imperatore, sicché non si sentì più il bisogno di farne menzione a parte. Quanto al titolo di proconsul , lo vediamo attribuito qualche volta a Domiziano, Traiano, Adriano e agli Antonini, specialmente in periodi nei quali si trovassero a soggiornare fuori d’Italia, mentre da Settimio Severo in poi il titolo fu usato quasi costantemente, anche in caso di permanenza in Italia. Gli imperatori defunti ebbero il titolo di divus tutte le volte che fu loro concessa l’apoteosi, sull’esempio di quanto era già avvenuto per Cesare e per Augusto. Quando invece accadde che il Senato decretò la damnatio memoriae per qualche imperatore, la conseguenza fu che il nome ne venne scalpellato sulle iscrizioni, salvo ad essere per alcuni poi reintegrato. Anche i membri della famiglia imperiale ebbero i loro titoli. Oltre a quello, già ricordato, di Caesar, il designato alla successione ebbe anche quello di princeps iuventutis , che accordati da Augusto ai suoi figli adottivi Gaio e Lucio Cesare, restò a lungo caratteristico dei principi imperiali nell’ intervallo fra l’assunzione della

Page 123: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

123

toga virile e l ’ ingresso al senato. La consorte dell’ imperatore è contraddistinta molto spesso col titolo di Augusta , che fu conferito per la prima volta a Livia dopo la morte di Augusto. Altri titoli portati da alcune imperatrici furono quelli di mater patriae o mater populi Romani , mater senatus , mater castrorum , oppure altri nomi più pomposi. È degno di nota che il titolo di Augusta fu dato talvolta anche ad altre donne della casa imperiale che non fossero imperatrici, mentre la stessa casa imperiale aveva il titolo di domus Augusta e, verso la fine del II secolo, anche quello di domus divina . Anche le imperatrici ebbero talvolta, dopo morte, il titolo di divae . A conclusione di questi brevi cenni sulla titolatura imperiale, si consideri come la combinazione degli elementi risultanti dalla menzione della potestà tribunicia, delle salutazioni imperatorie e dei consolati può fornire dati assai utili per la datazione delle epigrafi imperiali. In genere il numero d’iterazione della potestà tribunicia fissa l’anno cui si riferisce l’epigrafe o un determinato fatto in essa menzionato, mentre poi la cifra del consolato e delle acclamazioni imperiali costituiscono dei termini post quos che, combinati con l’anno desunto dalla potestà tribunicia, possono ulteriormente circoscrivere la determinazione cronologica con l’approssimazione anche di settimane o di giorni. Esempi di titolature imperiali (CIL XI 365 = ILS 84). – Senatus populusq[ue Romanus Imp. Caesari divi f . Augusto imp(eratori) sept(imom)] co(n)s(ul i) sept(imom) designat(o) octavom v[ia Flamin]ia [et reliquei]s celeberrimeis Italiae vieis consil io [et sumptib]us [eius mu]niteis. È l’iscrizione dell’arco che ancora si conserva a Rimini, dedicato dal senato e dal popolo romano ad Augusto nell’anno del suo settimo consolato (27 a.C.), più precisamente quando era già cos. designatus per l’ottava volta. Nessuna più esatta determinazione cronologica può offrire il t itolo di imp. sept. (qui, del

Page 124: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

124

resto, integrato) che Augusto portò dal 29 al 25 a. C., quando diventò imperator octavum . L’arco fu eretto in occasione dei lavori eseguiti a cura di Augusto per riattare la via Flaminia da Roma a Rimini, mentre del riattamento delle altre vie più importanti furono incaricati il lustri personaggi (v. sopra Res gestae 20,5; SUET . Aug . 30,1). (CIL VI 1256 – 8 = ILS 218). – Ti. Claudius Drusi f . Caisar Augustus Germanicus pontif . maxim., tribunic ia potestate XII, cos. V, imperator XXVII, pater patriae, aquas Claudiam ex fontibus, qui vocabantur Caeruleus et Curtius a mill iario XXXXV, item Anienem novam a milliario LXII sua impensa in urbem perducendas curavit. Imp(erator) Caesar Vespasianus August(us) pontif . max., trib. pot. II, imp. VI, cos. III desig. IIII, p(ater) p(atriae), aquas Curtiam et Ceruleam perductas a divo Claudio et postea intermissas dilapsasque per annos novem sua impensa urbi restituit. Imp(erator) T. Caesar divi f . Vespasianus Augustus pontifex maximus, tribunic(ia) potestate X, imperator XVII, pater patriae, censor, cos. VIII, aquas Curtiam et Caeruleam perductas a divo Claudio et postea a divo Vespasiano patre suo urbi rest itutas, cum a capite aquarum a solo vetustate dilapsae essent , nova forma reducendas sua impensa curavit. Le tre iscrizioni si leggono tuttora sull’arco di Porta Maggiore. La prima fu posta da Claudio nell’anno della dodicesima potestà tribunicia (dal 25 gennaio del 52 al 24 gennaio del 53) quando ebbe la 27^ ed ultima salutazione imperatoria. Il quinto consolato, del 51, ha qui non più che il valore di un terminus post quem . L’occasione fu il completamento del grosso acquedotto che, cominciato a costruire da Caligola nel 38, convogliò in Roma l’acqua Claudia e l’acqua Aniene

Page 125: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

125

nuova. Dopo appena dieci anni l’acquedotto cessò di funzionare e restò inattivo per nove anni finché Vespasiano lo fece restaurare nel 71 (la seconda trib. pot. andò dal 1° luglio 70 al 30 giugno 71; il terzo consolato fu del 71, nel quale anno Vespasiano fu designato al quarto consolato, rivestito nel 72). Fu poi necessario un nuovo restauro, curato da Tito fra il 1° luglio dell’80 e il 30 giugno dell’81 (= trib. pot. X; l’8° consolato e la 17^ acclamazione imperatoria appartengono entrambe all’80). Pare strana l’espressione vetustate dilapsae quando non erano passati più di dieci anni dai lavori di Vespasiano. (CIL VI 955 = ILS 286). – Imp(eratori) Caesari divi Nervae f . Nervae Traiano Aug. Germanico Dacico, pontif ici maximo, tribunic. pot. VII, imp. IIII, cos. V, p. p., tribus XXXV, quod liberalitate optimi principis commoda earum etiam locorum adiectione ampliata sint. La data della dedica si ricava dalla menzione della settima potestà tribunicia (che per Traiano andò dal 10 dicembre 102 al 9 dicembre 103) e da quella del quinto consolato, che fu rivestito nel 103. Pertanto l’iscrizione fu posta fra il 1° gennaio 103 (cos. V) e il 9 dicembre 103 (dal giorno successivo Traiano fu trib. pot. VIII). La quarta acclamazione imperatoria (imp. IIII), come pure il cognomen ex virtute di Dacicus , risalivano al 102. Circa l’occasione di questo attestato di riconoscenza delle 35 tribù (cioè della plebs di Roma) per la munificenza dello optimus princeps , sembra che con l’espressione quod . . . . commoda earum etiam locorum adiectione ampliata sint non si alludesse ad un aumento dei posti dovuto all’ampliamento del Circo Massimo, ma piuttosto all’allargamento del numero degli ammessi alle distribuzioni gratuite di frumento (cfr. MOMMSEN , Staatsr . , III p. 446 n. 3).

Page 126: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

126

(CIL VI 984 = ILS 322). – Imp(eratori) Caesari divi Traiani Parthici f i l io, divi Nervae nepoti Traiano Hadriano Augusto pont. max., trib. pot. XXII, imp. II, cos. III, p. p., et divae Sabinae, imp(erator) Caesar T. Aelius Hadrianus Antoninus Aug. Pius pontifex max., tribun. potest. II, cos. II design. III, p. p., parentibus suis. Si tratta dell’ iscrizione con la quale Antonino Pio dedicò ai suoi genitori (adottivi), l ’ imperatore Adriano e l’ imperatrice Sabina, il Mausoleo, oggi detto Castel S. Angelo. La titolatura di Adriano è quella che egli aveva al momento della sua morte (10 luglio 138): la trib. pot. XXII l ’aveva assunta il 10 dicembre 137, la seconda acclamazione imperatoria l’aveva ricevuta nel 135, mentre il terzo (e ultimo) consolato risaliva al 119. La data della dedica si ricava dalla menzione della seconda trib. pot. di Antonino Pio (dal 10 dicembre 138 al 9 dicembre 139) e del suo secondo consolato, rivestito nel 139, anno in cui avvenne la designazione al terzo consolato rivestito poi nel 140. Siamo dunque verso la seconda metà dal 139 e non dopo il 10 dicembre: in quel momento Adriano non aveva ancora ottenuto la consacrazione a divus dal senato, mentre già diva era Sabina, morta e consacrata vivente il marito. Il Mausoleo venne eretto per volere di Adriano insieme con il pons Aelius che serviva a raggiugerne l’ingresso superando il Tevere (CASS . DIO . LXIX 23; S. H. A. V. Hadr . 19). Nel vecchio Mausoleo di Augusto erano stati raccolti per ultimi i resti di Nerva; nel nuovo eretto da Adriano, dopo di lui e di Sabina, furono anche sepolti Antonino Pio e Faustina, Marco Aurelio, Lucio Vero, Commodo, Settimio Severo, Caracalla e Geta. Nel VI secolo l’edificio venne trasformato in una fortezza, come risulta fra l’altro da Procopio (Bell. Got. I 22), che ne fa un’accurata descrizione e lo presenta tutto ricoperto di marmo pario e adornato sulla sommità di un gran numero di statue che da lontano si vedevano emergere al di sopra delle mura della città. Gran parte di

Page 127: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

127

queste statue furono precipitate in basso contro i Goti durante l’assedio del 537. (CIL VIII 8300 = ILS 368). – Concordiae Augustor(um) imp(eratoris) Caes(aris) M. Aureli Antonini Armeniac(i) Medic(i) Parthic(i) maximi p(atris) p(atriae), et imp. Caes. L. Aureli Veri Armeniaci Medici Parthici maximi p(atris) p(atriae), L. Gargilius Q(uinti) f i l . Pap(iria) Augustalis aed(il is) statuam, quam ob honorem aed(il itatis) super legitim(am) ex HS IIII mil(ibus) num(um) pollicitus est, ampli[ata] pec(unia) anno suo posuit dedicavitq(ue). L’epigrafe proviene da Cuicul (città della Numidia ove al tempo di Nerva venne dedotta una colonia di veterani) e fu posta dall’edile L. Gargil io Augustale per accompagnare la dedica di una statua alla dea Concordia. Anzi (con una precisazione caratteristica dell’ ideazione religiosa romana) si trattava della Concordia dei due Augusti M. Aurelio e L. Vero, il che richiama alla mente i cenni delle fonti sui dissensi che divisero i due fratelli , fino all’ insinuazione che nel 169 L. Vero sarebbe morto non di apoplessia, ma eliminato da M. Aurelio. Non vi sono elementi per precisare la data di questa dedica; si può solo dire che essa fu posta prima del gennaio – febbraio 169 (morte di L. Vero) e dopo gli ultimi mesi del 166, quando i due Augusti assunsero l’appellativo di pater patriae (il titolo di Parthicus maximus fu preso nello stesso anno 166, mentre quello di Armeniacus risaliva al 163). Sulla concordia dei due Augusti potevano nascere dubbi fondati già il 12 ottobre del 166, quando M. Aurelio innalzò a Caesares i figli Commodo e Annio Vero, che allora erano due bambini di pochi anni. L. Gargilio Augustale dedicò la statua nell’anno stesso della sua edilità mantenendo la promessa fatta al tempo delle elezioni; anzi spese più dei 4.000 sesterzi che aveva promesso (ampliata pecunia), e questo oltre alla legi tima (o honoraria summa) che i magistrati delle

Page 128: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

128

città usavano comunemente di versare all’erario municipale all’atto di assumere le cariche (honores). (CIL III 3385 = ILS 395). – Imp. Caes. M. [Aur. Commodus An]toninus Aug. Pius Sar[mat. Germ.] Brit, pont. max., trib. pot. X, [imp. VII], cos. IIII, p. p., ripam omnem bu[rgis] a solo extructis, item praes[i]dis per loca opportuna ad clandestinos latrunculorum transitus oppositis, munivit per [L. Cornelium Felicem Plotianum] leg(atum) pr(o) pr(aetore). L’iscrizione fu trovata presso il Danubio nella Pannonia inferiore, non lontano da Aquincum (in quella stessa regione ne furono scoperte parecchie altre del medesimo tenore), e si riferisce alle opere di fortificazione del confine danubiano eseguite sotto Commodo. Nella titolatura dell’ imperatore la menzione della decima tribunicia potestas (dal 10 dicembre 184 al 9 dicembre 185) è quella che permette di stabilire la data dell’epigrafe, mentre solo il valore di un terminus post quem ha la menzione del quarto consolato, rivestito nel 183 (i l quinto nel 186). I lavori di fortificazione furono dunque eseguiti nel periodo dal 10 dic. 184 al 9 dic. 185, a cura del governatore ( legatus pro praetore) della Pannonia inferiore L. Cornelio Felice Ploziano (un personaggio che ad un certo momento cadde in disgrazia dell’ imperatore e fu condannato, sì che il suo nome fu poi cancellato da questa pietra, ma a noi è rimasto testimoniato in un altro documento). Gli apprestamenti difensivi consistevano nella costruzione lungo la riva destra del fiume di un sistema di difesa rigida, rappresentato da posti fortificati (burgi), sul quale s’innestava un sistema di difesa mobile rappresentato da praesidia per loca opportuna . . . . opposita . Il tutto doveva servire a contenere le scorrerie dei latrunculi , termine col quale vengono qui indicate le popolazioni barbariche stanziate al di là del Danubio, e precisamente gli Iazyges di stirpe sarmatica (ved. AMM . MARCELL . XVI, 10,20 e cfr. A. ALFÖLDI in “Arch. Értes.” Ser. III vol. II, 1941, p. 40 sgg.).

Page 129: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

129

(CIL VI 1033 = ILS 425). – Imp. Caes. Lucio Septimio M(arci) f i l . Severo Pio Pertinaci Aug. patri patriae, Parthico Arabico et Parthico Adiabenico, pontif i c(i) maximo, tribunic. potest. XI, imp. XI, cos. III, procos., et imp. Caes. M. Aurel io L. fi l . Antonino Aug. Pio Felici tribunic. potest. VI, cos., procos., p. p., optimis fortissimisque principibus, ob rem publicam resti tutam imperiumque populi Romani propagatum insignibus virtutibus eorum domi forisque, s. p. q. R. Si tratta dell’ iscrizione dell’arco che tuttora si aderge ai piedi del Campidoglio e fu dedicato a Settimio Severo (e ai suoi figli) l ’anno successivo al suo rientro a Roma (202) dopo molti anni di lotte e di viaggi per il ristabilimento dell’unità romana e l’estensione dell’ impero (ob rem publicam restitutam imperiumque populi Romani propagatum insignibus virtutibus eorum domi forisque). La data della dedica si ricava dalla menzione della undicesima potestà tribunicia di Severo (dal 10 dicembre 202 al 9 dicembre 203), mentre soltanto un terminus post quem rappresentano il terzo consolato (assunto il 1° gennaio del 202) e la undicesima acclamazione imperatoria (risalente all’estate del 198). Questi dati cronologici sono confermati dalla titolatura da Caracalla, che rivestì la sesta potestà tribunicia dal 10 dicembre 202 al 9 dicembre 203, e il primo consolato il 1° gennaio del 202. Nella dedica, dopo Caracalla veniva nominato il fratello Geta, a quel che pare con le parole et P. Septimio L. Fil. Getae nobiliss(imo) Caesari , che per effetto della damnatio memoriae vennero poi erase e sostituite con quelle di p. p., optimis fortissimisque principibus che sopra sono state sottolineate. In un’iscrizione così solenne posta a Roma su di un arco di trionfo a nome del senatus popolusque Romanus si riscontrano varie particolarità che colpiscono: il prenome Lucius di Severo scritto per intero anziché con la sigla; la menzione degli antenati di Severo limitata al padre (adottivo) M. Aurelio, il quale poi è indicato

Page 130: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

130

semplicemente come M(arcus) invece che come divus Marcus Antoninus Pius Germanicus Sarmaticus ; la mancanza del titolo di Parthicus maximus che Severo assunse al principio del 198 dopo l’espugnazione di Ctesifonte; la inconsueta collocazione del titolo di pater patriae , che apre, anziché chiudere, la titolatura di Severo. (CIL VIII 10304 = ILS 471). – Imp. Caesar divi Magni Antonini Pii f i l ius, divi Severi Pii nepos M. Aurelius [Antoninus] pius fel ix Aug., pontif[ex] max., trib. potest. II, cos. II designatus III, proc[os]., fel icissimus adque invic tissimus ac super omnes [re]tr[o p]rincipes indulgentissimus, viam imbribus et [vetust]ate conlaps[am] cum pontibus resti tuit. L’iscrizione, incisa su una colonna trovata presso Cirta, conserva il ricordo di lavori di restauro della rete viaria dell’Africa eseguiti sotto Eliogabalo. Il nome dell’ imperatore, colpito dalla damnatio memoriae , fu eraso. Sconfitto ed eliminato Macrino, Eliogabalo, che era strumento delle ambizioni della madre Giulia Soemiade e della nonna Giulia Mesa, scrisse nel maggio del 218 al senato comunicando la notizia della sua acclamazione a imperatore e proclamandosi figlio di Caracalla. Riconosciuto nel luglio dal senato, questa filiazione divenne ufficiale ed entrò nella titolatura nella forma che abbiamo letto: divi Magni Antonini Pii f i l ius, divi Severi Pii nepos . Per quanto riguarda la cronologia è da tener presente che la seconda potestà tribunicia andò dal 10 dicembre 218 a l9 dicembre 219; i l secondo consolato fu del 219, nel quale anno Eliogabalo venne designato al terzo, che rivestì nel successivo 220. Da notare nella titolatura gli epiteti di pius e fel ix , che per la prima volta (con un uso che diventerà poi normale) accompagnano fin dall’ inizio del regno quello di Augustus , e le espressioni reboanti con cui si esaltano la victoria e la indulgentia dell’imperatore.

Page 131: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

131

(CIL X 6811 = ILS 489). – Imp. Caes. [C. Iulius Verus Maximinus] pius fel ix Aug. pontif . max. Germ. max. Dacicus max. Sarm. max., trib. potest. IIII, imp. V, cos., procos., p. p. et [C. Iulius Verus Maximus nob(il issimus) Caesar] Germ. max. Dacicus max. Sarmaticus max., princeps iuventutis, l i tus vicinum viae Severianae, adsiduis maris adluentibus f luctibus ad labem ruinae labefactatum, aggeribus marini operis a fundamentis, ut periculum commeantibus abesset, extrui curarunt. L’iscrizione, trovata ad Ardea, fu posta a ricordo di lavori stradali eseguiti al tempo di Massimino il Trace. L’imperatore, come per lo più, viene ricordato insieme con il figlio, che egli innalzò al cesarato nel 236, anche se si trattò soltanto di una dignità formale senza alcuna compartecipazione al potere. I nomi di entrambi furono poi scalpellati dalla pietra per effetto della abolitio memoriae . Circa la data dell’epigrafe è da tener presente che la quarta potestà tribunicia di Massimino andò dal 10 dicembre 237 al maggio, circa, del 238 quando egli cadde per mano dei suoi soldati presso Aquileia. La via Severiana, costruita da Settimio Severo congiungendo vari tratti preesistenti, partiva da Ostia e arrivava a Terracina con un tracciato che seguiva da presso la costa. In alcuni punti il mare era tanto vicino da causare gravi danni con la violenza dei flutti, e ciò rese necessario l’apprestamento di opere di sostegno e di difesa. (CIL II 3738 = ILS 597). – [Pie]tate iustitia fortitudine et pleno omnium virtutum principi, ver[o Gothi]co veroque Germanico ac victoriarum omnium nominibus inlustri M. Aur(elio) Probo p(io) f(el ici) invict(o) Aug. pont. max., trib. p. V, p. p., cos. III, procos., Allius Maximus v(ir) c(larissimus) leg(atus) iur(idicus) prov(inciae) Hisp(aniae) Tarraconens(is) maiestati eius ac numini dicatissimus . L’iscrizione, trovata a Valencia , fu posta in onore di Probo da un dignitario del governo della

Page 132: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

132

provincia di Hispania Tarraconensis , i l vir clarissimus Allio Massimo. Costui intorno al 280 esercitava le funzioni di legatus iuridicus , era stato cioè affiancato al governatore della provincia per l’amministrazione della giustizia. Di nomina imperiale, tali dignitari solevano porre dediche in onore degli imperatori che li avevano rivestiti delle funzioni; a noi ne sono giunte un buon numero e in esse, a cominciare dal III sec. circa, il dedicante esprimeva il suo ossequio al sovrano con la formula “devotus numini maiestatique eius” (spesso abbreviata con le sigle d. n. m. q. eius). Qui la formula appare un po’ ritoccata: “maiestati eius ac nummini dicatissimus”. È da rilevare che il nome di Probo, il quale dopo la morte fu consacrato divus , in questa epigrafe (come in qualche altra) venne scalpellato, il che fu dal Mommsen spiegato attribuendo l’erasione a un momento in cui l’autorità dell’ imperatore era stata messa in forse dalla sollevazione di qualche usurpatore. La data della dedica, già s’è detto, è il 280, come si ricava dalla menzione della quinta potestà tribunicia. Questa fu rivestita nel periodo dal maggio-giugno del 280 al maggio-giugno del 281, perché Probo abbandonò la scadenza della trib. pot. al 10 dicembre e usò il sistema di rinnovarla alla ricorrenza del dies imperii . Un semlice terminus post quem rappresenta il terzo consolato, rivestito nel 279, mentre il quarto cadde nel 281. Interessanti le espressioni laudative che precedono il nome dell’ imperatore, del quale si comincia con l’esaltare la pietas , la iustitia , la fortitudo (dopo la parola fortitudine, come fece rilevare il Mommsen, deve essere stato omesso dal lapicida un aggettivo, p. es. insigni: “all’ insigne per pietas , iustitia , forti tudo” ecc.); i soprannomi di vittoria Gotico e Germanico sono rafforzati nella forma “vero Gothico veroque Germanico”. Tutto l’ insieme fa pensare a quella specie di giaculatorie con cui il senato osannava i nuovi imperatori al momento di conferire il suo riconoscimento (ormai una formalità) e che ci vengono riferite proprio a proposito di Probo; cfr. S. H. A., V. Probi 11,5 sgg.: Item senatus consultum die III nonas Feb. in

Page 133: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

133

aede Concordiae. Inter cetera: Aelius Scorpianus consul dixit: audistis, p(atres) c(onscripti), l it teras Aurelii Valerii Probi: de his quid videtur? Tum adclamatum est : Probe Auguste, dii te servent. Olim dignus et fortis et iustus bonus ductor, bonus imperator ; exemplum militiae, exemplum imperii. Dii te servent . Adsertor rei p(ublicae) fel ix imperes, magister militiae fel ix imperes, te cum tuis dii custodiant. Et senatus antea te delegi t. Aetate Tacito posterior, ceteris prior. Quod imperium suscepist i , gratias agimus. Tuere nos, tuere rem p(ublicam); bene tibi committimus, quos antea servasti. Tu Francicus, tu Gothicus, tu Sarmaticus, tu Parthicus, tu omnia. Et prius fuist i semper dignus imperio, dignus triumphis. Felix agas, fel iciter imperes. (CIL III 5810 = ILS 618). – Providentissimo principi, rectori orbis ac domino, fundatori pacis aeternae Diocletiano p(io) f(el i ci) invicto Aug. pont. max., Ger. max., Pers. max., trib. pot. VII, cos. IV, patri pat(riae), procos., Sept(imius) [Vale]ntio v(ir) p(erfectissimus) p(raeses) p(rovinciae) R(aetiae) d(evotus) n(umini) m(aiestati)que eius d(edit) d(edicavit). La dedica, proveniente da Augusta Vindelicorum (od. Augsburg , in Baviera), è interessante, fra l’altro per gli epiteti che precedono il nome di Diocleziano. Essi riecheggiano taluni motivi propagandistici sbandierati anche nelle leggende monetarie (comunissimi quelli della PROVIDENTIA AVG . e della PAX AVG .), le quali poi rappresentavano a loro modo una risposta all’aspirazione universale verso un mondo di ordine e di pace. Per quanto riguarda la titolatura, il cognomen di Germanicus maximus fu assunto nel 285, quello di Persicus maximus nel 288, quando Diocleziano strinse un trattato col re sassanide Bahram II e si fece restituire alcuni territori della Mesopotamia. La settima potestà tribunicia, coincidente con il quarto consolato, fu rivestita nel 290, l’anno in cui fu posta questa dedica.

Page 134: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

134

(CIL VI 31242 = ILS 646). – D(omini) n(ostri) Diocletianus et Maximianus invic ti seniores Aug(usti) , patres imp(eratorum) et Caes(arum), et d(omini) n(ostri) Constantius et Maximianus invicti Aug(usti), et Severus et Maximinus nobilissimi Caesares thermas fel ices [Dio]cletianas, quas [M]aximianus Aug. re[dien]s ex Africa sub [pr]aesentia maie[statis] disposuit ac [f]ieri iussi t et Diocletiani Aug. fratris sui nomini consecravit, coemptis aedificiis pro tanti operis magnitudine omni cultu perfectas Romanis suis dedicaverunt. È l’iscrizione dedicatoria delle terme di Diocleziano, costruite nella parte nord – orientale del Viminale. Il ritorno di Massimiano dall’Africa, ove egli aveva respinto le scorrerie dei Quinquegentiani e degli Ilaguas, avvenne nell’autunno del 298: l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano in favore di Costanzo Cloro e di Massimiano Galerio ebbe luogo il 1° maggio 305 (e da allora i due si chiamarono seniores Augusti); Costanzo morì a Eburacum (York) il 25 luglio del 306. La dedica pertanto fu posta dopo il 1° maggio 305 e prima che arrivasse a Roma la notizia della morte di Costanzo, sì che la costruzione del complesso termale richiese circa otto anni. Esso aveva all’ incirca la medesima estensione delle terme di Caracalla, con un salone centrale di m. 280 x 160 che si è ben conservato per la sua trasformazione nella chiesa di S. Maria degli Angeli ad opera di Michelangelo. (CIL VI 1140 = 692). – D(omino) n(ostro) resti tutori humani generis, propagatori imperii dicionisque Romanae, fundatori etiam securitatis aeternae, Fl(avio) Val(erio) Constantino fel i ci maximo pio semper Augusto, f i l io divi Constanti semper et ubique venerabilis, C. Caeionius Rufius Volusianus v( ir) c(larissimus) consul ordinarius, praef. Urbi vice sacra iudicans, numini maiestatiq(ue) eius dicatissimus. Questa dedica fu posta in Roma a Costantino da Gaio Ceionio Volusiano, che fu console

Page 135: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

135

ordinario nel 311 (o poi di nuovo nel 314) e prefetto urbano nei periodi dal 28 ottobre 310 al 28 ottobre 311 e dall’8 dicembre 313 al 20 agosto 315. Da notare soprattutto gli epiteti suggeriti dalla sempre crescente venerazione verso la divina maestà dell’ imperatore: restitutor humani generis, propagator imperii dicionisque Romanae, fundator securitatis aeternae . (CIL III 7088 = ILS 751). – D(omino) n(ostro) C[l(audio) Iulian]o domino [tot]ius orbis, f i losofi[ae] magistro, venera[nd]o principi, piissimo [imp]eatori, victorios[issi]mo Augusto, propagato[r]i l ibertatis et rei publ[ic]ae, Ael. Cl. Dulc[i]tius v. c. procon[s] vic(e) s(acra) aud(iens) d. n. m. q. su[ae?]. Trovata in Asia presso Pergamo, questa dedica fu posta dal proconsole Elio Claudio Dulcizio nel periodo fra il 360, quando Giuliano fu acclamato imperatore, e il 26 giugno 363, data della sua morte. Particolarmente notevole fra gli epiteti quello di “f i losofiae magister”. (CIL VI 1175 = ILS 771). – Domini nostri imperatores Caesares Fl. Valentianus pius fel ix maximus vic tor ac triumf(ator) semper Aug(ustus), pontif . maximus, Germanic. max., Alamann. max., Franc. max., Gothic. max., trib. pot. VII, imp. VI, cons. II, p(ater) p(atriae), p(roconsul) et Fl . Valens pius fel ix max. victor ac triumph. semper Aug., pontif . maximus, Germanic. max., Alamann. Max., Franc. Max., Gothic. max., trib. pot.VII, imp. VI, cons. II, p. p., p. et Fl. Gratianus pius fel ix max. victor ac triumf. semper Aug., pontif . maximus, Germanic . max., Alamann. max., Franc. max, Gothic. max., trib. pot. III, imp. II, cons. primum, p. p., p. pontem felicis nominis Gratiani in usum senatus ac populi Rom(ani) consti tui dedicarique iusserunt .

Page 136: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

136

Si tratta dell’ iscrizione dedicatoria del pons Gratiani (oggi di nuovo ponte Cestio), come fu ribattezzato il pons Cestius dopo essere stato praticamente rifatto da Valentiano, Valente e Graziano. Per quanto riguarda la cronologia si deve tener presente che il dies imperii di Valentiano e di Valente fu rispettivamente il 26 febbraio e il 28 marzo del 364, sì che (con il sistema del rinnovamento al 10 dicembre) la loro settima potestà tribunicia andò dal 10 dicembre 369 al 9 dicembre 370. Ma poiché entrambi assunsero il terzo consolato il 1° gennaio del 370, mentre qui sono detti ancora consoli per la seconda volta, se ne deve concludere che la dedica del ponte fu posta fra il 10 e il 31 dicembre 369. Con questa datazione non si accorda la menzione della terza potestà tribunicia nella titolatura di Graziano (Augustus dal 24 agosto 367), ma ivi trib. pot. III è probabilmente un errore per trib. pot. IIII.

Page 137: Appunti dalle lezioni di antichità romanedidattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/140718/APPEPIGR.pdf · 1 Appunti dalle lezioni di antichità romane [N.B.: Si badi bene: questo

137