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Approfondimenti S. Clinca www.lalegislazionepenale.eu 1 28.7.2016 LA PROGRESSIVA EROSIONE DI UN VINCOLO IRRAGIONEVOLE: ILLEGITTIMO IL DIVIETO DI PREVALENZA DELL’ATTENUANTE DELLA COLLABORAZIONE PER I REATI DI NARCOTRAFFICO SULLA RECIDIVA REITERATA (OSSERVAZIONI A MARGINE DI C. COST., 24.2.2016 N. 74) di Silvia Clinca (Perfezionanda in diritto penale; Scuola Sant’Anna di Pisa) SOMMARIO: 1. La Corte costituzionale si pronuncia (ancora) in materia di recidiva e automatismi sanzionatori. – 2. La disciplina del bilanciamento tra circostanze dopo la legge “ex Cirielli”. – 3. La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 Cp – 3.1. Le peculiarità dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico. – 3.2. Le censure avanzate dal giudice a quo. – 3.3 I parametri di costituzionalità invocati dalla Consulta. – 4. Osservazioni conclusive 1. La sentenza 24.2.2016 n. 74 della Corte Costituzionale 1 s’innesta – per contiguità di obiettivi politico-criminali e di cadenze argomentative – nel filone delle pronunce della Consulta che negli ultimi anni hanno progressivamente mitigato i tratti più dissennati del rigore punitivo che la c.d. legge “ex Cirielli” ha impresso alla disciplina della recidiva 2 . Com’è noto, le ragioni della «paternità rinnegata» 3 di tale provvedimento sono da 1 Pubblicata in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 11.4.2016, con nota di G. Leo, Un nuovo colpo agli automatismi fondati sulla recidiva: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico. 2 Sul punto v. G. Flora, Le nuove frontiere della politica criminale: le inquietanti modifiche in tema di circostanze e prescrizione, in DPP 2005, 1325 ss.; T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in GD 2006 [dossier n. 1], 32 ss.; Id., sub art. 4 l. 5.12.2015 n. 251, in LP 2006, 453; Id., Introduzione, in AA.VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino 2013, XXIV; A. Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, in DPP 2006, 176 ss.; Id., sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, in LP 2006, 453; C.F. Grosso, Cinque anni di leggi penali: molte riforme (talune contestabili), nessun disegno organico, in DPP 2006, 536; E. Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in RIDPP 2007, 521 ss.; L. Pistorelli, Ridotta la discrezionalità del giudice, in GD 2006 [dossier n. 1], 61 ss.; V. Muscatiello, La recidiva, Torino 2008, 73. 3 Così: F. Giunta, Dal disegno di legge Cirielli alla legge ex Cirielli: l’evoluzione del testo e il suo contenuto, Le innovazioni al sistema penale, a cura di F. Giunta, Milano 2006, 1.

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LA PROGRESSIVA EROSIONE DI UN VINCOLO IRRAGIONEVOLE: ILLEGITTIMO IL DIVIETO DI PREVALENZA

DELL’ATTENUANTE DELLA COLLABORAZIONE PER I REATI DI NARCOTRAFFICO SULLA RECIDIVA REITERATA

(OSSERVAZIONI A MARGINE DI C. COST., 24.2.2016 N. 74)

di Silvia Clinca

(Perfezionanda in diritto penale; Scuola Sant’Anna di Pisa)

SOMMARIO: 1. La Corte costituzionale si pronuncia (ancora) in

materia di recidiva e automatismi sanzionatori. – 2. La disciplina del bilanciamento tra circostanze dopo la legge “ex Cirielli”. – 3. La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 Cp – 3.1. Le peculiarità dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico. – 3.2. Le censure avanzate dal giudice a quo. – 3.3 I parametri di costituzionalità invocati dalla Consulta. – 4. Osservazioni conclusive

1. La sentenza 24.2.2016 n. 74 della Corte Costituzionale1 s’innesta – per contiguità di

obiettivi politico-criminali e di cadenze argomentative – nel filone delle pronunce della Consulta che negli ultimi anni hanno progressivamente mitigato i tratti più dissennati del rigore punitivo che la c.d. legge “ex Cirielli” ha impresso alla disciplina della recidiva2. Com’è noto, le ragioni della «paternità rinnegata» 3 di tale provvedimento sono da

1 Pubblicata in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 11.4.2016, con nota di G. Leo, Un nuovo colpo agli automatismi fondati sulla recidiva: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico. 2 Sul punto v. G. Flora, Le nuove frontiere della politica criminale: le inquietanti modifiche in tema di circostanze e prescrizione, in DPP 2005, 1325 ss.; T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in GD 2006 [dossier n. 1], 32 ss.; Id., sub art. 4 l. 5.12.2015 n. 251, in LP 2006, 453; Id., Introduzione, in AA.VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino 2013, XXIV; A. Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, in DPP 2006, 176 ss.; Id., sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, in LP 2006, 453; C.F. Grosso, Cinque anni di leggi penali: molte riforme (talune contestabili), nessun disegno organico, in DPP 2006, 536; E. Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in RIDPP 2007, 521 ss.; L. Pistorelli, Ridotta la discrezionalità del giudice, in GD 2006 [dossier n. 1], 61 ss.; V. Muscatiello, La recidiva, Torino 2008, 73. 3 Così: F. Giunta, Dal disegno di legge Cirielli alla legge ex Cirielli: l’evoluzione del testo e il suo contenuto, Le innovazioni al sistema penale, a cura di F. Giunta, Milano 2006, 1.

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ricercarsi nella percezione che si ebbe, a partire dallo stesso firmatario iniziale, di una perniciosa svolta in senso indulgenziale (e nient’affatto imparziale) nei confronti di specifici reati, in conseguenza dell’interpolazione del nucleo primigenio del disegno di legge con la modifica della disciplina prescrizionale. Tuttavia, è proprio nell’embrione del d.d.l. 2055/2001, concernente la recidiva, che si colgono i più vistosi segni di irrazionalità della l. 5.12.2005 n. 2514.

Ab origine sollecitata dal condivisibile intento di comprimere l’eccessiva discrezionalità giudiziale – le cui ricadute sistematiche potenzialmente criminogene5 e il vulnus arrecato ai principi di legalità e uguaglianza sono ben noti6 – la riforma attuata dalla legge “ex Cirielli” si è tradotta essenzialmente in un indiscriminato e disarmonico irrigidimento delle norme in materia di recidiva, tramite l’introduzione di numerosi automatismi sanzionatori 7 e un consistente ampliamento degli effetti indiretti dell’aggravante, che hanno stretto «con occhiuta determinazione il cappio sanzionatorio intorno al collo del recidivo» 8 . Ne è derivato un doppio binario sanzionatorio, che consente di incanalare con irriducibilità i recidivi verso un percorso scandito da modalità abnormemente eterogenee rispetto a quelle destinate ai delinquenti cc.dd. “primari”. Il legislatore ha, in sostanza, dato origine ad una “palingenesi settoriale del sistema punitivo”9, completamente sganciata da un giudizio inerente al disvalore del singolo fatto, orbitante intorno allo status di recidivo, che proietta i propri effetti su una pluralità di aspetti del trattamento punitivo: inasprendo le sanzioni e il computo della continuazione10; limitando la possibilità di concedere attenuanti; sbarrando o riducendo

4 Sulla scarsa considerazione delle modifiche in tema di recidiva, a dispetto della “indignazione” suscitata dal (forse) meno allarmante abbrevio dei termini di prescrizione v. M. Pavarini, The spaghetti incapacitation. La nuova disciplina della recidiva, in La legislazione penale compulsiva, a cura di G. Insolera, Padova 2006, 15 ss., il quale riconduce gli interventi apportati dalla l. 251/2005 al modello normativo di matrice statunitense del c.d. “tre colpi e sei fuori”. Sul tema cfr. anche S. Corbetta, Il nuovo volto della recidiva: “tre colpi e sei fuori”?, in Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, a cura di A. Scalfati, Padova 2006, 53 ss. 5 In merito al legame tra eccessiva discrezionalità giudiziale, indulgenzialismo verso i fenomeni criminosi ed ineffettività del sistema punitivo, v. relazione della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta da C.F. Grosso, in RIDPP 1999, 625 ss. 6 Sulle modifiche apportate dalla l. 7.6.1974 n. 220 e sulla dilatazione della discrezionalità giudiziale che ne è conseguita, v. tra i primi commenti: A.R. Latagliata, Problemi attuali della discrezionalità nel diritto penale, in Tommaso Natale 1975, 339 ss.; A. Stile, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, in StudUrb 1976-77, 275 ss.; F. Bricola, sub art. 27, co. 2 e 3 Cost., in Commento Branca alla Cost., Bologna 1981, 270 ss.; più recentemente sulla discrezionalità giudiziale: G. Piffer, I nuovi vincoli alla discrezionalità giudiziale: la disciplina della recidiva, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 30.12.2010. 7 Sul tema cfr. G. Leo, Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 7.1.2014. 8 T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni, cit., 32, che osserva come un simile regime differenziato «si iscrive nella logica del furore, non in quella della ragione». 9 L’espressione è di L. Bisori, La nuova recidiva e le sue ricadute applicative, in Le innovazioni al sistema penale, cit., 44. 10 Su cui cfr. A. Gaboardi, Irragionevolezze e fraintendimenti nei rapporti tra recidiva reiterata e cumulo giuridico delle pene. Osservazioni a margine di C. Cost., 21.10.2015 n. 241, in www.lalegislazionepenale.eu, 22.3.2016.

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la possibilità di accedere ai benefici penitenziari o alle misure alterative alla detenzione; allungando la prescrizione e così via11.

La potenziale frizione tra un simile assetto normativo e i principi costituzionali trova conferma nell’elevato numero di ordinanze di rimessione alla Consulta che si sono succedute a partire dal 200512: dopo una prima fase, ispirata alla cautela, in cui la Corte si è limitata a “salvare” le disposizioni sottoposte al proprio vaglio, suggerendo un’interpretazione costituzionalmente conforme, il Giudice delle Leggi ha avviato una carsica erosione dei contrafforti su cui è stato edificato l’impianto della l. 251/2005, contraddicendone lo spirito rigoristico e “smussando” la disciplina della recidiva nei punti di più evidente attrito con la Carta fondamentale. Se in un primo tempo, con una vistosa forzatura esegetica 13 , la Consulta ha operato esclusivamente a livello interpretativo, optando per la ricostruzione in termini di discrezionalità degli aggravamenti di pena contemplati dai primi quattro commi dell’art. 99 Cp14, la stessa ha assunto una ben più netta posizione nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-bis Cp15 (come modificato dalla legge “ex Cirielli”) nella parte in cui non consentiva la concessione delle attenuanti generiche al recidivo reiterato (autore di delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a Cpp, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni) sulla base della condotta susseguente al reato. Aperta questa prima “breccia” nel muro di presunzioni assolute eretto dinanzi al recidivo, i giudici costituzionali hanno più volte dichiarato l’illegittimità di alcuni dei meccanismi di irrigidimento sanzionatorio introdotti dal legislatore del 2005, pervenendo da ultimo ad estromettere

11 Sugli effetti diretti e indiretti della recidiva v. L. Gatta, sub art. 99 CP, in Commento Dolcini-Marinucci al Cp, Milano 2011, 1462 ss.; R. Bartoli, La recidiva davanti allo specchio della Costituzione, in DPP 2012, 19 ss.; Id., Lettura funzionale e costituzionale della recidiva e problemi di razionalità del sistema, in RIDPP 2013, 1699 ss. 12 Per un quadro di sintesi delle prime questioni di costituzionalità avanzate in merito alla l. 251/2005 si rinvia a G. Insolera, Una nuova grammatica costituzionale di fronte alla palingenesi della ideologia punitiva, in La legislazione penale compulsiva, cit., 35 ss. 13 Sul punto, v. le notazioni critiche di T. Padovani, sub art. 4 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 448 ss.; Id., Una novella piena di contraddizioni, cit., 34. Sostengono il carattere obbligatorio della recidiva pluriaggravata e di quella reiterata anche: D. Battista, Recidiva: dalla nuova legge un pericolosissimo ritorno al passato, in D&G 2005 (46), 105; V. Muscatiello, op. cit., 116 ss.; contra ritengono discrezionali le forme di recidiva previste dai primi quattro commi dell’art. 99 Cp: A. Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, cit., 176 ss.; Id., sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 426 ss.; L. Pistorelli, op. cit., 62; A. Scalfati, Cade il bilanciamento delle circostanze, in GD 2006 [dossier n. 1], 40; E. Dolcini, Le due anime della legge “ex Cirielli”, in CMer 2006, 56; Id., La recidiva riformata, cit., 532; F. Puleio, Tanto tuonò che piovve. La 1. 5 dicembre 2005, n. 251, in CP 2005, 3700. 14 C. cost. 6.6.2007 n. 192, in DPP 2008, 324 ss. con nota di F. Arrigoni, La consulta riconosce al giudice il potere di escludere la recidiva reiterata; cfr. anche A. Tesauro, La nuova disciplina della recidiva reiterata al vaglio della corte costituzionale, in FI 2007, 3357 ss.; C. Bernasconi, Recidiva e bilanciamento delle circostanze al vaglio della Corte Costituzionale, in GCos 2007, 1861 ss.; Id., Recidiva reiterata e bilanciamento di circostanze: la duplice presa di posizione della Corte costituzionale, in Criminalia 2007, 291 ss. 15 C. cost. 7.6.2011 n. 183, in DPP 2011, 811 ss., con nota di G. Di Chiara, Attenuanti generiche, condotta susseguente al reato e rigidi automatismi; cfr. anche G.L. Gatta, Attenuanti generiche al recidivo reiterato: cade (in parte) un irragionevole divieto, in GCos 2011, 2374 ss.; G. Leo, Un primo caso accertato di irragionevolezza nella disciplina degli effetti “indiretti” della recidiva, in RIDPP 2011, 1785 ss.

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dall’ordinamento quella che era pacificamente considerata dalla giurisprudenza l’unica ipotesi di recidiva obbligatoria prevista dal codice (art. 99 co. 5 Cp)16.

Un ruolo chiave nel processo di “costituzionalizzazione” della disciplina della recidiva rivestono indubbiamente le pronunce della Corte sui vincoli al giudizio di comparazione tra circostanze posti dal riformato art. 69 co. 4 Cp nell’ipotesi di recidiva ex art. 99 co. 4 Cp: la sentenza n. 74/2016 rappresenta l’ultima sul punto, preceduta nel 2012 dalla declaratoria di incostituzionalità del divieto di prevalenza dell’allora diminuente di cui all’art. 73 co. 5 TuStup 17 sulla recidiva reiterata 18 e nel 2014 dall’eliminazione del divieto di prevalenza su quest’ultima delle attenuanti di cui agli artt. 648 co. 2 e 609 bis co. 3 Cp19.

2. Preliminarmente all’analisi della questione affrontata nella sentenza de qua, si

rende necessario un sintetico inquadramento sistematico del bilanciamento tra circostanze e delle modifiche da esso subite nel corso del tempo20.

La costante attenzione legislativa nei confronti dell’istituto disciplinato dall’art. 69 Cp, che permette di “flessibilizzare” in modo penetrante il trattamento sanzionatorio, induce ad individuare in esso uno dei cardini del sistema punitivo: si tratta del meccanismo prediletto dal legislatore per dilatare o comprimere la discrezionalità giudiziale in base al significato che le contingenti istanze di politica criminale intendano conferire alla sanzione penale21. Il giudizio di comparazione tra circostanze rappresenta, dunque, uno snodo fondamentale nel periclitante equilibrio tra l’esigenza di certezza del diritto e istanza di plasmabilità della reazione punitiva, atteggiandosi come uno degli istituti più delicati da “maneggiare”22.

16 C. cost. 8.7.2015 n. 185, in DPP 2015, 1490 ss., con nota di F. Rocchi, Cadono l’obbligatorietà della recidiva “qualificata” e il relativo automatismo sanzionatorio; cfr. anche F. Urban, Sulla illegittimità costituzionale dell’applicazione obbligatoria della recidiva anche ai reati di particolare gravità e allarme sociale, in www.penalecontemporaneo.it, 4.2.2016, 1 ss. 17 Oggi considerata, in seguito alle modifiche apportate dall’art. 2 d.l. 23.12.2013 n. 146, autonoma figura di reato (cfr. Cass. 8.1.2014 n. 14288, in GD 2014 [17], 86). Sul punto v. A.M. Piotto, La disciplina del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/1990: dalla sentenza della corte costituzionale n. 251 del 2012 alle recenti modifiche legislative, in Stupefacenti e diritto penale: un rapporto di non lieve entità a cura di G. Morgante, Torino 2015, 140 ss. 18 C. cost. 5.11.2012 n. 251, in CP 2013, 1745 ss. con nota di D. Notaro, La fine ingloriosa, ma inevitabile, di una manifesta irragionevolezza: la Consulta “lima” il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata; cfr. anche A. Tesauro, Corte costituzionale, attenuante del fatto di lieve entità e divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata: un precedente-pilota?, in FI 2013, 2405 ss.; G. Di Chiara, Legge “Ex Cirielli”, disciplina degli stupefacenti e divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità sulla recidiva reiterata: incostituzionale la rigidità del meccanismo, in DPP 2013, 1687 ss. 19 C. cost. 18.4.2014 nn. 105 e 106, in DPP 2014, 1082 ss., con nota di A. Michael, Le attenuanti del “fatto lieve” in materia di violenza sessuale e ricettazione possono prevalere sulla recidiva reiterata. 20 Per un utile quadro di sintesi si rinvia a S. Puccini, La disciplina del bilanciamento di circostanze tra prassi applicativa e politica criminale, in La riforma della legittima difesa e della recidiva tra teoria e prassi, a cura di C. Piemontese, Pisa 2008, 109 ss. 21 Così: F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”: implicazioni sul bilanciamento delle circostanze e sugli altri effetti ad essa connessi, in CP 2007, 4102. 22 Sulla tensione tra queste due istanze contrapposte, osserva G. Frigo, Prevale la logica della frammentazione, in GD 2006 [dossier n. 1], 52: «come ogni rigido automatismo, collegato esclusivamente

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Nella formulazione originaria del codice Rocco il bilanciamento tra circostanze eterogenee – postulante una valutazione complessiva sulle circostanze del fatto in termini di prevalenza delle attenuanti o delle aggravanti (art. 69 co. 1 e 2 Cp) o di equivalenza tra le medesime (art. 69 co. 3 Cp) – estrometteva dal suo campo applicativo due consistenti categorie di circostanze: quelle comportanti una pena di specie diversa o determinata in modo indipendente dall’ordinaria (cc.dd. circostanze autonome) e quelle inerenti alla persona del colpevole23. Tale assetto normativo aveva condotto parte della dottrina24 a leggere l’istituto de quo come funzionale ad una ricostruzione sintetica del fatto, determinante una modifica della pena in astratto piuttosto che un adeguamento della pena in concreto (come generalmente si riteneva sulla base dell’interpretazione storica della disposizione 25 ). Secondo questa tesi, la finalità “individualizzante” del bilanciamento era, infatti, smentita dall’esclusione delle due categorie di circostanze menzionate, idonea ad inverarne la funzione di rideterminazione della pena edittale.

Il fondamento dell’impostazione teorica menzionata ha, tuttavia, iniziato a vacillare in seguito alle modifiche apportate all’art. 69 Cp dalla l. 220/1974, che ha eliminato qualsiasi limite oggettivo al giudizio di comparazione, ora comprensivo anche delle circostanze inerenti alla persona del colpevole e di quelle autonome. Sembra così aver recuperato piena legittimazione, in sintonia con quanto da sempre sostenuto in giurisprudenza, l’attribuzione al bilanciamento di un ruolo nell’ambito della individualizzazione della pena 26 . All’obiezione che, anche dopo la suddetta riforma, persista – in virtù dello stesso funzionamento del giudizio di comparazione – l’elisione degli effetti delle circostanze dichiarate soccombenti o equivalenti, ritenuta incompatibile con la valutazione “globalizzante” del fatto cui mirerebbe l’art. 69 Cp27, si è persuasivamente replicato28 come non possa affatto predicarsi una totale eliminazione delle conseguenze giuridiche delle circostanze soccombenti o equivalenti, comunque suscettibili di rilevare quali circostanze improprie nell’individuazione della pena base ai sensi dell’art. 133 Cp 29 , e come – ad ogni modo – il rilievo contestato non sembri

alla qualificazione giuridica del fatto, toglie al giudice ogni potere sulla sua scelta della sanzione (con rischio di trattamenti uniformi per situazioni concretamente differenti), così a rovescio la discrezionalità può amplificarlo fino al massimo del limite costituito dalla riserva di legge in materia penale (con ovvi rischi si sperequazione anche gravi)». 23 Sulle ragioni di tali esclusioni si rinvia a T. Padovani, Circostanze del reato, in DigDPen, II, Torino 1988, 212. 24 A.M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, Napoli 1971, 103. 25 Nella Relazione ministeriale sul progetto di codice penale, I, 1929, 123, si legge infatti che l’art. 69 Cp avrebbe dovuto assicurare «una visione completa ed organica del colpevole e del reato da questo commesso, in modo che la pena da applicare in concreto sia, per quanto è possibile, il risultato di un giudizio complessivo e sintetico sulla personalità del reo e sulla gravità del reato, anziché l’arido risultato di successive operazioni aritmetiche». 26 Cfr. G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, in GD 2006 [dossier n. 1], 60; G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale7, Bologna 2007, 426. Ex multis in giurisprudenza: Cass. 28.6.2005 n. 30432. 27 Così: A. M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, cit., 124 ss.; in senso conforme anche M. Romano, sub art. 69 Cp, in Commentario sistematico del codice penale, Milano 2004, 709 ss. 28 G. De Vero, Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano 1983, 197 ss. 29 T. Padovani, Circostanze del reato, cit., 215, sul punto osserva: «per evitare l’assurdità dell’elisione che il giudizio ex art. 69 c.p. determinerebbe, basta tener presente che, per fissare la pena-base, il giudice “deve escludere dalla propria ricognizione l’elemento oggetto di qualificazione circostanziale, al fine di

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sufficiente a contraddire la funzione di personalizzazione della pena esplicata dal bilanciamento.

La soluzione prescelta in merito alla natura dello strumento disciplinato dall’art. 69 Cp – lungi dal confinarsi alla mera speculazione teorica – è determinante per comprendere la questione affrontata dalla Corte nella sentenza n. 74/2016. In dottrina30 si è, infatti, acutamente rilevato come l’ampiezza del giudizio di costituzionalità sulle deroghe al bilanciamento sia suscettibile di variare in base all’opzione interpretativa adottata. Ove si ritenga che lo scopo precipuo del giudizio di comparazione sia la “personalizzazione” della sanzione, sarebbe ben possibile invocare tra i parametri di legittimità costituzionale – oltre al principio di uguaglianza e ragionevolezza – il principio rieducativo della pena ex art. 27 Cost., indubbiamente sacrificato dall’aprioristica preclusione del bilanciamento ad attenuanti in grado di diminuire – anche notevolmente – la pena, rendendola eventualmente più proporzionata al caso di specie31. Nell’ipotesi in cui si ritenga, invece che l’art. 69 Cp svolga eminentemente la funzione di determinazione della cornice edittale della pena, l’estensione del potere di censura del Giudice delle Leggi risulterebbe più limitata, dovendosi considerare legittime norme che comprimano la discrezionalità giudiziale in tale ambito: il vaglio della Corte sarebbe, quindi, circoscritto al solo principio di uguaglianza, inteso nella duplice accezione di canone di non discriminazione e parametro di ragionevolezza32.

3. Sebbene nella pronuncia in esame non si affronti ex professo il tema della

qualificazione del giudizio di comparazione, lasciando semplicemente trapelare in un obiter dictum l’adesione alla tesi secondo cui esso rappresenterebbe un meccanismo di modifica della pena in astratto33, nel dichiarare la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 Cp, coerentemente con la posizione adottata, si fa riferimento – come si dirà – al solo principio di ragionevolezza, considerando laconicamente assorbita la pur avanzata censura relativa all’art. 27 Cost.

evitarne la doppia valutazione”» (citando G. De Vero, op. cit., 199 ss.). Occorre tuttavia specificare come anche la dottrina che sostiene la tesi del bilanciamento quale strumento di modifica della cornice edittale riconosca alle circostanze soccombenti rilevanza nell’ambito dell’art. 133 Cp: M. Romano, op. cit., 711; A.M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, cit., 150 ss. 30 F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4113. 31 Denunciano il rischio che tale automatismo possa comportare l’irrogazione di una pena sproporzionata al fatto: G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 59 ss.; A. Scalfati, op. cit., 39 ss.; A. Melchionda, sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 437 ss. 32 F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4114-4115, argomenta: «non sembra potersi dubitare, quantomeno in termini generali ed astratti, della legittimità costituzionale della limitazione dell’ambito di operatività del bilanciamento delle circostanze, perché sarebbe come sindacare della stessa discrezionalità del legislatore nel determinare la misura dei limiti edittali previsti per una fattispecie di reato, da sempre ritenuta indiscutibile». 33 Con riferimento alle modifiche apportate dalla l. 220/1974, la Consulta – nel richiamare le osservazioni di C. cost. 5.11.2012 n. 251, cit. osserva: «L’effetto è stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai reati base […]».

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Analogamente alle altre sentenze intervenute sull’art. 69 co. 4 Cp, la legittimità della norma è stata valutata in relazione al divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata di un’attenuante ad effetto speciale, in particolare quella prevista dall’art. 73 co. 7 d.P.R. 9.10.1990 n. 309 («Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»).

3.1. La circostanza interessata dal giudizio della Corte, introdotta in sede di riforma

della disciplina degli stupefacenti del 1990 (TuStup), contempla una consistente diminuzione della pena (dalla metà a due terzi) per i soggetti attivi dei reati tipizzati dall’art. 73 d.P.R. 309/1990 che pongano in essere una collaborazione con la Giustizia «per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».

Lapalissiano è rilevare come la finalità di questa attenuante sia quella di spronare ad un “ravvedimento” post delictum il colpevole di uno dei reati previsti dai primi sei commi dell’articolo citato. Pur non essendo la formula utilizzata diafana 34 , sembra corretto ritenere che la diminuente si riferisca tanto a forme di collaborazione sia sostanziale sia processuale35, intendendo con le prime quelle che intervengono sulla condotta del reato o sulle sue conseguenze criminose impedendone l’evento tipico o la permanenza degli effetti e, con le seconde, quelle che si sostanziano in un contributo prestato nei confronti dell’autorità giudiziaria idoneo ad agevolare l’attività inquirente36.

In dottrina si è parlato di un’attenuante “di risultato” 37 , indicando con questa espressione la necessità – ai fini dell’integrazione della medesima – di un apporto da parte del reo utile e produttivo di un esito positivo ai fini delle indagini38. A sostegno di tale tesi si è fatto leva sull’ingente decurtazione della pena da essa garantita; sulle chiare indicazioni testuali in tal senso (in particolare la pretesa “concretezza” dell’aiuto prestato e l’aggettivo “rilevanti” riferito alle risorse alla cui sottrazione dal circuito delittuoso l’imputato abbia contribuito); sul confronto con l’analoga diminuente prevista dall’art.

34 D. Potetti, L’art. 73 comma 7 d.P.R. n. 309 del 1990. Questioni ed incertezze interpretative, in CP 2002, 3877, lamenta come l’ambigua formulazione della disposizione de qua risulti problematica alla luce della notevole diminuzione di pena da essa consentita, specie in rapporto alla severità delle pene previste dall’art. 73 co. 1 TuStup. 35 Cfr. G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, diretto da F. Palazzo e C.E. Paliero, Reati in materia di immigrazione e di stupefacenti, a cura di A. Caputo e G. Fidelbo, Torino 2012, 395, al quale si rinvia per l’ampia analisi della circostanza e per i riferimenti bibliografici e giurisprudenziali sul tema. V. altresì: D. Potetti, op. cit., 3877 ss. 36 F. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti. Profili penali, Padova 1994, 187. 37 Così G. Amato, Stupefacenti. Teoria e pratica, Roma 2006, 263; Id., I reati in materia di stupefacenti, cit., 394, 397. In giurisprudenza: Cass. 28.9.1992, Razza ed altri, in CEDCass. m. 192143; Cass. 26.5.1998, Delise, in CEDCass, m. 211380. Contra: Cass. 4.2.2005, in CP 2005, 2364, che ritiene sufficienti i requisiti della concretezza e dell’efficacia ai fini investigativi, senza reputare necessario un risultato positivo delle attività inquirenti scaturite dalle dichiarazioni dell’imputato. 38 La giurisprudenza tuttavia precisa la necessità di tener conto, per valutare l’entità del risultato ottenuto, del particolare contesto, più o meno ampio, nel quale il collaboratore risulti inserito: Cass. 19.10.1994 n. 375, in CP 1996, 657; Cass. 27.5.1992 n. 789, in CP 1993, 232.

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74 co. 7 TuStup in relazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, espressamente applicabile solo a «chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti»39 e, infine, sul raffronto con le previsioni contenute negli artt. 289-bis e 630 Cp, che subordinano l’operatività delle misure premiali al raggiungimento di un risultato utile (applicandosi solo a colui che «si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà»). Nel caso in cui fornisca un contributo collaborativo ma infruttuoso, l’imputato potrà eventualmente beneficiare delle attenuanti generiche o della sola attenuante comune del c.d. “ravvedimento operoso” (art. 62 n. 6 Cp), che prevede una diminuzione di pena nettamente inferiore, coerentemente con la modesta importanza dell’apporto reso40.

Dalla sentenza in esame non è possibile evincere inequivocabilmente l’interpretazione prescelta dalla Corte remittente in merito alla “consistenza” del contributo necessario per beneficiare della diminuente, poiché il giudice a quo si è limitato – nell’illustrare la rilevanza della questione sollevata – a richiamare quanto dedotto dall’imputato con riferimento alla nota della Direzione Distrettuale Antimafia di Ancona attestante «la completa, vasta ed incondizionata collaborazione posta in essere dal S. (anche e soprattutto) dopo la sentenza di primo grado», senza precisare se tale contegno abbia o meno condotto ad esiti utili sul piano investigativo. Tuttavia, nel denunciare il potenziale contrasto con l’art. 27 Cost. di una pena che non tenga in debito conto della «proficua collaborazione prestata», il giudice remittente sembrerebbe non considerare satisfattivo un mero comportamento “volenteroso” dell’imputato. Ad ogni modo, la Consulta ritiene adeguatamente descritta la fattispecie e motivata la rilevanza della questione avanzata dalla Corte di Appello di Ancona, la quale aveva specificato come «in caso di accoglimento, si dovrebbe irrogare una pena di gran lunga inferiore rispetto a quella inflitta dal primo giudice, atteso che la ampiezza ed intensità della collaborazione prestata dall’imputato indurrebbe a ritenere l’attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 73, co. 7°, d.P.R. n. 309/1990 sicuramente prevalente sulla recidiva».

Netta e (condivisibile) è, invece, la posizione dei giudici di secondo grado in merito alla possibilità di applicare la suddetta circostanza anche nell’ipotesi, verificatasi nel caso di specie, in cui la cooperazione sia stata prestata dopo il giudizio di primo grado (ragion

39 Equiparano in merito ai requisiti di operatività le circostanze degli artt. 73 co. 7 e 74 co. 7 d.P.R. 309/1990: Cass. 5.12.1996 n. 1138, in CP 1997, 1890; Cass. 30.9.1992, in GI 1993, 656; contra: Cass. 25.5.2006, in CP 2007, 3451. 40 Così: G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 397, il quale evidenzia (395) la solo parziale sovrapposizione tra il campo di applicazione dell’attenuante comune e di quella prevista dal TuStup, poiché quest’ultima prende in considerazione esclusivamente l’ipotesi in cui il ravvedimento post delictum elida le conseguenze del reato (e non anche quella in cui le attenui); inoltre – a differenza della circostanza di cui all’art. 62 n. 6 Cp – la circostanza speciale può conferire rilevanza anche ad una collaborazione di tipo processuale. Nel caso in cui entrambe le circostanze risultino integrate, troverà applicazione la diminuente dell’art. 73 co. 7 TuStup ai sensi dell’art. 15 Cp (ritengono che sussista un rapporto di specialità tra le due circostanze: Cass. 27.4.1999 n. 1927, in CP 2000, 3452; Cass. 24.9.1992, D’Onofrio, in CEDCass, m. 192908).

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per cui in quest’ultimo non era stata neppure considerata)41. Stante l’assenza di una specifica limitazione che subordini l’operatività della diminuente al solo apporto utilmente intervenuto prima del giudizio (come precisato, per esempio, dall’art. 62 n. 6 Cp), l’esegesi che escluda, ai fini del calcolo della pena in appello, la rilevanza del comportamento successivo alla condanna del primo grado si risolverebbe in un’interpretazione in malam partem, come tale palesemente inaccettabile42.

3.2. Passando all’analisi della sentenza n. 74/2016, si rileva in primo luogo come la

Corte di appello di Ancona, con ordinanza del 3 aprile 2015 (r.o. n. 165 del 2015), avesse sollevato la questione di legittimità de qua facendo riferimento a due parametri costituzionali: gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost., secondo la Corte violati dall’art. 69 co. 4 Cp, come modificato dalla l. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza dell’art. 73 co. 7 d.P.R. 309/1990 sulla recidiva di cui all’art. 99 co. 4 Cp.

In merito al caso specifico, avendo precisato perché la Consulta abbia ritenuto la censura rilevante ai fini del giudizio a quo, ci si limita ad evidenziare come la genesi della pronuncia di illegittimità costituzionale debba essere ricercata nella persuasiva impostazione difensiva dell’imputato 43 , che ha proposto appello non contestando l’applicazione della recidiva, ma chiedendo il riconoscimento e la prevalenza della diminuente prevista dal TuStup quale conseguenza della collaborazione processuale. Il fatto che la statuizione in merito all’art. 99 co. 4 Cp non abbia costituito oggetto di specifico appello da parte dell’imputato impedisce ai giudici di secondo grado di “bypassare” il divieto imposto dall’art. 69 co. 4 Cp semplicemente escludendo la circostanza riconosciuta dai giudici di prime cure: si tratta, peraltro, di un’ opzione preclusa, perché, come osserva la Corte di appello, «nel caso in esame le condanne già riportate dall’imputato, in relazione alla natura e al tempo di commissione dei reati indicano che il reato sub iudice è espressione della medesima “devianza” già denotata in occasione dei precedenti reati, ed è perciò sicura manifestazione di maggior colpevolezza e pericolosità dell’imputato».

Nelle parole della Corte riecheggia il richiamo all’argomento più suggestivo 44 utilizzato dal giudice remittente che ha sollecitato la prima dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 Cp (relativa al divieto di prevalenza sulla recidiva ex art.

41 Contra in giurisprudenza: Cass. 4.5.1998, in CP 1999, 3262. Considerano tuttavia rilevante la collaborazione prestata dopo la conclusione delle indagini preliminari durante la fase del dibattimento: Cass. 24.4.2008, in CEDCass, m. 27937 e Cass. 17.5.2007, in GP 2008, 563. 42 Sembra opportuno intendere come momento iniziale della collaborazione l’assunzione della qualità di persona indagata e come momento finale quello in cui interviene la condanna definitiva, fermo restando come sia più probabile avvantaggiarsi dell’attenuante di cui all’art. 73 co. 7 TuStup quanto prima sia stato manifestato il contegno “resipiscente” da parte dell’imputato, stante il maggior tempo a disposizione degli organi inquirenti per riscontrare le dichiarazioni del medesimo e per raggiungere un risultato utile (così: G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 403 s.). 43 Condannato in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Ancona (all’esito del giudizio abbreviato) a quattro anni e otto mesi di reclusione e 24.000 euro di multa per l’illecita detenzione di un chilogrammo di marjuana e 85 grammi di cocaina, ritenendo la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale equivalente alle concesse circostanze generiche. 44 Così: D. Notaro, op. cit., 1763.

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99 co. 4 Cp dell’attenuante dell’art. 73 co. 5 d.P.R. 309/1990 45 ): in particolare, nel giustificare la novità della questione proposta, questi aveva rilevato il fatto che, per salvaguardare il potere del giudice di soppesare adeguatamente le circostanze, non sia sufficiente la discrezionalità nel ritenere sussistenti o meno le condizioni sostanziali ai fini della recidiva, poiché «il riconoscere o escludere la recidiva reiterata facoltativa è operazione valutativa radicalmente diversa dal “bilanciare” quella recidiva con concorrenti circostanze attenuanti», soprattutto in «situazioni in cui, giudicando con onestà intellettuale, la recidiva non può essere esclusa, e tuttavia viene sentito come ingiusto negare la prevalenza di determinate attenuanti». L’incontrovertibilità del rilievo – decisivo nella sentenza menzionata – ha indotto la Consulta anche nel giudizio de quo a pronunciarsi nel merito, abbandonando ancora una volta la posizione espressa nella nota sentenza n. 192/2007. Quest’ultima aveva infatti respinto le questioni di costituzionalità prospettate da molteplici ordinanze di rimessione, denuncianti il contrasto tra gli artt. 3 co.1, 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost. e il nuovo art. 69 co. 4 Co, nella parte in cui, disciplinando il concorso tra circostanze eterogenee, stabilisce il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva ex art. 99 co. 4 Cp, e lo aveva fatto proprio ricorrendo al fragile46 argomento della possibile interpretazione dell’art. 99 co. 4 Cp nel senso della discrezionalità (che, ormai, costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità e di merito)47.

Dietro al ricorso alla tecnica dell’inammissibilità per omessa interpretazione adeguatrice, mediante il quale la Corte si era – in sostanza – sottratta alla decisione sulla questione, può scorgersi la percezione dell’urgenza di un intervento che “attutisse” le ricadute applicative della l. “ex Cirielli”, necessità che inizialmente ha posto in secondo piano la fondatezza nel merito della – pur importante – questione sottoposta all’attenzione dei giudici costituzionali48. Tuttavia, stante il sicuro rilievo delle censure avanzate, non sorprende come i dubbi in relazione alla legittimità dell’art. 69 co. 4 Cp siano stati nuovamente riproposti in diverse ordinanze, sia pure “prudentemente” prospettati con riferimento a singole (e manifeste) ipotesi di incostituzionalità. Nello specifico – come già rilevato – tutte le pronunce di accoglimento del Giudice delle Leggi in tema di comparazione tra circostanze hanno riguardato ipotesi di circostanze ad efficacia speciale: nel caso in cui l’esito vincolato del bilanciamento vada ad operare su tali circostanze, risulterà, infatti, impossibile recuperare la loro efficacia mitigatrice nel quadro del giudizio di cui all’art. 133 Cp, poiché la commisurazione della pena dovrà

45 C. cost. 5.11.2012 n. 251, cit. 46 Per le motivazioni limpidamente esposte dal giudice remittente nella sentenza n. 251/2011: la discrezionalità giudiziale nel riconoscere la recidiva si pone su un piano diverso da quello della libertà di valutazione dell’interazione della medesima con le circostanze attenuanti ai fini del bilanciamento. 47 Cfr. Cass. S.U. 27.5.2010 n. 35738, in CEDCass, m. 247838; Cass. S.U. 24.2.2011 n. 20798, in CEDCass, m. 249664; Cass. 12.1.2012 n. 4969, in CEDCass, m. 251809. 48 Sembra dunque possibile convenire con quella dottrina (A. Tesauro, La nuova disciplina della recidiva reiterata al vaglio della corte costituzionale, cit., 3362) che ha visto nella scelta della Corte costituzionale «dietro il più rassicurante paravento di un’operazione esegetica asetticamente neutrale» e «nonostante questa auto-rappresentazione del proprio ruolo più “deferente” che interventista” nei confronti del legislatore democratico» piuttosto «una manipolazione occulta del dato testuale analoga a quella compiuta con decisioni apertamente additive».

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effettuarsi all’interno di una cornice edittale diversa e più grave rispetto a quella prevista per la fattispecie attenuata49, rendendo manifesta l’irrazionalità della predeterminazione legislativa della circostanza prevalente50.

Se, da una parte, la sentenza n. 74/2016, in assonanza con le altre menzionate, riguarda il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata di una circostanza ad effetto speciale, la stessa si distingue dalle precedenti poiché la diminuente di cui all’art. 73 co. 7 TuStup ha una natura soggettiva, mentre quelle previste dagli artt. 73 co. 5 TuStup, 648 co. 2 Cp e 609-bis co. 3 Cp hanno natura oggettiva. Queste ultime attribuiscono rilevanza alla ridotta offensività del fatto e trovano la propria ratio nella necessità di adeguare la pena alla minore lesività del reato; la circostanza de qua – essendo concessa in ragione della “retrocessione nella legalità” manifestata dal reo dopo la commissione del delitto – concerne, invece, essenzialmente il profilo della capacità a delinquere e ha, dunque, natura squisitamente soggettiva. Mentre il principio di offensività costituisce un parametro di costituzionalità cruciale nelle pronunce pregresse, accortamente la Corte di Ancona contesta esclusivamente la violazione del principio di ragionevolezza e di quello di proporzionalità della pena.

Nello specifico, secondo il giudice a quo, la questione sarebbe non manifestamente infondata con riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. «perché la preclusione assoluta di poter ritenere prevalente l’attenuante della collaborazione ex art. 73, co. 7°, d.P.R. n. 309/1990 ai recidivi reiterati introduce un evidente elemento di irrazionalità secondo lo scopo della disposizione anzidetta». La Corte osserva, peraltro, come non solo non possa escludersi, ma sia anzi molto probabile, che il reo che si determini a cooperare con la Giustizia abbia riportato una pluralità di condanne, essendo coinvolto nel traffico di sostanze stupefacenti: tuttavia, stante la limitazione di cui all’art. 69 co. 4 Cp, il recidivo reiterato non avrebbe alcun interesse a dissociarsi dall’ambiente criminoso e a prestare il suo contributo nei confronti dell’autorità giudiziaria. Il rilievo della Corte d’Appello assume una pregnanza ancor maggiore laddove si acceda alla prospettata tesi che, ai fini della configurazione della circostanza, richiede un risultato utile a livello investigativo: l’apporto dell’imputato potrà, infatti, essere tanto più fruttuoso quanto più questi risulti integrato nella rete criminale dello “spaccio” degli stupefacenti 51 , di talché il vincolo al bilanciamento impedirebbe alla circostanza di operare proprio nell’ipotesi in cui la collaborazione potrebbe rivelarsi di maggiore utilità.

49 Cosi: A. Michael, op. cit., 1089. 50 Per questa ragione non sembra fondata l’eccezione avanzata nel caso de quo dall’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, in merito all’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto di giudizio: secondo la difesa dello Stato il giudice remittente non avrebbe esplicitato i motivi per i quali nella sentenza di primo grado fossero state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, non consentendo in tal modo di verificare se la loro concessione fosse stata fondata proprio sulla condotta collaborativa dell’imputato. In questo caso – si argomenta – l’avvenuta cooperazione con la Giustizia avrebbe comunque spiegato efficacia sul trattamento sanzionatorio, neutralizzando l’aumento di pena conseguente alla riconosciuta recidiva. È tuttavia evidente come il riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis Cp sia in grado esclusivamente di paralizzare eventualmente l’incremento corrispondente alla recidiva, ma non possa certo produrre un decremento della pena analogo a quello che si avrebbe in caso di prevalenza della diminuente ad effetto speciale. 51 E abbia, di conseguenza, probabilmente già riportato precedenti condanne.

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In secondo luogo, è denunciata l’irragionevolezza della norma impugnata «anche nell’ottica di sistema», considerato che la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 8 d.l. 13.5.1991 n. 152 («Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa»), conv. – con modificazioni – in l. 1.12.7.1991 n. 203, innervata dalla medesima ratio di quella contemplata dal TuStup, è sottratta al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee ed è obbligatoria, qualora ne ricorrano le condizioni52.

Il giudice remittente contesta, infine, la «violazione del principio di proporzionalità della pena (principalmente nella sua funzione rieducativa, ma anche in quella retributiva), di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., perché una pena che non tenga in debito conto della proficua collaborazione prestata per effetto di una dissociazione post-delictum, spesso sofferta, e che può esporre a gravissimi rischi personali e familiari, da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro – soprattutto – non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice».

3.3. I giudici costituzionali non prendono in specifica considerazione l’ultima censura

avanzata e ritengono la questione fondata nel merito in relazione alla denunciata violazione del principio di ragionevolezza. La Consulta rileva come l’estensione del bilanciamento operata dalla l. “ex Cirielli” (mediante la modifica dell’art. 69 co. 4 Cp), abbia sovente mostrato incongruenze con riferimento alle circostanze autonome o indipendenti, inducendo il legislatore a introdurre svariate deroghe al giudizio di comparazione 53 . Le disposizioni derogatorie volte a sottrarre al bilanciamento la circostanza c.d. “privilegiata” (in genere, un’aggravante) o ad escluderne la soccombenza, secondo la Corte Costituzionale, sono pienamente legittime ed espressive della discrezionalità del legislatore, essendo sindacabili «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza C. cost. 23.3.2012 n. 68)54.

Nella motivazione della Consulta, che sottende – come si è detto – una concezione del giudizio di comparazione tra circostanze quale strumento di rideterminazione della pena edittale, si evidenzia come la scelta di politica criminale di carattere premiale – di cui è manifestazione l’art. 73 co. 7 TuStup – risponda sia all’esigenza di tutela del bene

52 Il giudice remittente osserva inoltre che, se prima della riforma attuata dalla l. 251/2005 il trattamento differenziato garantito dalla l. 152/1991 poteva giustificarsi alla luce del fatto che anche al collaboratore di cui all’art. 73 co. 7 d.P.R. 309/1990, benché recidivo reiterato «era offerto un incentivo concreto, essendo possibile, nel caso di giudizio di prevalenza, ottenere il previsto rilevantissimo sconto di pena», successivamente questa ragionevolezza sarebbe venuta meno, perché «il recidivo reiterato non potrà mai beneficiare di tale sconto di pena». 53 La prima ipotesi di circostanza “privilegiata” nell’ordinamento è rintracciabile nell’aggravante della “finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” (art. 1 d.l. 15.12.1979 n. 625, recante «Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica» conv. – con modificazioni – in l. 6.2.1980 n. 15), su cui cfr. G. De Francesco, Commento agli arti 1 e 2,1 6 febbraio 1980, n. 15, in LP 1981, 35 ss. 54 Le deroghe al giudizio di comparazione, in quest’ottica, non rappresentano altro che vincoli legislativi alla discrezionalità giudiziale, che – in virtù della peculiare importanza ad esse riconosciuta – rendono determinate circostanze non sacrificabili rispetto ad elementi circostanziali di segno opposto: cfr. A. Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Torino 2010, 68 ss.

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giuridico, sia all’istanza di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti, tuttavia, secondo la Corte, la limitazione al bilanciamento posta dall’art. 69 co. 4 «ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa».

Il primo rilievo non sembra in realtà decisivo: qualsiasi deroga al giudizio di comparazione che imponga in generale il sacrificio delle attenuanti o escluda tout court il bilanciamento sarebbe idonea a rendere non operativa una determinata circostanza frustrandone la ragion d’essere, ma non per questo potrebbe dirsi irragionevole. Peculiari istanze politico-criminali potrebbero, infatti, suggerire al legislatore l’opportunità di irrigidire il giudizio di comparazione tra circostanze con riferimento a specifici reati (come frequentemente è stato fatto nella prassi legislativa)55. Ciò che rende problematica la disposizione di cui all’art. 69 co. 4 è il suo rivolgersi ad una specifica tipologia d’autore56: la maggiore criticità dell’approccio della l. 251/2005, infatti, non sta nell’aver ridotto la discrezionalità giudiziale, ma nell’averla soppiantata con una rigida griglia di presunzioni legali di pericolosità, regredendo anacronisticamente a modelli punitivi da tempo demoliti dalla Consulta57. Si è icasticamente rilevato come attorno alla figura del recidivo reiterato si sia costruito un vero e proprio «girone di diritto penale dell’eccezione»58, in cui i delinquenti vengono relegati in base all’inquietante criterio della “incapacitazione selettiva”, che risponde primariamente all’esigenza di neutralizzare i soggetti inscrivibili – sulla base di un mero calcolo statistico-predittivo – in gruppi sociali ad elevato rischio criminale59. La norma colpita dalla scure della Corte Costituzionale nella sentenza n. 74/2016, in quanto presunzione legale assoluta, rappresenta la tangibile estrinsecazione di questo approccio: si inferisce – sulla base di un criterio statistico – la capacità a delinquere dalla sola esistenza di una recidiva reiterata, ritenuta idonea ad assorbire e neutralizzare gli indici contrari desumibili a favore del reo dalla condotta successiva al reato60.

55 Per una panoramica: T. Padovani, Circostanze del reato, cit.; C. Bernasconi, Recidiva reiterata e bilanciamento di circostanze: la duplice presa di posizione della Corte costituzionale, in Criminalia 2007, 294. 56 Così: D. Notaro, op. cit., 1757; F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4101 ss.; G. Caruso, Recidiva, in DigDPen, Agg. IV, Torino 2008, 1048. 57 Così: T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni, cit., 34, il quale denuncia la radicale incompatibilità con l’art. 3 Cost. delle presunzioni legali di pericolosità introdotte dalla l. “ex Cirielli”. 58 Così: G. Insolera, op. cit., 31. 59 Cfr. M. Pavarini, op. cit., 18 s., il quale descrive quello della “incapacitazione selettiva” come un modello punitivo improntato a «una cultura tecnocratica e amministrativa della legalità», che ha abdicato al lessico della giustizia penale per adottare una nuova lingua «quella non più di punire gli individui, ma di gestire gruppi sociali in ragione del rischio criminale; non più quella correzionalistica, ma quella burocratica di come ottimizzare le risorse scarse, in cui l’efficacia dell’azione punitiva non è più in ragione dei telos esterni al sistema (educare e intimidire), ma è in ragione di esigenze intra-sistemiche (neutralizzare e ridurre i rischi)» (17-18). 60 Contesta la fondatezza di questa inferenza C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit. (richiamata anche dalla Consulta), che osserva come la recidiva reiterata non abbia alcun necessario collegamento con la condotta successiva al reato perché «mentre la recidiva rinviene nel fatto di reato il suo termine di riferimento, la condotta susseguente si proietta nel futuro e può segnare una radicale discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali».

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Il nodo nevralgico della questione viene, quindi, efficacemente individuato dai giudici costituzionali nell’osservazione secondo cui come l’art. 69 co. 4 Cp violerebbe il principio di ragionevolezza poiché attribuisce «una rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo – quale sintomo della sua maggiore capacità a delinquere – rispetto alla condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato, benché quest’ultima possa essere in concreto ugualmente, o addirittura prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità».

Tornando alla distinzione già menzionata, si rammenta come la recidiva rappresenti una circostanza di natura sicuramente soggettiva: se l’inderogabilità della sua prevalenza su circostanze di natura oggettiva rovescia il rapporto di necessaria subalternità del disvalore soggettivo rispetto all’offesa61, la predeterminazione a suo favore dell’esito del bilanciamento con altre circostanze di natura soggettiva è irragionevole perché finisce per privare il momento della valutazione del disvalore soggettivo dei suoi connotati essenziali. Orientandosi a senso unico, tale valutazione perde infatti la natura di giudizio individualizzato (dovendo pervenire al medesimo risultato per ogni recidivo reiterato) e, non potendo considerare tutti gli elementi – pur esistenti – rilevanti, perde la fisionomia di giudizio sinottico.

Peraltro, il conferimento – nell’ambito degli effetti indiretti della recidiva sulla commisurazione della pena – di un ruolo di assoluta prevalenza alla recidiva reiterata rispetto alle altre circostanze soggettive comporta un automatismo sanzionatorio che rischia di retroagire ab imis sul momento del riconoscimento della stessa. Infatti, come precisato dalla Consulta 62 e ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la qualificazione della recidiva quale circostanza aggravante (e non come status soggettivo) 63 implica la necessità che la valutazione della gravità dell’illecito sia parametrata alla maggiore attitudine a delinquere del soggetto agente, rilevante ai fini della reazione punitiva sia sotto un profilo retributivo sia dal punto di vista della prevenzione speciale «nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo»64.

Nel valutare, ai fini del riconoscimento della recidiva, la significatività del nuovo episodio criminoso sotto il profilo della maggiore pericolosità sociale, il giudice deve,

61 Cfr. C. cost. 18.4.2014 nn. 105 e 106, citt. 62 Tra le varie: C. Cost. 5.7.2010 n. 249, in RIDPP 2010, 1373, con nota di L. Masera, Corte Costituzionale ed immigrazione: le ragioni di una scelta compromissoria. 63 In questo senso si è espressa la dottrina prevalente: G. De Francesco, Diritto penale, II, Forme del reato, Torino 2013, 30 ss.; G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale4, Milano 2012, 533; F. Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale5, Torino 2011, 540; E.M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, Padova 1997, 69; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, II, Torino 1981, 747; in giurisprudenza, tra le varie: Cass. 5.3.1999, in CP 2000, 1261; Cass. 1.2.1983, in GP 1983, 723. Contra in dottrina: F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova 2001, 683; P. Nuvolone, Il sistema del diritto penale, Padova 1982, 337; G. Bettiol, Diritto penale. Parte generale, Padova 1982, 521. 64 Cfr. Cass. S.U. 24.2.2011 n. 20798, cit.; in senso conforme v. anche: Cass. S.U. 27.5.2010 n. 35738, cit.

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dunque, prendere in considerazione anche la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato. L’impossibilità – determinata dalla norma censurata nella sentenza in esame – di valorizzare in sede di bilanciamento tra circostanze una condotta successiva al reato ritenuta particolarmente meritevole e preponderante rispetto alla recidiva, potrebbe indurre il giudice ad attribuire al comportamento collaborativo la massima importanza al momento della valutazione dei presupposti sostanziali della recidiva, pervenendo eventualmente all’esclusione della medesima. La logica dell’aut aut che permea gli automatismi sanzionatori finisce così per contaminare i criteri “interni” al giudizio sulla recidiva con valutazioni riferibili ad altri istituti, affievolendo inevitabilmente le capacità preventivo/repressive del sistema65.

Se la presunzione legale di pericolosità de qua è stata dichiarata dalla Corte incompatibile con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, la norma censurata sembra in realtà idonea a ledere il principio di uguaglianza quale canone di non discriminazione: la preclusione della complessiva valutazione di tutti gli elementi rilevanti per la capacità a delinquere finisce, infatti, con il sottoporre al medesimo trattamento sanzionatorio situazioni che possono presentare profili differenziali anche molto netti66 , specie ove si consideri il carattere perpetuo e generico della recidiva reiterata. La Consulta, tuttavia, trascura questo aspetto67, così come tace sulla lamentata violazione dell’art. 27 co. 3 Cost. (ritenendo tale censura assorbita).

In realtà, la Corte avrebbe ben potuto dichiarare la contrarietà della norma ad entrambi i parametri (artt. 3 e 27 Cost.), sulla scia della sentenza n. 183/2001, che – come si è già rilevato – aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 bis Cp, nella parte in cui non consentiva la concessione delle attenuanti generiche al recidivo reiterato (autore di delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a Cpp, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni), sulla base della sua condotta susseguente al reato.

La questione considerata nella sentenza n. 74/2016 presenta, infatti, una singolare simmetria con la citata pronuncia: entrambe hanno ad oggetto la legittimità della presunzione assoluta di irrilevanza della condotta susseguente al reato in caso di recidiva reiterata. Nel dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 62 bis Cp, i giudici osservano come «escludere che possa assumere rilevanza, ai fini delle attenuanti generiche, una condotta, successiva al reato, indicativa di una positiva evoluzione in atto della personalità del condannato significa anche porsi in contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost.», poiché una simile scelta privilegia un profilo general-preventivo a scapito della

65 Così: G. Leo, Un primo caso accertato di irragionevolezza nella disciplina degli effetti “indiretti” della recidiva, cit., 1790. 66 Cfr. G. M. Salerno, Un intervento in linea con la Costituzione, in GD 2006 [dossier n. 1], 47; G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 60, il quale rileva come «un giudizio (al massimo) di equivalenza finirebbe con l’essere imposto a prescindere dal numero di circostanze attenuanti che il giudice apprezzasse nella vicenda sub iudice, parificandosi, in buona sostanza, il trattamento di colui al quale, in ipotesi, fosse riconosciuta una sola circostanza attenuante (ad esempio, le sole attenuanti generiche) e quello di colui il quale, invece, fosse ritenuto meritevole di una pluralità di attenuanti (ad esempio, oltre alle generiche, quella del risarcimento del danno, quella della provocazione ecc.)». 67 Probabilmente perché non formalmente dedotto dal giudice remittente.

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funzione rieducativa della pena. Mutatis mutandis il medesimo ragionamento avrebbe potuto essere applicato al caso di specie.

È probabile che la Consulta abbia privilegiato il solo principio di ragionevolezza per un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto, come si è detto, l’aver ricondotto il bilanciamento alla funzione di rideterminazione della pena edittale e, conseguenzialmente, le deroghe ad esso apportate alla imperscrutabile discrezionalità del legislatore, ha portato la Corte a censurare le modalità di esercizio di tale potere esclusivamente sotto il profilo della manifesta irragionevolezza o dell’arbitrio68.

In secondo luogo, è possibile che sulla decisione dei giudici costituzionali abbia pesato la peculiare natura dell’attenuante, sostanzialmente riconducibile nell’alveo di quelle disposizioni premiali evocative del c.d. pentitismo, inevitabilmente affette da ambiguità e criticità, da tempo stigmatizzata in dottrina69. Poiché – come nota la stessa Consulta70 – la scelta collaborativa da parte dell’imputato non implica assolutamente un’effettiva resipiscenza, potendo essere anche il frutto di un di un calcolo utilitaristico71, è probabile che i giudici costituzionali abbiano reputato inopportuno invocare l’art. 27 Cost. tra i parametri di costituzionalità, specie ove si consideri il fatto che, nella sentenza n. 183/2001, la violazione dell’art. 27 co. 3 Cost. era stata posta in collegamento all’impossibilità di attribuire eventualmente rilevanza ad un comportamento «particolarmente meritevole ed espressivo di un processo di rieducazione intrapreso, o addirittura già concluso».

4. Nel susseguirsi di pronunce di incostituzionalità che hanno trasfigurato il volto

della recidiva in origine delineato dalla legge “ex Cirielli”, si legge in filigrana l’improcrastinabilità di una revisione della normativa in materia, specie per quanto concerne il bilanciamento tra circostanze. La disciplina di quest’ultimo, in virtù dei plurimi interventi del Giudice delle Leggi, è ormai costellato da deroghe così numerose da far dubitare della capacità di coesione della regola codicistica, soprattutto alla luce

68 Se l’inquadramento sistematico del giudizio di comparazione tra circostanze è tutt’altro che pacifico, nessuno potrebbe invece dubitare della collocazione delle attenuanti generiche nel quadro della commisurazione giudiziale della pena. Si può anzi ritenere che l’art. 62 bis Cp rappresenti paradigmaticamente lo strumento di mitigazione, in sede giudiziale, del rigore sanzionatorio che contraddistingue il nostro ordinamento (cfr. G. Leo, Un primo caso accertato di irragionevolezza nella disciplina degli effetti “indiretti” della recidiva, cit., 1787). 69 Sul tema, v., per tutti: T. Padovani, La soave inquisizione. Osservazioni e rilievi a proposito delle nuove ipotesi di ravvedimento, in RIDPP 1981, 529 ss.; Id., Il traffico delle indulgenze. “Premio” e “Corrispettivo” nella dinamica della punibilità, in RIDPP 1986, 398 ss. 70 La Corte osserva, infatti: «è vero che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990 non richiede la spontaneità della condotta collaborativa e non comporta necessariamente una resipiscenza, perché può essere il frutto di un mero calcolo, ma è altrettanto vero che si tratta in ogni caso di una condotta significativa, anche perché comporta il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita». 71 Cfr. G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 395; in giurisprudenza, in questo senso: Cass. 27.5.1992 n. 789, in CP 1993, 1232; Cass. 22.11.1996, Torri, in CEDCass, m. 207264.

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della potenzialità “espansiva” dei principi enunciati dalla Corte, di cui la sentenza n. 74/2016 offre plastica conferma.

Se la predeterminazione dell’esito del giudizio di comparazione della recidiva è stato più volte giudicato dalla Consulta incostituzionale per il soverchiante peso attribuito al disvalore soggettivo del reato rispetto agli elementi inerenti al profilo oggettivo del reato, il divieto sancito dall’art. 69 co. 4 Cp – per le ragioni illustrate – non si sottrae a censure neppure quando prevede la prevalenza della recidiva rispetto a circostanze di natura soggettiva. Non può, dunque, escludersi – ma sembra anzi inevitabile – che i confini applicativi del divieto de quo possano essere ulteriormente ridotti da future pronunce di incostituzionalità: in molti casi, non ancora sottoposti all’attenzione del Giudice delle Leggi, potrebbe applicarsi la regola di giudizio elaborata dalla Consulta in base alla quale «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit»72. Si tratta di un parametro storicamente enucleato dalla Corte per superare il meccanismo delle presunzioni di pericolosità che alimentava le misure di sicurezza (processo culminato nel 1986 con l’approvazione della legge Gozzini73) e tralatiziamente richiamato dalla giurisprudenza costituzionale nel valutare la ragionevolezza delle presunzioni assolute, in primis l’adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui all’art. 275 co. 3 Cpp (estesa nel 2009 a numerosi reati come i delitti sessuali; l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione minorile; l’omicidio doloso e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti)74. Il criterio, in base al quale può si cogliere un contrasto con l’art. 3 Cost. «tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»75, è idoneo a mettere in dubbio la legittimità della quasi totalità delle ipotesi in cui si preveda la prevalenza della recidiva reiterata, per il peculiare atteggiarsi degli elementi oggettivi nel caso di specie (che possono denotare una lesività particolarmente ridotta del reato) oppure per l’opportunità di attribuire preponderanza all’attenuante soggettiva applicabile nel caso sub iudice (in virtù dell’intensità del grado della stessa o della scarsa significatività della recidiva76) o, ancora, per la molteplicità delle attenuanti in concreto riconosciute a fronte della sola recidiva reiterata.

Nell’ambito della profonda trasformazione subita negli ultimi anni dalla disciplina della recidiva, portato all’acme dalla Corte Costituzionale con l’eliminazione della previsione generale che collegava effetti obbligatori alla recidiva reiterata (art. 99 co. 5 Cp)77, il metodo “casistico” con il quale si sta progressivamente erodendo il divieto di

72 C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit. 73 L. 10.10.1986 n. 663 «Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà». 74 Rileva l’applicazione ai fini della valutazione della ragionevolezza delle presunzioni in materia di recidiva dei medesimi criteri elaborati dalla Consulta nelle pronunce sulle misure di sicurezza e sulle misure cautelari: G.L. Gatta, Attenuanti generiche al recidivo reiterato, cit., 2376, al quale si rinvia per gli ampi richiami della giurisprudenza costituzionale sul punto. 75 C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit. 76 Perché, per esempio, riferibile a reati molto distanti nel tempo o disomogenei tra loro. 77 C. cost. 8.7.2015 n. 185, cit.

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prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata non si profila, certo, come la soluzione preferibile dal punto di vista sistematico78, tenuto conto, in primo luogo, delle valide e fondate ragioni per dubitare della costituzionalità tout court del vincolo posto dall’art. 69 co. 4 Cp. Difatti, ove si ritenga che il bilanciamento tra circostanze possa essere soggetto solo al vaglio del principio di ragionevolezza, il divieto de quo potrebbe essere censurato alla stregua del summenzionato parametro enunciato dalla Consulta. Laddove, invece, si ritenga che la funzione precipua del giudizio di comparazione sia quella di apprezzare globalmente la personalità dell’imputato e l’effettiva entità del fatto al fine di adeguare la pena al caso concreto, la preclusione sarebbe censurabile anche sotto il profilo dell’art. 27 Cost.79.

Non prospettandosi imminente un intervento correttivo del legislatore sul punto, il tratteggiato quadro della giurisprudenza costituzionale sul divieto di cui all’art. 69 co. 4 Cp sembrerebbe indicare quella attuale come la temperie ideale per riproporre al Giudice delle Leggi la questione a suo tempo respinta dalla sentenza n. 192/2007, muovendo questa volta dalla premessa – da cui è efficacemente partita anche l’ordinanza del giudice remittente da cui è scaturita la sentenza C. cost. n. 74/2016 – dell’inidoneità della discrezionalità sull’an della recidiva reiterata a sanare l’irrazionalità insita nella “blindatura” del bilanciamento a favore della circostanza di cui all’art. 99 co. 4 Cp.

78 G. Leo, Un nuovo colpo agli automatismi fondati sulla recidiva, ult. cit., si interroga sull’opportunità di «un metodo casistico per valutare automatismi minori e più specifici» una volta che sia stata dichiarata incostituzionale la recidiva obbligatoria. 79 Rileva la violazione del principio rieducativo: G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 60. La possibilità per il giudice di assolvere efficacemente il compito di personalizzare la risposta sanzionatoria risulterebbe infatti sicuramente sacrificata dall’impossibilità di considerare alcuni elementi rilevanti a tal fine.