Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel...

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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI CAMERINO SCUOLA DI SCIENZE E TECNOLOGIE Corso di Laurea in Fisica (classe L-30 ) Approcci variazionali al problema della N-rappresentabilit` a di matrici densit` a fermioniche Tesi di Laurea in Fisica Laureanda Relatore Francesca Triggiani Prof. Stefano Simonucci ANNO ACCADEMICO (2018-2019)

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI CAMERINO

SCUOLA DI SCIENZE E TECNOLOGIE

Corso di Laurea in Fisica (classe L-30 )

Approcci variazionali al problema della

N-rappresentabilita di matrici densita fermioniche

Tesi di Laurea in Fisica

Laureanda Relatore

Francesca Triggiani Prof. Stefano Simonucci

ANNO ACCADEMICO (2018-2019)

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La fisica e un tentativo di afferrare concettualmente la realta, quale la si

concepisce indipendentemente dal fatto di esser osservata. In questo senso si

parla di “realta fisica”. Nella fisica prequantistica, non c’era alcun dubbio sul

modo di intendere queste cose: nella teoria di Newton, la realta era

rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di

Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica quantistica, la

rappresentazione della realta non e cosı semplice. Alla domanda se una

funzione Ψ della teoria quantistica rappresenti una situazione reale effettiva,

nel senso valido per un sistema di punti materiali o per un campo

elettromagnetico, si esita a rispondere con un semplice “sı” o “no”. Perche?

(Albert Einstein)

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Indice

Introduzione 4

1 Prima quantizzazione 6

1.1 Verso la meccanica quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.2 La nascita del primo formalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.3 Il formalismo della prima quantizzazione . . . . . . . . . . . . . 12

1.3.1 Grandezze fisiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

2 Seconda quantizzazione 19

2.1 Dalla prima alla seconda quantizzazione . . . . . . . . . . . . . 19

2.2 La seconda quantizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.3 Il nuovo formalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.3.1 La seconda quantizzazione ed i sistemi bosonici . . . . . 31

2.3.2 La seconda quantizzazione applicata ai sistemi fermionici 36

3 N-rappresentabilita 41

3.1 Il problema della N-rappresentabilita . . . . . . . . . . . . . . . 41

3.2 La programmazione semidefinita . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

Conclusioni 55

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Introduzione

Tutto ha inizio alla fine dell’Ottocento, quando ad ogni tentativo di applicazio-

ne dei concetti della meccanica classica alla teoria del campo magnetico ed a

nuove scoperte e studi, non corrispondono che un susseguirsi di falimenti. L’ef-

fetto fotoelettrico, lo spettro di emissione del corpo nero, il modello atomico

di Rutherford e le righe di emissione ed assorbimento degli spettri non appa-

riranno altro che delle “bizzarre anomalie”. In questo clima di incertezze ed

incredulita, nasce quella che d’ora in avanti sara conosciuta come la meccanica

quantistica. La fisica classica che sino a quel momento aveva spiegato tutto,

lascia il posto ad una meccanica che nega il concetto di traiettoria continua,

si basa sul concetto di funzione d’onda e descrive la realta su base probabi-

listica. Questa nuova fisica verra poi diversificata in due quantizzazioni: la

“prima” e la “seconda”. La prima, come vedremo, fondera le sue radici sui

concetti primi della meccanica delle matrici di Heinsenberg e sulla meccani-

ca ondulatoria di Schrodinger; la seconda, la quale si basera sul concetto di

campo particellare e sull’impegno sistematico delle algebre degli operatori di

creazione e distruzione, si dimostrera esser il tentativo, riuscito, della meccani-

ca quantistica nella risoluzione di sistemi di un numero indefinito di particelle,

altrimenti irrisolvibili. La costruzione del campo in termini degli operatori di

creazione e distruzione si presentera, infatti, come una nuova ed indipendente

formulazione del principio di corrispondenza. Quest’ultima, insieme al proble-

ma, tutt’ora irrisolto, della N-rappresentabilita, saranno l’oggetto principale di

questa tesi. Nello specifico, lo scopo ultimo sara, la deduzzione di un metodo

di calcolo partendo dall’algoritmo della programmazione semidefinita (SDPA),

conseguenza anch’esso dei recenti studio e sviluppi della seconda quantizzazio-

ne e della N-rappresentabilita. Questo nostro viaggio avra inizio con la crisi

della fisica classica che porto alla “nascita” della meccanica quantistica, per

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giungere al concetto della “prima quantizzazione” ed in seguito a quello della

“seconda quantizzazione”. Per terminare con lo studio del problema della N-

rappresentabilita applicato al caso specifico dei fermioni.

“I progressi nel campo della fisica si ottengono negando l’ovvio e accettando

l’impossibile” (Robert Anson Heinlein)

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Capitolo 1

Prima quantizzazione

1.1 Verso la meccanica quantistica

La meccanica quantistica nasce “rivoluzionando” quel periodo e mondo in cui,

come affermato da Albert Michelson nel 1899 “Le leggi fondamentali e i fatti

piu importanti della fisica sono stati tutti scoperti, e sono cosı ben stabiliti

che e assolutamente remota la possibilita che vengano soppiantati a seguito di

nuove scoperte”. Fra l’Ottocento e il Novento, infatti, tutta la fisica e ora-

mai spiegata e determinata. Ogni suo aspetto trova una risposta al domanda

“Perche?”: l’elettromagnetismo, ad esempio, e la risposta ai fenomeni elettrici,

magnetici e luminosi; come, d’altronde, la meccanica statistica spiega quel che

concerne il calore e la temperatura. Almeno cosı si pensava fin quando nel

1862 per la prima volta si sentı parlare di corpo nero dal fisico tedesco Gustav

Robert Kirchhoff, questo corpo ideale capace di assorbire completamente ogni

radiazione elettromegnetica che lo colpisce, sara insieme ad altre tre scoperte la

causa del crollo del determinisco classico. Le scoperte a cui faccio riferimento

sono: l’effetto fotoelettrico, il modello atomico di Rutherford ed infine le righe

di emissione ed assorbimento degli spettri; quest’ultime oltre allo spettro di

emissione del corpo nero rappresentano il fallimento della teoria di Maxwell,

che insieme alla teoria di Newton, costituiva la base solida ed assoluta su cui

tutta la fisica fino ad allora era poggiata. Applicando la teoria di Maxwell

“gli elettroni emessi per effetto fotoelettrico dovrebbero esser emessi per ogni

frequenza della radiazione incidente che colpisce il metallo, gli elettroni dovreb-

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bero cadere nel nucleo dell’atomo, uno spettro elettromagnetico non dovrebbe

avere righe posizionate ad intervalli che presentano certe regolarta ed il corpo

nero dovrebbe emettere radiazioni con intensita infinita”[2], ma sperimental-

mente tutto viene contraddetto. Nel 1916 Robert Millikan dimostra l’ipotesi di

Einstein: l’emissione degli elettroni causata dal bombardamento di un metallo

da parte di una radiazione elettromagnetica dipende dalla frequenza e dall’in-

tensita dell’onda che lo colpisce; Ernest Rutherford nel 1909 effettua nel labo-

ratorio di fisica dell’Universita di Manchester quell’esperimento che lui stesso

definira “il piu incredibile mai successomi nella mia vita. Era quasi incredibile

quanto lo sarebbe stato sparare un proiettile da 15 pollici a uno foglio di carta

velina e vederlo tornare indietro e colpirti” e nel 1814 Joseph von Fraunhofer

inventa lo spettroscopio ed il reticolo di diffrazione con il quale e in grado di stu-

diare lo spettro del Sole e delle stelle e di calcolarne esattamente la lunghezza

d’onda, studi spiegati e confermati da G.R.Kirchhoff e Robert Wilhelm Ebe-

rhard Bunsen nel 1859. Infine l’analisi dello spettro di emissione del corpo nero;

quest’ultimo punto rappresentera per molti scienziati proprio la causa scate-

nante della nascita della meccanica quantistica “La bellezza e la chiarezza della

teoria dinamica che asserisce che il calore e luce sono modi di movimento sono

ora oscurate da due nuvole” (Lord Kelvin, 1900, Nineteenth-century clouds

over the dinamical theory of heat and light/Nuvole del diciannovesimo secolo

sulla teoria dinamica del calore e della luce) una delle due nuvole a cui William

Thomson si riferiva e, infatti, l’incapacita della meccanica statistica di spiegare

l’andamento in funzione della frequenza dell’emissione di radiazione del corpo

nero. Il ”corpo nero” cosı denominato da G.R.Kirchhoff, e un oggetto ideale

capace di assorbire tutta la radiazione elettromagnetica che lo viene a colpire

senza che quest’ultima venga riflessa, riprodotto in laboratorio da un oggetto

cavo a temperatura costante in grado di emettere ed assorbire continuamente

radiazioni su ogni lunghezza d’onda dello spettro elettromagnetico. In seguito

agli studi svolti da Josef Stefan e Ludwing Boltzmann, i quali portarono ad

affermare sperimentalmente che la radiazione del corpo nero fosse proporzio-

nale alla quarta potenza della temperatura assoluta (in particolar modo che la

potenza totale J irradiata dall’unita di superficie di un corpo alla temperatu-

ra assoluta T equivalga alla legge empirica J = σT 4); il fisico Wilhelm Wien

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nel 1896 calcolo la densita spettrale del corpo nero ρ(ν, T ) = aν3e−bνT , che ne

descriveva bene l’emissione nel visibile ma deviava rispetto alla curva speri-

mentale nell’infrarosso. Nel 1905 la densita spettrale fu ricalcolata dai fisici

John William Strutt, Baron Rayleight e James Hopwood Jeans immaginando

che le pareti interne del corpo nero si comportassero come “minuscole antenne

oscillanti ciascuna dotata di una frequenza caratteristica, che assorbissero ed

emettessero onde elettromagnetiche di frequenza corrisponedente”[1], la leg-

ge teorica che ottennero (ρ(ν, T ) = 2ν2KTc2

) per quanto spiegasse l’andamento

sperimentale a lunghezze d’onda molto grandi, a frequenze altissime, condu-

ceva a una soluzione assurda: la curva teorica a lunghezze d’onda bassissime

doveva tendere all’infinito. Tale risultato verra successivamente denominato

dal fisico viennese Paul Ehrenfest “catastrofe ultravioletta”. Tra i fisici che

dubitavano “dell’assurda” “catastrofe ultravioletta” vi era anche Max Planck,

convinto sostenitore dei calcoli svolti da W.Wien, ma il fisico viennese dovet-

te arrendersi di fronte agli esperimenti che mostravano un andamento di una

curva a “campana”. Lui stesso si interesso al problema dello spettro del corpo

nero, definendo la ben nota espressione ρ(ν, T ) = 8πhν3

c31

ehνkT −1

, nota oggi come

la Legge di Planck, che presento il 19 ottobre 1900 ad una riunione della Deu-

tsche Physikalische Gesellschaft. “Per giungere a questa conclusione Planck

era stato costretto ad abbandonare la sua cieca fiducia nella verita assoluta

del secondo principio della termodinamica ed ad accettare l’interpretazione

probabilistica di Boltzmann”[1], inoltre, affinche la relazione risultasse corret-

ta secondo l’esperienze sperimentali, dovette ipotizzare che l’energia del corpo

nero fosse discreta, precisamente “Da questo punto di vista e necessario con-

cepire l’energia UN di N oscillatori non come una variabile continua divisibile

all’infinito, ma come una grandezza discreta formata da un multiplo intero di

parti finite tutte uguali tra loro” (M .Planck, 1901). Questa quantita disceta fu

da lui stesso denominata quantum. Partendo dall’ipotesi di M.Planck, fu, pero,

Einsten nel 1905, in seguito ai suoi studi sull’effetto fotoelettrico, a giungere

alla conclusione che le radiazioni elettromagnetiche vengono emesse o assorbi-

te in quanti (definiti nel 1926 fotoni), la cui energia e pari a E = hν dove h

rappresenta la costante di Planck (h ≈ 6, 626 · 10−34Js) e ν la frequenza della

radiazione. Questa ipotesi che per molti anni raccolse lo scetticismo di diversi

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fisici, tra cui Robert Millikan, trovo la sua conferma nel 1916 dallo studio sugli

elettroni emessi dal sodio svolto dallo stesso Millikan. La dimostrazione crucia-

le dell’ipotesi di Einstein, si avra tuttavia, nel 1923 grazie all’effetto Compton

ed alla sua conferma da parte del fisico Louis de Broglie: “La concordanza

tra esperimenti e teoria mostro chiaramente che la diffusione era un fenomeno

quantistico e che un quanto di radiazione portava con se non solo l’impulso

ma anche l’energia”[1]. Quei concetti che nella fisica ottocentesca erano verita

assolute: la materia avente comportamento corpuscolare descritto dalla mec-

canica di Newton e la radiazione elettromagnetica di natura ondulatoria il cui

comportamento era governato dalle leggi di Maxwell; vennero definitivamente

scoinvolte dalla meccanica quantistica secondo cui, le particelle sono onde e le

radiazioni elettromagnetiche un insieme di fotoni.

1.2 La nascita del primo formalismo

Tra il 1924 ed il 1927 si sviluppano quattro concetti fondamentali per la mec-

canica quantistica: il dualismo onda-particella ipotizzato da Louis de Broglie

(1924); la meccanica delle matrici di Werner Heisenberg, Max Born e Pascual

Jordan (1925); la meccanica ondulatoria Erwin Schrodinger (1926) ed infine il

principio di indeteminazione di Heisenberg (1927). Nel 1923 Louis de Broglie

rimase affascinato dal concetto di luce ed in particolar modo dal teoria che

quest’ultima presentasse sia un comportamento ondulatorio che corpuscolare,

a tal punto che decise di trovare una teoria che descrivesse entrambi i compor-

tamenti. Questa sua decisione lo porto nel 1924 all’ipotesi che non solo i quanti

di luce ma qualsiasi particella dotata di massa si potesse comportare e descri-

vere come un’onda; affermando in questo modo il dualismo onda-particella.

(Traduzione di una breve parte della tesi di dottorato di de Broglie: “L’atomo

di luce equivalente in ragione della sua energia totale a una radiazione di fre-

quenza ν e la sede di un fenomeno periodico interno che, visto dall’osservatore

fisso, ha in ogni punto dello spazio la stessa fase di un onda di frequenza ν

propagantesi nella stessa direzione con una velocita sensibilmente uguale (in

alcuni casi leggermente superiore) alla costante detta velocita della luce”).

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La dimostrazione dell’ipotesi di de Broglie

Per giustificare la sua ipotesi, de Broglie, utilizzo sia la Legge di Planck che la

spiegazione di Einstein dell’effetto fotoelettrico descrivendo cosı una radiazione

sotto forma di un quanto di energia E = hν con impulso p = hνc

. Per giungere

alla definizione di impulso, quale il prodotto della costante di Planck per la fre-

quenza ν, calcolo il rapporto energia/quantita di moto Ep

= c2

νe considerando

ν = c, pertanto applicandolo al caso di un fotone , ottenne la formula Ep

= c.

Essendo E = hν, il rapporto appariva, infine , pari a hνp

= c; ed utilizzando

l’uguaglianza λν = c ove λ rappresentava la lunghezza d’onda di un fotone,

arrivo alla formula λ = hp

con la quale dimostro che “una particella traspor-

ta con se, si comporta come, un’onda la cui lunghezza e data dalla formula

λ = hp”[2], in altre parole spiego il principio del dualismo onda-particella.

Il secondo concetto, prima da me citato, e la meccanica delle matrici definita

da Heisenberg, Born e Jordan. A definire questa formulazione fu W.Heisenberg

che nel 1925 lavorando al problema delle righe di assorbimento ed emissione

dello spettro dell’idrogeno penso di introdurre nuove osservabili per descrive-

re i sistemi atomici. Questa sua intuizione lo condusse alla trattazione della

dinamica dell’elettrone in termini quantistici soppiantando le “classiche” coor-

dinate e momenti con coordinate e momenti quantistici discreti qnn(t) e pnn(t).

Tuttavia, per ottenere il quadrato di coordinate con indice doppio, Heisenberg

ricorse a: “una combinazione di intuito e disperazione” in quanto lui che non

conosceva affatto l’algebra delle matrici ne aveva fatto ampio uso per conclu-

dere quella che sara la prima formulazione della meccanica quantistica. A far

chiarezza nella mente di Heisenberg, fu proprio, M.Born, che dopo aver letto il

suo manoscritto si accorse che l’algebra da lui utilizzata era quella delle matrici

ed in collaborazione con Jordan definı il lavoro Heisemberg in linguaggio matri-

ciale. “Heisenberg calcolo le energie Hnn di differenti livelli quantici e pubblico

nel 1925 il lavoro, che segno la data di nascita della meccanica quantistica”

(Heisenberg, 1925). Dopo aver studiato anche lui l’algebra delle matrici, la

integro con un altro lavoro in collaborazione con Born e Jordan (Born, 1926)

che riformulava le sue idee in forma matriciale”[1]. Nel 1926 in sovrapposizio-

ne alla meccanica delle matrici di Heisenberg, Erwin Schrodinger introdusse la

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seconda formulazione della meccanica quantistica: la meccanica ondulatoria.

“Non posso immaginare che un elettrone salti qua e la come una pulce”. Il

termine “meccanica ondulatoria” introdotto dallo stesso Schrodinger il 20 feb-

braio 1926 fu il risultato di diversi studi sulla dinamica dell’elettrone nell’atomo

d’idrogeno che porto il fisico viennese alla definizione di un insieme di funzioni

d’onda Ψn capaci di descriverne l’evoluzione temporale in termini di equazio-

ne differenziale a coefficienti variabili i h2π

∂Ψn∂t

= (− h2

8π2m∇2 + V )ψn. Da questa

equazioni ottenne i tre numeri quantici n, l, m e la formula di Balmer per le fre-

quenze dell’idrogeno. In quello stesso anno Schrodinger pubblico tre differenti

articoli riguardanti: la teoria della quantizzazione come autovalori, l’equazione

applicata all’oscillatore armonico, al rotore rigido ed alle molecole biatomiche

e l’equivalenza della sua teoria con quella di Heisenberg; l’anno successivo con-

cluse la stesura del suo quarto articolo riguardante la soluzione dell’equazione

dipendente dal tempo. Per quanto il mondo della fisica dopo il 1926 si vedeva

diviso tra chi sosteneva Heisemberg e chi come Arnold Sommerfeld appoggiava

la meccanica ondulatoria “Sebbene la verita della meccanica delle matrici sia

indubitabile, il compito di padroneggiarla e estremamente complesso e terri-

bilmente astratto. Schrodinger e venuto in nostro aiuto”; M.Born, in quello

stesso anno, trovo un collegamento tra la meccanica ondulatoria e l’ipotesi

di Heisemberg: il quadrato della funzione d’onda, introdotta da Schrodinger,

moltiplicato per un elemento di volume dt |Ψ|2 dt, rappresentava la probabilita

di trovare l’elettrone in quel elemento di volume dt. In tal modo unı il con-

cetto di funzione d’onda di Schrodinger e la teoria discreta di Heisenberg ed

aprı le porte all’ultimo “tassello” che definı le basi della meccanica quantistica.

Quest’ultimo “tassello” e il principio di indeterminazione di Heisenberg. Una

conseguenza della meccanica quantistica fu l’impossibilita di calcolare in modo

esatto l’evoluzione temporale di un sistema fisico, in altre parole non esisteva

piu il concetto di traiettoria continua. A porsi la domanda di come poter osser-

vare un elettrone fu Heisenberg che affermo che per poterlo vedere bisognava

“colpirlo” con una luce, come i raggi gamma ad esempio, la cui lunghezza

d’onda fosse inferiore al raggio dell’elettrone. Tuttavia sorse un problema; per

l’effetto Compton, tale fotone colpendo l’elettrone ne modificherebbe la posi-

zione e la velocita a causa della quantita di moto (p = hνc

) comunicatagli al

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momento dell’urto. Heisemberg era arrivato in questo modo ad affermare che

∆x ·∆p ≈ h, ossia, che fosse impossibile determinare contemporaneamente la

posizione x e la quantita di moto p di un elettrone, come d’altronde, l’ener-

gia e l’istante di tempo ∆E ·∆t ≈ h. “Esiste un corpo di leggi matematiche

“esatte”, ma queste non possono esser interpretate come espressione di rela-

zioni semplici tra oggetti esistenti nello spazio-tempo. Le previsioni osservabili

di questa teoria possono esser approssimatamente descritte in questi termini,

ma non in modo univoco: l’immagine dell’onda e quella corpuscolare hanno

entrambe la stessa validita approssimativa. Questa indeterminatezza del qua-

dro del processo e un risultato diretto dell’indetermnazione del concetto di

“osservazione” non e possibile decidere, se non arbitrariamente, quali oggetti

devono esser considerati come parte del sistema osservato e quali come parte

dell’apparato osservatore” (W.Heisenberg, 1930). Tutto cio porto alla nasci-

ta della meccanica quantistica ed al suo ingresso nel mondo fisico che fino a

pochi decenni prima si era chiuso nelle sue mura “assolute” e “determinate”,

aprendosi cosı a quella nuova branca della fisica fino ad oggi conosciuta come

“prima quantizzazione”. Quest’ultima, riprendendo le parole di A.Amadori:

“e un modo che a me piace particolarmente per indicare la meccanica quan-

tistica non relativistica, la meccanica quantistica cioe non e coerente con la

teoria della relativita ristretta di Einstein, quindi valida alle basse energie e

fino alla scala atomica”.

1.3 Il formalismo della prima quantizzazione

Dopo aver ripercorso il susseguirsi di alcuni degli avvenimenti che hanno rivo-

luzionato il mondo fisico e che hanno comportato la nascita della meccanica

quantistica, in questo capitolo, introdurro le basi matematiche della prima

quantizzazione. In meccanica quantistica, il concetto di misura viene tra-

sformato e con esso alcune grandezze fisiche vengono ad assumere forma e

significato completamente diverso. Partiamo dalla definizione di stato di una

particella. Lo stato, ossia la rappresentazione matematica di un sistema fisico,

e ora descritto, al variare del tempo t, da una funzione d’onda Ψ(x, t); una

funzione continua, con derivate continue in due variabili reali, lo spazio x e il

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tempo t, a valori complessi Ψ: R× R→ C. Il cui modulo quadro |Ψ(x, t)|2,

come affermato da M.Born, rappresenti la probabilita che la particella si trovi

nella posizione x all’istante di tempo t

dP = |Ψ(x, t)|2 dx.

Quest’ultima affermazione sottolinea come, in meccanica quantistica, la de-

scrizione della realta si basi sul concetto di probabilita deterministica, ovvero

regolata da leggi deterministiche, e non piu sull’ idea di traiettoria “Con il

determinismo classico laplaciano il pensiero dell’uomo era, si puo dire, divi-

no. Con la meccanica quantistica neppure Dio puo sapere con certezza come

evolvera un sistema!”[2]. La funzione d’onda Ψ, osservata dal punto di vista

matematico, e considerata come un vettore dello spazio di Hilbert L2 a infi-

nite dimensioni ... ma prima di andare avanti e necessario, a questo punto,

un passo indietro. Dopo il 1926 con l’introduzione del concetto di funzione

d’onda di Schrodinger e nel 1927 in seguito all’interpretazione di Born sulla Ψ

come ampiezza di probabilita e sul quadrato del suo modulo come densita di

probabilita; ci si pose il problema di definire a livello matematico le soluzioni

dell’equazione di Schrodinger. Partendo dal presupposto che∫|Ψ(x, t)|2 dx

dovesse convergere ad un numero finito N per la compatibilita con il concetto

di probabilita (vedremo dopo che tale numero sara pari ad 1), inoltre che lo

spazio delle funzioni Ψ dovesse godere delle proprieta di somma e prodotto per

uno scalare (Ψ = Ψ1 + Ψ2 Ψ = kΨ1), che il suo prodotto interno fosse pari a

(∫ +∞−∞ Ψ∗1 ·Ψ2dx) ed infine che una Ψ fosse scomponibile rispetto ad una base

ortonormale, si giunse ad affermare che le funzioni accettabili come soluzioni

dell’equazione fossero le funzioni complesse definite in R3 a quadrato sommabili

appartenenti allo spazio di Hilbert. Per comprendere meglio questa afferma-

zione e necessario definire uno spazio di Hilbert ed il concetto di funzione a

quadrato sommabile. Una funzione a quadrato sommabile o integrabile e una

funzione f(x) di una variabile reale a valori reali o complessi il cui integrale

del suo modulo risulta finito in un certo I = [a, b]

∫ b

a

|f(x)|2 dx <∞

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e l’insieme di tutte le funzioni misurabili in un dominio a quadrato sommabile

costituisce un particolare spazio di Hilbert, lo spazio L2. Il perche lo spazio

L2 sia un particolare spazio di Hilbert sta nel fatto che la norma sia indotta

dal prodotto interno1... ma perche? cerchiamo di capirlo introducendo anche

il secondo concetto. Uno spazio di Hilbert e uno spazio vettoriale H, ossia un

insieme Vs = v : S → K, con K il campo ∈ (R o C) i cui elementi sono detti

scalari, S = {s1..sN} e l’insieme degli stati classici di un sistema, particella, di

numero finito e v i vettori dell’insieme Vs dotato delle operazioni di somma e

prodotto per uno scalare

∀s ∈ S (v1 + v2)(s) = v1(s) + v2(s)

(λv)(s) = λv(s)

dove v, v1, v2 ∈ Vs e λ ∈ K, in cui e definito un prodotto interno⟨·, ·⟩

che defi-

nendo a sua volta una norma rende lo spazio metrico (H,d) completo. Ovvero

che nella struttura matematica costituita dall’insieme H e la distanza d(x, y)

ogni successione di Cauchy2 sia convergente3. Giunti a questo punto possia-

mo meglio comprendere perche le soluzioni dell’equazione di Schrodinger siano

funzioni a quadrato sommabile appartenenti allo spazio di Hilbert L2. Nel-

lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile, la distanza risulta esser pari

a d(x, y) = (∑∞

n=1 |xn − yn|2)

12 e la sua norma associata viene ad assumere la

seguete forma ‖x‖ = (∑∞

n=1 |x|2)

12. Cio fa si che si possa riscrivere L2 come

l2 = x ∈ RN : ‖x‖ <∞ concludendo cosı che a norma indotta dal prodotto in-

terno sara (x, y) =∑∞

n=1 xnyn lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile

sia uno spazio di Hilbert e che la definizione di norma soddisfi la caratteristiche

delle soluzioni dell’equazione di Schrodinger, ovvero che l’integrale del modulo

quadro sia finito... ma non solo; lo spazio di Hilbert L2 e uno spazio vettoriale

come richiesto dall’insieme delle funzioni Ψ, contiene una base ortonormale

che consente di riscrivere i vettori come f =∑∞

k=1 ak |φk〉 ed infine definisce

un prodotto interno (f, g) =∫ baf ∗(x)g(x)dx corrispondente al prodotto scala-

1φ : H×H→ C associa ad una coppia di elementi appartenenti a H lo scalare φ(v1, v2) ∈ C.2Successione (xn)n∈N a valori nello spazio metrico (X, d) tale che ∀ε > 0,

∃n(ε) ∈ N : d(xn − xm) < ε,∀n,m > n(ε).3Dato l ∈ R tale che ∀ε > 0,∃n = n(ε) : n ≥ n =⇒| an − l |< ε.

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re tra due funzioni d’onda Ψ. Chairito il perche le soluzioni dell’equazione di

Schrodinger siano funzioni dello spazio di Hilbert L2, riprendiamo il concetto

di prodotto interno. Come detto precedentemente, il prodotto interno a cui

e associata la norma in L2 e pari a (f, g) =∫ baf ∗(x)g(x)dx, dove l’asterisco

indica l’operazione di coniugazione, assume la medesima struttura sostituendo

al suo interno due funzioni d’onda Ψ

(Ψ1,Ψ2) =

∫ +∞

−∞Ψ∗1Ψ2dx.

Questa che puo apparire solo una precisazione di quanto detto sopra, in realta

comporta l’introduzione di diverse proprieta, definizioni ed anche di una nuova

notazione introdotta da Dirac nel 1930. Tale notazione vede i vettori indicati

con i simoboli⟨...bra | e | ...ket

⟩ed il prodotto scalare come

⟨... | ...

⟩, fu

formulata da Dirac per collegare l’interpretazione di Schrodinger sugli stati di

un sistema descritti da una funzione d’onda all’idea degli stati descritti da un

sistema di vettori (nello spazio di Hilbert) e per far cio adotto gli stati impropri

corrispondenti alle funzioni d’onda generalizzate, come, i prodotti di funzioni

nelle variabili posizioni o onde piane4... a questo punto passiamo alle proprieta

del prodotto interno. Tali proprieta sono le seguenti:

< Ψ1 + Ψ2 | Ψ3 + Ψ4 >= 〈Ψ1| |Ψ3〉+ 〈Ψ1| |Ψ4〉+ 〈Ψ2| |Ψ3〉+ 〈Ψ2| |Ψ4〉

〈Ψ1|Ψ2 = 〈Ψ2| |Ψ1〉∗ 〈kΨ1|

|Ψ2〉 = k∗ 〈Ψ1| |Ψ2〉

〈Ψ1| |kΨ2〉 = k 〈Ψ1| |Ψ2〉

‖Ψ‖2 = 〈Ψ| |Ψ〉

l’ultima, nello specifico, definisce la norma quadra della funzione Ψ. Partendo

proprio da quest’ultima proprieta e importante specificare un’ulteriore con-

dizione riguardo la funzione d’onda Ψ, o per meglio dire, la sua norma che

abbiamo lasciato in sospeso: la condizione di normalizzazione. Prima di intro-

durre i concetti di spazio di Hilbert L2 e di trattare le proprieta del prodotto

4Le funzioni d’onda improprie, sono quelle funzioni il cui quadrato non e integrabile.

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Page 16: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

scalare abbiamo affermato che∫|Ψ(x, t)|2 dx dovesser esser convergere a un

certo numero N, il cui valore fosse precisamente 1 per la compatibilita con il

concetto di probabilita introdotta da Born, cio perche il prodotto della norma

quadra di Ψ per dt descrivendo la probabilita di trovare una particella in una

certa posizione x dello spazio all’istante di tempo t, non indica altro se non

la certezza ovvero la probabilita del cento per cento di trovare la particella in

un certo punto dello spazio. Come ben sappiamo la probabilita del cento per

cento e pari ad 1. Quest’ultimo concetto fa si che si deduca la condizione sotto

la quale la norma sia unitaria e la funzione d’onda sia normalizzata; tuttavia,

la funzione d’onda Ψ richiede un’ulteriore chiarimento per poterne completare

la descrizione. Questa condizione e la ortonormalita e deriva dal fatto la Ψ sia

un vettore scomponibile rispetto una base ortonormale, ossia una base compo-

sta da vettori di norma unitaria ‖v‖ = 1 ed ortogonali tra loro⟨xi, xj

⟩= δi,j,

che consente di riscrivere la Ψ come |Ψ〉 =∑∞

k=1 ak |Ψk〉 serie di Fourier dove

ak =< Ψk | Ψ > rappresentano i coefficienti (anche quest’ultimo punto e una

conferma dell’appartenenza dell’insieme delle funzioni Ψ allo spazio di Hilbert

L2). Tale spazio, infatti, essendo completo (come osservato precedentemente),

separabile5 e contenente una base ortonormale rappresenta lo spazio vettoriale,

o per meglio dire, funzionale delle funzioni Ψ. Terminata questa trattazione,

passiamo al concetto di grandezza fisica.

1.3.1 Grandezze fisiche

Come riportato all’inizio del capitolo, la meccanica quantistica comporta un

cambiamento anche per quel che concerne le grandezze fisiche. Quest’ultime,

come vedremo, assumeranno una forma completamente diversa, siccome ad

ogni grandezza “classica” corrispondera in meccanica quantistica un operato-

re lineare, ossia un ente matematico che applicato ad un vettore, in questo

caso appartenente allo spazio L2, ne fornisce un altro Ψ2 = FΨ1. Conside-

riamo nello specifico la grandezza fisica F, l’operatore lineare F e l’equazione

FΨ = FΨ e precisiamone i significati matematici. Con F indichiamo uno sca-

lare che prende il nome di autovalore ed ad esso corrisponde un vettore Ψ

5X e uno spazio separabile se esiste un insieme numerabile (composta da un numero finitodi elementi) e denso (appartenente all’insieme) {xn ∈ X,n = 1, 2...} = X.

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definito a sua volta autovettore e l’insieme degli autovalori che un operatore

possiede, infine, si chiama spettro. A questo punto, dobbiamo definire l’e-

quivalenza tra forma matematica e significato quantistico: ad una grandezza

fisica F corrisponde un operatore F il cui spettro degli autovalori rappresenta

i valori che tale grandezza fisica puo assumere, ma affinche questa afferma-

zione sia vera e necessario che l’operatore soddisfi le condizioni matematiche

dell’insieme delle funzioni d’onda Ψ, ovvero che F sia autoaggiunto. Capiamo

il perche. L’operatore autoaggiunto < FΨ1 | Ψ2 >=< Ψ1 | FΨ2 > comporta

che gli autovalori siano reali e gli autovettori ortogonali. A loro volta que-

ste condizioni soddisfano il fatto che una grandezza fisica assuma valori reali

e che due funzioni Ψ siano ortogonali tra loro (come affermato nella prima

parte del capitolo), nello specifico che siano ortonormali. Quest’ultima consi-

derazione, come vedremo, assume un significato fondamentale. Supponiamo

che Ψk sia un sistema di autofunzioni ortonormali dell’operatore F , allora Ψ

e sviluppabile come |Ψ〉 =∑∞

k=1 ak |Ψk〉 e il valor medio della grandezza F e

uguale a F =< Ψ | F | Ψ >=∑∞

k=1 |ak|2 Fk. Tutto cio, quindi, comporta che

nel momento in cui la particella e nello stato Ψk, ak e uguale ad 1 ossia che

la particella che si trova nello stato in cui la grandezza F possiede il valore

Fk con probabilita 1, equivalga a definire che la particella si trovera sicura-

mente in un certo punto x dello spazio considerato ad un istante di tempo t,

ovvero la certezza. Traendo pertanto le somme di quanto detto, in meccanica

quantistica, gli autovalori di un operatore sono i valori che la grandezza fisica

corrispondente puo assumere e gli autostati sono stati in cui il corripondente

autovalore ha probabilita 1, infine, la formula Ψ =∑∞

k=1 akΨk ha il significato

che la particella quantistica si trovi contemporanenamente in tutti gli stati

corrispondenti allo spettro di una grandezza fisica, ciascuno dei quali ha una

certa probabilita di manifestarsi se sulla particella viene fatta una misura della

grandezza in questione. Cio che apparentemente puo sembrare una contrad-

dizione rappresenta il concetto fisico che vi e dietro il paradosso del gatto di

Schrodinger, ossia il principio di sovrapposizione, secondo il quale un siste-

ma fisico puo trovarsi sia in due stati distinti che in una loro combinazione,

data dalla loro somma Ψ = c1Ψ1 + c2Ψ2. Come preannunciato all’inizio del

capitolo, la meccanica quantisica stravolge il mondo fisico che fino all’ottocen-

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to si fondava su basi solide intaccandone persino la definizione di grandezza,

basti ossevare che la posizione, la quantita del moto e l’energia ora in avanti

assumeranno la seguente forma:

x→ x

px → −i~∂

∂x

E =1

2mp2 + V (x1, ..., xN)→ H = − ~2

2m∆ + V (x1, ..., xN);

tuttavia pensare che questa rivoluzione sia conclusa non e altro che un errore,

nel 1927 Dirac stravolgera nuovamente tutto.

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Capitolo 2

Seconda quantizzazione

2.1 Dalla prima alla seconda quantizzazione

“Quali sono le fluttuazioni in energia in un piccolo volume all’interno di una

cavita occupata da radiazione elettromagnetica in equilibrio termico?”[3], Sia-

mo in grado di giungere alla soluzione di Einstein non partendo dalla legge

di Planck, ma dai principi primi della meccanica quantistica?; Proprio queste

domande saranno la causa della nascita della “seconda quantizzazione” ed e

da quest’ultime che introduco il mio secondo capitolo. A cavallo tra il 1925

e il 1926 il mondo fisico vive un periodo di gran confusione creata dall’intro-

duzione della meccanica quantistica che porto con se varie interpretazioni e

contraddizioni: il mondo e continuo o discreto? la luce e un’onda o una parti-

cella?... Insomma, la meccanica quantistica che sembrava aver risolto tutti quei

problemi che con la per meccanica classica risultavano irrisolvibili, a sua volta

comporto la nascita di ulteriori problemi e domande. Una di queste fu quella da

me citata all’inizio del capitolo ed a porsela furono Born, Heisenberg e Jordan

nel 1925 e nell’anno successivo nella sezione “Oscillatori armonici accoppiati.

Statistica dei campi d’onda” giunsero a darne una risposta affermativa. Jor-

dan, infatti, descrisse la radiazione della cavita come un insieme di oscillatori

armonici indipendenti ed in questo modo riottenne la formula di Einstein, per

le fluttuazioni di energia6 contenente due termini della dualita onda-particella

6Nel 1909 Einstein, dopo aver calcolato la variazione di entropia di un gas composto da nmolecole che lo porto ad affermare che: “sotto il profilo della teoria del calore, una radiazionemonocromatica di piccola densita (all’interno del dominio di validita della legge di Wien) sicomporta come se consistesse dei quanti di energia, tra loro indipendenti, di grandezza hν.”

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< ∆E2 >=< (E− < E >)2 >= hν < E > +<E>2

ZV(ZV corrisponde al numero

di oscillatori con frequenze caratteristiche, ovvero il numero di modi nel volume

V). Seppur questa osservazione non fece molto rumore nel mondo fisico, Born,

Heinsenberg e Jordan la ritennero un passo verso nuove applicazioni e scoper-

te: “Se si tiene presente che la questione qui considerata e in qualche modo

lontana dai problemi la cui indagine ha portato allo sviluppo della meccanica

quantistica, tale risultato puo esser considerato particolarmente incoraggiante

per i futuri sviluppi della teoria.” (Born, Heisenberg e Jordan, 1926) e, come

vedremo, sara esattamente cosı. Il ragionamento alla base dell’idea dei tre fisici

tedeschi non fu solo quello di considerare un campo classico che soddisfaceva

le equazioni delle onde e di considerare i modi del campo come oscillatori ar-

monici disaccoppiati, ma soprattutto, di rienterpretare gli nk, ossia il numero

quantico di un oscillatore come il numero dei quanti dotati della corrispon-

dente frequenza νk, detto altrimenti, come quanti di luce. Questo secondo

punto, nello specifico, definira l’ingresso nel mondo fisico di quella che sara

considerata la “seconda quantizzazione” e della “descrizione corpuscolare” del

campo[3], in questo modo, infatti, si era passati da un problema a un corpo

ad un problema a nk corpi dove i quanti dotati di energia hν, ad ogni tran-

sizione da un livello all’altro, si supponeva che venissero creati o “distrutti”,

ma anche questa volta le rivoluzionarie considerazioni fatte Jordan sembra-

vano non aver attirato l’attenzione di molti fisici, l’unico che invece, sembro

rendersi conto delle potenzialita di queste nuove idee fu Dirac. Dirac, infatti,

nel 1927 decise di applicare il metodo di Jordan ad un sistema dinamico com-

posto da un atomo interagente con un campo di radiazione (“The Quantum

Theory of the Emission and Absorpion of Radiation” [Dirac, 1927]): “Ricordo

che questo lavoro ebbe origine dal semplice giocherellare con le equazioni...”

(T. S. Kuhn, 14 maggio 1963), riuscendo cosı a costruire una teoria quanti-

stica “dell’emissione di radiazione e della reazione del campo di radiazioni sul

sistema che lo emette”[3]. Prendendo in considerazione l’hamiltoniana di un

atomo interagente con un campo elettromagnetico e riscrivendo le grandezze

continuo i suoi studi ricavando le fluttuazioni, ossia variazione quadratica media, d’energia

della radiazione < ∆E2 >=

[(hν)ρ+ ( c3

8πν2 )ρ2

]V dν ed in seguito quelle della pressione, le

quali confermarono l’incompatibilita della teoria di Maxwell nei processio di emissione edassorbimento della luce.

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Page 21: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

del campo in operatori quantomeccanici, giunse a trascrivere le hamiltoniane

in modo tale che rappresentassero le energie dell’atomo, il campo e l’interazio-

ne potendo cosı calcolare i coefficienti dell’emissione spontanea e quelli inerenti

all’emissione e l’assorbimento indotto. Quest’ultimo punto, ossia la scoperta

di poter trascrivere l’hamiltoniana per la materia e la radiazione in termini di

interazione dell’atomo con un insieme di quanti di luce, e la rienterpretazione

delle variabili del campo in operatori quantistici “trovarono un elemento unifi-

cante nella tecnica della cosidetta “seconda quantizzazione”[3]. Questa nuova

meccanica quantistica finalmente risuono come un fulmine a ciel sereno in quel

mondo fisico che ancora, paradossalmente, faceva fatica ad accettare la “prima

quantizzazione”... un moto rivoluzionario nella rivoluzione.

“Le idee di fondo della teoria sono molto semplici. Consideriamo un ato-

mo interagente con un campo di radiazione, che per esser precisi possiamo

considerare confinato in una cavita in modo da avere soltanto un insieme di-

screto di gradi di liberta. Risolvendo la radiazione nelle componenti di Fourier,

possiamo considerare l’energia e la fase di ciascuna componente come delle va-

riabili dinamiche che descrivono il campo di radiazione... possiamo supporre

che Er e θr(la fase) formino una coppia di variabili canonicamente coniugate.

In assenza di interazioni tra il campo e l’atomo, l’intero sistema sara descrivi-

bile dall’hamiltoniana H =∑

r Er +H0 uguale all’energia totale, essendo H0

l’hamiltoniana dell’atomo, poiche le variabili Er e θr soddisfano ovviamente le

equazioni canoniche del moto... Quando c’e un’interazione tra il campo e l’ato-

mo si potrebbe prendere in considerazione la teoria classica aggiungendo un te-

rimine di interazione all’hamiltoniana, che sarebbe una funzione delle variabili

dell’atomo e delle variabili Er θr che descrivono il campo. Questo termine di

interazione fornirebbe l’effetto della radizione sull’atomo ed anche la reazione

dell’atomo sul campo di radiazione. Affinche un metodo analogo possa esser

usato nella teoria quantistica, e necessario assumere che le variabili Er e θr

siano q-numeri (oggetti che non soddisfino la legge commutativa classica come

i c-numeri) soddisfacenti le comuni condizioni quantistiche θrEr − Erθr = ih,

ecc., dove h e l’usuale costante di Planck per (2π)−1. Questa assunzione for-

nisce immediatamente alla radiazione le propieta di quanti di luce... Se ag-

giungiamo ora alla hamiltoniana un termine di interazione (preso dalla teoria

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Page 22: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

classica), il problema puo esser risolto secondo le regole della meccanica quanti-

stica e dovremmo aspettarci di ottenere i risultati corretti per l’azione reciproca

tra radiazione ed atomo. Si mostrera che alla fine si ottengono le leggi corrette

per l’emissione e l’assorbimento ed i corretti valori per gli A e B di Einstein7...

Si mostrera anche che l’hamiltoniana che descrive l’interazione dell’atomo e le

onde elettromagnetiche puo esser resa identica all’hamiltoniana per il problema

dell’interazione dell’atomo con l’insieme di particelle che si muovono alla velo-

cita della luce e che soddisfano la statistica di Bose-Einstein8 con un’opportuna

scelta di energia di interazione per le particelle. Il numero di particelle, aventi

una determinata direzione del moto ed energia, che possono esser usate come

variabili dinamiche dell’hamiltoniana per le particelle, e uguale al numero dei

quanti di energia nell’onda corrispondete all’hamiltoniana per le onde. Vi e

cosı un’armonia completa fra la descrizione dell’interazione delle onde e dei

quanti di luce.”

Questo e il sommario introduttivo con il quale Dirac iniziera la stesura

del “The Quantum Theory of the Emission and Absorpion of Radiation” e ho

deciso di introdurlo in quanto analizzando le stesse parole di Dirac, ritengo,

si possa meglio comprendere come sia avvenuta la definzione di una nuova

quantistica introdotta da Jordan, come detto precedentemente, e coltivata da

Dirac stesso. Cerchiamo, pertanto, di comprendere quanto riportato sopra e

di ripercorrere i vari passaggi matematici della seconda sezione intitolata “The

perturbation of an assembly of indipendent sistems”. Consideriamo, in pri-

mis, un sistema di N particelle non interagenti e l’hamiltoniana H = H0 + V

composta dall’hamiltoniana H0 del sistema atomico imperturbato e la per-

turbazione V. Quest’ultima soddisfando l’equazione di Schrodiger, comporta

che se Ψ =∑

r ar(t)Ψr e soluzione dell’equazione relativa al sistema perturba-

to e Ψr sono soluzioni dipendenti dal tempo dell’hamiltoniana imperturbata,

allora |ar|2 indica la probabilita che il sistema si trovi nello stato r istante

per istante. A questo punto, possiamo affermare che,∑

r |ar|2 = N individua

il numero probabile di sistemi nello stato r, quindi tale numero dovra esser

7coefficiente di emissione spontanea (A) e coefficiente assorbimento (B).8La statistica Bose-Einstein descrive la distribuzione, per l’appunto, statistica dei bosoni,

ossia quelle particelle che non rispondono al principio di esclusione di Pauli, secondo il qualedue particelle non possono occupare lo stesso stato quantico.

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intero. Partendo da queste conclusioni, Dirac definı delle nuove variabili cano-

niche reali Nr e ϕr con le quali identifico “il numero probabile di sistemi nello

stato r e la fase delle autofunzioni che li rappresentano”, inoltre, effettuando

una nuova trasformazione, introdusse le quantita br = N12r e−iθrh b∗r = N

12r e

iθrh e

conseguentemente la fase ϑr, con cui trascrisse la nuova hamiltoniana

F =∑r

WrNr +∑r,s

vrsN12r N

12s e

i(θr−θs)~ .

Tuttavia Dirac non termino cosı il suo scritto e nella sezione tre “The per-

turbation of an assembly satisfying the Bose-Einstein statistics” aggiunse un

ulteriore passaggio... le variabili br e b∗r dovevano esser riscritte in tal modo:

br = N12r e

iθrh b∗r = e

iθrh (Nr + 1)

12 . Quest’ultima considerazione comportava che

anche le θr e le Nr dovessero soddisfare le regole di commutazione [θr, Nr] = ih

“Queste equazioni mostrano che gli Nr possono assumere soltanto valori ca-

ratteristici interi non negativi che forniscono quindi la giustificazione per aver

assunto che le variabili siano q-numeri secondo il modo scelto. Gli abituali nu-

meri quantici sono ora il numero di sistemi dei diversi stati” (come affermato

da Jordan). Detto cio, Dirac riscrisse nuovamente l’hamiltoniana

F =∑r

WrNr +∑

r, svrsN12r (Ns + 1− δrs)

12 e

i(θr−θs)~

e osservo che eiθrh e e

−iθrh rappresentavano gli operatori di creazione e distruzio-

ne, le cui applicazioni su una qualsiasi funzione, nello specifico, sull’equazione

dell’onda comportavano che

ih∂

∂tΨ(N

1, N′

2, N′

3, ...) =

∑r

W′

rN′

r +∑rs

vrs(N′

r(N′

s + 1− δrs)12 )Ψ(N

1, ...N′

r − 1, ...N′

s + 1, ...)

“... il termine F che coinvolge ei(θr−θs)

~ contribuisce solo a quegli elementi di

matrice che fanno riferimento alle transizioni in cui Nr decresce di un’unita e

Ns cresce di un’unita...” oltre al fatto che essendo Ψ(N′1, N

′2, N

.′3, ...) norma-

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lizzata9 e soddisfacente le condizioni iniziali “allora∣∣Ψ(N

′1, N

′2, N

′3, ...)

∣∣2 e la

probabilita della distribuzione in cui N′1 sistemi sono nello stato 1, N

′2 sistemi

sono nello stato 2... in un dato istante” (ciascun insieme degli argomenti del-

la funzione d’onda rappresenta una particolare distribuzione dell’insieme dei

sistemi su tutti i possibili stati)[3]. Dirac con la quantizzazione degli opera-

tori br aveva applicato quella che da quel momento in avanti sarebbe stata la

“seconda quantizzazione” e concludendo che soltano il numero di occupazione

in ogni stato r fosse specificato e ciascun N′

potesse assumere i valori 0, 1 ...,

aveva assunto che la natura dei quanti di luce fosse bosonica. Quest’ultimi

due punti permetteranno a Dirac nella sezione sei di giungere alla conclusione

che “il quanto di luce ha la peculiarita che apparentemente cessa di esistere

quando si trova in un particolare dei suoi stati stazionari, cioe lo stato zero...

Quando un quanto di luce viene assorbito si puo considerare che salti in questo

stato zero e quando viene emesso si puo considerare che salti dallo stato zero a

uno nel quale sia fisicamante evidente, in modo da apparire come se fosse stato

creato. Poiche non c’e limite al numero di quanti che possono esser creati in

questo modo, dobbiamo supporre che ci sia un numero infinito di quanti d luce

nello stato zero”. Nella settima sezione calcolo “i coefficienti di probabilita

di emissione ed assorbimento”, il cui risultato dimostraro che un sistema non

dovesse necessariamente contenere particelle per emetterne. Tutto cio fu solo

una parte del lavoro che Dirac riporto nel 1927 nel “The Quantum Theory of

the Emission and Absorpion of Radiation” e per quanto, tutto cio, possa ap-

parire solo come una serie di formule e passaggi matematici, fu proprio questo

”il fulmine a ciel sereno” che permise alla “seconda quantizzazione” di entrare

ufficialmente nella storia della fisica e di farne Jordan ed , in particolar modo,

Dirac i loro fondatori “Oggi la novita e il coraggio dell’approccio di Dirac al

problema della radiazione possono risultare difficili da apprezzare. Durante

la decade precedente era diventata una tradizione quella di pensare al prin-

cipio di corrispondenza di Bohr come a una guida suprema in tali questioni

e, in effetti, gli sforzi per formulare questo principio in maniera quantistica

avevano condotto alle idee essenziali che prepararono la successiva scoperta

9Una funzione d’onda si dice normalizzata, nel momento in cui, e in grado di rappresentarela probabilita che una certa particella si toivi un un qualche punto dello spazio al tempo t∫|Ψ(x, t)|2 dx = 1.

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della meccanica delle matrici di Heisenberg. Sebbene nella prima meta degli

anni 20 fosse stato ottenuto un certo successo nella descrizioni di processi co-

me l’effetto fotoelettrico, non c’era alcuna possibilita all’interno del principio

di corrispondenza10 di comprendere il processo dell’emissione spontanea o la

scomparsa dei fotoni. La spiagazione di Dirac... arrivo come una rivelazio-

ne.”(Gregor Wentzel, 1960). Tuttavia, la nuova meccanica che nacque dalla

formulazione di una domanda, ne fece emergere un’altra: “Possiamo applicare

il formalismo della “seconda quantizzazione” anche a particelle che rispondo-

no alla statistica Fermi-Dirac11, ovvero ai fermioni?” A porsi questa domanda

fu nuovamente Jordan, il quale partendo dalle idee di Dirac riuscı a darne

la risposta nel 1927. Come primo passo, Jordan riscrisse la θr = π2

0 1

1 0

e la variabile br = eiθrN

12r =

0 1

1 0

in modo tale che rappresentassero delle

particelle in grado di obbedire alla statistica Fermi-Dirac e partendo da queste

nuove formulazioni definı l’equazione di Schrodinger con l’hamiltoniana pertur-

bativa i~ ∂∂t

Ψ =

{∑rWrb

∗rbr +

∑r,s vrsb

∗rbs

}Ψ “mostrando che corrispondeva

alla descrizione di un sistema di fermioni identico a quello fornito dalle funzio-

ni d’onda antisimmetriche nello spazio delle configurazioni”[3], ma solo dopo,

in collaborazione con Wigner completo la formulazione della sua teoria ripor-

tando le regole di anticommutazione [ar, a+s ] ≡ {ar, a+

s = ara+s + a+

s ar} = δrs

{ar, as}

={a+r , a

+s } = 0 che dimostrarono la compatibilita con il principio di

esclusione di Pauli (ossia che uno stato quantico possa contenere al piu due

particelle di spin, o momento di quantita di moto interno, opposto ). Conside-

rando che a+2r = a2

r = 0, infatti, risultava impossibile creare nello stato zero uno

stato di due particelle identiche a+2r |0〉 = 0. Questa ipotesi trovo, tuttavia,

chi la sosteneva ed apprezzava e chi, come Dirac, la riteneva troppo contorta

a tal punto da commentare “Nel caso degli operatori di Jordan-Wigner, non

avevano affatto un analogo ed erano molto strani dal punto di vista classico. I

quadrati di ciascuno di loro erano uguali a zero. Era una situazione che non mi

10Il principio di corrispondenza afferma che il comportamento di un sistema quantisticodeve ridursi a quello di un sistema classico.

11Statistica che descrive la distribuzione dei fermioni, ossia le particelle che rispondono alPrincipio di esclusione di Pauli.

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piaceva”(Dirac, 1927)... Dirac che dalle prime idee di Jordan ne aveva tratto

ispirazione per definire il suo formalismo, adesso le criticava. Eppure proprio

questa matematica cosı oscura aprı le porte alla teoria quantistica dei campi...

ma questa e un’altra storia.

2.2 La seconda quantizzazione

Prima di procedere con la trattazione del formalismo della “seconda quantiz-

zazione”, ritengo doveroso chiarire alcuni punti ed aspetti rigurdanti questa

“nuova” meccanica quantistica. Il termine “seconda quantizzazione”, ripren-

dendo le parole di Fabio Ortolani, “puo risultare fuorviante. Storicamente,

questa terminologia era motivata dall’osservazione che l’algebra di tali ope-

ratori12 favorisce una interpretazione delle eccitazioni quantistiche come unita

discrete “quantizzate” assimilabili a “particelle”. In realta non ci sono due step

successivi di quantizzazione nella meccanica quantistica, sia di singola parti-

cella che di molte particelle, quello di cui stiamo parlando e fondametalmente

un formalismo, adattato a particolari problemi, della “prima e unica quan-

tizzazione” della teoria.”, in altre parole, la “seconda quantizzazione”, come

abbiamo potuto osservare anche nella prima parte del secondo capitolo, e stato

un nuovo strumento con il quale risolvere quei problemi che fino a quel momen-

to per mezzo della “prima ed unica quantizzazione”[4] risultavano irrisolvibili

o molto contorti. Pertanto, questa mia precisazione, ha come finalita quella di

chiarire il fatto che il termine “seconda quantizzazione” non viene ad indicare

una seconda meccanica quantistica, ma un nuovo formalismo di quest’ultima.

Chiarito cio, cerchiamo di comprendere l’utilita che ebbe ed ancora oggi ha la

“seconda quantizzazione”, ma per fare tutto questo e necessario fare un passo

indietro fino alla “prima quantizzazione”... anzi, fino alla meccanica classica.

Consideriamo un sistema di particelle identiche, ossia con le stesse propieta

fisiche quali massa, carica elettrica e spin. Per ognuna di loro, in meccanica

classica, siamo in grado di calcolarne la triettoria e l’evoluzione temporale co-

noscendo la posizione iniziale e la velocita ed avendole distinte l’una dall’altra

con un indice. Con la meccanica quantistica ed uno dei suoi principi fonda-

12ak operatori ladder.

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mentali, il Principio d’Indeterminazione, tutto questo non e possibile. Secondo

il Principio d’Indeterminazione di Heisenberg, infatti, conoscendo la posizione

non possiamo conoscere con altrettanta precisione la quantita di moto e vi-

ceversa, questo fa sı che non si possa tracciare la traiettoria di ogni singola

particella presa in esame e, conseguentemente, non si possa piu distinguere

l’una dalle altre. Comprendiamo meglio quanto detto considerando un siste-

ma composto da due particelle non interagenti di cui indichiamo con (q1 e q2)

l’insieme delle coordinate e dello spin e con H1 e H2 le rispettive hamiltonia-

ne. A questo punto, siamo in grado di riportare l’equazione agli autovalori per

l’energia

(H1 +H2)Ψ(q1, q2) = εΨ(q1, q2)

dove H va ad indicare l’operatore hamiltoniano, ε l’autovalore dell’energia e

Ψ l’autovettore13, ma bisogna fare alcune precisazioni. Riprendiamo l’auto-

vettore Ψnl(q1, q2), quest’ultimo lo possiamo riscrivere come Ψ1

n(q1)Ψ2l (q

2) da

cui eliminiamo gli indici 1 e 2 sapendo che le particelle sono indistinguibi-

li per quanto detto poc’anzi, tuttavia sorge una domanda: se scambiamo la

coordinata q1 con la coordinata q2 cosa succede? quel che succede e che la Ψnl

cambia ma l’autovalore ε rimane invariato, ovvero la degenerazione di scambio.

Quest’ultima comporta che ad un medesimo autovalore corrispondono tanti au-

tovettori quante sono le possibili permutazioni non-equivalenti (gli stati in cui

le particelle si trovano sono tutti diversi) e cio fa sı che le permutazioni siano

pari a N!, in questo caso, quindi, pari a 2!. Tutto cio ci porta a generalizzare

la formula ad un caso di N particelle ognuna in uno stato diverso

Ψ(q1, q2, ..., qN) =1√N !

∑p

cpΨp

in cui Ψp e l’autovettore ottenuto dalla p-esima permutazione, cp indica una

costante associata alla p-esima permutazione ed infine 1√N !

e il fattore di nor-

malizzazione14. In ultima analisi dobbiamo sottolineare il fatto che la degene-

13Come abbiamo potuto osservare nella sezione “Il formalismo della prima quantizza-zione”, gli autovettori sono dei vettori ossia le componenti di uno spazio vettoriale la cuiimmagine equivale al prodotto di un autovalore, scalare, per il vettore stesso.

14Il fattore di normalizzazione e il fattore permette di ottenere la norma di una qualsiasiespressione pari a 1.

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razione di cui abbiamo fino ad ora parlato puo esser rimossa osservando che

uno scambio puo mutare la Ψ al piu di un fattore di fase, consideriamo, infatti,

un operatore di permutazione P

PΨ(q1, q2, ..., qN) = eiαΨ(q1, q2, ..., qN)

sapendo che

PPΨ = PeiαΨ = eiαeiαΨ

possiamo concludere che

ei2αΨ = Ψ

quindi

ei2α = 1

giungendo cosı all’uguaglianza

eiα = ±1

ed infine a poter affermare che per un qualsiasi sistema di particelle identiche

vi sono due relazioni una “simmetrica”(2.1)15 ed una “antisimmetrica”(2.2)16

PΨ(q1, q2, ..., qN) = ±Ψ(q1, q2, ..., qN)

Ψs(q1, q2, ..., qN) =

1√N !

∑p

Ψp (2.1)

Ψa(q1, q2, ..., qN) =

1√N !

∑p

(−1)pΨp. (2.2)

Dopo questo richiamo, possiamo ora immaginare le difficolta che sorsero nel-

l’applicare il formalismo della “prima quantizzazione” a determinati problemi

e le semplificazioni che verranno apportate dalla “seconda quantizzazione”. Le

difficolta a cui faccio riferimento sono:

15Nel momento in cui parliamo di relazione simmetrica facciamo riferimento alle particelleche obbediscono alla statistica Bose-Einstein (vedi nota 8), la cui funzione d’onda viene dettapermanente.

16Nel momento in cui parliamo di relazione antisimmetrica facciamo riferimento alle parti-celle che obbediscono alla statistica Fermi-Dirac (vedi nota 11), la cui funzione d’onda vienedetta determinante di Slater.

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• nei sistemi non relativistici l’elevato numero di particelle, troppo grande

per rappresentarlo tramite la funzione d’onda di Schodinger

• nei sistemi relativistici il numero infinito di gradi di liberta

Entrambi i punti rappresentarono per il mondo fisico degli ostacoli da dover

superare cosicche vennero a determinarsi nel corso degli anni nuovi formalismi

e teorie che ancora oggi richiamano l’attenzione e curiosita da parte di molti.

In particolar modo, il caso relativistico, ha aperto le porte a nuove branche

della fisica come la teoria dei campi il cui scopo e quello di far coesistere la

meccanica quantistica e la relativita in uno stesso formalismo e di correggere

quelle incongruenze che con la “prima quantizzazione” sorsero applicandovi

appunto la relativita... ma torniamo a noi ed alla “seconda quantizzazione”.

2.3 Il nuovo formalismo

Riprendendo quanto detto precedentemente, introduciamo la definizione di

“seconda quantizzazione” dalla quale poi ne desciveremo il vero e proprio for-

malismo... Iniziamo!. La “seconda quantizzazione” e un metodo che “si basa

sull’impiego sistematico dell’algebre CCR a CAR, dette comunemente degli

operatori di creazione e distruzione, per la costruzione della meccanica quanti-

stica di insieme di un numero indefinito di particelle identiche... la costruzione

del campo in termini degli operatori di creazione e distruzione di un sistema

di particelle identiche si presenta come una nuova ed indipendente formulazio-

ne del principio di corrispondenza”[6]. Utilizzando le parole di Carlo Maria

Becchi, tracciamo le basi del nostro discorso partendo della descrizione di un

sistema di N particelle quantistiche identiche, che abbiamo gia introdotto nella

prima parte. Un sistema di N particelle identiche e un sistema le cui osser-

vabili, nello specifico la posizione (~ri), la quantita di moto (~pi) ed il momento

angolare interno (~si) corrispondono a funzioni simmetriche soggette a regole

di commutazione canoniche

[rai , pbj] = ihδijδ

ab

[sai , sbj] = ihδijε

abcsci

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dove ε sta ad indicare il tensore antisimmetrico di Ricci17 e 1 ≤ i ≤ N l’indice

di particella. Quest’ultime sono solo alcune delle variabili che descrivono il

nostro sistema ed elencarle tutte sarebbe un lavoro immenso, tuttavia la “se-

conda quantizzazione” ci viene incontro anche adesso. Riflettendo sul fatto

che le osservabili sono classificabili in termini di numero di particelle coinvolte,

siamo in grado di generalizzare questa classificazione introducendo il simbolo

ξi. Quest’ultimo, infatti, consente di indicare le variabili dinamiche relative

alla i-esima particella introducendo una generica osservabile

O ≡N∑k=1

O(k)

in cui O(k) sono gli operatori a k particelle. Fatta anche questa precisazione

torniamo a parlare della funzione d’onda. Come affermato nella prima parte,

la funzione d’onda identifica due differenti classi di simmetria, ossia la classe

simmetrica e la classe antisimmetrica, e nel caso di un sistema di N particelle

risulta esser la somma di N! termini. Quest’ultimo punto, come abbiamo

potuto osservare, fu la causa della nascita della “seconda quantizzazione”, in

quanto solo per mezzo di questo nuovo formalismo si fu in grado di semplificare

e ridurre i numerevoli calcoli “La funzione associata ad uno stato generico di N

corpi risulta esser la somma di N! termini... Il calcolo di un generico elemento di

matrice di un operatore comporta la valutazione di un gran numero di integrali

distinti. La seconda quantizzazione e un algoritmo che permette di ridurre la

complessita di questi calcoli tenendo automaticamente conto delle relazioni di

simmetria fra i differenti integrali che contribuiscono agli elementi di matrice di

operatori a pochi corpi. Il punto di partenza consiste nella costruzione di una

base ortonormale completa per un sistema di N bosoni utilizzando le funzioni

d’onda di una base dello spazio degli stati a singola particella.”[6]. Arrivati a

questo punto, prendiamo in considerazione un sistema costituito da bosoni e

cominciamo il nostro viaggio verso la trattazione del formalismo della “seconda

quantizzazione”.

17εijk vale +1 per le permutazioni pari, −1 per le permutazioni dispari oppure 0.

30

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2.3.1 La seconda quantizzazione ed i sistemi bosonici

“... Il punto di partenza consiste nella costruzione di una base ortonormale

completa18... ”[6], per far questo indichiamo con ν l’osservabile di singola

particella i cui valori distinguono gli stati dalla base e con Ψν(η) il generico

elemento della base corrispondente, “i cui valori saranno costruiti scegliendo

in tutti i modi possibili N stati di singola particella e costruendo il prodotto

simmetrizzato delle corrispondenti funzioni d’onda”[6]

Ψ(S)ν1,...,νN

(η1, ..., ηN) = k∑P (N)

N∏i=1

ψνi(ηP(i)) (2.3)

ove la somma si riferisce alle permutazioni degli indici di particella e k al fattore

di normalizzazione (vedi nota 14). Proprio quest’ultima equazione (2.3), a

cui corrispondono tutte le possibili scelte di ennuple ν1, ..., νN non riducibili

l’una all’altra per permutazioni, rappresenta una base ortonormale e completa

per lo spazio degli stati di N bosoni; basti osservare che l’insieme di tutti i

possibili prodotti di N funzioni della base di singola particella,∏N

i=1 ψνi(ηi),

costituisce una base ortonormale e completa per lo spazio di Hilbert degli stati

di N particelle senza restrizioni sulla statistica. Individuata a questo punto

la base ortonormale, occorre fare il passo successivo, ovvero, introdurre due

ulteriori termini per completare la definizione di funzione d’onda: il numero

di occupazione dello stato ν, {Nν}19 ed il fattore di normalizzazione. Il primo

termine permette, infatti, di indicare quali stati di singola particella ed il

numero delle volte che essi appaiono nell’elenco ordinato degli indici, facendo

sı che la funzione d’onda (2.3) venga riscritta come :

Ψ(S)ν1,...,νN

(η1, ..., ηN) ≡ Ψ(S){Nν

}(η1, ..., ηN).

ed il fattore di normalizzazione pari a

k =1√

N !∏

ν Nν !

18Una base ortonormale completa e un’insieme di vettori di norma unitaria ed ortogonalitra loro. Questo concetto e stato da me gia spiegato nella sezione “Il formalismo della primaquantizzazione”.

19La successione dei numeri di occupazione e soggetta al vincolo∑ν Nν = N .

31

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(dove N! indica il numero di prodotti di funzioni di singola particella e∏

ν Nν !

il prodotto su tutti gli stati occupati piu di una volta dei numeri Nν ! delle

permutazioni delle particelle occupanti lo stato ν) ci consentira di trascrivere

definitivamente la funzione d’onda nel seguente modo

Ψ(S)ν1,...,νN

(η1, ..., ηN) ≡ Ψ(S){Nν

}(η1, ..., ηN) =1√

N !∏

ν Nν !

∑P (N)

ΨNi=1Ψνi(ηP (i)),

Giunti a questo punto, verrebbe spontaneo applicare il formalismo della “prima

quantizzazione” e proseguire i nostri calcoli, ma l’equazione finale pur essen-

do formalmente corretta, non risulta troppo complicata? Sı, ed e proprio per

questo motivo che nacque la “seconda quantizzazione”, questo nuovo formali-

smo, come detto piu volte nella prima parte del secondo capitolo, fu introdotto

da Jordan per superare l’ostacolo di dover risolvere ed utilizzare una funzione

d’onda cosı ”contorta” ed e da cio che partı per introdurre l’operatore a singola

particella. Capiamo il perche. Consideriamo un generico operatore a singola

particella

F (1) =N∑i=1

f(ξ)

e l’elemento di matrice dell’operatore F fra gli stati µ e ν della base di singola

particella

fµ,ν ≡ 〈ψµ| f |ψν〉 ,

con questi elementi, calcoliamo l’azione dell’operatore su un generico stato della

base considerata e prendendo atto del fatto che l’operatore F (1) e invariante

per permutazioni SF (1) = F (1)S osserviamo il calcolo finale

F (1)ψ(S){Nν

} =∑µ,λ

fµ,λ

√Nλ(Nµ + 1− δλ,µψ(S){

Nσ−δσ,λ+δσ,µ

}(η1, ..., ηN).

Cio che salta subito all’occhio e la sola presenza dei termini di numeri d’occu-

pazione degli stati e degli elementi di matrice dello stesso operatore, e proprio

questo particolare aspetto che semplifico notevolmente i calcoli, ma porto con

se delle novita, ossia il concetto di spazio di Fock e gli operatori di creazione

e distruzione. Lo spazio di Fock fu introdotto nel formalismo della “seconda

quantizzazione” siccome, era necessario un allargamento dello spazio di Hilbert

32

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che contenesse qualsiasi numero di bosoni interni al sistema e l’introduzione

dei due operatori fu suggerita dalla dipendenza dai numeri di occupazione degli

elementi di matrice

〈Ψ{Nν+δν,µ−δν,λ

}|F (1) |Ψ{Nν

}〉 = fµ,λ

√Nλ(Nµ + 1− δλ,µ).

Quest’ultima condizione, difatti, porto alla fattorizzazione del processo di tran-

sizione a singola particella in due passaggi, in cui nel primo una particella sa-

rebbe stata sottratta dallo stato λ con un’ampiezza proporzionale al numero

di occupazione e nel secondo la particella sarebbe stata “creata” nello stato µ

con ampiezza proporzionale alla radice del relativo numero di occupazione au-

mentata di un’unita. Detto cio studiamo meglio le caratteristiche dello spazio

di Fock e degli operatori di creazione e distruzione. Lo spazio di Fock, come

osservato prima, e un allargamento dello spazio di Hilbert, quest’ultimo, infat-

ti, corrisponde alla somma cartesiana infinita tra lo spazio di Hilbert generato

dallo stato di vuoto H(0), lo spazio di singola particella H(1) e lo spazio a N

bosoni H(N)

HS ≡ H(0)⊕

H(1)

∞⊕N=2

H(N)S .

20 ed e uno spazio di Hilbert separabile (vedi nota 5), siccome contiene al suo

interno una base numerabile. Per quel che concerne gli operatori di distruzione

e creazione, la loro funzione e appunto quella di sottrarre o aggiungere una

particella nello stato su cui operano

Aµ |Ψ〉{ν} =

√Nµ |Ψ〉{

Nν−δν,µ}

A†µ |Ψ〉{ν} =√Nµ + 1 |Ψ〉{

Nν+δν,µ

} ,20Per somma cartesiana infinita di spazi di Hilbert intendiamo lo spazio di Hilbert la

cui base numerabile (composta da un numero finito di elementi) e ottenuta riordinando glielementi di una successione di basi, ossia successioni. Nello specifico caso dello spazio diFock, tale base e riducibile all’insieme{

Ψ{Nν

}}, con la condizione∑ν

Nν <∞

.

33

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inoltre quest’ultimi, la cui forma e stata riportata precedentemente, permet-

tono una riscrittura dell’operatore a singola particella F (1) =∑

µ,λ fµ,λA†µaλ la

cui espessione, come possiamo osservare, e espressa senza tener conto il nu-

mero totale di particelle. Riprendendo quanto scritto all’inizio della sezione,

gli operatori di creazione e distruzione essendo soggetti alle seguenti regole di

commutazione

[Aµ, A†ν ] = δµ,ν , [Aµ, Aν ] = 0

generano un’algebra chiamata CCR, ossia, algebra delle relazioni di commuta-

zione canoniche, questo comporta il fatto che gli stati

|Ψ{ν}〉 =

∏ν

(A†ν)Nν√

Nν !|Ψ{0}〉

costituiscano un sistema ortonormale di autovettori dei numeri di occupazione

identificabile con la base su cui si e costruito lo spazio di Fock, ma quanto detto

non e sufficiente, bisogna fare altre considerazioni affinche l’algebra CCR sia

indipendente dalla scelta di una base per lo spazio degli stati ad una particella

H(1). Prendiamo in considerazione una nuova base {Ψν(η)} e notiamo che

quest’ultima puo esser sviluppata in serie degli elementi della base di partenza

ϕν(η) =∑µ

〈ψµ | ϕν〉ψµ(η),

a questo punto, possiamo riscrivere gli operatori di creazione e distruzione nel

seguente modo

A†ν =∑µ

〈ψµ | ϕν〉A†µ

Aν =∑µ

〈ψµ | ϕν〉Aµ

tutto cio fa sı che considerando due funzioni d’onda qualsiasi di singola parti-

cella g e f si possano definire gli operatori come:

A(f)† =∑µ

〈ψµ | f〉A†µ

A(g) =∑µ

〈g | ψµ〉Aµ

34

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riottenendo le regole di commutazione

[A(g), A(f)] = 0

[A(g), A†(f)] = 〈g | f〉.

Quanto dedotto ci porta alla conclusione che in tal modo, le regole CCR sia-

no indipendenti dalla scelta della base, dovendo tuttavia specificare che, per

arrivare fin qui si e posto che gli stati fossero normalizzabili. Non manca che

un ultimo punto per completare il formalismo della “seconda quantizzazione”,

ovvero, la generalizzazione della sua applicazione ad operatori a k particelle.

Ripartiamo dall’operatore a singola particella

O(k)

N∏i=1

ψνi(ηi) =∑

µ1,...,µk

N∑i1<...<ik=1

o(k)S,µ1,...,µk;νi1 ,...,νik

N∏j=1,j 6=is,s=1,...,k

ψνj(ηj)k∏l=1

ψµλ(ηil),

dove

o(k)S,µ1,...,µk;νi1 ,...,νik

=

∫ k∏s=1

∂ηsψ∗µ1

(η1)...ψ∗µk(ηk)o(k)S ψν1(η1)...ψνk(ηk)

ed applichiamo ad ambo i membri l’operatore di simmetrizzazione S, scam-

biando, inoltre, la somma sugli indici di particella con la somma sugli indici

di stato ed aggiungendo il fattore 1k!

per abbandonare l’ordine crescente degli

indici di particella , otteniamo la seguente formula

O(k)Ψ(S){Nν} =

1

k!

∑µ1,...,µk

∑λ1,...,λk

o(k)S,µ1,...,µk;λ1,...,λk

.

Dall’ultima espressione possiamo dedurre che considerando due operatori a

singola particella pari a

F (1) =N∑i=1

f(ξi)

G(1) =N∑i=1

g(ξi)

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quest’ultimi agendo sulla stessa particella, generano un nuovo operatore

F (1)G(1) =∑µ,λ,ρ

fµ,λgλ,ρA†µAρ +

∑µ,ν,λ,ρ

fµ,λgν,ρA†µA†νAλAρ.

Tutto cio porta alla conclusione che e possibile iterare il processo passando ad

operatori a due particella a N particelle, sostituendo ogni volta una funzione

d’onda con un generico operatore Φ21. Proprio questa sostituzione suggerı il

nome di “seconda quantizzazione”.

2.3.2 La seconda quantizzazione applicata ai sistemi fer-

mionici

Dopo aver descritto e spiegato il formalismo della “seconda quantizzazione” in

un sistema bosonico, concludiamo questo secondo capitolo con l’introduzione

del metodo della “seconda quantizzazione” a sistemi fermionici. Ripartiamo

anche ora dalla costruzione di una base ortonormale completa per lo spazio

degli stati di N particelle, per far questo, consideriamo nuovamente la base

{ψν(η)} (dove η indica un insieme completo di varibili commutanti e ν enumera

gli autovalori di un’osservabile) e ribadiamo che gli elementi della base ”saranno

costruiti scegliendo in tutti i modi possibili N stati distinti di singola particella

e costruendo il prodotto antisimmetrizzato delle corrispondenti funzioni d’onda

Ψ(A)ν1,...,νN

(η1, ..., ηN) =1√N !

∑P (N)

N∏i=1

(−1)|P (N)|ψνi(ηPI ) (2.4)

”[6] in cui (−1)|P (N)| indica la parita della permutazione degli stati. Nello

specifico, quest’ultimo elemento individua la parita del numero degli scambi

di coppie necessaria per ottenere la permutazione desiderata, inoltre, questo

numero pari a∑N

k=1

∑Nm=k+1 θPνk ,Pνm , varra 1 se µ > ν oppure zero (ricordia-

mo che stiamo considerando sistemi composti da fermioni, vige il Principio di

esclusione di Pauli, secondo il quale il numero di occupazione dovra esser pari

a 1 o 0)... detto cio, ritorniamo a parlare dell’equazione (2.4). Quest’ultima

oltre al termine (−1)|P (N)| presenta al suo interno il fattore di normalizzazio-

21Operatore funzione d’onda Φ(~r) ≡ 1L3

∑~k e

i~k·~rA~k

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ne (vedi nota 14) 1√N !

, infatti, trovandoci in sistemi soggetti alla statistica di

Fermi, la stessa funzione d’onda e ottenibile dividendo per la radice di N! il

determinante della matrice quadrata i cui elementi sono ψνi(ηj), ossia il deter-

minante di Slater (vedi nota 11)22, inoltre a causa del Principio di esclusione

di Pauli, i numeri di occupazione {Nν} degli stati di singola particella saran-

no pari a 1 o 0 . A questo punto, come fatto nel caso bosonico, calcoliamo

l’azione di un operatore di singola particella F (1), invariante per permutazioni∑Ni=1 f(ξPi) =

∑Ni=1 f(ξi), su un generico stato della base scelta. La formula

che otteniamo

∑µ

[Nµfµ,µΨ(A){Nν}(η1, ..., ηN) +

N∑i=1

(1−Nµ)Nνifµ,νi [θµνi(−1)∑Nj=i+1 θµνi

+θνi,µ(−1)∑i−1j=1 θνi,µ]Ψ

(A){Nσ−δσ,νi+δσ,µ}

(η1,...,ηN )

ci permette di sottolineare nuovamente la sola dipendenza dai numeri di occu-

pazione e dagli elementi di matrice, ma non solo!, osservando con attenzione il

termine proporzionale a Nν , osserviamo che l’unico contributo alla somma su

i e dato dall’addendo µ = νi, ossia Nµ = 1, invece il secondo termine propor-

zionale a 1−Nµ corrisponde al caso in cui i contributi della somma su µ sono

dati da Nµ = 0 23. Giunti fin qua, come gia fatto nel caso di sistemi bosonici,

fattorizziamo l’azione dell’operatore di singola particella “distruggendo” una

particella nello stato iniziale e “creando” una particella nello stato finale, per

proseguire introduciamo gli operatore di creazione e distruzione fermionici e lo

spazio di Fock fermionico. Quest’ultimo, come per i sistemi bosonici, equivale

alla somma cartesiana tra lo spazio generato dallo stato di vuoto H0, lo spazio

a singola particella H(1) ed infine la serie infinita degli spazi degli stati di N

fermioni H(N)A

HA ≡ H(0)⊕

H(1)

∞⊕N=1

H(N)A

22Il determinante in questo caso presentera sia le colonne che le righe ordinate in modocrescente affinche il segno della funzione d’onda non cambi.

23l’esponente −1 calcola, nel primo termine, gli stati occupati con indice compreso fraνi+1 e µ, a differenza dell’esponente −1 al secondo termine, il quale conta gli stati occupaticon indice compreso tra µ e νi−1.

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e contiene al suo interno la base ortonormale composta dagli autostati dei nu-

meri di occupazione sugli stati della base di singola particella scelta {|Ψ{Nν}〉}la quale presentera, come abbiamo gia potuto vedere, come la condizione∑

ν Nν < ∞ (vedi nota 19).24Terminata l’introduzione dello spazio di Fock

fermionico, continuiamo parlando degli operatori di distruzione e creazione.

L’operatore di distruzione

Aµ |Ψ{Nν}〉 = (−1)∑µ−1τ=1 NτNµ |Ψ{Nν−δν,µ}〉

e il suo coniugato hermitiano, l’operatore di creazione

A†µ |Ψ{Nν}〉 = (−1)∑µ−1τ=1 Nτ (1−Nµ) |Ψ{Nν+δν,µ}〉

ci permettono di riscrivere l’operatore di singola particella F (1) come:

F (1) =∑µ,λ

fµ,λA†µAλ,

in questo modo, infatti, l’espressione non tiene conto del numero totale di parti-

celle. A differenza del caso dei sistemi soggetti alla statistica di Bose-Einstein,

i due operatori fermionici definiscono due relazioni di anticommutazione

{Aµ, A†ν} = δµ,λ

{Aµ, Aν} = 0

ed un generico elemento della base di autostati dei numeri di occupazione pari

a

|Ψ{Nν}〉 =

(ord)∏ν

(A†ν)Nν |Ψ{0}〉 (2.5)

dove (ord) viene ad indicare che il prodotto deve esser ordinato con gli in-

dici crescenti da sinistra verso destra. Nuovamente possiamo concludere che

gli operatori di creazione e distruzione generano un’algebra definita in que-

sto caso CAR, ossia l’algebra delle relazioni di anti-commutazione canoniche

e gli stati (2.5) costituiscono un sistema ortonormale di autovettori dei nume-

24Essendo Nν pari a 1 o 0 questa condizione risulta sicuramente verificata.

38

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ri di occupazione che identifica la base su cui e stato costruito lo spazio di

Fock fermionico. Tuttavia il nostro discorso sull’applicazione della “seconda

quantizzazione” a sistemi fermionici non termina qui, manca ancora un ultimo

passaggio. Quest’ultimo passaggio a cui faccio riferimento e la definizione di

una nuova algebra CAR che non presenti alcun dipendenza dalla scelta della

base per lo spazio degli stati ad una particella H(1) e per far questo, come nella

sezione “La “seconda quantizzazione” ed i sistemi bosonici” , procediamo con-

siderando una base i cui elementi sono le funzioni d’onda {ϕν(η)} e ridifinendo

gli operatori di distruzione e creazione come:

A†ν =∑µ

〈ψµ | ϕν〉A†µ

Aν =∑µ

〈ϕν | ψµ〉Aµ

ai quali sostituendo due funzioni d’onda qualsiasi di singola particella f e g al

posto di ϕν ottengo

A(f)† =∑µ

〈ψµ | f〉A†µ

A(g) =∑µ

〈g | ψµ〉Aµ

cosicche le regole dell’algebra CAR risultino indipendenti dalla scelta di una

base. Utilizzando le parole di Carlo Maria Becchi, portiamo a termine la descri-

zione dell’algoritmo della “seconda quantizzazione” applicato al caso fermioni-

co: “Possiamo riassumere il confronto dicendo che si passa dal caso bosonico

a quello fermionico sostituendo le regole di commutazione canoniche con ana-

loghe regole di anticommutazione. Anche nel caso fermionico, come in quello

bosonico, partendo dalle regole di anticommutazione canoniche ed introducendo

lo stato di vuoto come autovettore nullo simultaneo di tutti gli operatori distru-

zione e possibile ricostruire l’intera struttura dello spazio di Fock25. Passiamo

ora a considerare come l’algoritmo si estede alla costruzione degli operatori a

molte particelle”[6] ... ripercorrendo i medesimi passaggi per un sistema bo-

sonico, prendiamo in considerazione due generici operatori a singola particella

25Lo stato di vuoto nel caso bosonico equivale a Aν |Ψ{0}〉 = 0, nel caso fermionico aAµ |Ψ{0}〉 = 0

39

Page 40: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

F (1) e G(1) e calcoliamone il prodotto

F (1)G(1) =∑µ,λ,ρ

fµ,λgλ,ρA†µAρ +

∑µ,ν,λ,ρ

fµ,λgν,ρA†µA†νAρAλ

e come nella sezione precedente notiamo che e possibile generalizzare ed iterare

i calcoli ottenendo, nello specifico caso di un operatore a due particelle, la

formula

F (2) =1

2

∑µ,ν,λ,ρ

fµν,λρA†µA†νAρAλ.

A questo punto non rimarrebbe che concludere il capitolo, ma ritengo doveroso

prima citare il Teorema di Wick. Questo teorema , infatti, risulta fondamentale

in quanto stabilisce la relazione tra un qualunque prodotto e quello in forma

normale , per comprendere meglio quanto detto basta riflettere sul fatto che

nell’algoritmo della “seconda quantizzazione” il generico calcolo dell’elemento

di matrice di un prodotto di operatori si riduce a quello del valor medio nel

vuoto di un prodotto di operatori di creazione e distruzione il cui ordine dovra

esser normale, ossia con gli operatori di distruzioni posti alla destra di quelli

di creazione∏K

k=1 Aσkνk

. In definitiva il teorema di Wick fornisce un algoritmo

generale per il calcolo degli elementi di matrice ed i valori medi su stati puri

(vettori di base) di un sistema molti corpi permettendo di riscrivere il valor

medio nel vuoto come:

〈Ψ0

2M∏k=1

AσkνkΨ0〉 =2M∑j1=2

C1,j1〈Ψ0

2M∏k 6=1,k=2

AσkνkΨ0〉 26 (2.6)

. Con cio concludo il secondo capitolo o meglio questo breve viaggio nel

contorto ma elegante mondo della “seconda quantizzazione”.

40

Page 41: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

Capitolo 3

N-rappresentabilita

3.1 Il problema della N-rappresentabilita

“All the necessary information required for the energy and for calculating the

properties of molecules is embodied in the first- and second-order density ma-

trices. These may, of course, be obtained from the wave function by a process

of integration. But this is aesthetically unpleasing...” (C. A. Coulson)

Iniziamo il terzo ed ultimo capitolo partendo proprio da questo aesthetically

unpleasing process e da una nuova domanda: “Siamo in grado di descrivere

un sistema di N-particelle solo con 2 elettroni?”... Questo e quel che viene

definito il problema della N-rappresentabilita ed e di questo di cui parleremo.

Il problema della N-rappresentabilita nasce, o per meglio dire viene introdot-

to nel mondo della Fisica, dal chimico statunitense Joseph Edward Mayer nel

1955, il quale in una sua pubblicazione, propose di calcolare lo stato fondamen-

tale dell’energia variazionalmente come un funzionale27 della matrice densita

ridotta28 a due particelle (2 − RDM). Quest’ultima, tuttavia, per esser in

27Il funzionale e una regola per passare da una funzione ad un numero, attraverso l’in-tegrazione in una o piu variabili[8]. Nello specifico caso del valore di attesa dell’energiaquest’ultima e espressa come funzionale della dunzione d’onda

E[Ψ] =

⟨Ψ | H | Ψ

⟩⟨Ψ | Ψ

⟩ .

28Considerando un sistema composto da due sottoinsiemi, il cui spazio e lo spazio di Hil-bert H = HA

⊗HB , dove A e B sono i sottoinsiemi, la matrice densita riferita ad A o B e

detta matrice densita ridotta ed e uguale a ρAoB =⟨m |MAB | m

⟩= TrAoB [ρAB ]. Quest’ul-

tima presenta le stesse proprieta di una matrice densita, ossia e Hermitiana, semidefinita

41

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grado di rappresentare una funzione d’onda di N-elettroni doveva presentare

delle “constraints”, ossia, delle condizioni, che nel 1963 vennero denominate

da A. J. Coleman “N-representability conditions”. Nell’articolo “Structure of

Fermion Density Matrices” Coleman dimostro che le condizioni di Pauli per la

matrice densita ridotta ad una particella (1−RDM), ovvero che gli autovalori

dovessero esser compresi tra 0 e 1, risultassero esser le condizioni necessarie e

sufficenti affinche la matrice 1−RDM rappresentasse l’ensemble della matrice

densita a N-elettroni. Oltre a cio, presento quattro “conditions” sulla γ, la

matrice densita ridotta ad una particella:

1. γ deve esser Hermitiano, γ(1 | 1′) = γ∗(1′ | 1),

2. γ deve esser semidefinita positiva∫ϕ(1)γ(1 | 1′)ϕ∗(1′)dτ1dτ1′ ≥ 0,

3. γ deve avere una traccia29 finita,

4. Gli autovalori ni di γ devono risultare ni ≤ 1.

giungendo cosı a definire il seguente Teorema: “Una condizione sufficiente per

la N-rappresentabilita della matrice densita di primo ordine γ e che quest’ul-

tima soddisfi le condizioni dalla 1 alla 4 e che tutti gli autovalori di γ siano

ugualmente degeneri (siano divisibili per 2).”, ma a questo punto, quel che

viene da chiedersi e il perche si parli delle condizioni della matrice 1−RDM ,

quando e di nostro interesse analizzare la matrice densita ridotta a due par-

ticelle. Per chiarire questo dubbio, riportiamo una frase di David. A. Maz-

ziotti: “... the 1 − RDM ’s generalized Pauli constraints 30generate pure N-

representability constraints on the 2−RDM ... ” (“... le condizioni generali di

Pauli della matrice densita ridotta ad una particella generano le condizioni pu-

re di N-rappresentabilita sulla matrice densita ridotta a due particelle...[10]”).

positiva ed ha traccia unitaria ed e, come la matrice densita, la rappresentazione in matricedell’operatore densita su una certa base ortonormale (dove con m definiamo il set completodi stati ortonormali e MAB l’operatore definito su A e B [vedi note]).

29La traccia di una matrice corrisponde alla somma degli elementi posti sulla diagonale,Tr(M) =

∑ni=1 aii dove aii rappresenta l’elemento posto sulla i-esima riga ed i-esima colonna

della matrice M.30Pure N-representability constraints, ossia la somma delle restrizioni sulla 1−RDM e le

condizioni di Pauli.

42

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Quanto riportato ci fa comprendere quale sia il legame tra la 1 − RDM e

la matrice densita ridotta a due particelle, inoltre chiarisce il dubbio che pri-

ma era sorto, ossia perche partire dalle condizioni 1 e 4 inereti alla matrice

densita ridotta ad una particella per parlare della 2−RDM , ma senza soffer-

marci oltre su quest’ultimo punto, riprendiamo da dove ci eravamo fermati...

Il problema della N-rappresentabilita. Il problema della N-rappresentabilita

e il problema di riconoscere se per una data matrice densita ridotta di p-

ordine Γ(p)(12...p | 1′2′ ...p′) esista una funzione d’onda a N-particelle Ψ(12...N)

antisimmetrica tale che

Γ(p)(12...p | 1′2′ ...p′) =

(N

p

)∫Ψ(12...N)×Ψ∗(1

′2′...p

′, p+ 1...N)dτp+1 ...dτN [7].

Cio, comporta, come vedremo, che il valore di una Hamiltoniana

Hop =∑i

Hi +∑i<j

Hij

sia esprimibile in termini della matrice densita di second’ordine

⟨Hop

⟩av

=

∫ [2

N − 1H1 +H12

]Γ(2)(12 | 1′2′)dτ1dτ2 ,

inoltre, considerando che la matrice densita del p-ordine puo modificarsi con

“... the set N-representable pth-order density matrices... ”[7], possiamo sosti-

tuire il metodo variazionale per la funzione d’onda con il metodo variazionale

per la matrice densita ... eccoci tornati al 1955 ed alla proposta di Mayer per

la risoluzione dello stato fondamentale dell’energia per mezzo della matrice

densita a due particelle. Giunti a questo punto, non ci rimane che porre sotto

i riflettori la matrice densita ridotta a due particelle e per far questo partia-

mo dall’articolo di David A. Mazzotti “Pure-N-representability conditions of

two-fermion reduced density matrices”. In primo luogo consideriamo le con-

dizioni di N-rappresentabilita della matrice densita ridotta ad una particella

(1 − RDM) e riprendendo quanto dimostrato da Altunbulak e Klyachko, in

seguito agli studi di Borland-Dennis, osserviamo che l’insieme P 1N,r delle condi-

zioni pure di N-rappresentabilita della matrice 1−RDM in r orbitali e definita

43

Page 44: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

in generale come

{1D | Tr(1Om1D) ≥ 0 ∀ 1Om ∈ B1

N,r}31,

dove B1N,r, e l’insieme degli operatori che “expose”32 la frontiera del set P 1

N,r,

che in questo caso sara rappresentato da un politopo convesso33 con operatori

diagonali 1Om34 che ne definiscono le facce. Quanto detto sino a questo

punto, ci porta al seguente Teorema: “Se un 2 − RDM e N-rappresentabile

per una funzione d’onda Ψ nello spazio ∧Nr H, allora deve soddisfare le seguenti

condizioni:

Tr(1O1mD) ≥ 0 ∀ 1Om ∈ B1

N−1,r−1 (3.1)

in cui

1Dqt = κ

∑p,s

c∗pDpqst cs,

dove 1 − RDM 1D e espressa in termini della matrice densita ridotta a due

particelle (2−RDM), dal parametro arbitrario cs e dalla costante κ, che nor-

malizza 1D a (N − 1) e dagli indici p, q, s e t che vanno da 1 a r, i quali ne

indicano gli orbitali”. La cui Dimostrazione risulta esser : “Considerando la

stima delle condizioni generali di Pauli

⟨Ψ |1 Om | Ψ

⟩≥ 0 ∀ 1Om B1

N−1,r−1, (3.2)

dove Ψ e una funzione d’onda a (N − 1)-fermioni generata dalla “rimozione”

di una particella dalla funzione d’onda a N-fermioni

|Ψ〉 =

(∑s

csas

)|Ψ〉 , (3.3)

|Ψ〉 = au |Ψ〉 (3.4)

32Un operatore si dice che “expose” un insieme, nel momento in cui, quest’ultimo presentaun minimo corrispondente ad un punto sulla frontiera.

33Un politopo e l’equivalente di un poligono nello spazio euclideo reale Rd, si dice con-vesso nel momento in cui risulta esser intersezione di sottospazi nello spazio Rd limitato o,analogamnete, chiusura convessa di un insieme finito di punti nello spazio Rd.

34Operatore definito secondo il formalismo della “seconda quantizzazione”, ovvero tramitegli operatori di creazione ai e distruzione a†i .

44

Page 45: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

in cui |φu〉 =∑

s cs |φs〉. L’equazione (3.4) sottolinea che non solo il fermione

ma anche |φu〉 e stato rimosso. A questo punto sostituendo la (3.3) alla (3.2)

ed utilizzando l’espansione dell’operatore 1Om in “seconda quantizzazione”:

1Om =∑qt

(1Om)q

t a†qat

otteniamo

κ∑qt

(1Om)q

t

∑ps

c∗p⟨Ψ | a†pa†qatas | Ψ

⟩cs ≥ 0

κ∑qt

(1Om)q

t

∑ps

c∗p2Dpq

st cs ≥ 0,

∑qt

(1Om)q

t1Dq

t ≥ 0 (3.5)

, ossia la (3.5) e la (3.1) sono equivalenti”. Fisicamente, questa dimostrazione,

ci permette di comprendere le condizioni di N-rappresentabilita della 2−RDMin termini della “rimozione” o ionizzazione di un elettrone, e di soffermarci sulla

rappresentazione di un sistema quantistico di alcuni fermioni, nella simmetria

buca-particella35. Nel caso delle condizioni di N-rappresentabilita della matrice

2−RDM , infatti, quest’ultime vengono “tradotte” nel seguente modo:

2D ≥ 0, (3.6)

2Q ≥ 0, (3.7)

dove

2Qpqst = 2δps ∧ δ

qt−41Dp

s ∧ δqt +2 Dpq

st36. (3.8)

Questa nuova rappresentazione e riscrittura della matrice densita ridotta a

due particelle, comporta, a sua volta, la definizione di un nuovo Corollario il

quale afferma che: “Secondo la simmetria particella-buca, oltre alle condizione

prima enunciate (3.6) e (3.7), una matrice densita ridotta a due particelle N-

rappresentabile che corrispondente a una funzione d’onda Ψ nello spazio ∧Nr H35La simmetria buca-particella e la possibilita di sostituire una particella con una sua

anti-particella (presena le stesse caratteristiche della particella, ad eccezione di alcuni suoinumeri qunantici che risultano esser opposti) ed osservare che il fenomeno a cui e stataapplicata questa sostituzione rimane invariato

45

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deve soddisfare le seguenti condizioni:

Tr(1O1mQ) ≥ 0 ∀ 1Om ∈ B1

r−N−1,r−1

in cui

1Qqt = κ

∑p,s

c∗p2Qpq

st cs,

dove, similmente a quanto abbiamo potuto osservare prima, la 1−RDM 1Q e

espressa in termini di 2− buche RDM 2Q, dal parametro arbitrario cs e della

costante κ, che normalizzano 1Q a (r−N − 1)”.37Nuovamente, possiamo sot-

tolineare, come fisicamente queste condizioni corrispondano a quelle generali

di Pauli applicate ad una funzione d’onda espressa in termini di “rimozione”

di una buca. Giunti a questo punto non ci rimane che trarre le conclusioni di

quanto detto e conseguentemente arrivare all’ultimo punto della prima parte

del terzo capitolo:“The pure 2 − RDM conditions are derived as generalized

Pauli constrains on effective 1−RDMs that are parametrized by the removal

or addition of a fermion from the N-fermion wave function. Conditions on the

higher p-RDMs correspond to applying general polynomials of (p− 1) second-

quantized operators to the N-fermion wave function... Pure N-representability

conditions on the 2 − RDM and higher-order p-fermion RDMs provide new

insight into the generalization of the Pauli exclusion principle by Heisenberg

and Dirac as well as novel implications for the description of electron correla-

tion and entanglement in physics and chemistry”[10](“Le condizioni pure della

2 − RDM sono state ricavate dalle condizioni generalizzate di Pauli applica-

te alla matrice 1 − RDM la quale e stata parametrizzata dalla rimozione o

addizione di un fermione dalla fnzione d’onda di N-fermioni. Le condizioni

delle matrici di p-ordine corrispondono all’appliccazione generale di polinomi

di (p − 1) operatori quantizzati di second’ordine alla funzione d’onda di N-

fermioni... Le condizioni pure di N-rappresentabilita della matrice 2 − RDMe di quelle di ordine p superiore a 2 rappresentano una nuova idea ed intui-

zione per la generalizzazione del principio di esclusione di Pauli iniziata con

Heisenberg e Dirac, la quale implica nuove concezioni riguadanti la descrizione

37La dimostrazione e uguale alla dimostrazione del teorema precedente, vengono,solamente, scambiate le particelle con le buche.

46

Page 47: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

della “correlation and entanglement” elettronico nell’ambito fisico e chimico”).

Non aggiungendo altro a quanto riportato sopra, passiamo alla programma-

zione semidefinita (SDPA). Cos’e? Passiamo alla seconda parte e tutto sara

piu chiaro.

3.2 La programmazione semidefinita

Partendo dalle considerazioni teoriche e dai risultati illustrati nell’articolo “Va-

riatonal calculations of fermion second-order reduced density matrices by semi-

definite programming algorithm” di Maho Nakata, Hiroshi Nakatsuji, Masahiro

Ehara, Mitsuhiro Fukuda, Kazuhide Nakata e Katsuki Fujisawa presentiamo

l’algoritmo della programmazione semidefinita... ma con una variazione. Lo

scopo di questo algoritmo e di svolgere con maggior facilita ed eleganza il

calcolo variazionale dello stato fondamentale dell’energia di atomi e molecole,

basandosi, in particolar modo, sul formalismo della DMVT, ossia la teoria va-

riazionale della matrice densita. Quest’ultima, come abbiamo potuto osservare

nella prima parte del capitolo, descrive lo stato fondamentale di un sistema

di N-fermioni sostituendo la funzione d’onda di Schrodinger con la matrice

densita ridotta a due particelle (2−RDM), o per meglio dire, con l’equazione

che presenta come sola variabile la 2 − RDM38. Per prima cosa presentiamo

il seguente problema:

Minimimizzare l’energia totale della 2−RDM soggetta ad un numero fisso di

elettroni ed alla semidefinibilita positiva39

la cui espressione formale e:Minimizzare F0 · Y

soggetto a F1 · Y = c1,

38L’equazione alla base della DMVT e Eg ≤ E[Γ(2)], dove Eg e l’energia dello statofondamentale esatta

39L’equazione alla base della DMVT, Eg ≤ E[Γ(2)](vedi nota 40 ), puo esser riscritta comela minimizzazione variazionale dell’energia, ossia come Emin = minΓ ∈ (2)PTrHΓ dove (2)Pe il set delle condizioni necessarie di N-rappresenabilita che devono esser soddisfatte dalle2−RDMs. In questo specifico caso lo scopo era l’illustrazione della soluzione di un problemadi minimizzazione applicando il metodo della SDPA per risolvere la matrice densita a dueparticelle attraverso il metodo variazionale vincolato.

47

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dove la Y e la matrice simmetrica variabile n×n semidefinita positiva, F0 e F1

sono matrici simmetriche n × n, c1 e la costante reale e · e un operatore tale

che F · Y =∑

i,j(F )ij(Y )ij. Inoltre riportiamo un secondo sistema suddiviso

in due parti: la primale e la duale.

Primale : minimizzare∑m

i=1 cixi

soggetto a X =∑m

i=1 Fixi − F0, X ≥ 0

Duale : minimizzare Fo · Y

soggetto a Fi · Y = ci(1 ≤ i ≤ m), Y ≥ 0

ed osserviamo che X e Y sono le matrici simmetriche reali n×n , Fi(1 ≤ i ≤ m)

sono le matrici costanti simmetriche, ci e xi la costante reale ed i numeri varia-

bili, U ·V =∑

i,j UijVij e il prodotto interno. Inoltre la condizione X ≥ 0 defi-

nisce la semidefinibilita positiva della X. A questo punto, affinche la soluzione

della parte duale corrisponda alla soluzione del problema DMVT, prendiamo Y

come 2−RDM , F0 come l’Hamiltoniana, F1 come la “constraint” per il nume-

ro di elettroni e cosı via... .Terminato anche questo passaggio, non rimane che

costringere la matrice densita ridotta a due particelle a soddisfare prima le sole

condizioni P, Q e dopo le tre condizioni di semidefinibilta P, Q e G40. Questo

sarebbe il procedimento di calcolo da applicare per la risoluzione del problema

se seguissimo le indicazioni presenti nell’articolo “Variatonal calculations of

fermion second-order reduced density matrices by semidefinite programming

algorithm”, tuttavia, nel corso dello studio e dell’analisi del seguente articolo

abbiamo cercato un metodo di calcolo alternativo che non richiedesse unica-

mente la condizione di linearita ed e da questa ricerca che abbiamo deciso di

introdurre la variazione preannunciata da me all’inizio della sezione, ossia, la

risoluzione del problema attraverso il metodo del punto interno. “In modo

semplificato i metodi ai punti interni producono una successione di punti am-

missibili e interni al poliedro che definisce l’istanza. L’interazione da un lato

tende verso il minimo (ovviamente un punto della frontiera), ma dall’altro e

40Le condizioni P, Q e G sono le condizioni di semidefinibilita positiva delle matrici de-rivate dalla matrice desita di second’ordine. In particolar modo P indica la condizione disemidefinibilita positiva della matrice densita a due particelle, Q della matrice densita a duebuche e G della matrice densita buca particella.

48

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respinta dalla frontiera del poliedro e quindi si muove verso l’ottimo, tenendo-

si lontano il piu possibile dalla frontiera. ... L’algoritmo di Karmarkar41 si

basa su trasformazioni proiettive dello spazio che garantiscono un decremento

geometrico della funzione obiettivo ed elevano una barriera sufficientemente

alta verso la frontiera. ... Anche i problemi di complementarieta lineare per

matrici positive semidefinite si prestano in modo naturale ad esser risolti con

i metodi ai punti interni. Da questi si e sviluppata la programmazione semide-

finita...”[11]. Dopo questa breve presentazione del metodo del punto interno,

passiamo ai fatti, ossia ai vari passaggi matematici con i quali abbiamo rifor-

mulato e risolto il problema di minimizzazzione.

In primis consideriamo la funzione da minimzzare pari a

f(x)− µ∑i

log [λi(x) (3.9)

dove pi(x) sono gli autovalori dipendenti da x (numero di variabili ∈ R) tali che

λi(x) ≥ 0 e µ ≥ 0 e una quantita reale che moltiplicata per log λi(x) descrive

la barriera finita a cui la funzione si avvicinera senza mai intersecarla, il cui

valore risultera trascurabile nel momento in cui µ tende a 0. Detto cio applico

il metodo del gradiente coniugato42 per trovare il minimo della funzione 3.9.

Consideriamo la funzione (3.9) e calcoliamone il gradiente

∇f(x)− µ∑i

1

λi(x)∇λi(x), (3.10)

41Karmarkar in un suo articolo del 1984 ha sviluppato gli algoritmi ai punti interni perla risoluzione di problemi di programmazione lineare, poi estesi a programmazione anche diproblemi non lineari, come nel nostro caso.

42Il metodo del gradiente coniugato e un algoritmo che consente di calcolare la soluzionedi un sistema la cui matrice e simmetrica e positiva. Se consideriamo il sistema Ax = b doveA ∈ Rn×n e una matrice simmetrica positiva e b ∈ Rn il termine noto allora la soluzione xcorrispondera al punto di minimo della forma quadratica

Q(x) =1

2xTAx− xT b

(la matrice A si dice coniugata, in quanto definisce un prodotto scalare 〈u, v〉A = uTAv)

infatti ∇Q(x) = Ax− b

e ∇Q(x) = 0 ⇐⇒ Ax = b

49

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quest’ultimo ci permettera di ottenere il minimo e pertanto di minimizzare la

funzione, ma a questo punto sorge una domanda “Come calcolare il gradiente

degli autovalori?”, per rispondervi occorre fare alcune considerazioni:

1.∑

i log λi e pari a Tr[logP (x)], dove P(x) e la matrice densita a due

particelle semidefinita positiva e x sono le variabili

2. Sostituisco logP (X) con una funzione analitica g[P (x)] =∑∞

n=0 anP (x)n

e ne calcolo la derivata prima

g′[P (x)] =∞∑n=1

nanP (x)n−1 (3.11)

A questo punto calcoliamo il gradiente come la derivata parziale rispetto ad x

della traccia di Tr{g[P (x)]} come

∂xTr{g[P (x)]} = Tr{ ∂

∂xg[P (x)]} = Tr[

∂x

∞∑n=0

anP (x)n] =

∞∑n=0

anTr[∂

∂xP (x)n] =

∞∑n=0

nanTr[Pn−1 ∂p

∂x= Tr[

∞∑n=1

nanpn−1]

∂p

∂x

giunti all’ultimo passaggio notiamo che∑∞

n=1 nanpn−1 e g′[P (x)] quindi pos-

siamo riscrivere la Tr[∑∞

n=1 nanpn−1] ∂p

∂xcome Tr{g′[P (x)]} ∂p

∂xe sapendo che la

g[P (x)] non e altro che logP (x) possiamo concludere che

−µ∑i

1

λi(x)∇λi(x) = −µ ∂

∂xTr[logP (x)] = −µTr[ 1

P (x)]∂

∂x.

43 Terminata la spiegazione teorica della risoluzione del problema di minimiz-

zazione, non ci rimane che riportare e commentare i calcoli ottenuti. Nella

Tabella 1, infatti, sono stati trascritti i dati ottenuti per mezzo della nuo-

va formulazione della DMVT comparati con i metodi della funzione d’onda,

Hartree-Fock e full CI, dell’energia totale e di correlazione (espressa in per-

43I calcoli svolti sono stati applicati alla matrice P, tuttavia i medesimi calcoli dovrannoesser applicati anche alle matrici Q e G per ottenere i risultati riportati nelle tabelle

50

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centuale relativa ai risultati calcolati con il metodo di Hartree-Fock44 e full

Configuration Interaction45) di diverse specie di atomi e molecole. Nella Ta-

bella 2, invece, sono stati mostrati i risultati inerenti ai momenti di dipolo delle

DMVT sotto le condizioni (P+Q) e (P+Q+G)46.

44Il metodo di Hartree-Fock permette di approssimare l’energia di stato fondamentale,fissando la posizione dei nuclei e risolvendo l’equazione di Schrodinger per i soli elettroni,pertanto approssimando la funzione dello stato fondamentale con un solo determinante diSlater (vedi nota 16)

45Il metodo Full CI o full configuration interaction ci consente di ottenere le soluzioniesatte dell’equazione di Schrodinger, in cui tutti i determinanti di Slater (detti anche funzioniconfigurazioni di stato) sono utilizzati in all’interno del calcolo variazionale

46In entrambe le tabelle sono state riportate piu volte le stesse molecole o atomi, le quali,tuttavia, presentano stati diversi.

51

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Tabella 1

Sistema DM(P+Q) DM(P+Q+G) Full CI Hartree-Fock

Bec −14.5934(176) −14.5827(100) −14.5827(100) −14.5685(0)Be −14.5579(103) −14.5561(100) −14.5561(100) −14.5034(0)Bed −14.6064(200) −14.5895(100) −14.5895(100) −14.5725(0)Bec −13.3168(120) −13.3146(100) −13.3146(100) −13.3036(0)Bed −14.3346(177) −14.3241(100) −14.3241(100) −14.3105(0)LiHc −8.0034(139) −7.9924(100) −7.9922(100) −7.9635(0)LiH −7.9731(104) −7.9724(100) −7.9723(100) −7.9519(0)LiHc −7.8997(167) −7.8939(98) −7.8940(100) −7.8854(0)LiH −7.8554(191) −7.8552(97) −7.8552(100) −7.8549(0)BeH+ −14.8452(106) −14.84389(100) −14.8438(100) −14.8226(0)BH+ −24.8169(151) −24.8015(100) −24.8015(100) −24.7712(0)BH −25.1234(211) −25.0630(106) −25.0593(100) −25.0015(0)CH+ −37.9618(227) −37.8896(107) −37.8853(100) −37.8251(0)CH− −37.9834(148) −37.9714(99) −37.9718(100) −37.9477(0)CH −38.2472(240) −38.1917(111) −38.1871(100) −38.1443(0)NH+ −54.4510(248) −54.3957(111) −54.3914(100) −54.3510(0)NH− −54.5292(161) −54.5150(99) −54.5151(100) −54.4920(0)NH −54.8280(144) −54.8160(100) −54.8161(100) −54.7887(0)OH+ −74.7805(138) −74.7719(100) −74.7720(100) −74.7491(0)OH− −74.8127(100) −74.8112(95) −74.8127(100) −74.7851(0)OH −75.1164(158) −75.1013(99) −75.1014(100) −75.0756(0)HF+ −99.1376(153) −99.1278(100) −99.1279(100) −99.1096(0)HF −99.5258(100) −99.5229(89) −99.5258(100) −99.4998(0)BH2 −25.7549(235) −25.7089(115) −25.7031(100) −25.6649(0)BH2 −25.7317(233) −25.6837(113) −25.6783(100) −25.6383(0)CH2 −38.9301(294) −38.8228(119) −38.8110(100) −38.7497(0)CH2 −38.9043(214) −38.8566(107) −38.8534(100) −38.8089(0)CH2 −38.8836(187) −38.8358(103) −38.8342(100) −38.7772(0)NH2 −55.4134(244) −55.3570(111) −55.3525(100) −55.3101(0)NH2 −55.4856(243) −55.4195(108) −55.4157(100) −55.3670(0)H2O −75.7953(232) −75.7310(104) −75.7290(100) −75.6789(0)H2O+ −75.4912(262) −75.4218(106) −75.4192(100) −75.3748(0)FH+

2 −99.8894(244) −99.8305(103) −99.8294(100) −99.7879(0)BH3 −26.4681(258) −26.3932(120) −26.3827(100) −26.3287(0)CH3 −39.6375(290) −39.5283(117) −39.5178(100) −39.4547(0)NH3 −56.2061(334) −56.0617(115) −56.0516(100) −55.9855(0)NH3 (dis) −56.1808(326) −56.0394(115) −56.0293(100) −55.9622(0)H3O+ −75.9422(276) −75.8636(103) −75.8621(100) −75.8166(0)

c e d vengono ad indicare due differenti basi utilizzate nel calcoli quali: doppio-ζ etriplo-ζ.(dis) significa distorto in quanto la lunghezza di legame per un tempo pari a 0.9appare piu piccola, invece per un tempo pari a 1.1 appare allungato.

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Tabella 2

Sistema DM(P+Q) DM(P+Q+G) Full CI Hartree-Fock

LiHa 1.6445 1.6164 1.6192 2.0764LiH 1.7372 1.7523 1.7519 1.9339LiHa 0.6225 0.6258 0.6258 0.6261LiH 1.5897 1.5906 1.5907 1.5915BeH+ 1.3203 1.3188 1.3196 1.2987BH+ 0.0495 0.0223 0.0223 0.0197BH 0.2833 0.2935 0.2994 0.3806CH+ 0.6893 0.6764 0.6905 0.7253CH− 0.1826 0.1925 0.1929 0.1669CH 0.6016 0.4878 0.5044 0.4406NH+ 0.8937 0.8729 0.8804 0.8789NH− 0.1359 1.9597 1.9597 1.9601NH 0.4730 0.4995 0.4996 0.5233OH+ 0.9988 0.9741 0.9742 0.9875OH− 0.0620 0.0637 0.0620 0.0725OH 0.4497 0.4738 0.4745 0.5166HF+ 0.9600 0.9993 0.9999 1.0786HF 0.5420 0.5383 0.5420 0.5228BH2 0.0037 0.0328 0.0344 0.0466CH2 0.2435 0.5057 0.5293 0.6224CH2 0.0838 0.0857 0.0934 0.1006NH2 0.5170 0.5407 0.5509 0.5580NH2 0.6433 0.6816 0.6896 0.7200H2O 0.5993 0.6460 0.6487 0.6927H2O

+ 0.8718 0.9857 0.9920 1.0724FH+

2 1.0368 1.0429 1.0437 1.0560NH3 0.6903 0.6901 0.6922 0.6935NH3 (dis) 0.6660 0.6634 0.6767 0.6937H3O+ 1.4162 1.4286 1.4289 1.4320

a indica la base doppio-ζ

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Da come possiamo osservare,nella Tabella 1, al DM(P+Q+G) corrisponde

un range dell’energia di correlazione pari al 100% − 110% per gli atomi e le

molecole diatomiche e 110% − 120% per le molecole triatomiche. Questo fa

sı che la condizione G rappresenti una buona condizione restrittiva per la N-

rappresentabilita e che la DM(P+Q+G) risulti accurato.

Invece la DM(P+Q) restituisce risultati d’energia e di correlazone d’ener-

gia molto distanti da quelli ottenuti con il metodo full CI, a tal punto, da

considerarlo non adatto per la descrizione completa della condizione di N-

rappresentabilita. I pochi casi in cui la DM(P+Q) risulta esser eccelente e con-

seguenza solamente dell’eccessiva restrizione dello spazio variazionale, dove il

metodo e in grado di rappresentare una buona condizione di N-rappresentabilita.

Nella Tabella 2 notiamo, nuovamente, che con la DM(P+Q) non otteniamo ot-

timi risultati, basti vedere i dati delle molecole CH, NH+, CH2, H2O e H2O+,

i quali appaiono peggiori anche di quelli ottenuti con il metodo Hartree-Fock.

La DM(P+Q+G), invece restituisce risultati molto vicini se non uguali al me-

todo full CI, ad eccezzioe delle molecole NH3 e NH3 (dis).

Giunti sino a questo punto non ci rimane che concludere la seconda parte del

secondo capitolo, traendo le somme di quanto osservato sin qui. Il problema

della DMVT usando il metodo della programmazione semidefinita e stato ri-

solto e quest’ultima tecnica si e dimostrata stabile ed efficiente sommata alla

condizione DM(P+Q+G) ed insufficiente nel momento in cui quest’ultima e

stata utilizzata con la condizione DM(P+Q). Escluso cio, possiamo affermare

che, questo metodo si possa applicare allo stato fondamentale di ogni sim-

metria spin-spaziale dei sistemi “closed and open-shell” pur presentando un

calcolo dell’energia inferiore a quella esatta, che, tuttavia, risulta esser ancora

accettabile.

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Conclusioni

Cosı terminiamo il nostro viaggio. Un viaggio che ha avuto inizio alla fine

dell’Ottocento con il crollo delle certezze della meccanica classica e la nascita

della meccanica quantistica.

Proseguito all’interno del mondo della “prima quantizzazione” e “seconda

quantizzazione”; per giungere ad alcune delle nuove teorie ed applicazioni sorte

dalla rivoluzione della meccanica quantistica e dalla sua evoluzione, come la

N-rappresentabilita e la programmazione semidefinita, della quale abbiamo rie-

laborato la teoria alla base del calcolo. Questo si e dimostrato essere un nuovo

ed efficace metodo per ottenere ed analizzare l’energia allo stato fondamentale,

e non solo, di diversi atomi e molecole. Giunti a questo punto concludo questa

mia tesi che ha avuto come scopo ultimo proprio la presentazione di alcune

di quelle nuove teorie nate dalle rivoluzioni fisiche che fino ad oggi ed ancora

oggi vengono compiute. Perche, come affermato da Robert Anson Heinlein,

“I progressi nel campo della fisica si ottengono negando l’ovvio e accettando

l’impossibile”.

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Page 56: Approcci variazionali al problema della N ... rappresentata da punti materiali nello spazio e nel tempo; nella teoria di Maxwell, dal campo nello spazio e nel tempo. Nella meccanica

Bibliografia

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quantistica, Firenze, Firenze University press, 2018

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mica quantistica, Universita “La Sapienza”, Roma.

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Dipartimento di Fisica, Universita di Genova, via Dodecaneso 33, 16146

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[10] David A. Mazziotti, Pure-N-representability conditions of two-fermion

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[11] Paolo Serafini, Capitolo 17 Algoritmi ai punti interni

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