APPENDICE AL CAPITOLO I

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105 Questa appendice al capitolo I raccoglie la maggior parte dei testi (articoli di giornale, bozze inedite d’articoli, lettere, diari, etc.) parzialmente citati in corpus o nota nel capitolo stesso, e che qui riportiamo integralmente per il loro valore documentaristico. L’appendice è divisa in cinque sezioni, in stretto ordine cronologico. La sezione I contiene i resoconti di Gianni Quondamatteo sulla situazione economico-politica della riviera romagnola per l’estate 1947, da cui abbiamo ampiamente citato. Include anche una serie di arti- coli non inclusi nel nostro testo (sulla partenza delle truppe alleate e lo smantellamento della prigione di guerra a Miramare), che però sono di utile complemento al quadro tracciato sull’estate 1947. La sezione II riporta nella sua interezza la parte del Diario edito di Sibilla Aleramo relativa ai giorni trascorsi a Riccione durante l’assegnazione del Premio. La sezione III include gli articoli (o articoletti) più cospicui scritti sulla stampa emiliano-romagnola a cronaca della premiazione il 16 agosto 1947. La sezione IV contiene una lettera di Luigi Pasquini, autore del romanzo Il podere sulla linea gotica, a Sibilla Aleramo. Riporta altresì il lungo articolo della cronaca locale con cui si chiudeva la polemica sui risultati del concorso (Pasquini aveva accusato l’Aleramo di non aver letto il romanzo perchè nessun giudizio diretto gli era pervenuto). La sezione V contiene l’articolo (del 4 maggio 1946) Riccione e i suoi giardini di Augusto Cicchetti, che nell’estate 1947 era vicedirettore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Riccione. Si è trascritta altresì la sua biografia di illustre cittadino riccionese, responsabile della politica del “verde” nell’immediato dopoguerra (fornita dalla figlia, Emanuela Cicchetti, che ha anche delineato la genealogia della fami- glia dalla fine dell’800, in quanto il nonno di Augusto, Lodovico, ebbe l’idea alla base della “città- giardino”, da cui si svilupparono i tratti tipici del paesaggio di Riccione). Accompagna questi pezzi l’articolo di Camillo Dal Mastro (del 4 maggio 1946) su Aspetti del paesaggio riccionese dopo il fronte. I. Articoli di Gianni Quondamatteo per “L’Unità” (giugno-agosto 1947). II. Dal Diario di Sibilla Aleramo: 3-16 agosto 1947. III. Cronache giornalistiche sull’assegnazione del Premio Riccione 1947. IV. La polemica Luigi Pasquini-Sibilla Aleramo. V. Riccione e i suoi giardini. APPENDICE AL CAPITOLO I

Transcript of APPENDICE AL CAPITOLO I

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Questa appendice al capitolo I raccoglie la maggior parte dei testi (articoli di giornale, bozze inedited’articoli, lettere, diari, etc.) parzialmente citati in corpus o nota nel capitolo stesso, e che qui riportiamointegralmente per il loro valore documentaristico.

L’appendice è divisa in cinque sezioni, in stretto ordine cronologico.La sezione I contiene i resoconti di Gianni Quondamatteo sulla situazione economico-politica della

riviera romagnola per l’estate 1947, da cui abbiamo ampiamente citato. Include anche una serie di arti-coli non inclusi nel nostro testo (sulla partenza delle truppe alleate e lo smantellamento della prigionedi guerra a Miramare), che però sono di utile complemento al quadro tracciato sull’estate 1947.

La sezione II riporta nella sua interezza la parte del Diario edito di Sibilla Aleramo relativa ai giornitrascorsi a Riccione durante l’assegnazione del Premio.

La sezione III include gli articoli (o articoletti) più cospicui scritti sulla stampa emiliano-romagnolaa cronaca della premiazione il 16 agosto 1947.

La sezione IV contiene una lettera di Luigi Pasquini, autore del romanzo Il podere sulla linea gotica, aSibilla Aleramo. Riporta altresì il lungo articolo della cronaca locale con cui si chiudeva la polemica suirisultati del concorso (Pasquini aveva accusato l’Aleramo di non aver letto il romanzo perchè nessungiudizio diretto gli era pervenuto).

La sezione V contiene l’articolo (del 4 maggio 1946) Riccione e i suoi giardini di Augusto Cicchetti, chenell’estate 1947 era vicedirettore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Riccione. Si è trascritta altresìla sua biografia di illustre cittadino riccionese, responsabile della politica del “verde” nell’immediatodopoguerra (fornita dalla figlia, Emanuela Cicchetti, che ha anche delineato la genealogia della fami-glia dalla fine dell’800, in quanto il nonno di Augusto, Lodovico, ebbe l’idea alla base della “città-giardino”, da cui si svilupparono i tratti tipici del paesaggio di Riccione). Accompagna questi pezzil’articolo di Camillo Dal Mastro (del 4 maggio 1946) su Aspetti del paesaggio riccionese dopo il fronte.

I. Articoli di Gianni Quondamatteo per “L’Unità” (giugno-agosto 1947).II. Dal Diario di Sibilla Aleramo: 3-16 agosto 1947.III. Cronache giornalistiche sull’assegnazione del Premio Riccione 1947.IV. La polemica Luigi Pasquini-Sibilla Aleramo.V. Riccione e i suoi giardini.

APPENDICE AL CAPITOLO I

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I

ARTICOLI DI GIANNI QUONDAMATTEO PER

“L’UNITÀ” (GIUGNO-AGOSTO 1947)

1. Da “L’Unità”, 28 giugno 1947.

FINALMENTE PARTONO GLI ALLEATI

LE COLONIE ADRIATICHE SI RIAPRONO AIFIGLI DEL POPOLO

RICCIONE, giugno. – Spira un’altra aria, sulla stra-

da litoranea che da Cattolica porta a Riccione, Ri-

mini e va oltre fino a Cesenatico. Gli alleati lasciano

definitivamente la zona, smobilitano in tutta fretta.

Uno dei lati positivi della loro partenza, è la dere-

quisizione ufficiale dei grandi complessi delle colo-

nie marine.

Ritornano dunque queste, dopo sette anni, ad accoglie-re l’infanzia assetata di luce e di sole. Ritornano dopoaver pagato un grande tributo alla guerra.Un’altra aria, dunque, spira sulla strada litoranea. Nonè soltanto lo scirocco fresco di questa prima estate o laraffica del libeccio che sotto costa fa il mare piatto e dipiombo. V’è di più. Il movimento intenso di pesantissi-mi autocarri maciullanti le strade è pressoché scompar-so e con esso è scomparso lo sguardo atono del prigio-niero tedesco che disciplinava il traffico.Ora è pace e silenzio. All’esterno degli edifici giaccionoancora, inerti e frammischiati alla vegetazione che in par-te li sommerge, i “barbed wires”, i fili spinati, cioè, iericondanna e dannazione delle “signorine”, delle venditricidi frutta, dei ladruncoli da quattro soldi e dei mercanti nerida milioni.Paiono quasi belle, ora, queste rugginose matasse spinate.Forse perché dietro ad esse non sono più i volti istupiditi evolgari delle SS o gli sguardi stanchi ed annoiati dei tede-schi o dei polacchi feriti e mutilati. Forse perché è finito iltraffico delle “signorine” che puntualissime, alla sera,

salivano sul filobus a Rimini o a Riccione e scendeva-no nel buio di una fermata di secondo ordine perscomparire in un tratto deserto di spiaggia.Le colonie sono libere quasi tutte, ma per i guardiani chesono ritornati – invecchiati ed attoniti – ad accarezzarne lemura, a ripulirne i corridoi, i camerini, le terrazze ed i ser-vizi, la guerra non è ancora terminata. Di giorno, oltre illavoro, i guardiani staccano dalle pareti le gambe delle“pin-up girls” ingiallite, raccolgono le ultime scatolette,bruciano i cartelli policromi; di notte, cacciano gli ultimiingordi che circolano nella zona alla ricerca di brandelli.In questi giorni, le amministrazioni interessate hanno pre-so in consegna le colonie, e molti sindaci e rappresentantidi associazioni le hanno visitate dando disposizioni periniziare i lavori di ripulitura e di restauro. In alcune sonogià giunti i bambini e quasi tutte, se pure in parte, funzio-neranno dal mese di luglio.E allora il volto ed il sorriso dei nostri bimbi, dei figli delpopolo, bonificheranno la zona, purificheranno l’atmosferapesante di questi ultimi anni. Allora i canti delle femmi-nucce, i giuochi dei maschietti, la gioia di tutti risuoneran-no là dove lingue e suoni gutturali, visi e costumi stranieri,vizio, malcostume e dolore, si scontravano violentementecol nostro sole e col nostro mare.

2. Da “L’Unità”, 19 luglio 1947.

LE SPIAGGE ADRIATICHE TORNANO AGLI ITA-LIANI

PRIGIONIERI DI 30 NAZIONI LASCIANO ILCAMPO DI MIRAMARE

(dal nostro corrispondente)

I

RIMINI, luglio. – I riflettori non sciabolano più, di

notte, con la loro luce abbagliante, i bordi del gran-

de campo di prigionieri di Miramare. Spenti i lumi-

nosi confini dell’ex campo di aviazione, rinasce la

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pace sul grande quadrilatero ai bordi della via Fla-

minia, fra Rimini e Riccione.

Il grande campo prigionieri è all’ultima scena. Imbar-cati sui treni o su lunghe teorie di automezzi, i prigio-nieri raggiungono dopo molto anni di assenza, la loroterra e le loro famiglie o vagheranno per il mondo allaricerca di una nuova patria.Il campo era suddiviso, per usare il termine caro allaprassi alleata, in tanti lager. Il lager n.1 ospitava gli ucrai-ni; il n.2 i tedeschi; il n.3 i prigionieri di tutte le nazio-nalità (non meno di trenta) e lo Straflager. Il n.4 era perrumeni, slavi cecoslovacchi, austriaci, cetnici. Il n.5ospitava i volontari del lavoro. Il n.6 conteneva fami-glie al completo di donne e bambini. I russi, bianchi omeno, ufficiali e soldati, erano al n.7.La maggior parte dei prigionieri era di nazionalità te-desca o austriaca. Le altre nazionalità erano all’incircacosì rappresentate: russi bianchi e ucraini 19-20 mila,polacchi 2000-2500, slavi 2500, ungheresi e rumeni 800.seguivano con pochissime unità i belgi e i greci. Gliitaliani, appartenenti alle b.n., X Mas o milizia, eranocirca 250. Frammischiati a questi, si contavano veri efalsi partigiani.Ogni Lager era comandato da un ufficiale. Alle 7,30suonava la sveglia, poi seguivano l’adunata ed il rap-porto. Dato lo stillicidio di fughe, ogni giorno manca-vano diversi elementi, quegli stessi dei quali si interes-sano quotidianamente i giornali in fatto di cronaca nera.Durante l’estate scorsa, attraverso un tunnel sotterra-neo, scapparono sotto il naso della guardia armata piùdi trenta italiani già appartenenti alla X Mas e paraca-dutisti. Nel giugno di quest’anno sono scappati 23 uffi-ciali tedeschi, per citare solo due degli episodi più no-tevoli, tralasciando i 5-6 prigionieri mancanti tutte lemattine.Una menzione particolare, per il suo significato, meritalo Straflager, il campo di punizione. Era questo un qua-drilatero di terreno di 500 metri circa di lato, recintatoda un alto reticolato, guardato da torrette e rischiaratodi notte da riflettori e da un grande numero di lampade.Questo campo conteneva a sua volta piccole gabbie di

reticolato entro cui sorgevano simulacri di tende, appo-sitamente sfilacciate, che accoglievano i puniti. La re-clusione andava da un minimo di 28 giorni ad un mul-tiplo di 28. I reati puniti erano l’evasione semplice,l’evasione con recidiva, il furto, la falsificazione di un«Pass», la violazione delle norme di igiene del campo,la mancanza di rispetto verso i soldati alleati, il posses-so di moneta italiana, la pederastia, ecc. ecc.I prigionieri rabbrividivano al nome di Straflager. Condue sole coperte di cotone, in pieno inverno, bisognavadormire per terra, in mezzo al fango. Di giorno, il lavo-ro forzato non aveva soste. Si trattava spesso di scavarebuche per poi riempirle di nuovo. Il cibo non meritavaneppure questo nome. Si componeva, al mattino, di ac-qua calda o quasi, al mezzogiorno di un mestolo di mi-nestra allungata e di una fettina trasparente di pane. Incompenso i detenuti erano costretti a lunghe estenuanticorse, con qualsiasi tempo, intorno al campo, sempresotto la minaccia dell’aguzzino in capo, il ferocissimoe spietato caporale Evans. Queste corse, in qualsiasi oradel giorno o della notte, erano qualche cosa di pauroso.Nella neve, nel fango o sotto il solleone, uomini bar-collanti e spaventosamente magri, correvano, vacilla-vano e cadevano per poi rialzarsi e continuare, sotto ilfucile spianato delle sentinelle. I prigionieri di qualsia-si razza o nazionalità, che hanno provato lo Straflagerdel campo di Miramare, non potranno dimenticarlo.

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3. Da “L’Unità”, 22 luglio 1947.

NELLA BABELE DEL CAMPO PRIGIONIERI DIMIRAMARE

DI FRONTE AI PROFITTI DEI TRAFFICISPARIVA OGNI ODIO DI GUERRA E DI RAZZA

(dal nostro corrispondente)

II.

RIMINI, luglio. – Nel campo prigionieri il lavoro non

era obbligatorio. Solo il 15% degli internati vi ade-

riva volontariamente. I volontari godevano di una

notevole libertà ed erano destinati anche fuori del

campo, a Rimini e a Riccione. Molti di questi erano

gli stessi che, spesso e volentieri, si dilettavano, gui-

dando automezzi di ogni sorta, ad investire pacifici

pedoni.

Ai lavoratori era data una doppia razione viveri e in piùdue litri di vino e mezzo litro di vermut alla settimana equalche sigaretta al giorno. Parità di razione avevanoquei giovani, per la maggior parte tedeschi, che segui-vano corsi di studio. Professori tedeschi – prigionierianch’essi – impartivano lezioni in tutte le materie.Il resto dei prigionieri si dedicava allo sport, alla letturae ad esercizi molto meno puliti e spirituali, ma più red-ditizi. A queste attività prendevano parte anche i nemi-ci di ieri, sì che alla divisione dei profitti sparivano gliodi di guerra e di razza e tutti divenivano buoni e carialleati.Scarpe e coperte, tendoni e baraccamenti, benzina egomme uscivano in mille modi dal campo per le piùsvariate destinazioni. Le macchine che ogni mattinaportavano fuori il rusco celavano sempre valori consi-derevoli. Il tutto era sapientemente e minuziosamenteorganizzato.Ma un’altra strana ed importante merce era largamentecommerciata: i «Pass», i permessi cioè per uscire rego-larmente dal campo. Firmati da ufficiali, dei quali veniva

senz’altro carpita la buona fede, questi «permessi» costa-vano all’incirca 500 lire l’uno e valevano dal mattino allasera.Interessanti erano i rapporti fra il campo e le peripatetiche.Queste si dividevano in due categorie non sempre peròben distinte. V’erano quelle che rimanevano ai bordi delcampo e che intrattenevano la guardia polacca. Le altreinvece, si dedicavano ai prigionieri veri e propri, non di-sdegnando però di fraternizzare anche con gli alleati. No-nostante il servizio di vigilanza, non solo queste donneriuscivano ad entrare nei vari Lager, ma addirittura alcunevi si intrattenevano per mesi e mesi, amorevolmente assi-stite dai soldati e ufficiali. Si dice che qualcuna sia entrata«in divisa» o con regolare «Pass».Alla fine della «stagione», quando riuscivano ad andarse-ne, avevano un discreto gruzzoletto: talvolta, le tasche benripulite dagli stessi innamorati, venivano consegnate allapolizia. Fuori del campo, più di un prigioniero tedesco s’èpermesso il lusso di un’amante pagata con una quota fissagiornaliera di duemila lire!Quali erano i rapporti fra i prigionieri ed i loro guardiani?Differenti e contrastanti a seconda dei casi. Spesso, con ilvino innanzi, si fraternizzava.Molte volte, invece, erano liti, baruffe e addirittura rapine.Si penetrava in una tenda, e, «manu armata», si tentava ilcolpo. Un giovane pugilatore tedesco rimandò un giorno,con le ossa fracassate, due sconosciuti assalitori. Gli oro-logi – divenuti una mania da una parte ed una manna al-l’altra (leggi rivenditori di Rimini e di Riccione) – faceva-no le spese dei colpetti di ordinaria amministrazione. Tal-volta, i prigionieri venivano «ufficialmente» spogliati deiloro averi.Due quotidiani, Die Brucke (il Ponte) in lingua tedesca,ed un altro in lingua russa, stampati all’esterno ma desti-nati ai prigionieri, giungevano tutte le mattine al campo. Èinutile dire quanto «democratici» fossero questi giornali.I risultati di questa politica non sono stati disprezzabili pergli alleati. Nel mese di giugno centinaia e centinaia di uf-ficiali di tutte le nazionalità, fra i quali diversi generalitedeschi, e alcune centurie di volontari del lavoro, sonopartiti per l’Inghilterra.

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4. Da “L’Unità”, 23 luglio 1947.

DIETRO IL RECINTO DEL CAMPO PRIGIONIERIDI MIRAMARE

TUTTE LE SIMPATIE DEGLI INGLESI ERANOPER GLI INTERNATI FASCISTI

(dal nostro corrispondente)

III.

RIMINI, luglio. – Nella babele di trenta razze diffe-

renti del campo prigionieri di Miramare, non pote-

vano mancare gli italiani. Erano questi il residuo del

disciolto «campo R» di Terni, e giunsero sulle rive

dell’Adriatico a fine maggio dell’anno scorso. Am-

montavano a circa 400 unità.

Gli internati appartenevano a tre categorie: spie, sabo-tatori e politici; il loro Lager era denominato C.S.I.Camp. Di molti gli inglesi si servivano per un serviziospicciolo di spionaggio dentro i vari Lager e, si dice,anche fuori del campo prigionieri. Perfetta l’organizza-zione del campo e buono il trattamento. Gli inglesi pa-revano nutrire una particolare predilezione per questotipo di italiani. I canti di «Giovinezza» e di «Battaglio-ni M», che si levavano in qualsiasi ora del giorno e del-la notte, non arrecavano alcun disturbo ai guardiani.L’amore e la cura per questi italiani spinsero il capitanomaltese Peter Zammit, noto, fra l’altre cose, per le suesimpatie fasciste dentro e fuori del campo, a chiedereal sindaco di Riccione un’assegnazione speciale di fa-rina o di pasta per gli internati, che, d’altro canto, nonmancavano né di questi né di altri generi. Ciò accadevaalla vigilia di Natale dell’anno scorso, quando a Mila-no non v’era pane.Agl’internati erano concessi regolari colloqui con lefamiglie e gli amici, durante i quali si scambiavano lenotizie e si preparavano i piani di evasione. Questi col-loqui erano superflui per chi era nella manica degli in-glesi, poiché i privilegiati ottenevano addirittura licen-

ze speciali per recarsi a casa. Per la verità, molti rifiuta-vano qualsiasi permesso ritenendo più prudente rima-nere fra le alte reti ed i fili spinati.Fuori del recinto di Miramare, in una colonia marina, aRiccione erano i Corpi femminili di sabotaggio e dispionaggio, appartenenti alla repubblica di Salò. Unavolta alla settimana od ogni quindici giorni, gli interna-ti di Miramare venivano condotti, su macchine specia-li, a far visita alle rispettive mogli o fidanzate. Questopiccolo campo femminile era considerato una specie diharem. Non è difficile immaginare che cosa vi capitas-se di giorno e di notte, se si pensa che tre case da thè,complete di direttrici, vi erano state trasferite in bloc-co, sotto l’accusa di aver servito i tedeschi o di esserestate incaricate di far parte del servizio di spionaggioall’indomani della totale occupazione alleata dell’Ita-lia.Ma tutto questo, ora, non è che un triste ricordo. L’im-mensa distesa dell’ex campo di aviazione di Miramarevive silenzioso questi giorni torridi e la colonia è ritor-nata al suo primitivo e nobile uso.Fra le baracche che arruginiscono si intravvede di tantoin tanto il viso amico di un soldato italiano del distac-camento che ha preso possesso del campo, mentre grossilucertoloni ristanno beati al sole, in questa prima loroestate di pace.All’occhio del visitatore, il campo appare un’arena dilotta che non abbia visto sopravvissuti, o un immensoaccampamento all’indomani di un terribile ciclone. Quisono vissuti più di quarantamila uomini appartenenti atrenta razze diverse, a differenti religioni. Qui si sonoscontrati lingue e costumi di ogni angolo del globo. Quisi è cantato, si è pianto, si è disputato di politica, si èversato sangue, si è rubato, ci si è pervertiti.Tutto è finito. I contadini, di notte, non dormono piùcon il fucile caricato a grossi pallini, accanto al letto.Ridono le loro donne curve a raccogliere la succosaverdura, piangono e si disperano le ultime «segnorine»,i loro ruffiani e gli sciacalli; tirano un sospiro i pedonisulla via Flaminia.Si è caricato di blu, come a festa, l’Adriatico che si in-travede oltre i campi di grano turco.

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5. Da “L’Unità”, 14 agosto 1947

NOSTRA INCHIESTA SULLE SPIAGGE ROMA-GNOLE

SE LA RIVIERA ADRIATICA È RINATA IL MERI-TO È DELLE AMMINISTRAZIONI POPOLARI

I

RICCIONE, agosto. – La stagione balneare vera e

propria, quella cioè che ci mostra tutte le attività a

pieno ritmo, non va oltre la durata di 40-50 giorni

dalla prima decade di luglio alla terza d’agosto. Tutto

il restante tempo è fase preparatoria o smobilitazione.

Prima della guerra le correnti straniere, non amanti icalori e la convulsione dell’alta stagione, davano unnotevole movimento in giugno e settembre, mesi checonsentivano agli albergatori e agli esercenti una pattafra le entrate e le spese. Anche quando l’afflusso deglistranieri era notevole, il movimento di denaro era limi-tato e disciplinato. I tedeschi, gli austriaci, i cecoslo-vacchi, gli ungheresi e gli svizzeri, non sarebbero maipartiti alla volta di queste spiagge senza aver prima sa-puto, con matematica precisione, che a Rimini o a Ce-senatico, nel tale albergo distante tanti metri dal mare,la retta giornaliera, poniamo, di L. 22, comprendeva lacamera, la cabina al mare, il servizio, la colazione almattino composta di the o caffè, di tanti grammi dimarmellata, burro, etc. etc., e senza minute informa-zioni sulla presenza o meno di zanzare nella zona. E sipoteva essere certi che se l’impiegato di Monaco diBaviera o il funzionario di Praga avevano stabilito dispendere tanti marchi o tante corone per i quindici giornidi soggiorno, non un centesimo di più sarebbe uscitodalle loro tasche.Oggi, per ovvi motivi, la clientela internazionale è an-cora scarsa pur notandosi, quest’anno, favorevoli segnidi una netta ripresa, con la presenza di forti nuclei sviz-zeri, svedesi, e di isolati elementi inglesi, americani,

austriaci e polacchi. La guerra e le relative occupazio-ni, pur così dure di conseguenze per questo litorale (fa-cente parte, com’è noto, della Linea Gotica), hannopermesso a migliaia e migliaia di uomini di ogni nazio-nalità di conoscere ed apprezzare le spiagge romagno-le, sì che mentre è facile prevedere, per un prossimofuturo, un notevole afflusso di stranieri, sin da oggi leaziende di cura e soggiorno sono entrate in rapportocon tutti i paesi del mondo, giungendo perfino ad inte-ressare l’isola di Ceylon. Le mogli e i bambini dei mili-tari alleati, che sono partiti non più tardi di due mesi fa,hanno lasciato cadere autentiche e non simboliche la-crime su queste vellutate spiagge, e gli stessi militari,quando non potevano «evitare» di andare in licenza, siaffrettavano, con un pretesto, a rientrare in anticipo!Ma il ben di dio di questa stupenda riviera lascia indif-ferente il governo, che mai ha affrontato, con la dovutaforza, il problema della ripresa turistica e balneare e, diconseguenza, il problema dei finanziamenti urgenti edindilazionabili, degli sgravi fiscali e di tutti quei prov-vedimenti di legge atti a coltivare un preziosissimo ter-reno. Dalla punta delle Gabicce a Cervia, i comuni ri-vieraschi non hanno avuto che i soliti, striminziti aiutidi tutti i paesi, per la ricostruzione in genere, senza al-cuna particolare considerazione per gli impianti e laattrezzatura turistico-balneare. Sciocca politica di lesi-na, dunque, che avrebbe lasciato intristire la meravi-gliosa zona, se le popolazioni rivierasche non avesseroposto mano a tutti gli strumenti di lavoro e alle più na-scoste energie, nel ricordo e nell’opera della genera-zione precedente, che trenta anni fa aveva iniziato unaprofonda e proficua trasformazione di tutta questa zona.Via gli alleati, si sono visti alberghi e pensioni, ridottiin condizioni pietose, risorgere ed ospitare clienti nonpiù tardi di dieci giorni da che l’ultimo soldato se neera andato, dopo tre anni di un’opera di lenta e delittuo-sa distruzione. Via gli alleati, si sono visti sorgere d’in-canto strade, viali e giardini, mentre il governo finge diignorare, ad esempio, che la sola cittadina di Riccione,per tacere della martoriata Rimini e della squinternataCesenatico, ha avuto oltre 20 milioni di danni alle solestrade. Seppure in questa avvilente assenza dello Stato,

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ed ostacolate ferocemente dalle pastoie della burocra-zia, le amministrazioni democratiche dei comuni dellariviera romagnola si sono battute e si battono con unimpegno ed un amore che anno dato tangibili e lusin-ghieri risultati.

6. Da “L’Unità”, 15 agosto 1947.

NOSTRA INCHIESTA SULLE SPIAGGE ROMA-GNOLE

ERANO IL REGNO DEGLI IMPIEGATI ORA LOSONO DEI BORSARI NERI

II

RIMINI, agosto – Gli italiani costituiscono la mag-

gioranza della clientela della riviera romagnola. Tol-

ta Roma isolotto a sé stante – l’Emilia, la Lombar-

dia, e, in misura minore, il Piemonte, il Veneto ed

altre regioni, dànno la quasi totalità dei villeggianti,

facendo capo, naturalmente, ai grandi centri di To-

rino, Milano, Bologna, Parma, Piacenza, Reggio

Emilia, ecc.

Ma quando andiamo ad esaminare la composizione dellacolonia bagnanti, ecco risuonare note dolorose. Indu-striali, commercianti, grossi proprietari terrieri, vecchiee danarose famiglie, borsari neri e speculatori di ognirisma, costituiscono, in questo dopoguerra, il 90 percento della clientela. Dalla scena di queste spiagge sonoscomparsi gli impiegati, buona parte dei professionistie la piccola borghesia che costituivano, per il passato,una massa di manovra notevole nell’economia della ri-viera. E da come procede la vita durante la stagionebalneare, si avverte che la guerra nulla ha detto, nullaha insegnato alla maggior parte dei villeggianti. Permoltissimi v’è stata soltanto un’antipatica parentesi, cheha impedito loro di continuare una vita frivola e intes-suta di banalità.

Pronti a muovere sciocche critiche – ignorando voluta-mente il dramma di queste zone – al paese che li ospita,per un’illuminazione, ad esempio, ancora scarsa, perun lungomare non perfettamente sistemato o per un trat-to di spiaggia non bene ripulito, ignorano o fingono diignorare gli sforzi ed i risultati lusinghieri delle ammi-nistrazioni comunali e delle aziende di cura e soggior-no nel campo della ricostruzione e del riordino dei ser-vizi pubblici ed in quello peculiare dell’attrezzatura tu-ristico-balnerare. Non si è imparato nulla, ma si conti-nua a spendere a piene mani e ad imbottire il cane dirazza di pasticcini o di coni gelati.La vita notturna pur avendo, sotto certi aspetti, subitomodificazioni, rimane il punto nero. Se è difficile co-stringere gli uomini a vestire l’abito scuro nelle seratedi gala, è facile accorgersi che le signore sfoggiano pre-ziosi indumenti. E nei «dancings» di moda che preten-dono, ad evitare brutte figure, portafogli ben guarniti, èla solita, stomachevole storia della reginetta, del mi-gliore «decolletè», del piedino meglio calzato, del-l’acconciatura più originale. Da una notte sulla lagunaveneta, alle isole Hawai, a Siviglia, al Messico, allepampas argentine e giù fino all’India più o meno miste-riosa, ogni sera si corre alla ricerca di pretesti per ac-conciarsi nei modi più strani e ridicoli, per ballare comeepilettici, per gustare sensazioni che fanno storcere ilnaso al più vecchio e stagionato cameriere del locale.E i cronisti mondani, a pagamento, naturalmente, siimmergono dai piedi alla testa nella mischia, e non ci-tano se non si è almeno contese o se l’abito da seradella tale signora non valga quanto guadagna un impie-gato in sei mesi. Titoli su quattro, cinque colonne, cor-sivi, asterischi, addirittura pagine intere e rivoli d’in-chiostro, il tutto abbondantemente sostenuto da foto-grafie di veneri pandemie o quasi, vengono dedicati aipettegolezzi della spiaggia, alle acconciature, ai sorri-si, alle gambe delle intervenute alla tale o tal’altra fe-sta. Naturalmente si tratta degli stessi giornali del po-meriggio o della sera che in prima pagina scrivono chequattro milioni di soldati russi si affacciano minacciosisulle rive del Baltico, che Tito sta marciando su Trieste,e che per la terza guerra mondiale non serve il calenda-

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rio, ma basta guardare l’orologio, tanto è vicina. Il tuttoviene sorbito insieme ad una coppa di gelato da mentipensose e preoccupate per il colore della cravatta damettere quella stessa sera.Quando imperversava il giuoco, le donne costituivanola maggioranza della clientela intorno al tappeto verde.Dietro le loro spalle nude, i borsari neri riempivano gliassegni scrivendo spesso e volentieri «un miglione».E non era bello, non era grazioso, per i giuocatori cherientravano all’albergo all’alba, incontrare gli addettial servizio di nettezza urbana (600 lire al giorno) chelavoravano già da 4-5 ore: facevano polvere ed ingom-bravano la strada.

7. Da “L’Unità”, 19 agosto 1947.

NOSTRA INCHIESTA SULLE SPIAGGE ROMA-GNOLE

OGGI I BAGNI DI MARE SONO UN LUSSO PERPRIVILEGIATI

III

RIMINI, agosto. – Soltanto i centri privilegiati pos-

sono permettersi oggi il lusso dei bagni di mare. Fra

questi poniamo naturalmente chi per la guerra nul-

la ha sofferto o perduto e chi addirittura ne ha trat-

to ingenti fortune. Solo quando sono messi con le

spalle al muro da una ricetta medica, gli impiegati e

i piccoli professionisti si indebitano fino al collo e

mandano per quindici giorni la famiglia in una spiag-

gia periferica.

Gli operai, quando sono fortunati, riescono a collocareun figlio in una colonia e si avventurano, una o duevolte al mese, in massacranti viaggi collettivi su grossiautocarri, per passare un’estenuante domenica al mare,in un tratto di spiaggia deserto, con una misera colazio-ne al sacco.Le 20-25 lire giornaliere di un’ottima pensione d’ante-

guerra, non servono a comperare il più piccolo gelatoche ne costa 30. Le pensioni di oggi hanno moltiplicatoper 60 le loro rette.Vi è molto meno circolante, quest’anno, affermano glialbergatori e gli esercenti. Ma ve n’è sempre troppo,per i lavoratori che avvertono profonde dissonanze frala loro vita e quella della colonia bagnanti. Tolti i gran-di albergatori e gli esercenti, tutto il resto dei lavoratoriaddetti all’industria del forestiero lavora per racimola-re un gruzzoletto che gli consenta di affrontare l’inver-no e di pagare i debiti contratti a primavera.Da Cervia al confine con le Marche, tolta qualche pic-cola industria a Rimini e a Cattolica, i paesi rivieraschidebbono trarre dal turismo dei mesi estivi dal 70 all’80%delle loro entrate.Chi affitta la casetta – costringendosi, molte volte, avivere addirittura all’aperto – lo fa per provvedersi delgrano e della legna per l’inverno. Discretamente supe-rano la stagione quelle categorie intermedie, come ba-gnini, concessionari della spiaggia e camerieri che la-vorano a percentuale a condizione però di un lavoroestenuante che raggiunge talvolta le 15-18 ore giorna-liere.Un direttore di un’azienda di soggiorno della rivierache ha il difficile compito di dirigere e coordinare ogniattività turistica e balneare, ha lo stipendio di un comu-ne impiegato. Un addetto al personale e difficile servi-zio di salvataggio sulla spiaggia ha un salario di 800lire giornaliere, pari al prezzo medio di un biglietto dientrata in un dancing. Altrettanto dicasi per un vigileestivo, che dopo tre mesi, va naturalmente ad aumenta-re il numero dei disoccupati. Un venditore ambulantedi gelati solidi, dopo aver camminato dopo 8-10 ore algiorno, ha un ricavato netto che non supera le 700 lire,cifra media che spende un bagnante, ogni giorno, per lesigarette. Un addetta ai telefoni di uno dei centralinidella TIMO, dopo 8-9 ore di pesantissimo servizio, hauno stipendio mensile che non supera le 6000 lire, quan-to che costa un’acconciatura per una signora che vogliapresentarsi ad una serata di gala in un qualsiasi locale.Tonnellate di benzina nutrono ogni giorno code lunghis-sime di macchine di lusso, con il valore di una delle

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quali si tamponerebbe la disoccupazione invernale diun paese della grandezza di Riccione o Cesenatico.Vita fittizia , stridore di contrasti acutissimi, sperpero emiseria, lusso e fame, s’accapigliano e vanno a brac-cetto in un paradossale turbine che dura 40-50 giorni.Quando d’inverno, su questa riviera non più allagata disole e di azzurro si affaccia lo spettro del freddo e dellafame con l’aumento pauroso del numero di disoccupatiche non possono spendere più di dieci lire per una mi-nestra delle cucine popolari, risuona – amaro e dolo-rante sferzato – nel ricordo turbinoso di una vita frivolaed ingiusta, l’impudente protesta di quel tal bagnanteche si è lamentato che alle due di notte nel suo localepreferito, non ha trovato – ahilui! – i tortellini in brodoma soltanto volgarissime lasagne verdi.

8. Da “L’Unità”, 27 agosto 1947.

PER DARE SALUTE E GIOIA AI FIGLI DEL POPO-LO

UN ESERCITO DI MURATORI E CARPENTIERIHA RIMESSO A NUOVO LE COLONIE ADRIATI-CHE

CATTOLICA, 26. – Lembi di Milano, Brescia, Pia-

cenza, Reggio Emilia, Modena e di tante altre gran-

di e piccole città, sono disseminati al sole e al mare

della riviera romagnola, che per la dolcezza della

spiaggia, la finezza della sabbia, i bassi fondali e la

mancanza di correnti è quanto di più adatto possa

pensarsi per la cura marina dei bambini.

A migliaia i bambini affollano queste spiagge; i lorotoraci, le loro ghiandole, le loro spallucce ricurve e leloro carni pallide chiedono di bere iodio e sole, ariapura e moto. Sono figli di lavoratori nati durante la guer-ra, o che per la guerra hanno sofferto fame e disagi diogni sorta.Dicemmo, in un precedente scritto, che un’altra ariaspira da qualche tempo sulla strada litoranea che da

Cattolica, attraverso Riccione e Rimini, conduce a Ce-senatico e si spinge fino alla pineta di Cervia. Per lun-ghi anni i grandi e piccoli edifici delle colonie marine,che su questa strada si affacciano, sono stati occupatida guarnigioni inglesi, da prigionieri tedeschi e da Cor-pi polacchi. Ridotte a caserme, a prigioni, a ospedali, adepositi, a panifici, recintate da reti e da fili spinati,pareva che queste colonie non dovessero più ritornareil regno felice e sospirato dell’infanzia assetata di salu-te.Oggi migliaia e migliaia di bambini sono ritornati pa-droni delle ampie camerate, dei soleggiati refettori, de-gli spaziosi arenili di fronte al mare. Se è bello e com-movente soffermarsi a mirare questa infanzia che divo-ra senza un attimo di sosta il turno dei venti o trentagiorni, non deve dimenticarsi che tutto ciò è dovuto allavoro tenace, e molte volte disperato ed eroico, delleamministrazioni popolari, delle Camere del Lavoro,dell’U.D.I. e di tanti altri enti di assistenza, che hannosuperato notevoli difficoltà per il passato e che ancoraoggi si battono perché le colonie funzionino bene, per-ché ai bambini nulla manchi.Lavoro difficile ed umiliante, il chiedere agli alleati cheritornassero a noi queste preziose cose nostre, ma lavo-ro ancora più improbo il riparare i danni, il rimettere inefficienza gli edifici duramente provati dalla guerra edalla successiva occupazione. Perché è dire poco affer-mare che le colonie sono state lasciate in condizionipietose. Muri sventrati, soffitti pericolanti, scantinatiallagati, fognature distrutte, tubature divelte, materialie rifiuti ovunque, ecco lo spettacolo che un giorno del-lo scorso giugno si presentò agli occhi – tanto per cita-re qualche caso – dei sindaci di Modena e di ReggioEmilia, quando questi ripresero ufficialmente possessodegli edifici che portano il nome di queste due città.Ma non passava molto tempo da che l’ultima missionealleata era uscita da questi edifici con la nota dei “mi-glioramenti” che l’occupazione militare aveva procu-rati, che un esercito di muratori, imbianchini, carpen-tieri e ferraioli prendeva d’assalto – e non appaia que-sta un’espressione fuori luogo – le posizioni per unabattaglia contro il tempo, per consentire un giorno di

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più per i figli dei lavoratori. Perché tutti questi operai –presi sul luogo o provenienti dalle città interessate –sapevano che alle loro spalle tanti bambini attendeva-no, perché sentivano che alla velocità della loro caz-zuola, allo sventagliare dei loro grossi pennelli, al pic-chiettio dei loro martelli, erano appesi giorni di gioiaper maschietti e femminucce, la salute, in una parola,di tanti bambini.E la lotta si è conclusa con una bella vittoria. Due mesifa molte colonie erano ancora occupate dagli alleati, o,se già libere, offrivano all’occhio un miserevole spetta-colo di distruzione. Oggi, diversi turni di bambini sisono succeduti.Nei refettori ritornati bianchi ed accoglienti, ristagnanell’aria, in ogni ora, un profumo di appetitose pietan-ze; nelle camerate, ritornate spaziose e pulite, si scate-nano gioiose battaglie; nelle cucine e sulla spiaggia èuna lotta senza soste per l’appetito e la salute di tantifigli del popolo.

9. Da “L’Unità”, 29 agosto 1947.

COLONIE MARINE PARADISO DEI FIGLI DELPOPOLO

CADONO A SERA STANCHI SUI LETTUCCI E SO-GNANO, MA NON DI TORNARE A CASA

RIMINI, 27 – È un chiaro segno di rinascita, che torna

ad onore di tutto il paese, l’avere affrontato e risolto

almeno in parte l’importante problema delle colonie

marine. Moltissima strada rimane ancora da percor-

rere, su questo terreno, a correggere difetti d’imposta-

zione, a cancellare lacune dovute all’improvvisazione.

Molte comunità si sono allocate in locali inadatti, inquesto primo anno di corsa affannosa al mare. Occorreritornare al ripristino e alla costruzione di appositi edi-fici secondo precisi principi igienici – sanitari. Occorretogliere i bambini dall’aria mefitica e corrotta dei cen-

tri veri e propri; bisogna specializzare il personale –assistenti e vigilatrici – con scuole e corsi professionalinell’ambito almeno della regione.Quest’anno accanto alle amministrazioni popolari e aglialtri enti di assistenza, sono apparse con innegabile suc-cesso le Camere del Lavoro. Abbiamo visto questi or-ganismi organizzare e dirigere colonie, funzionari tra-sformarsi in direttori, impiegati e impiegate divenirepreziosi e validi assistenti e collaboratori.La Camera Confederale del lavoro di Forlì attraversola Federterra e le Leghe Braccianti, ha iniziato a Mare-bello di Rimini, il ripristino della colonia forlivese, chegià ospita circa 300 bambini, e conta di destinare unnotevole numero di milioni – offerti dagli stessi brac-cianti – per la conduzione della colonia stessa. Piacen-za sempre attraverso la Camera Confederale del Lavo-ro è presente a Riccione con una florida comunità dioltre 130 bambini, già al secondo turno, mentre gli ope-rai di Brescia hanno offerto quattro ore lavorative peruna loro colonia già in funzione. E ci soffermiamo sol-tanto ad alcuni casi.Siamo dunque su un nuovo e fertile terreno e noi pensia-mo che questi primi e lodevoli tentativi abbiano un altovalore indicativo e segnino l’inizio di un ampia attività inquesto campo, che riteniamo però debba profondamenteinserirsi in un grande quadro di assistenza da parte dellaC.G.I.L. Attraverso il loro massimo organismo, i lavora-tori potranno dimostrare in modo superbo anche nel cam-po assistenziale la potenza della loro organizzazione enuove capacità creative.Su questa riviera, a fine stagione, il bilancio sarà oltremo-do lusinghiero. 34 colonie a Rimini, 34 a Riccione oltre aCattolica, Cesenatico, Misano, avranno ospitato non menodi 30-35 mila bambini, d’ambo i sessi, dai sei ai dodicianni. Tutti appartenenti a famiglie povere, in turni di 3-4settimane avranno divorato, in un clima ideale, tonnellatee tonnellate di viveri sani ed abbondanti. E dai pasti so-stanziosi, dalle amorevoli cure, dal sole e dal mare avran-no tratto salute e vigore per affrontare il prossimo inverno.Sin dai primi turni, questi bambini sono ritornati alle lorocase con un aumento medio di peso di due chili e con pun-te che raggiungono i cinque.

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Tranne qualche caso eccezionale – non certo riscontra-bile nelle organizzazioni popolari – il vitto è abbon-dante e sostanzioso e si compone, in media, di 200gr dipasta, 100-150gr di carne o pesce, 25-30 di grassi, 25grdi zucchero, 50gr di marmellata, 50gr di formaggio, 200-250gr di frutta, latte e pane a volontà. Uova, conigli epollame sostituiscono talvolta la carne e il pesce, il dol-ce fa qualche apparizione, il cioccolato costituisce un’ot-tima merenda. L’orario della giornata come media, suo-na così: sveglia dalle 7 alle 7.30, colazione alle 8, allaspiaggia dalle 9 alle 12, un sonnellino fino alle 16, an-cora alla spiaggia fino alle 19 dopo una merenda alle17, cena alle 19.30 circa, a letto dalle 21-21.30.Quando cade la sera tira un sospiro di sollievo il perso-nale. “Cucciolo”, “Cipollino” e “Pistacchio” – la fiori-tura dei nomignoli è simpatica e sorprendente – cadonodi schianto sul loro lettuccio e sognano. Sognano ca-vallucci marini e balene, schiuma e sabbia, bagni e mi-nestroni. Sognano gli uomini ritornati buoni e la colo-nia trasformata in permanente.Quello che è certo è che non sognano di ritornare a casa.

10. Da “L’Unità”, 30 agosto 1947.

COLONIE OPERAIE ORGANIZZATE DALLE C.d.L.

ANCHE CORI DI LAVORATORI S’ALZANO ASERA SULL’ADRIATICO

RICCIONE, 29. – Era una casa come tante altre. I

riccionesi raccontano che un bel mattino, nella zona,

venne il terremoto. Un terremoto fatto dapprima di

legulei e di funzionari, poi di ingegneri, capimastri e

muratori, il tutto frammischiato a deliberazioni co-

munali, espropriazioni e a notevoli somme di dena-

ro. Strani tipi vestiti di nero o in calzoncini e ma-

glietta cominciarono a gironzolare spaesati ma sen-

za perdere di vista la casa.

Nel 1941 due architetti di Roma preparavano un pianodi “bonifica” della zona, ma il vistoso plastico non piac-

que al tecnico di famiglia, l’ingegnere Pater di Milano,che lo modificò a suo modo. Si iniziò l’espropriazionedelle proprietà private e per evitare seccature si fissaro-no prezzi molto alti. Le piccole resistenze furono “ami-chevolmente” composte negli uffici di P.S. e alle sedidel fascio, con convincenti discorsetti e chiare allusio-ni, 6000 metri quadrati di terreno furono graziosamen-te “ceduti” dall’amministrazione comunale al simboli-co prezzo di una lira il metro. Un ampio muro claustra-le rese a “tabù” tutta un’importante zona centrale.Le truppe di occupazione che seguirono a questa primaoperazione andavano dallo stanco viandante che sede-va su una panchina del parco, al cameriere di un caffèperiferico, alla guardarobiera, al bagnino e financo albagnante.Si, v’erano poliziotti il cui servizio consisteva esclusi-vamente nel fare il bagno, nel giocherellare con le onde,nell’andare in moscone all’ora tale nella zona tale.Oggi, tutto questo appartiene al regno dei tristi ricordi.Organizzati e guidati dal loro Consiglio di gestione, sonogli operai dell’officina meccanica dell’esercito O.A.R.E.di Bologna, che si godono la villa dell’ex-duce.Il trapasso è simbolico e pratico nel contempo: i bene-ficiati pare però che non se ne avvedano. Gli operai,che hanno occupata la villa, si sono sostituiti, in questoscorcio di stagione, ai loro bambini. Fanno turni di die-ci giorni, pagano soltanto 400 lire il giorno e al matti-no, come in una grande famiglia, compongono amiche-volmente robusti menù, che, per essere fatti da bolo-gnesi, non lamentano mai la mancanza di tagliatelle,carne, frutta e buon vino. Come tanti bambini, questioperai anziani o giovani vivono in serenità di spirito leloro prime gioiose vacanze balneari.A dire il vero, erano spaesati, i primi giorni, e un po’ adisagio. Oggi si sono rinfrescati, si buttano con vigorein acqua, nuotano a larghe bracciate, mettono in seriopericolo i remi del moscone, non si trovano male fra legiovani bagnanti. La sera, per i giovani, ci scappa qual-che volta il ballo, il cinematografo all’aperto o il gelati-no in cara compagnia. I più anziani, invece, al fresco edi fronte al mare che muore con un pacato sciabordio ailoro piedi, esauriti i corti o esaurita la partita a scopa e

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tresette, parlano della loro fabbrica, di problemi di la-voro e di politica.A Rimini, la Camera del Lavoro di Modena ha preso inaffitto un grande albergo, “l’Europa” e vi ha alloggiatiscaglioni di lavoratori che nelle 400 lire di retta giorna-liera trovano un vitto abbondante e sostanzioso, l’al-loggio, la cabina e l’ombrellone alla spiaggia, la tassadi soggiorno. A Gatteo a mare, sono i tranvieri di Bolo-gna che si sono sistemati in un comodo edificio in rivaal mare.Ecco dunque che quest’anno una ventata, sé pur timi-damente, questa riviera, feudo di commendatori e dicontessine, di agrari e di corsari neri, ritrovo di sfaccia-ta mondanità e di eleganza, nido di alberghi e dancingd’alto bordo, focolaio di pervertimenti e di prostituzio-ne camuffata da sete, gioielli, baciamano.I lavoratori si affacciano sulla riva del mare in veste dibagnanti. Sono le prime, sparute avanguardie di un gran-de esercito che lotta anche per il riposo, lo svago, lasalute. L’alto valore indicativo di questa prima, grandevittoria non può sfuggire a nessuno. In un grande alber-go, sulla riviera di Rimini , un gruppo di lavoratori godemeritate vacanze. È un’ipoteca di indubbio valore, perl’avvenire.A Riccione, là dove un giorno prendevano triste consi-stenza i sogni di guerra e di rovine di una mente pazza,s’alzano di sera canti di pace e d’amore di lavoratoriche vedono per la prima volta il mare.

II

DAL DIARIO DI SIBILLA ALERAMO: 3-16 AGO-

STO 1947

(S.ALERAMO, Diario di una donna. Inediti 1946-1960,a c. di Alba Morino, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 149-152)

Si ringrazia l’editore Feltrinelli per il permesso di ri-produrre questa parte del diario edito.

[Roma] 3 agosto, domenica pomeriggio

Morte nella borgata, di Fabrizio Onofri, che ho termi-nato di leggere un’ora fa, è certamente di gran lungasuperiore a tutti gli altri dattiloscritti concorrenti cheho letto (già undici, me ne mancano quindici, sette sonoqui e otto mi aspettano a Riccione, spavento!). Non socosa ne penserà Zavattini, al quale lo passerò domani.Non è un capolavoro, ma ha una grande vitalità, di lin-guaggio, di fede, di passione dominata. Sono contentache sia stato scritto da un giovane del mio partito, nellostesso tempo un poco mi rincresce perchè temo chevotando in suo favore si abbia a pensare che il mio giu-dizio sia inquinato da spirito di parte. È vero che nellagiuria saremo quattro comunisti (Vittorini, Bilenchi,Luzi, oltre a me) e due soli indipendenti (Zavattini ePiovene). Vedremo. Fabrizio è il figliolo maggiore delmio indimenticabile Arturo; e l’ho conosciuto bambi-no. Ora è il capo dell’Agit-Prop. Il suo primo libro, diqualche anno fa, non m’era piaciuto. Attacco subito lalettura di un altro scartafaccio.

Riccione, 13 agosto, mercoledì mattino

Il viaggio in autopullman è stato piuttosto rovinoso –dieci ore su una strada a continue curve – non m’è ve-nuto il mal di mare nelle sue estreme conseguenze soloper un miracolo della volontà di fronteggiarlo – ma perventiquattro ore m’è rimasto un mal di capo e uno stor-

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dimento fastidiosissimi. Solo iersera ho cominciato astar meglio, anche perché finalmente libera dall’abissodella lettura dei manoscritti (altri cinque in due giorni:ma in verità uno solo e attentamente: Il sentiero dei nididi ragno, di Italo Calvino, un giornalista comunista chenon conosco, libro molto singolare, che io e Zavattinisiamo decisi a far entrare in gara con soli altri due o tre,e che si potrebbe premiare ex aequo con quello di Fa-brizio Onofri).

14 agosto, mattino

Settantunesimo mio compleanno. Ora mi alzerò e an-drò qualche momento sulla spiaggia, prima che s’in-fuochi e brulichi. Sola.

mezzogiorno

La spiaggia era già pullulante, e non mi ci son fermata.Fatto un giro breve nel centro, a comperar giornali ecartoline. Tentata di regalare a me stessa un flaconcinod’acqua di lavanda, ma poi rinunziato. Singolare com-pleanno. Ma meno straziante di quello di due anni fa, aRoma… Mondadori mi ha mandato questo telegram-ma: ‘Affettuosi auguri suo settantunesimo compleannocon auspicio di ancora molte nuove fortune letterarie’.Nessun accenno alla mia sollecitazione d’un anticipo.Zavattini ha commentato: ‘In questo caso il silenzio nonè d’oro’. Caro Zavattini, ho detto a lui solo, ieri, dellaricorrenza odierna, e l’ho pregato di non comunicarlaagli altri nostri commensali, che per ora sono unica-mente Mario Luzi e Ferdinando Palmieri, ai quali s’ag-giungerà stasera Guido Piovene con sua madre. Un te-legramma di Elena da Chicago.

Ferragosto, pomeriggio

Ieri Zavattini non mantenne la parola, e disse anche aglialtri commensali ch’era il mio genetliaco. Auguri, vinobiondo, panettone (quest’ultimo offerto da Zavattini).La giornata finì tranquillamente al dancing, dove do-mani sera avverrà la proclamazione dei premi (s’inten-

de che non ho ballato, ma soltanto sorbito un gelato).Ed oggi ho un anno in più! Letti ancora altri due mano-scritti, ma ora finalmente la fatica è terminata. Staseraultima votazione fra i quattro giudici e votazione. Iocome presidente ho diritto a due voti, e farò pendere labilancia a favore di Fabrizio Onofri, il quale tuttaviadovrà dividere il premio con un altro giovane scrittore,anch’egli comunista, Italo Calvino, autore di Il sentie-ro dei nidi di ragno, libro che non è neppur esso uncapolavoro, ma è indubbiamente assieme a quello diOnofri quanto di meno peggio è stato mandato al con-corso…

16 agosto, mattino

Tre voti favorevoli e uno contrario alla premiazione exaequo di Onofri e Calvino: il contrario è stato quello diZavattini, il quale patrocinava il libro di un certo LuigiSquarzina, che invece non è affatto piaciuto né a me néa Piovene né a Luzi. Stamane stenderemo tutti quattroassieme la breve relazione, che stasera a mezzanotteleggerò al pubbico. Abbiamo deliberato di far alcune‘segnalazioni’, e fra esse quella del libro di Eva Quajot-to, che speriamo possa trovare così un editore. Una voltadi più ho verificato il fenomeno della disparità e incer-tezza di giudizio letterario fra gente d’uguale cultura.

III.

CRONACHE GIORNALISTICHE SULL’ASSEGNA-ZIONE DEL PREMIO RICCIONE 1947

1. Discorso di Gianni Quondamatteo per l’inaugu-

razione del Premio Nazionale “Riccione”, 16 agosto

1947.

(Il facsimile del discorso, con un’erronea indicazionedi data –14 agosto, dattiloscritta sul foglio –, è ripro-dotto in AA.VV., Il Premio Riccione per il Teatro, a c.di Fabio Bruschi, Comune di Riccione-Associazione

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Riccione Teatro, 1997, p. 28. Il documento, dall’Archi-vio Quondamatteo, è conservato in fotocopia nell’Ar-chivio del Premio Riccione.)

Signore e Signori, Onorevole Terracini, Signori delleCommissioni Aggiudicatrici, sono oltremodo onoratodi porgervi, a nome dell’amministrazione dell’aziendadi cura e della popolazione, un caldo saluto.Il tempo dirà se questa serata avrà segnato l’inizio for-tunato di un nuovo ciclo nel campo del teatro italiano,e, in misura minore, in quello della letteratura.Il “Premio Nazionale Riccione” è ispirato – diciamolofrancamente – in un modesto intendimento: contribuirea iniziare una nuova vita, portare una pietruzza alla co-struzione, e ricostruzione, del teatro italiano.Quale contributo a questo nostro intendimento daràquesto primo “premio” non è facile a dire: il pubblicoitaliano, la critica ufficiale ed il tempo ci daranno inproposito una chiara risposta. Rimane però fermo unelemento preciso ed inequivocabile: una vittoria note-vole segnano la stessa istituzione del premio, il fermointendimento nostro di migliorarlo e nell’organizzazio-ne e nell’ammontare (vorrei poter parlare di un milio-ne, il prossimo anno), il lavoro difficile, sincero e gio-ioso dei commissari che – me lo si permetta – nella lorochiara fama nazionale ed internazionale nel campo del-la letteratura e del teatro, ci onorano questa sera dellaloro presenza, onorando in senso più lato la rinascitaartistica e spirituale della nostra Italia.Mi si dice ufficialmente che, soprattutto per il dramma,il Premio Nazionale Riccione si trovi di fronte a uomi-ni e lavori nuovi di tale valore artistico e mole da costi-tuire veri e propri squarci di luce nella notte buia cheavvolge malauguratamente il teatro italiano.Per il valore dell’alto giudizio dei commissari, che nonpuò non rispondere a verità, possiamo senz’altro affer-mare con orgoglio che il “Premio Nazionale Riccione”è nato vivo e vitale e ciò costituisce la più ambita ri-compensa per chi ha voluto ed ha lavorato appassiona-tamente alla creazione del Premio stesso, per la durafatica dei commissari, per l’aspettazione [sic] della cri-tica.

Serata dunque, questa, di gala e di spirituale godimen-to. Riccione balza in un sol colpo alla luce ed al caloredell’arte e dell’intelligenza nazionali. Accanto ai suoipregi balneari e mondani, che ne fanno una delle mi-gliori spiagge d’Europa, la “Perla Verde dell’Adriati-co” pone questa sera un alto pregio artistico. Non piùsoltanto grande spiaggia di moda, ma nuova culla pre-ziosa di preziosissime creature, care alle grandi tradi-zioni dello spirito e della intelligenza italiani. Voglia lafortuna accompagnare Riccione anche su questo nuovoe nobile cammino.All’on. Terracini che ha voluto onorarci della sua pre-senza, ai signori commissari che si sono prodigati conamore e rara perizia a lavorare nel Premio Riccione,all’eletto pubblico che ha voluto presenziare questa bellaserata, al signor Savioli che ha offerto il suo incantevo-le giardino e la sua squisita ospitalità, io porgo a nomedell’amministrazione comunale, dell’azienda di soggior-no, della popolazione e della colonia bagnanti, un gra-zie sincero e commosso, con l’augurio – che a me sem-bra il migliore – che il prossimo anno ci si ritrovi insimile occasione, ed ancor più profondamente inseritinel processo di ricostruzione materiale e morale dellanostra Italia.

2. F. ZARDI, Il Premio Riccione, in “Il Giornale del-

l’Emilia”(Bologna), 17 agosto 1947

Il Premio Riccione

Salvo Dell’Armi vincitore per la commedia – ItaloCalvinoe Fabrizio Onofri primi ex-aequo per il romanzo

Riccione, 16 agosto

Le commissioni per il Premio Riccione 1947 hannoconcluso stamane i loro lavori. Come è noto, il premiodi 500.000 lire, era suddiviso in 300.000 e in 200.000lire, assegnate rispettivamente al primo classificato nei

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concorsi per un’opera drammatica e per un romanzo.Notevolissimo il risultato del concorso di teatro, con lapartecipazione di 217 autori, di cui almeno 20 degni diessere rappresentati. Scarso, invece, per numero (29opere presentate), l’esito nel campo della narrativa.

Laboriosa scelta

Laboriosissimo è stato dunque il compito della Com-missione per il teatro, presieduta da Lorenzo Ruggi ecomposta da Eugenio Ferdinando Palmieri, GuglielmoZorzi, Ruggero Ruggeri, Giansiro Ferrata ed AntonioBanfi. I commissari avevano ricevuto dalla segreteriadel Premio una quarantina circa di copioni a testa, conl’incarico di procedere ad una prima eliminatoria. Na-turalmente erano a disposizione di ognuno di loro, tuttii copioni che avessero desiderato di esaminare.Pertanto, giovedì scorso, i quattro giudici (Ruggi, Pal-mieri, Zorzi e Ferrata; assenti giustificati Ruggeri eBanfi) giunti a Riccione, avevano ciascuno un candi-dato nella valigia; e precisamente: Ruggi recava Ange-lo Rognoni da Pavia, autore della commedia «Mita eGolù». Palmieri, Lazzaro Uriele da Milano, autore de«L’invisibile», oltre a un noto scrittore di teatro, la cuiopera non è stata presa in considerazione perché nonrispondente all’imperativo del bando di concorso, cioènon «riflettenti situazioni o travagli del tempo presen-te»; Ferrata portava il vincitore (o la vincitrice?) Salvodell’Armi da Fattoria di Pietrasanta di Arezzo, autore(o autrice?) della commedia in tre atti «Emmelina»; eZorzi recava una candidata, Maria Antonia Misasi au-trice di «Pensione familiare Camilla Zelle». I due as-senti Ruggeri e Banfi, avevano inviato una relazione,proponendo come vincitori del concorso il primo unoperaio di ventitre anni da Torino, Mario Ronco autoredel dramma «L’eterno dolore», e il secondo il collegaGuglielmo Bonuzzi da Bologna autore dell’opera «Que-sto difficile amore».Ben presto il conflitto fra commissari si delineava, eraggiungeva fasi acutissime. Da un lato Ruggi e Zorzi,autori di una stessa tendenza e di uno stesso tempo, for-se con qualche nostalgia estetica: da un altro Ferrata,

critico intelligente e moderno, ma in sostanza soltantogiovane teorico del teatro; e infine Palmieri, con il vi-gore polemico e lo spirito battagliero della sua formamigliore tirati a lucido, deciso a non scendere ad alcuncompromesso con il gusto, la esperienza, la sensibilitàe la cultura che ne distinguono la spiccatissima perso-nalità. Naturalmente gli assenti non avevano voce incapitolo.

La “rosa dei papabili”

Giovedì sera, cedendo alle pressioni del segretario delComitato per il Premio, i commissari si decidevano acomunicare una rosa di nomi di «papabili» cui veniva-no inviati telegrammi di invito a partire per Riccione.Ieri, nel corso delle animatissime sedute, dovevano es-sere prospettate varie eventualità: quella della sparti-zione del premio, quella di un verdetto a votazione, cheavrebbe dato ragione a Ruggi, ma che Palmieri avrebbepreteso accompagnato dalla dichiarazione di non una-nimità.Spesso le sedute dovevano essere interrotte per dar modoai commissari che non conoscevano un’opera sostenu-ta da uno dei loro, di appartarsi a leggerla. È toccato aGuglielmo Zorzi di doversi ritirare nella sala del Palaz-zo del Turismo dove sono esposte le pitture moderne diun’importante mostra cui partecipano numerosi notiartisti d’avanguardia. Clima non certo ideale per l’illu-stre scrittore petroniano.Infine prevaleva la tesi Palmieri, per la scelta di un au-tore e non di un’opera. E poiché due fra le migliori com-medie in esame, presentate sotto diversi nomi (proba-bilmente pseudonimi), provengono da una piccola lo-calità della provincia di Arezzo, Fattoria di Pietrasanta,pensando trattarsi delle opere di un unico scrittore, quin-di autore compiuto e non occasionale, la discussione siimperniava sui lavori «Emmelina» di Salvo dell’Armie «Questa donna esiste» di Midi Mannocci. E chi vole-va premiare «Emmelina» e chi «Questa donna esiste».Come ho detto risultava poi vincitrice «Emmelina»,mentre «Questa donna esiste» era segnalata al terzoposto in graduatoria.

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Il concorso per il romanzo non ha dato luogo a seduteanimate della commissione giudicatrice, presieduta daSibilla Aleramo e composta da Guido Piovene, CesareZavattini, Mario Luzi e Romano Bilenchi. Non essen-do emersa un’opera di rilievo, il premio è stato asse-gnato ex aequo a Italo Calvino da San Remo ed a Fa-brizio Onoffri da Roma, rispettivamente autori del ro-manzo «Il Sentiero dei nidi di ragno» e «Morte in piaz-za».

L’arrivo dell’on. Terracini

Nel pomeriggio una lieta sorpresa arrideva agli orga-nizzatori del Premio Riccione: l’arrivo del Presidentedell’Assemblea Costituente, on. Umberto Terracini,accompagnato dalla gentile consorte, Maria Laura. Laseconda autorità della Repubblica era stata invitata contelegramma spedito tre giorni orsono, in considerazio-ne della notizia data recentemente dalla stampa, dellavocazione di Maria Laura Terracini per l’arte scenica;ma non essendo giunta nessuna conferma, ogni speran-za che la proclamazione dei vincitori del Premio potes-se avvenire alla presenza dell’illustre personaggio erastata dimessa.Nessuno dei vincitori, preavvertiti telegraficamente inqualità di «papabili», e di nuovo sollecitati dopo il ver-detto delle commissioni, è apparso, talché la solennecerimonia notturna, al Dancing Savioli, ha avuto la scenavuota dei tre primi attori (nella fattispecie, primi auto-ri). Il mistero che avvolgeva fino a tarda sera il titolaredel Premio di Teatro, è stato tuttavia diradato da unimprovviso lampo mnemonico di Cesare Zavattini, ilquale ha ricordato di aver conosciuto circa 10 o 12 anniaddietro una giovanissima signorina, Midi Mannocci,allorché vinse un concorso per un racconto indetto dalquotidiano di Roma «La Tribuna». La giovane scrittri-ce, dopo la brillante affermazione, in seguito a dispia-ceri privati, si ritirò nel paesello toscano di Fattoria diPietrasanta, in provincia di Arezzo, e da allora non siebbero più sue notizie. Ora non v’è dubbio che si trattidella stessa persona che si è classificata terza nella gra-duatoria del concorso di Teatro del Premio Riccione con

la commedia – definita dai giudici opera di eccezionalevalore – «Questa donna esiste», ma vi sono inoltre molteprobabilità che anche la commedia vincitrice del Pre-mio, «Emmelina», presentata con lo pseudonimo Sal-vo Dell’Armi, sia opera della Mannocci, poiché l’indi-rizzo dato è pure di Fattoria di Pietrasanta in provinciadi Arezzo.Prima di recarsi alla festa al Savioli, l’on. Umberto Ter-racini e consorte, con il viceprefetto di Forlì e il sinda-co di Riccione, avevano partecipato ad un pranzo inonore delle commissioni giudicatrici del Premio. Du-rante il convito, Lorenzo Ruggi ha conversato a lungocon Maria Laura Terracini, che gli sedeva a fianco, epare che in linea di massima le basi per una compagniadi prosa per recitare le opere emerse dal Premio Ric-cione, con prima attrice la consorte del Presidente del-l’Assemblea Costituente, siano gettate.

3. Da “L’Avvenire d’Italia”, Bologna, LII, 194, 17

agosto 1947, p. 4

Notizia redazionale

I PREMI RICCIONE/ SALVO DALL’ARMI [sic] VIN-CE NEL TEATRO, ITALO CALVINI [sic] E PATRI-ZIO [sic] ONOFRI NEL ROMANZO

Riccione, 16 sera/ Questa sera a mezzanotte ha avutoluogo la proclamazione dei vincitori dei due “Premiletterari Riccione” di lire 300mila, per una opera dram-matica, e di lire 200mila per una narrativa. La commis-sione del premio all’opera drammatica, composta daLorenzo Ruggi, Ruggero Ruggeri, Guglielmo Zorzi,Giannino [sic] Ferrata e Eugenio Ferdinando Palmieri,ha assegnato il premio di 300mila, per una commedia“riflettente situazioni o travagli del tempo presente” aSalvo dall’Armi [sic] di Arezzo, con “Emmelina” in treatti. La commissione ha ritenuto inoltre degne di se-gnalazioni dodici commedie, fra cui “Nita e Golu” [sic]di Angelo Rognoni, di Pavia, “L’invisibile” di LazzaroUriele, di Milano, “Questa donna esiste” di Nidi Man-nucci [sic] di Arezzo. La commissione per un’operanarrativa, composta da Sibilla Aleramo, Cesare Zavat-

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tini, Mario Luci [sic] e Guido Piovene, ha diviso il pre-mio in due da 100mila ciascuno devolvendoli a ItaloCalvini [sic], con “Il sentiero dei nidi di raghi” [sic]; ea Patrizio [sic] Onofri, con “Morte in piazza”. La com-missione ha inoltre segnalato sei romanzi. I premi era-no riservati a scrittori nuovi, sia nel campo teatrale chein quello narrativo.

4. Giubo, Terracini ha conquistato Riccione, in “Li-

bertà” (Piacenza), 19 agosto 1947 (conservato pres-

so Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi -

Reggio Emilia)

FERRAGOSTO SULL’ADRIATICO

TERRACINI HA CONQUISTATO RICCIONE

Imprese burlesche e battaglie letterarie: in questa

atmosfera il presidente della Costituente ha avuto

una “sua” vittoria

(Dal nostro inviato)

RICCIONE, agosto.Lungo la costiera adriatica che da Rimini a Cattolicadistende in linea ininterrotta la teoria multicolore dellesue ville, delle sue cabine e dei suoi bagnanti, si è fattoun grande spreco di termini guerreschi come battaglia,conquista, vittoria. E questo proprio nei giorni di ferrago-sto, sacri per lunga e cospicua tradizione al riposo e alleubriacature di sole e di salsedine. Si è però trattato di fac-cende sostanzialmente pacifiche e senza gravi conseguen-ze.Veramente qualche arma si è vista in circolazione: daghe,picche e altissimi faciloni dell’epoca napoleonica; nellastessa giornata di ferragosto, però, sono tornate al magaz-zino teatrale da cui erano uscite. Si trattava infatti dell’ar-mamento di quel baldo nucleo di duecento guerrieri cheha tentato l’ormai celebre “impresa di San Marino”. Unbizzarro (e distrattissimo) collega bolognese si rammari-cava per un mancato “portafoglio” e le lasagne al forno

che stava divorando non erano sufficienti a consolare ilsuo rammarico. Infatti ne ha chiesta un’altra porzione.Sul proclama esposto da “Zanarini” (il famoso caffè erasempre zeppo) figurava davvero il suo nome tra i mem-bri del nuovo governo. Lo incorniciavano le fotografieprese il mattino di Ferragosto quando Riccione, com-mossa e fiera, aveva visto sfilare i prodi guerrieri par-tenti per l’impresa. Anche noi avevamo dato il nostrosaluto augurale, ma ce li siamo visti tornare…. Sbara-gliati dai carabinieri ai posti di blocco collocati sullestrade. Erano avviliti, avevano tentato minacce, astuziae preghiere. Una fotografia ha immortalato uno dei prodiinginocchiato col suo fucilone davanti ad un carabinie-re, in atto di supplica.

Troppo zelo

Così Vittorio Emanuele Orlando, cui era destinato ilnuovo regno da costituire per compensarlo delle dimis-sioni da deputato, è rimasto senza corona. Sergio Busi,il simpatico “conte della Secchia” (autore del rapimen-to di Modena) ci ha detto la sua delusione per il falli-mento di questa seconda impresa; ma non aveva perdu-to il buonumore.Il giorno successivo, in una visita a San Marino, un’as-sembramento di persone all’ingresso del borgo ci hafatto pensare a eccitazione di animi o a preparativi didifesa. I sammarinesi non parlavano volentieri dellaprogettata “invasione”; neppure il cicerone del palazzodel governo, pur così loquace sulle pagine della anticacronaca repubblicana – voleva pronunciarsi su questapagina più recente. Gli abbiamo chiesto scherzando senon avessero suonato le campane a martello e messo inpostazione i vecchi cannoni di bronzo della fortezza maabbiamo capito subito che non conveniva insistere. “Isanmarinesi sono gente di spirito e sanno stare alloscherzo; e poi nella loro storia non si sono allarmati perfaccende ben più serie”. Questo ci ha detto. L’opposi-zione all’“impresa” pare dunque sia venuta da troppozelo di alcune autorità italiane, non da interventi “di-plomatici” della reggenza sanmarinese.Su in alto, le tre punte turrite del Titano erano un sogno

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di pietra nel chiaro sole mattutino. E non era difficile,guardando di lassù il panorama ventoso e ampio e ilborgo tutto addossato sotto a chieder protezione, dimen-ticare il “conte della Secchia” e le armi napoleoniche.

Romanzo a teatro

Il clamore della burlesca “impresa” ha fatto passare inseconda linea un’altra battaglia che intanto si svolgevasilenziosa ma vivace nelle comode sale del “Principe”dove erano riuniti i commissari del Premio Riccione.Guido Piovene, Cesare Zavattini, Mario Luzi, RomanoBilenchi e Sibilla Aleramo che presiedeva, dovevanodecidere quale dei ventotto romanzi presentati fossemeritevole delle duecentomila lire: lotta breve perché,non essendo emersa un’opera di rilievo, il premio è sta-to assegnato in parti uguali a due comunisti, Italo Cal-vino e Fabrizio Onofri, per i romanzi “Il sentiero deinidi di ragno” e “Morte in piazza”. All’ultimo momen-to un telegramma di Elio Vittoriani, membro della giu-ria ma assente, sembrava dovesse cambiare la situazio-ne, ma poi tutto è rimasto come deciso.Ben più accanita la battaglia per il premio del teatro ditrecentomila lire al quale concorrevano duecentodicias-sette autori. Presieduta da Lorenzo Ruggi, la commis-sione era composta da Calmieri [sic], Zorzi, Ferrata ,Ruggeri e Banfi. I due ultimi sono rimasti assenti (giu-stificati), ma, pur ristretta a quattro persone, la batta-glia non è stata meno vivace. L’ha vinta infine Ferratacon l’appoggio indiretto di Calmieri [sic] e il premio èstato assegnato a Salvo dell’Armi per la commedia“Emmelina”.

Midi la Misteriosa

Chi è Salvo dell’Armi? È evidente che si tratta di unopseudonimo, ma chi si nasconde sotto di esso? Alla pro-clamazione notturna nessuno dei premiati era presente,ma prendeva sempre più piede la ipotesi che Salvo del-l’Armi e Midi Mannocci, segnalata al terzo posto per lacommedia “Questa donna esiste” fossero la stessa per-sona. Ipotesi avvalorata dal fatto che le due opere pro-

venivano entrambi da una piccola località della provin-cia di Arezzo, Fattoria di Pietrasanta.All’indomani della proclamazione, quando siamo an-dati al “Principe” per accompagnare Sibilla Aleramoinvitata alla Colonia del Patronato scolastico piacenti-no di Misano, nella sala dell’albergo Zavattini e Piove-ne mettevano al corrente i colleghi delle ultime novitàsul mistero. Sembrava che l’autrice (si trattava propriodi una donna) fosse arrivata in mattinata, ma che, a co-sto di rinunciare al premio, non volesse essere avvici-nata da nessuno. Doveva essere proprio Midi Mannoc-ci che una dozzina di anni addietro aveva vinto un con-corso della “Tribuna” per un racconto. Poi, in seguitoal cattivo esito di un altro concorso, si era ritirata in unacasa di campagna a vivere isolata e chiusa pur tre seisorelle; per sfuggire a qualsiasi contatto entrava ed usci-va dalla porta secondaria della casa. Poi l’annuncio delpremio Riccione l’aveva riscossa da questa specie diletargo e in venti giorni aveva buttate giù le due com-medie presentate e così brillantemente classificate. “Chebell’articolo se ne potrebbe fare” esclamava Piovene.

Terracini e Crovini

Gli organizzatori del Premio Riccione hanno avuto unafortuna forse insperata: l’arrivo improvviso dell’on.Terracini al quale avevano diretto un telegramma d’in-vito tre giorni prima. Egli è giunto accompagnato dallaconsorte, Maria Laura, della quale sono ormai note leintenzioni cinematografiche.Di primo pomeriggio si è portato senza preavviso allacolonia della C.d.L. piacentina dove già si trovava, ospi-te di una colazione, Sibilla Aleramo. Lo ha accompa-gnato alla Colonia il simpatico sindaco di Riccione, dott.Giovanni Quondamatteo, comunista e amico dei pia-centini.L’incontro di Terracini col sindaco Crovini è stato ca-loroso; la seconda autorità della repubblica si è messoin maniche di camicia, ha disdegnato le poltrone peruna sedia e ha chiesto un bicchier d’acqua fresca. Havoluto sapere tutto, sulla colonia, sulla C.d.L., sull’as-sistenza all’infanzia nel nostro comune, sulle necessità

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di Piacenza, sulla situazione del P.C. e dell’amministra-zione comunale. Con le bimbe ha scherzato e chiac-chierato a lungo; le bimbe, non conoscendolo, applau-divano il sindaco, e lui si divertiva un mondo. Gli ab-biamo chiesto se non pensava ad una visita a Piacenza;ha risposto che non è da escludere.

La “prima signora” farà del teatro?

Alla sera, al “Principe” pranzo di gala in onore dei giu-rati del Premio. La signora Maria Laura Terracini era inbianco; un velo all’araba le incorniciava il volto bello edolcemente serio. Lorenzo Ruggi l’ha stretta d’assedioe pare che le abbia strappato la promessa che reciterà,in una speciale compagnia, le opere emerse dal Pre-mio. Il sindaco Crovini rideva alle barzellette di Zavat-tini che era in vena; Zorzi raccontava aneddoti teatrali;Sibilla Aleramo sorrideva spesso alla signorina FernandaCrovini. Alle ventitré il gruppo si è portato al “DancingSavioli”, brillante di lampadine colorate, di spalle nudefemminili e di giacche bianche maschili. All’una la pro-clamazione dei vincitori; ha parlato pacata e un po’ com-mossa Sibilla Aleramo; ha parlato fervido e calorosoLorenzo Ruggi, predicendo sicuro avvenire al teatro ita-liano. Poi ha parlato Terracini che era in abito blù.

Un piatto di lasagne

È necessario dire che un discorso del comunista Terra-cini in quell’ambiente, tra la gente del cosidetto belmondo, era atteso con una certa curiosità? Terracini haparlato come gli è abituale: scarno preciso, veloce, conpochi gesti e nessuna enfasi, tenendo in mano il micro-fono. Ha fatto colpo. Il bel mondo è rimasto sorpreso eammirato dalla sua oratoria, del suo tatto, della sua abi-lità. Il comunista Terracini non è stato polemico: ha dettosoltanto che come il patrimonio culturale deve esseredi tutti, così anche qualsiasi altro patrimonio. Ma lo hadetto bene, senza insisterci, di passaggio, fra tante bel-le parole sulla letteratura e sul teatro, sul mondo spiri-tuale di ognuno di noi e sul Premio Riccione.A quelle parole, dal tavolo dietro al nostro è partito un

mormorio sommesso; ma scroscianti e sinceri sono sta-ti gli applausi alla fine del discorso. Terracini è piaciutoalla “bella gente” convenuta a Riccione; si è parlato poidi lui al “Grand Hotel” e al “San Marco”, da Zanarini esulle spiaggette riservate delle ville. Si è parlato bene-volmente e in qualche caso addirittura con entusiasmo;tutti hanno detto compiaciuti che è “il cervello del par-tito” e “l’uomo adatto a presiedere la Costituente”. An-che Terracini ha dunque vinto la sua battaglia. Non haavuto bisogno di consolarsi, come i “guerrieri di SanMarino” che, per dimenticare il fallimento dell’impre-sa hanno portato per tutta Riccione un allegro scompi-glio, scandalizzando i compassati signori del “GrandHotel” con la offerta di un piatto di lasagne alla cantan-te che mollemente appoggiata al microfono ringrazia-va per gli applausi.

5. Z. Premio Riccione, in “L’Adriatico”, n. 10, 20

agosto 1947.

Mentre a Viareggio veniva aggiudicato il premio omo-nimo a “Lettere dal carcere” di Gramsci, a Riccione lastessa notte del 16 agosto si concludevano i lavori delleCommissioni, che hanno assegnato il premio a SalvoDell’Armi (sembra trattarsi di una donna) per la com-media e ad Italo Calvino e Fabrizio Onofri, ex-aequo,per il romanzo.Riccione ha in tale modo dato inizio a una tradizionepassibile dei maggiori sviluppi, attrazione di prim’or-dine negli anni a venire, tanto più apprezzabile in tem-pi caratterizzati dal più sfacciato, banale, esibizionisti-co e plateale materialismo.Le grandi firme, per questo debutto, sono mancate per-chè polarizzate tuttora dall’ormai famoso torneo via-reggino, nel quale il premio è stato assegnato all’operapostuma di Antonio Gramsci, abbiamo detto, a giustoriconoscimento del suo alto valore ideale e umanistico,con particolari segnalazioni per la Bellonci, Moravia,Pea, etc.Nel romanzo, inoltre, è stata scarsa la partecipazione alconcorso (appena trenta autori), forse perchè il bando

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poneva delle limitazioni, che speriamo nelle prossimeedizioni siano eliminate, non solo per dare maggior ri-salto e interesse al premio, ma anche perchè, a nostromodesto avviso, l’opera d’arte, il capolavoro, possonougualmente sortire da una trama che pur manchi di “con-tenuto sociale”. E qui il discorso sarebbe lungo, se nonesulasse dai fini di una pura e semplice cronaca.Per il dramma, invece, i copioni hanno superato i due-cento, e dopo un primo vaglio l’attenzione dei giudiciha dovuto laboriosamente giostrare su una larga rosa dinomi. Ci pare un ottimo sintomo, proprio allorquandoil teatro italiano sembra aver raggiunto l’acme della suacrisi.Dopo le disastrose esperienze che hanno portato il no-stro teatro all’attuale stato comatoso, non ci dispiaceche i premi siano andati a nomi nuovi. Chissà che pro-prio da qui non scaturisca la auspicata rinascita, e sia-mo impazienti di vedere realizzate sulla scena, nellaprossima stagione invernale, le opere prescelte, e comeverranno accolte da pubblico e critica.Post scriptum. – La presenza dell’on. Terracini e Si-gnora, assai gradita, e che indubbiamente ha dato si-gnificativo rilievo alla maniffestazione, non ha peròneutralizzato la delusione causata dall’assenza degliautori prescelti, nel corso della festa mondana indettaper l’assegnazione dei premi.

6. Bozza di articolo spedita da Giorgio Fanti al “Pro-

gresso d’Italia” di Bologna, conservata nell’Archi-

vio del Premio Riccione.

Da inserire dopo aver dato la notizia del premio Ric-cione

I commissari che hanno assegnato il premio per il tea-tro erano veramente contenti: una mole imponente dilavori – 217 – (anche se questo è stato motivo di mag-gior fatica per i giudici), un gruppo di autori giovaniquasi tutti, di notevoli qualità e di sicuro temperamen-to, e fra essi il vincitore, Salvo dell’Armi sul quale ivoti sono stati concordi. Veramente discussione v’è stata

perchè Ruggi e Zorzi puntavano su Angelo Rognoni –il primo segnalato – ma alla quarta ripresa delle riunio-ni Ferrata e Palmieri hanno avuto la meglio e Zorzi eRuggi hanno accettato le ragioni e il giudizio degli al-tri. Aspettiamo questa sera il vincitore per guardarlo inviso e toglierci il dubbio, perchè, a sentire Zavattini,che veramente col teatro oggi non c’entra – è giudicenell’altra commissione –, dietro lo pseudonimo di Sal-vo dell’Armi si nasconde la stessa giovane scrittrice diArezzo, Midi Nannucci, che ha avuto un altra comme-dia segnalata, “Questa donna esiste”. Cesare Zavattiniripete che le cose stanno così, che è sicuro, che “staseravedrete”, e può darsi che abbia ragione (i giudici purehanno trovato molte zone di somiglianza fra i due lavo-ri), anche se non gli si può fare molto credito perchèfino a qualche ora fa aveva assicurato che la Nannucciè tutt’ora a Hollywood e che non l’avremmo quindi vi-sta. Poi si è accorto di averla confusa con un altra ami-ca. Comunque pare che la scrittrice abbia vinto una die-cina d’anni fa un premio della “Tribuna” per un rac-conto. Se Zavattini ha ragione sarà un bel successo perla Nannucci alias Salvo dell’Armi, ma stasera vedre-mo. Non altrettanto contenti i giudici della commissio-ne per il romanzo, pochi i lavori, 28, e senza fra essi lapersonalità che si staccasse nettamente. Così è venutofuori un ex-aequo fra Italo Calvino e Fabrizio Onofriche si divideranno le 200mila lire di premio. Ma alme-no qui non vi sono dubbi sulle persone; Calvino e Ono-fri sono tutt’e due comunisti, tutt’e due giovani e giànoti: Calvino ha scritto degli ottimi racconti sulla terzapagina dell’Unità e Onofri è popolare come agit-propdella direzione del P.C.I., uno dei dirigenti degli intel-lettuali comunisti. Colpa del presidente la commissio-ne, qualcuno dirà certamente, la scrittrice e comunistaSibilla Aleramo. Le cose stavano a questo punto, e or-mai tutto era quieto nell’attesa della cerimonia ufficia-le di stasera quando sono arrivati trafelati al Palazzodel Turismo, centro dei lavori, il maresciallo e i suoi trecarabinieri (la forza pubblica di Riccione): avevano sa-puto che era in arrivo il Presidente dell’Assemblea Co-stituente, on. Terracini, e che avrebbe partecipato alpranzo ed alla premiazione ufficiale. Hanno voluto sa-

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pere tutto, anche dei romanzi e delle commedie, hannovoluto guardare sotto la seggiola dove probabilmentesiederà Terracini, poi se ne sono andati, contenti di averfatto le cose a modo, e felici di approfittare della visitadel Presidente per “mettersi in borghese” (gli organiz-zatori non li volevano alla cerimonia, ma il marescialloinsisteva che per obbligo professionale gli era impossi-bile mancare, e così è venuta fuori con soddisfazione ditutti la “divisa borghese”.)

All’una arrivo di Terracini e signora.Alle sedici visita alla colonia della C.d.L. di Piacenza,presente il sindaco di Piacenza.

[…] Giorgio Fanti.

7. Comunicato stampa (non datato) di Paolo Bigna-

mi in merito all’assegnazione del Premio Riccione.

Alla mezzanotte del 16 agosto verranno proclamati ivincitori dei due premi letterari Riccione 1947 con so-lenne cerimonia in occasione del ballo di gala della sta-gione. Ha partecipato al Concorso un grandissimo nu-mero di scrittori noti ed ignoti. Alla stessa entità cospi-cua del premio che è di mezzo milione (300.000 com-media inedita, 200.000 per un romanzo) già imprimeun carattere di eccezionale importanza a questo nuovopremio letterario nazionale che sulla spiaggia adriaticarappresenta quello che per la tirrenica fu da tempo isti-tuito a Viareggio. Il nuovo premio infine ha la partico-lare finalità di mettere in luce un commediografo. Im-portanti dichiarazioni saranno fatte sulla possibile rap-presentatività del lavoro premiato e degli altri eventual-mente messi in luce dal concorso. Data l’importanzadell’avvenimento letterario, la pregheremmo di volerdisporre nei giorni che precedono e per la sera del 16corrente un servizio speciale di corrispondenza per ilSuo giornale. Il Comitato organizzatore ed i due comi-tati per la assegnazione dei premi saranno a disposizio-ne dei giornali per tutte le indicazioni e comunicati delcaso. Con ringraziamenti e distinti saluti.

Caro Vecchi-Radio Bologna mandiamo anche a lei co-pia della lettera e del comunicato che si manda ai prin-cipali giornali. La pregherei anche a nome dell’Avv.Ruggi che è già a Riccione che è presidente della com-missione di volere dare un preannuncio nei prossimigiorni seguito dall’importante comunicato che riguar-derà l’esito del concorso. la preavverto perchè possadisporre per una trasmissione in ora vantaggiosa tenutopresente che la nostra spiaggia è sotto la vostra ondaradiofonica.

[comunicato spedito a: Corriere della Sera, CorriereLombardo, Milano sera, Giornale dell’Emilia, Progres-so, Avvenire, Cronache, Messaggero, Tempo, Popolo,Momento, Giornale d’Italia, Il giornale (Napoli), IlGazzettino sera, La stampa.]

8. G.QUONDAMATTEO, Midi Mannocci si scanda-lizza per i costumi da bagno troppo succinti, in “IlProgresso d’Italia”, (Bologna), n. 223, 20 agosto 1947.

HA VINTO “IL PREMIO RICCIONE”

MIDI MANNOCCI si scandalizza per i costumi dabagno troppo succinti

Ufficialmente, il “Premio Nazionale Riccione 1947” perun lavoro teatrale è stato vinto dal signor Salvo Del-l’Armi da Pietraviva, in provincia di Arezzo, con ildramma in tre atti “Emmelina”, che la giuria ha giudi-cato lavoro di rara potenza espressiva, autentica e pre-ziosa rivelazione.Ma il signor Salvo Dell’Armi è una donna, è la signori-na Midi Mannocci nata a Roma trentadue anni or sono,da padre toscano e madre abruzzese che le hanno rega-lato altre cinque sorelle. Lo pseudonimo le fu suggeritoda Grazia Deledda, alla quale fu legata da tenera amici-zia, ed è costituito dalla semplice somma del cognomematerno e di quello della nonna.A 12 anni, Midi Mannocci lascia la scuola al terzo gin-nasio, perché rimandata ad ottobre in tutte le materie,con un bel tre in condotta. Si tratta di vivacità, di irre-quietezza null’altro. “Tu non andrai più a scuola e lave-rai i piatti” le dice la madre. La serva, infatti, viene li-cenziata di proposito e Midi, povera bimbetta dodicen-

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ne, a lei si sostituisce nel lavare piatti o sciorinare alsole robuste tele e larghi lenzuoli che odorano di pan-no. È la sua prima dolorosa sconfitta che non le impe-disce però di studiare da sola e di farsi una solida cultu-ra letteraria.Giovinetta, vince il concorso per una novella indettodalla tribuna di Roma, suscita speranze, poi ricade nel-l’ombra. Qualche anno fa, sfiora la vittoria al concorsoper un romanzo: battuta e sconcertata, si rifugia in cam-pagna e vive una vita ritiratissima, come a punirsi, amortificarsi.Quando viene in possesso del bando di concorso per il“Premio Riccione”, ritaglia diligentemente il pezzo delgiornale e in un gesto di superba e fanciullesca sfidasveglia tutta la fattoria e lancia un grido: “C’è un pre-mio Riccione! Questo è mio o sparisco dal mondo”.Infatti con “Emmelina” e “Questa donna esiste” piazzadue lavori nei primi tre.Il primo è nato qualche anno fa ed è cresciuto giornoper giorno, senza fretta, con cura e diligenza; l’altro,invece, è venuto fuori di getto in quel di Valleombrosa,in soli dodici giorni.I copioni dei due lavori, che giungono alla segreteriadel “Premio” sono costituiti da poveri fogli di carta an-neriti da una macchina da scrivere antiquata. Sopra ledue copertine da quattro soldi, una calligrafia da donnaha vergato due nomi maschili, un titolo, una data. Nulladi pretenzioso, dunque e che voglia farsi notare. Come l’autrice, che si rivela donna d’ingegno e di for-te volontà soltanto dopo un attento esame – tanto è sem-plice al primo aspetto – anche i due dattiloscritti si of-frono timidi e timorosi, non certo a somiglianza di altritirati a lucido ed arricchiti di fregi e ghirigori. Involu-cro e contenuto si accapigliano: come bisticciano untantino la sensibilità, l’intelligenza e la bontà di MidiMannocci con la figura fisica di questa donna di mediastatura, rotondetta, dai capelli neri, lisci, pettinati sem-plicemente, dagli occhi chiari, mobili e ridenti, da uncorpo e da un volto, per finire, regolari e semplici ditante e tante donne.Quando parla, le parole le escono afatica dalla bocca, e se talvolta sono umili, remissive epaiono scusarsi di essere venute fuori, tal’altra sonoincise quasi imperative.Strana forza, quella di Midi Mannocci, che fonde stra-ne contraddizioni. Al presidente della giuria: “Lei ve-drà che non sarà pentito di avermi dato il premio: que-

sto è solo uno scalino, vedrà dove arriverò” Alle autori-tà ed ai giornalisti che le chiedono le sue impressioni:“Non posso essere contenta perché ancora non ci cre-do” e rivolgendosi a Fabrizio Onofri1, uno dei vincitori

1 [La cronaca del Premio, tuttavia, all’unanimità, dà en-trambi gli autori della sezione letteraria (Onofri e Calvi-no) assenti dalla cerimonia di premiazione. Gli scambiepistolari tra Bignami e Ruggi, invece, indicano come lavincitrice della sezione teatrale di fatto si presentasse ri-fiutando però d’apparire in pubblico la sera dell’assegna-zione del premio, venendo qualificata, nelle parole diRuggi a Bignami, come “rustica” (lettera del 18 agosto1947): «mia dia ulteriori notizie della strana premiata,dalla quale non oso chiedere la fotografia, che viceversadovrebbe essere nell’interesse del Premio su tutte le rivi-ste della settimana. La precauzione che dovete prendereper un altro anno è quella che l’autore non sia rustico, edabbia il dovere contrattuale di mostrarsi e di agevolaresul terreno reclamistico le alte finalità del Premio». Lostrascico sulla vittoria continuò in un ulteriore missiva diRuggi a Bignami, il 5 settembre: Purtroppo le mie previ-sioni sull’autrice e l’opera premiata si stanno verificandoe Le assicuro che avrei proprio desiderato il contrario.Ho parlato ieri sera con [Paolo, ndr.] Grassi {del Piccolodi Milano, ndr.] il quale ha letto Emmelina e, come erafacile immaginare, ha trovato anche per lui il lavoro ir-rappresentabile. È d’accordo nel ritenere che si tratta didifetti molto gravi e tali che anche altre compagnie diffi-cilmente potranno affrontare questo rischio. D’altrondecredo che la stravagante autrice (stravagante o furba; saràben contenta di aver incassato le trecentomila lire, consi-derandole quasi come un premio della SISAL e deside-rando essa stessa di sottrarsi al rischio della rappresenta-zione. Le ricordo che cosa io dissi quella sera quando,per aderire al desiderio della maggioranza, non feci l’op-posizione che sarebbe stata del caso. Spero viceversa chepossa venire piazzato e valorizzato qualche altro lavoro.Intanto, per cominciare, Ruggeri metterà in scena il lavo-ro dell’operaio [Mario Ronco, L’eterno dolore, ndr.] conla nostra compagnia a Milano, nella prossima stagione diOttobre-Novembre e ha già distribuito le parti. Inutile dirleche l’autore non sta nella pelle dalla gioia. Se il primopremio non ha colpito il segno la vostra iniziativa egual-mente, come vede, si rende benemerita dell’arte italia-na.”. Le polemiche sulla scelta della Mannocci (su cuiaveva puntato tutte le carte Ferrata, come si deduce dallacronaca), furono confermate anche da una lettera di Gu-gliemo Zorzi a Bignami il 29 agosto, che mette in luce lazizzania seminata all’interno della giuria da due scuoledi pensiero (una della maggiore rappresentabilità dell’ope-ra da premiare, l’altra della maggior qualità letteraria):

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9. Dalle memorie di Augusto Cicchetti, vicedirettoredell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Riccionenell’estate 1947.

Testimonianza raccolta da Giancarlo D’Orazio. In APR.[Il testo è stato conformato in ortografia, uso di maiusco-le e minuscole. Tuttavia, il carattere orale della testimo-nianza, con l’alternanza di disparati tempi verbali, dialo-gato e commento, etc., è stata mantenuta. Qualora si fos-sero verificate delle inesattezze nella ricostruzione memo-riale, o si siano rese necessarie delle lucidazioni, si è prov-veduto a darne nota in parentesi quadra]Era l’anno 1947, Riccione occupato dalle truppe alleateche evacuavano con calma e liberavano via via gli alber-ghi e le ville, il Paese provato dalla guerra e dall’occupa-zione allo sfascio, 6 chilometri di spiaggia da bonificare[molti tratti minati dai tedeschi per contrastare eventualisbarchi degli alleati] e livellare, strumento base per il turi-smo cittadino, fonte di guadagno per sopravvivere tutti. Inquel tempo io ero il Tecnico e Vicedirettore dell’Aziendadi Soggiorno, avevo lasciato, dopo 10 anni, la Direzionedei giardini pubblici di Merano ( Bz ) per amore del mioPaese, disposto a dare il meglio di me stesso per la rico-struzione e il rinnovamento urgente della Città. Si iniziòcol restaurare il palazzo [del Turismo], organizzare l’Azien-da nei suoi servizi. Eravamo 4 impiegati fissi: GentiliniGino Direttore, Angelini Amedeo Contabile, Fabbri Toni-no Economo, Fabbri Gianni Messo, io Tecnico e Vice Di-rettore. I riccionesi, laboriosi per natura, pieni di entusia-smo e volontà di lavorare, misero mano agli alberghi, alleville, e a tutto quello utile a produrre turismo per organiz-zare in fretta l’anno della prima stagione balneare, prontaa dare agli ospiti ospitalità e confortevole lieto soggior-no. L’Azienda dal canto suo urbanizzò tutti i servizi dispiaggia, la bonifica e il livello dell’arenile, restaurò ilpalazzo, arredò i propri uffici con gli arredi recuperati nel-le ville lasciate dagli alleati, si restaurò il verde pubblico ei giardini migliorandoli, s’impiantò l’arredo floreale di tuttala città, si ricostruirono i campi da tennis e la pista di pat-tinaggio, si programmò e si attuò una campagna pubblici-taria colla stampa e la radio, la prima del dopoguerra, perlanciare l’anno del turismo di Riccione, si organizzaronomanifestazioni ad eco nazionale da divulgare la rinascitadi Riccione spiaggia internazionale del divertimento.Gianni Quondamatteo, sindaco di Riccione, e Paolo Bi-gnami, pittore e scenografo bolognese, sfollato di guerra,

«Riguardo al concorso Riccione non ho nulla da obbiet-tare, se non questo: che sarebbe meglio far più posto agliautori, visto che sono quelli che possono meglio d’ognialtro, compresi i critici, prevedere il successo d’un lavo-ro drammatico. Mi si dirà ch spesso gli autori sbagliano;ma potrei rispondere che ben più spesso i critici, nono-stante il successo d’una commedia, la buttano a terra noncurando ciò che è essenziale al teatro: la riuscita davantial pubblico dell’opera teatrale. I critici hanno visioni perlo più settarie, di moda, e seguono quelle come dei mani-aci dimenticando nel giudicare gli elementi importanti,più importanti alla riuscita davanti al pubblico del lavo-ro. Oggi infatti si vede che gli autori nostri più portatidalla critica sono quelli che fanno maggior numero difiaschi. Ho parlato un po’ alla carlona; ma credo esserestato ugualmente chiaro». (La corrispondenza è contenu-ta in APR.)

del concorso per il romanzo, come a chiedergli aiuto:“E lei ci crede!”. A Sibilla Aleramo, che le sta accanto:“Ho raggiunto l’età filosofica; nessuna cosa più mi toc-ca e mi turba”, e di lì a due minuti, di fronte al fotogra-fo: “È terribile! Le mani dove si mettono?”.Eccovi dipinti i tratti fisici e morali di Midi Mannocci,dunque. Di questa donna che ama cavalcare ma si scan-dalizza per i costumi da spiaggia, che ha viaggiato al-l’estero, che preferisce Goldoni a Pirandello, che dipolitica – sono le sue parole – non ne capisce nulla, cheper acquistare libri e giornali ha portato più di una vol-ta al monte di pità un preziosissimo anello, di sette bril-lanti, donatole dalla madre, e riscattato col ricavato dellavendita di qualche quintale di grano sottratto al padre,proprietario di 12 poderi.Ecco la storia di Midi Mannocci che un giorno lontano,giovinetta, accarezzò una nobile ambizione e si disse:“Voglio portare gli uomini a teatro” e che di fronte aun’umile, antica e dimenticata tomba di bimbe, al ci-mitero di Roma, decifrando a fatica un nome , disse frasé e sé: “Quanto è bello, voglio scrivere una comme-dia: “Emmelina”.E con “Emmelina” è risorta una speranza per il teatroitaliano.

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proposero a Bagli, Presidente dell’Azienda di Soggiorno,il “PREMIO RICCIONE per il TEATRO” con la Presi-denza onoraria dell’Onorevole Umbero Trerracini, Presi-dente dell’Assemblea Costituente. Presentava una spesainsostenibile per il misero bilancio dell’Azienda, si ricor-se alla collaborazione degli albergatori, consapevoli di fareun investimento d’interesse per il nostro turismo, permisecon tanti sacrifici e lavoro di organizzarlo e portarlo a ter-mine con imprevedibile successo.La premiazione è fis-sata per il 14 [16] agosto colla presenza dell’OnorevoleUmberto Terracini, Presidente della Costituente. {Ter-racini] Arriva a Riccione da Roma nella mattinata in autocon la signora e il piccolo figlioletto, si dirige in Munici-pio e chiede del sindaco, non lo trova, c’è solo un vigile,chiede dovè l’ufficio del Premio Riccione per il Teatro, [ilvigile] non sa nulla di premio, forse lo sapranno alla Azien-da di Soggiorno. Stizzito e direi offeso per la trascurataaccoglienza e forse pentito di aver accettato la Presidenzaonoraria del premio, gira a lungo per Riccione per trovareil Palazzo del Turismo. Finalmente lo trova ed entra. Nonvede nessuno in giro, e stizzito percorre il corridoio degliuffici urlando, [lo] sente Tamburini, il messo estivo, [ilquale] esce dalla stanza dei messi, [e] vede un uomo piut-tosto agitato col viso tirato, la testa calva lucida di sudorecon un cappello di panama in mano che sbatte contro laparete. Tamburini sorpreso gli dice “Cosa succede? Si cal-mi! “[Terracini] Risponde: Dove sono gli organizzatoridel Premio Riccione? Io sono Umberto Terracini e cometale sarò una testa di cavolo, ma come Presidente dellaCostituente mi si deve onorare col massimo rispetto. Nonmi si fa girare senza scorta”. Nell’Ufficio della Direzionesiamo in riunione per gli ultimi dettagli per la festa di pre-miazione. Gianni Quondamatteo Sindaco di Riccione,Bagli Presidente dell’Azienda di Soggiorno, Paolo Bigna-mi Segretario del Premio Riccione, Sibilla Aleramo, GinoGentilini Direttore dell’Azienda e io organizzatore e re-sponsabile della Manifestazione, quando all’improvvisoTamburini annuncia l’Onorevole Umberto Terracini, Pre-sidente della Costituente, sorpresi lo si accoglie onorevol-mente e democraticamente: Sibilla Aleramo non perde tem-po lo abbraccia e lo bacia. L’Onorevole Terracini raccontadel suo assurdo peregrinare dalla Sede municipale a granparte di Riccione senza scorta, per trovare il Palazzo delTurismo. Sibilla lo abbraccia di nuovo e gli dice: “Umber-to non te la prendere, qui c’è tutta una disorganizzazioneorganizzata.” [Terracini] Chiede come si svolgerà la ma-

nifestazione di premiazione. Bignami lo aggiorna che saràuna bella festa mondana e signorile. Quondamatteo inter-viene per dire che alla festa hanno voluto dare un tonopoco democratico. L’Onorevole riflette un momento echiede con che abito andarci? Bignami: con abito da sera.Al che risponde: Non l’ho dietro e soprattutto non l’ha lamia signora.Come si fa? “Bignami che è un gran traffico-ne risolve il problema:” Contatto subito le migliori sarto-rie di Bologna che affittano anche abiti e mi valgo delrapporto che hanno con loro mia suocera e mia moglie,sarte di moda. Bisogna andare a Bologna “L’OnorevoleTerracini chiama l’autista e lo informa che dopo colazionesi va a Bologna”. Quello risponde “Siamo a corto di ben-zina, dove la trovo?” Bagli dice: “Questo problema lo ri-solvi tu, Augusto, che hai confidenza con quel Capitanoinglese degli approvvigionamenti.” Anche questo risolto:Cicchetti procura la benzina. Bisogna venire qui da lui. Intutta fretta va con la signora e il bambino che erano rima-sti in macchina, all’Albergo Vienna di Mario Fascioli, dovegli sono state prenotate le stanze. Da questo momento sirecita la farsa della benzina.Verso le ore 14 l’onorevoleTerracini, la signora e il bambino in auto, accompagnatida Mario Fascioli, vanno in viale Bufalini, lì da CicchettiVittorio, mio padre, per chiedere la benzina. Non sa nulladi nulla. “Vittorio, dice l’accompagnatore, ci manda il Sin-daco Quondamatteo a prendere la benzina”. Mio padre“Dov’ho la benzina per il Sindaco? io non ho nessuna mac-china qui c’è un errore…” “È per l’Onorevole Terraciniche è in macchina”. E mio padre “Aspetta un momentoche il mio dirimpettaio Gino Morelli capomastro edile hail camion. Lo chiama “Gino, hai la benzina per il Sinda-co?”. E lui: “Ho finito l’assegnazione mensile, non so nientee la benzina non l’ho, la si può procurare al mercato neroalla Ribomba. Di solito si trovano all’Osteria da Madu-ròn, sulla piazzetta del paese.” ( La Ribomba era una con-grega di persone che per vivere sottraevano la benzina agliAlleati). Mio padre fa “Quelli vogliono molti soldi e subi-to e a Quondamatteo non la danno perché non ha soldi”.Intanto trascorre del tempo. All’ingresso del nostro vivaioc’era un filare di uva da tavola già matura. Il bambinodall’auto vede l’uva e comincia a frignare che ne vuole, emio padre stacca un grappolo, lo lava e lo porge al bambi-no. Anche l’autista si fa avanti e ne chiede un grappoloanche lui, dicendo “Sa? Con con tutto questo girare nonho ancora mangiato “La conversazione continua con l’ac-compagnatore e sul mistero della benzina.

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Quando mio padre dice “Sta a vedere… che cercate miofiglio Augusto che è all’Azienda di Soggiorno. Andate dalui o a casa sua in viale Dante, e vi potrà sicuramente for-nire indicazioni precise.” E partono per il Palazzo del Tu-rismo.Intanto io stavo attendendo nel giardino del Palazzo dalleore 14 già con quattro taniche di benzina per l’auto del-l’onorevole Terracini.Finalmente arrivano, io consegno le taniche e dicono diessere stati da mio padre per omonimia e finalmente par-tono in tutta fretta alla volta di Bologna.E l’incubo per la benzina ha finalmente termine. Ci ritro-viamo tutti la sera del 14 [16] agosto per la Cerimonia diPremiazione al Dancing Savioli. Vi giunge l’OnorevoleTerracini con Signora, scortati stavolta da una pattuglia dicarabinieri, festeggiato molto festosamente nel locale efuori del locale.Tutto bene. Il Dancing restaurato di fresco è finamenteaddobbato con mille luci e copiosamente fiorito. La festaè meravigliosa. Una folla di bella gente incontenibile.A mezzanottre la Giuria del Premio Riccione per il Teatro,composta da: Lorenzo Ruggì, Presidente, Guglielmo Zor-zi, Vito Pandolfi, Ferdinando Palmieri, Antonio Banfi,Ruggero Ruggeri e Paolo Bignami, Segretario del Premio,proclama Vincitore del Premio Riccione per il Teatro diLire 300.000, la commedia in tre atti “EMMELLINA” diSalvo dell’Armi di Arezzo. Al mattino stampa e radio par-lano diffusamente dell’Onorevole Terracini Presidentedella Costituente, presente alla Manifestazione del Pre-mio che ha avuto un successo mondano impensabile perl’anno che stiamo vivendo. Avvenimento di classe chesegna la rinascita di Riccione. Il Premio ha interessato lastampa e la radio da rendere un contributo informativosulla rinascita della Perla Verde; era l’augurio ai cittadiniche ci si avviava alla ripresa economica dopo anni di atte-sa causati dalla guerra. La stagione balneare si protrasse almese di settembre con gran vantaggio economico che per-mise agli operatori del turismo di onorate quel “Barrocciodi cambiali” che giravano dalla primavera e che avevanoconsentito il generale restauro.Pochi ricordano oggi che percorrendo i viali era tutto uncantiere che profumava l’aria di calcina mescolata al pro-fumo dei fiori e delle piante, e si godeva la sensazione difresco e di ordinato.

IV

LA POLEMICA LUIGI PASQUINI-SIBILLA ALE-

RAMO

1. Lettera di Luigi Pasquini a Sibilla Aleramo, 15

dicembre 1947. Conservata presso Fondazione Isti-

tuto Gramsci, Archivio Sibilla Aleramo, corrispon-

denza, fascicolo 816, Roma.

15 dicembre. A Sibilla Aleramo.Gentile Signora, So ora da Eva Quajotto che quando leifu ospite nella sua villetta in provincia di Viterbo, sisobbarcò alla fatica di leggere “dalla prima all’ultimapagina” il mio romanzo Il podere sulla linea gotica, giàbenevolmente segnalato al “Premio Riccione”. Io nonci credo e glielo dico, apertamente, da romagnolo. Ma,se fosse vero, adesso (voglio dire dopo quanto ho sapu-to dalla Quajotto), non m’accontento più del giudizioespresso dalla Quajotto stessa e cioè che il mio lavoro è“opera molto pregevole” e sento il vivissimo desideriodi conoscere apertamente il suo pensiero. Non ho più la“mia” donna – Ada Negri – a cui rivolgermi. La sosti-tuisca Lei per un attimo, il tempo necessario per dirmisinceramente, brutalmente se nel caso, una parola suquel lavoro. A cinquant’anni ormai, lodi e biasimi nonfanno più presa sul mio cuore; m’insegnano piuttosto acampare. In cambio di questa mia sincerità, io Le pro-metto di non seccarla mai più. Buon Natale, suo LuigiPasquini.

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2. Anacleto. Il Premio Riccione e Luigi Pasquini. Ungiudizio di Sibilla Aleramo, in “L’Adriatico”, a.II, n.

4, 6 marzo 1948.

Nostro servizio particolare. Riccione, febbraio.

La faccenda dei Premi letterari è materia scottante econtroversa: gran chiasso si fa su pretese camorre e in-dolenze. Avveniva sotto la bacchetta magica del “mini-culpop”, avviene oggi nell’aere democratico. Avverràsempre, per lo meno fintanto che la genia dei letteratisaranno quelle piagnucolose e permalose femminucceche tutti sanno. Il fatto è che non c’è Premio, piccolo ogrande, vecchio o nuovo, che vada immune dalla pesti-lenza dei pettegolezzi e delle accuse.Poteva non accadere per il Premio Riccione? Allora nonsarebbe stato un Premio… […] si tratta del romanzo,che come si sa stato abolito per 1948.Luigi Pasquini, dunque, col suo articolo su “La fieraletteraria” ha creato il ‘caso Pasquini’… Cittadino ri-minese, simpatica figura di umanista, di quelle che intempi ingrati come l’attuale allignano ormai soltanto inprovincia (xilografo, acquarellista, elzivirista, scrittoredi frammenti e di strapaese, insegnante di disegno), inoccasione del Premio Riccione 1947 volle darsi ancheal romanzo, con poca fortuna come si vedrà.Secondo lo stesso Pasquini, la sua opera non sarebbenemmeno stata letta dalla giuria, per lo meno nella suainterezza, in quanto alcune pagine incollate tra loro conresina indiana (diabolico accorgimento dell’autore!)furono trovate dal medesimo non manomesse allorchèil manoscritto gli venne restituito.Grave il fatto, esso poneva in stato di accusa l’interocollegio dei giudici, che è bene ricordare rispondono ainomi di Piovene, Zavattini, Luzi, Aleramo. Ci siamosentiti stimolati quel tanto che bastava per metterci sul-le piste di qualcuno in grado di fornirci prove lampanti.Siamo così piombati a Riccione, nella silente e verdeRiccione invernale, in una di queste matte giornate difebbraio che avvicendano schiarite di sole a spruzzatedi nevischio. Accanto a una enorme stufa di cotto, in ungroviglio dic arte, abbiamo sorpreso chi cercavamo. Il

servizio “Eco della Stampa” funziona egregiamente,giacchè sul tavolo del sig. X era il ritaglio della “FieraLetteraria”… “Indovino lo scopo della vostra visita” –ci dice subito il sig. X – e ritengo potervi soddisfare…“Guardi che Luigi Pasquini cita fatti difficilmente smen-tibili – osserviamo noi, – Qui si tratta di una certa col-la…“Già, la resina indiana – sorride il sig. X – Ma chi vidice, e chi lo dice al Pasquini, che le pagine non sianostate staccate, microscopicamente esaminate e poi unavolta riposto il manoscritto con gli altri (badate che ivolumi destinati al Premio sono tutti pesanti, un chiloper lo meno!) col caldo e con l’umido e con la pressio-ne le pagine non si siano incollate di nuovo?…“Piuttosto complicato il suo alibi, sig. X…“Considerate del resto – ci ha interrotto – che le operepresentate erano appena 28, cioè un numero irrisorio,per cui i giudici hanno avuto tutto il tempo, tra una li-monata e un rabarbaro, di leggersele a comodo e scru-polosamente, ponzarle, digerirle, ed emettere il lorobravo giudizio. Ricorderete poi che la commissione, aun certo momento, dato il troppo esiguo numero di operepresentate, voleva ritenere nullo il concorso, anche per-chè in nessuna di dette opere potè riscontrare qualitàartistiche tali da suscitare il suo deciso consenso… SePasquini, nonostante questo, ha avuto la fortuna d’es-sere menzionato con altri nove, mi pare infine che sipossa accontentare…Diciamo tondo al sig. X come egli stia uscendo dal se-minato, e come se ne andremo poco convienti, senzaessere riusciti nel nostro tentativo di far luce sul “caso”e sulla serietà stessa del Premio così malamente com-promesso al suo debutto.“Dovere di cronisti, sig. X…Allora il sig. X pare risentirsi di questo nostro ostinatoscettiscismo. Si alza, sfila una cartella da uno scaffale,slaccia, sfoglia, ne estrae un gran foglio di carta, ce logetta con malagrazia sotto il naso. “Non volevo, ma lavostra testardaggine mi costringe. Ecco qua, sentite ilpensiero di Sibilla Aleramo sull’opera del Pasquini, epoi ditemi, e ditelo ai vostri lettori, se qualche dubbiopossa sussistere. Un giudizio così denso, particolareg-

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giato, preciso, non può scaturire che da una totale presaconoscenza dell’opera…Prendiamo quasi con reverenza il foglio: porta la firmadi Sibilla Aleramo ed è scritto per intero di pugno dellapoetessa, con una grafia nitida, energica, piuttosto viri-le. Dice testualmente:“Il podere sulla linea gotica di Luigi Pasquini – Rac-conto d’andatura cronistica sugli anni di guerra a Rimi-ni e dintorni. Il tono è, ora accorato, ora sentenzioso,ora umoristico, ma non assurge mai a efficacia di pas-sione. Nessuna originalità di pensiero nè di stile. In so-stanza, lavoro mediocre, che ha l’unico merito di unriferimento esatto e minuzioso del tempo di guerra nel-la provincia romagnola. Di veramente bello non c’è cheil titolo”.Ce ne andiamo in silenzio. Bisognerà pure, pensiamo,rivelare l’altro lato della medaglia. Se Luigi Pasquiniha voluto giudicare il suo giudice, che dianzi lo avevagiudicato, per giunta lasciandone traccia, che ci possia-mo noi?

V

RICCIONE E I SUOI GIARDINI

1. A. CICCHETTI, Riccione e i suoi giardini, in “Cit-tà Nuova”, 4 maggio 1946.

Poi che è ritornata la bella stagione che fa risvegliare erinascere i vegetali e l’iniziative dedicate al giardino,non sarà male dare uno sguardo alle origini dei giardinidi questa spiaggia, giustamente definita la «Perla verdedell’Adriatico», per trattare molto sommariamente al-cuni argomenti intesi a migliorare le bellezze arboree,floreali, intimamente legati all’industria turistica delluogo.Dapprima era una sterile landa sabbiosa su cui sorge-vano disperse alcune capanne di pescatori di fronte al«libero mare» e quando le spiagge furono oggetto distudio per i loro benefici terapeutici, si presentavano aRiccione quasi contemporaneamente ai primi bimbi«degli ospizi» le prime famiglie patrizie che costruiro-no le loro ville di caccia e di soggiorno estivo e le cir-

condarono di piante e fiori raccolti in giardini che ave-vano lo scopo, più di che ornare l’abitazione, di darefrescura nelle giornate di canicola. Queste ville sorseroisolate l’una dall’altra tanto da formare in quel tempotanti ciuffi di verde incastonati nel paesaggio brullo eselvaggio.I giardini non avevano la pretesa di essere delle opered’arte, ma avevano il buono che in essi venivano colti-vate quelle essenze che meglio allignano in questo cli-ma e meglio si adattano all’ingratitudine del terrenosabbioso di origine marina.La vita della città giardino ha inizio dalle prime costru-zioni; ogni anno nuove ville e attorno a loro nuovi giar-dini dove l’uomo in lotta colla natura ha saputo dare ilmiracolo di esuberanza di vegetazione e di fioriiure.Questo dell’albero e dell’aiuola fiorita si è fatto un cul-to quasi morboso per i riccionesi che li amano non giàdi amore romantico, ma di quell’amore fatto di sacrifi-cio che sa ricavare gioia e ricompensa. Basta guardarecon quanta cura e pazienza durante ogni inizio di sta-gione questa gente si dedica al giardino. Nessun alber-go, nessuna villa, nessuna cosa, per quanto modesta,sono privi delle loro piante, delle loro aiuole fiorite edei loro vasi adorni di gerani e petunie. Accanto ai giar-dini privati traboccanti di verde, lunghe teorie di alberifiancheggiano la vasta rete stradale della cittadina. Èuna generosa distribuzione di piante e fiori in giardini epasseggi che formano una oasi di verde che va a con-fondersi coi vigneti e frutteti del retro-terra fra messiondeggianti ad ogni lieve soffiar di vento, a donare ilprimo saluto festoso al forestiero in cerca di svago e diriposo.Nei programmi della ricostruzioni il verde va posto inprimo piano quale principale elemento estetico ed igie-nico ed i giardini ed i passeggi dovranno essere più diprima e ricostruiti con concetti tecnici suggeriti dall’ur-banistica e dall’esperienza acquisita dalla stazione bal-neare negli anni di esercizio.Comunque, queste opere non debbono essere legate avasti programmi e a costosi progetti, ma debbono ini-ziarsi integralmente, tenendo presente di piantare mol-to e soprattutto di piantare bene, come dirò di seguito,lasciando libero sfogo all’iniziativa privata.Ricordino i progettisti di non commettere l’errore aRiccione di abbattere gli alberi per mettere in risaltol’architettura delle loro costruzioni ma studino i loro

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progetti legati intimamente alla natura e alla vegetazio-ne esistente.Le nuove costruzioni debbono sorgere «nel rispetto dellanatura» e risultare da una intima collaborazione fra giar-dinieri e architetti.Il giardino d’oggi deve ritornare ad essere, come in an-tico, opera d’arte regolata da principi di composizionefra muri e vegetali e deve essere la risultante dello sfrut-tamento dell’ambiente naturale al fine di ottenere effet-ti scenografici, architettonici e coloristici tendenti aduna perfetta unità d’insieme.Il giardino della villa dev’essere qui una stanza all’aper-to, ove prendere il sole, godersi il fresco, leggere, man-giare, riposare, coltivare i fiori e vivervi liberamente etranquillamente; mentre il giardino pubblico è il luogoove si svolge la vita movimentata dei festeggiamenti,dei concorsi folcloristici, dei campi di tennis, dei ga-loppatoi, dei giuochi per bimbi, ecc.I due tipi di giardino a carattere di abitabilità completa-mente diversi debbono rappresentare nell’insieme lacomposizione di elementi pratici ed estetici che si con-fondano in una unica «zona di verde» occultando i con-fini per dare l’illusione che tutto il paesaggio circostan-te rientri a farne parte. Questa funzione di illusione sipotrà ottenere facendo concorrere diversi elementi maprincipalmente la giusta scelta e distribuzione delle pian-te in rapporto alla mole delle costruzioni.L’ideale sarebbe poter abbattere lungo i viali le stonatee brutte recinzioni delle proprietà private e sostituirlecon muretti bassi ed armonici, affinché il viandante spa-ziando coll’occhio entro i giardini privati, possa apprez-zare le gioie intime che può procurare una pianta mae-stosa o una pianta fiorita.Gli albergatori nel valorizzare il soggiorno nelle lorocase con piazzali ombreggiati da folte fronde e ornatida aiuole fiorite, debbono mantenere intimi punti dicontatto coi giardinieri per la scelta di quelle piante cheabbiano influenza psicologica nello esaltare a scopoturistico le caratteristiche climatiche della località.Affinché la ricostruzione dei giardini e dei passeggivenga eseguita con quei criteri di massima trattati inqueste poche righe è consigliabile istituire una organiz-zazione civica coi seguenti compiti:1. – Tutela dei giardini e delle piante ai sensi della legi-slazione italiana istituita a tale scopo;2. – Esame da parte di una apposita commissione di

tutti i progetti per la costruzione e il miglioramento deigiardini privati.Per quanto le distruzioni e le conseguenze della guerrasi siano accanite sui vecchi giardini e sulle zone verdimeglio inquadrate nel paesaggio, tuttavia ancora moltoc’è rimasto di buono, e questo bisogna salvarlo e mi-gliorarlo.Se il ricordo di allora fa pensare ad una vita laboriosaper la trasformazione della landa sabbiosa in luogo quan-to mai suggestivo e ridente, la visione di oggi atterrisceed angoscia. Ma c’è ancora molto materiale in piedi,non è superfluo ripetere, e per quanto la popolazionesia ancora atterrita e stordita dall’uragano passato ine-sorabilmente, in essi tutto è ancora giovane e sotto que-sto sole i giardini di allora che sono i nostri giardinidovranno per i primi essere ricostruiti pazientemente.

2. Una scheda biografica sulla famiglia Cicchetti.(Notizie compilate da Gaia Arianna Manini, in consul-tazione con Emanuela Cicchetti, figlia di Augusto Cic-chetti. Il testo originale si trova in Apr.)

I Cicchetti sono stati i veri artefici della città giardino.Si può dire che tutti i giardini pubblici e privati di Ric-cione (per più di un secolo) siano stati progettati da loro.Nell’800 i Cicchetti abitavano verso S. Lorenzo, in unazona denominata appunto Ca’Cicchetti. Sono originaridi Riccione, frazione Casalecchio. In seguito si sposta-no su una collinetta, in direzione di Cattolica, vicino alposto in cui ora si trova il cimitero dei greci. (Il capo-stipite è Lodovico; alla sua morte, a fine ‘800, la pro-prietà viene divisa.)

Lodovico Cicchetti:Lodovico compra un appezzamento di terra vicino al-l’attuale Via Martinelli.Lui e il Conte Martinelli, che era rimasto molto colpitodai boulevards parigini, hanno l’idea di rendere Ric-cione una città giardino: ogni casa avrebbe avuto unappezzamento di terra nel quale far crescere tanti albe-ri. In viale Martinelli, Lodovico allestisce una serra,dove alleva piante resistenti al terreno di mare. Infattiquel posto era conosciuto come “la serra”. C’era unacasina abitata da Lodovico e il resto del terreno era uti-lizzato per la serra dove sperimentava quali piante fos-sero più adatte al clima di Riccione. Lodovico progetta

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i giardini di molte ville, tra cui Villa Des Verges e VillaBianchini. Lodovico compra un appezzamento di terrada una famiglia di Coriano – in via Bufalini – e poi ilfiglio Vittorio lo allarga.(Ora c’è l’attuale arboreto Cicchetti. Tutto il verde cheora si vede, è formato dalle piante rimaste invendute.)

Vittorio Cicchetti:Vittorio ha alberato Viale Ceccarini dalla ferrovia almare, mentre dall’ospedale alla ferrovia è stato il figlioAugusto.Vittorio, tornato a casa dalla prima guerramondiale, riprende subito a lavorare in via Bufalini eacquista dalla ditta Valmoren di Parigi piantine resistential salino. Per ricordare la nascita di Augusto, suo padreVittorio pianta alla “serra” una magnolia, tuttora vivente.

Augusto Cicchetti:Augusto aveva frequentato il Real Istituto Agrario diFirenze. Chiede a suo padre di fargli frequentare l’Uni-versità del giardino e del paesaggio a Versailles, ma poinon può andare perché lo chiamano a combattere inAfrica. Successivamente va a studiare a Losanna ed ètalmente bravo che lo ammettono direttamente al quar-to anno.Nel 1938 diventa direttore dei giardini di Merano (vin-ce il concorso). Durante la guerra (dopo l’8 settembre)passa due anni in un lager. Nel dopoguerra, quandoAugusto lavorava a Merano, lo chiamano da Riccioneper la ricostruzione. Nel 1947 torna a Riccione. Viene nominato vice-diret-tore dell’Azienda autonoma di soggiorno e turismo ecapo dell’Ufficio tecnico del Comune (che si occupavadel verde pubblico). Le ville erano state occupate daimilitari: i giardini erano distrutti, gli alberi erano statiabbattuti per parcheggiare gli automezzi; mano a manoche ritornano i vecchi proprietari, vengono ristruttura-te. La spiaggia deve essere bonificata dalle mine. Au-gusto fa il giardino di fronte all’azienda di soggiorno.Il suo stile è razionalista, pulito. Disegna il lungomare,tutto fiorito (non come adesso che ci sono i parcheggi),il giardino della ferrovia, con l’intento di interessare iviaggiatori nel momento stesso in cui arrivano nel luo-go di villeggiatura; in viale Ceccarini sostituisce i tiglicon i pini (pinus pinea). Si occupa anche della disposi-zione delle cabine in spiaggia: il suo progetto è talmen-te ben riuscito che molte località balneari lo copiano.

Istituisce la norma, tuttora teoricamente valida, secon-do la quale se in un giardino si abbatte un albero, biso-gna piantarne due (norma che istituisce quando è a capodell’Azienda di soggiorno).Legata a Augusto è anche la zona dell’arboreto riccio-nese, che, nata dove c’era un vivaio, è diventata pro-prietà del Comune. Originariamente il Comune volevafarne un orto botanico (su idea di Francesco –figlio diAugusto, che però muore giovane, quindi il progettonon ha seguito). L’allora sindaco, Massimo Masini,vuole continuare l’idea dell’orto botanico, ma Augustolo sconsiglia perché sarebbe stato troppo costoso perl’amministrazione. Così suggerisce di dargli la voca-zione di arboreto, perché ne ha tutte le caratteristiche.Il sindaco allora lo invita a chiamare un architetto pae-saggista per fare un progetto. Augusto sceglie Emanue-le Mussoni, che fa un progetto bellissimo che però nonviene mai realizzato. Nell’arboreto c’erano esemplaridi flora mediterranea (come il sambuco) ora in estin-zione, e gli uccelli si fermavano a nidificare.)

Negli Archivi storici del comune di Riccione (ex Azien-da) è anche contenuta una lettera inviata il 16 agosto1947 da Cicchetti a Eva Mameli Calvino, nella qualesi chiede una collaborazione per il lancio di un con-corso nell’estate del 1948 per il più bel giardino ric-cionese. Tangenzialmente, allora, i contatti con la fa-miglia Calvino si allargano non solo al figlio scrittore,ma anche alla madre botanica.

3. C. DEL MASTRO, Aspetti del paesaggio riccione-se dopo il fronte, in “Città Nuova”, 4 maggio 1946.

La guerra ha lasciato tracce profonde di devastazionesul suolo riccionese, eppure il paesaggio in alcune zone,in questa primavera assolata ha una grazia di sogno, ètutta una fantasia leggiadra ignora a molti.Il verde intenso dei prati e degli abeti, i flessuosi festo-ni di erbe rampicanti lungo le cancellate delle ville (cheportano le recenti ferite di una guerra aspra e dura cheha sconvolto il mondo) ed infine lo sfondo marino conle note graduate dell’azzurro creano all’occhio uno spet-tacolo incantevole ed armonioso.Nessuna asperità: la natura, qui, sembra rivestita di undolce velluto. Verso il tramonto il lungomare assumeun aspetto quasi magico, e le tinte smorzate dal mare

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sembrano effuse dalle mani della primavera, regina so-ave che vi accarezza lo sguardo e vi rapisce lievementel’animo in un mondo di sogni, circondandovi di vagheforme e di colori, di riflessi, di suoni e di tutti gli armo-nici contrasti della sua impareggiabile bellezza.Legata a questi aspetti esteriori del panorama e dellanatura è l’esistenza di chi ha il privilegio del soggiornoin questa meravigliosa plaga; attraverso il paesaggio diquesto estremo lembo della terra di Romagna voi senti-te di comunicare con Dio e con tutte le cose create, comese il vostro corpo si disciogliesse inebriato in una levitàe dolcezza senza fine. Ecco di lontano Gabicce ed ilromantico Castel di Gradara che si adagiano soavementesotto la volta azzurra del cielo in una sinfonia di colori!

Ecco il sorriso affascinante del mare e la pudica venu-stà dei fiori nelle aiuole e nei giardini. Errando pei vialiombrosi che corrono verso l’Adriatico quasi in una fan-tastica e folle gara per immergersi nelle onde e assapo-rarvi l’algoso profumo, tutto rinasce in noi: sensi, im-maginazione, cuore, volontà. Una pace ineffabile av-volge e ritempra i nostri spiriti.La primavera riccionese è un fluire di giornate magni-fiche, è un tripudio dell’anno che sorge a novella vita.In questa rinnovata atmosfera politica vi è un fervore diiniziative, sintomo sicuro di ripresa e di ricostruzioneche ridoneranno alla nostra spiaggia quella bellezza diun tempo.