APPARATO SPERIMENTALE PER DIFFUSIONE COMPTON … · l'effetto Compton. In ogni caso, si ......
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ALMA MATER STUDIORUM · UNIVERSITA' DI BOLOGNA
Scuola di ScienzeCorso di Laurea in Fisica
APPARATO SPERIMENTALE PER DIFFUSIONE COMPTON DA SOLIDI
Relatore: Ch.mo Prof.FEDERICO BOSCHERINI
Presentata da:GIUSEPPE DELLA GALA
Sessione II
Anno Accademico 2012/2013
RINGRAZIAMENTI
Un sentito ringraziamento al Professor Federico Boscherini, per la non comune
attenzione durante tutte le fasi di preparazione della tesi e per la fiducia accordatami.
A Lucia per il tanto tempo dedicato e per il supporto nei momenti di difficoltà, ad
Alberto per l'aiuto nella fase di progettazione, alla mia famiglia per l'appoggio
incondizionato.
Jacopo, Stefano, Luca, Marco, Martina, Elena: grazie!
III
SINTESI
In questo lavoro si descrive la realizzazione di un apparato per misure di diffusione
Compton da solidi, mostrando in seguito i risultati ottenuti. Nel primo capitolo si
introducono alcuni fondamenti sui processi di diffusione di radiazione, affrontati
attraverso un approccio di tipo classico. Nel secondo capitolo si descrive la diffusione
anelastica di tipo Compton, partendo dal caso dell'elettrone stazionario e spostandosi
successivamente sull'elettrone bersaglio in moto; sempre in questo capitolo si
introducono cenni su sezione d'urto differenziale non relativistica, regime Compton e
profili Compton. Nel terzo capitolo sono riportate le proprietà fondamentali dei
rivelatori a semiconduttore, che verranno utilizzati nel corso della prova. Nel quarto
capitolo si ha la descrizione dell'apparato sperimentale: partendo da una sorgente di
bario, viene riportata la progettazione di un apparato atto a realizzare misure di
diffusione Compton a diversi angoli; in particolare, sono descritti i progetti per la
produzione dei collimatori per la sorgente e il rivelatore e il procedimento di
calibrazione dello stesso. Nel quinto capitolo vengono esposti i risultati sperimentali,
realizzando misure di diffusione a diversi angoli e sfruttando campioni differenti;
vengono qui verificate alcune proprietà della diffusione Compton, come la dipendenza
dall'angolo e dal materiale bersaglio. Nel sesto ed ultimo capitolo, infine, si riportano
alcune conclusioni sul lavoro svolto.
V
INDICE GENERALEAPPARATO SPERIMENTALE PER DIFFUSIONE COMPTON DA
SOLIDI........................................................................................................I
RINGRAZIAMENTI..............................................................................III
SINTESI....................................................................................................V
INDICE GENERALE............................................................................VII
CAPITOLO 1: FONDAMENTI....................................................1
1.1 Introduzione ai raggi X....................................................................1
1.2 Diffusione classica e sezione d'urto di Thomson.......................2
1.3 Diffusione classica da parte di un atomo....................................6
CAPITOLO 2: DIFFUSIONE COMPTON.................................9
2.1 Introduzione alla diffusione Compton.........................................9
2.2 Teoria della diffusione Compton per l'elettrone libero.........10
2.2.1 Elettrone stazionario.................................................................................10
2.2.2 Elettrone in moto.......................................................................................14
2.2.3 Analisi cinematica.....................................................................................15
2.2.4 Sezione d'urto differenziale non relativistica e fattore di struttura.........17
2.2.5 Regime di diffusione Compton.................................................................20
2.2.6 Approssimazione di impulso e profili Compton.......................................21
2.2.7 Sistemi a molti elettroni............................................................................25
CAPITOLO 3: RIVELATORI A SEMICONDUTTORE.........27
CAPITOLO 4: DESCRIZIONE DELL'APPARATO
STRUMENTALE..........................................................................30
4.1 Visione d'insieme............................................................................30
4.2 Sorgente............................................................................................30
4.3 Rivelatore al silicio.........................................................................31
VII
4.4 Rivelatore CZT.................................................................................32
4.5 Collimatore per il rivelatore........................................................32
4.6 Collimatore per la sorgente..........................................................33
4.7 Goniometri........................................................................................34
4.8 Elementi di interconnessione......................................................34
4.9 Calibrazione dei rivelatori............................................................35
4.9.1 Calibrazione del rivelatore XR-100CR al Silicio.....................................35
4.9.2 Calibrazione del rivelatore XR-100T al CZT...........................................38
CAPITOLO 5: DESCRIZIONE DELL'ESPERIMENTO.......41
5.1 Descrizione delle configurazioni.................................................41
5.2 Descrizione dei materiali impiegati...........................................43
5.3 Dati sperimentali............................................................................43
5.4 Criticità e possibili miglioramenti..............................................48
CAPITOLO 6: CONCLUSIONI.................................................50
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFIA.............51
VIII
CAPITOLO 1: FONDAMENTI
1.1 Introduzione ai raggi XI raggi X sono stati scoperti da W. C. Roentgen nel 1895, diventando da allora uno strumento
fondamentale nello studio della struttura della materia. Per raggi X si intendono le onde
elettromagnetiche con lunghezza d'onda λ nella regione degli Ångström (10-10 m). Esse sono
formate da un campo elettrico E e da un campo magnetico B oscillanti e perpendicolari tra
loro e rispetto alla direzione di propagazione dell'onda. Consideriamo per semplicità il solo campo
elettrico per un'onda in propagazione lungo l'asse z : per un'onda monocromatica si individua un
piano d'onda con un campo elettrico che risulta essere costante ovunque su un piano perpendicolare
all'asse z . Anche se il raggio non è perfettamente collimato, l'approssimazione del piano d'onda
è spesso valida e la variazione spaziale e temporale del piano d'onda in propagazione lungo l'asse
z può essere riassunta nella semplice espressione E0e i(kz−ω t) . Più in generale, in tre
dimensioni la polarizzazione del campo elettrico è individuata dal versore ε e il vettore d'onda
lungo la direzione di propagazione da k ; la relazione generale diventa quindi
E(r , t) = εE0 e i(k⋅r−ω t) . Poichè, come detto, le onde elettromagnetiche sono di tipo trasversale,
varranno le relazioni ε⋅k = k⋅E = k⋅H = 0 .
Fig. 1.1: Rappresentazione del campo elettrico e magnetico di un'onda elettromagnetica
La descrizione precedente è di stampo classico; in una prospettiva quantistica, il raggio
monocromatico risulta quantizzato in fotoni, caratterizzati da un'energia ℏω e da un momento
ℏk , dove ℏ è la costante di Planck ridotta, di valore
ℏ = 1.055×10−34 J⋅s = 6.583×10−35eV⋅s . (1)
L'intensità del raggio è data dal numero di fotoni che attraversano una data superficie nell'unità di
1
tempo; poichè tale intensità risulta proporzionale al quadrato del campo elettrico, ne consegue che
l'ampiezza del campo stesso risulta quantizzata. La relazione numerica tra la lunghezza d'onda λ
in Å e l'energia E dei fotoni in keV è data da
λ [A ] =hcE=
12.938E [keV ]
. (2)
1.2 Diffusione classica e sezione d'urto di ThomsonNella descrizione classica della diffusione di raggi X da parte di un elettrone singolo, il campo
elettrico del raggio incidente esercita una forza sulla carica elettrica, che viene accelerata,
producendo a sua volta l'onda diffusa. Classicamente, la lunghezza d'onda dell'onda diffusa è la
stessa di quella incidente e la diffusione risulta quindi di tipo elastico. Ciò non risulta sempre vero
nella descrizione quantistica, in cui il raggio incidente, caratterizzato da energia e momento
quantizzati, può cedere energia all'elettrone, col risultato di ottenere un'onda diffusa contraddistinta
da energia, e quindi frequenza, inferiore; tale diffusione è detta di tipo anelastico ed è appunto
l'effetto Compton.
In ogni caso, si può avere un momento trasferito anche in caso di diffusione di tipo elastico,
giungendo alla definizione del vettore di scattering (o trasferimento di vettore d'onda) Q come
ℏQ = ℏk−ℏ k ' , dove ℏk e ℏk ' sono rispettivamente i momenti iniziale e finale del
fotone. In genere, Q è misurato in unità di A−1 .
L'unità elementare di diffusione per un raggio X è l'elettrone. Nella descrizione classica del
processo di diffusione, l'elettrone viene messo in vibrazione dal campo elettrico del raggio
incidente, comportandosi quindi a sua volta da sorgente; il problema consiste nel valutare il campo
irradiato in un punto di osservazione X ad una distanza R dalla sorgente ed ad un angolo ψ
rispetto alla direzione del raggio incidente e si risolve a partire dalle equazioni di Maxwell.
Tralasciando tale dimostrazione, si può giungere al risultato nel caso in cui il punto X giaccia sul
piano di polarizzazione dell'onda incidente attraverso un procedimento euristico. La densità di
energia irradiata è proporzionale al quadrato del campo elettrico irradiato, Erad . Ciò significa
che, a grandi distanze, E rad decresce come 1/R , dato che la densità energetica decresce come
1/R2 , e che l'energia totale irradiata, come richiesto, è indipendente da R. Inoltre, il campo è
proporzionale alla carica dell'elettrone −e e all'accelerazione vista dall'osservatore, indicata con
aX (t ') , valutata al tempo t' (tempo ritardato) precedente al tempo di osservazione t, poiché la
radiazione si propaga alla velocità finita c . Per ottenere l'unità di misura corretta per il campo,
2
esso risulterà poi proporzionale a 1/4πϵ0 c2 . Unendo tali risultati, si ottiene
E rad(R , t) = −−e
4πϵ0 c2 Rax ( t ') , (3)
dove t' vale t '=t−R /c ed il segno meno deriva dalla dimostrazione rigorosa. In realtà, in
generale, l'accelerazione richiede la moltiplicazione per un fattore cosψ per un angolo di
diffusione ψ . Tale accelerazione, calcolata come rapporto tra forza e massa, è data da
a x( t ') = −em
E x0 e−iω t 'cosψ = −em
Ex 0 e−iω (t−R
c)
= −em
E ineiω(R
c)
cosψ , (4)
dove E in=Ex0e−iω t descrive il campo elettrico dell'onda incidente. Dunque, la precedente
equazione per E rad(R , t) può essere riscritta come
E rad(R , t ) = −−e
4πϵ0 c2 R−em
Ein ei ω(R
c)
cosψ , (5)
per cui il rapporto tra il modulo del campo irradiato e il campo incidente è dato da
Erad (R , t)
E in
= −( e2
4πϵ0 m c2) ei kR
Rcosψ . (6)
Per convenzione, il fattore che precede l'onda sferica ei kR/R è indicato col simbolo r 0 ed è
noto come lunghezza di diffusione Thomson o come raggio classico dell'elettrone; il suo valore è
dato da
r 0 = ( e2
4πϵ0 m c2) = 2.82×10−5 A . (7)
Si noti che il segno meno indica che il campo irradiato è sfasato di 180° rispetto al campo incidente:
il processo di diffusione coinvolge uno shift di fase di π .
3
Fig. 1.2: Descrizione classica del processo di diffusione di raggi X da parte di un elettrone. Si
calcola il campo irradiato in un punto di osservazione X in due distinti casi: (a) il punto X giace sul
piano di polarizzazione dell'onda incidente e l'accelerazione osservata necessita di un fattore
cosψ ; (b) il punto di osservazione X giace sul piano normale alla polarizzazione incidente e
l'accelerazione osservata è massima per ogni angolo di diffusione ψ .
I rivelatori a raggi X in genere conteggiano i singoli fotoni e l'intensità di diffusione misurata Isc
rappresenta quindi il numero di fotoni registrati al secondo dal detector; tale conteggio può essere
espresso come l'energia che attraversa l'area del rivelatore al secondo divisa per l'energia di ogni
fotone. Supponiamo che il raggio incidente abbia intensità I0 con un'area della sezione
trasversale A0 e che quella del raggio diffuso sia invece data da R2ΔΩ , dove ΔΩ è
l'angolo solido sotteso dal rivelatore. L'energia per unità di area del raggio è proporzionale al
modulo quadro del campo elettrico sia per il raggio incidente che per quello diffuso: si ha quindi
Isc
I0
=∣Erad∣
2 R2ΔΩ
∣Ein∣2A0
. (8)
Si giunge così alla definizione della sezione d'urto differenziale dσdΩ
come
4
dσdΩ
=Numero di raggi X diffusi al secondo in ΔΩ
flusso incidente ⋅ ΔΩ
=Isc
( I0/A0)ΔΩ=∣E rad∣
2R2
∣Ein∣2 = r 0
2cos
2ψ
(9)
dove r 0 rappresenta, come detto, il raggio classico dell'elettrone. Tale sezione d'urto è detta
sezione d'urto differenziale di Thomson ed è indicata spesso come (dσ /dΩ)Thomson .
La sezione d'urto totale viene individuata integrando la differenziale su tutti i possibili angoli di
diffusione ed equivale a σThomson = (8π/3) r02= 0.665×10−24 cm2
= 0.665barn . Entrambe le
sezioni d'urto classiche per la diffusione di un'onda elettromagnetica da parte di un elettrone libero
sono costanti, indipendenti dall'energia.
Il fattore cosψ , introdotto per descrivere il fatto che l'accelerazione dell'elettrone osservata in X
decresce all'aumentare di ψ ed è nulla per ψ=π/ 2 , ha come presupposto che l'osservatore ed
il campo elettrico dell'onda incidente si trovino sullo stesso piano. Se l'onda è polarizzata
perpendicolarmente al piano dell'osservatore (indicandone con E y0 il campo elettrico), allora
l'accelerazione viene osservata nella sua interezza per ogni angolo di diffusione ψ e il fattore
cosψ va sostituito col termine 1. In generale, il vettore del campo elettrico giace su una
direzione sul piano x-y, con ampiezza E0 e, dall'equazione
E rad(R , t ) = −−e
4πϵ0 c2 R−em
Ein ei ω(R
c)
cosψ = −r 02 E in
Re
iω(Rc)
cosψ , (10)
si ottiene
∣Erad∣2= ( r 0
2
R2)(Ey0
2+Ex0
2 cos2ψ) . (11)
Per una sorgente non polarizzata, E0 può giacere su una direzione qualsiasi del piano x-y con
uguale probabilità; ciò implica che il suo valore medio sarà ⟨E02⟩=⟨Ex0
2⟩+⟨Ey0
2⟩ . Poiché però le
direzioni x e y sono del tutto equivalenti, si avrà ⟨Ex02⟩=⟨Ey0
2⟩=⟨E0
2⟩ /2 . Da ciò si conclude che
∣Erad∣2= ( r 0
2
R2)1
2⟨E0
2⟩(1+cos2
ψ) . (12)
5
Per riassumere, si può affermare che la sezione d'urto differenziale di Thomson è data da
d σ/dΩ=r 02 P dove P è il fattore di polarizzazione dipendente dalla sorgente di raggi X e
vale:
P = {1 piano di scattering verticale
cos2ψ pianodi scattering orizzontale
12(1+cos2
ψ) sorgente non polarizzata
. (13)
1.3 Diffusione classica da parte di un atomoConsideriamo ora il processo di diffusione di un'onda elettromagnetica da parte di un atomo
caratterizzato da un numero atomico Z di elettroni. Considerando inizialmente la descrizione
classica, la distribuzione elettronica è definita dalla densità ρ(r) e il campo della radiazione
diffusa risulta essere una sovrapposizione dei contributi da parte dei vari elementi di volume di tale
distribuzione di carica. Per valutare in modo corretto tale sovrapposizione si deve tener conto della
fase dell'onda incidente quando interagisce con l'elemento di volume nell'origine e nella posizione
r . La differenza di fase tra due elementi di volume è data dal prodotto scalare k⋅r .
Fig 1.3: Diffusione da parte di un atomo: un raggio X di vettore d'onda k viene diffuso da un atomo
nella direzione indicata da k'; lo scattering è assunto elastico ( ∣k∣=∣k '∣=2 π / λ ). La differenza
di fase tra un'onda diffusa nell'origine e una diffusa nella posizione r è (k−k ' )⋅r=Q⋅r ,
definendo così il vettore d'onda trasferito Q.
6
Nelle vicinanze del punto di osservazione X, l'onda diffusa si comporta localmente come un'onda
piana di vettore d'onda k ' . La differenza di fase tra l'onda diffusa da un elemento di volume
intorno all'origine ed una diffusa da un elemento di volume intorno a r risulta essere
Δϕ(r)= (k−k ')⋅r =Q⋅r . Tali fenomeni di diffusione vengono assunti elastici, con
∣k∣=∣k∣' , ovvero ∣Q∣=2∣k∣sinθ=(4π /λ)sin θ .
Dunque, un elemento di volume d r intorno alla posizione r porta un contributo pari a
−r0ρ(r)d r al campo diffuso, con un fattore di fase dato da ei Q⋅r . Definendo il fattore di
forma atomico f 0(Q) come f 0
(Q)=∫ρ(r )e i Q⋅r d r , la lunghezza totale di diffusione
dell'atomo è data da −r0 f 0(Q) . Nel limite Q→0 tutti gli elementi di volume diffondono in
fase, in modo che f 0(Q=0)=Z , ovvero il numero degli elettroni dell'atomo; viceversa, per
Q→∞ , f 0(Q→∞)=0 . Il primo limite risulta banale: il fattore di fase va a 1 e l'integrale sul
volume della densità di carica è la carica stessa, ovvero Z. Per il secondo limite si deve invece
andare a considerare come si comportano le fasi delle onde dei diversi elettroni quando la lunghezza
d'onda della radiazione diventa molto più piccola delle dimensioni atomiche. Il fattore di fase
ei Q⋅r può essere rappresentato come un punto sulla circonferenza unitaria nello spazio
complesso: ei Q⋅r=cos (Q⋅r )+i sin(Q⋅r ) . Nel limite Q→∞ , si avrà ovviamente Q r≫2π
e il fattore di fase per i diversi elettroni fluttuerà rapidamente intorno alla circonferenza unitaria al
variare di r; dunque l'integrale, anche se pesato con una distribuzione regolare ρ(r) , tenderà a
zero. In altre parole, quando la lunghezza della radiazione diventa molto più piccola rispetto
all'atomo, si ha un'interferenza distruttiva per l'onda diffusa dai diversi elettroni dell'atomo.
Nella definizione del fattore di forma atomico si può riconoscere una trasformata di Fourier, per cui
per calcolare l'intensità di diffusione si dovrà calcolare −r0 f 0(Q) e moltiplicarlo per il suo
complesso coniugato.
Gli elettroni atomici sono governati dalla meccanica quantistica e sono quindi caratterizzati da
livelli energetici discreti. Gli elettroni legati più strettamente sono quelli appartenenti alla shell K,
con energia comparabile a quella di un tipico fotone di un raggio X. Se il fotone ha energia di gran
lunga inferiore all'energia di legame della shell, la reazione degli elettroni alla sollecitazione del
campo esterno è ridotta. Elettroni in shells meno legate (L, M, etc.) sono invece in grado di
rispondere in modo più stretto, ma complessivamente ci si può aspettare una riduzione della
lunghezza atomica di diffusione di un termine denotato con f ' : a energie molto più grandi
dell'energia di legame, gli elettroni posso essere considerati liberi e f '=0 . Inoltre, in analogia
con l'oscillatore armonico forzato, ci si attende un ritardo di fase nella risposta dell'elettrone al
7
campo; tale ritardo viene racchiuso nel termine i f ' ' , legato all'assorbimento. Unendo tali
risultati, il fattore di forma dell'atomo diventa [2]:
f (Q ,ℏω) = f 0(Q)+f '(ℏω)+i f ' '(ℏ ω) . (14)
La dipendenza di f ' e f ' ' da ℏω viene indicata per sottolineare come il comportamento
di tali funzioni sia dominato dagli elettroni strettamente legati nelle shells più interne.
8
CAPITOLO 2: DIFFUSIONE COMPTON
2.1 Introduzione alla diffusione ComptonLa diffusione Compton ha rappresentato storicamente una prova importante per l'interpretazione
corpuscolare della radiazione: essa si basa sull'interpretazione dell'interazione tra radiazione e
materia come un urto tra il fotone incidente e l'elettrone bersaglio. In prima approssimazione, tale
problema viene affrontato come un urto elastico tra un fotone ed un elettrone stazionario, analizzato
attraverso la conservazione della quantità di moto e dell'energia; un'analisi più complessa del
fenomeno ne permette l'utilizzo nello studio della densità elettronica, ovvero della probabilità di
individuazione di un elettrone in una determinata regione spaziale, nella materia condensata. In
particolare, l'importanza della diffusione Compton in questi studi è emersa con lo sviluppo delle
tecniche di utilizzo della radiazione di sincrotrone.
Le tecniche che sfruttano l'effetto Compton presentano alcuni vantaggi: il cristallo da studiare può
non avere un alto grado di perfezione; l'interazione fotone-elettrone è ben nota e le condizioni sotto
cui è possibile un'interpretazione in termini di quantità di moto dell'elettrone (Impulse
Approximation) sono ben definite; la descrizione avviene attraverso lo spazio dei momenti e risulta
completa quanto una descrizione nello spazio delle posizioni.
Il principale limite correlato a tali tecniche riguarda la richiesta di monocromaticità del fascio
incidente, che comporta in genere un'attenuazione eccessiva del fascio incidente, con conseguenti
problemi di risoluzione. Si verificano anche problemi legati alla diffusione multipla, la cui
trattazione richiede una modellizzazione ed una simulazione accurate, in genere tramite metodo
Monte Carlo; per ridurre l'incidenza di questo problema si cerca in genere di ricorrere a campioni
più sottili.
L'interazione di tipo Compton costituisce un importante meccanismo di riduzione di energia fino a
regimi di MeV; viceversa, ad energie convenzionali per analisi cristallografiche (~10 keV)
emergono maggiori difficoltà nella realizzazione di esperimenti di diffusione Compton, poiché a tali
energie l'effetto predominante è il fotoassorbimento.
9
Fig. 2.1: Domini energetici per le sezioni d'urto dei fenomeni di effetto fotoelettrico, Compton e
produzione di coppie
2.2 Teoria della diffusione Compton per l'elettrone libero
2.2.1 Elettrone stazionarioLa formula della diffusione Compton per un elettrone-bersaglio stazionario, scritta in termini di
shift della lunghezza d'onda del fotone-proiettile, è ben nota ed è data da:
Δλ =2 h
me csin2 ϕ
2=
hme c
(1−cos ϕ) ≡ λC (1−cos ϕ) ≡ 2πƛC (1−cos ϕ) (15)
dove ϕ rappresenta l'angolo di diffusione, λ la lunghezza d'onda del fotone e m e la massa
dell'elettrone; λC=h /me c è detta lunghezza di diffusione Compton e ƛC è definita da
ƛC≡λC /2π=ℏ /me c .
Fig. 2.2: Schema della diffusione Compton. I pedici 1 e 2 indicano rispettivamente i fotoni
incidente e diffuso, di energia E, vettore d'onda k e polarizzazione ε; l'angolo di diffusione è
indicato con ϕ e l'elettrone è caratterizzato da momento p, nullo nel caso stazionario, e spin σ.
10
Dimostrazione:
La conservazione energetica nella diffusione del fotone da parte dell'elettrone stazionario conduce a
me c2+h ν=√(me c2
)2+pe
2 c2+h ν '
⇒me c2+ℏ ck=√(m e c2
)2+ℏ
2 q '2 c2+ℏ c k '
. (16)
Dividendo tutto per m e c2 e ricordando la definizione di ƛC=ℏ c
m e c2 , si ottiene
1+ƛC(k−k ')=√12+(ƛC q ')2 , (17)
che può essere riscritta in funzione di q' come
q '2=(k−k ')2+2k−k 'ƛC
. (18)
Per la conservazione del momento, vale la relazione q '=k−k ' ; si ha quindi
q '⋅q '=q ' 2=(k−k ')⋅(k−k ')=k2
+k ' 2−2kk ' cos ϕ . Uguagliando tale espressione a quella
trovata in precedenza per q ' 2 , si ottiene
k 2+k ' 2
−2kk ' cosϕ=k2+k ' 2
−2kk '+2k−k 'ƛC
, (19)
esprimibile anche come
k k '(1−cosϕ)=k−k 'ƛC
, (20)
che può essere rivoltata come
11
ƛC(1−cos ϕ)=k−k 'k k '
=λ '2π− λ
2π . (21)
Sempre dalla stessa formula si ottiene anche
k /k '=1+ƛC k (1−cos ϕ)=ε/ε '=λ/λ ' . (22)
□
Può risultare utile riscrivere l'equazione in termini di energie del fotone in ingresso E1 e del
fotone diffuso E2 :
E2=E1
1+(E1
mc2 )(1−cosϕ) (23)
e
E1−E2=(E1 E2
mc2 )(1−cos ϕ)
(24)
Dimostrazione: sostituendo nella formula dello shift Compton in funzione delle lunghezze d'onda la
relazione λ=hcE
si ottiene
Δλ =hcE2
−hcE1
=h
me c(1−cosϕ)
⇒1E2
−1
E1
=1
me c2(1−cos ϕ)
⇒ E1−E2=E1 E 2
me c2 (1−cosϕ)
⇒ E2=E1
1+(E1
mc2)(1−cosϕ)
□
12
Una conseguenza importante deducibile da tali relazioni è che l'effetto Compton produce grandi
perdite di energia per fotoni ad alta energia E1 , mentre ha effetti minori ad energie inferiori.
Si può notare ad esempio come in retrodiffusione ( ϕ=π ) l'energia del fotone diffuso E2 non
superi mai il termine mc2/2 .
Fig. 2.3: Grafico del rapporto tra l'energia del fotone diffuso ε ' e l'energia del fotone incidente
ε in funzione dell'angolo di diffusione.
Risulta utile anche notare la relazione tra shift energetico e di lunghezza d'onda:
Δλλ=−ΔE
E . (25)
Da tale relazione si osserva ancora una volta come lo shift Compton nella lunghezza d'onda sia
tanto più marcato quanto più si operi ad energie elevate.
Nella diffusione di tipo Compton emerge come grandezza la lunghezza di diffusione Compton
ƛC data da
ƛC=ℏ
m e c=3.86×10−3 A . (26)
13
Essa rappresenta una delle due lunghezze fondamentali per i raggi X, insieme alla lunghezza di
diffusione Thomson
r 0=e2
4πϵ0 mc2=2.82×10−5 A , (27)
e il loro rapporto è la costante di struttura fine
α=r0
ƛC≈
1137
. (28)
Un'altra grandezza importante che si relaziona con le precedenti è il raggio di Bohr a0 , ovvero il
raggio dell'orbita più interna nel modello di Bohr per l'atomo di idrogeno. Si ha
a0=4 πϵ0ℏ
2
me e2 =0.529A (29)
e valgono le relazioni
ƛC=α a0 (30)
e
r 0=α2 a0 . (31)
2.2.2 Elettrone in motoLe formule precedenti, tutte ottenibili dall'applicazione della conservazione della quantità di moto e
dell'energia, sono valide per elettroni stazionari; questa, tuttavia, rappresenta un'approssimazione
non realistica ed incapace di descrivere molti degli effetti reali nella materia. Si supponga invece di
porsi in una condizione di elettrone non legato in moto che riceve una grande quantità di energia.
Anche per l'elettrone legato l'interazione risulta di tipo impulsivo quando l'energia trasferita supera
di gran lunga l'energia di legame e il potenziale in cui l'elettrone si trova prima e dopo l'evento è
essenzialmente lo stesso. Sotto queste condizioni si può considerare solo la parte cinematica.
14
Ponendosi sotto le condizioni non relativistiche, che risultano una buona approssimazione per atomi
caratterizzati da un numero atomico basso, e seguendo nuovamente la nomenclatura della figura
2.2,
E1−E2 = Ee2−E e1 =peF
2
2m e
−peI
2
2me
=12m e
[p+ℏ(k1−k2)]2−∣p∣
2
2me
=ℏ
2q2
2m e
+ℏq⋅pme
, (32)
dove k1 e k2 sono i vettori d'onda rispettivamente dei fotoni incidente e diffuso, E1 ed
E2 le loro energie, E e1 e E e2 le energie dell'elettrone prima e dopo l'urto e p la quantità
di moto dell'elettrone prima dell'urto e dove si è riscritto il vettore di scattering come q = k1−k2 .
Il primo termine rappresenta la shift Compton fissato, il secondo uno shift Doppler che dipende
dalla componente di p lungo la direzione di trasferimento della quantità di moto, individuata da
q . Ponendo l'asse z di un sistema di assi cartesiani su tale direzione, possiamo definire il
Profilo Compton J (pz) come:
J (pz)=∬ρ(px , py , pz)dpx dp y , (33)
dove ρ(px , py , pz) è la distribuzione di probabilità della quantità di moto dell'elettrone, ovvero la
funzione di distribuzione di densità elettronica espressa secondo la variabile p anziché secondo la
consueta variabile spaziale r .
Dunque, ρ(p) è una densità di probabilità come la più consueta ρ(r) e le due funzioni d'onda
associate χ (p) e ψ(r) formano una coppia di Fourier, ovvero:
χ (p)=(1
2πℏ)
32∫ψ(r)exp(−
iℏ
p⋅r )d r . (34)
2.2.3 Analisi cinematicaNella situazione precedentemente descritta di diffusione di tipo Compton di raggi X da parte di un
elettrone, si può osservare che il modulo del momento trasferito q=∣ℏk1−ℏk2∣ si lega all'angolo
15
di diffusione ϕ attraverso
q = (ℏ2 k1
2+ℏ
2 k22−2ℏ2 k1 k 2cos ϕ)
12
= ℏ(ω12
c2+ω2
2
c2−2ω1
c
ω2
ccos ϕ)
12
= ℏ(ω1
2+ω2
2−2ω1ω2 cosϕ)
12
c
.
Definendo ω come ω=ω1−ω2 , per cui ℏω=EF−EI , nel limite ω≪ω1 tale relazione
si riduce a
q≈2ℏ k1sinϕ
2 . (35)
Un tipico esperimento di diffusione anelastica consiste nel produrre un fascio monocromatico ben
collimato, selezionando un elemento di angolo solido dΩ del raggio diffuso (fissando così q ,
come stabilito dalla formula precedente), ed analizzare tale porzione di radiazione diffusa con una
risoluzione dω2 . Si può così misurare la sezione d'urto di diffusione doppio differenziale
(DDSCS) non relativistica, definita come
d2σ
dΩdω2 , (36)
in funzione di q e ω .
Tale sezione d'urto, nel limite non relativistico e all'ordine perturbativo più basso, risulta composta
per il caso anelastico da due fattori:
d2σ
dΩdω2
=( d σdΩ)Thomson
S (q ,ω) , (37)
dove (d σdω)Thomson
è la sezione d'urto differenziale di Thomson descritta al capitolo 1.2 e
S (q ,ω) è chiamato fattore di struttura dinamico e verrà definito in seguito.
16
2.2.4 Sezione d'urto differenziale non relativistica e fattore di struttura
Per la derivazione della DDSCS si parte dall'Hamiltoniana di interazione semi-classica, in cui cioè
il campo di radiazione viene trattato classicamente mentre l'atomo viene descritto quantisticamente,
che rappresenta l'interazione tra il campo elettromagnetico e il sistema di elettroni, ognuno di carica
−e :
H int=∑j
e2
2 mA(r j)
2+∑
j
em
A (r j)⋅p j , (38)
dove la somma avviene per tutti gli elettroni, A (r j) è l'operatore potenziale vettore del campo
elettromagnetico e p è l'operatore quantità di moto dell'elettrone. In questa versione
dell'Hamiltoniana viene ignorata l'interazione tra il campo elettromagnetico ed il momento
magnetico dell'elettrone.
Il calcolo della sezione d'urto di diffusione riguarda un processo a due fotoni; dunque, il primo
termine di H int , quadratico rispetto al potenziale vettore, può essere trattato al primo ordine,
mentre il secondo termine, lineare in A, va calcolato al secondo ordine del metodo perturbativo. Il
potenziale vettore può essere espresso in termini di operatori di creazione a l* e distruzione a l
attraverso:
A j=∑l
a l A l(r j)+a l* Al
†(r j) , (39)
dove
A l(r j)≡V−
12 (4π c2)
12 ε le
i k l⋅r j , (40)
in cui εl e k l sono il versore polarizzazione e il vettore d'onda dei fotoni di frequenza νl ,
con n l(ml) fotoni nello stato l e V un volume di normalizzazione; il processo di diffusione,
infatti, coinvolge la distruzione di un fotone in un particolare stato, in genere etichettato da k, e la
creazione di un nuovo fotone in uno stato differente, etichettato da k'. Le proprietà degli operatori di
creazione e distruzione del fotone sono espresse da:
17
⟨ml∣a l
*∣n l⟩ = [ℏ(n l+1)/2 νl]12 δm l ,(n l+1)
⟨m l∣a l∣nl ⟩ = [ℏ n l /2νl]12 δm l ,(nl−1)
. (41)
Sfruttando la regola d'oro di Fermi, si può dimostrare che la sezione d'urto di scattering doppio
differenziale è proporzionale a [1]:
d 2σ
dΩd ω2
~ω2ω1
r02∑
F ∣⟨F |∑j
ei q⋅r j | I ⟩(ε1⋅ε2*)
−1m∑
N (⟨F | ε2
*⋅∑
j
p j e−i k 2⋅r j | N ⟩×⟨N | ε1⋅∑
j
p j ei k1⋅r j | I ⟩
E N−E I−ℏω1+i2ΓN
−
⟨F | ε1⋅∑j
p j e−i k 1⋅r j | N ⟩×⟨N |ε2
*⋅∑
j
p j ei k 2⋅r j | I ⟩
E N−E I+ℏω2 )∣2
×δ(E F−E I−ℏω)
(42)
In tale formula, E I è l'energia dello stato iniziale ∣I ⟩ e EF quella dello stato finale ∣F ⟩ .
La sommatoria nel secondo termine all'interno del valore assoluto avviene sugli stati intermedi
∣N ⟩ di energia EN ; ΓN viene introdotta per trattare i fenomeni di risonanza. L'origine di
questa espressione al secondo ordine deriva dal termine A⋅p nell'Hamiltoniana di interazione,
dove gli stati intermedi ∣N ⟩ ricadono in due classi: quelli in cui viene prima annichilito il fotone
iniziale e quelli in cui viene prima creato il fotone finale. Il termine al primo ordine viene invece
ricavato dal termine A 2 nell'Hamiltoniana. Quando si verifica la condizione di risonanza
ℏω1≈EN−E I , (43)
il termine al secondo ordine diventa predominante; in generale ci si deve dunque porre lontano da
tale condizione.
Nel caso non risonante, il fattore di struttura dinamico S(q ,ω) , introdotto al capitolo 2.2.3, è ora
dato da:
18
S(q ,ω)=∑F
∣⟨F∣∑j
e i q⋅r j∣I⟩∣2δ(EF−E I−ℏω) . (44)
Confrontandola con la precedente espressione per la sezione d'urto di diffusione, si può riscrivere la
sezione d'urto di diffusione di Thomson come:
( dσdΩ)Thomson
=r02(ε1⋅ε2)
2 ω2ω1
. (45)
Il fattore di struttura dinamico fornisce informazioni sul comportamento dinamico del sistema di
elettroni in termini di eccitazione dallo stato iniziale allo stato finale. La precedente
rappresentazione di S(q ,ω) può essere espressa in modo da mostrare in modo più esplicito le
informazioni sulle particelle coinvolte nel processo di diffusione. Utilizzando la rappresentazione di
Fourier della Delta di Dirac
δ(E F−E I−ℏω)=1
2π ℏ ∫−∞∞
e−
iℏ(E F−E I−ℏω)t
dt (46)
nella (42) e sostituendovi H∣x ⟩=Ex∣x ⟩ , dove H è l'Hamiltoniana e ∣x ⟩ uno stato qualunque
del sistema, si ottiene la seguente espressione per S(q ,ω) :
S(q ,ω)=1
2πℏ ∫−∞∞
dt e−iω t∑F
⟨I∣∑j
e−i q⋅r j∣F⟩×⟨F∣eiℏ
H t
∑k
ei q⋅rk e−
iℏ
Ht∣I⟩ . (47)
Utilizzando la relazione
O(t)=eiℏ
HtO e
−1ℏ
H t (48)
che determina l'evoluzione temporale di un operatore O nella rappresentazione di Heisenberg, si
può concludere esplicitando S(q ,ω) come:
S(q ,ω)=1
2πℏ ∫−∞∞
dt e−iω t⟨I∣∑
j , k
e−i q⋅(r j (0)−rk(t ))∣I ⟩ . (49)
19
Questa espressione per il fattore di struttura dinamico è particolarmente adatta per discutere il ruolo
dei fenomeni di interferenza quando si studia un sistema a molte particelle con un determinato
trasferimento di energia e quantità di moto. Poiché ei q⋅r j (t) è la fase dell'onda diffusa dal j-esimo
elettrone al tempo t, la risposta del sistema dipenderà fortemente sia dal confronto tra 2π /q e
ℓC (la distanza media tra le particelle: ℓC=⟨∣r j−rk∣⟩ ), sia da quella tra ω e la frequenza
caratteristica del sistema ωc . Se da un lato qℓC è piccolo rispetto a 2π e ω~ωc , allora
l'interferenza tra onde diffuse da più particelle a tempi diversi assume importanza e quindi, sotto tali
condizioni, si studia principalmente il comportamento collettivo del sistema a molte particelle;
queste condizioni assumono il nome di regime di perdite caratteristiche di energia. Se invece
qℓC è grande rispetto a 2π e ω~ωc , le onde diffuse dalle diverse particelle non
interferiscono tra loro e quindi si studia la posizione di una determinata particella a tempi differenti.
In altre parole, la misura di S(q ,ω) conterrà informazioni sulla quantità di moto della singola
particella a patto che la condizione ω≫ωc garantisca che la scala temporale della misura sia
sufficiente piccola da evitare che il sistema restante si riorganizzi; tale condizione cade
generalmente sotto al nome di regime Compton. Questa condizione è inoltre richiesta per trattare i
processi di diffusione nel limite di approssimazione di impulso.
2.2.5 Regime di diffusione ComptonIl regime di diffusione Compton consiste in una diffusione di tipo anelastico con grande
trasferimento di quantità di moto q e grande trasferimento di energia ℏω . A tale riguardo, per
grande trasferimento q si intende in particolare la condizione 2π /q≪ℓC , dove ℓC
rappresenta, come visto, la distanza media tra le particelle del sistema di elettroni. Come si è
osservato, quando si calcola la sezione d'urto doppio differenziale attraverso la formula (49) con un
grande trasferimento di quantità di moto si possono trascurare gli effetti dovuti all'interferenza tra
onde diffuse da particelle diverse a tempi diversi; si sta dunque misurando la posizione della singola
particella a tempi diversi e l'informazione così ottenuta riguarda la distribuzione di densità della
quantità di moto del sistema di elettroni. Per ottenere tali informazioni, tuttavia, ci si deve assicurare
che la misura delle posizioni avvenga a intervalli di tempo sufficientemente brevi, per non dare
tempo al sistema di riorganizzarsi. Ciò richiede trasferimenti di energia ℏω elevati rispetto alle
energie caratteristiche per il sistema (cioè le energie di legame per gli elettroni di core e l'energia di
Fermi per gli elettroni quasi liberi nei metalli). Dunque, la definizione del regime di diffusione
Compton dipende in gran parte dal sistema che si è stabilito di osservare; se si è interessati alla
densità di probabilità della quantità di moto dei soli elettroni di valenza, l'energia trasferita non deve
20
essere grande quanto quelle richiesta in situazioni in cui si è deciso di osservare le stesse proprietà
per gli elettroni di core strettamente legati.
2.2.6 Approssimazione di impulso e profili ComptonL'approssimazione di impulso consiste nel considerare, come descritto nel paragrafo precedente,
trasferimenti di quantità di moto e di energia validi per il regime Compton, ovvero trasferimenti
energetici ℏω elevati rispetto alle energie caratteristiche del sistema e variazioni di quantità di
moto tali per cui 2π /q≪ℓC , con ℓC lunghezza caratteristica del sistema. Considerando
valide tali condizioni si giunge ad un'espressione approssimata per il fattore di struttura dinamico
esplicitata nella (47).
Consideriamo l'operatore Hamiltoniano del sistema di scattering in tale formula come composto da
un termine cinetico H0 e uno potenziale V : H=H0+V . Si può inoltre procedere
all'espansione del termine exp(i H t / ℏ) nel modo seguente:
eiℏ
Ht=e
iℏ
H0 te
iℏ
V te−[H0,V ]
t2
2ℏ2
… , (50)
dove [H0, V ] indica il commutatore.
La base dell'approssimazione di impulso consiste nell'assunzione per cui, se vale la condizione
ℏω≫√⟨[H0, V ]⟩ , (51)
si può imporre
e−[H0, V]
t2
2ℏ2
≃1 (52)
nella (50), poiché i contributi apprezzabili per l'integrazione rispetto al tempo nella (47) si hanno
solo per t≪1 /ω . Si noti come la (51) sia valida quando ℏω è grande rispetto alle energie
caratteristiche del sistema descritte dall'Hamiltoniana H : dunque, essa non è altro che una
riscrittura di una delle condizioni richieste dal regime Compton.
Trattando per semplicità il caso dell'atomo ad un elettrone, è possibile eliminare l'indice j nella
(47); imponendo dunque l'espansione di exp(i H t / ℏ) con la successiva espansione e ricordando
che V commuta con r , la (37) diventa:
21
d2σ
dΩdω2
= ( dσdΩ)Thomson
12πℏ∫ dt e−iω t ⟨ I∣e−i q⋅r×e
iℏ
H 0 tei q⋅r e
−iℏ
H 0 t∣I ⟩ . (53)
L'inserimento di un set completo di autofunzioni ∣p f ⟩ della parte cinetica H0
dell'Hamiltoniana H nella formula precedente, insieme a
eiℏ
H0 t
∣pf ⟩=eiℏε (pf )t∣pf ⟩ , (54)
dove
ε(pf )≡pf
2
2m , (55)
modifica la (53) in
d2σ
dΩdω2
=( d σdΩ)Thomson
∑p f
∣⟨I∣e−i q⋅r∣pf ⟩∣
2×δ[ε (p f )−ε(pf−ℏ q)−ℏω] , (56)
in cui si è usata la rappresentazione integrale della funzione δ . Introducendo la notazione
p≡pf−ℏq (57)
e tornando dalla somma sugli stati finali ∣p f ⟩ all'integrazione su p , si giunge a [1]
d2σ
dΩdω2
=( d σdΩ)Thomson
( 12πℏ)
3
∫ ∣⟨I∣p⟩∣2δ(ℏ
2 q2
2m+ℏ
mp⋅q−ℏω)d p , (58)
in cui si è tenuto conto di
ε(pf )−ε (pf−ℏq)=ε(p+ℏq)−ε(p)=ℏ2 q2
2m+ℏp⋅q
m , (59)
derivante dalle definizioni (55) e (57).
Sia ora ψ(r ) la funzione d'onda nello spazio delle posizioni rappresentante lo stato iniziale
22
∣I ⟩ e sia sia χ (p) la sua trasformata di Fourier, ovvero la funzione d'onda nello spazio dei
momenti; poiché si ha
ρ(p)=( 12πℏ)
3
∣⟨I∣p⟩∣2=∣χ (p)∣
2=( 1
2π ℏ)3
∣∫ ψ(r)e−iℏ
p⋅rd r∣
2
, (60)
la quantità sotto l'integrale nella (58) rappresenta la densità nello spazio dei momenti per il sistema
di diffusione nello stato fondamentale ∣I ⟩ e fornisce la probabilità di trovare l'elettrone iniziale
con un dato momento p . A causa della funzione δ(ℏ2q2/2m+ℏ p⋅q /m−ℏω) , lo spazio di
integrazione di p nella (58) si estende su un piano nello spazio dei momenti perpendicolare a
q , dove la distanza pq di questo piano dall'origine dello spazio dei momenti è data da
pq = ωmq−ℏ
q2≈ mc[ ℏω1−ℏω2−
ℏ2ω1ω2
m c2 (1−cos ϕ)
(ℏ2ω12+ℏ2ω2
2−2ℏ2ω1ω2 cosϕ)12 ] . (61)
Ponendo q≡k1−k2 sull'asse z , in modo che pq=pz , la (58) può essere riscritta come
d2σ
dΩdω2
= (d σdΩ )Thomson
mℏq∬ ρ(px , p y , pz≡pq)dpx dpy
= (d σdΩ )Thomson
mℏq
J (pq)
, (62)
dove J (pq) è il profilo Compton (direzionale), definito nel capitolo 2.2.2 come
J (pz)=∬ρ(px , py , pz)dpx dp y , che può essere interpretato come la proiezione della densità di
distribuzione della quantità di moto ρ(p) sulla direzione del vettore di diffusione q .
23
Fig. 2.4: Profilo Compton confrontato con la diffusione elastica di Rayleigh, espressi sia in termini
di perdita energetica ħω, sia in termini di quantità di moto dell'elettrone pz . Nel grafico si
evidenzia la differenza tra elettroni di valenza e di core: i primi sono ben concentrati intorno al
valore ℏω=ℏ2 q2/2m , i secondi sono più sparpagliati nello spazio dei momenti: per il principio
di indeterminazione, ciò si ripercuote sulla localizzazione spaziale degli stessi, più definita per gli
elettroni di core rispetto a quelli di valenza.
L'essenza dell'approssimazione di impulso può essere resa più chiara da un punto di vista fisico
osservando le differenze tra la (44) e la (56). I cambiamenti sono i seguenti: l'argomento della
funzione δ è solo di tipo cinetico, cancellando così i termini potenziali dal calcolo dell'energia
per i due stati, iniziale e finale; si assume che l'elettrone sia libero con quantità di moto pf nello
stato finale; la trasformazione dello spazio dei momenti determinata dalla (57) viene interpretata
come applicazione della conservazione della quantità di moto in modo da ottenere pf−ℏq per la
quantità di moto dello stato iniziale. In altre parole, il processo di diffusione è assunto rapido, in
modo che l'atomo diffondente non abbia tempo per riorganizzarsi, con la conseguenza che l'energia
e la quantità di moto trasferite sono così grandi da poter considerare libero l'elettrone di rinculo. Si è
così ridotto un processo di diffusione da parte di un elettrone legato ad un processo di diffusione in
cui l'elettrone colpito dal fotone è assunto libero, in moto con un certo momento iniziale p , e
dove il momento ℏq è trasferito all'elettrone, in modo che la sua energia diventa
(p+ℏq)2/ 2m . Dunque, per la conservazione dell'energia, la quantità energetica data da
24
ℏω=(p+ℏq)2
2m−
p2
2m=ℏ
2 q2
2m+ℏ p⋅q
m
(63)
viene trasferita interamente dal fotone all'atomo di diffusione.
L'energia di legame, o energia potenziale V, dell'elettrone non è completamente trascurata da questo
trattamento approssimato. Al contrario, il legame entra in gioco nella probabilità di trovare un
elettrone con una certa quantità di moto p , dove tale probabilità è data dalla trasformata di
Fourier della funzione d'onda di singola particella, che rappresenta uno stato legato in quanto
soluzione dell'equazione di Schrödinger, che include il potenziale V . L'equazione (63) descrive
la perdita di energia del fotone diffuso e può essere vista come composta dallo shift Compton
classico ℏ2 q2/2m , valido per un elettrone a riposo, e uno shift Doppler addizionale,
ℏ p⋅q/m , dovuto al moto con momento p dell'elettrone.
2.2.7 Sistemi a molti elettroniE' possibile ora analizzare il processo di diffusione da parti di un sistema a molti elettroni. Il sistema
può essere interpretato in prima approssimazione come composto da particelle indipendenti,
descritte dalla funzione d'onda di singola particella ψi(r j) , e quindi, nei limiti richiesti dalla
approssimazione di impulso, ogni processo di diffusione coinvolge un'unica particella del sistema.
Si può quindi riscrivere l'espressione (60) per la densità della quantità di moto sommando su tutti
gli stati di singolo elettrone occupati del sistema:
ρ(p) ≡ ( 12πℏ)
3
∣⟨I∣p⟩∣2= ∑
i
occ
∣χ i(p)∣2= ( 1
2πℏ )3
∑i
occ
∣∫ ψi(r)e−
iℏ
p⋅rdr∣
2
. (64)
Dunque, un sistema di elettroni legati indipendenti, analizzato tramite la diffusione anelastica di
raggi X sotto le condizioni dell'approssimazione di impulso, viene considerato composto da
particelle libere con una certa distribuzione di quantità di moto in cui sia l'energia sia il momento
sono conservati durante la collisione; la densità della quantità di moto per una particella si ottiene
dal quadrato della trasformata di Fourier della sua funzione d'onda di singola particella.
Il sistema più semplice a tale riguardo è un sistema di elettroni liberi a temperatura zero soggetto al
solo Principio di Pauli, tale che
{ρ(p)=1 per p≤pF (pF=momentodi Fermi)ρ(p)=0 per p>pF
. (65)
25
Il Profilo Compton risultante, seguendone la definizione data nella (33), vale:
J (pz) ≡ J (pq) = π(pF2−pq
2) per∣pq∣≤pF (66)
e ha l'andamento di una parabola capovolta.
Fig. 2.5: Profilo Compton di un gas di elettroni liberi con momento di Fermi pF . La corrispondente
densità elettronica ρ ( p) nello spazio dei momenti, per una direzione di p, è rappresentata per
un gas di elettroni non interagenti (linea continua) e per un gas di elettroni interagenti (linea
tratteggiata). La stessa differenza si manifesta nel profilo Compton J(pz) rappresentato nella terza
figura.[1]
26
CAPITOLO 3: RIVELATORI A SEMICONDUTTORE
I rivelatori a semiconduttore sono basati su una giunzione p-n polarizzata inversamente; i fotoni,
andando a incidere sulla regione di svuotamento, producono coppie elettrone-lacuna, il cui moto
sotto l'influsso del campo elettrico applicato genera il segnale elettrico alla base del funzionamento.
Fig. 3.1: Energia delle bande di conduzione e valenza in una giunzione
a) non polarizzata e b) polarizzata inversamente
La quantità di interesse pratico per il rivelatore è l'energia media spesa dalla particella carica nella
produzione della coppia elettrone-lacuna; tale quantità, spesso denominata genericamente energia
di ionizzazione, indicata col simbolo ϵ , è indipendente, con buona approssimazione, sia
dall'energia che dal tipo di radiazione incidente. Questa semplificazione permette l'interpretazione
del numero di coppie elettrone-lacuna prodotte in termini di energia di radiazione incidente,
seguendo la relazione
N =h νϵ
. (67)
Poiché il valore di ϵ è generalmente basso, intorno ai 3 eV per il silicio, il numero dei portatori
di carica creati per il rivelatore a semiconduttore è molto più alto rispetto a rivelatori di altra specie
per una data energia, andando così a migliorare l'errore relativo associato alla misura.
Lo schema semplificato di un rivelatore a semiconduttore è riportato in figura.
27
L'errore da associare alla misura dei conteggi, che seguono una distribuzione di tipo poissoniano, va
con la radice quadrata dei conteggi stessi:
σN = √N . (68)
La risoluzione energetica di un rivelatore è definita da
R=ΔEE0
, (69)
dove ΔE è la larghezza del picco a metà della sua altezza (full width at half maximum,
generalmente abbreviato in FWHM) e E0 l'energia del centro del picco. Per una distribuzione di
tipo gaussiano, essa vale ΔE=2.35σ ; di conseguenza, sotto l'ipotesi di comportamento
poissoniano, che si riconduce ad una distribuzione gaussiana per N grandi, la risoluzione sarà data
da
R=2.35√N
N . (70)
28
Fig 3.2: Schema di un rivelatore a semiconduttore
Fig. 3.3: Risoluzione energetica di un rivelatore
In realtà la fluttuazione statistica osservata nei rivelatori a semiconduttore risulta più piccola
rispetto a quella predetta da una distribuzione poissoniana. Si introduce così il fattore di Fano come
correzione per tale valore:
F ≡varianzastatistica osservata per N
N=
varianza statistica osservata per NE /ϵ
. (71)
Il valore del fattore di Fano dipende in generale dal rivelatore stesso e influisce sulla risoluzione
attraverso
R=2.35√FN
N . (72)
Per i rivelatori a semiconduttore, si ha F∼0.08 [3].
29
CAPITOLO 4: DESCRIZIONE DELL'APPARATO STRUMENTALE
4.1 Visione d'insiemeL'apparato sperimentale è composto da diverse parti, che verranno descritte nei capitoli seguenti.
Fig. 4.1: Fotografia dell'apparato sperimentale in assenza di sorgente e campione.
4.2 SorgenteLa sorgente a disposizione per l'esperimento consiste in un campione di 133 Ba , che decade in
133Cs attraverso un processo di cattura elettronica: esso consiste nella cattura di un elettrone da
parte del nucleo, seguendo lo schema:
p++e-
→ n+νe . (73)
Durante tale processo il peso atomico rimane invariato, mentre cala di un'unità il numero atomico. Il
tempo di dimezzamento di tale elemento è leggermente superiore ai dieci anni ( t 1/2=10.51 y ); si
è dunque supposto costante il flusso di fotoni nell'arco dei mesi su cui si sono effettuate le prove.
La sorgente a disposizione, caratterizzata dalle dimensioni esterne (52.0 x 26.4 x 20.4) mm,
presenta un angolo di emissione di 180°.
30
4.3 Rivelatore al silicioIl rivelatore AMPTEK XR-100CR è un rivelatore al silicio basato su un fotodiodo di tipo PIN
raffreddato termoelettricamente e mantenuto alla temperatura di circa -55°C.
Fig. 4.2: Struttura di un rivelatore a semiconduttore (finestra di berillio e sistema di rivelazione)
Fig. 4.3: Curva di efficienza del rivelatore al silicio: corrisponde alla probabilità che un raggio X
entri dalla parte anteriore del rivelatore e depositi tutta la sua energia sul rivelatore per effetto
fotoelettrico. L'efficienza risulta superiore all'80% in un range energetico tra i 2 e i 10 keV. [5]
31
4.4 Rivelatore CZTIl rivelatore CZT si basa su un composto semiconduttore formato da Cadmio, Zinco e Tellurio, la
cui composizione è data da Cd 0.9 Zn0.1 Te . E' caratterizzato da una maggiore efficienza rispetto al
rivelatore al silicio per radiazioni di energia dell'ordine delle decine dei keV, ma presenta una
risoluzione inferiore.
Fig. 4.4: Curva di efficienza del rivelatore CZT. L'efficienza risulta superiore all'80% in un range
tra pochi keV e circa 100 keV. [6]
4.5 Collimatore per il rivelatoreE' stato realizzato un collimatore in alluminio da applicare al rivelatore, il cui progetto grafico, con
le relative dimensioni, è riportato in figura 4.5. La scelta di tali dimensioni è stata determinata
dall'assorbimento della radiazione da parte del materiale. Basandosi sulla legge dell'assorbimento
lineare di Lambert-Beer,
I(x)=I0 e−x /λ (74)
in cui l'intensità I (x) del fascio è espressa in termini di spessore di materiale attraversato, si è
valutato di realizzare un'attenuazione rendendo l'intensità inferiore all'1% dell'originale lungo le
traiettorie non perpendicolari alla finestra di berillio del rivelatore. Assumendo come valore della
lunghezza di attenuazione dell'alluminio, alla densità standard di ρ = 2.7 g /cm3 per la
radiazione a 30keV [7]
32
λ = 3.7×10−3 m , (75)
si è calcolato uno spessore di
s = 0.017m = 1.7cm , (76)
da cui uno spessore del collimatore imposto, come indicato in figura, per semplicità, pari a
S = 2.0 cm . (77)
Si è oltretutto valutato di fornire al collimatore, nella parte più avanzata, la forma di un tronco di
cono: questa modifica permetteva un minore ingombro del collimatore stesso, realizzando così
anche configurazioni a grandi angoli di diffusione.
Fig. 4.5: Schema e dimensioni per il collimatore per il rivelatore. Le misure sono espresse in
millimetri.
4.6 Collimatore per la sorgenteIl procedimento seguito è stato lo stesso utilizzato per la progettazione del collimatore da applicare
al rivelatore; anche in questo caso si è valutata l'opportunità di dare al collimatore la forma di un
tronco di cono. Per certe misure, si è valutato anche di applicare delle sottili strisce di nastro
33
adesivo piombato sul fianco di tale collimatore e del supporto della sorgente, per attenuare il fascio
di radiazione diretto tra la sorgente e il rivelatore.
Fig. 4.6: Schema e dimensioni per il collimatore per la sorgente. Le misure sono espresse in
millimetri.
4.7 GoniometriSono stati utilizzati due diversi goniometri: uno, più grande, fungeva da base dell'apparato, con lo
scopo di determinare l'angolo di diffusione da studiare tra il fascio di radiazione in uscita dalla
sorgente e il rivelatore; un secondo goniometro, più piccolo, era montato al centro del primo. Su di
esso era applicata la base per il campione di studio, a cui veniva così permessa una rotazione
completa. In genere si è stabilito di porre tale campione in trasmissione tra il fascio incidente e il
rivelatore: sfruttandone la forma, esso veniva infatti posto, ove possibile causa ingombro dei
collimatori, in corrispondenza della bisettrice dell'angolo di diffusione.
4.8 Elementi di interconnessioneSono stati realizzati diversi elementi, in particolare con le funzioni di base per il campione, la
sorgente e il rivelatore.
La base per il campione consisteva semplicemente in un elemento di alluminio a cui veniva
agganciato, per mezzo di due mollette presenti su di esso, il campione. Il portacampione era poi
avvitato al goniometro secondario, che ne permetteva una rotazione di 360°.
La base per il rivelatore permetteva uno spostamento radiale di diversi centimetri. Tale posizione
veniva scelta in base a diversi fattori: il principale era l'andamento dell'intensità del fascio,
proporzionale a 1/r 2 ; anche la base per la sorgente permetteva poi un significativo spostamento
34
radiale.
4.9 Calibrazione dei rivelatoriIl rivelatore separa i fotoni ricevuti in canali, ai quali va associata un'energia particolare, ignota a
priori e dipendente dal livello di amplificazione, che deve essere determinata attraverso la
calibrazione. Tale processo consiste nel considerare alcune misure di fluorescenza di materiali noti,
in modo da associare i picchi energetici rivelati alle transizioni energetiche caratteristiche. Si
utilizza poi una procedura di regressione lineare, nella seguente forma:
E=A+BC . (78)
In tale equazione, C rappresenta il numero del canale considerato ed E l'energia ad esso associata; A
e B sono le incognite da determinare.
Le righe di fluorescenza X scelte per la procedura di calibrazione sono state le seguenti [4]:
K α1 Cs 30,972 keV
Kβ1Cs 34,986 keV
K α1 Ag 22,162 keV
K α1 Ge 9,886 keV
K α1 Ni 7,478 keV
K α1 Fe 6,403 keV
Le prime due sono state misurate senza interporre filtri tra la sorgente e il rivelatore; le altre
derivano dal filtro interposto, rispettivamente di argento, germanio, nichel e ferro. Il tempo di
acquisizione dati è stato mantenuto costante a 600 secondi.
4.9.1 Calibrazione del rivelatore XR-100CR al SilicioSono riportati i grafici delle righe di fluorescenza utilizzate per la calibrazione.
35
I risultati del fit lineare sono riportati di seguito:
A = −122.41 eV σA = 60.8 e V
B = 49.32 eV /canale σB = 0.10 eV /canale
37
Fig. 4.7: Fit lineare di calibrazione per il rivelatore XR-100 CR
4.9.2 Calibrazione del rivelatore XR-100T al CZTSono riportati i grafici delle righe di fluorescenza utilizzate per la calibrazione.
38
A = −92.02 eV σA = 117.74 e V
B = 49.74 eV /canale σB = 0.20 eV /canale
Fig. 4.8: Fit lineare di calibrazione per il rivelatore XR-100 T
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CAPITOLO 5: DESCRIZIONE DELL'ESPERIMENTO
5.1 Descrizione delle configurazioniTramite il goniometro principale era possibile far ruotare la direzione di acquisizione del rivelatore,
idealmente, di un angolo compreso tra 0° (trasmissione diretta) e 180° (retrodiffusione) rispetto alla
direzione individuata dal fascio di fotoni in uscita dalla sorgente.
Per le misure si è scelto di adoperare tre differenti configurazioni:
• ϕ=0° : il campione è posto sulla linea retta congiungente la sorgente al rivelatore. In
questa condizione, non si verifica diffusione di tipo Compton e non si verifica uno shift della
lunghezza d'onda della radiazione. In tale configurazione vengono realizzate anche le misure
di fluorescenza per la calibrazione del rivelatore.
Fig. 5.1: Configurazione a ϕ=0° .
• ϕ=90° : la retta che congiunge la sorgente al campione e quella tra il campione stesso e il
rivelatore formano un angolo di 90°. Il campione viene posto in trasmissione, ad
un'angolazione di 45° rispetto al fascio in uscita dalla sorgente. In questa configurazione
cominciano a verificarsi problemi dovuti alla ricezione da parte del rivelatore del fascio di
fotoni in uscita dalla sorgente: si ha un forte segnale di radiazione primaria che soffoca
l'osservazione della spalla Compton. Per evitare tale effetto si è ricorso all'utilizzo di uno
41
schermo, realizzato con il nastro adesivo di piombo, interposto tra sorgente e rivelatore in
modo da assorbire in modo soddisfacente tale radiazione.
Fig. 5.2: Configurazione a ϕ=90° .
Fig. 5.3: Schema della configurazione a ϕ=90 ° e utilizzo dello schermo di piombo per
bloccare la radiazione diretta dalla sorgente al rivelatore
• ϕ=120° : il rivelatore viene posto ad un angolo di 120° rispetto al fascio emesso dalla
sorgente. Tale angolazione è risultata la massima permessa dagli ingombri dell'apparato e la
geometria del sistema non necessitava l'utilizzo di schermi, non essendoci radiazione diretta
tra la sorgente e il rivelatore.
42
Fig. 5.4: Configurazione a ϕ=120° . Non è richiesto l'utilizzo dello schermo di piombo.
5.2 Descrizione dei materiali impiegatiPer le misure si è scelto di adoperare diversi campioni, quali
• foglio di grafite
• wafer di silicio
• lamina di rame
• ferro
Il campione, di spessore variabile tra circa un decimo di millimetro e un millimetro, veniva posto
sul portacampione sistemato sul goniometro secondario, che ne permetteva una rotazione completa
(360°).
5.3 Dati sperimentaliSono riportati i grafici dell'intensità della radiazione misurata dal rivelatore, realizzati con il
software OriginPro 8. Nella loro stesura si è proceduto ad un'operazione di normalizzazione per
poter confrontare misure con tempi di acquisizione e numero totale di fotoni rivelati differenti: la
normalizzazione adottata consiste in una normalizzazione rispetto ai conteggi totali nella regione
della spalla Compton e della radiazione incidente (26 keV – 32 keV), che vengono uguagliati per i
diversi grafici. Si è poi proceduto anche ad un'operazione di pulizia, attraverso il metodo
dell'adjacent averaging smoothing.
43
Fig. 5.5: Confronto tra grafite con ϕ=0° e ϕ=120° .
Dal grafico in figura 5.5 è possibile osservare un effettivo spostamento della radiazione, che forma
la tipica spalla Compton, la quale risulta, viceversa, assente nella configurazione di radiazione
diretta ( ϕ=0° ). In particolare, questa seconda linea risulta del tutto simile alle misure effettuate
nella stessa configurazione in assenza di campione ed è piccata nell'energia di radiazione del cesio,
pari a 30972 eV. Tale valore energetico è etichettato nel grafico sotto il nome di "diffusione
elastica": infatti, nella misura effettuata nella condizione di ϕ=120 ° , esso è tipico dei fotoni di
radiazione del cesio che hanno subito una diffusione di tipo elastico, ovvero senza cessione di
energia all'elettrone. Nel grafico è individuato un altro valore energetico, indicato come "diffusione
elettrone statico". Tale valore va ad indicare il valore di energia atteso nella descrizione della
diffusione Compton da parte di un elettrone stazionario, esposta nel capitolo 2, calcolando lo shift
energetico a partire dalla formula (23), e corrisponde a 28391 eV. Come si può osservare, la forma
della spalla Compton non è composta da un'unica riga, come ci si potrebbe aspettare nel caso di
diffusione da parte di soli elettroni statici, ma da un range energetico; ciò è riconducibile al fatto che
la diffusione avviene da parte di elettroni in moto e con una distribuzione delle quantità di moto ben
definita.
Si è proceduto in seguito alla variazione dell'angolo di diffusione, ponendo ϕ=90 ° . In questa
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situazione, tuttavia, come descritto in precedenza, si sono verificate alcune difficoltà, dovute in
prevalenza al fatto che il rivelatore intercettava una dose importante di radiazione diretta da parte
della sorgente. Pur verificandosi un effettivo spostamento della spalla Compton, il rapporto
segnale/rumore risulta peggiore rispetto alle precedenti misure, come si può osservare in figura 5.6.
Fig.5.6: Confronto tra grafite con ϕ=0° , ϕ=90° e ϕ=120 ° .
Nel grafico sono indicati i valori energetici della diffusione elastica (30972 eV), pari alla radiazione
del cesio e dovuta ai fotoni che subiscono diffusione senza cedere quantità di moto al bersaglio, e
dei fotoni diffusi a 90° e 120°. Questi ultimi, indicati dal termine "diffusione elettrone statico", sono
calcolati attraverso la formula (23), ottenuta dall'analisi dell'urto tra un fotone ed un elettrone
stazionario, e valgono, rispettivamente, 29202 eV e 28391 eV. Confrontando tali valori con la
misura, si può osservare come il dato ottenuto nella configurazione ϕ=120 ° risponda
abbastanza bene alla teoria stazionaria, mentre quello a ϕ=90 ° se ne discosta maggiormente. La
spiegazione di questo fenomeno non è banale, ma può essere parzialmente ricondotta ad
argomentazioni di tipo geometrico. Come si è detto in precedenza nella descrizione delle diverse
configurazioni, la misura a ϕ=90 ° presentava un forte picco all'energia della radiazione del
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cesio, dovuto alla radiazione diretta tra la sorgente e il rivelatore. Poiché questo segnale risultava di
disturbo ai fini della prova, si è dovuto ricorrere all'utilizzo di uno schermo di piombo da interporre
onde attenuare significativamente tale radiazione. In queste misure, inoltre, per non affievolire il
segnale, si è optato per il non utilizzo dei collimatori; in questo modo, la radiazione andava ad
incidere su un'ampia regione del campione. A seconda del punto di diffusione, tuttavia, venivano a
crearsi percorsi differenti, a cui veniva assegnato un angolo di diffusione differente; questa
descrizione geometrica è rappresentata in figura 5.7.
Fig. 5.7: Rappresentazione della geometria di diffusione e dell'assegnazione di un diverso angolo
di diffusione a seconda del punto di incidenza della radiazione
A causa dello schermo di piombo, tuttavia, si ha una forte attenuazione dei percorsi a cui è possibile
assegnare un angolo di diffusione inferiore a 90°, mentre ciò non accade per gli angoli superiori a
120°: si ha quindi uno spostamento della spalla Compton in direzione di questi ultimi, aumentando
così lo shift energetico osservato rispetto alle previsioni.
Partendo dal presupposto che la misura nella configurazione ϕ=120° risultava più significativa
e sottoposta a meno variabili non necessitando di alcuno schermo, si è proceduto con la misura della
spalla Compton prodotta dalla diffusione da parte di materiali differenti, quali il ferro e il rame.
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Fig. 5.8: Confronto tra grafite, ferro e rame nella configurazione ϕ=120 ° .
Da tale grafico, esposto in figura 5.8, è possibile evidenziare come il segnale per la grafite risulti più
intenso rispetto a quelli riferiti agli altri due materiali. Ciò concorda con quanto espresso dal grafico
riportato in figura 2.1 del capitolo 2.1, ovvero che l'effetto Compton risulta predominante, a basse
energie, per bassi numeri atomici; poiché caratterizzata da un numero atomico Z inferiore, la
sezione d'urto per la grafite risulta quindi più elevata rispetto agli altri materiali. La normalizzazione
ai conteggi totali nel range energetico indicato tende ad eliminare tale effetto: per questa figura si è
quindi impiegata una normalizzazione rispetto ai tempi di acquisizione. Dal punto di vista
qualitativo, infine, la differente forma di riga tra grafite, ferro e rame può essere ricondotta alla
diversa configurazione elettronica di questi elementi: in particolare, il carbonio presenta elettroni
nei soli orbitali p e s, mentre ferro e rame hanno elettroni anche nell'orbitale d.
Come indicato al capitolo 4, si è anche valutata l'opportunità di impiegare un rivelatore quale il
rivelatore XR-100T al CZT, caratterizzato da un'efficienza prossima al 100% alle energie studiate.
Tale strumento, tuttavia, portava come risposta un segnale con una risoluzione troppo bassa, non in
47
grado di rendere apprezzabili le variazioni del segnale riferito alla spalla Compton; per questo
motivo nei grafici precedenti si è fatto riferimento alle misure realizzate con il rivelatore al silicio,
malgrado fosse in esse presente un rumore di fondo più significativo. In particolare, in figura 5.9 si
può osservare come tale rivelatore permettesse di individuare una spalla Compton abbastanza
definita nella configurazione ϕ=120° ; tuttavia, già un cambiamento nell'angolo di diffusione a
ϕ=90° avrebbe comportato la perdita della possibilità di apprezzare due picchi ben distinti.
Fig. 5.9: Confronto tra misure effettuate con il rivelatore XR-100CR al silicio e XR-100T al CZT. Il
campione utilizzato nell'immagine è il wafer di silicio.
5.4 Criticità e possibili miglioramentiI dati ottenuti con l'esperimento sono risultati buoni dal punto di vista dimostrativo, in quanto
appare correttamente rappresentato lo shift energetico in relazione con l'angolo di diffusione; si
possono tuttavia evidenziare alcune criticità, nell'ottica di un miglioramento nella realizzazione
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della prova.
• La sorgente impiegata non produceva un fascio di fotoni del tutto adatto agli scopi
dell'esperimento. In particolare, l'inadeguatezza si mostrava in due fattori: l'intensità e
l'energia di radiazione. La bassa intensità costituiva un problema poiché causava un
rapporto segnale-rumore eccessivamente basso: in molte situazioni il segnale andava
ricercato all'interno del rumore proprio dello strumento. Proprio per sopperire a questo
difetto, si è dovuto spesso ricorrere all'inutilizzo dei collimatori, che andavano a soffocare
ulteriormente un fascio incidente eccessivamente debole. Per quanto concerne l'energia di
radiazione, invece, si è già osservato al capitolo 2.2 come l'utilizzo di una sorgente più
energetica produca uno shift più marcato, facilitando così l'osservazione del fenomeno.
Ovviamente tali considerazioni su energia di radiazione ed intensità della sorgente vanno
conciliate con la necessità di mantenere l'apparato all'interno di un laboratorio, senza
l'aggiunta di una schermatura esterna.
• I risultati si discostano parzialmente dalle previsioni derivanti dalla teoria della diffusione
per l'elettrone libero. Ciò è ovviamente giustificato dalla maggiore complessità del sistema
di diffusione, costituito da un reticolo atomico, ma si può addurre parte dell'effetto anche
alla inefficacia della collimazione. Il fascio, infatti, andava ad incidere su una porzione di
campione estesa, producendo così fenomeni di diffusione ad angoli effettivi leggermente
diversi a seconda del punto di incidenza. In particolare, i fotoni che subivano diffusione
nella regione del campione più vicina al rivelatore si associavano ad angoli di diffusione
inferiori rispetto a quelli che venivano diffusi in regioni più distanti. Ricordando che
l'intensità ha un andamento proporzionale a 1/r 2 , le diverse "classi" di diffusione
andavano così a produrre un effetto nella formazione della spalla "pesato" rispetto al punto,
e di conseguenza all'angolo, di diffusione effettivo.
• Il rivelatore XR-100CR al silicio era ottimizzato per energie molto più basse (2-10 keV)
rispetto a quella in uscita dalla sorgente (circa 30 keV): a queste energie l'efficienza
risultava insufficiente, ottenendo così segnali confrontabili con il rumore proprio dello
strumento. Viceversa, il rivelatore XR-100T, caratterizzato da un'efficienza molto elevata
nel range energetico di interesse, offriva una bassa risoluzione, rendendo più complicata
l'identificazione della spalla Compton. La modifica della combinazione sorgente-rivelatore
può portare a netti miglioramenti nella ricezione del segnale.
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CAPITOLO 6: CONCLUSIONILe misure effettuate hanno verificato le principali caratteristiche dell'effetto Compton: si è
osservato, in particolare, lo spostamento della spalla Compton a seconda dell'angolo di diffusione e
la migliore risposta da parte di materiali a basso numero atomico quale, nello specifico, la grafite.
Per quanto concerne lo spostamento della spalla, si sono verificate le diverse risposte del campione
posizionando il rivelatore ad un angolo di diffusione pari a ϕ=0° , ϕ=90° e ϕ=120° . Se
nella prima configurazione, come atteso, non si verificava alcuno spostamento della radiazione dal
valore energetico del fascio incidente, viceversa nelle successive ciò avveniva, con risposte
compatibili con la teoria dell'elettrone bersaglio stazionario; le discrepanze erano riconducibili a
motivazioni di tipo geometrico caratteristiche dell'apparato sperimentale. Seppur connotata da un
forte carattere didattico, si può quindi ritenere che la prova abbia dato un esito positivo.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFIA
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Scattering, Oxford University Press, New York, 2004
[2] J. Als-Nielsen, D. McMorrow, Elements of Modern X-Ray Physics, Wiley, 2001
[3] Glenn F. Knoll, Radiation Detection and Measurement, Wiley, Ann Arbor
(Michigan), 2000
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Berkeley, 2009
[5] http://www.amptek.com/
[6] http://www.ndtnet.com/m/amptek/xr100czt.html
[7] http://henke.lbl.gov/optical_constants/atten2.html
[8] http://www.originlab.com/
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