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CAPITOLO I I FONDAMENTI DELLA TUTELA SOCIALE BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: F. SANTORO PASSARELLI, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, in Riv. it. prev. soc., 1948, 177; M.S. GIANNINI, Profili costituzionali della pro- tezione sociale delle categorie lavoratrici, in Riv. giur. lav., 1953, I, 1; L. LEVI SANDRI, Linee di una teoria giuridica della previdenza sociale, Milano, 1953; L. BARASSI, Previ- denza sociale e lavoro subordinato, Milano, 1954; U. PROSPERETTI, Sulle nozioni di pro- tezione sociale e di sicurezza sociale, in Riv. giur. lav., 1954, I, 298; A. VENTURI, I fon- damenti scientifici della sicurezza sociale, Milano, 1954; A. BARETTONI ARLERI, Il rap- porto giuridico previdenziale, in Riv. it. prev. soc., 1959, 6; M. PERSIANI, Il sistema giu- ridico della previdenza sociale, Padova, 1960; M. MAZZIOTTI, Diritti sociali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964; G. CANNELLA, Elementi di chiarificazione del concetto di sicu- rezza sociale, in Studi in memoria di L. Barassi, Milano, 1966, 31; G. CHIARELLI, Ap- punti sulla sicurezza sociale, ivi, 166; G. MAZZONI, Previdenza, assistenza e sicurezza sociale, in Studi in memoria di T. Ascarelli, Milano, 1968, 1219; F.P. ROSSI, Rapporto di lavoro subordinato e rapporto giuridico previdenziale, Milano, 1968; V. SIMI, Ap- punti sui principi della sicurezza sociale, in Prev. soc., 1968, 673; C. LEGA, Il rapporto giuridico di previdenza sociale, Milano, 1969; M. PERSIANI, Sicurezza sociale, in Noviss. Dig. it., XVII, Torino, 1970; U. ROMAGNOLI, Commento all’art. 3, comma 2, Cost., in Comm. Cost. (artt. 1-12), a cura di G. Branca, Bologna, 1975, 162; M. PERSIANI, Commento all’art. 38 Cost., ivi (artt. 35-40), 1979, 232; M. CINELLI, Appunti sulla no- zione di previdenza sociale, in Riv. it. dir. lav., 1982, I, 156; G.G. BALANDI, Per una definizione del diritto della sicurezza sociale, in Pol. dir., 1984, 561; A. CASSESE, I dirit- ti umani nel mondo contemporaneo, Bari, 1988; P. OLIVELLI, Costituzione e sicurezza sociale, Milano, 1988; P. RESCIGNO, Libertà dal bisogno ed esperienze del diritto, in Riv. inf. mal. prof., 1988, I, 7; A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; M. PACI, Pubblico e privato nei moderni sistemi di welfare, Napoli, 1989; G. ALIBRANDI, La garanzia previdenziale secondo Costituzione, in Riv. inf. mal. prof., 1990, I, 183; M. FERRERA, Modelli di solidarietà, Bologna, 1993; M. CINELLI, Rapporto giuridico di previdenza sociale, in Digesto, sez. comm., XIII, Torino, 1996; G.G. BALANDI, «Pubblico», «privato» e principio di sussidiarietà nel sistema di welfare state, in Riv. giur. lav., 1998, I, 213; M. CINELLI, I livelli di garanzia nel sistema previ- denziale, in Arg. dir. lav., 1998, 53; L. MENGONI, I diritti sociali, in Arg. dir. lav., 1998, 1; M. PERSIANI, Aspettative e diritti nella previdenza pubblica e privata, ivi, 311; M. CINELLI, Sussidiarietà e modello di sicurezza sociale, in Riv. dir. sic. soc., 2004, 447; G.G. BALANDI, La solidarietà come componente non esclusiva di un ordinamento e la costituzione per l’Europa, ivi, 2005, 439; A. ANDREONI, Lavoro, diritti sociali e svilup- po economico. I percorsi costituzionali, Torino, 2006; G. BRONZINI, Il diritto di citta- dinanza, Torino, 2011; M. BERGO, Il diritto sociale frammentato. Principio di sussidia- rietà e assistenza sociale, Padova, 2013; C. TRIPODINA, Il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Torino, 2013; M.

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§ 1 I fondamenti della tutela sociale

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CAPITOLO I

I FONDAMENTI DELLA TUTELA SOCIALE

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: F. SANTORO PASSARELLI, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, in Riv. it. prev. soc., 1948, 177; M.S. GIANNINI, Profili costituzionali della pro-tezione sociale delle categorie lavoratrici, in Riv. giur. lav., 1953, I, 1; L. LEVI SANDRI, Linee di una teoria giuridica della previdenza sociale, Milano, 1953; L. BARASSI, Previ-denza sociale e lavoro subordinato, Milano, 1954; U. PROSPERETTI, Sulle nozioni di pro-tezione sociale e di sicurezza sociale, in Riv. giur. lav., 1954, I, 298; A. VENTURI, I fon-damenti scientifici della sicurezza sociale, Milano, 1954; A. BARETTONI ARLERI, Il rap-porto giuridico previdenziale, in Riv. it. prev. soc., 1959, 6; M. PERSIANI, Il sistema giu-ridico della previdenza sociale, Padova, 1960; M. MAZZIOTTI, Diritti sociali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964; G. CANNELLA, Elementi di chiarificazione del concetto di sicu-rezza sociale, in Studi in memoria di L. Barassi, Milano, 1966, 31; G. CHIARELLI, Ap-punti sulla sicurezza sociale, ivi, 166; G. MAZZONI, Previdenza, assistenza e sicurezza sociale, in Studi in memoria di T. Ascarelli, Milano, 1968, 1219; F.P. ROSSI, Rapporto di lavoro subordinato e rapporto giuridico previdenziale, Milano, 1968; V. SIMI, Ap-punti sui principi della sicurezza sociale, in Prev. soc., 1968, 673; C. LEGA, Il rapporto giuridico di previdenza sociale, Milano, 1969; M. PERSIANI, Sicurezza sociale, in Noviss. Dig. it., XVII, Torino, 1970; U. ROMAGNOLI, Commento all’art. 3, comma 2, Cost., in Comm. Cost. (artt. 1-12), a cura di G. Branca, Bologna, 1975, 162; M. PERSIANI, Commento all’art. 38 Cost., ivi (artt. 35-40), 1979, 232; M. CINELLI, Appunti sulla no-zione di previdenza sociale, in Riv. it. dir. lav., 1982, I, 156; G.G. BALANDI, Per una definizione del diritto della sicurezza sociale, in Pol. dir., 1984, 561; A. CASSESE, I dirit-ti umani nel mondo contemporaneo, Bari, 1988; P. OLIVELLI, Costituzione e sicurezza sociale, Milano, 1988; P. RESCIGNO, Libertà dal bisogno ed esperienze del diritto, in Riv. inf. mal. prof., 1988, I, 7; A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; M. PACI, Pubblico e privato nei moderni sistemi di welfare, Napoli, 1989; G. ALIBRANDI, La garanzia previdenziale secondo Costituzione, in Riv. inf. mal. prof., 1990, I, 183; M. FERRERA, Modelli di solidarietà, Bologna, 1993; M. CINELLI, Rapporto giuridico di previdenza sociale, in Digesto, sez. comm., XIII, Torino, 1996; G.G. BALANDI, «Pubblico», «privato» e principio di sussidiarietà nel sistema di welfare state, in Riv. giur. lav., 1998, I, 213; M. CINELLI, I livelli di garanzia nel sistema previ-denziale, in Arg. dir. lav., 1998, 53; L. MENGONI, I diritti sociali, in Arg. dir. lav., 1998, 1; M. PERSIANI, Aspettative e diritti nella previdenza pubblica e privata, ivi, 311; M. CINELLI, Sussidiarietà e modello di sicurezza sociale, in Riv. dir. sic. soc., 2004, 447; G.G. BALANDI, La solidarietà come componente non esclusiva di un ordinamento e la costituzione per l’Europa, ivi, 2005, 439; A. ANDREONI, Lavoro, diritti sociali e svilup-po economico. I percorsi costituzionali, Torino, 2006; G. BRONZINI, Il diritto di citta-dinanza, Torino, 2011; M. BERGO, Il diritto sociale frammentato. Principio di sussidia-rietà e assistenza sociale, Padova, 2013; C. TRIPODINA, Il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Torino, 2013; M.

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CINELLI e S. GIUBBONI, Cittadinanza, lavoro, diritti sociali. Percorsi nazionali e euro-pei, Torino, 2014; S. RODOTÀ, Solidarietà, un’utopia necessaria, Bari, 2014; M. PER-

SIANI e M. D’ONGHIA, Fondamenti di diritto della previdenza sociale, Torino, 2016.

1. Alle origini dello Stato sociale: la libertà dal bisogno come diritto sociale

La solidarietà con i propri simili – manifestazione della naturale vo-cazione sociale dell’uomo e dei valori trascendenti, che di questi ani-mano l’azione – è una delle espressioni costanti e più significative del-l’esperienza civile e spirituale, individuale e collettiva, che ha segnato e caratterizzato il percorso dell’umanità attraverso la storia.

L’epoca moderna, tuttavia – a partire dal «secolo dei lumi» e dalla rivoluzione francese, ma con più ampi e concreti svolgimenti collegati alle vicende che hanno immediatamente preceduto, accompagnato e seguito il secondo conflitto mondiale –, ha visto i compiti di solidarie-tà, già esercitati dalla società civile nelle sue varie articolazioni, pro-gressivamente dilatati, generalizzati e assunti tra le funzioni primarie dello Stato.

Affermare che ciò rappresenta un’assoluta novità potrebbe rivelarsi imprudente: le esperienze di epoche e civiltà remote, ma anche di quel-le più o meno prossime sono, in merito, così composite e varie e, so-prattutto, ancora così parzialmente sondate dall’indagine storiografica, che qualsiasi affermazione in termini assoluti potrebbe, prima o poi, ri-sultare clamorosamente smentita.

D’altra parte, nell’età contemporanea anche il significato del feno-meno non sempre appare del tutto univocamente decifrabile.

Si mescolano – sarebbe inutile nasconderselo – istanze di diversa matrice e valenza: quelle, in particolare, che hanno segnato il passag-gio dallo Stato di diritto allo Stato sociale; dall’originario sistema capi-talistico di stampo liberista a quello interventista del capitalismo ma-turo delle democrazie occidentali; dall’individuo «liberato» e «respon-sabilizzato», secondo l’obiettivo delle rivoluzioni moderne, all’indivi-duo bisognoso ed insicuro, che ricerca generalizzata protezione nello Stato assistenziale dei nostri giorni.

Né quel fenomeno risulta, ancor oggi, stabilmente assestato, ché, anzi, forti sono le tensioni al mutamento e le oscillazioni che periodi-camente lo animano.

È certamente nuovo, tuttavia – e come tale va, dunque, apprezzato –, quanto meno il diffuso, profondo radicarsi di tale riformulazione del rapporto tra singoli, società e Stato, che, soprattutto a partire dal secon-

Diritti umani e diritti sociali

§ 1 I fondamenti della tutela sociale

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do dopoguerra, interessa e accomuna praticamente tutti, ormai, gli Stati dell’area cosiddetta occidentale, alla quale apparteniamo.

Non mancano certo «giustificazioni» di tale innovativo fenomeno nel-le legislazioni dei singoli paesi. Basti qui ricordare, per il loro fonda-mentale rilievo, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nella Francia del 1793, ma anche la legislazione sociale che, a cavallo tra gli ultimi decenni del 1800 e i primi del 1900, con minor solennità, ma con indubbia concretezza, sostanzialmente si pone, nei vari Stati europei, sulla stessa linea di intendimenti e intervento.

Tuttavia, è essenzialmente nelle fonti di diritto internazionale del-l’immediato dopoguerra che prendono corpo, si diffondono e consoli-dano la nuova visione e l’impegno di rifondazione di quel rapporto.

Ed è nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, procla-mata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 (cioè, l’indomani stesso della guerra), che, per la prima volta nella sto-ria delle relazioni internazionali, si includono tra i diritti umani, ac-canto a quelli tradizionali di natura civile e politica, i diritti sociali, primo tra i quali quello alla «sicurezza sociale»: «Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione in-ternazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità», recita quella Di-chiarazione all’art. 22.

In tale documento risulta evidente l’influsso di esperienze, prima tra tutte quella che ha caratterizzato la vicenda della Repubblica di Weimar, nonché di programmi di profondo significato ideale e politico, quali, in particolare, quelli proposti negli Stati Uniti d’America dal presidente Roosevelt, con il new deal del 1929, e, soprattutto, in Inghilterra dal rap-porto Beveridge del 1942.

Specialmente quest’ultimo, elaborato durante gli anni di guerra, ma nella prospezione di un avvenire di pace, identifica nel «bisogno» l’osta-colo non unico, ma indubbiamente prevalente, che si frappone al pro-gramma di liberazione e sicurezza sociale. Il modello elaborato è quel-lo della erogazione di prestazioni economiche e di servizi a tutti i cit-tadini in condizioni di bisogno (cioè, con redditi inferiori ad un certo livello), a carico finanziario della collettività, tramite la leva fiscale 1.

1 Al suddetto modello beveridgiano (meglio noto come social security plan) suole con-trapporsi il modello bismarkiano, il quale mantiene una stretta correlazione tra stato di bi-sogno e reddito da lavoro, riservando l’accesso della tutela ai cittadini non in quanto tali, ma, appunto, in quanto produttori di reddito da lavoro: cfr. cap. II, par. 2.

Le fonti di diritto internazionale

Capitolo I § 2

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Ben si può affermare, dunque, che la «libertà dal bisogno» rappre-senta l’obiettivo (primario) dei moderni ordinamenti che si ispirano a quei principi: ed il riferimento ad essa, anche quando non espressa-mente enunciato, perviene ad accrescere il novero delle «libertà» ga-rantite o da garantire.

Ed, in effetti, anche in Costituzioni che, come quella italiana, non la enunciano espressamente, pure è evidente come la garanzia di libertà dal bisogno idealmente sostenga e giustifichi tutta una serie di diritti e di libertà riconosciuti dall’ordinamento. Tra questi emergono – come diritti sociali dei quali espressamente si riconosce la dimensione sogget-tiva, cioè la qualità di diritti fondamentali del singolo, oltre che materia di interesse dell’intera collettività –, il diritto alla salute, il diritto all’as-sistenza, il diritto alla previdenza; ma anche la libertà dell’iniziativa pri-vata in campo assistenziale e previdenziale.

La singolarità, rispetto ai tradizionali diritti di libertà, della fisiono-mia della libertà dal bisogno è stata subito evidenziata: la «libertà dal bi-sogno» appartiene, infatti, alla categoria di quelle libertà per la cui sod-disfazione non basta la garanzia di esenzione da interventi esterni, ma si richiede l’adozione, da parte del legislatore, di iniziative di carattere po-sitivo, indirizzate ad un fine specifico.

Per altro verso, seppure con alcune iniziali incertezze giurispruden-ziali, si è riconosciuto come non sia consono il riferimento ai diritti so-ciali secondo lo schema sulla base del quale è stata elaborata la categoria dei diritti pubblici soggettivi (o dei diritti civici) – cioè, di quei diritti del cittadino, aventi anch’essi ad oggetto una prestazione positiva da parte dello Stato, ma fondati sulla legge ordinaria e, dunque, subordinati alla discrezionalità del legislatore «secondario» –; e come, per converso, sia proprio il dato costituzionale ad imporre che detta categoria di diritti venga considerata parte dei diritti soggettivi fondamentali, che lo Stato sociale deve garantire ai cittadini in virtù del principio di tutela della di-gnità umana, uno dei cardini della nostra Costituzione.

2. Diritti sociali, solidarietà e uguaglianza sostanziale nella Costituzione

Nell’ordinamento italiano, dunque, i diritti sociali – e tra questi, in particolare, i diritti previdenziali – trovano esplicito radicamento ed immediata garanzia, quanto all’an e al quid di una prestazione positi-va, nella norma costituzionale 2: nell’ottica costituzionale essi sono, a

2 Un primo gruppo di diritti sociali riguarda i cittadini in generale: diritto alla difesa in giudizio dei non abbienti (art. 24, 3° comma, Cost.), tutela della famiglia (art. 31), tutela

Libertà dal bisogno e

Costituzione

Radicamento costituzionale

§ 2 I fondamenti della tutela sociale

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tutti gli effetti diritti fondamentali e perfetti, anche se, di fatto, la loro concreta azionabilità può risultare condizionata nei profili modali (quo-modo e quando) 3 e nella misura (quantum), dal momento che l’alloca-zione delle risorse disponibili non può non incidere anche su detta ti-pologia di diritti.

È proprio il radicamento costituzionale della garanzia ad escludere che la discrezionalità del legislatore ordinario in merito ai suddetti profili modali possa assumersi come piena ed insindacabile, sì da ri-condurre, nei fatti, i suddetti diritti ad una prospettiva meramente «pro-grammatica». Quel fondamento impone, come è stato giustamente os-servato, che l’eventuale sindacato incidentale di costituzionalità delle modalità di regolamentazione legislativa si eserciti in riferimento alla ragionevolezza della scelta adottata dal legislatore ordinario nel bilan-ciare l’esigenza di attuazione di quei diritti sia con gli altri interessi pri-mari costituzionalmente garantiti, sia con le esigenze globali della finan-za dello Stato; e ciò vale, ovviamente, anche in riferimento al condi-zionamento finanziario 4.

Nell’ambito della disciplina costituzionale, le tematiche della libertà dal bisogno direttamente si collegano al principio di eguaglianza, inteso in quell’accezione «sostanziale», che rappresenta la novità fondamen-tale del nostro testo costituzionale (art. 3, 2° comma, Cost.): principio inteso, cioè, non soltanto come finalizzato all’apprestamento di rimedi compensatori per i più deboli (ad esempio, «i mezzi per agire e difen-dersi davanti ad ogni giurisdizione», che l’art. 24, 3° comma, Cost. ga-rantisce ai non abbienti), ma soprattutto come ininterrotto processo di parificazione dei cittadini davanti alla legge, attraverso la progressiva rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale.

In altre parole, si può affermare che nell’attuale ordinamento costi-tuzionale la libertà dal bisogno è obiettivo che si qualifica e attua at-traverso il collegamento della correlativa pretesa ad un contestuale ul-teriore risultato, che, per molti versi, non è che la specificazione e in-sieme il «limite» di quella: il pieno sviluppo della persona umana e l’ef- della salute (art. 32), diritto all’assistenza e al mantenimento (art. 38, 1° e 5° comma); un secondo gruppo fa perno sul lavoro: diritto al lavoro (art. 4), diritto alla formazione e al-l’elevazione professionale (art. 35), diritto alla retribuzione sufficiente (art. 32), tutela del lavoro femminile e maschile (art. 37), diritto alla previdenza in caso di bisogno (art. 38, 2° comma). Buona parte di detti diritti, tuttavia, per effetto della «mediazione» degli artt. 10 e 117 Cost., deve ritenersi riferibile anche agli stranieri: cfr. cap. III, par. 10, e cap. IV, par. 8.

3 Corte cost. n. 20 del 1991; n. 409 del 1995. 4 Corte cost. n. 172 del 1996; n. 85 del 2013.

Il principio di uguaglianza sostanziale

Capitolo I § 2

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fettiva possibilità di partecipazione di ciascuno all’organizzazione poli-tica, sociale ed economica del Paese.

Al soddisfacimento di quella pretesa – e non potrebbe essere altri-menti, trattandosi di provvedere al superamento di preesistenti condi-zioni di disparità sostanziale, interne al corpo sociale, e data la struttu-ra democratica dello Stato – sono chiamati, in via di principio, tutti i cittadini. Ad essi, per questo motivo, la Costituzione italiana espres-samente e direttamente, come singoli e come formazioni sociali, im-pone «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.).

Il dovere di solidarietà, dunque, è stato recepito anche formalmente da tale fondamentale fonte normativa, e, nel disegno da questa espres-so, idealmente rappresenta non già misura restrittiva o di coercizione, bensì strumento di promozione e garanzia della libertà di ciascuno, e, insieme, strumento di realizzazione del programma di «liberazione» e rinnovamento che il Costituente si è proposto come obiettivo.

In ciò, peraltro, il dovere di solidarietà manifesta un carattere e un’attitudine ulteriori. Poiché è imposta e riferita alla generalità dei cittadini, la solidarietà è, in via di principio, (anche) elemento di inter-relazione e di coesione di tutto il corpo sociale, considerato unitaria-mente, e non frazionisticamente, cioè, «per gruppi» 5.

Sottolineare che la garanzia costituzionale ha ad oggetto la «perso-na» è necessario ed importante, comunque, anche per un ulteriore motivo: precisamente, perché solo in considerazione di tale riferimen-to appare possibile individuare quel necessario elemento di specifica-zione, o limite, ai doveri di solidarietà, che, viceversa, di per sé non traspare dalla generica formula usata dalla norma costituzionale.

Se, dunque, la tutela della «persona» nelle sue espressioni fonda-mentali rappresenta il fine del sistema delle libertà costituzionali ga-rantite, deve intendersi che la «solidarietà», imposta dalla norma co-stituzionale a garanzia di quel sistema di libertà, non abbia motivo di estendersi – nelle sue espressioni redistributive della ricchezza – oltre quanto sia essenziale al conseguimento di quel fine. Ne discende an-che che quell’obiettivo, per quanto elastico possa risultare il riferimen-to al «libero sviluppo della persona umana», di quei doveri costituisce il naturale confine. Ma ne consegue anche che la solidarietà, proprio per-ché destinata a operare all’interno di un sistema di libertà e valori in re-

5 In effetti è dato riscontrare (anche storicamente) più «modelli» di solidarietà: cfr. in questo capitolo, par. 7; cap. II, parr. 3 e 6; cap. V, par. 7; cap. VI, par. 8; cap. XIV, par. 6; cap. XV, par. 1.

Il principio di solidarietà:

specificazioni e limiti

§ 3 I fondamenti della tutela sociale

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ciproco equilibrio, a ben considerare, concorre anche a definire il peri-metro del diritto soggettivo 6.

Per altro verso, il principio tende ad essere inteso plasticamente 7; cioè come destinato ad operare non necessariamente in una prospetti-va universalistica, bensì in un contesto predefinito; si perviene così a giustificare una solidarietà che abbia motivo di esplicitarsi (nel rispetto dei valori costituzionali) solo all’interno del sistema previdenziale – e, dunque, come solidarietà endoprevidenziale –, o all’interno di una spe-cifica categoria professionale (in tal caso finendo per confondersi con il concetto di mutualità).

3. Profili dell’azione sociale dello Stato

Espressione tipica dell’azione sociale dello Stato è la previdenza so-ciale.

Tuttavia, di quest’ultima non è agevole definire la nozione giuridi-ca, né delimitare i relativi ambiti rispetto a quelli contigui di altre for-me di intervento sociale dello Stato, come, in particolare, quelli assisten-ziali 8.

Ed, in effetti, sebbene il diritto della previdenza sociale risulti dota-to ormai di riconosciuta autonomia scientifica e didattica, permango-no tuttora sostanziali incertezze sia circa alcuni connotati della mate-ria, sia (e correlativamente) circa la stessa delimitazione della «porzio-ne» di ordinamento giuridico, cui, allo stato, con tale espressione sia giu-sto propriamente riferirsi 9.

Ne conseguono, innanzitutto, una sorta di crisi di identità della «ma-teria», ma anche una sostanziale ambiguità di quella nozione, dalla qua-le derivano, a loro volta, conseguenze di rilievo tanto sul piano pratico, che sul piano della configurazione teorica del sistema previdenziale nel suo complesso.

Varie e composite sono le ragioni di tale stato di cose. Al proposito, va innanzitutto osservato, in via generale, che la materia

della previdenza sociale, quale espressione tipica (ma non esaustiva) delle

6 Cfr. Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726. 7 Cfr., in particolare, Corte cost. n. 173 del 2016 e n. 7 del 2017. 8 Cfr. par. 7 del presente capitolo. 9 E tale incertezza definitoria non è stata superata neppure dalla riforma costituzionale

del 2001: cfr. cap. II, par. 14.

Problematicità della nozione di previdenza sociale

Politiche sociali dello Stato

Capitolo I § 4

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politiche sociali proprie dello Stato moderno, risente, ovviamente, di tutti i mutamenti di quelle. E le iniziative dello Stato sociale, per loro stessa natura, rispondono in prevalenza ad esigenze e problemi di ordine prati-co; e questi, pur determinati da fenomeni di rilevanza generale, sono mu-tevoli nel tempo, nell’ambito di più o meno avvertite e consapevoli varia-zioni nel medio o lungo periodo della cosiddetta costituzione materiale.

Nelle pagine che seguono un excursus storico delle vicende delle origini e successive varrà a chiarire meglio tale aspetto 10.

Comunque, nel quadro che qui si tratteggia in via del tutto prelimi-nare, va tenuto conto anche del fatto che le politiche dello Stato sociale fin dall’origine non hanno trovato attuazione – e non si realizzano tut-tora – soltanto attraverso mezzi e strumenti di trasferimenti monetari (nocciolo storico e riconosciuto della previdenza sociale). Esse si realiz-zano anche attraverso misure diversamente caratterizzate, quali, in par-ticolare, le misure di prevenzione, l’erogazione di servizi (non necessa-riamente a carico dell’erario), l’attribuzione di crediti o esenzioni fiscali.

Le politiche sociali si svolgono non soltanto attraverso l’intervento degli organismi pubblici e della solidarietà generale, ma possono realiz-zarsi anche attraverso la solidarietà di comunità intermedie – come la famiglia 11 – e, comunque, attraverso strutture ed iniziative private (sia pur delegate, controllate, promosse o assistite dalla mano pubblica), in un rapporto di sussidiarietà dei primi rispetto alle seconde 12.

Tale complessiva situazione fa sì che sia l’ambito della materia, sia il grado di effettività della protezione debbano essere considerati e ap-prezzati non soltanto in una prospettiva storica, ma anche e comun-que in riferimento alle varie modalità secondo le quali si espande ed articola l’azione sociale dello Stato, e al modo di rapportarsi ad essa del-le «comunità intermedie».

4. L’idea della sicurezza sociale e l’elaborazione della nozione di pre-videnza sociale nell’ordinamento italiano

A proposito dell’azione sociale dello Stato, si è fatto e si fa assai spes-so ricorso al concetto di sicurezza sociale.

Anche a tale espressione, tuttavia, non è agevole attribuire un unico valore semantico, né un sicuro radicamento di diritto positivo.

10 Si rinvia al cap. II. 11 Cfr. Corte cost. 14 gennaio 2016, n. 2. 12 Sul principio di sussidiarietà, v. capp. II, III e V, passim, nonché, sul ruolo delle sog-

gettività private, cap. IV, par. 1 (e ivi ulteriori riferimenti).

Interazioni con il privato:

la sussidiarietà

§ 4 I fondamenti della tutela sociale

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Se, infatti, alla nozione di «sicurezza sociale» si riconoscono tutte le implicazioni che sono proprie di quel concetto – quali quelle, in par-ticolare, che attengono alla sicurezza economica di ciascuno, alla pre-venzione dei rischi sociali, allo sviluppo della persona umana e alla ef-fettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del Paese –, di estensione in estensione si può arrivare a comprendervi, a ben conside-rare, tutte le attività proprie della politica sociale: dalla tutela dell’occu-pazione alla tutela del reddito, dalla tutela della salute a quelle dell’am-biente e dell’edilizia, dall’istruzione alla giustizia, alla difesa, alla cultu-ra, alla tutela del tempo libero, e così via.

Peraltro, come è stato giustamente osservato, l’ipertrofia del con-cetto rischia di determinare la sua sostanziale negazione, per difetto, se non altro, di pratica utilizzabilità.

Una incontrovertibile e puntuale definizione di quel concetto, d’al-tronde, non è ricavabile neppure dalle fonti internazionali o dai testi di legislazione straniere, che, pure, in via originaria, l’hanno impiegata, e dai quali le norme di legge nazionali quel concetto hanno in gran parte mutuato – il Social security act americano del 1935 e quello neozelande-se del 1938; la Carta atlantica del 1941; l’inglese piano Beveridge del 1942; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (cui si è già accen-nato), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle li-bertà fondamentali del 1950, e relativi Protocolli, che di quella Dichia-razione sono espressione; la Convenzione OIL n. 102 del 1952; la Carta sociale europea del 1961; il Codice europeo della sicurezza sociale e l’an-nesso Protocollo del 1963; la Convenzione europea di sicurezza sociale, approvata dal Consiglio di Europa nel 1972 –, e neppure da quelli più recenti, quali la nuova Carta sociale europea del 1996, o la Carta dei di-ritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 (o «Carta di Nizza»).

Nello stesso Trattato istitutivo della Comunità europea, d’altra par-te, la concezione della sicurezza sociale, già assunta in chiave mera-mente strumentale alla realizzazione del principio di libera circolazio-ne dei lavoratori nel testo originario del 1957, presenta oggi, per effetto delle modifiche successivamente introdotte, più ricche ed ampie impli-cazioni concettuali e pratiche, ma senza che ciò valga ancora a definire e delimitare un ambito di interventi dotato di sicura specificità ed au-tonomia sotto il profilo giuridico 13.

13 Lo stesso termine «sicurezza sociale», ivi utilizzato, tradotto nelle varie lingue, non ha il medesimo significato nel patrimonio legislativo e culturale dei vari paesi membri del-la Comunità. V., comunque, cap. II, par. 6 e cap. III, par. 3.

Nozione di sicurezza sociale

I documenti internazionali

La fonte comunitaria

Capitolo I § 4

10

Pertanto, pur potendosi concordare sul fatto che anche la nostra Co-stituzione si ispiri all’idea della sicurezza sociale, si può ritenere tuttora attuale l’insegnamento, secondo il quale l’espressione «sicurezza socia-le», piuttosto che indicare una categoria giuridica, valga, in realtà, nel lin-guaggio corrente, come formula riassuntiva di esperienze sociali e giuri-diche, le quali – seppure accomunate dalla generica finalità di tutela del-la persona umana in relazione a bisogni essenziali alla vita individuale e collettiva – permangono eterogenee e mutevoli.

Invero, ambiguità dell’ordinamento previdenziale del nostro Paese derivano anche dalla eterogenea ispirazione politico-ideologica delle fon-ti che attualmente concorrono a regolare la materia. Basti considerare che alcune di esse sono tuttora quelle stesse espresse dall’ordinamento liberale, o quello corporativo.

La Costituzione repubblicana ha, sì, profondamente innovato rispet-to alle concezioni del passato; ma, nei fatti – sia che ciò vada imputato ad una sorta di parziale inattuazione (più o meno necessitata dagli eventi) del dettato costituzionale stesso, sia che ciò, viceversa, debba ritenersi correlato ad ampi spazi di discrezionalità, autorizzati da quel medesimo dettato –, l’opera di realizzazione di quei principi da parte del legislatore ordinario non è stata sostenuta nel tempo da un disegno costante, né da una visione organica. La legislazione ordinaria in effetti ha lasciato, e lascia, trasparire, nella sua evoluzione, opzioni e politi-che del diritto mutevoli, per lo più ispirate dal contingente e che, per questo, possono risultare contraddittorie.

In altri termini, un corretto approccio alla materia non può prescin-dere da un esame della stessa, innanzitutto, sotto un profilo, per così dire, diacronico: che tenga conto, cioè, delle fasi salienti della evoluzio-ne dell’ordinamento, che quella materia specificamente riguarda. Ma non vanno trascurati neppure gli aspetti finalistici, posto che al perse-guimento del medesimo risultato possono essere indirizzati anche at-tività di servizio o «obbligazioni sociali» poste a carico del sistema del-le imprese 14.

Non sembra possibile evitare, allora – nella suddetta opera di analisi e ricerca –, una scelta di tipo pragmatico. Una scelta, cioè, che, avva-lendosi anche di quanto si ricava dall’esperienza degli altri paesi, pro-ceda a definire i confini della materia facendo riferimento a quelle at-tività di redistribuzione della ricchezza (in presenza di eventi che pro-ducano effetti dannosi socialmente rilevanti), per la disciplina delle quali l’ordinamento preveda tecniche e strutture specifiche.

14 Cfr. cap. IV, par. 10; cap. XIV, par. 1.

La fonte costituzionale

Le oscillazioni della legislazione

ordinaria

§ 4 I fondamenti della tutela sociale

11

In tale prospettiva, la materia della quale qui ci si occupa va rico-nosciuta, sì, espressione eminente del principio solidaristico e del prin-cipio di promozione della persona umana, ma, ciò nonostante, non ne-cessariamente comprensiva di tutte le attività che di quei principi sono manifestazione e della cui realizzazione quelle si preoccupano.

L’elemento distintivo e qualificante risulta essere rappresentato, piut-tosto, da un dato apparentemente «estrinseco», quale è l’assoggettamen-to a regole ed istituti giuridici appositamente concepiti. E, tra questi, predomina, naturalmente, l’assicurazione sociale, che, dunque, bene può fungere (in tale pragmatica prospettiva) da elemento aggregante per la qualificazione e l’identificazione dell’intera materia.

Si deve, tuttavia, avvertire subito che, con ciò, il problema risulta soltanto semplificato, non già anche risolto.

E, infatti, prendendo in considerazione in primo luogo gli «strumen-ti», si deve ammettere che il «modello» rappresentato dall’assicurazione sociale non è necessariamente unica espressione (o unica destinataria) di regole e tecniche specifiche per il conseguimento degli scopi indicati. Basti soltanto pensare a quanto in proposito concerne, nel vigente ordi-namento, l’assistenza sanitaria o alcune forme strutturate di protezione degli indigenti o alcune misure dirette all’integrazione sociale degli emar-ginati: situazioni, tutte, che sfuggono a quel «modello».

D’altra parte, come collocare quegli interventi di protezione sociale che si realizzano fuori dalle strutture delle assicurazioni sociali, ma per mano delle stesse istituzioni che quelle assicurazioni gestiscono, come avviene, in particolare, per l’assegno sociale (già pensione sociale)? E come collocare, per contrapposto, i regimi privati di previdenza comple-mentare, che leggi recenti, pur disciplinandoli sostanzialmente sulla base di criteri propri del diritto comune, hanno collegato, in maniera funzio-nalmente sempre più stretta, ai regimi previdenziali di base? O, ancora, che ruolo riconoscere alle «obbligazioni sociali» del datore di lavoro 15?

Collocandosi, poi, sul versante dei destinatari della tutela, appare ormai scontato che elemento definitorio dell’ambito dei «soggetti pro-tetti», se non è la semplice condizione di «cittadino», non è neppure quella di «produttore di reddito da lavoro».

Vero è, infatti, che nel tempo vi è stata una progressiva estensio-ne – in attuazione dello stesso disegno costituzionale, occorre preci-sare – della tutela previdenziale anche a vicende che non coinvolgo-no la produzione del reddito 16, o ad attività non rivolte al merca-

15 Cfr., sui vari aspetti, cap. II, par. 13; cap. IV, par. 10; cap. XIV, par. 1. 16 Si rinvia al cap. XII, parr. 3 e 4.

Criteri di identificazione della materia previdenziale

Ambiti della protezione sociale

Capitolo I § 5

12

to 17, o, comunque, non classificabili con criteri economici 18. Il che di-mostra come non sia decisivo, ai fini identificativi dei confini della ma-teria, neppure la valorizzazione dell’aspetto funzionale dello specifico strumento impiegato dal legislatore. Si possono ricordare, a titolo esem-plificativo, la vicenda del danno biologico considerato nella sua pro-spettiva areddituale, l’estensione della tutela alle casalinghe o, più in generale, ai soggetti che assumono responsabilità di cura del nucleo famigliare, la tutela previdenziale riservata ai ministri del culto.

Anche sotto tale profilo, dunque, si prospetta l’esigenza di far ricor-so a criteri pragmatici. E questi inducono a considerare in una prospet-tiva unitaria e distinta, come osservato sopra, quanto già risulta aggre-gato, di fatto, nella pratica.

Piuttosto, va sottolineato come alcune delle ragioni che rendono assai arduo individuare criteri di «aggregazione» della materia, diversi da quelli indicati, risultano dipendere in parte proprio dai caratteri e dall’evoluzione dello strumento tecnico che ha storicamente segnato la nascita stessa e accompagnato lo sviluppo della previdenza sociale: l’assicurazione sociale.

Ai connotati e alle vicende che hanno segnato l’evoluzione e decre-tato la fortuna nel tempo di tale strumento è, dunque, opportuno de-dicare una specifica, seppur rapida, considerazione.

5. Fortuna e ruoli delle assicurazioni sociali

Come con maggior dettaglio si esporrà tra poco 19, vari e concor-renti sono stati i fattori che, sul finire del 1800, hanno favorito la scel-ta dello strumento assicurativo in luogo delle altre tecniche possibili: l’influenza ideale della sostanziale affinità dell’immediato antecedente storico, rappresentato dalle società di mutuo soccorso; la maggiore eco-nomicità, rispetto a forme di tutela fondate su servizi pubblici e, dun-que, a totale carico dell’erario; la duttilità e le potenzialità selettive del-lo strumento e, dunque, la sua duttilità a servizio delle politiche di con-trollo sociale.

Ma tale scelta indubbiamente era anche quella più consona all’ideo-logia liberale, allora dominante.

Attraverso la «forma-assicurazione», infatti, si lasciava agli interes-

17 Cfr. cap. XIV, par. 2. 18 Cfr. cap. IV, par. 7. 19 Si rinvia ancora al cap. II.

Ruolo aggregante

della tecnica assicurativa

I precedenti

§ 5 I fondamenti della tutela sociale

13

sati, se non proprio l’iniziativa, quanto meno la responsabilità di ga-rantire la protezione (propria e della categoria) dai rischi più frequenti o di maggior rilievo, e, insieme, mantenendo la tutela sociale sostan-zialmente all’interno delle regole proprie del commercio, si impediva che la stessa potesse rappresentare una fonte di turbativa della disci-plina economica fondata sulle leggi di mercato.

In epoca repubblicana, nonostante la introduzione di importanti in-novazioni e i mutamenti politici ed istituzionali intervenuti, sono stati essenzialmente quegli stessi motivi, che ne hanno favorito l’introduzio-ne, a decretare la perdurante fortuna delle assicurazioni sociali.

La conservazione della struttura «assicurativa» originaria, infatti, non soltanto consente di far sì che anche nel vigente sistema complessivo, in via di principio, l’onere finanziario permanga a carico delle categorie di-rettamente interessate: salvo dosare, di volta in volta, a seconda delle esi-genze e delle circostanze, il sussidiario intervento della finanza statale (cioè, della solidarietà generale). La permanenza dell’originaria impron-ta consente anche di far leva sui requisiti contributivi o, addirittura, sui requisiti soggettivi e oggettivi di ammissione alla tutela sociale, per attua-re – se del caso – le più diverse politiche selettive in ordine alle prestazio-ni da erogare, ma anche ai soggetti da tutelare.

Lo strumento, comunque, si presenta idoneo alla costituzione e al mantenimento di forme sostanzialmente «separate» (e, quindi, poten-zialmente privilegiate) di tutela, come l’esperienza dei cosiddetti fondi speciali e i regimi previdenziali di categoria, in genere, ampiamente do-cumentano.

Ma in altri casi quello stesso strumento si è prestato ad attrarre nel regime generale dei lavoratori subordinati (e, eventualmente, a parzia-le carico «solidaristico» di questi) categorie di lavoratori autonomi da considerare «sottoprotette»: è quanto è avvenuto per i «piccoli impren-ditori» (coltivatori diretti, coloni e mezzadri, artigiani, commercian-ti) negli anni tra il 1957 e il 1966.

Per tal via è risultata indirettamente accreditata la visione intercate-goriale del principio di solidarietà e, insieme, la concezione più ampia di lavoro cui riferire la garanzia di tutela sancita dall’art. 35 Cost.; e ciò si è verificato specie a partire dal momento in cui (seconda metà degli anni ’90 dello scorso secolo) quell’attrazione si è esercitata anche nei confronti dei lavoratori parasubordinati e dei lavoratori autonomi in genere 20.

20 Cfr. art. 2, legge n. 335 del 1995; art. 1, legge n. 662 del 1996. V., comunque, cap. IV, par. 7.

Le assicurazioni sociali …

... come strumento di controllo sociale

Capitolo I § 5

14

Infine, tale particolare forma di strutturazione del sistema ha sempre consentito di fare uso della disciplina previdenziale anche come dutti-le strumento di politica economica.

Gli esempi – presenti fin dalle origini delle assicurazioni sociali, anche se meno evidenti – sono divenuti particolarmente frequenti e di tutta evidenza in epoche più recenti.

È sufficiente qui ricordare (rinviando alle pagine che seguono per una illustrazione meno schematica) gli interventi legislativi sui sistemi di perequazione automatica delle pensioni a fini di lotta all’inflazione; i reiterati provvedimenti di fiscalizzazione o di sgravio degli oneri so-ciali; i criteri di utilizzazione delle integrazioni salariali, ma anche dei trattamenti speciali di disoccupazione (comunque denominati) e dei prepensionamenti; per non parlare, poi, delle (più o meno tempora-nee) forme di utilizzazione impropria degli istituti previdenziali, come, ad esempio, quella delle prestazioni di invalidità, che, almeno fino ad una certa epoca, di fatto sono state ampiamente impiegate in funzione sostanzialmente surrogatoria di politiche di sostegno economico di aree geografiche e di settori produttivi sfavoriti.

Ma, proprio in ragione di tutto questo, le assicurazioni sociali, se rap-portate più da vicino agli obiettivi di solidarietà e libertà dal bisogno, quali appaiono incardinati nelle fonti internazionali e, comunque, nei principi costituzionali, manifestano, così come oggi risultano regolate, tutta l’intima contraddittorietà propria delle soluzioni di compromesso.

Infatti, indiscutibili appaiono il rilievo e il carattere sostanziale del-le innovazioni apportate nel tempo che hanno segnato il sempre più netto distacco dei principi informatori del sistema previdenziale dal-l’originaria logica di scambio e la sua riconversione a strumento di re-distribuzione della ricchezza, secondo quanto è proprio delle politiche di sicurezza sociale.

Basti ricordare, per il momento: la progressiva estensione del prin-cipio di automaticità delle prestazioni; la sostituzione del criterio di ge-stione delle risorse fondato sulla capitalizzazione con quello fondato sul-la ripartizione (che chiama alla solidarietà tra generazioni); l’intervento del concorso finanziario dello Stato nella gestione del sistema previ-denziale dei lavoratori dipendenti e l’estensione a categorie sottopro-tette di lavoratori autonomi della stessa tutela predisposta per quelli; il non infrequente fenomeno di «solidarietà» tra diverse gestioni, con relativo travaso finanziario dall’una all’altra; l’adozione del sistema di determinazione dell’importo delle pensioni su base retributiva, anziché contributiva (almeno fino alla più recente riforma, che ha stabilito in senso opposto); i limiti imposti al cumulo tra reddito da lavoro e pre-

... come strumento di

politica economica

... come strumento di

redistribuzione della ricchezza

§ 5 I fondamenti della tutela sociale

15

stazioni previdenziali; la disciplina dei minimi e dei massimi di pen-sione; le sempre più numerose ipotesi in cui leggi recenti subordinano l’erogazione della prestazione previdenziale alla «prova del bisogno».

Per un altro verso, tuttavia, il permanere, al fondo (e, più di recen-te, una sorta di «rivitalizzazione»), dell’originaria struttura assicurativa giuoca un ruolo che rende manifesta, in più di un aspetto, la non pie-na congruità delle assicurazioni sociali con le logiche della sicurezza sociale.

Innanzitutto, infatti, la tecnica assicurativa, per sua stessa natura, non può garantire (per quanto possa venire opportunamente adattata) né l’universalità della tutela, né una piena liberazione dal bisogno di tutti i cittadini. Per il conseguimento di detti obiettivi è evidentemente necessaria la compresenza di iniziative e interventi che trascendano la logica propria di quella tecnica.

In secondo luogo, poi, e su di un diverso piano di valori, adottata tale tecnica, risulta ancor più difficile far accettare alla generalità degli interessati un dato intrinseco del sistema. Far accettare, cioè, che la contribuzione non è (soltanto) una forma di risparmio accantonato per l’evento della propria vecchiaia e della propria forzata inattività, bensì un prelievo forzoso, destinato (anche) a fini di protezione collettiva per situazioni di bisogno socialmente rilevanti; e far correlativamente ac-cettare ed apprezzare il fatto che l’incremento di oneri su tale fronte tiene sostanzialmente luogo di altri potenziali oneri, che, ai medesimi fini solidaristici – ma con maggior deresponsabilizzazione dei soggetti e delle categorie direttamente interessati –, dovrebbero e potrebbero, in uno Stato che voglia restare «sociale», essere imposti attraverso la leva tributaria.

Per altro verso – ne va dato atto –, nell’ordinamento positivo al fi-ne solidaristico e redistributivo si accompagna e strettamente si compe-netra il fine retributivo.

Vi è, infatti un ideale collegamento tra art. 36 e art. 38, 2° comma, Cost., più volte messo in risalto dalla giurisprudenza della Corte co-stituzionale 21, per effetto del quale si giustifica che la pensione – pur senza tradire il profilo solidaristico – sia, in qualche modo, commi-surabile alla retribuzione o alla contribuzione versata 22, in conside-razione che queste (retribuzione e contribuzione) di fatto «misurano» il livello di assolvimento del dovere di lavorare, sancito dall’art. 4, 2° comma, Cost., e, dunque, il merito del «cittadino attivo».

21 Anche se non sempre con piena «messa a fuoco»: cfr. cap. V, par. 4. 22 Cfr. Corte cost. 7 luglio 1983, n. 73; v. anche cap. XIII, par. 1.

La finalità retributiva e la finalità redistributiva

Capitolo I § 6

16

6. Il rapporto giuridico previdenziale

Sono proprio la matrice assicurativa del diritto della previdenza so-ciale e la correlazione della tutela alla condizione professionale del de-stinatario della medesima ad aver contribuito a determinare, nella pre-valente pubblicistica del settore, l’assunzione del concetto di «rapporto giuridico» come elemento centrale di analisi del sistema previdenziale nel suo complesso.

Ed, in effetti, la nozione di rapporto giuridico previdenziale comu-nemente accolta palesemente sconta l’origine contrattuale delle forme protettive sociali e la ideale riconduzione delle assicurazioni sociali ad una figura per più versi comune a quella propria delle assicurazioni commerciali e, quindi, caratterizzata (quanto meno) da una analoga in-terdipendenza tra obbligo contributivo e diritto alle prestazioni.

Non per nulla, l’art. 1886 c.c. si preoccupa di precisare che, in man-canza di norme speciali, anche alle assicurazioni sociali si applica la di-sciplina di diritto privato.

Inoltre, la collocazione di tale originaria disciplina (e degli studi ad essa dedicati) in un’epoca storica non ancora vivificata dai valori della Costituzione repubblicana e, comunque, in un ordinamento caratteriz-zato da una tutela previdenziale ancora limitata ai soli lavoratori su-bordinati non poteva non contribuire ad indirizzare quegli studi verso una qualificazione ulteriormente «integrata» del rapporto giuridico pre-videnziale: cioè, quella del rapporto trilaterale, perché, appunto, com-prensivo di un assicurato (il lavoratore subordinato), di un assicurante (il datore di lavoro) e di un ente assicuratore (l’ente previdenziale), nor-malmente rappresentato da una figura organizzativa pubblica, distinta dallo Stato.

Tale è, d’altra parte, l’indicazione che promana dalle norme che il codice civile dedica alla materia: oltre all’art. 1886, gli artt. 2110, 2114-2117, 2123.

Ma il riferimento alla nozione di rapporto giuridico previdenziale ha mantenuto una valenza caratterizzante e pregiudiziale nella costruzione e descrizione del sistema previdenziale nel suo complesso anche nella pubblicistica posteriore alla formazione del nuovo Stato (e, quindi, cul-turalmente formata ai valori introdotti dal Costituente del 1948), e, cioè, quando, con più incisività, ha avuto modo di essere inteso ed apprezzato il portato pubblicistico dell’«interesse protetto», e, dunque, l’esigenza di confermare le stesse tecniche regolative del rapporto.

Ritenendo superata dall’evoluzione della legislazione ordinaria e, an-cor più, dai nuovi valori costituzionali la logica prettamente «assicura-

Rapporto giuridico e

struttura assicurativa

Rapporto giuridico e servizio pubblico

§ 6 I fondamenti della tutela sociale

17

tiva» di quel sistema, ha avuto modo, infatti, di essere valorizzata la con-notazione di servizio pubblico di esso: come tale, alimentato da prelievi (i «contributi») di sostanziale natura tributaria, e, quindi, a debito (in via di principio) di tutta la collettività 23.

Secondo tale concezione dai principi costituzionali si ricava che la tutela dal bisogno è un «interesse pubblico», che può essere soddisfat-to soltanto attraverso un «servizio pubblico», e tecniche regolative con-gruenti.

La soddisfazione dell’interesse dei singoli rileva, in tal senso, soltan-to come «mezzo», e non come fine, e si realizza esclusivamente nel mo-mento dell’erogazione delle prestazioni previdenziali.

La conseguenza di tale impostazione è che «rapporto giuridico pre-videnziale» può propriamente essere qualificato soltanto quel rapporto che ha come contenuto l’obbligazione dell’ente previdenziale all’eroga-zione delle prestazioni, da un lato, e, dall’altro, il correlato diritto del be-neficiario; rapporto che si costituisce (una volta che si sia realizzato l’e-vento considerato dalla legge) a seguito del provvedimento amministra-tivo di ammissione del soggetto protetto al godimento delle prestazioni previdenziali suddette.

Resta, pertanto, esclusa, in tale ottica, qualsiasi interdipendenza tra obbligazione contributiva (rectius, rapporto contributivo) e diritto alle prestazioni (rectius, rapporto previdenziale).

Si tratta di prospettiva che supporta la tesi secondo la quale l’a-dempimento da parte degli enti previdenziali delle obbligazioni tecni-co-amministrative (o, per così dire, strumentali), poste a loro carico dal-la legge, non incide sulla tutela previdenziale, quelle operazioni rappre-sentando soltanto l’oggetto di un rapporto giuridico preliminare, non sufficiente, come tale, a costituire posizioni di diritto soggettivo 24.

Il suesposto contrasto delle due concezioni può dirsi tuttora irrisolto. E, in effetti, è da riconoscere che a carico di entrambe le contrap-

poste concezioni si appalesano non irrilevanti ragioni di insufficienza. Alla concezione «assicurativa» non può non essere addebitata, infatti,

la tendenza ad assolutizzare (e, in qualche modo, «costituzionalizzare», per così dire) un dato contingente e perfettibile: quello offerto dal dato positivo «attuale» della legislazione ordinaria, in effetti ancora esempla-ta, per più versi, sui criteri regolativi delle origini.

23 Cfr., ancora, cap. II, par. 5. 24 Tale affermazione in realtà è smentita, ad esempio, dal fatto che l’inadempimento

da parte dell’ente dell’obbligo certificativo dello stato della posizione assicurativa, che su di esso grava (art. 54, legge n. 88 del 1989), è azionabile dall’interessato: cfr. Cass. 22 feb-braio 1991, n. 1883,; ma v. anche cap. VII, par. 5.

Tecniche regolative

Capitolo I § 6

18

Lo stesso difetto di prospettiva, peraltro, appare giuocare a sfavore anche della contrapposta concezione.

Quest’ultima coglie, sì, esattamente il fatto che lo strumento che ha dato l’impronta al sistema (l’assicurazione sociale) si è venuto snaturan-do e differenziando, fino a perdere l’idoneità a fungere (sia pure impro-priamente) da elemento di qualificazione dell’intera materia previden-ziale. Ma, nel contempo, quella ricostruzione non sembra attribuire il dovuto rilievo al fatto che in alcuni, non secondari settori – tipico quel-lo dell’assicurazione contro gli infortuni – l’assetto normativo conosce ancora stretti legami tra rischio e contributi, e che, in epoca più recente (rappresentativo il caso della riforma pensionistica del 1995 e di quelle successive, ma, ancor prima, il caso dei regimi previdenziali delle libe-re professioni o delle previdenze di categoria, in genere), le assicurazio-ni sociali hanno in qualche modo visto rivitalizzati alcuni aspetti della loro originaria fisionomia: senza che, per questo, appaia prospettabile un contrasto con i precetti costituzionali.

Invero (ma su ciò vi sarà motivo di tornare), il dato normativo costitu-zionale, stante la preminenza concettuale e nella gerarchia delle fonti che ad esso deve essere inconfutabilmente riconosciuta, è certamente deputato a svolgere, in merito alla specifica questione, un ruolo decisivo.

Il ruolo suddetto, tuttavia, non giuoca necessariamente a favore di quanto testé indicato. L’art. 38 Cost. (sia pur vivificato dai principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost.), ad un esame libero da pregiudiziali opzioni non risulta imporre, infatti – salvo il fine –, uno specifico, immutabile modello di tutela sociale o, comunque, vincolare in maniera diretta la scelta degli strumenti tecnici da utilizzare per il perseguimento degli obiettivi dallo stesso fissati 25: in sostanza, fermo il quid (i mezzi ade-guati), il quomodo è lasciato alla discrezionalità.

Deve essere chiaro, peraltro, che la logica complessiva è quella pro-pria della tutela di un interesse a connotazione pubblicistica, secondo il proprium dei diritti sociali 26. Tanto è vero che, per un verso, il profilo soggettivo del diritto deve intendersi costituzionalmente garantito so-lo fino al limite in cui esso valga a soddisfare il bisogno socialmente ri-levante, e che, per un altro verso, il vincolo tra le parti, denominato «rap-porto previdenziale», si costituisce automaticamente all’atto stesso del verificarsi della situazione di fatto che giustifica, ai sensi di legge, l’in-staurazione dell’obbligo contributivo: un automatismo (cui si correla il

25 Così, ad esempio, Corte cost. 6 giugno 1974, n. 160; 5 febbraio 1986, n. 31; 2 marzo 1991, n. 100.

26 V. in questo capitolo, il par. 1.

Connotazione pubblicistica

e automaticità del rapporto

§ 7 I fondamenti della tutela sociale

19

principio di imprescrittibilità del rapporto stesso) 27 da considerare espres-sione dell’indisponibilità-obbligatorietà della tutela assicurativa, e, dun-que, manifestazione della concorrente rilevanza pubblicistica di que-st’ultima.

7. Correlazioni tra previdenza e assistenza, e tra pubblico e privato sociale

Proprio l’importanza storicamente assunta dallo strumento assicu-rativo di protezione sociale e la duttilità di questo hanno fatto sì che con esso e con i suoi connotati abbia finito per identificarsi, nell’opi-nione dei più, l’intera materia.

Nel comune linguaggio, infatti, l’espressione «assicurazione socia-le» viene assai frequentemente usata come sinonimo di «previdenza so-ciale».

Tale istintiva (si potrebbe dire) identificazione della materia della previdenza sociale con lo strumento di ordine pubblicistico, per mezzo del quale la stessa ha storicamente trovato concreta e, almeno fino ad una certa epoca, pressoché esaustiva realizzazione fa anche sì che la materia venga intesa in stretta, istituzionale relazione con lo status pro-fessionale, e la relativa disciplina come essenzialmente caratterizzata dalla cooperazione nel finanziamento del sistema ad opera delle catego-rie beneficiarie e, correlativamente, dalla necessaria relazione tra la contribuzione e il reddito da lavoro.

Con riferimento a tale connotazione, suole distinguersi dall’ambi-to della previdenza sociale quello dell’assistenza sociale, nonostante che quest’ultima più di ogni altra funzione sociale dei pubblici poteri, pre-senti indubbie affinità con la prima 28.

Gli elementi caratterizzanti dell’assistenza sociale vengono individua-ti nella universalità e nella gratuità dell’intervento, questa rappresentan-do forma di tutela che non si limita ai lavoratori, ma riguarda tutti i cit-tadini in genere, ed è sostenuta finanziariamente dall’erario.

27 Cfr. Cass. 9 luglio 1993, n. 7543; ciò, tuttavia, non impedisce che si prescrivano, dal lato dei lavoratori, i crediti alle singole prestazioni e, dal lato degli enti previdenziali, i crediti contributivi: cfr. Cass. 12 gennaio 2002, n. 330. Si rinvia, comunque, al cap. V, par. 8 e cap. VII, parr. 2 e 7.

28 Alla giurisprudenza costituzionale si devono alcuni tentativi (che, invero, suonano ormai datati) di definire i criteri distintivi delle due situazioni (Corte cost. 28 aprile 1976, n. 92; 20 maggio 1972, n. 127), nonché diretti a distinguere ulteriormente tra beneficenza e assistenza (Corte cost. 20 maggio 1976, n. 126; 30 luglio 1971, n. 174).

Status professionale e contribuzione

L’assistenza sociale: differenze, affinità, interrelazioni

Capitolo I § 7

20

Tuttavia la relativa funzione protettiva si realizza non soltanto at-traverso l’organizzazione di strutture e apparati pubblici, ma anche at-traverso iniziative private: ciò nella logica di un «sistema misto», il qua-le, in definitiva marca il grado di «coesione sociale» del paese nel mo-mento storico dato (solidarietà tra cittadini).

Ma si può dire che anche la previdenza sociale – da quando il si-stema ha assunto «struttura binaria» per effetto dell’ingresso in esso della previdenza complementare (cioè, della previdenza di matrice priva-tistica) e si sono venute diffondendo forme di previdenza bilaterale e esperienze di welfare aziendale o territoriale – 29 sia entrata nella mede-sima logica.

Si può affermare, dunque, che il livello di tutela complessivo del cor-po sociale – che lo Stato, per vincolo costituzionale (artt. 2, 3, 38, 117 e 118 Cost.), è tenuto a realizzare, direttamente o indirettamente, e co-munque a garantire – è la risultante dell’integrazione e dell’interrela-zione degli strumenti, tanto del circuito pubblico quanto di quello pri-vato, che fanno rispettivamente capo ai due suddetti, distinti ambiti.

Occorre anche precisare, però, che l’assolvimento dei doveri di so-lidarietà, imposti dal precetto costituzionale all’intero corpo sociale, non può essere influenzato in sé dalle scelte di ripartizione degli inter-venti di protezione sociale tra i vari campi che il legislatore, nell’ambito delle sue prerogative discrezionali, abbia concretamente adottato. In sostanza, va riconosciuto che quanto in termini di solidarietà possa es-sere sottratto, in ipotesi, nel settore previdenziale, ben può, in via di principio, essere recuperato nel settore dell’assistenza, e che, comun-que, il concorso tra privato e pubblico si giustifica solo in quanto fun-zionale al perseguimento del «risultato» oggetto della garanzia costi-tuzionale.

In altri termini, poiché unico è, in definitiva, il contesto dal quale trarre le risorse finanziarie necessarie allo scopo, sarebbe illusorio voler ricondurre il settore delle assicurazioni sociali ad una logica di stretta corrispettività, e nel contempo coltivare la pretesa di evitare che i de-stinatari di quelle siano assoggettati a compensatori oneri di coopera-zione solidaristica: cioè, ad oneri per l’alimentazione finanziaria dei ne-cessari interventi suppletivi di natura assistenziale 30.

29 Cfr. cap. II, parr. 13 e 16, cap. VIII, par. 14 e cap. XV. 30 In proposito, va tenuto presente che, anche in considerazione di tale aspetto, alla

concezione che fa leva sul connotato tradizionale del sistema – la cooperazione finanziaria dei destinatari della tutela – si è ben presto contrapposta la concezione di diversa caratte-rizzazione ideologica (perché basata su di una diversa impostazione circa il ruolo dei pub-

Concorso di pubblico e

privato

§ 8 I fondamenti della tutela sociale

21

Tale avvertenza appare tanto più necessaria oggi che, per ragioni di ordine diverso e comunque sotto l’influenza di fattori economici più o meno stringenti 31, si tende a valorizzare l’esigenza di garantire sia nel-l’ambito delle assicurazioni sociali propriamente dette, sia nella previ-denza complementare, sia nei fondi bilaterali di solidarietà 32, un più stretto legame tra apporto contributivo e prestazioni, se non addirittura una relazione di equivalenza.

8. Le relazioni economiche dello Stato sociale: la legittimazione del welfare mix

È proprio per le ragioni suesposte che una compiuta analisi del qua-dro non può prescindere dalla considerazione dei profili economico-fi-nanziari del sistema.

Naturalmente – è scontato doverlo riconoscere –, le politiche dello Stato sociale possono giustificarsi e materialmente estendersi solo fin dove le risorse finanziarie disponibili oggettivamente lo consentono 33.

In concreto, dunque, l’intrinseca capacità dello Stato sociale di sod-disfare le situazioni di bisogno della popolazione non sono sempre uguali a sé stesse, in quanto condizionate da fattori diversi e mutevoli nel tempo: quali le esigenze di salvaguardia e risanamento dei bilanci pubblici, le politiche dirette al contenimento dell’inflazione, i tassi di disoccupazione o di precarietà lavorativa, le variazioni dei costi materia-li degli interventi di protezione sociale, i mutamenti demografici, il ma-nifestarsi nel corpo sociale di nuovi bisogni.

Per altro verso, tuttavia, il problema della spesa sociale e, quindi, il problema della sostenibilità finanziaria del sistema, coinvolgendo valori essenziali del corpo sociale, vanno necessariamente affrontati conside-rando anche il profilo della sostenibilità sociale delle misure dirette a blici poteri nel programma di liberazione dei cittadini dal bisogno), la quale, attraverso una opportuna valorizzazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., nega il valore della suddetta distinzione e sostiene che la liberazione dal bisogno è compito essenziale dello Stato e riguarda l’intera collettività nel suo complesso: cfr. cap. II, par. 5.

31 Si rinvia al cap. II, in particolare parr. 13-16, al cap. VIII, par. 14, e al cap. XV, par. 1. 32 V. artt. 2-4, legge n. 92 del 2012. 33 La giurisprudenza costituzionale in più occasioni si è resa propensa a subordinare la

tutela dei diritti sociali alle esigenze di equilibrio del bilancio: cfr. Corte cost. 14 luglio 1988, n. 822; 15 marzo 1991, n. 119; 19 maggio 1993, n. 243; 10 giugno 1994, n. 240; 6 marzo 1995, n. 78; 24 ottobre 1996, n. 361.

Politiche sociali e risorse disponibili

Capitolo I § 8

22

contenere, o ridurre, ove necessario, l’impiego delle risorse finanziarie nel settore 34.

È incontestabile che i nuovi scenari socio-economici – globalizzazione dell’economia, tendenze al decentramento produttivo, invecchiamento demografico, mutamenti di composizione del corpo sociale, anche per effetto dell’intensificarsi dei fenomeni immigratori – e le sempre più evidenti lievitazioni dei costi di funzionamento del sistema, accompa-gnate dal permanere o dall’aggravarsi delle deficienze del sistema stesso, impongono un adeguamento delle funzioni svolte dalle istituzioni dello Stato sociale e l’attivazione di forme di tutela di supporto opportuna-mente calibrate.

L’esigenza, incontrovertibile, di razionalizzazione del sistema non de-ve far dimenticare, tuttavia, che la scelta tra l’offerta di prestazioni ele-vate e quella di prestazioni minimali non implica soltanto differenze quantitative della protezione sociale. Detta scelta, prima ancora delle questioni relative alla «spesa», implica ben più significative differenze di impostazione concettuale e politica sul ruolo stesso dell’intervento pubblico.

Appare ben difficilmente contestabile, infatti, che l’impostazione del sistema di protezione sociale di fonte pubblicistica su prestazioni elevate e di carattere (tendenzialmente) universalistico reclami una for-te progressività del fisco, ma soprattutto presupponga una visione po-litico-culturale che accorda alla collettività un ruolo importante di re-sponsabilità nel soddisfacimento dei bisogni di natura sociale. Natu-ralmente, quanto maggiore è tale responsabilità, tanto maggiore è l’at-tesa di efficienza dell’intervento pubblico stesso.

Per converso, la scelta a favore di un modello di sistema di prote-zione sociale calibrato su prestazioni minimali – al quale, quindi, fac-cia da contrappeso una pressione fiscale ridotta e tendenzialmente pro-porzionale – è significativa dell’opzione per una tutela sociale essen-zialmente concentrata sulla fascia più povera della società. Ma, per ta-le via viene privilegiato di fatto l’approccio individualistico e la logica di mercato anche nel campo dei bisogni sociali; con quanto ne consegue in termini di compressione della responsabilità e del ruolo delle istitu-zioni, e di contrapposta esaltazione delle capacità individuali e dei com-portamenti produttivi.

In effetti, le politiche legislative degli ultimi anni, tese a promuove-re (come già accennato) la diffusione e lo sviluppo, attraverso la con-

34 Emblematica la vicenda delibata da Corte cost. 30 aprile 2015, n. 70, cui ha fatto seguito la legge n. 116 del 2015.

Nuovi scenari e ruolo

dell’intervento pubblico

Il welfare mix

§ 8 I fondamenti della tutela sociale

23

trattazione collettiva, dei fondi di previdenza complementare, e, più in generale, forme privatistiche di tutela del reddito – cioè, forme c.d. di previdenza contrattuale, o di welfare aziendale, ormai operativo in va-rie aree –, appaiono prospettare un sistema caratterizzato da un sem-pre maggiore coinvolgimento in esso del circuito privato e delle respon-sabilità individuali e collettive – il c.d. welfare mix –, in una prospettiva di accentuazione del connotato di sussidiarietà ex art. 118 Cost. dell’in-tervento delle strutture pubbliche 35.

Nelle pagine che seguono potrà cogliersi come gli svolgimenti del-l’ordinamento previdenziale nel nostro paese risultino caratterizzati da un’oscillante attrazione ora per l’una, ora per l’altra delle suddette im-postazioni; ma anche come, allo stato, specie sotto lo stimolo della crisi economico-finanziaria che da tempo attanaglia anche il nostro paese, nonché degli impegni di contenimento della spesa pubblica assunti con le istituzioni comunitarie, possa dirsi che il pendolo stia ormai pri-vilegiando nettamente (e drammaticamente, per quanto riguarda gli aspetti sociali che qui si considerano) le logiche dell’economia e del mercato.

35 V. cap. XV, par. 1.