“Rem tene verba sequentur” - CAI sezione di Gorizia...“Rem tene verba sequentur” di MAURO...

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XLVIII - N. 2 - APRILE-GIUGNO 2014 “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia” In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia Lettera ai soci “Rem tene verba sequentur” di MAURO GADDI Gruppo del Crodon di Giaf dall’Alta valle omonima, a destra la forcella Scodavacca. Care amiche e cari amici, si è da poco tenuta a Grado l’As- semblea Generale del Club Alpino Ita- liano, occasione annuale di incontro e confronto per il nostro Club Alpino. Seb- bene si sia cercato di tenere bassi i toni, non poche sono state le criticità emerse che - a mio modesto parere - si an- dranno ancor più enfatizzando negli anni a venire. Sintetizzando all’estremo, il tema centrale della relazione del Presi- dente Generale Martini è stato “il Cai di domani”: ovvero, come coniugare la ge- stione volontaristica del nostro sodalizio, con le problematiche sempre più com- plesse che si debbono quotidianamente affrontare e che necessitano di profes- sionalità sempre più adeguate a saper sostenere le sfide che la società del XXI secolo impone. In sostanza, ciò che, tra mille cautele, Martini ha voluto dire è stato: siamo sicuri che possiamo prose- guire nella gestione del Club Alpino Ita- liano contando solo sul volontariato? Il sasso è stato dunque lanciato, come si suol dire, ed il binomio “volon- tariato - Cai”, da sempre indiscussa pie- tra angolare del nostro sodalizio, sarà il soggetto della prossima Assemblea Ge- nerale che si terrà a Sanremo nella pri- mavera del 2015. Due le considerazioni che mi sento di fare. La prima: i tempi sono profon- damente mutati, le esigenze e le neces- sità che la società quotidianamente esprime sono assai diverse da quanto lo erano non molti anni or sono. A ciò si ag- giunga il sempre più problematico re- perimento delle finanze necessarie a ga- rantire le attività sezionali, con contri- buti pubblici ogni giorno più stringati ed abbinati a bandi volti al contenimento della spesa, per non dire, infine, della contabilità sezionale che si fa sempre più articolata ed esposta a verifiche. Tutto ciò fa ritenere che i nostri dirigenti del futuro, da quelli sezionali a quelli centrali, dovranno necessariamente pos- sedere un bagaglio tecnico-organizza- tivo decisamente più attrezzato rispetto a coloro che ci hanno preceduto, per- ché, piaccia o non piaccia, questo è ciò che il futuro impone; potremmo azzar- dare, pur non avendo la sfera di cristallo, che si andrà lentamente verso un volon- tariato sempre più orientato alla profes- sionalità, anche se al momento non è canone sociale 2015 per i soci ordinari (che noi manterremo invariato), anche se “mascherato” da contributo fondo ri- fugi. Il Cai non ha bisogno di questi inu- tili artifizi contabili; all’opposto, necessita invece di una corposa, salutare, quanto dolorosa spendig review, che vada ad incidere sui numerosi rivoli di spesa che, ad un occhio attento, sembrano del tutto ingiustificati. Contemporaneamente, ap- pare pure ineludibile la necessità di snel- lire, razionalizzare e semplificare (anche nei ruoli tecnici) l’apparato nazionale (e regionale) dotandolo di figure capaci di traguardare i problemi sempre più com- plessi del XXI secolo. Saremo in grado di produrre questo cambiamento? Lo au- spichiamo: di certo a Sanremo l’anno prossimo non andremo in vacanza. Un caro saluto a tutti Voi. dato di capire quali saranno le forme e le modalità di questa “professionalizza- zione”. Per dirla con Martini, il Cai non può più permettersi di essere governato da “appassionati pensionati”, pena un progressivo quanto costante impoveri- mento (di soci e finanze) del nostro so- dalizio; e che non si voglia essere facili Cassandre, lo si può evincere facilmente se gettiamo lo sguardo alle gravi diffi- coltà in cui versano oggi alcuni dei più blasonati sodalizi della nostra regione, come SGT e UGG. Da questo primo ragionamento di- scende, tuttavia, una seconda conside- razione. Se osserviamo la struttura or- ganizzativa in cui è articolato il Cai, non possiamo fare a meno di constatarne la complessità; un sistema elefantiaco di organi centrali e periferici, non sempre in perfetta “armonia” tra di loro, che sem- bra stridere con la volontà di semplifi- cazione invocata a gran voce dal corpo sociale. Un sistema spesso autoreferen- ziale, fondato su un’ideologia nobile quanto antica, che tuttavia risulta es- sere sempre più estranea alle nuove ge- nerazioni e non soltanto a quelle. Se ri- sulta, quindi, quanto mai condivisibile la volontà del Presidente Generale di “aprirsi al mondo”, di sperimentare nuove vie collaborative, di svecchiare e di rimodellare il Cai del futuro, bisogna evitare che tutto ciò rimanga, come spesso accade, soltanto un nobile desi- derio dell’animo, bisogna far sì, appunto, che “rem tene verba sequentur”. Pur- troppo, non va certo in questa direzione la richiesta, alla quale noi con altri ci siamo inutilmente opposti, di innalzare il

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

ANNO XLVIII - N. 2 - APRILE-GIUGNO 2014

“Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia”

In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

Lettera ai soci

“Rem tene verba sequentur”di MAURO GADDI

GGrruuppppoo ddeell CCrrooddoonn ddii GGiiaaff ddaallll’’AAllttaa vvaallllee oommoonniimmaa,, aa ddeessttrraa llaa ffoorrcceellllaa SSccooddaavvaaccccaa..

Care amiche e cari amici,si è da poco tenuta a Grado l’As-

semblea Generale del Club Alpino Ita-liano, occasione annuale di incontro econfronto per il nostro Club Alpino. Seb-bene si sia cercato di tenere bassi i toni,non poche sono state le criticità emerseche - a mio modesto parere - si an-dranno ancor più enfatizzando negli annia venire. Sintetizzando all’estremo, iltema centrale della relazione del Presi-dente Generale Martini è stato “il Cai didomani”: ovvero, come coniugare la ge-stione volontaristica del nostro sodalizio,con le problematiche sempre più com-plesse che si debbono quotidianamenteaffrontare e che necessitano di profes-sionalità sempre più adeguate a sapersostenere le sfide che la società del XXIsecolo impone. In sostanza, ciò che, tramille cautele, Martini ha voluto dire èstato: siamo sicuri che possiamo prose-guire nella gestione del Club Alpino Ita-liano contando solo sul volontariato?

Il sasso è stato dunque lanciato,come si suol dire, ed il binomio “volon-tariato - Cai”, da sempre indiscussa pie-tra angolare del nostro sodalizio, sarà ilsoggetto della prossima Assemblea Ge-nerale che si terrà a Sanremo nella pri-mavera del 2015.

Due le considerazioni che mi sentodi fare. La prima: i tempi sono profon-damente mutati, le esigenze e le neces-sità che la società quotidianamenteesprime sono assai diverse da quanto loerano non molti anni or sono. A ciò si ag-giunga il sempre più problematico re-perimento delle finanze necessarie a ga-rantire le attività sezionali, con contri-buti pubblici ogni giorno più stringati edabbinati a bandi volti al contenimentodella spesa, per non dire, infine, dellacontabilità sezionale che si fa semprepiù articolata ed esposta a verifiche.Tutto ciò fa ritenere che i nostri dirigentidel futuro, da quelli sezionali a quellicentrali, dovranno necessariamente pos-sedere un bagaglio tecnico-organizza-tivo decisamente più attrezzato rispettoa coloro che ci hanno preceduto, per-ché, piaccia o non piaccia, questo è ciòche il futuro impone; potremmo azzar-dare, pur non avendo la sfera di cristallo,che si andrà lentamente verso un volon-tariato sempre più orientato alla profes-sionalità, anche se al momento non è

canone sociale 2015 per i soci ordinari(che noi manterremo invariato), anchese “mascherato” da contributo fondo ri-fugi. Il Cai non ha bisogno di questi inu-tili artifizi contabili; all’opposto, necessitainvece di una corposa, salutare, quantodolorosa spendig review, che vada adincidere sui numerosi rivoli di spesa che,ad un occhio attento, sembrano del tuttoingiustificati. Contemporaneamente, ap-pare pure ineludibile la necessità di snel-lire, razionalizzare e semplificare (anchenei ruoli tecnici) l’apparato nazionale (eregionale) dotandolo di figure capaci ditraguardare i problemi sempre più com-plessi del XXI secolo. Saremo in grado diprodurre questo cambiamento? Lo au-spichiamo: di certo a Sanremo l’annoprossimo non andremo in vacanza.

Un caro saluto a tutti Voi.

dato di capire quali saranno le forme e lemodalità di questa “professionalizza-zione”. Per dirla con Martini, il Cai nonpuò più permettersi di essere governatoda “appassionati pensionati”, pena unprogressivo quanto costante impoveri-mento (di soci e finanze) del nostro so-dalizio; e che non si voglia essere faciliCassandre, lo si può evincere facilmentese gettiamo lo sguardo alle gravi diffi-coltà in cui versano oggi alcuni dei piùblasonati sodalizi della nostra regione,come SGT e UGG.

Da questo primo ragionamento di-scende, tuttavia, una seconda conside-razione. Se osserviamo la struttura or-ganizzativa in cui è articolato il Cai, nonpossiamo fare a meno di constatarne lacomplessità; un sistema elefantiaco diorgani centrali e periferici, non sempre in

perfetta “armonia” tra di loro, che sem-bra stridere con la volontà di semplifi-cazione invocata a gran voce dal corposociale. Un sistema spesso autoreferen-ziale, fondato su un’ideologia nobilequanto antica, che tuttavia risulta es-sere sempre più estranea alle nuove ge-nerazioni e non soltanto a quelle. Se ri-sulta, quindi, quanto mai condivisibile lavolontà del Presidente Generale di“aprirsi al mondo”, di sperimentarenuove vie collaborative, di svecchiare edi rimodellare il Cai del futuro, bisognaevitare che tutto ciò rimanga, comespesso accade, soltanto un nobile desi-derio dell’animo, bisogna far sì, appunto,che “rem tene verba sequentur”. Pur-troppo, non va certo in questa direzionela richiesta, alla quale noi con altri cisiamo inutilmente opposti, di innalzare il

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2 Alpinismo goriziano - 2/2014

VVeerrssaannttee ssuudd ddeellll’’AAmmaarriiaannaa..

M i viene richiesto di scrivere unarticolo sui rapporti tra CAI esocietà. Accetto. Ma mi ritrovoin un ginepraio.

Mica mi infilo in ricostruzioni stori-che: nella ricorrenza del 150° ne ab-biamo già avute a sufficienza. Anche seè vero che per capire qualcosa del no-stro presente non possiamo ignorare lastoria tradizionale, oggi mi viene da la-sciar perdere quel passato ufficiale: pergiusto o sbagliato che fosse, che nei ri-spettivi contesti sociali accompagnas-sero il CAI motivi quali Dio e la Patria,l'Alpinismo Eroico e Le Alpi al Popolo,tutto questo mi sta ormai stretto. Di ri-flesso, perfino recenti disquisizioni teo-riche come quelle sulle nuove identitàmontanare, per non parlare dell'introdu-zione dell'orso e dell'affare DolomitiUNESCO, mi paiono in qualche modogià superate.

Dunque: cerco di rivolgermi all'oggipresente, a quella realtà immediata incui vivo, senza peraltro capirci molto,così come credo che poco a loro volta ciavessero capito i nostri predecessori,perché di solito le cose si capisconosolo a posteriori e non mentre siamo im-mersi nella loro evoluzione.

Il CAI e la società? Pur trascurabilimolecole, il CAI siamo ognuno di noi eanche la società siamo noi.

Non ce ne accorgiamo, ma siamoco-agenti nel rapido fluire dell'evolu-zione di ambedue e al momento nonvedo qualcosa di stabilizzato da analiz-zare, neppure in contrapposizione. Menche meno considerando l'attuale dina-mica accelerata in cui tutto sembra sfug-girci di mano, non solo la comprensionedell'alpinismo e del CAI, ma soprattuttola comprensione del divenire sociale.

A questo punto delle mie perples-sità, mi è giunto in soccorso inaspet-tato, durante una di quelle conversazionigradevoli a cena conclusa, in cui si spa-zia dall'esistenza di Dio alle vicende delquotidiano, scivolando sulle vicissitudinidella Scuola, il progetto di un simpaticodocente di Psicologia, progetto che harintuzzato la mia avversione a certe ten-denze di massa oggi più che mai invoga.

Mentre io cercavo di spiegare il pro-gramma del nostro corso di Storia dellaMontagna all'Università dell'Insubria, incollaborazione costruttiva con il CAI,adatto ad offrire anche apertura di oriz-zonte esistenziale ai giovani, lo psico-logo mi spiega che, con colleghi, lui staimpostando un corso universitario per"imparare a gestire il futuro", dato che igiovani sono disorientati di fronte aicambiamenti epocali e non sanno comeaffrontare la vita. Lo vedi anche tu, midice: come fanno questi ragazzi a pen-sare al futuro, se non trovano lavoro enon possono sposarsi e pagare il mutuoper la casa? È stato sufficiente per rin-verdire la mia predisposizione libertaria,quella della mia passione alpinistica,quella della mia relazione anche con ilCAI e la società. Ci siamo: sono in pistaper una reazione, anche se probabil-mente non è quella che intendeva su-scitare l'amico che mi ha commissio-nato l'articolo.

È certamente vero che un disorien-tamento epocale spinge molti, giovani emeno giovani, a non prendere più inizia-

quando ci riferiamo al CAI: un conto è laPresidenza Generale del CAI con i suoiorgani centrali sul piano nazionale, altroconto sono le singole sezioni sparse sulterritorio. È ovvio che le implicazioni eco-nomiche e politiche di una sempre piùdifficile conduzione nazionale lascinopoco spazio a considerazioni sull'alpini-smo e a iniziative per lo sviluppo sensatodella frequentazione della montagna. Cibasti pensare ai rifugi obbligati a tra-sformarsi in alberghi in quota, agli in-tralci burocratici che stanno disincenti-vando il generoso volontariato sponta-neo, ai contenziosi con guide alpine, congli altri professionisti a vario titolo e conil soccorso in montagna. Eppure, se con-sideriamo i trascorsi 150 anni della suastoria, il CAI aveva anche saputo inter-venire e mediare in situazioni nazionalicomplesse. Per quanto riguarda le guidealpine, ricordo il mio stupore quando ne-gli Anni Cinquanta a me ragazzina spie-garono che le guide alpine in Italia nonerano considerate come categoria pro-fessionale specifica, bensì inserite in uncontenitore generico insieme a vendi-tori ambulanti e prostitute. D'altra parte,se fino a trent'anni fa un CAI dalle molteanime aveva l'interesse di fregiarsi del-l'alpinismo come bandiera e gli alpinististessi anche di punta se ne fregiavano aloro volta, oggi un CAI deve fare i conticon cambiamenti epocali. L'alpinismo èuscito dalla sua nicchia romantica, è di-ventato in gran parte attività commer-ciale e gli alpinisti di punta molto me-diatizzati mi paiono spesso più lavoratoridello spettacolo che aventi un legamecon il mio modo di andare per i monti da"alpinista normale" - normale di unavolta.

Non so bene come possa agire oggiun CAI sul piano nazionale in tale difficilecontesto. Strizzare l'occhio a escursio-nismo di massa e ambientalismo, cer-care di porsi come riferimento generaleanche dove ha oramai perso il senso diappartenenza, divenendo una specie dionesto "club di servizi"? Potrebbe peròanche diventare un mediatore autore-vole nel dirimere contrasti tra interessicontrapposti che gravitano intorno al-l'ambiente alpino, potrebbe esprimererigore e attendibilità nell'informazione disettore, ma temo che per intanto non neabbia né i mezzi né la statura. Che riescaa rappresentare gli "alpinisti normali" -vecchi e nuovi - mi pare sempre più alea-torio, dovendosi chinare a troppe istanzeesterne, che con una pratica libera e re-sponsabile dell'alpinismo individualehanno ben poco a che vedere.

Il CAI non ha saputo opporsi con ef-ficacia a nessuna delle regolamentazionie dei divieti che sul piano giuridicostanno ostacolando la libera frequenta-zione della montagna: si vede che ancheil nutrito gruppo di "parlamentari amicidella montagna" non deve avere moltadimestichezza con la pratica dell'alpini-smo. Lasciatemi commentare che,quando vado a un funerale e ascolto laper me stucchevole invocazione a Dio dilasciar andare un alpinista morto per leipotetiche montagne del Paradiso,penso che prima bisognerebbe difen-dere il diritto degli alpinisti ancora vivi diandare liberamente sulle montagne realidella nostra Terra. Ma devo riconosceredi essere stata perdente di persona nelmio impegno internazionale sulla que-stione e so quanto sia ingrato esporsiper obiettivi non mercantili. Ora non miaspetto che qualche opportunistica in-ziativa ufficiale, diplomatica e tardiva,abbia esiti oltre la facciata.

Insomma: per tornare al mio interro-gativo dubbioso: anch'io sono molecoladel CAI, ma di quale CAI? Beh, dalla suaespressione nazionale oggi mi sento lon-tana. Essa mi appare così invischiata

Riflessioni

Il CAI e la societàdi SILVIA METZELTIN

tive, a diventare rinunciatari. Si accet-tano le imposizioni di modifiche e ade-guamenti frenetici, di cui spesso nonsappiamo neppure cogliere il senso, checi coinvolgono nostro malgrado a qua-lunque età e in qualunque ambito. Il CAInon fa eccezione.

Ma chi si ferma è perduto. A quantopare è proprio così, tanto nell'evoluzionedegli organismi come in quello delle cul-ture. I biologi spiegano che la "ReginaRossa" di Alice incalza, che la ricerca su-gli antibiotici è sempre in ritardo perchéil nuovo batterio è già mutato un'altravolta sotto i nostri occhi e prende a sber-leffi i detrattori di Darwin. Ci salveremocon la fuga in avanti?

E di questo confuso impasto in mo-vimento caotico, di cui risulto essere for-mata oggi io stessa, CAI e società com-penetrati, cosa posso fare e pensare?Ciò che mi pareva valido ieri, per oggi ègià obsoleto, quando non rivelatosi chia-ramente fuori tiro. In ogni caso, non è piùadeguato alla frenetica contingenza. Imiei recenti richiami accorati contro unafrequentazione "mordi e fuggi" dellamontagna, di cui noi alpinisti siamo di-ventati campioni esemplari, mi appaionopateticamente inutili. Inviti a considera-zioni sociali riguardanti la vita delle po-polazioni di montagna? Altrettanto ma-

linconicamente disattesi. Mi sfugge ilfine della rincorsa, ammesso che sappiatrovare un senso alla rincorsa stessa.

Naturalmente sento di essere ancoraalpinista, ma neppure io lo rimangocome lo sono stata. L'alpinismo cambiae anch'io mi muovo nel tempo, nono-stante che metta in azione i freni derivatidall'esperienza e dall'indole incline al-l'autonomia. Tuttavia anche a precor-rere i tempi non funziona sempre. Anni faavevo perfino approvato con entusia-smo anticipatore alcuni sviluppi dell'ar-rampicata che allora vennero stigmatiz-zati come eresie nel mondo alpinistico,prima di venire poi tranquillamente pra-ticati dagli stessi detrattori. Però pensodi sapermi ora distanziare dalle posi-zioni drastiche di un tempo, tentando diconsiderarle in ottica più consona con glisviluppi degli avvenimenti. In questocontesto, poiché riguarda proprio un CAIe la sua capacità di modificarsi con itempi, vi propongo la rilettura del breveriassunto della vicenda Bonatti, presen-tato congiuntamente dal CAI Varese edell’Università dell'Isubria durante unamanifestazione in omaggio alla sua me-moria. Una piccola rivisitazione dellaStoria.

Qui mi pare giusto puntualizzarequalcosa che spesso trascuriamo

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Alpinismo goriziano - 2/2014 3

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nel rincorrere le trasformazioni della so-cietà senza imprimerle qualche innova-zione significativa, da farmela riteneredi scarso interesse nella corsa esisten-ziale in cui io pure mi trovo trascinata.

Tuttavia esiste un altro CAI, che èquello multiforme delle Sezioni. Nono-stante gli intenti omologatori del verticenazionale, a volte più zelanti del neces-sario, alcune Sezioni sfruttano i gradi dilibertà rimasti nel tentare vie nuove. Miviene da pensare che qui torni utile lasindrome della "Regina Rossa", e cioèche ci si debba industriare nel fuggire intempo all'incalzare delle pastoie buro-cratiche, comportarsi da microrganismomutante prima che le autorità inventinol'antibiotico di turno per neutralizzare leiniziative. Vorrei fare un paragone tra gliintralci posti all'Alpinismo Giovanile, chein molti casi ne ha segnato il declino, ela felice disattenzione per nei Gruppi Se-nior, sfuggiti allo zelo dei legislatori peruna messa sotto tutela. Così i GruppiSenior, nel solco di residuati dell'Alpini-smo Eroico che cercano di salvare lapropria autonomia, confluiscono allegri inuovi pensionati, ancora esenti da di-vise e certificati.

Ogni evoluzione è caotica e creativanella sua stessa essenza. Quando si

cerca di prevederla, di attenersi a unmodello, si sbaglia quasi sempre, sem-plicemente perché non si può. Così oggioso immaginare un CAI delle Sezioni incammino indipendente verso qualchesviluppo originale, che forse con il mioalpinismo privato e con quello tradizio-nale avrà solo poco a che vedere, mache saprà essere innovatore, a costo diimboccare anche qualche vicolo cieco.Penso alla nostra collaborazione apertatra CAI Varese e Università dell'Insubria.Penso al merito di irradiazione culturalecittadina del "Palamonti" della Sezionedi Bergamo, coraggioso esempio di ca-pacità imprenditoriale, che nella sua vi-sione sociale va oltre il successo asso-ciativo. Penso alla Sezione di Riva delGarda, che si è dedicata a coinvolgeresoci e cittadinanza per la creazione di unParco Fluviale, non per recintarlo rin-chiudendoci un orso, ma per sottrarloalla speculazione edilizia e salvarlo per lalibera frequentazione responsabile dichiunque. Penso alle iniziative localidelle piccole Sezioni di montagna, lequali offrono attività che coinvolgano informa congiunta i residenti e i turisti, daigiochi per ragazzi alle facili escursioni,alle mostre e alle serate di cultura. E sepoi al loro interno si creano gruppi che si

differenziano: perché no? Meglio se di-stribuiti un po’ in grotta, un po’ in bici eun po’ in canoa ed un po’ ad arrampi-care, che tutti insieme ammassati sullastessa cima.

CAI e società? trovo in questo pos-sibile tipo di evoluzione un seme comu-nitario di partecipazione intelligente,flessibile, adatto alle singole realtà. DoveSezioni del CAI e società civile inventanoiniziative e collaborano oltre steccati giu-ridici, è possibile intravedere un futurocostruttivo per la realtà di chi a qualun-que titolo si senta legato all'ambientedella montagna.

Inoltre non è detto che proprio inquesta fattiva ottica innovatrice, in fugadalle pastoie burocratiche e da timorosechiusure mentali, non rimanga nelle Se-zioni anche uno spazio per mantenere ilmeglio delle nicchie romantiche di untempo. Una nicchia per gli alpinisti "nonomologati", per quelli di ieri, come era-vamo io e altri come me, e per quelli dioggi che pur diversi aspirano ancora aqualcosa di simile: quelli che arrivano alCAI in cerca di rapporti privilegiati, dioccasioni per esperienze autentiche, diqualche sogno privato da nutrire e rea-lizzare, di desiderio di affermazione e ri-conoscimento tra pari, di condivisioni

della passione un po’ irrazionale e unpo’ esclusiva. Non è detto che costitui-scano solo elementi di disturbo: pos-sono anche costituire un volano, una ri-serva di energia. Loro stessi possonopoi rendersi conto che, per quanto indi-vidualisti, vi trovano campo e opportu-nità per una visione comunitaria allaquale collaborare.

Avrei dovuto spiegarlo anche all'a-mico docente di Psicologia…

Credo di essere una molecola CAI-società un poco di questo tipo. Mi au-guro che, nel turbine epocale che ci tra-scina, il CAI delle Sezioni mantenga glispazi perché anche i "diversi" di oggi vitrovino interesse e accoglienza: rimangoirriverente verso le omologazioni e versouna esistenza da protocollo. Continuo aessere grata per aver trovato a suotempo nel CAI una nicchia per il mio al-pinismo, e continuo a ritenere più saggioe felice appassionarsi a una vita diascensioni - che inseguire rassegnata ilmutuo per la casa, magari indirizzatavida un insegnamento universitario perimpostare "la gestione del proprio fu-turo". E per concludere, una considera-zione economica: dopo tutto, una tes-sera del CAI costa molto meno di uncorso di psicologia.

Trento Film Festival

Sempre più cinemadi MARKO MOSETTI

N on c’era bisogno del comuni-cato dell’ufficio stampa delTrento Film Festival per capireche questa 62esima edizione

sarebbe stata da record. Nelle passateedizioni il vostro umile cronista, quandopossibile, ha preferito vedere i film dellarassegna in sala piuttosto che sui pic-coli schermi della sala video riservata aigiornalisti. Perché, come dice un amicoche se ne intende, solo al cinema sipuò vedere il vero cinema. Tuttavia

quest’anno, nonostante che l’organiz-zazione abbia aggiunto una nuova salaper le proiezioni, aumentando di oltre400 posti quelli disponibili, le code peraccedere agli spettacoli erano smisu-rate, tali da scoraggiare chiunque, so-prattutto chi, come me, aveva un’alter-nativa alla visione al cinema.

Che cosa è accaduto? In realtà nulladi nuovo. Erano già un po’ di anni che ilpubblico delle proiezioni aumentava,frutto di un’illuminata politica di moltipli-

cazione delle sale, diversificazione nellestesse delle proposte, varietà e qualitàtecniche e di contenuti più elevate. In-somma, quello che per cinquant’anniera per lo più un incontro tra alpinisticon la scusa dei film si è trasformato inun vero festival cinematografico.

È difficile se non impossibile oggivedere sugli schermi del Trento film Fe-stival opere meno che degne, come po-teva accadere purtroppo fino a nontroppi anni fa. Sicuramente l’accesso

più facile e relativamente economico aimezzi tecnici di ripresa e montaggio diun film ha aiutato, ma è indubbio che èil lavoro di organizzazione e di imma-gine fatto sulla manifestazione trentinaa dare i frutti migliori.

Oltre 400 opere passate al vagliodella commissione di selezione. Un nu-mero in costante crescita, a testimo-nianza dell’importanza e prestigio che ilTrento Film Festival continua ad averenel mondo. Poco più di 120 quelle se-lezionate per essere mostrate al grandepubblico nelle diverse sezioni. 27 tralungo e cortometraggi i film in concorsoper le Genziane.

II pprreemmii

A volte capita che i giudizi della Giu-ria Internazionale combacino con quellidel cronista. Non sempre, anzi, abba-stanza raramente. Quest’anno è acca-duto.

I film premiati dall’alpinista e registabasco Jabi Baraizarra, dalla scrittricebritannica Maria Coffey, dal documen-tarista austriaco Nikolaus Geyrhalter,dal arrampicatore statunitense AlexHonnold e dal regista trentino AndreaPallaoro, si distinguevano decisamentesu i benché ottimi altri concorrenti.

Metamorphosen del tedesco Seba-stian Mez, insignito della Genzianad’oro Gran Premio “Città di Trento” at-tribuito al miglior film per la sua ag-ghiacciante tragicità e per il modo in cuiquesta è stata narrata, non poteva nonrisultare il vincitore. Crudo e potentenel suo bianco e nero, l’uso preciso ediscreto della macchina da presa, il ri-spetto assoluto dei personaggi ripresi,fanno sì che lo spettatore venga dram-maticamente coinvolto nell’ambiente enella vita di queste persone. Mez si èrecato in una zona sperduta degli Uralidove nel 1957 un’esplosione nucleareha contaminato un territorio vastissimo.Al primo incidente ne sono succedutialtri, e ai guasti provocati da questi si èaggiunta l’incuria e l’irresponsabilità dichi doveva gestire impianti e scorie. Ilrisultato sono 20mila chilometri qua-drati di territorio pesantemente inqui-nato e le popolazioni che lo abitano ab-bandonate a loro stesse. 84 minuti di vi-sioni quasi insopportabili che non pos-

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4 Alpinismo goriziano - 2/2014

sono lasciare indifferente nessuno. Che c’entra la montagna? doman-

derà il lettore. Come più volte scritto suqueste pagine: senza l’uomo non esi-stono montagne.

Le montagne arrivano con la Gen-ziana d’oro “Premio CAI” al miglior filmd’alpinismo assegnato a Sati del registapolacco Bartek Swiderski. Anche inquesto caso non si può rimanere indif-ferenti di fronte alle conseguenze chel’alpinismo praticato a certi livelli puòprovocare. Il film è il ricordo di PiotrMorawski, già in vetta a sei degli otto-mila e morto sul Dhaulagiri nel 2009,attraverso le parole della vedova. Il luttocontrapposto alla gioia dell’alpinismo,la passione e la sofferenza, il ricordodella vita insieme, le paure per il futuro.Film duro e potente quanto inusualeper il tema, e per come questo vienetrattato, e la Giuria ne è rimasta giusta-mente impressionata.

Janapar: love on a bike, lungome-traggio inglese del regista James New-ton si aggiudica la Genziana d’oro “Pre-mio Città di Bolzano” per il miglior filmd’esplorazione e avventura. C’è un’ariapura di tempi andati in quest’opera, checi riporta alla cultura dei grandi viag-giatori inglesi dello scorso secolo chepercorrevano avventurosamente le viedel mondo spinti solamente dalla lorocuriosità, dal desiderio di vedere luoghie genti, di conoscere il mondo e sestessi, senz’altro scopo che quello dicrescere, lontanissimo da ogni finecommerciale.

Così Tom Allen, il protagonista, a 23anni abbandona una carriera da infor-matico e, inforcata la bicicletta, se ne vaattraverso Europa, Asia, Africa. Tra lemolte cose che riporterà a casa da quelsuo girovagare lungo tre anni, ci saràanche una moglie. Oltre alle riprese vi-deo che il regista ha saputo condensarein un film davvero avvincente e, a tratti,commovente.

La Genziana d’argento per il migliorcontributo artistico più che al regista, lospagnolo Jordi Morató, appare asse-gnata al protagonista di The creator ofthe jungle. È questo uno stravagante edeccentrico personaggio, il signor Garrellche, vivendo da eremita si è dedicatonel corso di 45 anni alla realizzazione dicostruzioni fantasiose e fantastiche inun bosco della Catalogna, nei pressidel villaggio di Argelaguer. L’ambienteappare come il set di un film allucinato.Case sugli alberi, labirinti, cascate, tuttocostruito rigorosamente con le suemani con l’unico, incredibile, scopo ditenersi occupato. Il film, e più ancora ilprotagonista, hanno affascinato la Giu-ria. E non poteva essere altrimenti.

Come miglior cortometraggio èstato premiato La lampe au beurre deyak, produzione francese per il registacinese Hu Wei. Sono solamente 16 mi-nuti per altro di inquadratura fissa, maattraverso quel breve lasso di tempo,senza artifizi tecnici, solo con la forzadell’immagine e delle situazioni che siformano nell’inquadratura, il regista rie-sce a raccontare e comunicare una se-rie di storie e situazioni che illustrano erendono chiara più di tanti saggi, arti-coli, servizi televisivi, inchieste, quellache è oggi la complessità della situa-zione tibetana, in un momento diprofondo e anche violento mutamentosociale. Un lavoro che sbalordisce perla sua apparente e quasi sconcertantesemplicità e per le emozioni e le infor-mazioni che riesce a trasmettere. Que-sto cortometraggio si è aggiudicato an-che il Premio della giuria degli studentidelle università di Trento, Bolzano, Inn-

raccontare questi passaggi così stupe-facenti e decisivi la Giuria gli ha asse-gnato il Premio speciale.

NNoonn ssoolloo aaii pprriimmii

Anche i riconoscimenti speciali,quelli assegnati da apposite giurie,hanno premiato quest’anno le opere amio avviso migliori.

Il primo film che vorrei segnalare èThe grocer del regista greco DimitrisKoutsiabasakos, vincitore del Premiosolidarietà Cassa Rurale di Trento. Unanno, un anno qualunque dal 1980 adoggi, del lavoro di Nikos Anastasionvenditore ambulante che settimanal-mente, stagione dopo stagione, per-corre con il suo camion e la sua mer-canzia le strade della regione monta-gnosa del Pindo. Passa tra quei villaggidi montagna non più solamente pervendere. Il suo e quello della sua fami-glia che lo accompagna è diventato an-che un servizio sociale: far sì che legamie relazioni non vengano spezzate, spaz-zate via dalla solitudine degli ultimi an-ziani abitanti. Non la Grecia delle vesti-gia classiche né quella delle spiagge edelle isole ma un ambiente aspro emontano che appare quasi ai confinidel mondo, dove però ancora qualcunosi affanna a vivere e a mantenere queiluoghi vivi. Dove umanità ha ancora unsignificato vero e non è solamente unodei tanti termini con i quali molti co-modi e pasciuti si riempiono la bocca (enon solo!).

Il Premio “Mario Bello” assegnatodalla giuria istituita dal Centro Cinema-tografico del CAI al miglior film di alpi-nismo che dimostri novità di idee e dilinguaggio attraverso le immagini è an-

Tra i due, personalmente avrei pre-miato quest’ultimo. Ma forse una giuriadel CAI non è ancora pronta ad affron-tare serenamente certe immagini e si-tuazioni. Una giovane coppia sta sca-lando una difficile via. Affiatati nella vitae nell’arrampicata hanno messo con fi-ducia le loro vite rispettivamente l’unonelle mani dell’altra. Tutto bene finché,nel fare una foto con la macchina digitale(ah, maledetta la tecnologia e questememorie infinite!) non si scopre che …

Una piccola breve fiction con un fi-nale che lascia senza parole e senzafiato.

Il Premio “Città di Imola” veniva as-segnato al miglior film italiano presentealla Mostra del Cinema di Venezia. Lo ri-cevettero tra gli altri Monicelli, Visconti,Olmi, Pasolini, Bellocchio, Pontecorvo,i fratelli Taviani. Poi gli anni della conte-stazione lo fecero scomparire. Dal 2004viene nuovamente assegnato al migliorfilm italiano, documentario o fiction, maal Trento Film Festival. Quest’anno se loè aggiudicato Verso dove, delicato do-cumentario in cui Luca Bich che ne è ilregista, al di fuori dei soliti stereotipi delfilm di montagna, ci porta nel mondo diquella leggenda dell’alpinismo che èl’ottantaduenne Kurt Diemberger. Un ri-tratto nel quale il protagonista esprimeancora una volta la sua inesauribilefame di vita e la sua capacità di rac-contare, ma anche e soprattutto il desi-derio di vedere, conoscere, scoprire,essere stupito.

Interessante, per la risonanza mon-diale che il fattaccio ebbe lo scorsoanno ma anche perché ridiventato didrammatica attualità a causa del terri-bile incidente accaduto a fine aprile sul-

forse sarebbe più opportuno chiamarloturismo, sulle cime più alte della terra.

Dalle vette agli abissi The CaveConnection - Into the Unknown di NikoJäger. Non è abituale vedere un buonfilm girato in grotta, se non altro per ledifficili condizioni di illuminazione e diripresa. Ogni tanto capita e questa èuna di quelle fortunate occasioni.Niente di trascendentale, se invece digrotta si fosse trattato di una monta-gna, forse non lo avremmo preso inconsiderazione. Comunque un’avven-tura raccontata bene e ripresa meglioche, essendo girata in un ambiente cosìristretto, risulta a tratti claustrofobica.

KKeeiinnwwuunnddeerr rriissccrriivvee llaa ssttoorriiaa

Chiedilo a Keinwunder degli esor-dienti, ma in teatro sono già affermati,Carlo Cenini e Enrico Tavernini è un di-vertissement di 46 minuti. Un docu-mentario che sembra arrivare diritto daquel fantastico periodo di irriverenza efantasia che furono gli anni ‘70. Vi sinarrano attraverso interviste ad alpini-sti famosi (Fausto De Stefani), storicidell’alpinismo (Enrico Camanni), altriimprobabili ma plausibili personaggi, econ l’utilizzo di inediti materiali d’archi-vio, le gesta e le incredibili imprese diun misterioso quanto grande alpinistatrentino degli anni tra le due guerre:Hermann Keinwunder. Rimasto sola-mente nell’aneddotica e nella memoriadi pochi, sembra che sia stato uno deipadri dell’alpinismo moderno. Almenostando a quello che ci viene raccon-tato.

Dopo i primi minuti di stupore e in-credulità lo spettatore con un minimo di

l’Everest e che è costato la vita di 15sherpa, è High Tension. Documentariostatunitense, Zachary Barr il regista,che cerca di fare un po’ di chiarezzasulla vicenda che ha visti protagonistiSimone Moro e Ueli Steck fisicamenteattaccati da una massa inferocita disherpa, lo scorso anno, al campo 2 del-l’Everest. Immagini esclusive e dram-matiche che spiegano meglio di 1000articoli e di troppe parole quella che ènon da oggi la deriva dell’alpinismo, ma

sbruck.Sull’altro versante della catena hi-

malayana sta il Bhutan. Anche questoremoto angolo di mondo è in movimento.Thomas Balmès, il regista di Happiness,ne raccoglie i segnali attraverso gli occhie le emozioni di un giovane (8 anni) mo-naco che assiste all’arrivo dell’elettricitànel suo villaggio, e che si mette in viag-gio con lo zio alla volta della capitale peracquistare un televisore. Per la delica-tezza con la quale il regista è riuscito a

dato all’olandese De Balans del registaMark Ram. Sono solamente 9 minutima molto intensi e avvincenti per rac-contare un dramma alpinistico di fan-tasia sì, ma possibile. E alla scena finalelo spettatore non potrà altro che fare unbalzo sulla poltrona e cercare di urlareanche lui assieme al protagonista sulloschermo.

Per certi versi simile ma con risvoltipsicologici più complessi è il norve-gese Fallet di Andreas Thaulow.

FFoottoo:: aarrcchhiivviioo TTrreennttoo FFiillmm FFeessttiivvaall

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Alpinismo goriziano - 2/2014 5

SSppiiggoolloo ((ffoottoo NNiivveess IIuucchh))..

la proiezione del film ufficiale della spe-dizione all’Everest del 1924, quella cheentrò nella storia e nella leggenda per lasua tragica conclusione: la scomparsadi George Mallory e Andrew Irvine. Ilfilm, girato da John Noel, è stato re-staurato a cura del British Film Insti-tute. La proiezione, unica in Italia, dellosplendido bianco e nero è stata ac-compagnata dalle musiche composteper l’occasione ed eseguite da un quar-tetto di pianoforte, chitarra, violoncelloe tromba.

Per questa, come per le altre serate,i biglietti d’ingresso al pur capiente Au-ditorium “S.Chiara”, erano esauriti conlargo anticipo.

Il valore della rinuncia era il temadella serata che ha visto protagonistaSimone Moro, reduce dal tentativo diprima salita invernale al Nanga Parbat.Con il giornalista Sandro Filippini Moroha dialogato sulla capacità di ricono-scere i propri limiti e sull’accettazioneanche del fallimento, beninteso pertrarne insegnamenti, stimoli e determi-nazione per ricominciare.

Era la prima volta che si presen-tava al pubblico italiano il giovane ar-rampicatore statunitense Alex Honnold,conosciuto per le sue pazzesche salitein free solo.

Appariva schivo e quasi impauritodavanti alla platea gremita, dando l’im-pressione di trovarsi più a suo agio suuna parete di Yosemite, a qualche cen-tinaio di metri da terra, slegato. Ha rac-contato, con molto understatement,della “gita” che aveva appena con-cluso: la traversata integrale del gruppodel Fitz Roy. Una cavalcata fantasticamessa a segno alla sua prima espe-rienza patagonica e, per sua stessa di-vertita ammissione, quasi senza senzaavere conoscenza sull’utilizzo di pic-cozza e ramponi.

Che dire? Beata innocenza.Sta diventando una consuetudine

la manifestazione richiama ogni annosempre più pubblico. Appassionatimossi da interessi diversi che vengonosoddisfatti dalla moltitudine di eventi,che risultano comunque tutti affollati, inalcuni casi anche troppo.

Come ogni anno sulla via del ritornodopo l’abbuffata trentina ci si interrogasu cosa rimarrà di tutto questo, se, chi,quanti potranno godere di tutto quelloche abbiamo potuto vedere, conoscere,scoprire noi.

Il Festival sta crescendo non solonei numeri ma anche in spazi e mo-menti anche fuori dalla sua città natale.Honnold ha replicato la serata a Bol-zano. Reinhold Messner ha ospitato,come già lo scorso anno, un incontrotra alpinisti di diverse generazioni. Lo hafatto in coda al Festival nel suo M.M.M.di Castel Firmiano, rinverdendo i fasti diquelli che erano i convegni alpinisticiscomparsi già da troppi anni. Titolo diquest’anno Quo Climbis? The ClimbsThey Are A-changin’. Parafrasando lacelebre canzone di Bob Dylan ci si in-terroga sui tempi e i modi in cui, sem-pre più velocemente, si evolve anchel’alpinismo. Contando sulla preziosapubblicazione degli atti del convegno.

I film premiati e quelli più interes-santi trovano oggi sempre più piazze eschermi in giro per l’Italia sui quali ve-nire proiettati. Il Film Festival si dà dafare per organizzare e promuovere que-sti eventi. Esce da Trento, porta la suaeccellenza in giro per l’Italia.

Anche la tivù di stato, per tanti,troppi, anni assente, sembra diventatapiù interessata a divulgare quantoTrento propone. I segnali sono ancoraabbastanza contrastanti e le brutte abi-tudini (ridurre un’opera completa e finitaad uno spezzatino, tagliuzzandolo quae là) non sono, purtroppo, scomparse.

Insomma qualcosa si muove. Sem-bra. Speriamo.

Come eravamo

N el 1971 il Foto-kino club dellaPlaninska zveza Slovenije or-ganizzò a Ljubljana il primoConcorso di Fotografia di

montagna tra le regioni contermini Ca-rinzia, Friuli Venezia Giulia e Slovenia,allora ancora parte dello stato iugo-slavo.

La Giuria era composta dall'allo-ra Presidente della sezione del CAIdi Gorizia Mario Lonzar e da duemaestri della fotografia, AloisBernkopf per la Carinzia e VlastjaSimonœiœ per la Slovenia.

Il piccolo catalogo pubblicato inoccasione della mostra dedicataalle immagini premiate è introdottodalle significative parole di MihaPotoœnik, allora Presidente dell' as-sociazione alpinistica della Sloveniache ricordava come già allora(1971!) i confini non dividessero piùle tre regioni confinanti. Almeno pergli alpinisti. Nel più nobile spirito dicollaborazione e amicizia.

La nostra sezione, unica rappre-sentante regionale, partecipò con 5autori. Molto più numerose le pre-senze carinziane e slovene, rispetti-vamente con 20 e 54.

Tra le foto premiate, unica per larappresentanza regionale, quellascattata dalla socia Nives Iuch,Spigolo, che qua riproduciamo.

per l’inossidabile Reinhold Messnerpresentare e condurre la serata alpini-stica del venerdì, dedicata quest’annoall’alpinismo femminile. Grimpez, Lesfemmes! incitamento del quale certa-mente non hanno avuto bisogno leospiti Marianne Chapuisat, Vitty Fri-smon, Luisa Jovane, Maryna Kopteva,Oh Eun Sun (prima sui 14 ottomila), An-gelika Reiner, Junko Tabei.

Tante storie, tante donne, forsetroppe anche per l’uomo degli ottomila,e allora a dargli manforte sale sul palcoanche il polacco Krzystof Wielicki. Pub-blico soddisfatto. E poteva essere altri-menti?

SSoonnoo ccaappaaccee ddii rreessiisstteerree aa ttuuttttoo mmeennoocchhee aallllee tteennttaazziioonnii

Numeri importanti ed entusiasmantianche per le manifestazioni collaterali.Visitatori in crescita alle numerose mo-stre sparse nei vari spazi cittadini. Cosìcome agli incontri, conferenze, presen-tazioni di novità editoriali. La solita gi-randola di tentazioni sulle quali domina,con il suo oramai classico tendone inPiazza Fiera, Montagnalibri. Un auten-tico tesoro per l’appassionato: novità li-brarie, riviste, multimedia da ogni an-golo del globo. Il panorama annual-mente aggiornato sul mondo dellamontagna, dell’esplorazione, dell’av-ventura, della ricerca storica ed etno-grafica. il vero appuntamento imperdi-bile, a parte i film, della manifestazionetrentina.

È proprio questo smisurato con-torno fatto di mostre, convegni, incon-tri, conferenze e presentazioni, che tistrattona di qua e di là con mille inte-ressi e tentazioni a dare al Film Festivaltrentino una marcia in più. Anche se sisa già da bel principio che sarà uma-namente impossibile poter vedere e se-guire tutto, e che le scelte, comunquefatte, saranno sempre dolorose.

D’altra parte, come già accennato,

cognizione della storia dell’alpinismoprecipita in un vortice di divertimentopuro. Divertimento che deve essere al-meno pari a quello che sicuramentehanno provato attori e autori del film.Risate alle lacrime per una felice provadi racconto e di regia così ben costruitoche ai titoli di coda comunque il tarlo siè insediato: ma e se questo Keinwunderfosse esistito realmente?

La regione Friuli Venezia Giulia èstata onorevolmente rappresentata inquesta edizione del Trento Film Festivalda due lavori: Brez mej – una storia diconfine e Oltre il guado.

Il primo, per la regia di GiovanniChiarot, è un breve ma stimolante do-cumentario girato attorno alla figura eall’attività di Alan Cecutti. Il giovane nonvuole abbandonare il suo paese, Pros-senicco, tra i monti della Slavia Veneta,al confine con la Slovenia, e apre unagriturismo. Il suo ambizioso sogno è,assieme ad altri giovani come lui di quae di là del confine che non c’è più, di farrivivere una montagna che si va spo-polando. La decisione, la volontà, lafermezza e le idee ci sono tutte e dalloschermo escono con forza. Brez mej èil nome del suo locale. Dalle immaginidel film sia il posto sia i piatti che ven-gono serviti sembrano più che invitanti.Se non riuscite a vedere il video almenopuò essere un buon suggerimento peruna tranquilla gita gastronomica estiva.

Tutt’altro affare è Oltre il guado. Lo-renzo Bianchini, il regista, è specializ-zato in film horror. Non fa eccezionequesto. Ambientato e girato tra i boschidella parte orientale della nostra re-gione racconta le inquietanti vicendedi un etologo impegnato in un tranquillolavoro di censimento di animali selvaticiche ben presto però diventa un’inquie-tante e terrorizzante avventura.

L’ultima segnalazione la riservo aun lavoro piccolo piccolo, 8 minuti ap-pena, e d’animazione. È del ticineseMarcel Barelli. Fatta con simpatici efanciulleschi disegnini animati, recitatoin dialetto, dall’aspetto di una fiaba, Vi-gia è in realtà una denuncia terribile:l’inquinamento, i pesticidi, le sostanzetossiche che rilasciamo nell’ambientestanno sterminando le api. Le api sonoun tassello fondamentale per la so-pravvivenza dell’uomo sulla terra. E nonlo dico io né un cartone animato ma untal Albert Einstein. Fate un po’ voi.

MMaa lleeii èè pprroopprriioo uunn iinnccoonntteennttaabbiillee!! -- SSii,, sseemmpprree!!

Se l’alpinismo nei film premiati èpoco rappresentato pur essendo pre-sente in un buon numero di video ciò ècausato, secondo me, da una certa as-suefazione all’eccezionalità dell’im-presa, alla saturazione che abbiamoraggiunto alle belle immagini, alle ri-prese perfette, ma anche alla difficoltàdi trovare e raccontare storie interes-santi, avvincenti, emozionanti. Forse èproprio la facilità per chiunque di pro-durre immagini e filmati che sta soffo-cando il genere. L’effetto sullo spetta-tore appassionato è quello del già vistoe della conseguente noia di fronte allamaggior parte dei video d’alpinismopresentati. Pur riconoscendo l’alta qua-lità, da tutti i punti di vista degli stessi.

Incontentabili? Probabilmente sì.Che cosa collega allora ancora fer-

mamente il Trento Film Festival all’alpi-nismo se non la presenza fisica del per-sonaggio, dell’alpinista mito in carneed ossa. Rivaluto così, dopo anni di cri-tiche, le serate evento.

Eccezionale quella che ha inaugu-rato il programma cinematografico con

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6 Alpinismo goriziano - 2/2014

N on mi è facile scrivere di Franco.Ricordi e aneddoti stanno affol-lando la mia mente e mi risultadifficile mettere ordine alle idee.

Ho conosciuto Franco in occasionedi una gita sociale allo Jalovec. Era ilsettembre del 1970 e me lo presentò unaltro amico: Caio. Entrambi erano re-duci da una settimana in Brenta, se benricordo, con Gigi, Corrado, Lalla edEdda. Assieme a mio fratello, ci vennenaturale aggregarci a questo gruppo,accomunati dalla stessa passione per lamontagna. Per un lungo periodo conti-nuammo a frequentarci, fino a quando,alcuni di noi presero vie diverse (matri-moni e trasferimenti) e le possibilità diincontro si diradarono.

Franco ed io continuammo invece aprogettare e ad effettuare nuove escur-sioni. Andammo avanti così fino al 98poi, anche per noi, l’andare insieme inmontagna divenne meno frequente. Dal1970 al 2009 abbiamo fatto assiemepoco meno di 300 gite in montagna.Molte di queste hanno comportato unoo più pernottamenti in rifugio e quindiFranco ed io abbiamo condiviso inmontagna quasi un anno della nostravita. Silenzioso ed educatissimo, lo ri-cordo, nei primi anni della nostra fre-quentazione, con un paio di calzoni divelluto alla zuava, con un vistosorinforzo posteriore, ricordo di una sci-volata sull’inospitale parete di Bretto.

Inizialmente ci eravamo dedicati an-che all’arrampicata; successivamenteavevamo intrapreso la ricerca di itineraridimenticati e poco frequentati. Indivi-duata la meta della prossima uscita,Franco si documentava con estremadiligenza, approfondendo anche detta-gli storici o ambientali spesso trascuratidagli escursionisti.

Con Franco era possibile parlare ditutto. Quando ancora non lo conoscevobene, mi stupiva con le sue puntualiosservazioni, qualunque fosse l’argo-mento che avevamo affrontato: scienti-fico, letterario, storico o politico. Nonamava assumere posizioni ben definite,evitando accuratamente di entrare inconflitto con chiunque. Col tempo capiiche non si trattava di una sua debo-lezza, ma di un radicato senso di ri-spetto per le convinzioni altrui. Leg-geva moltissimo ed i suoi interessierano i più disparati. Ricordava ed as-similava con facilità ogni sua lettura. Inun’epoca ancora lontana da Wikipedia,costituiva un punto di riferimento e dipartenza per ricerche sui più disparatiargomenti.

Vorrei ricordare alcuni dei tanti epi-sodi sui quali spesso ritornavamo an-che a distanza di tanti anni.

Nei primi anni ’70, con Caio ave-vamo progettato di visitare il gruppodel Martuljek. Una prima volta rag-giungemmo il bivacco II dalla val Vratae salimmo al Dovøki Kriæ, dal quale,complice un attacco di appendicite, ri-discesi al bivacco, mentre Franco eCaio si diressero verso la cima della Øi-roka Peœ. Durante la notte, e l’interogiorno successivo, trascorso al bi-vacco a causa del maltempo, dovettisopportare le attenzioni dei due amiciche affermavano di dover preparare iloro temperini in vista di un improcra-stinabile intervento di appendicecto-mia su di me.

S tavo passeggiando da solo in unbosco una domenica mattina delloscorso piovoso fine inverno quandoho avvertito l'urgenza di fare una

telefonata. Così, ombrello in mano, hochiamato Franco Seneca, non ricordocon quale scusa. Sapevo, e probabil-mente lo sapeva anche lui, che poteva es-sere una delle ultime volte che ci sa-remmo sentiti. Non c'era nulla di partico-lare che giustificasse l'urgenza di quellachiamata. Franco era da qualche meseche non usciva più da casa e aveva do-vuto così, a malincuore, abbandonare in-carichi e affari della sezione. Così mi in-ventai lì per lì un qualche problema, nonricordo quale, per giustificare la chiamata.

Chiacchierammo a lungo, come cicapitava spesso, di tutto quello che glistava più a cuore: del nuovo Consigliodirettivo, del futuro della sezione, di que-sto giornale e del passato. Argomentoquest'ultimo che lo coinvolgeva sempremolto.

I lunghi anni dedicati alla segreteriae alla presidenza lo avevano messo instretto contatto con la memoria e le me-morie della storia della sezione, tantoda diventarne in una certa maniera il cu-stode. Di Franco si può veramente dire,con la certezza di non essere smentiti,che ha dedicato la vita al CAI, sia alla se-zione goriziana sia alla Delegazione re-gionale CAI FVG. Un lavoro a volteoscuro e perciò ancora più prezioso.

Era personaggio indubbiamente ec-centrico, come tutte le persone ecce-zionali, di profonda cultura e grandeumanità, qualità che assieme a un umo-rismo sottile e al gusto per la battutasempre elegantemente salace e mai vol-gare, erano almeno pari al suo prover-biale disordine.

Discreto e riservato, un'educazioned'altri tempi, aveva nella calma, nellatranquillità, nella pacifica serenità i trattidel carattere che più lo distinguevano eche risultavano disarmanti per chiunquecercasse di attaccare, in qualunque ma-niera, i suoi comunque saldi principi. Avolte poteva sembrare accomodante, opoco deciso nel difendere le sue idee. Inrealtà penso che non amasse sbandie-rarle in maniera insistente, convinto piut-tosto della bontà delle stesse contavasull'intelligenza dell'interlocutore cheaveva di fronte affinché capisse da sé.

In tanti anni di frequentazione nonriesco a ricordare episodi o momenti ditensione. Con Franco era impossibileprendersela.

Da quando avevo assunto la dire-zione di Alpinismo goriziano ci vede-vamo quasi giornalmente, magari sola-mente per un saluto. Il più delle volteperò aveva regolarmente qualcosa daraccontarmi: notizie, attualità e problemidella sezione o della Delegazione,scambi di opinioni sempre nella mas-sima discrezione. Ma, anche e soprat-

tutto, i risultati delle ricerche che si di-vertiva a fare per suo puro piacere diconoscere: microtoponomastica del cir-condario, storia cittadina, problemi et-nografici locali, e le vicende dimenticatedella nostra sezione che cercava conpassione di ricostruire.

Chiacchierare era un vero piacereper la mente, proprio per la sua grandecultura che continuava a coltivare, e peril modo sereno e divertito con il quale siponeva all'interlocutore.

Penso che il fatto che fosse statolui una calda mattina d'agosto a comu-nicarmi la notizia dell'improvvisa scom-parsa di Luigi Medeot a farmela soppor-tare con più serenità. Anche per questoricordo mancherà, a me e a tutta la re-dazione di Alpinismo goriziano.

Quella domenica mattina nel boscola telefonata si interruppe improvvisa-mente dopo una ventina di minuti permancanza di rete. Non riuscimmo così asalutarci. Il discorso è rimasto sospesoe prima o poi avremo occasione di ri-prenderlo.

Ho voluto conservare così, per me, ilsuo ricordo, quello di una mente lucida,di una voce ancora intatta, di una per-sona non piegata e stravolta dal male.

Vorrei chiudere con un witz, di quelliin cui era un vero maestro ma non trovodi meglio, per lui Seneca, dell'abusatoepigramma di Marziale:

Sit tibi terra levis.

Ritornammo nella zona alcuni annipiù tardi anche in compagnia di Gigi. AJesenice, ci fermammo da Uroø Æu-panœiœ che aveva in consegna le chiavidei bivacchi. Quest’ultimo, conosciuti inostri progetti, probabilmente non fi-dandosi troppo della nostra esperienza,decise immediatamente di accompa-gnarci, abbandonando all’istante il suoufficio nella grande ferriera. Di quellegiornate sono rimaste proverbiali la fru-galità e la ridotta dotazione alpinisticadi Uroø (grande alpinista sloveno deglianni ‘30, primo salitore del pilastro deldiavolo al Prisojnik): per una perma-nenza di tre giorni oltre agli indumentiche indossava aveva portato solo unaK-Way e due scatolette di pasteta.

Con Franco abbiamo fatto anchealcuni viaggi nel centro Europa, semprecon il pensiero rivolto alla montagna.Così, al rientro dal Lago di Costanza, civenne naturale fare una digressioneverso il gruppo del Silvretta, ove sa-limmo il Dreiländer Spitze.

Come ho ricordato, Franco amavadedicare molto tempo alla preparazionedelle gite, documentandosi con punti-gliosa attenzione. Per contro, di solitoimprovvisava la preparazione dellozaino, dimenticando in particolar modoi guanti ed il berretto. In alcuni casi, ladimenticanza gli costò l’interruzionedella gita.

Una domenica, al momento di cal-zare gli scarponi, si rese conto di averportato due calzature spaiate. Per suafortuna erano una destra e una sinistra.Conservo ancora una diapositiva chedocumenta l’episodio.

Caro Franco, sono sicuro che por-terò sempre dentro di me il ricordo deltuo modo leggero e tranquillo di af-frontare la montagna, della tua infinitapazienza , della tua modestia, della tuacultura e della tua educazione. Mi man-cherai.

Ricordo di Francodi MANLIO BRUMATI

Un discorso interrottodi MARCO MOSETTI

FFrraannccoo SSeenneeccaa..

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Alpinismo goriziano - 2/2014 7

PPeeœœkkaa ((ffoottoo aarrcchhiivviioo GGhheeyy TTeeaamm))..

per dare vita a questa porzione di rocciainanimata. Così nasce il settore “TThheessmmuugggglleerr ccaattss’’ sseeccttoorr”” sul quale potetetrovare cinque nuove vie! Due ancora daliberare!

“Profughi felini”, 6b+ “Five cats for five routes”, N.A. “Macice i rakia”, 6b+“Escape to survive”, N.A.“Who let the cats out?”, 6a+

Ovviamente ora vi starete chiedendose siamo tutti amanti dei gatti o se c’è unmotivo particolare per il quale abbiamodedicato un intero settore ai felini! Op-pure siete più curiosi di sapere quando ilRomBoss tirerà fuori i suoi prodotti al-colici nascosti per improvvisare un ape-ritivo e sorprendere nuovamente il nostroamato cicerone?

Ebbene come sempre il GheyTeam siritira solo dopo l’arrivo delle tenebre:prima sarebbe un disonore. Con l’ausiliodelle immancabili frontali e stremati dallefatiche lavorative, senza una valida idra-tazione da ciuccio, i vari membri si riti-rano nella loro accogliente casupola dicampagna. Non resta altro che improv-visare un (pessimo) Pimm’s e Ginger Aledi bassa quota! Il RomBoss viene subitodeclassato a barman di scarsissimo li-vello a causa del cocktail non propriogustoso. Comunque possiamo accam-pare la scusa che le sue doti di barista siapprezzano solo sulle cime dei monti eancora meglio se ci si trova ad una quotasuperiore ai tremila metri! Il cibo comun-que non manca e per fortuna comparequesta famosa bottiglia di rakja!

Oramai questa è l’ultima sera chepasseremo in terra bosniaca. Siamo giàtutti un po’ tristi. Questo breve ma in-tenso viaggio sta per terminare. Il giornoseguente rubiamo ancora delle ore alviaggio di ritorno per concederci almenoqualche ora di scalata. Dopo tanto la-voro avremo anche il diritto di toccarecon mano questa fantastica quantostrana roccia. Questo calcare è caratte-rizzato da un caos di buchi e buchettisparsi apparentemente a caso che noiscalatori cerchiamo di ordinare. Bastanopoche vie per rimanere piacevolmentecolpiti dalla scalata!

Il tempo vola, come trascinato viavelocemente dal vento forte che ha ini-ziato a soffiare in questa valle. Dobbiamopartire. Ci resteranno solo dei magnificiricordi e le foto di questa vacanza. Incambio lasciamo una nostra piccola trac-cia di passaggio che speriamo sia gra-dita. Però ormai siamo talmente affasci-nati da queste terre che non resistiamoalla tentazione di portare con noi un ri-cordo tangibile di quei luoghi. Ovvia-mente di bazar che vendono souvenirnon ce ne sono. Però in compenso, tra levarie falesie, in una piccola grottina tro-viamo cinque gattini abbandonati.Avranno avuto uno/due mesi di vita. Do-mandiamo a Dzenan se ne sa qualcosa.Lui risponde che li hanno abbandonatiperché probabilmente non riuscivano amantenerli. Noi rimaniamo un po’ sbi-gottiti dalla notizia, anche perché sembraevidente che non sopravviveranno an-cora a lungo. Dopo una rapida consulta-zione decidiamo di farli espatriare e diportarli in Italia per trovare loro una casa.Ora abbiamo tutto. Possiamo iniziare ilviaggio di ritorno!

Bosnia da arrampicaredi LEONARDO COMELLI

S ono quasi due ore che siamo abordo del nostro furgoncino a noveposti, preso a noleggio. Con un as-salto a luci spente siamo riusciti a

salvare i nostri amici tenuti in ostaggio daVito Petroviå. Mentre io, il Majster, il Re-verendo e Dzenan eravamo impegnatinella pulizia e nella chiodatura dellanuova via nel Tjesno Kanjon, gli altrimembri sono andati a ripetere una via lìvicino che sbuca proprio in cima alKanjon. Si sarebbero dovuti calare indoppia. Invece, visto il sopraggiungeredelle tenebre, hanno deciso di aspettareche venissimo a recuperarli. Però Vito,colpendo il loro punto debole, è riuscitoad attirarli dentro casa e a tenerli inostaggio offrendo loro rakja (grappa),ciuci (birre), dunje (una varietà di mele) epure un letto per la notte. Pensavo di co-noscere il significato della parola ospita-lità, ora lo conosco molto meglio. Dopoaver recuperato gli amici e aver regalatoa Vito una buona bottiglia di vino, ripren-diamo il viaggio.

Da quello che sappiamo, il nostromezzo ha già visitato la Bosnia; moltoprobabilmente, come raccontatoci dalproprietario, si è fatto benedire a Medju-gorie accompagnando qualche comitivadi vecchietti in cerca di miracoli. Noi peril momento navighiamo sballottati lungole tortuose strade bosniache, prive diogni tipo di illuminazione, in cerca delnostro miracolo: Peœka. La famosa fale-sia nella quale dovremmo continuare ilnostro bolting trip.

Ad un certo punto scorgiamo in lon-tananza una costruzione altamente lu-minosa per la zona, un distributore dibenzina. Dopo circa settanta chilometridi strade buie e paesetti debolmente il-luminati ecco un segno di modernità, unapompa di benzina stile Las Vegas! Nean-che duecento metri dopo eccone un al-tro. La nostra guida, Dzenan ordina alMajster, l’instancabile autista, di svoltarea destra subito dopo il benzinaio. Im-bocchiamo una stradina ancora piùstretta e ovviamente non asfaltata che sifa spazio nell’erba alta e si insinua in unbuio profondo che anche i fari dell’autofanno fatica a bucare. Ora ci lasciamo ve-ramente alle spalle l’ultimo sprazzo diprogresso. Dopo circa venti minuti di rallyscorgiamo fuori del parabrezza una co-struzione, una casa con una finestra. Poieccone un’altra. Sono comparse così al-l’improvviso come dal nulla. Intuiamo laforma dei covoni pieni di fieno e altri muridi pietre a secco.

Dzenan dice di fermarsi. Eccoci aPeœka, il paesetto nel quale pernotte-remo e che si trova a 5 minuti di camminodalle prime rocce arrampicatoriamenteinteressanti.

Così al buio, aiutati dalle nostre fron-tali, trasbordiamo i nostri zaini all’internodella casupola a noi riservata. L’ambienteè alquanto miniaturizzato: per fortuna ame non dispiace vista la mia statura. Misembra veramente di ritornare ad epochepassate, per fortuna (o per sfortuna) al-meno la corrente elettrica c’è. Però il ri-scaldamento è affidato ad un fantastico“spargert” che iniziamo subito ad ali-mentare con la legna già tagliata. L’ac-qua si prende da una pratica fontanellafuori casa e ovviamente il tocco di classesta nel bagno. Mi sembra inutile preci-sare che la doccia non c’è, infatti come ciavevano preventivamente avvisato, il ba-gno è posto al di fuori della casetta e piùprecisamente in un baracchino di pietrae legno. Al suo interno possiamo posarele nostre regali chiappozze su delle belleassi di legno con un bel foro al centro.Mentre espletate i vostri bisogni sentireteuna piacevole brezza solleticarvi il dere-tano. Ovviamente non serve tirare l’ac-qua. Visiono attentamente il cesso con lafrontale e gioisco del fatto che ho la pos-sibilità di vivere per un attimo delle vere

emozioni medioevali. Solo il rotolo dicarta igienica appesa al muro stona unpochino.

Al mattino la sveglia è seguita sem-pre da una colazione a ritmo vacanziero.Esco dalla casupola e noto con piacerei raggi del sole che formano un bel con-trasto con le nuvole grigie e nere alte nelcielo. Scatto qualche foto ma poi vengosubito richiamato all’ordine. Attenti! Si-gnorsì Signore! Dobbiamo preparare glizaini, organizzare le squadre d’assalto,decidere una sorta di piano d’attaccoche poi verrà sicuramente cambiato estravolto almeno un milione di volte invero stile GheyTeam. Siamo quasi prontiper partire verso i bastioni rocciosi perespugnarli a colpi di trapano.

Manca solo una cosa, i viveri ed ilciuccio! Per i viveri recuperiamo unagrande pagnotta dal peso specifico delcemento ma dallo squisito sapore delpane appena sfornato. Per quanto ri-guarda il ciuccio siamo un po’ in crisi! Lasera prima abbiamo dato fondo a tutte leriserve che ci siamo portati in questalanda desolata. Per fortuna, Dzenan,dopo aver visto la mia faccia quando horealizzato la fine delle bevande a base al-colica, ha pensato bene di comprare unabottiglia di ottima rakja casalinga, cheperò passeremo a ritirare appena allasera, dopo tutta la giornata lavorativa.Ovviamente nessuno lo sa, ma il Rom-Boss ha sempre una scorta di riserva. In-fatti nello zaino, assieme ai fix e al tra-pano, ho anche tutto il necessario per unottimo aperitivo in stile GheyTeam dapreparare al momento opportuno!!!

Tutto attorno al paese si possonoscorgere solo delle sinuose colline, per ilresto solo pianura. Dove saranno le fa-mose rocce di Peœka? Dopo 5 minuti dicammino fra case di campagna stalle ecovoni ci ritroviamo su un costone che siaffaccia su una grande valle ancora se-micoperta da una leggera nebbiolina chepian piano si sta dissolvendo. La nostravista spazia lontano e, dopo aver riem-pito gli occhi di tutto quel selvaggio pa-norama, lo sguardo si sposta sotto i no-stri piedi e ci rendiamo conto che sotto dinoi ci sono delle pareti di roccia. Poi os-serviamo bene e notiamo che queste fa-lesie si espandono per chilometri versodestra e verso sinistra lungo questo co-stone che sembra infinito. Dzenan con unsorrisetto sornione ci fa notare che lorohanno chiodato più o meno tutta la primaparte per una lunghezza di quasi duechilometri, con un totale di circa settantavie e per noi restano solo che altri quat-tro chilometri di rocce ancora da chio-dare, ma non solo anche da scoprire!Chissà che sorprese arrampicatorie po-tranno mai regalare tutti questi isolotti dipietra sparsi in questo mare di alberi e ar-busti!

Dopo una veloce esplorazione cor-rendo e saltellando da una paretina al-l’altra, decidiamo di concentrarci tutti as-sieme in un unico punto così da chiodaretutte le vie vicine!

Mezza ora dopo, la parete prescelta,che alla base ha una larghezza di trentametri ed è alta una ventina, viene rico-perta da una fitta ragnatela di corde. Noicome degli operosi ragnetti ci caliamo

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8 Alpinismo goriziano - 2/2014

Cacciatori di timbridi FABIO “ALCE” FABRIS

Una mail da un altro mondodi ENNIO ANTONELLO

“L e vie del Carso sono infinite”,recita il mantra della piccolaassociazione “Le vie delCarso” fondata da tre soci

della Società Alpina delle Giulie del CAIdi Trieste il giorno della caduta dei con-fini con l’intento di valorizzare sotto ilpunto di vista sia sportivo sia culturale ilnostro territorio. Tante le iniziative por-tate a termine in questi anni, la mostraC’ERA UNA VOLTA IL CONFINE, dedi-cata ai confini agricoli della provincia diTrieste e il trittico “Un anno sul monteCarso” , “111 giorni sul KOKOS” e “100giorni a Bottazzo”, una sorta di gare diendurance a passo libero dedicate allafrequentazione di cime e località dei din-torni di Trieste. Ultima manifestazione,appena conclusasi con grande suc-cesso, “LE VIE DEI TIMBRI”, gara di ri-cerca di bolli presenti su cime, rifugio elocalità nel territorio compreso tra Gori-zia, Rijeka/Fiume e capo Promontore, lapunta sud dell’Istria. Al timbraiolo ve-niva richiesto il possesso di un’agen-dina o moleskine vidimata alla partenzadella manifestazione il 9/11/13 e da ri-consegnare alla fine, il 14/04/14. Per ac-cedere alla classifica finale bisognavainoltre completare le CREDENZIALI, undocumento ritirato all’atto della vidima-zione del proprio quaderno e che do-veva riportare tutti i singoli timbri prede-finiti che corrispondono a cime e localitàche il partecipante doveva obbligatoria-mente visitare nel corso di questo pe-riodo. Ad ogni zona viene assegnato unpunteggio: CARSO TRIESTINO E SLO-VENO punti 5, CARSO MONTANO(Selva di Tarnova, di Piro e Nanos) punti12, AREA DEL MONTE NEVOSO punti15, CICERIA punti 10, CAPODISTRIANOpunti 5, ISTRIA punti 10, MONTE MAG-GIORE – CALDIERA – PENISOLA DI AL-BONA punti 12.

La raccolta dei timbri è una cosa co-mune in tutto l’arco alpino, specialmentenella vicina Slovenia e in Croazia, doveappositi libretti diventano testimoni dellafrequentazione di cime e rifugi. Risul-tano quasi assenti sul Carso ed ecco loscopo di questa manifestazione: quellodi importare la cultura del timbro anchesulle alture carsiche. Elemento determi-nante per la buona riuscita dell’inizia-tiva è stata la pagina su faceboock “Levie dei Timbri”, dove i vari partecipantiogni giorno postavano foto e commentisulle gite effettuate con cadenza gior-naliera, segnalando la scoperta di nuovitimbri, di nuovi itinerari. Questa pagineweb con i suoi 330 frequentatori è di-ventata in breve una guida on line delnostro territorio, ottimo punto di riferi-mento per programmare nuove passeg-giate, gite e iniziative. Nel corso di que-sto periodo sono state organizzate di-verse manifestazioni con timbro dedi-cato, da ricordare la 3B per festeggiarela caduta dei confini, la Lucciolata diSan Giuseppe, passeggiata notturnacome introduzione all’escursionismonotturno e le notti di luna piena, festeg-giate in stile opq (ognuno porta qual-cosa) presso il rifugio del Co-cusso/Kokos o sulla cima del monte Or-sario/Medvedjak. Incredibile l’entusia-smo generato, che ha coinvolto tutte lefasce d’età, dai bambini piccoli, con iloro libretti ben curati, alle persone piùanziane che accompagnavano i timbri

con annotazioni sul percorso. Proprioquesto entusiasmo ha generato un’en-comiabile iniziativa dal nome “Adotta untimbro “: previo accordo con l’associa-zione, ognuno individuava una cima ouna località dove posizionare un timbro,posto in una cassetta nido in legno,adattata anche a contenere un libro de-dicato ai passaggi. Aver adottato un tim-

della Rosandra, punto di partenza, salesulla cima del monte Carso (timbro e li-bro nel contenitore), scende alla sor-gente Bukovec (contenitore con timbroe libro nei pressi della sorgente), passaper Bottazzo (timbro sia presso il con-fine sia in osteria), sale al Monte Stena(timbro in posizionamento), continualungo il costone con breve digressionein bosco Bazzoni per recuperare un tim-bro dedicato a un cippo panoramico perproseguire poi fino alla Vedetta Alice(timbro assicurato intorno al pilone dellavedetta). Prossimamente anche il MonteBelvedere avrà il suo timbro, nel puntoda dove si lascia il costone per puntaresul Monte Orsario (libro e timbro in cas-setta sotto la vedetta). Timbro sotto lavedetta anche sul Monte Lanaro e poi,proseguendo, cassetta con libro e tim-bro anche sul monte Voistri e sulla vicinaVetta Grande. Timbri presenti anche sulSan Leonardo e sull’Hermada, aspet-tando la collaborazione di qualcheamico goriziano che faccia proseguirequesta alta via verso nord. Per gli amantidelle cifre, sono da segnalare: iscritti120, finisher 70; primo assoluto con3199 punti Paolo del Core, che in praticanel giro di un inverno, ha calcato tutte lecime carsiche. Si sta già lavorando allaprossima edizione che partirà in au-tunno, dove con i dati acquisiti verrannorielaborati i punteggi rendendo semprepiù divertente e accattivante la ricercadei cacciatori di timbri, che ora riuniti inclan promettono grandi battaglie.

Ulteriori info su: Leviedelcarso.blogspot.com

bro significa anche controllare costan-temente che il contenitore non vengadanneggiato ed eventualmente sostituireil timbro in caso di furto… dei sempliciguardiani del territorio pronti a segnalarealle autorità competenti qualsiasi ano-malia. Con questa storia si è venuta cosìa creare un’inedita alta via ovveroL’ALTA VIA DEI TIMBRI, che da Bagnoli

LLee vviiee ddeeii TTiimmbbrrii,, GGrrmmaaddaa--NNaannooss ((ffoottoo FFaabbiioo ““AAllccee”” FFaabbrriiss))..

D unque, de dove comincio …..ah sì …. Questa matina govardà le previsioni del tempo,e dopo tuta sta mufa, final-

mente i dà bel tempo. Beh …. Facilesaver che tempo che fa adeso, bastavardar fora per veder se xe sol o sepiovi, nianche un mona no sbaia….,ma incuriosido vardo per il pomerigio…. Ancora bel ….. oooohhhhhhh ….Finalmente!!!!! E per doman? Ancorabel …. Iera ora. Ingolosido vardo tutala setimana, sempre bel … no me parvero, e anche la setimana de là.

A sto punto ti dirà che go batù latesta, e anche forte, perché piovi sem-pre.

No te go dito però che non vardopiù le previsioni dela piovosa Luci-nico, ma quele de Mae On,Kamphaeng, Chiang Mai ….. Tailan-dia.

Eh….. coss’ti vol, ti sa come xe ildeto “se la montagna asolada, de ro-cia otima con eleganti vie de salida nova da Enio, alora xe Enio che va a lamontagna asolada, de rocia otima coneleganti vie de salida” (cossa, no te loga mai sentido sto deto????)

Senti, no sta dirme niente, gavevouna sgionfa de sto umido e sta piova,me stava vegnindo il muscio soto icai e i licheni soto la bale, gavevo bi-sogno de sugarme un poco i osi.

Tuto xe suceso in due giorni, goguardado le previsioni dei prosimi 15giorni che dava tempo stabile, overobruto stabile, comprado il biglieto, fatolo zaino, fato barufa, Milano Bangkok.

A Bangkok go trovà 26 gradi e ilsol …. E mi che credevo che no esi-stesi più ste robe.

Pensavo de fermarme lì un par degiorni per far il visto del Laos, ma goscoperto che no servi più farlo prima,se lo pol far ala frontiera, per cui meson fermà solo una note.

Go ciapà un bus, un incubo, che in13 ore de scossoni me ga portà aChiang Mai. Xe la terza note chedormo poco, così son rivà un po’ incimbali e me son ciolto un giorno deriposo.

Riposo per modo de dir, perchégo caminà quasi tuto il giorno per cer-car informazioni. Eco, mi sempre digoche le informazioni xe più preziose deidiamanti … e qua in Tailandia, xe im-posibile gaverne. Nisun sa niente, e sesa no te disi perché vol portarte lui efar un graso “money transfer” dalemie tasche ale sue.

In internet xe solo cazade o pegio“adventur tour” che te promete mari emonti, emozioni e divertimento al mo-dico prezo de 2000 bath al giorno, perquel che se ti ti sa rangiarte e ti ga unpo’ de pazienza te rivi a far spendendo100.

Son comunque rivà a capir dedove parti i “songthaew” (che sariadei pickup coi sedili tal cason) perMae On; Per cui son curioso de vedersto posto, dove dovessi eserghe unafalesia per rampigar.

Ah sì … no te go dito che son ve-gnù qua per smaltir i fiumi de bira chego bevù sta estate che se ga convertì

in diese chili de ciccia, roba che sperode far rampigando.

Fato questo, son andà in piazadove che ghe xe una dele porte dalacittà. Qua me son sentà in ombra e meson meso a scriver e a vardar la gente,che xe la roba che più me diverte.

TURISTISto ore a vardar i turisti, me piasi

e me diverte, no xe una maravea chei tailandesi disi che semo strambi. Ghexe un mucio de turisti infati che se ve-ste e i fa robe in modo a dir poco stra-vaganti.

Ecolo….. sta rivando un mulo, ilcamina tuto dinocolado, vestido conun par de braghe larghe a la zuava co-lor verde, una maieta rosa e la stupidain testa. Il fa una facia come de SanFrancesco che ghe parla ale bestie.Tuto intorno xe pien de colombi e ghexe mame e papà che ghe compra aifioi bechime per butarghe ai colombie far le foto con lori.

Anche lui compra de una vecia unscartozo de crocantini e cossa fa ilmona, che devi eser istrian, ghe butaale bestie una baleta ala volta. No ghepar vero che con diese bath il pol zo-gar tuto il giorno de San Franceasco.

Dopo cinque minuti sti colombi,che xe za pasudi, lo manda a cagar ei va dai altri che ghe buta a manadesta roba.

Te dovevi veder la facia de sto tipocon il scartozo in man, somigliavapensar … adeso che go speso sti 10bath no poso butarli via ….. volerà dirche me li magnerò mi.

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Alpinismo goriziano - 2/2014 9

Sulle nevi della “Schiavi”alla Creta di Pricotdi BRUNO CONTIN – GISM

dagnammo dopo dodici ore l'automobile.Pur non attribuendole un valore supe-

riore del dovuto, nel mio rapporto con ilcompianto Fausto Schiavi, la prestazionefu per me molto significativa, ed alpinisti-camente fissò un riferimento per le ulterioripossibilità invernali su questo versantedella nota cima del pontebbano.

Probabilmente stregato da quel tipo disalite, il residuo nevoso presente il 30 giu-gno 1977 mi attirò ancora lungo quegliscivoli luccicanti. Sollecitato l'interesse diWalter e Giorgio, con la giusta motiva-zione e preparazione risalimmo all'attaccodella via trovando subito condizioni favo-revoli.

La neve, nella sua altezza, ci portavaa costeggiare rocce mai osservate ma laconoscenza dell'itinerario ci guidò senzaesitazioni entro il canalone terminale cheperò quell'anno risultava alla fine ostruitoda un'enorme cornice. L'unico fattore che,data la posizione nascosta, non potemmovalutare dal basso, ad una cinquantina dimetri dall'uscita, imponeva non semplicigrattacapi.

Soluzioni laterali si prospettavano ul-teriormente complicate per la sporgenzaed instabilità degli enormi labbri penco-lanti, mentre il sole, dardeggiante oltre ilbordo, accentuava la beffa propinata da-gli elementi. Di ripiegare nemmeno par-larne e l'unica soluzione concordata fuquella di forzare il passaggio forando dasotto la massa nevosa; accettando ilgrande rischio di rimanere travolti da in-genti masse di neve ghiacciata.

Attuando le migliori sicurezze possi-bili, fu Giorgio a volersi prendere l'incaricoe, lavorando alacremente con la piccozza,riuscì nel pericoloso intento. Sgusciammocon sollievo attraverso questa specie dibotola, a pochi passi dal pianoro sommi-tale dove, stimolati da un diffuso tepore,alcuni fiorellini avevano da poco decre-tato l'inizio dell'estate.

La discesa, in un contesto decisa-mente diverso, avvenne lungo il crestoneorientale della Creta di Pricot, mentre ilnostro buco, per quell'anno, accelerò ilcrollo definitivo della cornice che proba-bilmente andò a sfasciarsi lungo la pa-rete, causando notevoli danni fortunata-mente solo a se stessa.

Il 30 giugno 1980 mi vide nuovamenterisalire in solitaria quei nevai. Quindi arrivòil 27 maggio 1990 e con Nico uscimmo an-cora dalla stessa via. Per ripetermi conRenzo e Gianni il 30 maggio 1999.

Se a queste sei particolari salite ag-giungiamo le altre 24 distribuite nelle re-stanti stagioni degli ultimi anni, sorge le-gittimo il dubbio che io sia particolarmenteattratto da questi luoghi. E non ci si sba-glia affatto.

L’abbondante innevamento che per-sisteva sui monti, sollecitava a pro-lungare l'attività sciistica e, nel fer-vore di tante iniziative pontebbane

che caratterizzarono gli anni tra il 1960 e1980, anche una gara di sci sotto le paretisettentrionali della Creta di Pricot, trovò unsoddisfacente seguito di partecipanti.

Anche io mi iscrissi, ma, attirato con-temporaneamente da un irrefrenabile de-siderio di alpinismo, al fine di non sacrifi-care la giornata restringendola ad una soladiscesa tra i pali, mi organizzai per la sa-lita solitaria su terreno innevato della viaFausto Schiavi che sovrastava il luogodella competizione.

Fino a quel giorno, il 2 giugno 1973,non c'erano notizie che qualcuno l'avessegià fatto, mentre da tempo stavo scru-tando le caratteristiche con le quali mi sa-rei dovuto confrontare. Partii prestissimorisalendo il vallone del Winkel fino all'al-tezza di un masso dove poter nasconderel'attrezzatura sciistica e, nella decisioneestrema, anche i ramponi, la piccozza e lozaino.

Munito dei soli bastoncini da sci e cal-zati gli scarponi di montagna, m'inoltrainell'ampia gola constatando da subito l'e-sattezza delle mie valutazioni circa la qua-lità della neve; questa, perfettamente li-vellata in un unico scivolo, era della con-sistenza ideale per procedere in sicurezzae velocità.

L'estrema leggerezza dell'equipag-giamento mi permise tempi ridottissimi esenza contrattempi sbucai dal canalone,terminale, nella piena soddisfazione cheancora mi accompagna.

Scontatamente, la discesa avvennelungo l'attrezzata dedicata a mio padre e,recuperato il materiale in anticipo sugli al-tri concorrenti, mi rimase del tempo perprepararmi alla fase agonistica della gior-nata.

L'esperienza della salita si rivelò moltogratificante e rafforzò i miei intenti, rivoltida tempo alla prima invernale dell'itinera-rio.

Indubbiamente, i problemi sarebberostati molto diversi ed andavano valutaticon estrema attenzione in quanto nes-suno era ancora salito d'inverno su quellaparete. L'illusione di ripetersi con la stessafacilità andava subito fugata.

Il freddo, la qualità della neve, le pos-sibili slavine, il tempo meteorologico equello a disposizione per evitare un bi-vacco. Un compagno o più persone al finedi condividere le fatiche, il peso delle at-trezzature, le possibili vie di fuga e le va-rie opzioni della discesa, furono solo alcunidegli interrogativi che si erano insediatinella mia mente. Specialmente quandodalla dirimpettaia Madrizze studiavo l'e-voluzione delle condizioni cercando d'in-terpretarne ogni sfumatura.

Ma l'inverno 1973/74 passò senzanulla di fatto, principalmente a causa dellamancanza di qualcuno che condividesse imiei progetti.

Durante quello successivo le cosepresero una piega diversa nel momentoche Fausto mi diede la sua disponibilità.Perfezionammo il nostro piano e decre-tando il periodo a nostro avviso più op-portuno, ci muovemmo alle cinque delmattino del dodici gennaio 1975.

Alla luce delle pile, la stradina che s'i-noltra nel vallone del Winkel ci inghiottìproiettandoci in un'avventura grandiosaquanto fortemente ricercata. Ovviamentenon andò tutto a meraviglia.

Contrattempi che si sarebbero potuti

evitare si assommarono ad una faticosis-sima progressione imposta dall'enormequantità di neve farinosa, nella tremendapreoccupazione di alterare gli equilibri delripido manto ed innescare un'enorme va-langa.

Ci trovammo pure immersi in una fittanebbia e, una volta raggiunta l'ampia re-gione sommitale, sbagliammo la direzioneaggravando i risicati tempi ancora dispo-

nibili. Alle quattordici toccammo final-mente la vetta e, in piedi, non ostante l'in-cattivirsi del tempo diventato oramai unabufera, ci concedemmo gli unici dieci mi-nuti di sosta.

A quel punto rimaneva "solo" la di-scesa lungo l'attrezzata che, non affattobanale, ci depositò sugli ampi e innocuinevai, dove, incespicando a dismisura perla spossatezza, alla luce delle pile rigua-

CCrreettaa ddii PPrriiccoott ddaa PPrraammoolllloo ((ffoottoo:: BB.. CCoonnttiinn))..

èèSSttoorriiaa ((ffoottoo EElliioo CCaanndduussssii))..

Alpinismo gorizianoa èStoria

Domenica 25 maggio nell'ambitodegli appuntamenti del festival inter-nazionale della storia di Gorizia,giunto alla X edizione e dedicato que-st'anno alle Trincee, si è svolta unaconversazione sul tema "Andar pertrincee nel Carso". Scoprire il Carsodal punto di vista storico e da quelloescursionistico, coniugando memoriae ambiente prendendo spunto dal-l’ultimo lavoro dello storico LucioFabi, Andar per Trincee. Ne hannoparlato l'Autore con Alessandro Am-brosi, editore del volume, e FulvioMosetti, direttore responsabile di Al-pinismo goriziano.

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10 Alpinismo goriziano - 2/2014

L’unità dell’arrampicatadi MARKO MOSETTI

L a collana Luoghi verticali delleedizioni Versante sud si arric-chisce di due nuovi volumi. Uno,A sud, è una seconda edizione

mentre l'altro, Monte Baldo Rock, è unanovità. Si amplia e si aggiorna così il pa-norama delle zone arrampicabili in Ita-lia.

A sud è il frutto del lavoro del pu-gliese Graziano Montel e del molisanoPietro Radassao. È proprio il Molise, ri-spetto alla prima edizione della guida ri-salente al 2006, la new entri che amplial'area che viene illustrata, aggiungen-dosi a Puglia, Basilicata, Calabria. Ter-ritorio indubbiamente vasto e proprioper questo le falesie prese in esamesono quelle che usufruiscono di unafrequentazione costante e numerosa,cosa che serve a garantire e lo sviluppodegli itinerari e la loro manutenzione. Ilfatto di essere arrivati alla seconda edi-zione della guida è la prova che ancheal sud della penisola l'arrampicata haavuto un grande sviluppo. Fatto questoche ha validità non solamente dal puntodi vista sportivo ma anche e soprat-tutto, in momenti economicamente in-felici come quelli che stiamo vivendo,come richiamo turistico. Di un turismo,per altro, di basso impatto sull'am-biente naturale e perciò tanto più ap-prezzabile. Di questo si sono accorteanche alcune amministrazioni comunalidei luoghi censiti, le quali, intuendo lepossibilità e le potenzialità dell'arram-picata, si vanno facendo carico dellamanutenzione e dei lavori di valorizza-zione delle loro aree arrampicabili,

L'impostazione della guida di Mon-tel e Radassao è quella oramai clas-sica della collana: indicazioni concisesu ogni singola falesia accompagnatedalla consueta e collaudata simbolo-gia che illustra in maniera completa lazona. Schizzi precisi, l'elenco delle viee delle difficoltà, foto spettacolari.

Come è diventata oramai una pia-cevole consuetudine, gli Autori hannoarricchito il volume anche con raccontie testimonianze sia personali sia deglialtri personaggi che più hanno contri-buito a diffondere e valorizzare l'artedell'arrampicata sul territorio, facen-done così una guida non solamente daconsultare sul campo ma anche da leg-gere.

Da sud, la nuova frontiera dell'ar-rampicata, al nord di quello che già dadecenni è diventato un vero e proprioparadiso per gli arrampicatori di mezzaEuropa: quel vasto territorio che cir-conda il lago di Garda, risale la valledell'Adige, la valle del Sarca, il monteBaldo.

Dopo Arco e la valle del Sarca èora la volta delle falesie e delle vie com-prese tra il lago di Garda e la val d'A-dige, quì censite e illustrate.

L'esperto e collaudato Eugenio Ci-priani si è unito all'Accademico Cri-stiano Pastorello per raccontare e de-scrivere 24 falesie e altri 11 settori di viemulti-pitch. Fanno in totale qualcosacome 40mila metri arrampicabili e, as-sicurano gli Autori, quasi tutti su calcaremagnifico e solido. Un capitale di vie e

possibilità enorme, che offre occasioniper tutti, dal principiante e da chi ap-prezza il facile e il medio, a chi vuoleconfrontarsi esclusivamente con i gradialti e altissimi. E ci sono ancora occa-sioni di liberare vie con difficoltà supe-riori all' 8b.

A questo punto il problema è co-stituito dalla scelta tra tanto bendidio. Enon costituisce un problema nemmenola stagionalità, visto che la mitezza delclima della zona permette di arrampi-care piacevolmente nel corso di tutte lestagioni.

Anche in questo caso, oltre allaparte più propriamente tecnica, il vo-lume è arricchito da una ricca e artico-lata introduzione storica sulle vicende esui personaggi che hanno animato lascena dell'arrampicata in zona. E nonmancano le schede che, attraverso unaserie di interviste, tracciano il profilodei principali artefici della stessa storia.18 interviste, 18 protagonisti, ciascunolegato ad una zona ben definita.

Buona lettura e buone arrampicate.

Indioun viaggio nel tempo avventurosoe nelle speranze della nostra giovinezza

di RUDI VITTORI

S iamo all’inizio degli anni '70 inAmazzonia. La più grande fore-sta del mondo è il teatro d'azionedi Urimàn, nome di battaglia di

Bruno Gramolòn, vicentino ribelle, tra-sferitosi in quei luoghi remoti, alla ri-cerca di un ideale.

Già mite professore di matematicain un paesino del vicentino, Gramolòn,

soprannominato Indio dagli indigeniPemòn con i quali vive, è divenuto unfine stratega. Coadiutore missionariocome copertura, opera in un angolosperduto del Venezuela, ed ha nella te-sta il mito di Simon Bolivàr e di una ri-voluzione mai iniziata.

Non si tratta di un romanzo con am-bientazione fantascientifica. Indio è unastoria vera, o per lo meno un romanzoche trae spunto da fatti realmente ac-caduti, con il sapore della spy story.

Una narrazione che è rimasta perquasi trent’anni nel cassetto dell'au-tore, notissimo agli appassionati dellaletteratura di montagna e di viaggio, eche nasce dall'incontro-scontro del-l’autore con il protagonista di questepagine, Urimàn appunto. Figura con cuientrare in sintonia.

L’amico Franco Perlotto non vuolesvelare quanto ci sia di proiezione pro-pria e quanto ci sia di realmente esistitonel suo personaggio.

A leggere osserviamo che era il1985 ad Esmeralda, no man's land,terra desolata e abitata solo da zan-zare, dove svetta il monte Duida, laMontagna del Diavolo, meta di Perlottoche voleva visitarne ancora una volta glianfratti rocciosi.

Urimàn, uomo invecchiato, stanco esolitario, fa dono della sua strabiliantee avvincente storia ad un giovane con-nazionale che, con uno straordinariobagaglio di conoscenza, di storia, geo-grafia e politica locale, sa interpretarnei silenzi e le parole.

La forma del romanzo ovviamenteaiuta a fare esplodere la vicenda, a darecolore, a regalarla ad un tempo eterno,quello del mito. Il romanzo è a più pianie presenta mille snodi. Indio conduce illettore dall'Amazzonia al mondo dellePiccole Dolomiti, per ripercorrere ipassi della storia italiana di Gramolòn.Un uomo capace di un amore mai con-sumato, con un figlio perso sulle mon-tagne, vittima del dolore di una feritache non ha mai potuto rimarginarsi.

Nelle pagine del libro c'è il verdedella Gran Sabana, gli animali selvaggi,i mille colori delle cascate, il rumoredell'acqua che s'infrange sulle rocce, ilprofumo dei fiori, l'afa, i moscerini, lanatura respingente che è il vero scena-rio variegato di questo romanzo, da leg-gere tutto d'un fiato.

La rivoluzione nella quale Gramolònsi era arruolato e nemmeno "la nazioneindigena dell'Amazzonia" ebbero mailuogo ma in Indio la speranza di poter fi-schiettare "Venceremos" rimane fino al-l'ultima pagina. Non è una cosa da poco.

Lo stato dell’artedi MARKO MOSETTI

Èarrivato puntuale nelle librerie enelle edicole l'annuario dell’alpi-nismo europeo 2013 UP. Anchequest'anno i redattori di questo

mix tra volume e rivista, avvalendosi diuna nutrita schiera di collaboratori tra ipiù qualificati del panorama europeo, al-pinisti e arrampicatori, hanno confezio-nato un prodotto di alto valore.

L'appassionato e chi desidera rima-nere aggiornato sugli sviluppi più attualidell'arrampicata, boulder, alpinismo, suiprotagonisti, le realizzazioni, l'evolu-zione, non può prescindere da questoannuario giunto al suo undicesimo nu-mero.

Il piatto, con ricetta oramai ampia-mente collaudata, è confezionatomixando abilmente interviste ai nuoviprotagonisti del mondo verticale e de-scrizioni di vie che hanno segnato lastoria dell'alpinismo e dell'arrampicata,e che tutt'ora rappresentano obiettivi epassaggi fondamentali per chiunqueaspiri al raggiungimento dei livelli mas-simi di queste pratiche.

La giovane austriaca Barbara Zan-gerl, passata felicemente dai pochi me-tri dei boulder (è stata la prima donna asalire un blocco di difficoltà 8b) alle fa-lesie e alle vie multi-pitch; la coppia ger-manica Tanja Schmitt - Matthias Sche-rer, specializzata in cascate di ghiacciodi altissima difficoltà; il britannico Ja-mes Pearson, uno dei nuovi esponenti diquella fantastica fucina di talenti che èl'arrampicata inglese; Tim Emmett, an-che lui del Regno Unito ma specializzatosul ghiaccio; lo svizzero Simon Antha-matten, presente e futuro dell'alpinismo,sono le figure messe a fuoco in questonumero di UP.

Cleopatra, storica e fondamentalevia sui calcari svizzeri di Wenden; Sognidi gloria, uno dei primi 8b+ italiani, libe-rato nel 1987 e tutt'ora tiro di riferimentodella falesia di Erto; la via Livanos a CimaSu Alto; il couloir N.E. alla Brèche desDrus sul Monte Bianco, sono gli itinerari.

A questo già corposo menù sonoaggiunte tutte le nuove realizzazioni eu-ropee nel corso del 2013 proposte in or-dine cronologico e divise nelle diversecategorie: alpinismo e ghiaccio, falesia,bouldering.

Chiude il volume la sezione dedicataalle relazioni e alle proposte, anche quadivise tra vie lunghe su roccia e ghiaccioe misto.

Buon Appetito.

Novità in libreria

Page 11: “Rem tene verba sequentur” - CAI sezione di Gorizia...“Rem tene verba sequentur” di MAURO GADDI Gruppo del Crodon di Giaf dall’Alta valle omonima, a destra la forcella Scodavacca.

Alpinismo goriziano - 2/2014 11

AAVV - UUPP aannnnuuaarriioo ddii aallppiinniissmmoo eeuurrooppeeoo22001133 - ed. Versante sud - pag. 131 - € 13.50

Graziano Montel, Pietro Radassao - AA SSUUDD-- FFaalleessiiee iinn MMoolliissee,, PPuugglliiaa,, BBaassiilliiccaattaa,,CCaallaabbrriiaa - ed. Versante sud - pag. 240 - €28.00

Cristiano Pastorello, Eugenio Cipriani -MMOONNTTEE BBAALLDDOO RROOCCKK -- vviiee ee ffaalleessiiee ttrraa iillLLaaggoo ddii GGaarrddaa ee llaa VVaall dd''AAddiiggee - ed.Versante sud - pag. 288 € 29.00

Franco Perlotto – IINNDDIIOO – AlpinestudioEditore - 2014 - pag. 126 - € 14.00

Lucio Fabi - AANNDDAARR PPEERR TTRRIINNCCEEEE -- SSuullCCaarrssoo ddeellllaa GGrraannddee GGuueerrrraa - ed.Transalpina - pag. 159 - € 16.00

Vlado Klemøe - OODDØØLLII SSOO BBRREEZZ SSLLAAVVEE IINNBBRREEZZ SSPPOOMMIINNAA - ed. Goriøka MohorjevaDruæba - pag. 110 - € 15.00

cende belliche sul fronte carsico nelcorso dei quasi due anni e mezzo dimassacri.

Dall'imponente e annichilente sa-crario di Redipuglia, ai parchi tematicidella Dolina dei Bersaglieri, al ParcoUngaretti, a quello di Monfalcone, pas-sando per le trincee del Sei Busi, quelledel S. Michele e di S. Martino, quelle at-torno al lago di Doberdò. Per spostarcipoi verso il Carso più interno, oltre ladepressione del Vallone, dove il frontesi spostò dopo la presa di Gorizia. Sa-liamo a Cerje e percorriamo l'itinerariostorico di Temnica. E proprio in questosettore Fabi ci conduce lungo quelloche a mio giudizio è l'autentica perla delCarso isontino: il sentiero CAI n° 79 de-dicato ad Abramo Schmid. Un percorsodal Vipacco al mare seguendo la lineadel confine di stato con la Slovenia, apasseggiare sulle stratificazioni che larisacca della storia dell'ultimo secolo hadepositato: trincee, caverne, villaggi mi-litari della Prima Guerra mondiale,opere belliche della Seconda, ruderidella guerra fredda, tracce del passag-gio dell'esodo dei clandestini degli annia cavallo del 2000, l'ultima delle trage-die di cui queste lande sono state te-stimoni.

Ma è nell'ultimo capitolo che Fabi ciconsegna una primizia. Una zona diguerra defilata, con azioni dimenticate,poco eclatanti: sulle tracce dellespiagge armate di Punta Sdobba, Fos-salon, Grado. Fuori dei soliti itinerari,per scoprire inusuali punti di vista sucampi di battaglia, per ragionare sul-l'insensatezza di fronte ad altri pano-rami.

Itinerari, suggerimenti alla portata dichiunque abbia curiosità, voglia di sa-pere, tentazione di capire. Aiutati anchedalle illustrazioni delle quali il volume èricco, attuali e storiche, per fare i con-fronti e non perdersi proprio nulla.

Sulle tracce dell’infernodi MARKO MOSETTI

F accio parte di quella genera-zione, forse l'ultima, che ha avutola ventura di avere da ragazzinicontatti diretti con le testimo-

nianze della Prima Guerra mondiale.Qui a Gorizia si viveva in una posizioneprivilegiata ma anche pericolosa. Gli ul-timi reduci erano ancora vivi e presenti,da turisti, sui campi di battaglia.

Contemporaneamente era presso-ché impossibile, nelle nostre scorri-bande sul greto dell'Isonzo o sulleprime propaggini del Carso, luoghi cheriuscivamo a raggiungere in biciclettasfuggendo al controllo di genitori co-munque poco ansiosi, non imbattersi intesti e cimeli. I più fortunati ritornavanoa casa con un elmetto ammaccato, unarugginosa baionetta, una manciata dipatrone, magari ancora inserite nel lorocaricatore. Alcuni, meno fortunati, avolte passavano direttamente dalpronto soccorso lasciandoci qualchepezzo.

Il gioco della vera guerra era peròun richiamo troppo affascinante per deiragazzini di scuola elementare.

È stato così che molti di noi si sonoavvicinati alle trincee del Carso e sisono appassionati alla storia.

Accadeva 50 anni fa e ne eranopassati solamente altri 50 dalla fine diquel conflitto.

Oggi che di anni ne sono passatiquasi 100 le occasioni per scoprire, ve-dere, cercare di capire sono state tra-visate dall'inesorabile scorrere deltempo, dalla vegetazione che rigogliosasi è riappropriata di quelle lande ferite,dalla scarsa cura e memoria degli uo-mini.

Ci soccorrono gli storici, meglio sesono "da campagna", che non si limi-tano alle dissertazioni accademiche masi sporcano mani e scarpe ad accom-pagnarci tra boschi e sentieri, cavernee campi alla ricerca delle tracce rimastesul terreno.

Lucio Fabi è uno di questi e nel suoultimo lavoro Andar per trincee - sulCarso della Grande Guerra, nella pre-ziosa collana Andar de bora dell'edi-trice Transalpina di Trieste, ci conducea toccare con mano la violenza di unodei campi di battaglia più tormentatidell'intero conflitto.

Guida escursionistica e storica de-dicata al pubblico più vasto dei turisti edei camminatori che il can-can del cen-tenario richiamerà sul Carso, ma nonper questo meno curata e precisa. Anzi.

10 capitoli, 10 itinerari che illustranonel loro evolversi e concatenarsi le vi-

pire un po’ più in là, di allungare il cam-mino, di scoprire da soli nuovi itinerariancora sconosciuti. Sul campo e tra i li-bri.

È a questo, in fondo, che serve unbuon libro, una guida ben fatta.

Piccole storie di unagrande tragediadi MARKO MOSETTI

Èun lavoro mínimo, uno sguardosu un aspetto piccolissimo dellatragedia europea della PrimaGuerra mondiale che costò mi-

lioni di vite. Eppure proprio per questosuo carattere così ristretto, quasi per-sonale, riesce a inquadrare e trasmet-tere ancor meglio, con più forza, la di-mensione del disastro. Avere tra le manil'ultima fatica di Vlado Klemøe ti fa par-tecipare immediatamente all'orrore, allapaura, allo sconvolgimento. Non è unvolume che racconta vicende militari,battaglie, combattimenti, bombarda-

hanno in pratica costretto le famigliedei caduti a chiudersi nel dolore ed amantenere vivo il ricordo dei loro cariesclusivamente tra le mura di casa. Acent'anni dall’inizio della Prima Guerramondiale nel comune di Savogna d'I-sonzo solamente una lapide, postanella chiesa del paese, ricorda le gene-ralità di 28 paesani arruolati e caduti inguerra.

Tuttavia, afferma Klemøe, molto piùalto è il numero dei morti, questi ancorpiù dimenticati, tra la popolazione civile.

L'Autore ha sentito di dover resti-tuire alla memoria dei suoi compaesaniil ricordo di quanti, cento anni fa, cad-dero con addosso la divisa dell'Impe-ratore d'Austria e Ungheria in Serbia, inGalizia, sui Carpazi, sul Carso, sull'I-sonzo, sul Piave, tra le Dolomiti, o in pri-gionia o di coloro che furono dati per di-spersi. La ricerca lo ha portato tra lefonti documentarie più disparate finoall'intervista dei parenti e dei cono-scenti.

L'elenco dei militari caduti rico-struito da Klemøe non è completo néesaustivo, per ammissione dell'Autore,ma è un atto doveroso di memoria e rin-graziamento nei confronti di quelli chesiamo stati costretti a dimenticare.

Il volume, in lingua slovena (la ma-drelingua della comunità di Savogna, çava sans dire) è diviso in brevi capitoli altermine dei quali viene riportato unbreve sunto del contenuto in italiano.

Si inizia con la situazione demogra-fica del Comune immediatamenteprima del 1914.

Il capitolo seguente riporta i mili-tari morti di Savogna, Peci, Rupa, Ga-bria, Rubbia e Vrh-San Michele. Prose-guendo con l'illustrazione sintetica dellasituazione della popolazione del terri-torio esaminato durante e al terminedel conflitto, con lo sfollamento dei ci-vili prima nelle immediate retrovie e inseguito nei campi profughi in Stiria, si ri-cordano le distruzioni e i morti, gli stentie le epidemie.

Una parte Klemøe la dedica allaguerra sul fronte serbo, che la storio-grafia ha fino ad ora poco approfondito.Proprio su quel fronte vengono fatti pri-gionieri tra i tanti anche alcuni paesaniin armi. Tra di loro quell’Anton Tomøiœdel quale sul numero scorso di Alpini-smo goriziano abbiamo riportato unestratto del diario di prigionia. Lostesso, in forma più ampia e completaviene proposto qui.

Completa il volume un vasto appa-rato iconografico tratto in gran parteda fotografie e cartoline di famiglie delpaese.

Per i cultori di storia locale e per chinon vuole perdere la memoria.

AAllppii GGiiuulliiee oocccciiddeennttaallii -- PPaann ddii ZZuucccchheerroo,, VVeettttaa BBeellllaa ee CCiimmaa ddeellllee CCeennggee nneellll’’AAllttoo VVaalllloonnee ddiiRRiioobbiiaannccoo..

Le descrizioni sono inframmezzatedagli scritti di chi fu testimone diretto diquei luoghi e di quegli eventi. Dai piùnoti Giuseppe Ungaretti, Alice Schalek,Fritz Weber, al comune fantaccino friu-lano Callisto Tirèl, l'ufficiale GiorgioOreffice, i ventenni Giovanni Bussi eGiuseppe Piccolini, entrambi piemon-tesi, il volontario irredento RobertoLiebman Modiano.

Suggestioni che arrivano in direttadall'inferno e che sono lo spunto, il sug-gerimento, il viatico per spingere la cu-riosità, la voglia di vedere, sapere, ca-

menti. È, semplicemente, una ricercasui "morti dimenticati" della comunità diSavogna d'Isonzo, il tentativo di dare unvolto e una storia a quelli che la tem-pesta d'acciaio ha ridotto a massa im-personale, a numero.

Morti dimenticati innanzi tutto per-ché hanno avuto il torto e la colpa di es-sere stati arruolati con la divisa “sba-gliata”, quella degli sconfitti, quella au-stro-ungarica.

Dimenticati perché le condizioni po-litiche e sociali createsi al termine delconflitto nei territori occupati (redenti)

Page 12: “Rem tene verba sequentur” - CAI sezione di Gorizia...“Rem tene verba sequentur” di MAURO GADDI Gruppo del Crodon di Giaf dall’Alta valle omonima, a destra la forcella Scodavacca.

12 Alpinismo goriziano - 2/2014

S. a Raveodi DANIELA ANTONIAZZI

E scursione primaverile per ilGruppo Seniores nel Parco In-tercomunale delle Colline Carni-che lungo la dorsale di rilievi

che da Esemon di Sotto conduce aRaveo, al monte Sorantri e alla concadi Valdie.

Il Parco, quasi 2000 ettari traTagliamento, Degano e Chiarzò, ènato nel 1999 e fu voluto per proteg-gere le peculiarità naturali del territo-rio e valorizzarne il patrimonio cultu-rale poco conosciuto. Vi si intreccia-no storie di popoli e civiltà e storie diuomini: tracce di un passato chepoco si legge, perché nessun am-biente come il bosco è capace di na-scondere in fretta i segni degli uomi-ni. Ma gli insoliti avvallamenti sullacima del Monte Sorantri, che sovra-sta Raveo, hanno attirato campagnearcheologiche di scavi dal risultatosorprendente: fu un luogo di cultoceltico a connotazione militare, unsantuario forse unico in Italia, e suc-cessivamente un abitato romano for-tificato. Sulla sommità boscosa delmonte, frequentata già nella primaetà del ferro (sec. VIII a.C.), e sul ver-sante sud occidentale sono stati rac-colti numerosi reperti metallici di am-bito celtico, databili fra il III e il I se-colo a. C. (tarda età del ferro) e riferi-bili a un luogo di culto. Infatti le armidi offesa, di difesa e le fibule maschi-li presentano segni di rottura e mano-missione per defunzionalizzarle,come in Francia, Germania, Austria eSlovenia occidentale (per inciso, il si-mile ritrovamento in Slovenia è aØmihel, alle porte di Gorizia sul SanMichele). Questa pratica rituale conti-nuò in età romana fino all'impero diClaudio, come testimoniano i ritrova-menti esterni alla cinta muraria del-l'insediamento romano, sorto sulluogo di culto, abitato fino al V sec. d.C. e articolato su una superficie di5.600 mq con ingresso monumentalee case rettangolari a uno o più vani,edificate con tecnica evoluta.

Un altro villaggio fortificato èstato scoperto a valle di Raveo, sulCuel Budin: si tratta di un insedia-mento altomedioevale con cinta mu-raria di un metro e mezzo di spesso-re, torre e abitazioni poste su terrazzi.

L'origine del nome Raveo potreb-be parlarci anche dei Longobardi. Seinfatti alcuni sostengono la derivazio-ne del nome dal latino 'rapa', altri ri-cordano il capo longobardo Vejo che,arrogatosi il titolo di Re durante l'in-terregno (574-584 d. C.), con l'avven-to di Autari si rifugiò sul monteNuvolaja, ove costruì un castello esottomise il vicino villaggio che da luisi chiamò Ravejo. Uno dei cognomipiù antichi del paese è Ariis;Ariisberg è toponimo della bassa friu-lana che significa 'castello degliArimanni' e gli Arimanni nella societàlongobarda erano i guerrieri.

Le prime notizie documentate sulluogo risalgono al 1234 quandoRaveo era assoggettato alla Pieve diEnemonzo ed era parte delPatriarcato di Aquileia. Questa fase,la seconda metà del Trecento fu,come altrove, un periodo drammaticoper la grande peste del 1348 e le suc-cessive riprese che decimarono lapopolazione. Sopravvissero solo 7abitanti che divennero i padroni dei 7stavoli locali. I loro cognomi? Ariis,Bearz, Floride, Iaconis, Pecol, Stiefine Valino. Rimangono ancor oggi le fa-

miglie Ariis, Bearz, Iaconissi e Pecol.Il paese, sotto il patriarcato di

Aquileia fino al 1420, poi passò allaRepubblica di Venezia e quindi, a se-guito del trattato di Campoformidodel 1797, all'Austria. Con il 1866venne a far parte del Regno d'Italia.

Soffermiamoci sul periodo vene-ziano per i boschi e per la costruzio-ne del Santuario di Monte Castellanoe del Romitorio dei frati francescani.Per secoli in questi territori di collinae bassa montagna il bosco era statooggetto di taglio sconsiderato per ot-tenere terreno per pascoli e coltiva-zioni. L'arrivo dei Veneziani, affamatidi legname per l'arsenale e le neces-sità edilizie della città, di fatto impedìl'utilizzo e la distruzione delle areeboschive da parte dei locali, ma diedeil via anche ad un'appropriazione se-lettiva delle essenze più pregiatetanto che ora querce e castagni sonopresenti solo in soggetti sparsi.

Anteriore al 1400 è il sentiero, la-

stricato a granito, arenaria e pietraserena, che porta dal cuore del paesealla conca in quota di Valdie, su cui leslitte scivolavano a valle con i loro ca-richi di fieno. Su questo percorso fucostruita una piccola cappella per lasosta e la preghiera, nel 1619 trasfor-mata in chiesa. Su quell'antico lastri-cato abbiamo risalito la via al santua-rio, soffermandoci presso le anconevotive che raccontano povere storiedi fede e fatica. È un paese di anconeRaveo, di immagini sacre sui muridelle case, di piccoli altari di pietra ocapitelli di legno, in gran parte ogget-to di restauro o rifacimento dopo ilterremoto del 1976. Lo stesso paeseè stato ricostruito dopo le scosse chehanno portato via per sempre, con i

tori. Abbiamo ringraziato lasciandoad entrambi il gagliardetto della se-zione e il volume sulla sua storia.

Raggiunta la cima del MonteSorantri, con la dovuta sosta nell'areadegli scavi, siamo scesi all'idilliacaValdie e alla chiesetta di NostraSignora del Cuore di Gesù, dove losguardo è andato al Veltri e al ColGentile ancora innevati, ai boschi e aiprati di Luvieis e Pani. Abbiamo riper-corso piccole storie e grandi tragedie:dalla credenza popolare, per cui nellechiese di Trava e di Monte Castellanoi neonati morti prendevano a vivereper il tempo di ricevere il Battesimo,alla storia della donna che partorìsola nella neve il suo piccolo e comeringraziamento per la miracolosa sal-

suoi palazzi sei-settecenteschi daibei cortili interni, la fisionomia origi-naria dell'abitato.

Ad accoglierci al Santuario congrande disponibilità, cortesia e com-petenza, c'era Giacomo Bonanni, stu-dioso del luogo, che ne ha ripercorsola storia e ci ha aperto l'edificio dallainsolita pianta ottagonale, che rac-chiude un piccolo patrimonio di altarilignei, affreschi e soprattutto ex voto,muti testimoni della vita di un tempo.Dal retro della chiesa, passando per ilsemplice ed elegante Oratorio con lagrande meridiana sul campaniletto,siamo giunti al Convento dove, conpari cortesia e competenza, il signorLino Pecol ha raccontato le vicendedell'eremo, dalla sua fondazione, vo-luta da Odorico Antonio Bonano diRavejo nel 1686, fino alla chiusura nel1810 per gli Editti Napoleonici. La vi-sita del Romitorio, con la razionalesobrietà dei suoi locali e dei suoi ar-redi originali, ha sorpreso tutti i visita-

vezza di entrambi fu eretta un'anco-na. Non abbiamo dimenticato il dram-ma delle famiglie che, dopo la rotta diCaporetto, dovettero scappare inVeneto per sfuggire all'avanzata au-striaca, né la grande battaglia parti-giana di Pani di Raveo o i mesi terri-bili dell'invasione dei Cosacchi (otto-bre 1944-aprile 1945).

Con essa si intreccia la storiadell'Ors di Pani, quell'Antonio Zanella(1877-1955) personaggio sospeso tramito e realtà (si rimanda alla bella tesidella dott. Ilaria Toscano, reperibilesul sito del Comune), assassinato in-sieme alla figlia Maria da un 'famulu-s'. Di quest'uomo vigoroso, solitario etiranno nella movimentata vita fami-liare (la prima moglie morta pazza, laseconda allontanatasi coi tre figli epoi il forte legame con Maria) piace ri-cordare l'aiuto che diede alla popola-zione di Raveo affamata e il supportoalla lotta partigiana. Ma anche la gua-sconata di coprire con banconote untavolo del Danieli a Venezia per mo-strare quanto ricco fosse, nonostantel'aspetto semi-selvaggio conferitoglida barba e capelli incolti.

Poi la tragica storia di Katia eMirko, nomi di battaglia dei partigianigaribaldini Gisella Bonanni di Raveo eMirko Arko, sloveno, grande coman-dante del battaglione Garibaldi-Friuli.Innamorati e combattenti, nascosti inun ricovero sul monte Avedrugnonella paura, nella violenza delle azio-ni, nell'incertezza del domani, soste-nuti materialmente e moralmentedall'Ors di Pani e assassinati conbrutalità alla vigilia della liberazione, elei con il loro bimbo in grembo.Assassinati perché e da chi? Comeper altre morti di partigiani sul finiredella guerra, siamo ancora in bilicotra diverse interpretazioni, ciascunacon i suoi riscontri. I nazifascisti pergli uni, i garibaldini comunisti per glialtri. Sono passati decenni ma le feri-te non sono rimarginate.

Come non è scomparsa la debo-lezza umana di ritenere la violenza ri-solutrice di contrasti e alba di nuovesocietà. Non è un'osservazione acaso. Il 12 febbraio 2007 a Raveo fuarrestato il brigatista rosso AlfredoDavanzo. Abitava in due fredde stan-ze vicino alla Chiesa; riservato, zai-netto in spalla, sempre accanto aqualcuno in corriera, complice la con-fusione del ferragosto riunì a Raveo ilgotha delle Nuove Brigate Rosse.

...la montagna ancora una voltaha parlato a chi ama percorrerla, sve-lando la sua natura, la sua storia e lesue storie.

AAllppiinniissmmoo ggoorriizziiaannooEEddiittoorree:: Club Alpino Italiano, Sezione diGorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia.Fax: 0481.82505Cod. fisc.: 80000410318 - P. IVA 00339680316E-mail: [email protected]

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee:: Fulvio Mosetti.

SSeerrvviizzii ffoottooggrraaffiiccii:: Carlo Tavagnutti - GISM.

SSttaammppaa:: Grafica Goriziana - Gorizia 2014.

Autorizzazione del Tribunale di Gorizia n. 102 del 24-2-1975.

LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDII QQUUAALLSSIIAASSII AARRTTIICCOOLLOO ÈÈ CCOONN--SSEENNTTIITTAA,, SSEENNZZAA NNEECCEESSSSIITTÀÀ DDII AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE,,CCIITTAANNDDOO LL’’AAUUTTOORREE EE LLAA RRIIVVIISSTTAA..

VVIIEETTAATTAA LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDEELLLLEE IIMMMMAAGGIINNII SSEENNZZAALL’’AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE DDEELLLL’’AAUUTTOORREE..

IIll RRoommiittoorriioo ddii RRaavveeoo ((ffoottoo:: aarrcchhiivviioo EE.. CCaanndduussssii))..