“Piante alimurgiche nell’Alto Garda” · Le piante selvatiche le metti da una parte, l’anno...

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“Piante alimurgiche nell’Alto Garda” Interviste a cura di Sara Maino Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017 - 1 - Fig.1 “farinei”

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“Piante alimurgiche nell’Alto Garda”

Interviste a cura di Sara Maino

Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017

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Fig.1 “farinei”

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Tabella interviste

Data Luogo Nr intervista

Informatore Professione Età Effettuata da

05/07/17 Laghel di Arco 1 Piergiorgio Angeli pensionato 70 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/07/17 Massone di Arco 2 Giuseppina Amistadi casalinga 84 Sara Maino

17/07/17 Nago 3 Angela Menegatti commerciante 45 Sara Maino

07/08/17 Ledro 4 Francesco Rigobello botanico 56 Sara Maino

11/09/17 Dro 5 Rita Santoni pensionata 75 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/09/17 Dro 6 Marina B. volontaria 53 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/09/17 Dro 7 Dorina Matteotti pensionata 77 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/09/17 Dro 8 Francesca Chiarani pensionata 93 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/09/17 Dro 9 Jolanda Tavernini pensionata 86 Sara Maino con Maria Pia Macchi

11/09/17 Dro 10 Carmen Matteotti insegnante 60 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Riva del Garda 11 Irene Vicari pensionata 95 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Riva del Garda 12 Lidia Betta pensionata 94 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Riva del Garda 13 Sara Dellaidotti operatore sanitario 29 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Riva del Garda 14 Gianfranco Maino direttore casa riposo 60 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Canale di Tenno 15 Guido Omezzolli artista 64 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Campi 16 Angiolino Bertoni pensionato 69 Sara Maino con Maria Pia Macchi

14/09/17 Campi 17 Angioletta Malacarne casalinga 68 Sara Maino con Maria Pia Macchi

Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017

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Laghel, Arco, 5 luglio 2017Intervista a Piergiorgio Angeli raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Potresti presentarti?R: Mi chiamo Pergiorgio Angeli, ho 69 anni. Sono un pensionato finalmente. Ho sempre avuto la passione per il mondo della natura. Andato in pensione, avevamo un pezzo di terreno in quel di Arco, sul lago di Garda, ci siamo costruiti una casa in un posto con un po’ di campagna. E proprio la passione per la natura mi ha spinto alla ricerca di un modo di vita consono al vivere immerso nella natura, una full immersion in maniera anche olistica, cercando di combinare sia la vita che la spiritualità della stessa.Ho lavorato per quasi trent’anni in ambito sanitario, facevo il vigile sanitario, ora si chiamano ispettori. Mi sono dedicato per molti anni alla verifica e al controllo sulla potabilità delle acque, girando in lungo e il largo il territorio Trentino per fare prelievi sulle sorgenti. Ho visto quasi tutte quelle che alimentano i nostri comuni. Poi gli ultimi anni sono passato invece al servizio geologico della provincia, mi interessavano le acque profonde. Nei giri che si facevano nei boschi per andare alle sorgenti, accompagnati da persone che evidentemente conoscevano i luoghi e anche le storie, - si veniva a conoscenza di come c’erano le interazioni fra queste persone e madre natura. Quando si andava a cercare acque nelle sorgenti, c’era il nasturtium, il crescione. Allora, la presenza del crescione, per quanto riguarda le sorgenti, è indice di buona qualità dell’acqua. Perché? Perché è una pianta che vuole sempre acqua, ed è una garanzia che c’è, e temperatura costante, questo era un ottimo indizio per la qualità dell’acqua. C’è da dire che molte volte trovavamo delle bellissime sorgenti con il nasturzio a valle delle malghe, dove sopra scaricavano… Quindi si doveva fare tutta una serie di valutazioni.

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Dopo la pensione mi sono ritirato in campagna in un posto abbastanza selvaggio, c’è un po’ di bosco, un po’ di roccia, e un po’ di terra coltivabile, dove si può vivere con gli animali selvatici; i caprioli vengono a mangiarmi le cose che coltivo, la volpe fa la guardia alla casa. Sono appassionato assieme a mia moglie della natura. Cerchiamo di vivere in maniera più consona possibile mantenendo uno dei principi: la naturalità dell’ambiente nel quale viviamo, ricordando che siamo ospiti su questa terra.

D: Quali tipi di piante spontanee alimentari conosci? Puoi farmi un elenco di quelle che conosci tu?R: Nell’ambito di questa maniera di vivere ci siamo interessati a delle piante selvatiche commestibili. Si chiamano piante alimurgiche. Il De alimenti urgentia, termine coniato nel 1800 e rotti da un botanico toscano, elencava per i periodi di carestia l’utilizzo di piante spontanee, e quindi la possibilità di sopravvivere nei momenti di crisi. E’ una cosa interessante questa, perché la conoscenza di queste piante permette anche ai migranti di potersi muovere e queste conoscenze permettono a quelli che non sono stanziali di poter sopravvivere anche in caso di emergenza e necessità. La possibilità di coltivare queste piante selvatiche, tra virgolette, non è semplice perché si chiamano appunto “selvatiche”.Le piante spontanee che conosco, sempre di carattere alimentare, vanno inserite in un discorso stagionale, partendo dalle primissime, cioè il tarassaco, di cui si mangia la rosetta basale; poi andiamo al papavero, poi sgrizoli o i “sciopéti” in dialetto; abbiamo il luppolo o bruscandoli; da utilizzare per scopo alimentare, ci sono una serie di germogli, perché sono interessanti anche sotto il profilo salutistico. Passiamo all’aruncus dioicus, che viene coltivato ed è l’asparago di monte, poi coltivo allium ursinum (aglio degli orsi), una pianta anche più o meno selvatica è il cren (kren – rafano), poi abbiamo il rabarbaro, poi ci sono altre piante, come il symphytum officinalis che è la consolida. Una pianta selvatica è la mora di Tokyo, che gira per la proprietà e dove cresce gli metto un filo e un palo e mi dà un sacco di soddisfazioni.

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Piccolo inciso, sono appunto selvatiche perché non si riesce a contenerle: non sono addomesticate come la lattuga, o le carote che crescono e si seminano. Le piante selvatiche le metti da una parte, l’anno dopo le trovi magari lontane dieci metri, devi rincorrerle. E’ divertente ma non facile.

D: Mi potresti spiegare le parti che vengono usate e come si utilizzano in cucina?R: Evidentemente per ogni pianta bisogna seguire un po’ il ciclo stagionale.Del tarassaco si raccoglie la rosetta basale, si cucina in insalata, si possono usare benissimo nell’insalata, ci sono delle ricette tradizionali vecchie, per ammorbidire, per togliere un po’ l’amaro; lo utilizzano con il guanciale, come condimento un po’ d’olio e aceto.Si possono mettere assieme ad altre verdure: si può fare con carote grattugiate e con fogliette di tarassaco. Si possono mangiare anche cotte, quindi lessate, diventano più amare, saltate in padella con aglio e olio. Di solito poi noi le usiamo preferibilmente crude, a parte gli asparagi; una pianta da mettere in elenco, ma sarebbe vietata: i getti del pungitopo, buonissimi, sono come gli asparagi.

D: Potresti dirmi, del tarassaco, in che mese si raccoglie, e quali parti usi, e così anche per le altre piante che hai nominato?R: Il tarassaco si raccoglie da febbraio in poi, è la prima pianta selvatica che si utilizza e dà notevoli benefici a livello nutrizionale perché ha delle proprietà amare che servono come depurativo. Si usa la rosetta basale che si usa poi nell’insalata, oppure saltata, o lessa, o in miscela con altre verdure.Del papavero si usa anche la rosetta basale, a seguire, dipende poi dalla stagione, se la neve va via, se il gelo viene a metà febbraio piuttosto che a metà marzo. Sono i primi, il tarassaco, poi il papavero e poi arrivano gli “sciopéti”. Si possono fare anche delle erbe cotte, che sono buonissime, di papaveri, di sciopéti e di bruscandoli, si fa una miscela di piante, ed è una leccornia.

D: L’asparago di monte? Periodo e parte usata?

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R: L’asparago di monte verso maggio, fine aprile-maggio, si usano i giovani getti. Si usano come l’asparago, si possono anche conservare, si sbollentano con un po’ di acqua e aceto, si mettono via sott’olio, un po’ di alloro e aglio, dipende dai gusti. Sono spettacolari.D: Cren?R: Il cren viene raccolto in autunno, tardo autunno, si usa la radice per fare una salsa che viene utilizzata per condire le carni, con i lessi, con le uova, molto piccante.D: Rabarbaro?R: Del rabarbaro invece si usano i gambi, nel mese di maggio-giugno. Si usa il gambo per fare marmellate per esempio con le fragole, la marmellata di rabarbaro e zenzero. Quest’anno abbiamo fatto rabarbaro e zenzero, veramente ottima. Il rabarbaro ha le sue proprietà che sappiamo benissimo, proprietà salutistiche.D: Consolida?R: A dire la verità noi non la utilizziamo, ma si usa a livello alimentare e salutistico. Da mettere nei minestroni, si usa come tante altre erbe nelle misticanze. E’ usata nell’omeopatia, la Symphytum fa bene per le ossa, ed è un cicatrizzante. Nell’agricoltura le foglie come macerato, diventano un prodotto utilizzato perché apporta molte sostanze nutritive per le piante. Uso interessante.D: Quando si raccoglie?R: Si raccoglie la radice in autunno, per gli usi destinati per quanto concerne gli usi della radice, altrimenti le foglie a mano a mano che crescono, prima della fioritura.D: Mora di Tokyo?R: La mora di Tokyo è una mora che si può definire un misto fra il lampone e la mora.Si raccoglie in questo periodo, a luglio. Buonissima se mangiata dalla pianta, la consiglio a tutti quelli che mi vengono a trovare, le cose migliori son quelle che si raccolgono dalla pianta.Altrimenti serve da fare sughi, per fare marmellate, e così via. Molto ricca di vitamine, come tutti i frutti rossi.

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D: La motivazione dei tuo uso delle piante? A quale campo la ascriveresti, più a quello economico, più al gusto, a quello salutistico?R: Uso queste piante prima di tutto per la curiosità di mettere in pratica quello che leggo, quello che sento, per la tradizione dei miei nonni.Ricordo che da bambino le cose che si comperavano per la cucina, le contavamo sulle dita delle mani. Si comperava: l’olio, il sale, il caffè, il resto era tutto autoprodotto. E quindi non è per nostalgia, sono convinto che anche a livello salutistico, quello che vedo che cresce e che raccolgo vicino a casa mia, sotto l’aspetto nutrizionistico ritengo che sia molto più confacente alle necessità, rispetto a quello che si compra al supermercato, che non sai chi lo fa, come lo fa, da dove viene e da quanto tempo è in giro. Poter mangiare roba fresca, coltivata in prossimità della tua abitazione e raccolta e mangiata nel giro di un’ora, è tutta un’altra cosa. Come motivazione primaria è quella salutistica e quella del gusto.Una cosa è una medicina senza gusto; cioè la medicina amara guarisce? Rispetto a una medicina più dolce o addolcita: lo stesso principio attivo della medicina se è amaro o se è dolce, c’è una differenza sulla guarigione poi di chi la prende? La medicina amara fa bene perché è amara, non è vero! Allora il mangiare, il concetto di vedere e sapere le cose che coltivi, vedi crescere, e che coltivi nel rispetto dell’ambiente, con la dedizione e la fiducia nella terra, nelle possibilità della terra, ti dà un elemento che non è solo un’analisi chimica di quello che c’è dentro: c’è molta spiritualità, tra virgolette, ecco.D: Puoi Spiegarti meglio?R: Partiamo da lontano. Facciamo un ragionamento. E’ difficile spiegare la vita in due parole. D: Cos’è spirituale per te? R: Il fatto di capire di che cosa siamo fatti noi.Di capire che noi siamo anche quello che mangiamo. Se siamo anche quello che mangiamo, vuol dire che dobbiamo cercare, se vogliamo stare bene, a mio parere, cercare di mangiare cose buone. Cose buone che non abbiano solo un aspetto formale esteriore - la mela bella, lucida - ma che abbiano un significato diverso, rispetto a una cosa bella, incartata illuminata di luce, messa bene sugli scaffali di un supermercato. Preferisco una mela piccola graffiata, piuttosto che una mela bella lucida, che so che viene pompata con i concimi e tenuta sgombra da insetti e parassiti con la chimica.Altra questione, noi siamo fatti anche di universo, non è che siamo fatti di spirito. Siamo fatti di universo. Noi abbiamo la parte materiale che la puoi misurare, pesare, analizzare e fare tutto quello che vuoi, ma abbiamo anche uno spirito. E questo fa parte di tutto il ciclo, che è più grande di noi. Se le cose vengono fatte e crescono nell’ambito di questo universo che ci circonda, in maniera più vicina possibile a quelli che sono i cicli della natura, sicuramente secondo me, fanno molto più bene a chi li consuma.

D: Le tecniche di raccolta. Hai detto che siamo dentro a un mondo: il mondo fuori è la continuità di quello che siamo dentro, in un certo senso siamo in una relazione. Allora ti chiedo, queste piante spontanee come si raccolgono, come si raccoglievano una volta e che tecniche vengono usate o bisognerebbe usare per essere in relazione e rispettare questo ambiente che ci offre così tanto?R: Le tecniche di raccolta presuppongono alcune conoscenze. Prima di tutto sapere come è fatta quella pianta, secondo, sapere qual è la parte edibile di quella pianta, terzo, l’eventuale processo di conservazione, se la vuoi conservare o di elaborazione se la vuoi mangiare. Ci sono piante che si mangiano cotte, delle piante che si devono mangiare crude, delle piante che puoi conservare in un certo modo, delle piante che devi lasciare andare a seme, per poi recuperare il seme. Ogni pianta ha la sua storia per quanto riguarda la raccolta.

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Per quanto riguarda la conservazione, e qui entriamo in mondo, abbiamo l’essiccazione; abbiamo l’essiccatore, con il quale essicco le piante, come per esempio la menta, piuttosto che altre piante e questo poi mi serve per farmi le tisane per l’inverno. Vado ad essiccare le piante aromatiche che fanno parte del ciclo più complesso.D: Restiamo più nella raccolta, mi dai un’immagine pratica di come si raccoglie una pianta?R: Nella mia realtà le piante vengono raccolte e seminate tutte a mano, non abbiamo macchine per la raccolta. Perché è una realtà a livello amatoriale, abbiamo visto altre realtà dove le piante alimurgiche vengono coltivate e danno da vivere, danno reddito alle famiglie. Ricordo un viaggio fatto in Friuli, presso un’azienda che coltiva e vive di queste piante aromatiche, dal tarassaco, del quale usano anche la radice, alle ortiche; coltiviamo anche noi le ortiche. Hanno l’impalcatura per il luppolo, che raccolgono proprio per gli strigoli e vivono con le piante.Lì usano le macchine per raccogliere, una specie di falciatrice, con un sacco dietro. È però industrializzato. Qui, personalmente tutto a mano.

D: Veniamo al tuo caso. Dalla conoscenza delle piante spontanee che hai, sei arrivato a coltivarle, mi puoi narrare il motivo per cui, arrivi a coltivarle, è abbastanza straordinario nel panorama, guardando il vostro orto poi! E’ bellissimo!R: Perchè sono arrivato alla coltivazione? Sì, è vero che si va per i campi, ma non so cosa c’è in giro per i campi. Qui ho una microazienda biologica, circondata dal bosco. Andare a raccogliere il tarassaco sulle rampe dell’autostrade, non è che sia il massimo. O andare a raccogliere le piante alimurgiche, quindi commestibili nei campi coltivati con concimi e pesticidi, penso non ci siano risposte per questo, razionalmente.Non è tanto la necessità di coltivarle ma la curiosità di vederle coltivate, per me, parlo per me.D: E poi perché ti dà una garanzia. Non si sa quanti veleni ci sono, non sai quello che mangi.R: Non sai quello che ci è passato prima. Sono sicuro che almeno qui… c’è qualche uccello, ma se vola vuol dire che sta bene.

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D: Come hai conosciuto le piante selvatiche, te l’hanno raccontate o hai studiato, chi ti ha tramandato questa conoscenza per primo?R: Come sono arrivato al discorso delle piante alimurgiche, a dire la verità non lo saprei neanche io. Non ho avuto un sogno premonitore o una visione o una vocazione.E’ una cosa che nasce un pochino alla volta e dopo aver incominciato ad innamorarmi della terra e dell’ambiente; devo premettere che la mia attività lavorativa mi ha permesso di girare in lungo e in largo per boschi e foreste accompagnato dalla guardia forestale di turno, piuttosto che da una appassionato naturalistico, piuttosto che da altre persone, con le quali si dialogava del più e del meno, si vedevano le piante spontanee nel bosco, e uno mi diceva che la usava la nonna, quell’altro che la zia la raccoglieva, e poi degli incontri così, più o meno casuali; per capire la possibilità di poter vivere senza dover ricorrere sempre al supermercato, e alla farmacia.

D: Chi sono stati i tuoi informatori?R: I miei informatori, non è che mi abbiamo detto: “Guarda che queste piante…”. Gente comune. Gente appassionata in natura; non era il ragioniere che se ne sta in ufficio, era gente che girava per i boschi, che girava per le campagne, gente che aveva lo spirito di osservazione e il ricordo delle cose che accadevano anni fa. Bisognerebbe fare una riflessione riguardo a questo argomento, nel senso che i miei bis-bis nonni conoscevano 100 erbe sicuramente. I miei nonni ne conosceva 40, mia mamma forse 10. Perché?Perché nel frattempo è intervenuta la chimica. Finito il disastro della prima grande guerra e poi gli antibiotici alla fine della seconda, poi l’industria farmaceutica poi Bigfarma, tutto quanto, il rimedio si compera, si fa dal medico, il quale studia sui libri che gli stampano le case farmaceutiche, e diventa un distributore di farmaci. Viceversa, oltre 100 anni fa, uno pensava perché aveva un malanno, cioè pensava alla causa del proprio male. E’ vero che vivevano malamente che non avevano il riscaldamento, che si moriva per una broncopolmonite. “Deo gratias” che c’è l’industria farmaceutica che ci procura i farmaci, però nel complesso siamo farmaco-dipendenti. Anche perché per un nonnulla si va in farmacia, il medico che si che no ti guarda, ti prescrive qualcosa per il tuo male ma non ti guarda neanche, non sa nemmeno chi sei, invece di curare l’uomo, cura la malattia. E la malattia fa parte… ma è un discorso lungo. D: Quante persone conosci che raccolgono erbe oggi?R: Conosco degli amici che coltivano piante aromatiche, piante officinali, che hanno anche delle belle attività. Ho fatto un corso Trentinerbe, ho compagni di corso che hanno un’attività con la quale lavorano, non tanto con le erbe alimugiche, perché son poco conosciute, non c’è mercato perché hanno una scarsa conservabilità. Uno deve raccogliere e mangiare. Come il discorso dell’insalata di prima, anche qui, riallacciamoci: ci sono varietà di lattughe, ce ne sono centinaia; al supermercato ne trovi al massimo dieci. Perché Sono state selezionate in maniera tale che possano viaggiare, conservarsi bene, e quindi la biodiversità, dov’è?Un altro ragionamento è mangiare tante cose, non sempre la lattuga, quelle tre varietà di lattuga. Di lattughe ce ne son per sempre. Come le piante spontanee, le cicorie selvatiche, abbiamo diverse piante selvatiche spontanee che si possono mangiare, che sono le antenate delle lattughe, perché ci sono anche gli asparagi.

D: Tocchiamo il tema delle ricette. Conosci alcune ricette con le piante alimurgiche. Se sì quali? Ce lo puoi descrivere? Mi interessa la tua conoscenza.R: Ricette con le piante alimurgiche... Sto immaginando dall’antipasto al dolce. Ci sono piante che si usano principalmente come verdure, come contorni.

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Un’ottima ricetta, la mangio in dosi industriali, quando è stagione: il tarassaco con il guanciale. Sempre la rosetta basale, si lava come Dio comanda, è sempre laboriosa la pulizia, si taglia fine fine, si prende il guanciale e si mette in padella, un filino d’olio si rosola un pochino, si mette sopra del buon aceto si versa sul guanciale, una bella mescolata, e poi si ha già un pasto interessante, magari con una polentina vicino. Si possono utilizzare, per esempio del tarassaco, i fiori prima che sboccino, si mettono sotto sale al posto dei capperi. Del tarassaco si usano i fiori per fare il miele di tarassaco, quindi i fiori con lo zucchero.Il miele è anche per la tosse.Risotto con le cime di ortica, gli gnocchi con le cime di ortica e spinaci, i “farinei”.

Non ricordo il nome botanico.C’è la valerianella, il trifoglio, chenopodium malvum, la selene, la piantaggine.Il fiori del trifoglio bianco, li fai saltati tipo trifolati, una meraviglia. I fiori del sambuco in pastella fritti, anche una bontà.Puoi fare i tortelli con la borragine, puoi friggere i fiori del tarassaco.Una zucca di ortiche.Fai una verdura di stagione e metti queste piante come aromatizzante insieme all’acetosella.Alle ricette non c’è limite se non quello della fantasia. Si possono aromatizzare dei burri: burro aromatizzato con l’aglio orsino. Utilizzarle secche e fare gli agli per i sali aromatici.Come tutti gli alimenti, quando c’è una materia prima buona e un po’ di fantasia non c’è limite; anche perché è bello sperimentare, provare, fare.

D: Queste ricette come le avete conosciute, come ve le siete tramandate?R: Come tutte le cose ci si deve informare.

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Ci sono mezzo metro di libri sull’argomento, vedi da una parte, guardi dall’altra, ti informi un po’, ti confronti, c’è Internet, si parla, si prova, poi devi sperimentare sul proprio territorio; è inutile che mi metta a coltivare qui, piante che vengono oltre i 1000 metri. Posso provare per una curiosità ma so già che è tempo perso. E’ inutile che mi metta qui in un terreno come questo a coltivare come si coltiva l’arnica, l’arnica si può coltivare ma prima di tutto bisogna andare sopra i 1200, e poi con terreni acidi, non è il caso. Oppure coltivare la genziana lutea: viene in alto.Nel caso mio bisogna ricordare che come azienda biologica, devo andare a prendere i prodotti, da chi fa i certificati biologici per i trapianti.In questo posto dove vado io, che è il Progetto ’92 di Trento, una cooperativa sociale per persone problematiche, hanno anche piante officinali e piante di questo genere che coltivano. In collaborazione con San Michele, piuttosto che l’istituto per l’alpicoltura del Ministero dell’agricoltura, sono arrivati a rendere meno selvatiche queste piante. Hanno impiegato anni e sacrifici a cercare di addomesticarle un pochino. Come l’aglio orsino, aruncus dioicus, selene montana.Stanno facendo altri tentativi, hanno l’arnica che hanno messo in coltivazione. C’è una pianta che coltivano in quota sopra i 1500 sul Lagorai che viene dalla Russia, una pianta molto interessante, una pianta adattogena, come pianta officinale.Conosco la Pinpinella, questa associazione che cerca di mantenere le varietà locali, mantiene i semi, portare avanti le tradizioni sulle piante locali. Cosa non ultima e per la quale mi sono un po’ impegnato, è quella di evitare che i semi diventino monopolio della Monsanto di turno. Altrimenti siamo fritti. Poi saranno sempre quelli i semi. Poi ti danno i semi magari con qualche gene interessante. Come adesso gli F1... non riesci più ad avere la pianta originale, tu metti giù delle bellissime piante però il seme di quelle piante non ti dà il figlio uguale alla pianta che hai seminato, e di queste ce ne sono moltissime.

D: Quali tipo di storie, canti, filastrocche, proverbi conosci?R: Li conosco attraverso i libri. Miti sulle piante, spiritualità delle piante, piante magiche, il mondo delle piante: conosco tutte queste cose attraverso i libri.Ogni pianta ha la sua storia, e ogni storia ha la sua pianta, sono come i santi, ogni santo ha la sua pianta.D: Ce n’è una in particolare che ti viene in mente? R: Son talmente tante. La Madonna è legata a mille piante: la fuga in Egitto, stende il velo, cresce un cespuglio per nascondere il bimbo agli inseguitori. Ho qui una pianta che la chiamano “l’erba della madonna”, che è una pianta cicatrizzante. Un altro santo: l’iperico, la notte di san Giovanni, l’erba di san Giovanni.Una volta la davano agli indemoniati, hanno scoperto invece che oggi gli estratti vengono utilizzati per quelli che hanno problemi dove si pettinano.C’è l’erba di san Pietro, quell’erba amara che serve per fare le frittate.La piantaggine: da bimbi, da ragazzi si prendevano le foglie uno da una parte e uno dall’altra, si tirava, siccome ha dentro dei fili questa pianta, il filo più lungo rappresentava un peccato mortale, il filo più corto il peccato veniale. Ci facevamo delle belle risate: “Prova, tira”, “forte, ma no tienilo bene”. “Piccolino peccatuccio, guarda”. “Questa? Ohhhhh guarda che peccatone che hai lì”.“Pecà mortal!”E la filastrocca?R: Tira ti, tira, tira, tira, vediamo un po’, qui siamo salvi tutti e due. “Tira ti, che tiro mi, che vedem quel che ven fòra”.

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Massone di Arco, 11 luglio 2017Intervista a Giuseppina Amistadi in Torbol raccolta da Sara Maino

D: Ti chiedo di presentarti…R: Sono Amistadi Giuseppina in Torbol, nata 1933, ho sempre fatto la casalinga, e adesso faccio la pensionata. La mia grande passione è raccogliere le erbe in campagna e in montagna.

D: Quali tipi di piante spontanee da mangiare conosci?R: Ne conosco tante. Fra le quali: la malva, la menta piperita, l’achillea, millefoglie, cumino che lo raccolgo in montagna, a Malga Campo, e si raccoglie in questa stagione.La melissa, la menta piperia, ce l’ho in campagna e l’ho appena raccolta, la frullo e ne faccio una polvere e poi faccio la tisana che fa un gran bene, è un calmante rilassante.Medemaìstro, fa bene, lo mettono nei liquori.Mirto, da far liquori molto buono, che fa bene. Mastruis (mastruz) questo me l’ha portato Don Dario dal Brasile, è una pianta di qui, la coltivo io, della famiglia della malva, meglio, più buona.Cardo Mariano la radice, i semi fanno bene per il corpo.Rabarbaro, le radici fanno bene. Ce l’ho in campagna, in primavera quando spuntano le foglie con le radici faccio la marmellata; taglio a pezzetti le foglie con il limone faccio uno sciroppo speciale.Malva: raccolgo persino i fiori a parte, li secco, fa bene quando si hanno gli occhi arrossati. Insieme metto i petali di rosa e la malva per fare le “toccature”, per le arrossature, invece di usare il collirio che si prende in farmacia.Marrubio, che fa bene per la tosse, speciale questo, gliel’ho detto anche al dottore che non la conosce. Metto insieme la salvia, il marrubio, l’eucalipto, a gocce perché faccio le tinture madri, che ho imparato a fare.

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Questa che ti racconto è una mia esperienza. Per l’echinacea ho girato tutto Arco e Riva a cercare la pianta, l’ho impiantata: è un immuno-protettore, delle difese immunitarie. Ho fatto anche la tintura madre.Malvone è della famiglia della malva, con le sue foglie si fa il té, e fa bene per la “raucetudine” (raucedine), per la gola, per tutto.Santoreggia del mio orto, la raccolgo, la secco e faccio le tisane. Il tiglio è un calmante e rilassante da raccogliere in questo periodo, giugno-luglio. Speciale.Raccolgo le foglie e i fiori, per fare le tisane e la tintura madre. Si possono fare tante cose.Sedano. Sedano normale, anche quello, io lo secco perfino, da mettere nella minestra con prezzemolo, la patata, fagioli: si fa il minestrone che è molto buono.Queste sono le radici di rabarbaro che ho raccolto verso l’autunno quando le foglie vanno giù, settembre-ottobre, fanno bene anche per la stitichezza, una specialità. È una piante perenne speciale. L’ho raccolta in Bondone e l’ho piantata nell’orto e la continuo ad adoperare. Si usano anche le “gambe”. Finocchietto, da raccogliere in agosto-settembre nel mio orto; il tè fa bene per il gonfiore. E’ specialissimo questo. Si beve dopo mangiato al posto del caffè, e fa molto bene. Epilobio, l’ho raccolta in Malga Campo, per la prostata, specialissima.Uso il fiore e la radice. La raccolgo e la metto all’ombra, e la metto nei vasi quando è secca.La coda cavallina (equiseto) viene in montagna, nei posti umidi dove passa l’acqua. Si raccoglie la sommità, è un calcificante per le ossa. Si associa alla malva e a un’altra pianta che ora non ricordo. Fa bene per le ossa e per l’artrosi.Stevia: raccolgo i fiori e li metto a seccare, poi lo sbriciolo, al posto dello zucchero nel caffè.Ci metto un nonnulla, una fogliolina. L’ho raccolta adesso. Per quelli che hanno il problema del diabete.

Lavanda: la secco e la metto nei vasi, nei sacchettini, fa bene da mettere negli armadi per il profumo al posto della naftalina.Mentastro: questa pianta viene dal Brasile.

Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017

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Iperico: si raccoglie il 25 di giugno; con le sommità fiorite faccio l’olio, per le scottature solari. Lascio 30 giorni al sole, poi le spremo. Metto nei vasi. Fa bene per le scottature solari. Per i dolori aggiungo un’altra pianta per fare i massaggi. Dell’iperico uso tutta la pianta, le sommità fiorite che contengono semi, chiamati il “sangue di Cristo”. L’ho portato al mare e l’ho dato alle signore, tutte contente. Fanno un sacco di storie, fa bene per tutto.Calendula pomata, specialissima, fa bene per l’abbronzatura, per i dolori da massaggiare.Foglie ursine (uva ursina), è il mangiare degli orsi.Fa bene alle donne, quando hanno quel brutto disturbo.L’ho raccolto in montagna con le mie mani; è strisciante, bisogno stare attenti perché c’è un’altra pianta simile che è velenosa. Io la conosco benissimo. Tutte le piante le raccolgo con le mie mani in montagna e nel mio orto.

D: Come le hai conosciute queste piante? E da chi? R: La mia grande passione, ho cominciato ancora 30 anni fa. La primavera quando vengono le piante spontanee da mangiare, raccolgo la menta, la malva, e tantissime piante. Da fare da mangiare il minestrone.

D: Chi ti ha passato questa conoscenza?R: La mia grande passione, non me l’ha passata nessuno, la mia grande passione. Ho sentito per radio, che c’è questo famoso dottore che viene dall’Africa, dott. Pedro Benjamin che spiega le piante spontanee, le erbe, al posto delle pastiglie che fanno male. Spiega le piante spontanee speciali. Quando ha fatto la lezione trent’anni fa, io ho sentito tramite la radio, sono andata a questa mostra, e questo dottore ha spiegato tutte queste piante, e io conoscevo di più di quelle piante, perché le avevo nell’armadio. Trent’anni fa ha spiegato queste cose. Soprattutto la calendula, colgo anche quella e faccio la crema, e con i fiori quando faccio da mangiare li metto nel risotto, pesto la cipolla, metto le sommità fiorite, al posto dello zafferano, che è una piante medicinale.

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Con lo zafferano non si è sicuri di prendere esattamente quello, e ci vogliono tante piante, bisogno coglierlo e metterlo all’ombra. La calendula è una pianta medicinale specialissima, da allora da quando l’ha spiegata il dottore, l’ho sempre fatta, la coltivo, faccio con la calendula, la crema in casa. Ci metto tre cose speciali e poi quando vado al mare, le prendo come me, e me la spalmo, altroché le grandi signore che si mettono sul collo, per la cervicale, per questo per quello. Io ho dato questa crema a loro e sono rimaste entusiaste. Vogliono tutte questa crema. Ti spiego la storia. Quando sono andata al mare, con i pensionati di Trento, mi portano sul posto, c’erano due signori anziani. Il signore aveva i pantaloni lunghi. “Ma che fai con i pantaloni lunghi qui al mare”. Il signore si alza i pantaloni e dice: “Guarda, guarda”. Aveva tutte le gambe piene di piaghe, che facevano male e dice: “Sai, Giuseppina quante medicine ho preso in farmacia, ho speso tanti soldi, mi davano una crema di un tipo, poi un altro”.Gli ho detto: “Togli i pantaloni, vai giù nudo nel mare e lavati bene, e poi torna su, che ti do io la crema giusta, altro che quelle creme lì, che ti hanno rovinato”.Avevo una scatola di calendula, perché ne porto sempre una trentina di confezioni, sempre tutti gli anni, e ne ho dato una a questo signore. Gli ho detto: “Metti questa!”, e dopo non l’ho più visto, girava per la spiaggia. L’ho rivisto dopo due, tre giorni e mi dice: “Sai Giuseppina, mi ha fatto un gran bene, guarda, incominciano a seccare le piaghe”. E rispondo io: “Il prossimo anno che vengo, vi preparo delle scatole, perché c’è mia sorella che è piena di quelle cose lì, ha la psoriasi, e fanno un gran bene queste creme qui”. È rimasto entusiasta.Peccato non aver fatto la storia di questo.

D: Le motivazioni dell’uso delle piante? Sono a scopo economico, per risparmiare soldi, o motivo di gusto, perché ti piacciono, o motivo salutistico?R: Io scelgo le piante perché fanno bene, più le piante delle pastiglie che fanno un gran male.Ci vogliono certe pastiglie per certe malattie, ma sono migliori le piante medicinali che raccolgo io.

D: Quando vai a raccogliere, come raccogli le piante, che tecnica usi, in modo da non far male all’ambiente. E come si raccoglievano una volta, e anche adesso, si raccoglie insieme o da soli?R: Raccolgo da sola. Quando vado le raccolgo da sola, perché le conosco.Raccolgo le piante sempre all’ombra, raccolgo le sommità fiorite, e poi le prendo e le metto all’ombra. Le curo dall’erba, le metto su una “arela”, e le metto all’ombra quando sono secche le metto nei vasi, come hai visto.Le raccolgo soprattutto in Malga Campo, (ndr. a nord del Monte Stivo) in Bondone qualche volta, colgo le piante speciali, fra le quali l’arnica, che è preziosa e faccio l’unguento; fa bene per le botte, però va aggiunta dell’acqua, perché brucia. Sono speciali.

D: Nell’Alto Garda, raccogli solo a Malga Campo o anche in altri posti?R: No, a Malga Campo, o in Bondone, o nel mio orto, raccolgo le piante che vengono spontanee, da mangiare di tutto. Rosmarino, la salvia.

D: Cosa bisogna fare per non far male alle piante quando le raccogli?R: Si raccoglie sempre le sommità, oppure la radice. Ad esempio l’echinacea, raccolgo la radice quando ha fatto tutta la sua stagione. O quando è cresciuta la pianta raccolgo il fiore, lo metto a seccare e faccio la tintura madre. Quella è un immuno-protettore delle difese immunitarie.La prendo in autunno, incomincio, verso la fine di settembre-ottobre, e faccio la tintura madre e la do anche alla mia famiglia. Invece altre piante, le do ai miei nipoti, a mia figlia al marito e stanno

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bene tutti. Si passa tutto l’inverno senza tosse, raffreddori. Questa pianta è specialissima, la raccolgo la radice, la foglia, tutto e faccio la tintura madre.

D: Si raccoglie da soli, o si raccoglie anche insieme per andare per erbe?R: Per erbe vado da sola, c’era la figlia, purtroppo non c’è più, è morta. Andavamo insieme. Poi mi sedevo, riposavo, star lì a pulire tutte le piante, le portavo a casa in una busta di carta, e poi le mettevo sulla “arela” a seccare, all’ombra e poi le mettevo nei vasetti, sono specialissime queste piante.

D: Quante persone conosci, che raccolgono erbe?R: Pochissime. Conosco alcune persone, però quando vado a raccogliere specialmente in Bondone, ma di più in Malga Campo, ci sono famiglie o signori, che salgono per fare il pic-nic, e mi chiedono: “Cosa raccoglie signora Giuseppina?”. Io rispondo: “Raccolgo questa pianta, che fa bene per questo, o quello o quell’altro”. Rimangono entusiaste. Raccolgo anche la calendula, faccio la crema. Mi chiedono: “Ne hai?”, rispondo: “Sì, ne ho nella borsa, ne vuoi?”.Ne prendono due, o tre, che fa bene anche per le scottature solari, quando si va al mare.

D: Ma tu conosci altre persone che raccolgono erbe?R: Conosco poche persone. Quelle che mi chiedono, conoscono sì o no.D: A Massone, o ad Arco, ci sono persone?R: Poche, le più chiedono a me. Perché non sanno. Specialmente la “verza” che quel dottore ha spiegato, la pianta della verza, che fa bene per l’artrosi, ti aiuta tanto.Un giorno ho tirato forte un telo e ho preso uno strappo, un male... Ho preso la foglia della verza, come ha spiegato il dottor Pedro Benjamin, che viene dall’Africa; ho preso la foglia che guarda verso il sole, ho preso la parte esterna, ho messo le foglie nel canovaccio, ho schiacciato il torsolo, tagliato, le ho schiacciate e le ho appoggiate dove mi faceva male.Ho passato l’unguento di calendula e le ho lasciate lì per dieci ore, legando tutto con il domopak, poi una bella pezza di lana, e la mattina, mi sono trovata la spalla con l’acqua. Ha tolto l’infiammazione che hai dentro, la pianta della foglia della verza è antinfiammatoria, specialissima.

D: Conosci alcune ricette dove utilizzi le piante spontanee per mangiare? R: Sì, specialmente con la verza da far da mangiare.D: Ma la verza è una pianta spontanea?R: Pianti la piantina, poi cresce. D: Le piante che sono nei campi, tu le usi per mangiare?R: Sì ad esempio la piante chiamata “pisa n’let”, mi sfugge il nome. La primavera lo mangio, la radice la secco. La metto anche nel minestrone, metto la malva, e quella chiamata “pisa n’let”.D: Il minestrone come lo fai?R: Prendo tutte le qualità di verdura, sedano, prezzemolo, patata, cipolla, taglio tutto a pezzetti, rosolo, poi ci metto l’acqua e faccio il minestrone e fagioli.D: Quali tipi di erbe spontanee ci metti nel minestrone?R: Tutte quelle che ti ho detto: verza, sedano, prezzemolo, un po’ di tutto.

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Nago, 17 luglio 2017Intervista ad Angela Menegatti raccolta da Sara Maino

D: Ti puoi presentare?R: Mi chiamo Angela Menegatti, ho 45 anni, gestisco un negozio di generi alimentari, prodotti tipici del Trentino e della Val di Non e per passione ho intrapreso un percorso di studi di naturopatia e iridologia.

D: Qualti tipi di piante spontanee conosci?Sono di Nago e quindi conosco e vado a raccogliere le piante sul Monte Baldo. In primavera appena gli alberi mettono le gemme, è il mio segnale perché vuol dire che c’è l’asparago selvatico.Vado a raccoglierlo, e si raccolgono i primi gemmi; questo serve tanto come diuretico e depurativo. Subito dopo arriva il tarassaco, che noi chiamiamo “pissa nel let”, in dialetto; sempre una pianta depurativa, questa fa molto bene al fegato, e anche qui si raccolgono i primi piccoli fiori. Insieme al tarassaco si trovano anche le comedole, che sarebbe il buonernico, è uno spinacio selvatico. Questo fa parte delle piante depurative, sia diuretiche che per il fegato, però con la comedola, si può farne anche un uso culinario, dei buoni strangolapreti con le comedole, si fanno gli spinaci al forno, perché è un’erba che si presta molto anche a essere messa via, sotto aceto e olio. Sempre in primavera arrivano anche i butti delle vecce, non so come si chiamano in italiano, e con questi si possono fare anche dei risotti. Poi ci sono quelli che noi chiamiamo “sciopetti”, mi sembra sgrisoli in italiano. Sono quelli che fanno i fiorellini più grandi, e fai il bollo sul braccio. Dici: “Bol, bol fame bèl” e ti fai il bollo sul braccio. Sono ottimi da fare il risotto. Non me ne vengono in mente altri.

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I “ciuccia bombi” è una pianta che a guardarla in fretta può assomigliare all’ortica. E’ pressappoco grande uguale, ha le stesse foglie e stesso colore, è anche questo ha un fiorellino come l’ortica, solo che i “ciuccia bombi” hanno un fiore più grande e quando tu lo strappi, l’estremità è molto dolce, lo metti in bocca e succhi è molto dolce. Questo fiore ce lo faceva sempre succhiare il mio papà, è da lui che abbiamo imparato a conoscere il “ciuccia bombi”.Gli “embriaghei” si raccolgono sul Monte Baldo, li ho visti solo lì; è una piantina molto piccola, grande come una fragola selvatica, e fa queste bacche rosse, al cui interno trovi un ossicino, ed è molto dissetante; non ne conosco le proprietà, forse diuretica, però è dissetante, se hai sete e trovi questa piantina può dissetarti.Il pungitopo, è l’asparago selvatico quello che noi andiamo a raccogliere in primavera, assieme all’asparago da monte. Due sono gli asparagi in primavera, l’asparago del pungitopo e l’asparago selvatico da monte.La “merda gatta”, non so come si possa chiamare in italiano, è un frutto che viene fatto da un arbusto, non è un albero, questo arbusto ha foglie ogivali, color verde chiaro, fa queste bacche, che inizialmente sono rosse, e rosse non sono buone da mangiare, poi diventano nere e allora sì sono buone da mangiare. Sempre all’interno hanno un osso, e di questa “merda gatta” va ghiotta la faina, infatti se si trovano escrementi di faina, contengono sempre le ossa della merda gatta.Poi conosco la Chelidonia, di questa so il nome in italiano, che è quella pianta, che principalmente si trova sui ruderi, sui muretti. E’ una pianta che fa un fiorellino giallo, da questo fiorellino nasce un baccello con dei semini, del quale sono ghiottissime le formiche. Questa pianta quando tu la strappi emette un liquido giallo, e va benissimo per curare le verruche, la strofini sopra le verruche per almeno una decina di giorni, e la verruca ti passa.La piantaggine, so di mio che è una pianta ricca di mucillagine e va benissimo per la tosse, ma a me è molto simpatica perché la lego a un aneddoto. Il mio papà con la piantaggine ci faceva i cestini piccolini, quando noi eravamo delle bambine, ci mettevamo le fragoline, queste bacche. Quindi è più una simpatia che ho per la piantaggine, per questo ricordo. Mi ricordo anche che con mio papà, sempre in primavera, andavamo a raccogliere il nocciolo, perché fa dei butti lunghi, poi si metteva in ammollo nell’acqua, e papà ci faceva dei fischietti, fischietti con un buco, con due buchi, addirittura quasi dei flauti.Da piccole prendevamo un rametto di ruta e succhiavamo le foglie.

D: Adesso che abbiamo iniziato ad evocare, potresti raccontare come hai conosciuto le piante alimentari e da chi?R: Ho conosciuto le piante alimentari, perché mio papà ha avuto la grande fortuna, immediatamente alla fine della seconda guerra mondiale, di collaborare con un botanico, lo chiamavamo lo “speziale”, che era venuto qui per lavorare con le erbe del Monte Baldo.Non essendoci uomini in paese, perché la guerra li aveva portati via tutti - ne erano tornati veramente pochi - c’era questo ragazzino, cioè il mio papà, che conosceva il tedesco perché era stato arruolato durante la guerra nella Todt (impresa di costruzioni che collaborava con l’organizzazione militare tedesca), e quindi su segnalazione della gente del paese, gli fu presentato questo “speziale”. All’inizio mio padre, non era tanto contento di fare da guida a questo speziale perché non capiva l’interesse che aveva per le erbe del Monte Baldo, lo fece solo dietro consenso, dietro soldi, perché veniva pagato mio papà e quindi dopo la guerra l’occasione di guadagnare due soldini faceva comodo. E così il mio papà ha collaborato con questo tedesco per più di un anno, e piano piano, o per voglia, per interesse, per curiosità, ha acquisito da questo tedesco, che era molto generoso, tutta la conoscenza delle piante, e delle erbe medicinali, cosa curavano, quando bisognava raccoglierle, come fare ad essiccarle, e poi questo tedesco ha insegnato a mio papà a raccogliere molti funghi.

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Mio padre tra l’altro era stato segnalato dalla gente del paese al tedesco perché aveva un’ottima conoscenza del Monte Baldo, perché ci portava le mucche al pascolo, e poi lui proprio di passione, amava camminare. Partiva il mattino all’alba per recarsi sul Monte Baldo e ci tornava la sera, era un grande camminatore e quindi il Monte Baldo lo conosceva come le sue tasche. Anche se questo tedesco gli indicava una località dove voleva essere portato, mio papà la conosceva, perché conosceva veramente bene il Monte Baldo. A noi ci è arrivata la conoscenza sia dal Monte Baldo, perché anche noi lo conosciamo abbastanza bene, ma di tutte queste piante, da parte di mio padre, perché lo abbiamo sempre visto a raccoglierle. Siamo sempre andate a raccogliere con lui, e quando eravamo piccoline ne abbiamo mangiate veramente tante di piante spontanee del Monte Baldo. Un aneddoto mi ricordo, proprio sulla conoscenza di mio padre della malva, quale pianta mucillaginosa che cura la tosse: io avevo 3, 4 anni e avevo questa tosse che persisteva e non c’era modo di farmela passare, la malva mi ha effettivamente guarita dalla tosse, dove la medicina convenzionale non arrivava.Un’altra cosa che ricordo benissimo era il fatto che appena il mugo metteva le gemme nuove, noi andavamo a raccogliere le gemme del mugo per poi metterlo nello zucchero e farlo macerare una quarantina di giorni al sole, dentro un’anfora, un contenitore di vetro. Lo lasciavamo macerare e lo giravamo quotidianamente, e da queste gemme di mugo ottenevamo uno sciroppo che era anche questo buonissimo contro la tosse, molto efficace. Addirittura mia sorella, che è sempre stata brava anche nel disegnare, aveva tenuto un quaderno dove disegnava le piante e i fiori che raccoglievamo e a fianco ci metteva la nota, il periodo della raccolta, quando era il momento di farle essiccare, come conservare e poi soprattutto a cosa servivano, sia a uso medicinale che a uso culinario. Purtroppo di questo quaderno non abbiamo più notizie, lo abbiamo perso, è un grande peccato perché era veramente un bel ricordo. Forse c’erano segnate piante che ad oggi a memoria non ricordo.

D: Potresti descrivere il momento della raccolta?Quando penso alla mia infanzia, i momenti più belli sono propria la raccolta delle piane spontanee che facevamo con mio papà e le mie sorelle. Era un rito, si raccoglieva rigorosamente con un cestino di vimini, magari fatto da mio padre. Non si strappavano assolutamente le piante, alle piante bisognava portare rispetto, e raccoglierle con le mani, raccogliere il necessario. Papà ci diceva sempre: “Se la pianta la strappi, la rovini, la sciupi, il prossimo anno non ci sarà, e noi non potremo raccoglierne i suoi frutti, le sue erbe. Quindi si raccoglieva con le mani molto delicatamente. Tramandato da nostro papà, ho un grande rispetto per la natura. Mio padre aveva imparato grazie allo speziale che la natura ci offre tutto, basta saper conoscere la natura. Se hai bisogno di una pianta per una determinata malattia, in natura la trovi. La cosa fantastica è che è alla portata di tutti, e non costa niente. La natura è estremamente generosa, ci offre un sacco di opportunità per guarirci e per curarci, sempre però se la rispettiamo, se non la rispettiamo, purtroppo andiamo a sciupare un patrimonio immenso che la natura ci offre.

D: Ti viene in mente un libro, mentre parli di questo argomento, che puoi citare?R: Un libro, in particolar modo no, ne ho letti tanti, dalla natura che cura, alla natura a portata di tutti; ce ne sono tanti sulla flora del Monte Baldo, ne conosco tanti.

D: Quante persone conosci, oggi, che raccolgono le erbe, puoi raccontare dalla tua esperienza formativa?R: Ad oggi, purtroppo, le persone che raccolgono le piante, sono rimaste veramente poche. Faccio un esempio, io ho frequentato la scuola di naturopatia a Trento, la Costacurta, ed eravamo circa in

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45 in classe, certo non eravamo tutti della stessa età, c’erano giovani e meno giovani. Ma comunque su 45 persone, se eravamo in 3 che conoscevamo le erbe, eravamo in tanti. Infatti nelle lezioni di fitoterapia pochissimi conoscevano le piante, neanche se l’insegnante mostrava le figure, dicevano in tanti: “Io questa pianta qua non l’ho mai vista, non la conosco”. A oggi, come oggi, conosco una sola persona che è un raccoglitore, che è Ferruccio Valentini della Val di Non, ma lui è una persona di una certa età. Ha 70 anni. Io credo che purtroppo, stiamo perdendo questa conoscenza delle piante, le persone che le raccolgono sono rimaste veramente in poche, stiamo perdendo una grande conoscenza e patrimonio.

D: Dal tuo punto di vista, quindi, le motivazioni per cui le persone che rimangono raccolgono le piante quali sono? Sono motivazioni economiche, costa fatica, ma le hai nei campi, sono una motivazione di gusto, perché sono buone, hanno una certa proprietà, o motivazione di cura?R: Secondo me, al giorno d’oggi, le persone che raccolgono ancora le piante officinali, lo fanno, primo perché abbiamo veramente una vastità di erbe sui monti incredibile, con la quale ci possiamo nutrire gratis, cambiando menù ogni giorno; poi lo fanno perché veramente è una grande passione, ed è bellissimo passeggiare con il proprio cestello di vimini, tra i prati, tra i boschi, nel silenzio della natura, incontrando qualche animale, nel bosco; è proprio un rilassare la mente, corpo, anima, passeggiare nel bosco con la meta di andare a raccogliere qualche erba medicinale; e poi lo si fa anche, quello di andare a raccogliere, forse nel vano tentativo di suscitare un interesse in qualcuno, che magari ti chiede, “ma dove l’hai raccolta, come si fa a raccogliere”, e forse si riesce a tramandare qualcosa. Suscitare un interesse verso un argomento che sembra ai giovani d’oggi non interessare più. Tra i giovani d’oggi nessuno prende un cestello e va per erbe. Quindi si cerca un attimo di attivare una curiosità.D: Come fai tu? Tu fai qualcosa per attivare questa curiosità?R: Sì, io sono anche una rompiscatole, perché quando vedo qualcuno che ha qualche cosa… che tossisce, ha raffreddore, ha mal di schiena, allora, entro io, l’antipatica di turno, che se ha mal di schiena: “Ma metti, l’unguento di arnica”, se ha la tosse gli dico: “Ma prendi la piantaggine, uno sciroppo di malva”. Io continuo a dare i miei rimedi con le piante.

D: Conosci alcune ricette, con le piante alimurgiche, piante spontanee, se sì puoi descriverle?R: Conosco alcune ricette con le piante officinali, medicinali, tramandate da mio padre, e anche da mia madre, che era un’ottima cuoca che sapeva trasformare questi cesti di erbe che noi portavamo in baita quando eravamo in montagna in cibi meravigliosi.Ricordo il risotto con gli asparagi di montagna, che viene veramente con un gusto buonissimo, tutte le frittate che la mamma ci faceva con gli asparagi, con il tarassaco famoso “pissa nel let”, con le comedole, cioè il Buon Enrico, e anche alle volte mescolava. Ricordo i fiori della borragine, che la mamma ci metteva nell’insalata per farla diventare buonissima.

D: Conosci storie, leggende, canti, proverbi, filastrocche sulle piante?R: Di canti, proverbi sulle piante adesso come adesso, mi viene in mente solo la storiella che noi facevamo con gli sgrisoli, perché all’interno hanno un acino, un po’ più grande, tu te lo metti sulla pelle, pigi e dici: “Bol, bol, fame bel, bol, bol fame bel”, se sulla pelle si forma questo bollo fatto dalla pianta degli sgrisoi, allora magari se tu hai espresso un desiderio, vuol dire che si avvera, queste sono cose da bambini. Oppure quello di sfogliare le margherite, il classico “M’ama, non m’ama”. Altre cose non ricordo con le piante.

D: Raccontami cosa facevate, ancora tramandato da tuo padre, con la piantaggine?

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R: Era bellissimo, con la piantaggine nostro papà ci faceva questi cestini, fatti con una cura, una precisione, io e le mie sorelle, facevamo a gara, per andare a raccogliere più possibile piantaggine, e dire: “Papà, papà, ce n’è ancora, ne abbiamo trovata ancora”, perché non volevamo finisse mai di farci questi cestelli. Purtroppo noi questi cestelli non ce li abbiamo adesso ed è una grande tristezza, perché erano fatti veramente bene, poi eravamo in un ambiente, sdraiate sul prato, al sole, io e le mie sorelle che correvamo di qua e di là come cani liberi dal guinzaglio, per cercare più piantaggine possibile, perché papà ci facesse più cestelli possibili. E papà ci assecondava, non si stancava mai, anche dopo il settimo, ottavo cestello, era lì pieno di spirito a dire; “Sì, sì, bimbe, portatene ancora che vi faccio l’ennesimo cestello”.

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Molina di Ledro, 7 agosto 2017Museo delle PalafitteIntervista a Francesco Rigobello raccolta da Sara Maino

D: Ti chiederei, per cortesia se ti puoi presentare, nome e cognome, la tua attività e la tua specializzazione e anche l’età.R: Io mi chiamo Francesco Rigobello, lavoro al MUSE di Trento, al Museo di Scienze Naturali di Trento, faccio il botanico, ho ormai passato i 50 di un bel po’, ne ho 56. Sono uno dei pochi, da questo punto di vista, che si ricorda le cose di una volta, perché sono figlio di contadini. Per mestiere, facendo il botanico, mi interessa, mi incuriosisce tutto quanto quello che riguarda le piante, i fiori, le erbe, non solo nell’accezione scientifica, ma anche nell’uso pratico e nei ricordi di quello che era la vita di una volta che oggi purtroppo in parte abbiamo perso.Mi occupo soprattutto di mediazione culturale, cioè della parte pubblica della botanica, e in questa ottica, anche nell’interesse mio personale, ho sempre approfondito tutto quanto riguarda gli usi e le tradizioni sulle piante e sulle erbe nostre.

D: Quali tipi di piante spontanee conosci?R: Nella conoscenza delle piante spontanee bisogna distinguere tra: la teoria, visto il mestiere che faccio, cioè il botanico e che ho approfondito per piacere mio, e l’uso e il ricordo di quello che si faceva a casa mia e che in parte faccio anch’io.La teoria è ampia, la pratica in realtà è molto più ristretta, questo perché nella mia famiglia si raccoglieva per esempio il tarassaco, come si raccoglievano le primule eventualmente, come si raccoglieva l’edera terrestre, la valerianella. Essendo io di origini venete, quello che si faceva era andare per il famoso asparago da bosco, che in Trentino sono i germogli dell’aruncus dioicus; lì da

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noi erano i germogli del Ruscus aculeatus del pungitopo. In Trentino non si possono raccogliere perché è vietato, in Veneto invece non era vietato.Le altre piante più comuni, erano i germogli del luppolo, le punte delle ortiche, i famosi “sciopeti”, o Strigoli, cioè i germogli della Silene, queste erano le piante commestibili, che venivano mangiate.Poi c’era una piccola parte di medicinali, ma l’uso non era così ampio in realtà; perché quello che si faceva, parlo della mia storia a casa mia, si usava tanto l’orto quando si poteva, e all’inizio della primavera, dopo l’inverno, alla prima occasione era partire subito e andare a raccogliere il tarassaco e la valerianella, le due cose principali che si trovavano in abbondanza, ai quali poi si affiancava no ortiche e altre cose del genere.Questa è la parte più pratica, più immediata. Venuto ad abitare in Trentino, a queste, che sono piante essenzialmente di collina, ho aggiunto lo spinacio di monte, il Buon Enrico, gli asparagi di monte, Aruncus dioicus; a questo si è aggiunto poi il radicchio dell’orso, Cicerbita alpina, quel tipo di piante più legate alla Val di Ledro, dove ci troviamo adesso, che non nella mia zona di origine, vicino a Schio, in provincia di Vicenza. È un uso in più, è un qualcosa che dà gusto e sapore, mentre quando ero giovane, anche se ridotta era un’esigenza, perché ti trovavi dopo l’inverno, dove verdura fresca non ne avevi.

D: Legandoci proprio alla tua affermazione, mi puoi parlare della motivazione dell’uso di queste piante: motivo economico, di gusto, di salute.R: Attualmente è più che altro uno sfizio, un gusto diverso, un po’ una cosa che dà l’avvio alla primavera, non è più una necessità, come nel caso dei contadini, che dipendevano da quello che riuscivi a coltivare al momento: ti trovavi dopo l’inverno a non averne di verdura fresca, quindi la verdura spontanea diventava un modo di ripartire, un gusto di mangiare qualcosa di fresco.Adesso che la vita è diventata più comoda per tanti versi, supermercati e affini, verdura fresca ne hai sempre. Tralasciamo la qualità… però ne abbiamo sempre. Quindi il voler aggiungere o mangiare piante spontanee è uno sfizio, non nel senso negativo, ma un qualcosa in più che uno fa un po’ perché gli piace quel gusto diverso e un po’ perché bene o male arriva dalla tradizione, ma diventa sempre una cosa occasionale. Non è più come un tempo, quando raccoglievi dieci chili di tarassaco, per mangiarne più di una volta: adesso quando ne hai mangiato due volte basta, perché è amara perché è aspra, e perché non hai bisogno di mangiare quello. Diventa un qualcosa che dà gusto, che dà un sapore particolare, che non trovi più nei sapori che ti passa il supermercato, che sono standardizzati, tutti uguali l’uno all’altro.E anche hanno in parte perso, quell’aspetto di necessità che c’era una volta, cioè quella di ri-mineralizzarsi, di riavere vitamine, di avere verdura fresca all’inizio della stagione.Perché le cose che si raccolgono di più in generale sono proprio i germogli, le piante quando partono, anche perché i germogli in generale sono la parte meno velenosa delle piante, benché sia possibile avvelenarsi lo stesso da una determinata pianta.

D: Come le hai conosciute le piante spontanee, da chi?R: La mia conoscenza delle piante spontanee è più legata al fatto che avevo campagna, e andavo da piccolo con la mia mamma a raccogliere le erbe in primavera. Questo è la prima cosa, a questo si aggiungeva la lezione quando si andava in giro con il papà, che diceva: “Guarda questo, puoi masticarlo, è saporito, quel frutto puoi mangiarlo”, e in questo modo le prime basi sono queste, dopo su questo si è instaurato ovviamente lo studio, la conoscenza. Che significa anche affrontare piante cui nel primo momento non ci facevi caso, perché più o meno, si usano quelle 4, 5, 6 erbe scelte, sei, sette erbe per uno appassionato, per mangiare, altre sei sette, quattro, cinque per medicinali. Quello è il mondo, anche se in teoria si sa che le altre sono buone, questo hai.

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Su questa base di esperienza di bambino, poi dopo ci ho aggiunto tutto quello che ho studiato per interesse proprio. Il fatto di non limitarsi a studiare per classificare ma ripescare, riconoscere gli usi, ascoltando anche la gente. Io faccio lezione ad esempio, all’università della terza età: io parlo dico la mia, ma ascolto anche le osservazioni della gente, cosa mi dice, ad esempio: “Noi questo lo usavamo, da piccolo lo mangiavo, come mai...”, Prendiamo ad esempio il tasso, l’albero della morte. Tutti mi dicono: “Ah da piccolo, io mangiavo i frutti”, sì, il rosso è l’unica parte non velenosa, tutto il resto è velenoso. Quindi diventa uno scambio anche con i discenti, la lezione resta teorica in parte, nel senso che il frutto mai lo provi, però si sommano i dati che tu hai, per creare quell’ampio bagaglio di interessi personali, perché alla fine si tratta di questo. Su queste basi approfondisco anche lo studio scientifico, quindi libri, libretti e cose varie. Anche perché ogni anno, bene o male ogni anno mi chiamano nei pronto soccorso degli ospedali trentini un tot. di volte, perché soprattutto in primavera, quando la gente incomincia ad andare in giro a raccogliere le erbe, c’è chi raccoglie il bulbo del colchico al posto dell’aglio ursino. Chi si mangia i germogli dell’aconito al posto della silene.Sbagliando a raccogliere rischiano anche la vita tante volte. Perché a parer mio c’è stato questo cambiamento: prima si dipendeva in tutto per tutto dalla natura, sia per un discorso alimentare, che per quello medicinale. Poi sviluppo, grandi costruzioni, tutti “ricchi”, ma insomma benessere, la natura non ci interessa più perché è da poveracci quindi l’abbandoniamo; passo successivo torniamo alla natura. Ma si torna senza sapere cosa si fa. E c’è questo mito, non per tutti ma per tanti: “Se è naturale è buono”. In realtà no, la natura se ne frega di noi, se è naturale devo sapere io com’è, non è buono solo perché è naturale.Oppure quelli che prendono il libretto in mano e diventano erboristi. Vanno in cerca delle piante commestibili sul primo libretto che trovano. E capita spesso che si avvelenano.Bisogna riprendere la conoscenza non solo teorica ma anche nella pratica e quindi bisognerebbe parlare con quei pochi che ce l’hanno, e soprattutto ricominciare un po’ alla volta lasciando perdere quest’idea che “naturale” uguale “buono”. Naturale uguale a naturale, punto.

D: Dal tuo punto di vista, quant’è la percentuale di questa perdita della conoscenza, in questa cambiamento che hai evidenziato?R: Secondo me è elevatissima. Nel passaggio che c’è stato da quando si dipendeva ad oggi, abbiamo perso. Mi metto dentro anch’io: neppure io non so tutte le cose che sapeva mio nonno. E’ questo che voglio dire, abbiamo perso tanto di questa conoscenza, proprio perché è stata abbandonata ed era vista come inutile e soprattutto non moderna. Adesso a ripescarla o ci si improvvisa, e diventa un pericolo, oppure non si sa proprio quello che si fa. Mi sono capitati bambini che non conoscono le ortiche, non sto parlando di chissà quali piante, lasciamo perdere se sono commestibili, che venivano usata per altro, ma il non sapere che questa è un’ortica! Non stiamo parlando di piante rare, l’ortica la trovi anche in città, in qualunque angolo. Quindi se il livello è questo, il pericolo è il fatto di diventare esperti sul libro. Ognuno sa le sue, non essendo né erboristi, né botanici. Io sono un botanico, non sono un erborista. Io dico questa pianta, per la mia esperienza è buona, potete mangiarla, quest’altra potrebbe esserlo, però io non lo so, non è il mio mestiere, e non la uso, e non faccio lezioni di erboristeria, perché non è il mio mestiere, e non so soprattutto come viene recepito dall’altra parte, con quale attenzione, con quale precisione, capendo cosa. Mi sento sempre a rischio, perché se qualcuno crede di capire un qualcosa di sbagliato, dopo sono io “responsabile”, anche se non è questo che voglio fare; “Ma io parlavo di un’altra pianta”, “Eh, ma si assomigliano”. C’è anche questo principio di prudenza che dovrebbe essere recepito

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dalla gente, come dicevo prima non è vero che la natura è buona, la natura è indifferente. Sono due cose diverse però.

D: Tu conosci o indichi tecniche di raccolta? Come si raccoglieva? Insieme? Ci sono indicazioni specifiche per raccogliere queste piante?R: Raccogliere le piante è sempre un problema per certi versi, nel senso che ci tengo alle piante, e vorresti non far danni. Il che vuol dire apprendere anche delle tecniche, quando è possibile. Esempio semplice: del pino mugo si usano le gemme per fare lo sciroppo di mugo. Al posto delle gemme è possibile usare le pigne verdi. Se prendi le pigne verdi elimini una parte del prodotto annuale, se prendi la gemma elimini il ramo. Il tipo di danno è molto diverso, quello delle gemme è un danno effettivo, quello della raccolta delle pigne, visto che alla fine in ogni caso la percentuale della raccolta è minima, sul totale è un danno molto, molto relativo. E questa è una cosa. L’altra cosa, sono un po’ odiosi - forse è una parola esagerata - quelli che lo fanno di mestiere. Se uno va a raccogliere il classico radicchio dell’orso, invece di andare a raccogliere uno o due chili, per metterselo via, ne va a raccogliere venti, trenta, quaranta chili, per poi venderlo, è ovvio che raccogliendone i germogli, in questo caso una persona raccoglie come dieci persone. Però è uno e ha fatto danni come se fossero dieci. Quindi la quantità e il tipo dovrebbero essere di uso personale, visto che al giorno d’oggi non è più una necessità, ma è uno sfizio. Anche le quantità di raccolta dovrebbero essere modeste, perché dovrebbero andare incontro all’esigenza del momento, al gusto, soprattutto per il fatto che le piante selvatiche sono buone fresche. Dopo se si comincia a conservarle e altro, da cosa si differenziano da quelle di allevamento, da coltivazione? Niente. Allora non ha più senso, perdono gran parte del senso.Poi, il raccogliere dovrebbe essere finalizzato alla parte: se mi servono i semi di cumino, che mi servono per aromatizzare, è inutile che strappi la pianta. Raccolgo i semi, se qualcuno resta lì, meglio, perché contribuisce a diffonderlo. Ci sono due modalità: posso andar a strappar la pianta, per dire poi lo secco a casa e con comodo tolgo tutti i semini, o vado con la mano e tiro su i semini, di cento ne raccolgo sessanta, va benissimo, passo alla pianta dopo, altri sessanta alla fine delle mie due o tre orette ho il mio sacchettino di semi di cumino, le piante sono tutte in loco e quindi l’anno prossimo daranno altri semi. I semi così son rimasti per diffondersi, il danno è una cosa relativa. Il danno che può fare una persona al giorno d’oggi in realtà è relativo, perché son pochi quelli che vanno, anche questo ha influenza. Il tarassaco, nessuno si fa più problemi di far danni raccogliendolo, il problema invece è non raccoglierlo in posti sbagliati, ad esempio sotto le coltivazioni, in mezzo alle viti, in mezzo ai meli, dove probabilmente avrà sopportato qualche trattamento, e quindi diventa un gestire le cose in questo modo. Non credo che il singolo, con un po’ di buon senso, possa far tanti danni, sono fiducioso da questo punto di vista, mantenendo l’uso personale, famigliare. Non il farlo per mestiere o per reddito, in quei casi fai danni per forza perché quello che ti interessa è la quantità a prescindere da tutto.

D: Quante persone conosci che raccolgono le piante spontanee?R: Che raccolgono piante spontanee ne conosco abbastanza, purtroppo sono sempre gli stessi, raccolgono quelle due, tre piante spontanee, per la maggior parte che va dall’ortica, allo spinacio di monte, al chenopodio, oppure alla silene, al radicchio dell’orso, queste sono le tre, quattro piante più raccolte, e più o meno che fanno questo, per la mia esperienza sono tantini, ce ne sono abbastanza di persone. Più in là non si va.Son due ottiche diverse: chi ha la conoscenza perché la ha dalla famiglia, da giovane o da bambino, prende quelle tre, quattro piante, si fa la frittata, si fa l’insalatina, le fa lesse e se le mangia. Chi ha le nozioni raccolte o acquisite attraverso i libri, allora incomincia con le stranezze, e lì dove va poi a sbagliare e a raccogliere cose varie. Normalmente la gente che ne fa uso prende sempre le solite

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piante per due, tre, quattro volte da fare in casa. Dopo magari fanno il vasetto da metter via, di radicchio o di altro, ma sono sempre quantità limitate perché è un qualcosa in più, un gusto in più da aggiungere al momento, e da aggiungere anche durante l’estate, o l’inverno ai vari antipasti alle varie cosine da far assaggiare, ma è un qualcosa in più.

D: Se conosci delle ricette, e se le sai se ce le puoi descrivere brevemente?R: Delle piante la parte che viene raccolta sono i germogli, perché anche nel caso di piante velenose i germogli sono la parte, essendo fresca, nuova, che contiene meno sostanze velenose.C’è chi raccoglie - io non lo faccio - i germogli del tamaro, è una specie di liana rampicante che fa delle bacche rosse, ed è velenosa. C’è chi raccoglie questi germogli facendoli bollire un paio di volte, la gran parte della parte velenosa se ne va e poi te li mangi.Della stessa pianta, la radice è usata per fare impacchi contro i reumatismi, dolori di schiena, perché scalda, ovvero contiene delle sostanze caustiche dentro. Scaldare, o bruciare siamo lì, e queste sostanze caustiche son veleni ovviamente, ci sono dentro in tutta la pianta, ma nei germogli ce n’è molto meno, e quindi è possibile mangiarli senza gravi danni o senza che ci siano problemi. I germogli in generale, le parti nuove son quelle meno velenose. Bisogna star attenti anche lì, un conto è mangiare, come dicevo prima, un germoglio, un conto è andare a raccogliere i germogli dell’aconito che è una pianta velenosa di suo, se sbagli tra un germoglio o l’altro… il rischio, è proprio perché sono germogli, sono piante piccole dove le foglie non sono ancora ben definite, è più facile far confusione e sbagliarsi, è anche un motivo per cui si usano quelle quattro, cinque piante che si conoscono, nel senso che vai sul sicuro; non si diventa non dico botanici ma neanche conoscenti della flora, che sia per un discorso alimentare, o discorso medicinale o altro, solo leggendo sul libro, perché sul libro c’è la fotografia bella, che dopo in realtà la pianta non è così, mai, non è mai come sul libro la pianta. Finché va bene, va bene, quella volta che sbagli, finisci all’ospedale, in rianimazione, ne capitano ogni anno, chi sbaglia per una cosa per l’altra, quindi c’è da stare attenti.Mi è capitato andando in giro con turisti, gente, camminando, così mostrando un po’ di piante, di dire: “Questa è la daphne”, che è una bella pianta con dei fiori profumati, il miglior profumo che ci sia in natura, poi fa delle bacche rosse. Tant’è buono il profumo, tant’è velenoso il frutto, è una pianta caustica, quindi te ne accorgi, per carità! La metti in bocca, e subito ci si gonfia tutto, rischi di morir soffocato, quindi avvelenato. Questa è la Daphne, questo è il lampone, il lampone potete mangiarlo, l’altra è meglio lasciarla perdere. Tempo di girarmi, “Ah guarda che bel frutto, posso….”, “No, lascia stare, ti ho appena detto che con quello finisci all’ospedale”. O non mi hanno ascoltato, o non mi hanno osservato: neanche cinque minuti, stava per raccogliere la pianta, che non era assolutamente buona.L’altra alternativa - e ci sono anche quelli - è non mangiare niente di niente, neanche assaggiare; la natura è una cosa da conoscere al supermercato e basta, perché li è garantita. Sono sbagliati tutti e due i rapporti, però, come dicevo, l’attenzione deve esserci.Dall’altra parte, per quello che vedo io, c’è anche un desiderio di conoscere, perché vado in giro con la gente e un po’ li accompagno, mostrando, e camminando mi piace dire “questo serviva per fare una cosa, con questa condisci, questa è buona da mangiare, quell’altra ha radici succulente, quell’altra serve come medicinale”; la gente ha il desiderio di guardare e di conoscere, ma anche persone che erano convinte di conoscere una cosa, se ne rendono conto dopo averla toccata e guardata dal vero: non il libro, guarda le piante, “Ah adesso la conosco”. Mi tocca quasi ogni settimana, con la gente d’estate. E’ diverso, il vedere dal vero che vedere sul libro, e c’è un desiderio di conoscere. E’ quando si cade nell’errore di prima: natura uguale bontà, bello, la natura ci vuol bene ci ama, invece no.

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Passeggiando all’esterno del MuseoR: Al Museo delle palafitte da un po’ di anni sono state piantate alcune piante legate ai ritrovamenti fatti proprio nella palafitta. Quindi di queste piante, sono stati trovati o i semi o i resti, ed erano piante usate essenzialmente come alimento, 4.000 anni fa. Ne abbiam piantate raccogliendo le piante selvatiche in natura, non sono tutte ma danno un’idea degli usi che venivano fatti. Tra cui, una ne abbiamo davanti, è il corniolo, del corniolo è stato trovato su tutta la parte delle palafitte, è stato trovato uno strato di dieci, venti, trenta centimetri, cioè avranno raccolto migliaia di questi frutti perché di sicuro li mangiavano come frutta, di sicuro non si facevano marmellata, ma si ipotizza addirittura che li facessero fermentare per ottenere un vinello, un liquorino, tipo il sidro con le mele.

Abbiamo il corniolo, che oltre a questo usavano il legno, è uno dei legni più duri, veniva usato per attrezzi o cose del genere. Dopo il corniolo abbiamo il crespino. Il crespino è un’altra pianta sempre dei nostri boschi, fa delle bacche rosse anche queste commestibili, ricchissimi di vitamina C, si possono mangiare anche i germogli, le foglioline tenere in primavera. Oltre a questo per esempio il crespino, fino agli anni ’40 veniva raccolto, in questo caso raccoglievano le radici e veniva usato per colorare di giallo la lana. Se si toglie un po’ di corteccia, sotto vien fuori il giallo, è un legno molto, molto giallo che si vede già da subito.

La lantana o merdagatta, il nome fa un po’ ridere ma è legato alla puzza che fanno i fiori. Anche in questo caso per noi che siamo diventati moderni, civili e delicati, ci fa venire un po’ il mal di pancia, ma se parli con gli anziani, noi bambini ce li mangiavamo i frutti eccome! Ma oltre a questo la pianta, visto che i getti nuovi sono getti dritti, venivano usati per fare le frecce. L’uomo di Similaun aveva con sé le frecce fatte con il legno della lantana, è un legno elastico e quindi veniva intrecciato per fare cesti, legacci, cose del genere. L’uso non era mai singolo, c’erano tantissimi usi legati alla stessa pianta, veniva usata per tutto quanto poteva essere usata e in modo giusto. Abbiamo le betulle, il legno elastico, venivo usata per gli sci una volta, ma ancora prima le radici venivano fatte bollire per ottenere una specie di colla, usata per fissare le frecce, mescolata con altre

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sostanze, altre resine altre cose. La corteccia, sappiamo che si desquama. Mio papà da piccolo, e mio nonno facevano ancora le scatoline con la corteccia di betulla. È tratto dalla letteratura poi in parte dal vero. Come pianta officinale, anche al giorno d’oggi viene raccolta la linfa, che è usata come depurativo. Nei paesi del nord veniva raccolta la linfa, che fatta addensare e ripulita e lavorata ottenevi l’equivalente dello zucchero, l’equivalente dello sciroppo d’acero del Canada, che tutti conoscono, si ottiene lo sciroppo dalle betulle. Le gemme e le foglie sono “ commestibili”, si possono usare per aromatizzare la grappa. Meli, peri selvatici, stesso discorso, il fico selvatico, il melo selvatico, pero selvatico, venivano usati. L’uva selvatica, che non è come quella del giorno d’oggi, perché noi siamo abituati a pensare all’uva con i grappoli grandi, che fa vino. L’uva selvatica era in realtà molto piccola, pochi grani, non facevano il vino, perché non riuscivano ad aver ancora il grado, ma l’uso c’era. E di queste piante si son trovati tutti i resti, non solo di queste ma a queste possiamo aggiungere, ad esempio il sorbo dell’uccellatore e il sorbo montano, altre due piante che fanno delle bacche dai frutti rossi che sono commestibili. Commestibili non vuol dire buoni, vuol dire che si possono mangiare. Gran parte delle rosacee fa frutti commestibili, infatti oltre ad esempio ai sorbi, abbiamo anche il biancospino, fa frutti commestibili che non per forza sono frutti buoni. Ma erano frutti che ad esempio venivano mescolati, raccolti, seccati, macinati e diventavano una farina dei contadini di una volta, perché fino al Medioevo e Rinascimento anche chi coltivava il frumento non mangiava il pane bianco, il pane bianco fino alla prima guerra mondiale era un sogno, mia mamma mi raccontava che da piccola si sognava il pan bianco.Perché non lo vedevi mai. Chi faceva frumento lo vendeva per avere due soldi e si faceva il pane con tutto quello che in qualche modo usabile e mangiabile, tra queste in qualche modo entravano tutte le bacche soprattutto le bacche dei rosacei. Il biancospino anche questo fa frutti rossi commestibili che non li usi mai per fare la marmellata, però raccoglierli seccarli e poi usarli per farsi l’infuso, son buonissimi ricchi di vitamina C e in compenso ti danno anche una valenza medicinale continuano e collaborano a mantenere stabile la pressione.

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Fig. 2 Crespino

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Il biancospino è rinomato anche per quello, ma anche il legno del biancospino è legno duro che veniva usato per rastrelli, ingranaggi, cose dure. Il sorbo dell’uccellatore, i frutti che sono lo stesso commestibili, ad esempio in Germania lo distillano e fanno una grappa con il sorbo dell’uccellatore, qui da noi è usato per gli uccelli.L’uso che veniva fatto delle piante era molto più ampio. Il sambuco, c’è anche quello. Il sambuco fa delle bacche nere che sono commestibili solo dopo cottura. Siamo delicati, come dicevo prima e quindi a mangiarne troppi e crudi ci vien mal di pancia, dopo cottura invece non ci sono più problemi, perché le sos t anze f a s t id iose vengono degradate.E quindi la marmellata di sambuco, tutti conoscono una cosa che viene fatta comunemente anche in Val di Ledro, è lo sciroppo di sambuco, fatto con i fiori di sambuco. Con i fiori con il limone, come dissetante. A far la marmellata sono in meno, però anche la marmellata di sambuco è altrettanto buona. Ho provato a fare con i frutti, mentre li fai bollire, sembra di avere il mosto dentro, il profumo che vien su, infatti era usato, per adulterare il vino, per colorarlo, per averlo bello colorato. Il legno del sambuco è un legno tenero però resistente, ed elastico, quindi leggero, usato per far manici, per la pala, la parte sotto era più robusta veniva usata per le sculture, è una pianta di cui le foglie e la corteccia veniva usata per colorare e usata per medicinali, il sambuco veniva piantato vicino alle case una volta, adesso è un fastidio lungo i torrenti, come dicevo prima son cambiare le cose, qualcosa abbiamo perso.

D: Avresti un aneddoto, storie, leggende, canti, proverbi, filastrocche sulle piante?R: Aneddoti, cose, non saprei cosa dirti, nel senso, è ovvio che su questo si sommano sempre le conoscenze da bambino, quello che hai studiato, quello che hai sentito, cioè è la tua esperienza nel totale a darti il peso, che diventa il modo con cui mi rapporto con le persone quando mostro le piante. Il classico aneddoto è quello di raccogliere l’ortica e mostrarla: “Cos’è questa: l’ortica”, “Ma non ti pungi?”, “Eh no, perché sono botanico, quindi non mi pungo”, invece anche li è semplicemente un segreto di come prenderla, e non funziona il discorso di trattener il fiato come pensano tanti bambini, ma è semplicemente sapere che deve essere presa dal basso verso l’alto, perché i peli pungenti sono più o meno orizzontali rivolti verso l’alto, prendendoli dal basso mi

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appoggio al gambo e quindi non mi pungo. E’ uno scherzo da niente però, vedi già la gente rimane perplessa davanti a una cosa del genere, O quando raccogli il cumino di montagna, e non gli dico cos’è, ma dico “annusate, profumate”, sentono, provano cos’è. La carota selvatica, io raccolgo la pianta, che è diffusissima in natura, che nessuno conosce, io la do: “Annusate la radice, ditemi cos’è”, e dopo dico questa è la carota selvatica, che vuol dire la radice grossa come una matita, bianca e dura, che a prima vista non ha niente da spartire con le carote da un chilo, arancioni e succose. E’ quello che abbiamo ottenuto in 10.000 anni di selezione. Sono selvatiche in natura. Oppure, i frutti del faggio, nessuno ci fa caso, nessuno li segue, in realtà i semi erano una grande risorsa per la civiltà alpina in generale, era l’equivalente del castagno, per il centro Italia. I semi venivano raccolti, seccati, macinati e diventavo farina per fare il pane. Gli stessi semi, spremuti davano olio. Gli stessi semi seccati e tostati, surrogato di caffè.Anche al giorno d’oggi nel caffè d’orzo, c’è dentro cicoria e anche semi di faggio. Però nessuno ci pensa, ma oltre a non pensarci, pochi lo sanno. Il faggio, oggi è una pianta che dà ombra, oppure per gli abitanti che dà legna. L’altro uso, che una volta era, preponderante ma quasi, è stato abbandonato e perso del tutto. Quindi ci sono una serie di piantine, non mi piace fare il nome scientifico, ma raccontare sempre due, tre storiette fare qualcosa sulla pianta, quindi li si mescola un po’ di tutto, la storia, la vita, quello che studiato e sentito, quello che hai letto e via vicenda. D: Mi puoi raccontare le storie di cui parlavamo prima, quelle che conosci te a partire, partiamo dalla celidonia.R: La celidonia è conosciuta come erba da porri, perché quando si rompe esce il lattice arancione, che di solito si usa proprio da mettere sui porri, essendo leggermente caustico li fa andare via. Il nome scientifico è: Chelidonium majus, che deriva dal greco Chèlidon, Chèlidon è la rondine, perché secondo la leggenda, quando i rondinini nascono sono ciechi, e la mamma va a prendere un rametto di celidonia, glielo spalma sugli occhi e così si aprono, e da li il nome di celidonia.

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Son storie queste, ce ne sono altre, la ruta per esempio, da noi l’unico uso che si conosce adesso è quello di mettere un rametto nella grappa per fare la grappa digestiva, in realtà, la ruta è una pianta velenosa, bisogna sempre stare attenti, era usata come abortivo quindi da evitare per le donne in stato interessante.Ma oltre a questo, ha un uso magico, era considerata una pianta da piantare vicino a casa, per tenere lontani i demoni e tutti gli esseri maligni perché questo: perché il fiore ha quattro petali, disposti in croce e quindi ricordando la croce fa da protezione per la casa, ma c’è tutta una simbologia legata a tante altre piante. La noce, il frutto che noi tutti mangiamo e conosciamo, il gheriglio dentro spesso ricorda nell’aspetto il cervello umano, quindi secondo la teoria della segnatura, che è una teoria del ‘500, seconda la quale se una parte di una pianta ricorda una parte del corpo umano serve per curare quella parte del corpo umano. Visto che la noce nell’aspetto ricorda il cervello dovrebbe essere utile o usata per curare i cervelli, in realtà non è cosi. Non è che fa male, ha una serie di altri benefici ma non serve per il cervello. Questo è un discorso medicinale, ma c’è anche il discorso legato alla magia, alla trasmissione di saperi. Ad esempio nella simbologia, e in questo caso cristiana, perché siamo in una cultura cristiana, la noce è legata alla trinità, questo perché nella noce riconosciamo tre parti, il mallo esterno, la parte legnosa e il gheriglio interno, quindi tre parti che formano un tutt’uno. Come nella trinità Dio padre, figlio e spirito santo, formano la trinità e quindi formano l’essere divino, tre cose che formano una e perciò nei quadri del Medioevo, del Rinascimento soprattutto a sfondo religioso, dov’era rappresentata la noce era un’indicazione della trinità. Si potrebbe andare avanti per ore a raccontare tutte queste simbologie, poi sui quadri non se ne parla, perché la comunicazione era fatta attraverso l’immagine una volta, ed era capita, questa la differenza, adesso gran parte di noi vede il quadro e fine.

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Dro, 11 settembre 2017Ca’ del Nemoler, Centro diurno per anzianiIntervista a Carmen Matteotti raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Ti potresti presentare?R: Io sono Matteotti Carmen, presidente della Ca’ del Nemoler, ho sessant’anni, sono un’insegnante, sono responsabile di questo club.

D: Quali tipi di piante spontanee conosci?R: Le piante spontanee che conosco, sono la malva, la camomilla, il tarassaco, l’erba medica, che serve per fare le frittate; la camomilla che serve per gli infusi e anche nell’ambito medico, le noci – raccolte ancora verdi che servono per fare dei liquori, la menta, il timo, il tiglio, la rosa canina.D: In che periodo vai a raccogliere?R: Vado prevalentemente in primavera o quando ti servono.

D: Come hai conosciuto le piante e da chi?R: Le piante le ho conosciute dalla mia mamma e dalla mia nonna, e questo è stato un tramandare, la storia che viene tra di noi, l’antico che viene nel giorno d’oggi, nel moderno. Questo modo di fare e di agire, una volta era prevalentemente un automatismo. Si raccoglievano le erbe anche se non ne avevi al momento necessità, le raccoglievano per essiccarle, e quasi tutte si potevano essiccare, e le adoperavano al momento. Una volta erano degli habitué: mi diceva la mia nonna, che andavano nei campi in compagnia, in due tre o quattro e andavano a raccogliere, si divertivano, cantavano, ridevano; era come oggi che si fermano a giocare a tombola i nostri anziani, una volta andavano nelle campagne, nel bosco, in pineta a raccogliere queste piante, ed era molto facile; per prima cosa le trovavi subito, la

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conoscenza era molto forte; loro avevano una grandissima abilità nel raccogliere e nello scegliere, nel discriminare le piante, e poi era tutto vergine. Nel prato non c’era il veleno, ed anche per questo che ce n’erano un’immensità di erbe. Adesso lo devi andare a cercare il posto, perché non ce ne sono tante.

D: La motivazione dell’uso delle piante, nella tua dimensione personale, è economica, di gusto, o salutistica? Perché raccogli le piante?R: Raccolgo le piante perché credo nelle piante. Se le uso nell’ambito medico, ovviamente io mi fermo quando l’efficacia non arriva; e allora, per forza maggiore, devo andare a prendere la medicina tradizionale. Ma prima prevalentemente uso la pianta, nell’ambito medico. In cucina invece, io la uso sempre, immancabilmente, per il gusto, anche perché rende i piatti più belli, io decoro i piatti con le erbe, anche con la lavanda anche se non è un’erba spontanea, io mi faccio delle decorazioni, anche con petali di rosa anche se non è spontanea. Così anche con l’erba spontanea: la camomilla? Anche con la camomilla.Pensa che ho una nipotina di 11 mesi: ancora due mesi fa, io l’ho portata ad annusare questi primi profumi, adesso lei li sa distinguere, sembra incredibile, ma li sa distinguere.

D: Le tecniche della raccolta. Come si raccolgono oggi, insieme, c’è una sensibilità verso un particolare ambiente per cui bisogna lasciane indietro alcune, come le raccogli?R: Io farei due passaggi qua, infatti prima questo non si è detto, e secondo me è molto importante. Noi abbiamo sentito che le piante si tagliano e raccolgono con un coltello, pure adesso si fa così. Una volta andavano in compagnia, in gruppi abbastanza forti anche di cinque, sei, sette, otto persone, adesso vanno a coppia, prevalentemente. Ma nella raccolta di prima o dopo c’è un perché: se prima raccoglievano tutta la radice, la estirpavano, e le pulivano sul posto, adesso sono protette: tu devi lasciargliela un pezzo di radice, e devi conoscere questa nuova tecnica, perché altrimenti se ti beccano vieni multata; devono lasciare questa radice, proprio perché sono in fase di estinzione.

D: Quante persone conosci che raccolgono erbe?R: Delle persone che conosco io, che raccolgono queste erbe ce ne sono parecchie. Quelle che hanno la possibilità di muoversi, che hanno una buona deambulazione certo che vanno! E vanno in genere in coppia. D: Il periodo?R: In genere nel periodo della primavera.Conosco persone adulte, anziani che vanno a raccogliere, però oggi c’è una riscoperta, di questo nuovo modo anche di essere, e anche di ricerca, c’è una preparazione diversa anche nel giovane. Ci sono dei corsi di aggiornamento per riuscire a distinguere queste piante antiche che poi sono diventate moderne. L’antico nel moderno di oggi. Ci sono anche delle famiglie giovani che vanno con i bambini a raccogliere le piante. D: Quanto è cambiata, secondo te la conoscenza delle erbe spontanee nel tempo, in percentuale, è diminuita, è migliorata, è cresciuta?R: La conoscenza di queste erbe è importante per la nostra vita, è importante per il nostro bosco, se anticamente tutti le conoscevano, poi c’è stato un periodo di transito, secondo me, dove questa conoscenza era andata un po’ a svanire. Oggi come oggi è di nuovo alla ribalta. Gli anziani passano queste informazioni ai più giovani. Io ad esempio nella scuola ho fatto proprio un momento di incontro con l’anziano su queste piante, avevamo fatto un percorso sensoriale. E gli anziani hanno raccontato la storia delle piante antiche. Adesso c’è un ritornare indietro nel tempo per avanzare.

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D: La conoscenza dell’anziano di un tempo, rispetto alla conoscenza di oggi quanto si è modificata, quanto è diminuita, in che percentuale? Quanto si sa oggi rispetto a quanto si sapeva cinquant’anni fa, rispetto ai tuoi genitori, rispetto ai tuoi nonni?R: L’anziano conosceva al massimo le proprietà di queste erbe spontanee, le andava a ricercare, perché non aveva i soldi né per andare in farmacia, né per andare a comperare, e c’era una conoscenza massima. Poi si è persa un pochino, o perché l’anziano anziano oggi non c’è più, c’è l’anziano ma è meno anziano, e non tutto sa, rispetto a quello che si sapeva una volta.D: Quanto si è perso?R: Si è perso un 60%.

D: Conosci delle ricette, mi descriveresti un paio di ricette?R: Ricette con le erbe ce ne sono tantissime. Dal pasticcio fatto con gli spinaci, dai gnocchi fatti con gli spinaci, con le erbette, i gnocchi fatti con il radicchio selvatico.Poi si usa la camomilla, per fare le tisane, la menta, il tiglio, veniva fatto per la tosse, per i raffreddori, si facevano le tisane, così anche il tarassaco, il fiore, per questo c’è anche una ricetta ben precisa, 40 fiori di tarassaco, messi in mezzo chilo di zucchero, a macerare sotto il sole, così si formava un miele, veniva messo chiaramente sul colino, veniva estratto e si beveva quando si aveva questa tosse, questa bronchite.La menta si sa che è un qualcosa di eccezionale, le foglie di menta messe sulle tempie per far passare il mal di testa, la menta viene usata in cucina, io la uso quasi sempre; poi c’è menta e menta, c’è la menta selvatica e c’è la menta piperita, son due cose diverse, una viene usata come terapia per il mal di testa, l’altra viene usata in cucina.

D: Conosci storie, leggende, filastrocche?R: Dovrei pensarci…D: Sai cosa si faceva con il corniolo?R: Il corniolo è una pianta particolarissima, a vederla e ad assaggiarla sembra molto amara. Bisogna saperla raccogliere al momento giusto, dev’essere matura al massimo. Sono delle bacche selvatiche, e devi raccoglierle non quando sono rosse, ma quando sono bordeaux, sono succose e dolcissime, se le raccogli un attimo prima sono amare come non ti dico.Le usano sia per fare sciroppi che per fare marmellate.Anticamente, succedeva che per riuscire a prenderne molte, magari per paura che gli altri le prendessero, le mettevano ancora non mature, nel fieno, per farle maturare. E poi anche le infilavano come collane, anche alle feste. Nella tradizione, per le feste di paese, si facevano queste collane di corniolo, per abbellire la persona.

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Dro, 11 settembre 2017Ca’ del Nemoler, Centro diurno per anzianiIntervista a Rita Santoni, Marina B., Dorina Matteotti, Francesca Chiarani, Jolanda Tavernini, Carla Moratti raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

RITA Mi chiamo Rita Santoni, sono di Ceniga. Sono sposata a Dro, anche se sono andata contro corrente… Ho fatto la scuola di infermiera professionale a Merano, ho lavorato un po’ di anni all’ospedale e un po’ di anni sul territorio. Ho famiglia, ho due figli, ormai nipoti grandi. Età 75 anni.

D: Rita, quali tipi di piante spontanee da mangiare conosci?R: Di piante spontanee conosco: il tarassaco, la celidonia, l’ortica, farinei, sguzorloni.R: (Un’altra anziana) I pissacani, li chiamo in veronese, perché vengo da Verona e io conosco i pissacani e basta de spontanee.

D: Come hai conosciuto le piante che mi hai citato prima? Da chi lei hai conosciute e chi te le ha raccontate?R: Da sempre in casa, se ne parlava, l’abitudine di raccoglierle c’è sempre stata, dai genitori, da tutti. DORINA: Andavamo per erbe una volta. Lo chiamavamo “nar per erbe”: a tirar su le piante. Andavamo col coltello, in campagna, eh una volta se le mangiava le piante, facevamo un pasto. Anche i gnocchi verdi si facevano con le erbe. Anche gli strangolapreti.

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D: Come si raccoglieva una volta, quando andavate a raccogliere voi, come raccoglievate queste piante, intendo dire: andavate da sole, andavate insieme?DORINA: Siccome io sono figlia di contadini, andavo per erbe con mia zia, che era amante delle piante e mi insegnava tutti i tipi di erbe. Le curava già in campagna, a dir la verità, e così ho imparato praticamente tanti tipi di erbe, le raccoglievamo d’estate.

D: Si può presentare?R: Sono la Dorina Matteotti, sono del ’40, ho settantasette anni, ho fatto le medie di scuola, adesso sono casalinga. D: Che lavoro faceva?R: Avevo un negozio, ero commessa. Il mio papà teneva un panificio, e lavoravo lì e mi occupavo del pane e dolciumi.D: Andavate in compagnia?R: Con mia zia, con le mii cugine, in famiglia, “nevem per erbe” e si andava.Due alla volta, tre, col coltello, una cesta, un secchio, o una borsa, le raccoglievamo per mangiare allora!

RITA: Una volta si poteva raccogliere dappertutto, adesso non puoi più raccogliere da nessuna parte: le campagne son tutte trattate, con i veleni, diserbanti, disseccanti e così via. Allora non c’è da fidarsi a raccogliere le erbe spontanee a meno che non vai lungo il fiume o in un campo che sai che non è trattato, o in montagna alta.

D: Quindi una delle ragioni per cui non andate a raccogliere le erbe è perché…R: (Risposta corale) I campi sono avvelenati.Si va prima di dare il concime in primavera.Ma c’è il concime, ce il disseccante, c’è il diserbante e in più c’è il trattamento sulle piante.E quello lo fanno presto.

D: Il motivo per cui andavate a raccogliere erbe. Per ragioni di gusto, per economia oppure per uso medicinale. Nella vostra esperienza personale perché andavate a raccogliere le erbe?DORINA: Per mangiare, perché facevamo un pasto, con le erbe.Assieme al formaggio, alla carne, che ce n’era poca, con le uova, specialmente la sera: con le uova sode, era una cena di lusso allora.(Un’altra signora): Non so cosa dire, siamo troppo lontane da quei tempi, io non ricordo.D: Lei quanti anni ha?R: Ottantasette.

D: Quando mi dici che mangiavate le uova ti ricordi a che erbe associavate le uova?R: Ai denti de cagn, al tarassaco, insomma. Alla catalogna, agli spinaci, che non sono spontanei, bisogna comprarli, all’erba matta.

D: Rita, per quale motivo andavi a raccogliere le erbe?R: Io le raccolgo nel mio campo, perché mio figlio lavora biologico, allora quelle son sicura di poterle raccogliere, negli altri campi non andrei a raccoglierle.

D: Quindi è un’attività che compi anche ora? Per quale ragione?R: Perché fanno bene, sono buone anche da mangiare.

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Non perché mi manca la verdura, mio figlio la coltiva, sicché verdura ne ho, però raccolgo anche le erbe.D: Allora c’è un altro motivo per cui raccoglie le erbe?R: Perché fanno bene.

D: Ma anche le altre verdure fanno bene…R: Sì, mangio quelle e anche queste, capisci.

D: Per un motivo di gusto, per abbellire la tavola…R: Ma no l’abbiamo sempre fatto, sono buone: il tarassaco cotto è buono, anche crudo è buono, tagliato fino crudo è speciale.

MARINA: Mi chiamo Marina, ma sono di un’altra generazione. Solo per sentito dire - perché abito in campagna – la mia mamma, la mia nonna, le mie donette mi hanno sempre insegnato a raccogliere le erbe, principalmente il dente di cane. Perché son piene le campagne, perché fanno bene a livello depurativo, perché sono lì fresche, le vediamo nascere la prima primavera, le raccogliamo e poi lo mangiamo crude. Poi per tradizione, le mangiamo anche cotte.Mi ricordo che le raccoglievo e le portavo anche qua, giusto? Ti ricordi?Altre erbe medicinali non ne conosco, non ne ho mai fatto uso. Comunque c’è anche la malva. La malva è un’erba che fa molto bene, e queste signore qua mi hanno insegnato che per un po’ di bruciori, per cose così, fare i bagni, bollire la malva, fare l’infuso e lavarsi con la malva.È una cosa che mi hanno insegnato queste signore qua, perché hanno qualche anno più di me, mia mamma, mia nonna; però io personalmente non ha questa grande esperienza.JOLANDA: Non si andava a comprare le medicine una volta. Era un antinfiammatorio, potevi lavare, anche fare il bidè. Faceva molto bene.Anche fare i bagni in piedi, era una cosa molto interessante per la salute; non avendo soldi per andare a comprare medicine, si usava le nostre cose di campagna.

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D: Marina mi puoi dire quanti anni hai?R: Io sono Marina ho cinquantatré anni, sono di Dro. Vengo spessissimo qua con le mie signore anziane, e loro mi insegnano queste cose. Un’altra cosa che mi è venuta in mente, che mi hanno insegnato sempre loro: le foglie del fico, che hanno il latte, fanno bene alle verruchette, ai porretti a quelle cose lì. Da bambina, mi ricordo, loro mi insegnavano a curare queste cose così, perché nemmeno io che sono del ’64, non avevamo la possibilità di andare dal dermatologo, forse non c’era neanche il dermatologo all’epoca, e ci curavamo le verruchette con il latte delle foglie dei fichi. JOLANDA: Anche con le celidonia si curano i porri, specialmente quelli grossi. Mio marito è stato operato per un porro alto un centimetro, dopo un mese gli è ricresciuto, l’ha curato con il succo della celidonia ed è sparito, non è più cresciuto.MARINA: Mi ricordo che quando i nostri vecchi cuocevano i denti di cane, il tarassaco, tenevano l’acqua, e l’acqua la bevevano per depurare. Mio zio faceva così. Bevevano l’acqua in cui aveva bollito il dente di cane, e si faceva come una depurazione al fegato, ai reni, questo mi dicevano, l’ho bevuta anch’io.RITA: L’edera. Con il decotto di edera si faceva l’ultimo risciacquo dei cappelli che venivano belli lucidi, perché una volta si lavavano con il sapone, non con lo shampoo, non c’era!Anche per i tessuti, neri specialmente, anche adesso è consigliato fare l’ultimo risciacquo, metterli a bagno nell’acqua con l’edera bollita, fare come un decotto e li metti a bagno. Riprendono il loro colore nero.MARINA: Quello che ricordo sono i famosi farinei. La mia nonna mi portava con lei quando ero ragazzina a raccogliere i farinei e si mangiava, per sopravvivenza!È un’erba tipo un agrifoglio, molto tenero, di verde chiaro. Adesso si fa fatica a vederli, perché non c’è più niente.RITA: Tranne che nel mio campo. È biologico!MARINA: Mamma mia quanti farinei mi ha fatto mangiare la mia nonna. Ce n’erano un’infinità tra le vigne, buonissimi, e da bambina mangiavo questi famosi farinei. RITA: Anche adesso si mangiano! JOLANDA: Ma adesso ci sono i veleni. Difficile trovarli.MARINA: Sono un po’ ignorante, non conosco i nomi dei fiori e delle erbe.Nemmeno l’orto ho, conosco se vedo e me lo insegnano, ma personalmente non è che so, non ho nozioni di erbe.RITA: Per esempio, l’alloro serve per mettere nella biancheria per le tarme.MARINA: Poi conosciamo il rosmarino, la salvia, l’alloro, tutte noi intorno alla nostra casa abbiamo queste piante: dobbiamo buttarlo altrimenti diventano sempre più grandi. A casa mia c’è tanta malva, i denti di cane la primavera, adesso a casa mia non tagliano più l’erba con la falce, ma macinano, passa il trattore e macina tutto. Per un po’ di anni son cresciute, ma adesso probabilmente hanno distrutto la radice, hanno distrutto tutto e non crescono più, hanno estinto la radice proprio.RITA: Tutti avevamo la stufa a legno, e la cenere la usavamo per fare il bucato perché sapone ce n’era, ma poco e costava caro, allora si usava la cenere per fare il bucato, quando non c’era la lavatrice naturalmente.

D: Come si raccoglievano queste piante? Dorina?DORINA: Le piante si raccoglievano col coltello, ancora sul campo si cercava di curarle, tagliavo le radici, le prime foglie, dopo per il resto le curavo a casa.D: Per quale motivo si curavano sul campo?R: Ma per non sporcare a casa! Lasciavo sul campo le foglie che non usavo. Io facevo così.

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MARINA: Tutti facevamo così. (Risposta corale) Si tagliava un po’ di radice.Io e lei anche quest’anno siamo andate con il nostro coltellino, curiamo bene quel pezzettino di radice, mettiamo nella borsa, poi a casa le laviamo bene per tirar via lo sporco.RITA: Quando le raccoglie mio marito, non le raccoglie pulite, me le devo pulire io (risate).DORINA: Noi invece non ci fidiamo più ad andare per le campagne perché è tutto veleno. Allora basta. Adesso andiamo in montagna, belle lavate e pulite.Una volta bisognava fare economia.Facevano anche il sapone con le ossa. Con le ossa facevano il sapone, mi ricordo. Bollivano le ossa di qualunque animale, con il midollo facevano il sapone, con l’aggiunta di soda.

D: Quale parte della pianta prendevate? Le parti della pianta.DORINA: Sempre il cuore se era possibile.Le foglie quelle più brutte si cercava col coltello di andare dentro e tagliare quelle più belle, buone. Si lasciava giù le foglie vecchie. il cuore della pianta.RITA: La pianta si può raccogliere tutta, dopo si eliminano le foglie un po’ secche, che non vanno bene.SARA: Abbiamo due tecniche di raccolta.

D: Si può presentare? R: Io mi chiamo Francesca Chiarani, ho 93 anni quasi 94. Erbe ne ho raccolte tante, adesso non si può più andare nei campi, perché è veleno dappertutto.D: Conosci delle ricette che faceva?R: Più che portarle a casa, pulirle bene, lavarle bene, e dopo farle bollire, quelle più tenere si tagliavano e si facevano con l’olio e l’aceto, sale, crude. Buonissime.Anche con un po’ di cipolla, e aglio a certe erbe.

MARINA: La frittata si può fare, oppure si possono mangiare anche con l’uvetta, che così danno un po’ di sapore, perché sono molto amare, anche molto naturali, si mette un po’ di uvetta, ma generalmente le mangiamo con olio e sale.D: Di quale pianta sta parlando?MARINA: Del dente di cane, che conosco di più.Non conosciamo gran che almeno, quando andiamo a raccogliere il dente di cane, due tre qualità. JOLANDA: Di tutte quelle che sono amarognole.DORINA: La raviciola, è come una pianta che viene spontanea in campagna, adesso meno.Queste raviciole le prendevamo su assieme al dente di cain, quello era amaro, le raviciole dolci, facevano buon gusto. D: Di che colore erano?R: Sempre verde, piuttosto chiaro. RITA: Si possono usare al posto degli spinaci: tutte le ricette che fai tipo strangolapreti, lo spaetzle, gli gnocchi di pane dove usi gli spinaci, usi invece o i farinei… aspetta, una volta li ho fatti anche con i denti di cane, sono venuti buonissimo lo stesso.MARINA: Si possono fare anche con le ortiche tenere, casa mia abbonda di ortiche alte così.Il risotto, gli strangolapreti, la pasta volendo; cuoci queste piccole erbe, le fai passare un attimo butti la pasta, ci metti il grana. Con tutte le erbe è possibile fare una cosa del genere.DORINA: Anche con gli asparagi selvatici.MARINA: Anche con gli asparagi selvatici, che ne abbiamo pochi adesso. Nel mio isolotto, ne hanno tirati su un bel mazzone di asparagi, asparagini piccoli selvatici che sono gustosi, fai un bel risotto, perché sono molto piccoli.

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JOLANDA: Mi nevo zò a Vicenza a tor quei asparagi lì, sat…RITA: Anche le cime di luppolo, ad esempio, sostituiscono gli asparagi di monte, MARINA: E fai il risotto di luppolo: a casa io ne ho tantissimo.JOLANDA: Eh ti tòi te sei en mez a la campagna…MARINA: E i fiori di sambuco, con cui si fa il famoso sambuco, si fa il liquore, no la bibita, lo sciroppo e poi si allunga con acqua.

D: Nella vostra economia domestica, quale percentuale di utilizzo delle erbe c’è? MARINA: Io l’80%, sempre mangio verdure. RITA: No, ma di quelle selvatiche!MARINA: Beh, quando ci sono, a primavera, solo stagionali. RITA: Sono stagionali.D: Quindi a primavera, l’80%, e nel corso dell’anno?MARINA: Se non ci sono in campagna, le comperiamo, RITA: Non quelle però!D: Ci sono tecniche di conservazione, le mettete via?RITA, DORINA: Sì, si possono cuocere e metterle nel freezer.MARINA: Bisogna anche dire che ne raccogli tante, rimangono una quantità minima; sei in tre, quattro in casa le mangi, è ben difficile metterne nel freezer, almeno per la mia piccola esperienza di cuoca da due lire…

D: Conosci detti, filastrocche, storie sulle piante?DORINA: Dicevano: “Se non fai la brava ti metto con il sedere nelle ortiche. Castigo.”MARINA: E’ vero: “Te passeria el cul sulle ortighe, pòpa”JOLANDA: Io una volta ho fatto la pipì sulle ortiche. Aveva i fiorellini… sono andata dalla nonna piangendo.

D: Cosa sono le raviciole?CARLA: E’ una rapa che viene su da terra, bisogno seminarle, si mangia lessa, si mangia la foglia e anche la rapa. E’ una verdura buonissima.

D: Ma è una pianta che viene spontanea?R: No bisogno seminarla.

D: Andavi per erbe? Ti ricordi cosa andavi a raccogliere?R: Denti de cagn, si dice denti di cane: la foglia è tutta spezzettata, buonissima.DORINA: Si usano anche i fiori dei denti de cane? IOLANDA: Sì, si fanno impanati.FRANCESCA: Fanno il miele.(UN’ALTRA SIGNORA): C’è la rucola selvatica. CARLA: Anche l’erba medica c’è, per fare massaggi. L’arnica anche per i massaggi, me la metto tante volte, ma il male c’è lo stesso.

D: Carla, conosci qualche leggenda, storia legata alle piante, alle erbe? Non c’era un gioco che si faceva con gli sciopéti?RITA: “Vado nell’orto, trovo un vecchietto, ghe tiro la barba e ghe ciuccio il culetto! Cos’è?”CARLA: E’ il nespol. RITA: E’ un indovinello!

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DORINA: Quel maron, selvatico. RITA: Li hai mai visti? Te lo mostro. È lì sulla strada.(mostra il nespolo)

RITA: Con i fiori di tarassaco si può fare il miele, però non ne conosco le proprietà, basta aggiungere lo zucchero e metterlo al sole.DORINA: Si possono fare le creme di calendula, sono molto buone, con i fiori gialli.RITA: Con le noci verdi si fa il nocino, quello va fatto con la grappa.R: Anche la camomilla.D: Erano cose che facevate voi comunemente?RITA: Anche adesso.R: Se facevano male i denti si faceva bollire..RITA: Un chiodo di garofano si mette nel dente quando fa male.DORINA: L’arnica.CARLA: Io le uso ancora quasi tutti i giorni, per i dolori che ho, uso l’arnica, la metto in composta con l’alcool, la lascio in composta un bel po’, la colo, e dopo mi “frego”. Faccio massaggi alla schiena, alle mani, dove ho male, le provo tutte.

D: Secondo voi, La conoscenza delle piante è cambiata rispetta ad un tempo?CARLA: Eh!DORINA: A me non sembra.(UN SIGNORE): Diminuita sarà. CARLA: Ci sono piante più moderne adesso…RITA: Non è vero, perché adesso, quando hanno un problema, cercano o sul telefonino o su Internet o sui tablet, quello che vuoi, e li c’è tutta la spiegazione possibile e immaginabile. Invece noi facevamo solo per abitudine, o per cose tramandate. Invece adesso si informano su quegli aggeggi moderni.DORINA: E anche per curare.

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D: E questo come ha cambiato la conoscenza delle piante, la cultura digitale, il dispositivo digitale?(UNA SIGNORA): Meglio, molto in meglio.MARINA: Ho conosciuto persone, che sanno tantissime cose sulle piante, perché adesso ci si informa di più, ci si interessa di più, c’è anche la storia dell’omeopatia adesso, che una volta non… La gente è più istruita più informata su queste cose. RITA: Più informata.MARINA: Anche i bambini stessi imparano queste cose a scuola, insegnano loro i valori, le proprietà delle erbe, i nomi delle piante, una volta ti insegnavano le cose di base.(UNA SIGNORA): Ce ne sono di velenose, bisogna stare attenti.MARINA: C’è molta più gente istruita, sulle erbe sui fiori.

D: Secondo voi la possibilità di aver più accesso all’informazione con i nostri dispositivi, può comportare dei rischi, collegati alla conoscenza delle piante?DORINA: Li avranno studiati prima, eh, io credo; penso di aver fiducia.D: Voglio dire che differenza c’è tra l’imparare da un telefono e l’imparare da una persona che ti dice: “Guarda raccogli questa pianta qua”, perché questa fa bene?(UNA SIGNORA): Bisogna sapere le dosi.MARINA: Una volta lo sperimentavano sulla propria pelle, credo.Se una di loro mi dice: vai a casa metti la mano in una determinata cosa - perché ho male -, lo dicono per esperienza personale, perché l’hanno provata loro. Oddio, con internet è tutto è possibile. Io ho molta più fiducia delle mie donne qua, che non dell’internet.RITA: EH che non sai le conseguenze.MARINA: Eh, ma lei è qua fino ai 97 anni!JOLANDA: Una volta adoperavano, quando cadevano, prendevano una botta al ginocchio, che c’era quanta infiammazione, mia nonna prendeva le foglie delle vigne più tenere, le metteva al sole, le metteva sulle ginocchia, fin che quelle diventavano bagnate. Diventavano bagnate le foglie! E continuava a cambiarle fin che si sgonfiava, andava via l’infiammazione, assorbiva proprio l’infiammazione. È un ricordo da bambina.Adesso ci sono le pomate, tutte queste cose.Una stupidaggine. Una volta mi sono ferita in campagna con un chiodo ruggine, c’era mia nonna e mi ha detto: “Fai sopra la pipì” per disinfettare, vedrai che disinfetta.CARLA, JOLANDA: Sì, una volta si faceva così.RITA: Son cose che i vecchi… non c’era alcool o quelle cose… al momento.

D: Nome, età?R: Jolanda Tavernini , 86 anni quasi. Ah è tutta gioventù qui, sa?

D: E’ meglio Internet o avere la nonna a casa che ti insegna le cose?(Risate) E’ meglio quella!RITA: Internet è più comodo.(Brontolii): Al giorno d’oggi… Devi andare sul sito… No, no… adesso non è possibile secondo me (s’intende avere la conoscenza dalla nonna). La tecnologia… no, io non…JOLANDA: Adesso corri dal medico perché c’è possibilità, c’è anche la mutua! Una volta non c’era neanche la mutua, bisognava pagarsi tutto. Adesso vai, ti fa la ricetta il medico, ma una volta non avevi soldi per andare a comprarle le cose.

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(UNA SIGNORA): Ma l’erboristeria, almeno nelle cose semplici, dovrebbe essere una cosa che funziona, se hai stima, entri in questo negozio, chiedi, ti informi e in base a quello che ti dice, fai una cura, lassativa, una cura depurativa, una cura del sistema nervoso, insomma.Dico adesso. Una volta si andava come dice lei, con le foglie di vigna.RITA: Però ci son pochi che credono a questo.JOLANDA: Nella buccia del melograno, mettevano l’olio caldo e lo mettevi nell’orecchio per guarire dall’otite. (UNA SIGNORA): Mia nonna prendeva un ditale, lo metteva a scaldare.JOLANDA: Adesso abbiamo la mutua, abbiamo tutto, si pagava tutto, ci lamentiamo però adesso abbiamo anche quella possibilità lì.RITA: Questo del melograno l’ho fatto con i miei figli, che ora hanno 50 anni però, quando erano piccoli gliel’ho ho fatto. Olio caldo.MARINA: Anche a me l’hanno fatto.(UNA SIGNORA): Ti passava il male.

D: Cosa facevate con i nespoli?R: Si mangiavano!RITA: E sa per farli maturare cosa facevamo? Li mettevamo nel fieno! Nella paglia. Per Santa Lucia erano maturi.CARLA: Gh’era i stupa cui. Bacche rosse.DORINA: I margaragni. RITA: Ma sì, ma non è un’erba spontanea. È una pianta che pianti.(UNA SIGNORA): Le giuggiole!DORINA: I pomi lasarini! Erano piccoli così, se i magnava quando eravamo putine.RITA: Allora mangiavamo anche la roba che te ligava la boca!Le perle! L’è una perla nera. È un osso con intorno la buccia. Le zizole (non sicuro).Non c’erano mica lecca-lecca, caramelle e gelati, eh! Soprattutto i ragazzi, andavano a cercare qualsiasi cosa.(UNA SIGNORA): E le nozze? (popcorn)…

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Riva del Garda, 14 settembre 2017APSP di Riva del Garda “Città di Riva”Intervista a Irene Vicari e Lidia Betta raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

IRENE VICARID: Si può presentare?R: Sono nata a Pregasina, in Valle di Ledro. Allora era sotto il Comune di Molina di Ledro, poi siamo passati sotto Riva. Mi chiamo Irene Vicari, nata nel 1922 il 15 di giugno.D: Che cosa faceva nella sua vita?R: Prima la contadina, eravamo contadini, avevamo la campagna e gli animali, si custodivano gli animali. Arrivata a 15 o 18 anni sono andata a Riva in servizio presso una famiglia, mi sono sposata a Riva e sono ancora qua. Ho un figlio, sono vedova da vent’anni, e sono sempre andata a lavorare presso le famiglie. Settimana per settimana, giorno per giorno, una di qua, una li là. Avevo le mie famiglie da andare. L’ultimo servizio che ho fatto, per quindici anni, presso una famiglia di un avvocato, del quale non ricordo il nome. Ho fatto quindici anni, è morta la moglie e lui solo e il figlio e allora io sono rimasta a casa.

LIDIA BETTAD: Si può presentare?R: Io sono nata a Varignano d’Arco, mi chiamo Lidia Betta, sono nata il 2 gennaio 1923. Sono 94, siamo giovanotte!Io, quando ero giovanissima, ho fatto tutti i lavori possibili e immaginabili. Eravamo in sette figli, e nove in casa, io la seconda di sette, andavo a lavorare per tutti, quelli che mi volevano, sia in

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campagna e sia nelle case, i pavimenti di Varignano li ho fregati tutti con il bruschino inginocchiata, ho lavato tante di quelle robe che non vi dico.Il Bordellino, il torrente che vien giù dal paese, c’è ne una a Varignano, una a Vigne, su in cima c’è il lavandino pubblico, c’era allora, adesso non so se c’è ancora, andavo su due o tre volte a risciacquare la liscia, il bucato, e cosa succedeva che la roba che mettevo sulla pietra, si gelava, senza acqua calda. Ho fatto tutti i mestieri possibili e immaginabili nelle case, e quelli della campagna, andavo a tirar giù le foglie del mais, a tirar su le fascine quando tagliavano e potavano le viti, insomma tutti i lavori che c’erano da fare, che poteva fare una ragazzina, li facevo, sempre da giovane.Poi sono andata dalla mia cognata, la mia “guaza” che aveva un bambino piccolino, appena nato, lei faceva la sarta, aveva un tabacchino ad Arco, e cosi le tenevo questo bambino.Dopo ho conosciuto una signora di Trento, baronessa, patrona di casa, era lì per andare oltre il Sarca, a Mogno, e in questa casa mi ha conosciuto una signora, la moglie di un capitano di Bari. Tramite quella, mi ha chiesto se volevo andare a Bari a fare la bambinaia, avevo 16 anni allora, ho chiesto a mia mamma e ha detto sì, puoi andare. Mi son venuti a prendere, mi hanno portata al treno, c’era il il trenino allora qui che andava fino a Mori, io sono scesa a Mori. Ho visto il lago di Loppio per la prima volta, quando passava. Poi sono andata a Bari, a Bari son venuti a prendermi alla stazione, con la macchina, quelli per cui dovevo andare in servizio a fare la bambinaia. Sono andata a fare la bambinaia e sono stata lì tre anni. Poi quando è successo che la guerra era finita, che venivano in su, già a Bari quasi c’erano i militari tedeschi, allora mi hanno detto: “E’ meglio che tu vada a casa perché se arrivano qui dopo non puoi più andare e chissà quando”, allora ho preso e sono venuta su. E c’erano i militari sotto i sedili dei treni, c’era un guazzabuglio, ogni tanto buttavamo giù le valigie dal treno.Ci ho messo tre giorni per arrivare fin qui.A Riva ho incontrato una signora che conoscevo, era la padrona del Parenti (sanatorio) ad Arco. Sono andata a cercare una carrozza per andare a Varignano, perché a piedi non ce la facevo, avevo le valigie piene di roba e grandi, sono andata a Riva a cercare la carrozza, c’era il carrozziere a casa e mi ha accompagnata a Varignano, ha voluto 50 lire, erano tanti soldi ma d’altronde io dovevo arrivare a casa in qualche modo, sono arrivata così.

IRENED: Lei che ha fatto la contadina, può raccontarmi quale piante conosce?R: Io il ligabosco conosco, lo si trova sempre nelle siepi, quell’erba che è come un filo, con una bella cima, sembra una spiga di frumento; è erba, si lega intorno alla pianta, si toglie un pezzo di questa erba, che ha come una spiga, si piega quando è maturo, e si fa lesso, o fritto, si cuoce e si mangia così con l’olio. Le cime delle spine, spighe come il frumento; poi il radicchio, le erbe bastarde che è un’erba verde non velenosa, ma molto dolce. 2’03Poi avevamo anche le è un’erba che viene dopo le patate. È un bel cespuglio, è uno sterpo come l’insalata, con tutte le fogliettine seghettate. La foglia è tutta dentata. Si mangia con l’olio e l’aceto, fredde, oppure calde, fritte. Si passa un po’ di burro e una spiga d’aglio così. Noi mettevamo anche quello, perché ci piacevano i sapori, con la cipolla, anche quella si usava, prima si passa con l’olio e il burro, una passata leggera, dopo la cipolla che diventa bella rosetta, non nera, troppo secca, ma bella pallida, gialla, che resta così anche dolce il cibo che si mette dentro. Poi si mette sale e pepe.I fagioli secchi cotti, si facevano, poi si passavano con l’olio e aceto freddi, oppure si metteva un po’ di farina, olio e burro, si passavano un pochino, si metteva poca acqua, un pochino di dado per dare sapore, olio e burro e poi si mangiavano, facevano quel bel “pocetto” e restava il fagiolo bello

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ancora, perché si metteva dentro già cotto, prima si cuoceva e dopo si passava nell’olio e nell’aceto, perché il fagiolo duro metterlo nell’olio e nell’aceto ci vuole del tempo. Noi lo facevamo cuocere prima, e dopo olio e aceto e sapori nell’aglio a chi piaceva, a chi non piaceva si metteva la cipolla, la passavamo nell’olio e nel burro un po’ così, poi si mettevano i fagioli, anche i fagioli si passava asciutti con il brodo che aveva cotto i fagioli, invece di mettere l’acqua della spina si metteva quel brodino lì, e rimaneva sempre il suo sapore. Erano fritti, poi si facevano con la polenta, tanti invece li usavano con il pane, come si voleva.

IRENED: Chi le ha insegnato a riconoscere le erbe nei campi? E quando ci andava?R: Io ci andavo sempre. In inverno no. Quando era primavera si cominciava a lavorare la terra, e le erbe c’erano in primavera, cominciavano a crescere e si raccoglievano, e quando si vedevano: “Guarda, guarda che è arrivata la poarella, guarda quante, guarda che belle”, e ridevamo. La terra la preparavamo per seminare le patate i fagioli, l’orto, per seminare tutte le verdure. Era così. Prima però si ingrassava, si portava la grassa, che si faceva con le mucche, quello era il concime per noi.D: Chi le ha insegnato l’uso delle erbe?R: Dai nonni in su. La mamma dai nonni, noi dalla mamma e via così.D: E lei, ha insegnato a qualcuno?R: Io no, perché vivendo a Pregasina, tutti sapevano, perché erano tutti contadini. Si viveva della terra noi. C’erano tanti giovani.Non c’era tanto lavoro, ma in campagna c’era sempre da lavorare, col badile a girare la terra così.Quei bei campi larghi dove si poteva usare l’aratro, si faceva uso anche di quello, nei campi si andava sempre così, con badile o zappa si andava e si faceva, si portava prima il concime, la grassa, che veniva dalle mucche, dalla stalla, si ingrassava così a mano, poi si tagliava la terra con il badile, si tirava su così, perché non si poteva usare l’aratro; non avevamo campagne grandi, erano tutti campetti pieni di vigne, con i filari, allora era sempre con il badile, e avanti così. Poi si seminava il frumento, le patate: mano a mano che si faceva il vuoto, si mettevano le patate, uno, uno, uno, si metteva un po’ di grassa, poi su terra, una bella interrata, e poi un’altra striscia di patate.

D: Signora Lidia, cosa si ricorda delle piante, delle erbe dei campi che andava a raccogliere, con chi andava e chi le ha insegnato?R: Me le hanno insegnate i miei genitori, perché prima di me le raccoglievano loro.D: Tra le erbe che ha citato la signora Irene, lei ha qualche altra erba che le viene in mente? Ha detto ligabosco, le puarelle, le cime delle spine, il radicchio, le erbe bastarde...R: Quelle lì son tutte erbe bastarde. Poi c’era il luppolo, il luppolo non è un’erba, è il ligabosco. Quando era giovane si raccoglievano.

D: Poi c’era un’altra erba tipo piantaggine.R: La piantaggine, le puarelle come diceva lei, quelle che fanno i fiori rossi, la memoria se ne è andata purtroppo. Le lingue di mucca, ce n’è una infinità di erbe.Poi essendo stata a Bari, ho portato le erbe da là. Cioè le erbe che mia mamma non dava nemmeno ai conigli, giù le mangiavano, e così abbiamo iniziato anche noi, gliele ho fatto mangiare anche io.D: Che differenza c’era tra quelle erbe di Bari e le nostre erbe?R: Come sapore nessuna differenza, sempre erbe. Il sapore era quello.D: Perché da noi non si raccoglievano, e si davano ai conigli?R: Perché non lo sapevano, laggiù forse non raccoglievano qualche erba che noi raccoglievamo noi qui e viceversa. D: Non è che le erbe giù erano un po’ diverse di gusto.

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R: No, per me non erano diverse, erano uguali alle nostre.D: Erano amare?Erbe amare c’e n’erano ben poche, io non mi ricordo di un’erba amara.Avevano quel sapore di campagna, diciamo così.D: Quando lei è tornata da Bari e ha detto alla sua mamma che questa erba si può mangiare.R: Lei l’ha mangiata subito.D: E dopo?R: E dopo l’ho sempre raccolta io.D: Si ricorda i nomi di quelle erbe laggiù?R: La rucola ad esempio.D: Le cicorie?R: Si, Le cicorie, c’erano anche qui. Si el radic (Irene).D: Come le usavate queste erbe?R: A casa mia si usavano sempre lesse, escluso il tarassaco, che si mangiava anche crudo, quando era giovane si raccoglievano piccoli e li facevamo in insalata, era buonissimo.D: La signora Irene ci ha raccontato delle ricette. Lei se ne ricorda qualcuna?R: Ricette particolari non ne ricordo, io so solo che le facevamo lesse, e quello lì crudo, e basta. Ricette non ne so. Non è che noi facessimo una cosa dalla tal’erba e con la tal’erba.

D: Una domanda per tutte e due. Perché raccoglievate queste erbe nei campi?R: (Lidia) Per mangiarle.D: Era un’abitudine corrente. Un’abitudine? C’era fame?R: (Lidia) No no, non c’era fame. Il motivo principale era che ci piacevano, allora le andavamo a raccogliere, come una cosa dell’orto che raccoglievi per mangiare, così facevamo con le erbe pubbliche, che c’erano in giro.D: Per lei Irene. Perché andavate a raccoglierle queste erbe?R: (Irene) Perché c’erano nel campo, allora si diceva: “Guarda che belle erbe, perché devo buttarle via, che vanno a male, c’era miseria e si teneva da conto tutto quelle cose che si conoscevano, si diceva: le faccio cotte, le mangio cotte”, per l’insalata si facevano piccoli pezzi di terra e si coprivano.(Lidia) Lei abitava in piccoli spazi, io abitavo devo ci sono le colline più grandi, abitavo vicino al santuario delle Grazie.(Irene) Si facevano dei ripari sopra la verdura, per l’inverno. Non sempre, perché poteva anche piovere tanto o nevicare, veniva tanta neve allora. Altrimenti si poteva mangiare anche l’inverno la verdura fresca, pronta. E si potevano mangiare delle rape. Le bocche di rapa, dicevamo delle foglie, anche quelle le cuocevamo, e anche una bella patata così.(Lidia) Ce n’erano di quelle rape che venivano lunghe. (Irene) Si potevano mangiare con olio e aceto o un po’ di burro, due cipolle e si passavano bene. Perché c’era miseria, si approfittava tutto della terra, tutto quello che dava la terra, che andava bene, lo raccoglievamo, si cuoceva e si mangiava.

D: Irene, secondo lei, la conoscenza che avevano i suoi nonni, era di più rispetto a quella che ha lei adesso, o ha ereditato tutto?R: Io ricordo che man mano che crescevo dovevo lavorare in campagna: prima, mentre loro vangavano la terra, ed ero piccola, noi bambini facevamo le “bine”. Noi da bambini dopo la scuola, e in vacanza il giovedì, facevamo la campagna, ad aiutare i genitori. E allora come si faceva: si metteva una patata qui, una patata là, una patata qua, sino a che il solco era pieno, poi ci si metteva

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un po’ di grassa, sopra due belle spalate di terra, e poi si faceva un’altra bina e un’altra fila di patate fino a che avevamo finito il campoAllora i nostri vecchi, “davano ‘na bela benediziom”, benedivano i campi e dicevano “Signore facci la grazia, che sia un bel raccolto”. E quando la terra era finita lì, si riprendeva da un’altra parte.Da ingrassare la terra noi si usava tanto lo sterco delle bestie.

D: Che benedizione facevano, se la ricorda la formula? Quelle che dicevano per benedire i campi, e le rogazioni se le ricorda?R: Ricordo che i miei benedivano i campi e anche gli altri che ho conosciuto, dicevano: “Irene, vieni che mi metti giù le patate mentre vango”.Quando eravamo all’ultimo badile, che era tutto a posto, guardavamo se gli angoli (del campo) erano su belli in piedi; il campo veniva come un tappeto, e allora benedivano, dicevano un’Ave Maria alla Madonna, “Signore mi raccomando che faccia un bel raccolto per la famiglia”, perché si mangiava con tutto quello che c’era nel campo, a parte un po’ di farina, che si comprava, il latte, il resto, fagioli, patate, verdure erano in campagna. E le rape, che mangiate di rape, cotte, o fritte, anche quelle le facevamo tanto. Quelle piccoline, si tagliavano e si cuocevano un po’ e si dava come beverone alle bestie, invece di buttarle.E poi si avevano conigli o galline, si dava loro la semola, un pastolà di semola. Invece di andare in macelleria, c’era il nostro coniglio, si ammazzava e si mangiava coniglio con la polenta.

D: Vi ricordate dei canti e delle filastrocche che si facevano, dei proverbi, i canti nei canti, cantavate nei campi?R: (Irene) No, più che cantare si parlava, perché eravamo sempre a vangare, e si sa che a vangare si perde forza e cantare non si poteva; semmai all’ultimo, quando ci si fermava all’angolo del campo o sull’orlo del prato, ci si sedeva un momento, ci si asciugava il sudore, e si diceva: “O Signore Dio, fa che la mia campagna renda abbastanza per poter avere un buon raccolto, per poter far vivere i miei figli”.

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D: La signora Lidia, si ricorda qualche storia, leggenda sulle erbe? La mamma le raccontava qualcosa, i nonni, le raccontavano qualcosa per insegnare a usare le erbe nei campi?R: A me non hanno mai raccontato storie, nessuno. Mi hanno insegnato queste erbe che erano mangiabili da noi, quelle le ho imparate, poi non dicevano mica niente delle erbe non buone.D: Non dicevano niente delle erbe pericolose?R: No.D: Quindi crescevate sapendo che quelle erbe si potevano prendere quelle giuste, le altre non le guardavate neanche.R: No. Io almeno, non so gli altri.D: Irene, le erbe cattive, che facevano male, ve lo dicevano prima?R: No, noi usavamo già l’erba medica il “Medec” in dialetto, si seccava, si beveva l’acqua, quando si faceva indigestione, allora si faceva bollire un po’ di acqua e si mettevano due fogliette di erba medica e si prendeva come medicina.D: C’erano delle erbe cattive, che vi dicevano guarda non raccoglierla?R: No, da noi noi. D: Le corniole?R: (Irene) Le cornai? Oh, ce n’erano delle cornai, mamma mia che mangiate, e si mettevano via per l’inverno, si seccavano. Le cornali si seccavano, la terra era tutta piena di corniole, era una bellezza, sembravano tutti coralli, sulla pianta. Li facevano cuocere e poi si strizzava bene tutto e usciva tutto il sugo si metteva zucchero e si metteva in bottiglie. L’estate si usava come bevanda quando si sudava in campagna, si prendeva un po’ di bevanda di “cornal” si aggiungeva acqua e si faceva un bel fiaschetto, si metteva in un boschetto, perché rimanesse un po’ fresco, e quando si aveva sete si dava una bella tirata alla bottiglia.E poi si ricominciava con badile, o zappa o con la falce. Dove si poteva il fieno lo tagliavano con il ferro, ma noi donne dove c’era un orlo, specialmente l’orlo del campo, dove ci sono le viti non si può segare col ferro, noi con la falce piccola, in ginocchio, pulivamo bene, anche nella vigna, non era mangiata dall’erba falsa, così poteva crescere bene.La volevano pulita tutta così, allora era bellissima la terra, il terreno con il suo orlo bello pulito li, pulito là, la sua bella terra rimossa così, bella alta, vedevi le piantine, i fagioli, o le patate, quando iniziavano a spuntare belle, quando le vedevi crescere così ti veniva la gioia. Lo volevano vedere pulito il campo come fosse un vestito.D: Come facevate a pulire il campo voi donne?R: Il campo si pulisce quando si semina. Quando si buttava il frumento, ed era alto così, dentro la terra, piano piano, si guardava di non pestarlo, di non pestare la piantina, si entrava nel terreno del campo, e una alla volta di toglieva l’erba, perché il frumento doveva crescere bene e dare frutto, perché c’era dell’erba che come cresceva si legava attorno alla piantina che non respirava più, e quelle erbe lì sono velenose dicevano i nostri vecchi, i nostri papa’ e mamma. Allora si entrava piano piano e si cercava di non pestare il frumento che cresceva e si cercava sempre di togliere l’erba e che il terreno che c’era lì fosse libero solo per dare la grassa e respiro alla pianta che doveva crescere. C’era ben da sudare, ma si faceva volentieri perché dopo si vedeva questo bel tratto di terra bello con queste spighe che facevano venir l’angoscia.“Guarda là la mia campagna come è piccola ma come è bella”, dicevamo.“Guardate putei, guardate putei di non dimenticarvi di far bene il lavoro”, diceva il mio papà, “guardate se muoio di fare come vi ho insegnato.”

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Eravamo stanchi, ma la sera era bello vedere che era tutto a posto, e si era contenti, la mia campagna piccola ma bella. E si andava avanti così.

D: Le corniole le mettevate intorno al collo?R: Sì, le corniole sì, c’era la conserva anche, si metteva dentro lo zucchero, le altre per l’inverno, come le prugne, si mettevano sulle arele a strati e si seccavano. Perché l’inverno quando si prendeva la tosse o si era indigesti, la prendevamo per berla, si metteva una fettina di limone e un po’ di cornal così, e si faceva un bella bevanda, bella calda e si beveva.L’estate si beveva fresco, frigo non ce n’era, in campagna la mettevamo sotto un bosco, sotto le spine, si metteva tra le piante, che facesse ombre e che non si scaldasse, la bottiglia rimanesse un po’ al fresco. Ogni tanto veniva sete e si dava una tirata alla bottiglia e via a lavorare, e fino a che non si finiva di lavorare la terra. Ma era bello dopo di faceva una bella cantata, si diceva guarda là tutta la mia bella campagna finita, ed era una bellezza. Come se fosse quando ci mettevamo un vestito e si diceva “Stonte bem? èl bel èl brut?” e così si guardava la nostra campagna.D: Alla fine cosa cantavate?R: Ah Il mazzolin di fiori, noi, che viene dalla campagna.

D: Signora Betta, lei mi diceva, le ortiche mi nominava.R: Sì, si mangiavano, tra le altre erbe, poi si faceva il risotto con le ortiche.D: I cornioli?R: Da noi non ce n’erano, bisognava andare ad una certa altezza per trovarli. Quando ero più grande da sposata, abitavamo ad Arco, andavamo tutti gli anni su tra Padaro e Arco, andava in Braile, avevamo preso una casetta in affitto, con i bambini piccoli e andavamo su tutti gli anni per tre mesi, e c’era un signore che aveva un cornal grandissimo e ci lasciava prendere tutto quello che volevamo, e con le corniole così facevo la marmellata, ad ogni modo le consumavamo, non erano nostre e non venivano nel nostro paese.

D: Facevate dei giochi con le erbe o certi tipi di fiori, ciuccia bombi?R: (Lidia) Io da piccola non ho mai giocato, non sapevo cos’era il gioco. Son dovuti venire i miei figli per giocare e allora ero già vecchia. Mi sono sposata a 40 anni, e ho avuto due figli grazie a Dio, dico sempre che sono sempre stata molto fortunata nella vita. Non rimpiango niente. Delle olive non abbiamo parlato, noi avevamo tanti olivi qui sopra, quando ero piccola io portavo la merenda a quelli che raccoglievano le olive, e aiutavamo a tirarle su da terra quelle cadute. Le olive è una grande ricchezza per me però costa carissimo mantenere gli olivi.Quando è morto mio marito ho venduto tutto.D: Dove gli avevate gli olivi?R: Li avevo sopra Varignano, un po’ verso le Grazie.D: Dove c’è l’olif del Bottes o più in là?R: Mio nonno li aveva sopra l’olif del Bottes, noi li avevamo al Palù.Sa dov’è Palù? Dietro le Grazie, c’era un sentierino che si andava in filanda, prendevamo sempre quel sentiero lì per andare alle Grazie, sopra la strada che poi si va alle case dei Carloni, dove metteva gli operai a dormire. Sopra lì dicevano il Palù.

D: Lei Irene faceva dei giochi, da piccola giocava?R: Facevamo “la settimana”, per terra e dopo la festa, dopo finite le funzioni, ci mettevamo sulle scale di casa d’estate, d’inverno dentro e facevamo la tombola.

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D: Coi soffioni? Il “pissa nel let”, lo usavate per giocare? Il tarassaco?R: noi no, si faceva la settimana, una bella giocata, uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, poi con il ginocchio così, e uno per aria, saltavamo dentro nel quadrato, si saltava, se si saltava sulle righe, dovevi ripetere un’altra volta. Altrimenti sempre con una gamba così, saltare, uno, due, tre, e se mettevi giù la gamba, avevi perso, tornavi di ritorno e dovevi rifare. Si tirava “en tochet de sghia“, un pezzettino di vetro, dovevi prenderlo e stare con il ginocchio così, per tutto il giro.

D: Lidia per lei il “pissa nel let” lo usavate il tarassaco? E per giocare?R: Lo usavamo per mangiare il tarassaco. D: E per giocare? No, perché lei non giocava.D: Ai figli ha trasmesso la conoscenza delle erbe? conoscono qualche erba spontanea i figli?R: Io ho insegnato quello che potevo, perché sono nati che avevo 40 anni, quasi 43 anni, il maschio prima e la seconda la femmina, e allora sono stata poco con loro, andavamo in Braila l’estate e stavamo su tre mesi con i bambini, mio marito lavorare alle Palme, veniva su quando era libero con il motorino, veniva su dalla parte del paese di Massone. Veniva su a trovarci d’estate, stava su la domenica.Mio figlio sta nella provincia di Pavia, sull’Appenino tosco-emiliano.

D: Irene, lei ha avuto figli?R: Sì uno.D: A suo figlio ha insegnato a raccogliere le erbe? Usa le erbe suo figlio?R: Quando ho avuto vent’anni sono venuta a Riva, sono sempre stata a Riva, facevo servizio presso le famiglie, settimana per settimana avevo la mia famiglia e andavo a lavorare, e lì mi sono sposata e ho avuto un figlio, che adesso ha 74 anni, e ho due nipoti. D: E quelli mangiano le erbe?R: Mamma mia, altrochè!D: Può raccontarmi come mai?R: Qui a Riva le erbe le compravo, invece quando stavo in Pregasina le nostre erbe stavano in campagna, ligaboschi le puarelle.D: Ma suo figlio, le erbe?R: Sempre, a lui piacciono, i fagioli tanti. D: I suoi nipoti?R: Anche a loro, preciso. Come avevamo mangiato noi, il papà ha insegnato anche al figlio a mangiare così. Gli diceva: “Guarda di mangiarlo questo, ti manca e devi mangiarlo”. Le racconto un particolare. I miei nipoti sono sposati, ma uno di loro è senza figli, l’altro ne ha due, la bambina è arrivata a casa un giorno, che andava all’asilo, e disse: “Oh papà, oh papà, questo vestitino non è bello sai, vedessi la mia amica che bel vestitino che ha”.E lui rispose: “Senti Sofia, sei vestita?”, “Sì”, “E allora accontentati del vestito che ti mette la mamma, che è tanto bello quanto quello della tua amica. Da noi è così, e basta, e non lamentarti più”. Lei ha pianto ma dopo le è passata, non vorrai mica che cresca con le idee perché vedono gli altri. “Le endrizo mi”.D: Ma è stato suo marito a insegnare loro le erbe? E’ stata lei o suo marito?R: Mio marito era un campagnolo anche lui, paesano, è cresciuto come me, in mezzo alla miseria, in mezzo alla verdura e alla grassa perché c’erano anche le bestie nella stalla e la grassa si portava nelle ceste a spalla in campagna e si facevano i mucchi.D: Cosa faceva per insegnare ai suoi figli? Cosa diceva?

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R: Mi sono sposata qui a Riva, non lavoravo più in Pregasina. Lui gli ha insegnato la vita che gli ho insegnato io: “Mamma, cosa facevi a Pregasina”, “Stavo in campagna, che ho un pezzetto di campagna”, ora vanno i nipoti e la lavorano.D: Avete sempre lo stesso pezzo di campagna, e ora vanno i nipoti?R: Sì, la domenica partono e vanno in Pregasina. C’erano tante vigne, e con il tempo che ci siamo trasferiti qui a Riva, andavo a lavorare qua e ci andavamo su il sabato e la domenica e con il tempo abbiamo lasciato andare e abbiamo tolto le vigne e abbiamo fatto tutto prato. Adesso vanno i figli e se la godono, c’è su la cantina perché facevamo il vino, si fanno da mangiare per il giorno e lavorano e sono contenti si fanno la verdura per mangiare, e si vive così, vivono adesso con quello che hanno saputo e hanno fatto i nonni e godono delle cose che i nonni hanno lasciato. Sono contenti. Si godono anche i bambini quando vanno su.

D: Vi ricordate un canto che facevate, a parte “Un mazzolin de fiori”, ma un canto , un’orazione che dicevate? Facevate una festa, cantavate qualcosa insieme, vi ricordate? R: (Irene) Irene canta “Salve regina”, le litanie e Ora pro nobis.

D: Quando le facevate queste rogazioni? Quanto le dicevate?R: Sempre, avevamo il rosario noi la sera in chiesa, anche a casa si recitava, magari era brutto e mancavi alla funzione, “Ragazzi venite qua, che ringraziamo il Signore, che anche oggi abbiamo passato una buona giornata”, poi la domenica non si poteva mancare di andare in chiesa, si lasciava tutto e si andava in chiesa.D: Irene, fino a quando avete recitato queste litanie, quando avete smesso di recitarle, in che anno?R: Sempre, perché quando si recita il rosario, quando si hanno finito i cinque misteri della corona, dopo è il rosario che si recita, e l’angelus domine (lo recita).(Lidia) Facevano anche le rogazioni. Tutti gli anni. Partivano dalla chiesa, pregavano, dicevano su le litanie di tutti i santi, per le rogazioni e giravano tutto il paese e benedivano le campagne. D: Anche lei le sapeva le litanie?R: Sì, le leggo tutti i giorni perché a memoria… non mi regge.Io leggo i misteri, questi sono quelli fatti da Pio XII, li sapevo tutti a memoria, ma li ho dimenticati. E allora i misteri li leggo tutti i giorni un po’…

Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017

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Riva del Garda, 14 settembre 2017APSP di Riva del Garda “Città di Riva”Intervista a Sara Dellaidotti raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Ti potresti presentare?Sono Sara Dellaidotti, ho 29 anni, sono educatrice professionale sanitario, e lavoro qua all’APSP Città di Riva, da due anni. Mi è sempre piaciuta sono sempre stata portata per questo tipo di professione con persone con disagio, in realtà fin da piccola, sapevo che avrei fatto qualche professione di aiuto, poi c’era l’università qui a Rovereto, visto che mi interessava tantissimo aveva delle bellissime materie ed effettivamente è stata la strada giusta.

D: Quale tipo di piante spontanee da mangiare, che si raccolgono le piante conosci? Sai i nomi in dialetto?R: Conosco i “denti de can” famosi perché ci crescono anche lì a casa dove abitavo con i miei, a Dorsino, nei campi intorno.È il tarassaco. I denti de can li raccoglievamo e mangiavamo bolliti e conditi a freddo con tanto aceto perché erano amarissimi, altrimenti non riuscivamo a mangiarli.Sempre di questa pianta prendevamo i fiori gialli quando erano belli freschi, e facevamo il miele con il limone. Da bambina ricordo quando andavamo in montagna, perché spesso eravamo a fare i giri in montagna, alla primavera, noi bambini insieme ai miei cuginetti andavamo a cercare le primule, succhiavamo il fiore che era bello dolce; si raccoglieva sempre nel periodo della tarda primavera anche gli asparagi selvatici, che tanti non conoscono, ma nella mia zona a Dorsino ce ne sono parecchi: sono fini di un verde scuro scuro, sono amarissimi rispetto agli asparagi che si comperano belli grossi, e anche quelli li mangiavamo nelle frittate, o bolliti e conditi con tanto

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Page 54: “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” · Le piante selvatiche le metti da una parte, l’anno dopo le trovi magari lontane dieci metri, devi rincorrerle. E’ divertente ma non

aceto, e c’era proprio un rito con la mia famiglia di andare a raccoglierli assieme nei nostri posti conosciuti, che non dicevamo mai a nessuno, in mezzo ai boschi e ai rovi, in posti non lungo i sentieri, e ci li cuocevamo e mangiavamo la sera assieme.Quando ero piccola, c’era una chicca che ci dava mio papà quando andavamo nei campi, in zona Dorsino ma anche in passeggiata verso Bael, dopo San Lorenzo in Banale, per andare in montagna: era il “panduc”, penso sia il termine dialettale. Si mangiava il gambo fresco quando era ancora molto fresco, altrimenti non era buono, aveva questo sapore acidulo, si succhiava questo gambo, molto filamentoso quindi poi lo ingoiavi, prendevi la parte tenera, così crudo. Il mio papà staccava nei prati questo gambo e ce lo dava a noi bambini da da mangiare così come una caramella, un dolcetto, in realtà era acidulo, ma aveva un retrogusto dolce, e ce ne dava un gambetto a testa a noi bambini.In montagna nella zona per andare al rifugio Cacciatore, a metà strada c’era questa zona dove si raccoglievano le comedole, lo spinacio selvatico, si raccoglieva e si mangiava quello.Noi andavamo spesso a passeggiare, a fare queste escursioni in montagna, e mio papà mi diceva sempre: “Se ti perdi, ricordati che puoi mangiare cardi sbucciati”, quindi mi aveva regalato il coltellino da montagna. “Lo sbucci e mangi il cuore”, è proteico, ti sazia; se ti trovassi da sola e devi rimanere da sola per qualche tempo sappi che quello te lo puoi mangiare e ti tiene l’energia”. Poi mangiavo le bacche, c’erano delle bacche che erano, tutto osso e niente polpa, non ricordo come le chiamavamo, erano sul rossiccio, non le cornal, ma un’altra bacca che in realtà non saziava niente: era proprio come una caramella, non c’era polpa, è grande, si apre, e non si poteva in realtà raccogliere.Il “sambuc” con cui si faceva lo sciroppo, si utilizzava sia quando il fiore non era sbocciato e poi quando c’era il fiore fresco, si raccoglieva per fare questa bevanda dissetante, buonissima; poi anche i mughetti: del mugo prendevamo la pigna, le piccole pigne quelle fresche. Si faceva lo sciroppo di cui io ero ghiottissima, però si poteva solo un cucchiaino se avevo mal di gola o la tosse, allora ogni tanto dicevo: “Ho mal di gola”, perché mia mamma mi dava questo cucchiaino di sciroppo di mughetto che era spettacolare, buonissimo. D: Comunque a 29 anni, nove piante e nove utilizzi! È una statistica alta. E l’ortica? Il luppolo?R: L’ortica non la utilizzavamo in cucina, la conosciamo molto bene. Luppolo ce n’era tantissimo lo sapevamo riconoscere però, perché la battuta sulla birra si faceva sempre tra i miei zii con mio papà. Gli sciopeti noi non li abbiamo mai mangiati ma era un gioco che utilizzavamo tra noi cugini, si faceva spesso il “cic ciak”, era il giochettino a chi faceva più rumore, stampandolo sulla fronte o sul dorso della mano, si giocava così. Un altro gioco con le graminacee, si faceva “gallo, gallina, pulcino”, si prendeva la parte con i semi, la parte alta, con l’indice e il pollice si alzava velocemente e se veniva il ciuffetto basso basso era pulcino, medio era la gallina, se rimaneva una parte alta era il gallo, e quindi si diceva “gallo, gallina o pulcino?” e l’amichetto o mia cugina se mi rispondeva “gallo”, e in realtà veniva pulcino aveva perso, e questo ci aiutava nelle camminate, quando andavamo in montagna ad andare avanti, a camminare per ore, senza che ci accorgessimo. Quindi anche i miei genitori facevano questo gioco qua perché noi andassimo avanti: “Guarda lì, vai a fare “gallo, gallina, pulcino” e noi andavamo avanti, ed era un gioco che si faceva molto spesso.I farinei non li conosco.Le cornal le andavamo a raccoglierle, le mangiavamo crude e la cosa migliore era di metterle nello zucchero che poi usciva questo sciroppino fantastico, oppure si bollivano in modo da estrarre il succo che se si lascia andare per tante ore diventa gelatinoso. Era spettacolare anche questo. Tra l’altro a Dorsino dove abitavo ce n’erano parecchie, lì era usanza andare a raccoglierle e utilizzarle,

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non per fare marmellate perché c’era il nocciolo difficoltoso da togliere però le mettevamo sotto zucchero e facevamo lo sciroppo.D: Dove si trova Dorsino a che altitudine?R: Seicentoquaranta metri.

D: Queste piante come le hai conosciute, chi ti ha trasmesso la conoscenza, come avveniva?R: Le piante le ho conosciute grazie al mio papà, che nei momenti di uscita in montagna ma anche lì in zona casa, perché Dorsino è circondato da campi dal verde, mi insegnava gli utilizzi e mi riportava episodi di quando lui era piccolo. Lui è sempre stato un grande narratore di storie legate alla sua infanzia e quindi ogni occasione era buona perché mi raccontasse una storia.Quando eravamo fuori spesso raccontava queste cose che poi diventavano nostre, mie e di mia sorella, dei miei cugini perché eravamo sempre insieme. Quindi i giochi diventavano nostri, le storie le facevamo nostre, quindi i giochi con l’erba, o il mangiare dei tipi di fiori o piante, ci divertivamo un sacco con queste cose qui. Mio papà per lo più è stato a raccontarmi tutte queste cose.D: Ti ricordi un episodio in particolare magari di tuo padre?R: Mi è rimasto impresso il ricordo di quando mio papà mi aveva raccontato come mangiare il cuore del cardo. Fu quando eravamo in montagna, su in Prada, sopra San Lorenzo. Noi bambini correvamo liberi di qua e di là, probabilmente mio padre un po’ spaventato dal fatto che ci vedeva non ci vedeva, mi raccontò delle proprietà di questo fiore e di come si poteva mangiare se mi fossi persa. “Ma non mi perdo caspita, non posso mica star da sola in montagna!”, replicai.Quindi mi aveva raccontato di come salvarsi in montagna se si rimaneva ore da soli.

D: Tuo padre da chi le aveva prese queste storie queste conoscenze?R: Mio papà e vissuto e cresciuto a Dorsino, e quindi i bambini della sua età, ma anche quando ero piccola io, eravamo abituati a girare senza che ci accompagnassero i genitori, intorno si girava da soli. Mio nonno e mia nonna avevano i campi, non avevano i pascoli ma spesso andavano in montagna, la vita era spesso in montagna e quindi penso che le abbia imparate dai genitori, che utilizzavano appunto le piante per far da mangiare, e il miele.

D: Il motivo per cui usavate queste piante, motivo economico, motivo di gusto, salute, e se ancora le usa la tua famiglia e le usi tu?R: Il motivo per cui usiamo e abbiamo usato queste piante è legato un po’ all’aspetto economico, perché i miei mi hanno sempre insegnato che non si butta via niente, che bisogna usare tutto quello che si può usare, quindi non ci devono essere sprechi, quindi i denti de can che vengono utilizzati; e poi facevamo crescere anche la camomilla, per farla noi in casa. Un altro motivo era un’abitudine che veniva portata avanti. Loro avevano visto in famiglia come erano utilizzate le piante e continuavano a riportarlo, quindi lo hanno insegnato anche a me, mi hanno dato le ricetta ad esempio del miele; i denti de can so come si fanno. È una cosa che viene ancora utilizzata, è come una tradizione che deve essere portata avanti, non ci poniamo neanche il perché è una cosa naturale che va fatta.

D: Come si raccolgono queste piante, come le raccoglievate, insieme, in comunità, con quale tecnica particolare, come ti diceva tuo papà: “Attenzione questa si prende la sommità, non prendere tutta la pianta perché allora la lasci anche agli altri”, può raccontarmi questo e se tu qui, immagino che tu viva a Riva, se continui a raccogliere le piante e dove eventualmente? Quindi tecniche di raccolta e continuazione.

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R: Le piante che raccoglievamo assieme in famiglia, sono per lo più gli asparagi selvatici, perché quello è proprio un momento nostro. In primavera ci si ritrova per raccogliere gli asparagi, quella è proprio una cosa immancabile, mentre i denti de can o altri tipi di erbe era più compito della mia mamma. Mi ricordo che da bambina giocavo lì intorno, ma non le facevano raccogliere a me. Sia la mia mamma che il mio papà mi hanno sempre detto che per raccogliere le piante bisogna fare attenzione a non tirar via tutto ma con il coltellino farci il giro, degli asparagi attenzione a tenere la radice, e spezzare solo dove comincia ad essere più morbido il gambo, in modo che sia tenere il gusto e rimanga salvata la pianta. Questo quando ero a Dorsino ed ero bambina. Tuttora, nel momento della primavera, vado a Dorsino e andiamo insieme per asparagi selvatici, è proprio rimasta una cosa nostra. Invece per le altre piante non ho tenuto la tradizione se non per quella del miele di tarassaco, vado a Dorsino a raccogliere i fiori quando sono belli freschi e lo faccio a casa mia, e poi lo do io ai mei, non sono più loro che lo fanno ma sono io che glielo preparo e lo lascio a loro. Per il resto si è un pochino perso, forse perché dove vivo adesso, ad Arco non trovo più, e non ho neanche così tanto tempo per andar su e fare quello che facevo prima.

D: Quindi la tua zona di raccolta non è Arco, un po’ perché non conosci la zona, un po’ per la penuria dei campi oppure perché l’appuntamento fisso comunque è quello della tradizione famigliare Dosino è il tuo luogo di eccellenza.R: Un po’ quello, Dorsino è il luogo di eccellenza quindi la raccolta va fatta lì, e poi sarà una mia fissazione, ma mi sembra che lassù ci siano più piante incontaminate, più fresche, più pulite, e quindi non cerco neanche qui in zona dove di turismo ce n’è fin troppo e poi campi immacolati e tenuti così come sono non ce ne sono, almeno io non ne ho visti tanti, quindi preferisco andare su dove ci sono questi prati, proprio lasciati allo stato selvaggio e la natura fa il suo corso, senza veleni né niente.

D: Quante persone conosci che raccolgono erbe oggi?R: Non ne conosco tante persone che raccolgono le erbe, perché i ragazzi della mia età si stupiscono quando porto il barattolino del miele. Loro non saprebbero farlo e non conoscono neanche l’esistenza del miele, così selvatico e con i fiori del tarassaco. Gli asparagi non sono conosciuti se non nella mia zona stretta, quando me li porto giù non sono conosciuti, non li riconoscono neanche come asparagi qua in zona, sono diversi da quelli che ci sono qua.Delle storie invece dei fiori, delle primule che succhiavo il fiorellino o dei cardi così, si stupiscono tant’è che all’università ero chiamata dai ragazzi del mio corso “l’Heidi”, perché abitavo su per le montagne, e stavo a contatto con la natura, perché per loro non era una cosa di tutti i giorni. Li stupiva.

D: Dal tuo punto di vista, la conoscenza di queste erbe spontanee, rispetto alla generazione di tuo padre tra i tuoi coetanei quanto si è persa?R: La conoscenza dell’uso delle erbe si è persa tanto dalla generazione dei miei genitori a quella di oggi. Anche se secondo me, c’è da fare la differenza rispetto a chi vive nei paesi, o ha vissuto l’infanzia nel paese, rispetto a quelli invece cresciuti più in un contesto cittadino, o più grande. Perché a Dorsino ad esempio, quelli della mia età o anche un po’ più piccoli, conoscono queste erbe: chi più chi meno ma le conoscono e le danno per scontate. Mentre nelle zone di città è più difficile, hanno più difficoltà anche i miei stessi nipoti, la più grandina ha 7 anni e ha difficoltà: quando viene dai nonni a Dorsino anche solo ad ascoltare queste storie delle erbe, non le capisce, non le vede sue, camminare a piedi scalzi nell’erba le dà fastidio, non la trova una cosa divertente, perché è cresciuta in un altro ambiente.

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Quindi si sta perdendo probabilmente, questa conoscenza.Molti giovani della mia età adesso gestiscono, ad esempio un ragazzo gestisce una malga, un altro ha preso casa in montagna.Quindi c’è un ritorno alla vita tranquilla della montagna, tanti invece che andare in città scelgono adesso di specializzarsi nella coltivazione o nell’allevamento e vanno in montagna. Ce n’è più di uno ha deciso di restare nel paese o nelle zone limitrofe.

D: Perché secondo te?R: Per me che ho vissuto la vita del paesino, tranquilla e regolare, scandita dai ritmi naturali, e sono passata alla vita dell’università, al lavoro e il trasferimento ad Arco che non è grande però è una dimensione più grande, riconosco che la vita del paese ti toglie da quella frenesia, da quelle aspettative che hai invece in una cittadina. Non è che vivi meglio, perché poi è una questione soggettiva, però sei più a contatto con te stesso, con la natura, quindi è un ritorno a quei valori, che secondo me, ti fanno capire il ciclo della natura, è una vita diversa. C’è chi la ama e chi no, ma so che tanti sono tornati alla vita del paese. Non scappano più.

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Riva del Garda, 14 settembre 2017APSP di Riva del Garda “Città di Riva”Intervista a Gianfranco Maino raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Potresti presentarti?R: Gianfranco Maino sono direttore della Apsp Città di Riva, ho sessant’anni e il mio ruolo è di essere direttore di quest’azienda complessa di servizi alla persona. Prendiamo utenza anziana ma non solo. Abbiamo utenza adulta con problematiche di vario genere che possono essere di carattere sanitario, disagio psichico che dopo una certa età non viene più gestito in strutture a questo dedicato e anche persone che avevano sofferto per qualche motivo condizioni di marginalità sociale, a seguito di malattia o a seguito d’altro.Questo è il nostro contesto di riferimento dal punto di vista dell’utenza.

01D: Qui alla casa di riposo di Riva avete degli orti, dei piccoli giardini aromatici, ci puoi raccontare come nasce questa idea di collocare qui degli orti, da dove nasce questa idea? Si parlava di indagine su storie di vita delle persone e che scopi hanno, come le proiettate nel futuro?R: Voi avete capito il nostro contesto operativo, un contesto un po’ particolare sia per le persone che abbiamo in carico sia un po’ per il tipo di lavoro che facciamo. In realtà il fatto di associare la nostra attività a questa altra iniziativa, se ragionassimo con persone comuni queste potrebbero cogliere l’anomalia; potrebbero dire: “Cosa cavolo centra l’assistenza alla persona con problemi di demenza o problemi di altro genere con un rapporto con gli aspetti della natura”? possiamo chiamarli così? Se vogliamo ragionare in un’accezione molto larga. Noi siamo partiti da una riflessione di carattere generale. Istituzioni come le nostre un tempo erano istituzioni che raccoglievano, escludevano,

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separavano, gestivano, curavano oppure comunque si occupavano di problematiche che il resto del mondo non avrebbe voluto tutto sommato vedere. Penso alla malattia, penso alla disabilità, comunque a quei soggetti che in qualche modo non sono tra virgolette adatti ad un certo tipo di vita chiamiamola sociale. Noi siamo partiti da questo, ma in fondo nella vita delle persone uno degli elementi più forti è sempre stato il rapporto con la natura, con un ambiente nel quale sei vissuto. Da noi qui l’Alto Garda è un ambiente molto particolare, sapete anche voi è un ambiente unico al mondo perché abbiamo una zona di macchia mediterranea più a nord del mondo, fatta qualche eccezione rara, quella più ampia sicuramente più a nord. Le persone che vivono qui hanno sempre avuto una parte di frequentazione e di rapporto con la natura particolare. Anche quando abbiamo fatto un po’ anni fa, una ventina di anni fa, avevamo fatto una ristrutturazione, abbiamo sistemato il giardino all’esterno. Ci siamo chiesti: “Ma quali piante ci sono qui intorno? E poi abbiamo fatto una riflessione. Abbiamo qua una Sterculia, che è una pianta rara che c’era sui laghi del nord d’Italia, per cui lago Maggiore, il lago di Como, il lago di Garda, non si trova quasi più. Qui abbiamo il Corbezzolo, che ha 100 anni di età, è enorme, lo abbiamo liberato da erbacce, sterpaglie. Purtroppo con quest’ultimo fortunale un tronco è caduto, però il giardiniere del comune ha sistemato il resto. Abbiamo visto che sulle foto storiche della nostra struttura, qui dove c’è il vecchio ospedale, c’era questa pianta piccola. Poi abbiamo fatto per un periodo il comitato per la difesa del Corbezzolo, per cui abbiamo sempre avuto un po’ di sensibilità rispetto a questo, proprio partendo dal fatto che le persone, se vivono in un ambiente che preserva degli aspetti della natura nella quale sono cresciuti, stanno meglio.

Insomma le persone stanno meglio in un ambiente così. Perciò c’è sempre stato questo tipo di sensibilità. Da qui poi è partito un ragionamento sul fatto se alcune “abilità” che avevano le persone nella cura del giardino, dell’orto, dei fiori, delle piante potevano essere in qualche modo stimolate e mantenute anche quando venivano meno delle capacità fisiche di operare o delle capacità anche cognitive di capire e fare cose complesse. Quando hanno fatto gli orti collettivi, con delle persone mediamente più abili che potevano muoversi avevamo realizzato un orto, che in questo momento

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non viene utilizzato per difficoltà di accesso, bisogna fare un giro enorme. In uno di questi piccoli orti collettivi si mettevano un po’ di piante, c’erano alcune persone che avevano la memoria di cosa facevano e coltivavano i pomodori, dell'insalata, tre zucchine, una zucca. L’obiettivo non era quello di fare un raccolto copioso o di mostrare l’orto più bello, ma era un momento che si passava in compagnia, si stava lì, avevamo anche un paio di familiari che venivano coinvolti quando era il momento della preparazione; ogni tanto passavano a dare una mano per fare determinate cose. Poi avevamo degli ospiti che si divertivano a fare, per cui si andava là, si raccoglievano le melanzane, due pomodori venivano qua, di sotto avete visto lo spazio della cucina, dove gli ospiti lavorano le verdure anche coltivate nell’orto. Purtroppo la platea delle persone con abilità, capacità di muoversi si è ridotta, allora ci è venuta l’idea di fare qualcosa sul balcone, ci siamo fatti costruire una vasca, abbiamo cominciato con delle aromatiche; sono piante che si trovano tranquillamente in giro da noi, tipica macchia mediterranea: l’origano, il basilico, il rosmarino, qualche pianta strana. Avevamo un collega, un fisioterapista che era appassionato, andava a raccogliere l’aglio orsino, ci ha portato la pianta, lo abbiamo trapiantato e funziona anche l’aglio orsino nella vasca. Il nasturzio è una leguminosa per cui è un fiore, una pianta edibile che si può mangiare e si può vedere.

Da lì è partita tutta un’escalation di attività, complice anche il fatto che nel frattempo abbiamo avuto l’entrata di utente giovane con problemi di recupero della sua autostima e abbiamo pensato che quella poteva essere un’attività adatta.Lui veniva da una famiglia di ortolani. Lui è l’uomo che ha incominciato: abbiamo trasformato un balcone da luogo dove non c’era niente a un luogo dove si coltivano le piante. Lui adesso fa l’orto, ora la fase estiva è finita, ci stiamo interrogando su cosa possiamo salvare in l’autunno. Siccome lui è originario di Torbole, da una famiglia che coltivava il broccolo autentico, abbiamo messo a dimora dei broccoli. Purtroppo dal punto di vista genetico non c’è più il seme originario, tutti lo spacciano, ma la pianta originaria veniva più piccola, più alta. Quindi nasce un confronto con lui, con gli anziani che escono, guardano questo giardino, si mettono lì.

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Abbiamo avuto l’anno scorso una signora che aveva un agrume a casa, è venuta da noi, ha portato questa pianta di agrumi in vaso. La pianta ci è rimasta in eredità, qui ha ripreso vegetazione, perché curata. Questa signora era tutta contenta: “Posso godermi la mia pianta” diceva, “Pensavo di doverla lasciare a casa e invece…”, e così fai una cosa bellissima. Grazie a questa persona, e per lui è diventato un modo per occuparsi di qualcosa.Così, partendo dalle storie di vita delle persone abbiamo pensato che veramente si possono strutturare dei percorsi, dei progetti, nei quali un recupero anche minimo di attività, di capacità gestionali, di determinati aspetti, anche della coltivazione è un elemento che ti da soddisfazione.Siamo partiti con vasche su vasche, adesso ne abbiamo presa una che metteremo nel nucleo demenze, perché anche lì, abbiamo qualche pianta, metteremo delle aromatiche, perché più di tanto non si può fare, però l’odore, il tirar su qualcosa, lo strappare, il manipolare, son cose che danno ancora delle sensazioni positive, e fanno stare meglio sicuramente.Questo è un elemento, per noi interessante, è una pista che si sperimenta e si sta andando avanti. Stiamo facendo questa struttura qua sotto, abbiamo in ballo un ampliamento che è partito anche da una riflessione storica: il nostro è un ambiente con caratteristiche particolari in cui la gente veniva per curarsi o la tbc o altre malattie, sia a Riva che a Arco.Su questo aspetto abbiamo coinvolto progettisti, che qualche pensiero su queste cose qui l’ha fatto. Nella struttura nuova, abbiamo chiesto due spazi, uno sarà uno spazio destinato all’attività di orto, l’altro sul discorso aromi, fiori. Con una associazione della zona, pensiamo di dedicare uno piccolo spazio a piante della memoria, piante antiche e alberi da frutto che oggi vanno perdendosi. Abbiamo messo un pero di quelli vecchi, di quelli antichi, abbiamo recuperato una pianta particolare, una pianta stranissima, che da noi è stata introdotta negli anni di crisi della bachicoltura. I bachi venivano alimentati con le foglie di gelso, ad un certo punto c’è stato un periodo in cui il gelso per varie questioni di parassiti, non produceva più, quindi hanno introdotto questa pianta, la maclura pomifera, pomaria, si chiama anche arancia degli Osagi, originaria del Nord America, un frutto che non è commestibile, però fa molta foglia. Il frutto assomiglia a un cervello, ha una forma stranissima.Allora uno dei nostri utenti con una operatrice si interrogavano: “Ma questa pianta qua, come si fa, è una pianta strana, che pianta…”. Abbiamo fatto come pollicino, ricostruito la storia di questa pianta e abbiamo scoperto che qua da noi, a sud di Sarche e lago di Cavedine ne avevano messe per incrementare i bachi da seta. E da lì la pianta è arrivata in qualche modo, anche in altri posti. Com’è che si fa questa pianta qui, si riproduce per talea o si riproduce per seme. Prendi ‘sto frutto, spaccalo vien fuori il seme, metti giù il seme, il nostro uomo mette il seme, e cresce questa robetta di maclura.La usavano anche per fare recinzioni, perché la maclura fa anche la spina per cui, quando diventa adulta, è in giardino. Questa storia della maclura è una metafora: “La maclura la cura”, una cosa incredibile; faccio la battuta ma effettivamente è così. Messa questa piantina, cresce qua sul balcone, arriva l’inverno, questa operatrice con questo nostro utente, arrivano a un bivio: “Questa qua è la maclura, te l’affidiamo, mettila da qualche parte, quest’inverno”. La maclura ha superato l’inverno, ora è una pianta che sta crescendo rigogliosa, una pianta rara, strana, non è autoctona, sappiamo perché è capitata qua, cosa si faceva. E gli anziani: “Guarda qua, guarda là, ma che pianta strana, cos’è? cosa non è?” Tutte queste cose sono bellissime, stimolano molto, la fantasia, i ricordi, ecco, e alla fine è terapeutico; è effimero perché non salva né dall’età, né dal decadimento, però... Orgogliosamente abbiamo visto crescere la maclura: questa qua veniva dal lago di Tenno, ci ha dato il frutto una nostra utente che viene al diurno. Tutto questo con una sensibilizzazione. Lo stesso discorso vale anche per il peperoncino, abbiamo fatto anche una mostra, abbiamo venticinque varietà di

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peperoncino, alcune comprate altre prodotte dal seme alcune da semi dal Sud America, li ho sempre portati per passione. Da lì nascono altri interessi e coinvolgimenti. E’ un bel movimento che si è messo in moto. Pierino che coltiva l’orto, produce anche delle verdure, che poi consuma, ogni tanti si mette via i prodotti. Ha messo una griglia di quelle elettriche!E’ un fatto molto positivo, sia perché aiuta un po’ a rimettersi a contatto con un aspetto che per noi è primigenio, che fa parte di noi, sia perché dal punto di vista dell’autostima personale, chi fa qualcosa proprio si rende conto che qualcosa è ancora capace di fare e vedi anche un risultato positivo. Nel caso di questa persona, questo è uno degli elementi che ci ha aiutato per favorire il suo inserimento sociale, è abbastanza importante, questa cosa. E’ logico che qui bisogna lavorare molto, anche sulle persone che qui sono impiegate, rispetto al contributo che molti danno, che arrivano e danno una pianta: “Te la porto io, metto lì i fiori”, si è messo in moto un bel movimento anche con gli operatori, un bel gruppo di sensibili al tema. Abbiamo una signora, che ha il marito che ha selezionato una varietà di pomodoro molto grosso, fa le piante. Poi abbiamo provato a riprodurle, ci siamo riusciti, è una bella storia. Ci si prova, è molto complicato per l’abilità e per la motivazione: se c’è dietro un po’ di motivazione bisogna sostenere quella, e poi dall’altra parte anche chi non ha l’abilità può godere dell’ambiente dello spazio. Parliamo del discorso della memoria. Penso solo alle disquisizioni che ogni tanto facciamo con questo addetto all’orto sui trattamenti: “Una volta, noi quando coltivavamo facevamo queste cosa qua.Io dal punto di vista personale coltivo il mio orto secondo criteri di approccio biologico. Conosco vari rimedi, ma con lui qui: “Dai che proviamo questo, ma poi no”, interessante: “Mi ricordo che mio papà”, metteva il rame, la calce”, cioè tutta una serie di aspetti che sono interessanti.E’ bello il clima: anche le persone più anziane partecipano. Ad esempio un signore che è morto ieri, 97 anni, era un ortolano di quelli… quando piantava il pomodoro faceva il pomodoro più grosso, allora andava su, si metteva lì e diceva: “Guarda qui, l’ortolan”, l’orto diventa un elemento credo molto importante di socialità Sul discorso delle persone con deterioramento cognitivo invece severo, veramente diventa anche un momento per fruire dei profumi, degli odori. Diventa anche un modo di vivere l’ambiente che è bello, ti consente ancora un contatto con la natura con questi aspetti, senza vincoli.In questo modo recuperi questo tipo di dimensione, che è la dimensione che molte di queste persone hanno avuto. È sempre molto difficile a realizzare queste cose qua, nascono da una chimica molto particolare, devi avere le persone, che ci tengono a promuovere, a sostenere la questione.Bisogna provarci, se non ci si prova non si sa. Questo è quanto noi stiamo cercando un po’ di fare, non so se riusciremo a sviluppare tutto quanto abbiamo in mente, sicuramente l’idea è di avere degli spazi più idonei, e anche il progetto delle “piante della memoria”. Perché poi questa è un’area molto interessante, abbiamo piante messe all’epoca dell’impero austro-ungarico.E vedremo, se sul nostro progetto riusciremo a realizzare questa spazio delle piante della memoria, questa sarebbe veramente una bella cosa, dipende molto da questa associazione ma credo che pian pianino cercheremo di arrivarci.

Interviste sulle “Piante alimurgiche nell’Alto Garda” a cura di Sara Maino - 2017

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Canale di Tenno, 14 settembre 2017Intervista a Guido Omezzolli raccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Potresti presentarti?R: Mi chiamo Guido Omezzolli, sono del ’53, sono nato a Riva, ma da trent’anni risiedo a Tenno dove ho comprato un’antica casa restaurata. Il valore di questo trasferimento è stato determinato anche dal fatto che vicino alla casa c’era un orto-giardino. Dico questo perché è sempre stata un po’ la mia passione, il mio desiderio di mettere le mani nella terra, anche perché son figlio di giardinieri, ma prima ancora che il mio babbo fosse giardiniere era contadino. Quindi le eventuali conoscenze che ho sulla raccolta delle erbe o dei frutti, sulla conservazione e l’utilizzo vengono prima ancora da questa esperienza vissuta direttamente nelle classiche case dei contadini. Adesso ci sono gli orribili agritur che offrono la stratipica ricetta trentina: strangolapreti, con spinaci che vengono dalla Cina, quando i veri strangolapreti sono fatti o erano fatti con le erbette delle campagne, altro che spinaci che magari non vengono dalla Cina ma Olandesi come minimo.Io ho imparato e mangiato con gusto tutti questi prodotti dei contadini proprio perché la famiglia dove sono nato era ancora una famiglia con fratelli e sorelle che vivevano alla Colombera a Riva del Garda e addirittura facevano - per collegarmi alla mia “distruzione” degli agritur dell’APT trentina - il famoso “prodotto”. Il prodotto era una legge agricola credo ancora del Bonomi, del grande senatore Bonomi che permetteva ai contadini di vendere o addirittura far da mangiare direttamente alla gente. Mi ricordo che quando abitavamo in questa Colombera alla periferia di Riva, venivano i signori di Riva, o la media borghesia rivana, veniva a mangiare in primavera “ovi duri” o erbette e ovi duri. Ma le erbette erano fatte con non so quanti tipi di erbe. Infatti mi ricordo che accompagnavo la zia Bianca, che era lei l’addetta ad andare a raccogliere le verdure, e lei mi insegnava tutti questi nomi, oltre ai denti de cani, c’erano gli sbussoloni che è un’altra sottospecie

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dei denti di cane, le puarelle che sarebbero i papaveri, i lastoni. Nelle erbette c’era dentro veramente un sacco di tipi di erbe.La mia passione che ho avuto anche durante la vita e che sta ritornando ora, l’attenzione e la conoscenza di queste erbe viene sia dall’infanzia sia anche dal fatto che io ho sempre cercato di portare avanti un discorso ecologico. Credo di essere stato uno dei primi iscritti del WWF della Busa di Riva, giravo con la bicicletta con scritto sopra “la mia bici non inquina”, quando c’erano le grandi lotte contro l’inquinamento; un’attenzione alla natura che ho sempre avuto, vuoi per queste radici ma anche per un’indole mia personale, e anche una Weltanschauung personale, che l’uomo alla fine fine è un granellino di sabbia di fronte all’universo, di fronte alla forza e alla potenza della natura. Da tempo aderisco a movimenti e amo stare con persone che sono più per la slow economy che non per il consumismo fine a se stesso.Nella mia vita ho fatto un po’ di tutto, ho insegnato, ho fatto chiaramente il giardiniere con mio padre, prima di insegnare, di studiare e insegnare, poi ho fatto il restauratore; ho creato un mondo, mi sono creato un laboratorio artistico però, ultimamente se ho anche del lavoro è legato addirittura a dei piccoli corsi che faccio sulle erbe e sulle mie cose. Anche la mia produzione artistica è stata anche influenzata continuamente da questo mondo della natura: il tema dell’albero per me è costante. Una mostra interessante che ho fatto ancora due anni fa era intitolata “Semeia” proprio perché aveva a che fare con la madre terra, con la natura. In questa mostra esponevo 120 ciotole piene di semi, quasi a dire che noi dovremmo tornare alla natura rispettando la pianta già fino dal seme, perché il seme può portare, dare nutrimento e vita non solo fisica ma anche mentale per la crescita dell’uomo, spirituale in definitiva.

D: Oggi quali tipi di piante conosci e utilizzi, sei un grande utilizzatore le mangi le offri ai tuoi ospiti, oltre a quelle che mi hai già citato, quindi dente di cane, sbussolon, puarelle, lastoni, per quali vai e quali raccogli nel campo?R: Nella restaurazione del mio orto dietro casa ho cercato di lasciare alcuni frammenti di prato originale, niente a che fare con il prato inglese. All’interno di questo prato per esempio trovi il lychnis, il silene o sciopéti, il bocciolo ha una forma globulare, che da piccoli si “scioppava” direttamente sulle mani o sulla fronte. Nome scientifico lychnis in dialetto sciopéti o chiamato volgarmente silene, per questo colore silenico.Conosco l’acetosella che cresce spontanea qua; la rucola cresce spontanea ormai da me dappertutto, ma i primi semi li avevo portati addirittura dalla Toscana, la rucola sativa proprio quella dalla foglia fina, quella quando fa i semi, li sbatto in giro dappertutto e cresce in mezzo ai sassi, sui negli orti. Tante altre erbe le vado a raccogliere invece nelle passeggiate, come il timo serpillo, col quale fare anche tisane o altro. C’è tutto un genere di altre piante che invece ho piantato e importato, puo’ essere la melissa, la lippia citrodora, anche dai viaggi, nella serra ho la lemongrass di cui ho il ceppo originale: l’ho portato dall’isola La Gomera, lì cresce lungo i ruscelli ed è chiamata stranamente “la cagna”, ed è una lemongrass che non è autoctona però l’ho inserita ugualmente nel mio utilizzo. Un’altra erba particolare che ho importato che uso tantissimo è il levistico, levisticum che io sappia non era nella tradizione degli orti trentini, nel sud Tirolo sì, nel mondo mitteleuropeo di certo, anche perché il levistico è tipico della famiglia del sedano, ha un sapore molto più fine e più forte del nostro sedano tradizionale nelle varie varietà, e non è annuale o biennale ma è perenne e quindi adatto ai climi del nord. Per questo l’ho piantato e lo uso tantissimo, sia nelle tisane sia nel preparato del dado vegetale, faccio anche l’aceto con il levistico, saporito.

D: Mi hai nominato prima una zia, se dovessi raccontare come hai conosciuto queste piante e da chi nell’ambito della tua famiglia? Chi ti ha insegnato l’uso delle piante?

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R: Ho nominato questa zia perché come in ogni famiglia patriarcale, ogni persona aveva il proprio ruolo, la zia Bianca era l’addetta alla raccolta delle verdure nelle campagne, a organizzare quello che potevano essere le semine, raccolti, trapianti. Ma non solo, mio padre stesso. Quando si lavorava nel vivaio, ogni erba… era alle volte severo con noi che ci faceva lavorare magari, però era anche molto didattico perché mi spiegava spesso come si chiamava quell’erba, spesso come veniva utilizzata, ecc. ecc. anche erbe che non utilizzavamo noi direttamente stile “el medec”, che sarebbe l’assenzio che però era l’ideale da dare ai conigli, perché l’adoravano quest’erba, faceva la carne più buona.La conoscenza delle erbe e delle piante viene direttamente da questa zia, con la quale andavo a raccogliere e da mio padre mentre si lavorava al vivaio o nel giardino.

D: Come si andava a raccogliere, si raccolgono le piante, come si raccoglievano, si va da soli, si va insieme?R: Dipende innanzitutto da cosa si andava a raccogliere, per esempio quando si andava a raccogliere le erbe in primavera, per fare le classiche erbette e ovi duri, si andava anche in più persone proprio perché c’era anche molta lavorazione poi nel pulirle, lavarle, perché erano direttamente come den de can, praticamente dentro nella terra. Alle volte si era in più persone, spesso per questo nelle famiglie patriarcali si portavano i bambini, perché bene o male aiutavano. Poi c’era la raccolta di erbe più particolari quali potevano essere: salvia, rosmarino, timo, melissa, queste venivano raccolte più che con la collaborazione dei bambini direttamente dalle persone, perché poi dovevano venire anche messe sui graticci o in posti a essiccare per conservarle e averle durante tutta la stagione.D: E oggi?R: Oggi è andata persa questa tradizione, i contadini di oggi fanno marzemino, pomi, come noi sappiamo, dove è meglio non andare a raccogliere le erbe perché ci sono un sacco di veleni, penso almeno per le conoscenze e le amicizie che ho, oggi sono più i privati che nei loro piccoli orti e giardini portano avanti questa esperienza. Oppure mi è capitato spesso in montagna, in alta montagna dove non c’è l’inquinamento di trovare persone; l’anno scorso son andato a Malga Grassi e intorno a raccogliere i boccioli del dente di cane, per fare i famosi capperi di dente di cane e lì ho trovato altre persone che facevano il medesimo raccolto. E’ quasi diventato una moda, un hobby? Noi sappiamo che l’alimurgica è nata invece proprio durante i periodi di crisi, di guerra di fame dove si poteva mangiare quasi tutto.

D: Qual è in motivo per cui tu usi le piante? Motivi economici, di gusto, di salute.R: Un po’ come ho accennato entra in questa mia filosofia contro il consumismo.L’uso delle piante, della verdura, della frutta quasi quotidiano entra nella mia filosofia contro il consumismo. I supermercati li detesto, gli giro intorno o lontano. Per questo ho sempre speso il mio tempo a curare il mio orto, le mie erbe tutto quanto, proprio perché ci guadagno anche in salute, sia mangiando le mie cose originali, tra il resto coltivate in modo biologico o biodinamico, o anche perché sono sicuro di quel che mangio. In più io sono convinto che una persona che lavora l’orto non avrà mai un pizzico di depressione, perché la natura ti insegna, ti sprona a vivere. Una volta magari lo era meno questo, era più per sopravvivenza, oggi non c’è problema di sopravvivenza: basta andare al supermercato ti riempi la borsa e via. Ma come ripeto non è la mia filosofia, curare le erbe vuol dire curare sé stessi, in tutti i sensi nel corpo che nell’anima, senza voler esagerare. D: Conosci una tecnica di raccolta, la insegni alle persone che ti circondano e come si fa? R: La raccolta che faccio nel mio orto è comunque sempre rispettosa di lasciare una parte di queste piante affinché arrivino anche a fare i fiori e quindi i semi, per poter raccogliere i semi e averli ogni

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anno da riseminarli; visto che c’è ormai questa specie di terrorismo della fabbrica dei semi - che vogliono costringerci a prendere quelli che vogliono loro -, io cerco di recuperare e di utilizzare i miei semi. Ho un certo tipo di cetrioli polacchi che io è da trent’anni che faccio i semi da me. La raccolta delle erbe deve essere sempre rispettosa; nel caso della rucola, che una parte della pianta faccia i semi da sola e poi ci pensa la natura a spargerli in giro, ti ritrovi l’anno dopo con le piante autoseminate. Quando vado fuori dal mio orto a raccogliere le piante e i fiori di sambuco, cerco sempre di essere rispettoso di non fare man bassa di tutto e di lasciare qualcosa alla natura oltre agli animali, uccelli, che hanno bisogno di sopravvivere anche loro.

D: Tu hai conoscenza anche delle erbe del sud, dei cicorini, le cicorie selvatiche, qua ne raccogli, usi il gusto dell’amaro, da noi com’è?R: C’era questo gusto, perché nelle famose erbe che andavo a raccogliere con la zia, la predominanza era dei denti di cane, della famiglia dei denti di cane che sono amare. Del resto c’è un’indicazione straordinaria, il contadino in primavera proveniva da un inverno dove aveva mangiato assai carni suine, a parte che le carni suine di allora erano un po’ più buone di adesso innanzitutto, ma al di la di quello, d’inverno si tende a mangiare più grassi. La natura cosa fa, in primavera hai le erbe che sono epatiche, tutte le erbe amare sono epatiche, fanno riattivare il fegato e ti curano. Come ad esempio a fine estate-autunno, abbiamo un sacco di altre piante che sono cariche di vitamina C, come ad esempio il corniolo, che viene pochissimo utilizzato, ma io lo uso. Il corniolo ha una carica di vitamina C eccezionale per affrontare l’inverno dove il corpo si indebolisce e tende ad avere raffreddori, influenze varie.Per quel poco che ho viaggiato nel mondo ho visto che in ogni paese, puo’ cambiare il nome e invece che cicoria, si chiama cicorino, cicorione - però ogni paese ha tutte le sue belle ricette, i suoi modi di utilizzare quello che possono essere erbe, verdure, frutta dell’orto.C’è anche una globalizzazione, nel senso che io al Cairo venti anni fa ho visto le mele golden della Val di Non, che ovviamente “g’ho girà entorno”, e sono andato a comprarmi i datteri.

D: Ti viene in mente qualche ricetta con le erbe, che fai spesso, me ne poi descrivere una?R: Credo che come la natura ha un’infinita qualità di sorti e di sapori, così anche in cucina bisognerebbe lavorare con fantasia. Quindi spesso le mie ricette sono alle volte dettate anche da quello che io porto dentro dall’orto; entro in cucina con il cesto che ha questo, quest’altro e mi invento la ricetta.Oltre a quelle che potrebbero essere tradizionali, per fare un esempio il levisticum all’inizio quando lo avevo piantato non lo utilizzavo più di tanto, perché appunto chiedendo al famoso internet del pit, non dava tante informazioni e mi sono inventato un sugo che è: scalogno leggermente mantecato in padella, alla fine spegni il fuoco, metti il gorgonzola e mascarpone e tagliuzzato fine fine a freddo tanto levisticum, dopo di che scoli la pasta butti e la fai saltare in padella ed è una cosa eccezionale, io ho fatto impazzire gente con quello.Quindi credo che oltre alle ricette tradizionali bisognerebbe operare con molta fantasia. Ho un altro sugo che l’ho chiamato “il sugo della fretta”, è successo una volta perché mi ero dimenticato che avevo della gente a pranzo, erano già le undici e mezza, intanto che ho messo su la pasta, ho fatto un giro nell’orto ho tirato su due tre tipi di timo, salvia, rosmarino, li ho pestati fini fini e li ho messi in un ciotolone, ci ho buttato sopra la pasta con un bel giro d’olio e un bel po’ di grana; è diventata una pasta alle erbette fini, il sugo della fretta… ora c’è gente che torna a casa mia a mangiarle, e chiede il sugo della fretta. Semplice, semplice, non ci sono grassi, né fritti né niente: è la cosa più banale del mondo, altro che 4 salti in padella, lasciamo perdere…

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D: Quando ho intervistato il botanico mi ha detto che c’è una grande diffusione della conoscenza delle erbe anche per questi libri, stranamente non ha parlato di internet, o di un dispositivo come ci han parlato le donne di Dro, oggi c’è grande conoscenza, il botanico dice, che bisogna stare attenti, un conto è vedere la pianta sul libro, un conto è andare li, e io son chiamato quattro volte all’anno all’ospedale in pronto soccorso perché c’è la gente che tira su le robe così, e poi si avvelena, quindi la conoscenza delle piante i pericoli delle piante, cioè come si devono raccogliere, ti hanno detto che non bisogna raccoglierle, com’è?R: Siccome ultimamente tengo direttamente nel mio giardino dei piccoli corsi, una delle prime regole che dico è proprio di raccogliere solo, come quando si va per funghi, raccogliere e utilizzare e mangiare solo quando si è sicuri, quella è la prima regola, perché effettivamente nella natura ci sono un sacco di varianti, una pianta cresce differentemente da un luogo all’altro, per la natura del terreno o della posizione, soleggiato, acquoso o bagnato, quindi è importante questa regola. E’ importante comunque crearsi una cultura al riguardo, che è fatta sia dalle informazioni diciamo bibliografiche, libri o altro, ma soprattutto anche confrontandosi con persone che sono esperte in questo, perché hanno quella conoscenza in più che alle volte non trovi sui libri.

D: Dimmi ad esempio come hai fatto questa tisana?R: Questa tisana è fatta con naturalmente con tutte cose che ho preparato io, c’è la famosa “cagna”, questa lemongrass che ho portato, della melissa, poi quello che io chiamo i resti delle erbe che mi rimangono quando faccio il sale alle erbe, siccome li trito, tutti i bastoncini, o le parti un pochettino legnose che sono di varie erbe, le metto un pochino di base di questo, e poi c’è qualcosa di esotico, ho comperato un po’ di zenzero…D: Quello che ti volevo chiedere, conosci delle storie, leggende, racconti, proverbi, delle filastrocche, dei giochi sulle piante? Storie legate alla tradizione religiosa?R: Indubbiamente il calendario del contadino, della gente che viveva un tempo molto più a contatto con noi, spesso nominava determinate piante ma soprattutto frutti collegati più che al mese all’epoca che coincideva magari anche con qualche nome di santo.

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C’è la pera di Sant’Anna, perché maturava intorno a 21 luglio, mi pare. Erano legati più a questo calendario stagionale religioso.Dovrei pensarci un attimo a queste cose qua. Mi piace invece dire una piccola cosa, una piccola storia che mi è capitata. Quando ho comprato questa casa qua che era abitata dalla “vecia marocca” che era una signora, una delle ultime signore che qua a Ville del Monte vestiva con le gonne lunghe, e che non si è mai voluta sposare, lei aveva la stalla, qualche animale e teneva l’orto qua dietro, quello che poi ho comprato io. Quando io ho comprato questa casa, all’interno di una delle stanze esposte a nord ho trovato attaccato sui travi, tantissimi sacchetti di carta, carta spessa che era di pane, o altri sacchetti fatti di stoffa, che erano pieni di erbe. Mi ricordo che ho voluto aprirli, chiaramente non utilizzarli perché erano vecchi, ho voluto aprirli e ho trovato: fiori e foglie di sambuco, l’achillea, c’erano le bacche di ginepro, i frutti di corniolo, l’erba “fortaia”, che sarebbe il chrysanthemum tanacetum; c’era un’infinità di altre erbe, questo mi fa pensare che effettivamente la gente del posto una volta non andava in farmacia, la farmacopea era quella con le erbe che raccoglievano loro.

D: Oggi la conoscenza com’è secondo te?R: La conoscenza di queste erbe oggi come oggi trovo che sia veramente povera, c’è però un’attenzione, per esempio questa primavera ho proposto qui al comitato di Ville del Monte, intitolato: “Metti un cuore nel tuo orto”, e ho avuto parecchie persone. E quando per esempio gli ho fatto: “Guardate che questa -la portulaca- si può mangiare”, qualcuno ha detto: “Ah sì e vero, anche mia nonna”, e perché adesso no e andate a prendere i pomodori che vengono dall’Olanda?Quindi secondo me andrebbe fatta molta più informazione, proprio perché abbiamo comunque qui in Trentino ancora un ambiente abbastanza sano, e abbastanza selvatico, da sfruttare. Ad esempio che ho portato della farmacia che aveva questa “vecia marocca, è lampante; si tratta di tornare alle radici, per salvare anche la nostra salute.Ho fatto un corso che si chiamava “Le stagioni di Adam”, collegata alla comunità biblico religiosa di Romena, che è giù nel Casentino in Toscana, dove c’è sto prete un po’ spretato, che fa lezioni non di moralismo cattolico, ma fa ragionare sulla Bibbia intesa come il libro della sapienza che aiuta noi stessi. Nel voler raccontare queste cose qua lui utilizza le cose più strane, dalla camminata, alla passeggiata. Quest’anno abbiamo fatto un progetto insieme a una mia amica di Rovereto, che si chiamava le quattro stagioni di Adam e ogni stagione abbiamo fatto un tema, che era collegato anche a un’attività. Abbiamo imparato a fare il sale alle erbe, abbiamo imparato a fare il pane, abbiamo imparato ad andare in giardino a capire quali e come utilizzare le erbe. È stata una cosa eccezionale.Per quelli legati al Molino Pellegrini, ho già fatto due corsi, mi hanno detto già il prossimo anno partiamo, perchè è piaciuto alla gente. Io trovo che la gente sta tornando a questo, per fortuna. La conoscenza per me è ancora molto scarsa. Quando io dico che la vedriola, la famosa parietaria, con quella si fa una tisana eccezionale, io la metto persino nei minestroni. Perché si chiama vedriola, perché una volta pulivano i vetri con quella lì. I vetri, una volta non venivano buttati via come adesso, una bottiglia o una damigiana doveva essere conservata pulita, quindi mettevano dentro della vedriola, con un po’ di acqua e un po’ di sabbia, lasciavano macerare per qualche ora, tutto quanto, anche mezza giornata, poi facevano un giro rotatorio alla damigiana o alla bottiglia questa, oltre alla rugosità e peluria della parietaria insieme alla sabbia lucidava il contenitore. Io ho fatto una prova una volta con una bottiglia dove avevo tenuto l’aceto, oh è venuta pulitissima, altro che il Dash. Il mondo della natura, delle erbe è straordinario. Potrebbe insegnarmi e aiutarmi a fare tantissime cose. Quando faccio i miei corsi, dico sempre alla gente, che raccogliere le erbe, metterle via e poi

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mangiarle, come conservarle non è solo nutrire il nostro corpo, ma è anche nutrire la nostra anima, perché nel momento in cui uno si dà da fare per riconoscer un’erba, per raccoglierla e per poi utilizzarla per se stesso, figli, la moglie, gli amici, l’amico quello che è, vuol dire voler bene a se stessi, vuol dire creare una situazione di benessere che non è solo fisico, ma anche spirituale, io a questo ci credo. Sono un po’ influenzato dalla letteratura steineriana.E’ un laboratorio continuo, queste erbe adesso devo seccarle per un mio amico che ha un rifugio in Val Furva, che non ha ovviamente l’alloro lassù, e poi ti faccio sentire il profumo del mio sale.Le erbe di oggi, che è igroscopico, hanno assorbito dell’umidità. Quindi un giorno che è asciutto parto con la lavorazione, e “sfregolo” tutte queste erbe, ho timi di due tre quattro tipi, basilico ovviamente, levisticum, fra poco vado anche a dormire con il levistico.Poi ve lo faccio sentire, e poi è una pianta che resta ogni anno nel terreno, non serve neanche che vai nelle serre a comprarlo.

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Campi di Riva del Garda, 14/09/2017Intervista ad Angiolino Bertoni e Angioletta MalacarneRaccolta da Sara Maino con Maria Pia Macchi

D: Ti potresti presentare?ANGIOLINO: Bertoni Angiolino, sono nato a Castelbelforte, Mantova, nel ’48. Sono venuto a Campi nel ’59. Ho fatto l’avviamento ad Arco, l’Istituto Tecnico a Trento per perito elettrotecnico. Causa lavoro sono andato a Milano, facevo il collaudatore delle linee metropolitane e da lì è nata la passione per la natura. Stando sottoterra mi è venuta la passione per la natura, stando al rovescio. Appena ho potuto andare in pensione, mi sono dedicato completamente all’azienda che avevamo qui: terreni, i castagneti che ci ha lasciato mio suocero. È iniziata così la passione per i castagni, anche per l’agricoltura biologica. L’agricoltura biologica è nata per uno sbaglio che ho fatto io, nei castagneti: infatti vedendo io il castagneto che era un po’ sofferente la prima cosa che ho fatto è stata di andare in consorzio agrario, e ho comprato il primo concime che mi hanno dato, era un concime di sintesi, che odio a tutt’oggi, il 15 + 15, si chiama così o una cosa del genere. E infatti non son più cresciuti i funghi in questo castagneto. Ho chiesto il perché e mi hanno detto: “Se usi quella roba lì, senz’altro…”; e da li è nata la passione per il biologico; abbiamo messo al bando subito tutti i concimi di sintesi, tutti la lavorazione con antiparassitari che non siano biologici. Abbiamo fondato l’Associazione “Tutela marroni dei Campi” nel 2004 per valorizzare i prodotti che abbiamo noi e prodotti tipici dei Campi, con lo specifico di valorizzare appunto i prodotti che abbiamo noi della terra, come si faceva una volta. Io sono presidente da allora. E in questo contesto ci dedichiamo anche alle erbe che sono nel castagneto che ovviamente dovrebbero essere naturali anche quelle, vogliamo che sia una cosa naturale. Di qui abbiamo cominciato 14 anni fa e questa è stata la 15esima edizione a “Nar per erbe”. È nato questo evento,

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sempre il primo maggio in collaborazione con APT, Comune di Riva del Garda e con un esperto naturalista, il dott. Perini, è sempre lui che ci ha seguito e ci segue sempre. Poi abbiamo affiancato anche a questo evento, degli storici in modo che ci descrivessero come era malga Grassi, perché noi questo evento lo facciamo sempre a malga Grassi, come era malga Grassi nella storia e come è nata; abbiamo saputo che è nata da una frana, circa nel 1200; di lì è cominciato poi il pascolo, tutta la cultura delle erbe del prato. Venivano affittati a gente di Varone, a un certo Pellegrini di Varone, fino al 1850. Nel 1850 a Campi è nata la prima società che gestiva sia il caseificio che le malghe. E così hanno cominciato a sviluppare la cooperativa, di fare il formaggio assieme e di fare certe produzioni assieme, che prima erano impensabili, uno ciascuno.

D: Com’era Malga Grassi, dal 1200 in poi?ANGIOLINO: Malga Grassi... è stata una frana che è venuta giù dal Monte Parì, dì li da questa frana, non c’era ovviamente nessuna vegetazione, e li hanno incominciato a venire a pascolare, però venivano a pascolare quelli di Varone. Lì hanno fatto la malga, la malga cos’è? In malga si portano su le bestie d’estate, le mucche da latte, si comincia a mungere e il formaggio si fa in nuovo. In questa malga ci sono addirittura dei locali dove si stagionava il formaggio. Inoltre c’è un locale molto particolare: andavano a prendere il ghiaccio su nella val Madaschèra e lo portavano giù per poter tenere anche in estate, è una delle poche malghe con questa stanza dove si conserva il ghiaccio, è visibile anche adesso.In quest’ambito della nostra associazione stiamo facendo anche delle ricerche storiche. Con l’aiuto dei funzionari del Comune di Riva che ci hanno fornito numerosi manoscritti, abbiamo trovato tutta la storia di Malga Grassi, dall’inizio del 1623, quando è nominata, fino ai giorni nostri. Scorrendo questi documenti abbiamo trovato il primo capitolato d’asta del maggio 1849, che affittava non il pascolo come si dice adesso, ma affittava le erbe, nominava le erbe. Le erbe ancora allora erano più

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considerate che non il pascolo in sé stesso, era considerata l’erba proprio, perché l’erba è quella che si usa al pascolo. Loro affittavano il pascolo, le erbe di tutte le zone che erano pascolabili in quel periodo lì.

D: In questo documento quando parliamo di erbe, si intendono erbe come alimento per animali o anche alimurgiche quindi di sostentamento di tutti e anche delle persone?ANGIOLINO: In questo documento principalmente si parla di erbe per uso animale, però si sottolinea anche le erbe come raccolta di erbe medicinali per fare liquori, per fare degli infusi; è proprio generalizzato, erbe come erbe, come tutto.D: Per uso umano quindi ma soltanto medicinale o anche commestibile?ANGIOLINO: Anche commestibili, ricordiamo che una volta l’orto esisteva in forma molto ridotta, perché gli abitanti del paese quando avevano bisogno di insalate non andavano nell’orto, ma andavano nel prato che era considerato una fonte di sostentamento, non solo per il bestiame ma anche per loro. Le erbe più buone che avevamo noi erano nei prati non sono negli orti, negli orti sono nate dopo come sussistenza, ma non come alimentazione.

D: Veniamo alla tua esperienza personale, quali tipi di piante spontanee da mangiare conosci? Quali e quanti tipi? Fai un elenco anche di nomi dialettali?ANGIOLINO: Da mangiare, noi abbiamo – e ci teniamo particolarmente - è la erba “forta”. È un’erba che è sempre stata usata in cucina, e pensiamo di farne fare una certificazione De.Co, Denominazione Comunale di prodotto. È una ricetta tipicamente locale, serve per fare le frittate, il nome scientifico non lo ricordo. È un’erba perenne alta circa 50 cm, che ha delle inflorescenze gialle, bellissime, e si usano i germogli, altrimenti è tossica. Veniva usata tantissimo in cucina, anche per aumentare la porzione dell’uovo, perché l’uovo in se stesso era poco mettendo questa erba diventava più grande dunque era un risparmio che c’era in cucina quello lì. Un’altra erba spontanea a cui noi qui teniamo particolarmente sono gli asparagi da monte. Quelli, oltre a essere commestibili per le popolazioni, erano anche una fonte di sostentamento per le famiglie, infatti c’erano le signore che andavano su a raccogliersi l’asparago da monte e lo portavano da vendere a Riva del Garda, in Piazza delle erbe. Era una grossa forma di reddito, infatti si diceva che con gli asparagi da monte si comperava magari il vestito per la comunione dei figli, o le scarpe, era una cosa molto sentita questa.Poi c’erano le comedole, un’altra erba che si vendeva, c’era il radic dell’orso, anche questo si raccoglieva. Passerei anche a parlare delle erbe che nell’orto avevano come erbe spontanee, per la cura del bestiame, come la malva. La malva era una pianta che in ogni orto c’era, era per la cura del bestiame. Quando una mucca partoriva, si faceva una bottiglia di malva con il vino e si dava alla mucca, serviva tantissimo per “tirar su la vacca”, dopo il parto.Abbiamo altre erbe che si usano tranquillamente per fare gli infusi, o per mettere nella grappa: la ruta, l’asperula, la genziana maggiore, la carlina. Poi c’era il ginepro, questo si usava anche per metter via le carni, ricordiamo che a Campi è nata la carne salada, anche se qualcuno vuol togliercela, ma è nata qui a Campi la carne salada. La carne salada è stata certificata qui a Campi dal comune di Riva nel 1400, quando ha dato il benestare a due famiglie - una famiglia Malacarne e una famiglia Lorenzi - di preparare la carne salada. Venivano su con dei mastelli di legno, e vi mettevano dentro la carne salada. La carne salada è nata con il “castrà”, non con il manzo, è stata portata qui questo tipo di ricetta, ricetta antichissima; ma qui ha trovato proprio il cuore per farla, perchè in quel periodo c’era la peste. Per mantener la carne sana si usava metterla sotto sale. Noi avevamo il sale, perché portando giù la legna dai monti che avevamo noi, la portavamo a Riva, a Riva andavano nelle acciaierie giù a Gargnano, e nelle cartiere e da lì si portava su questo sale che

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era un ghiaino, era un sale molto rudimentale, ma si usava tantissimo per far si di portar giù la carne sana a Riva dove c’era in ballo la peste. Era il cento per cento. Questo è importante: cioè cento chili di carne, cento chili di sale, era una cosa che era salatissima. E si usavano quelle erbe: il ginepro, si usava l’alloro, si usava il pepe, beh quello si prendeva, l’aglio, si usava tantissimo; erano erbe che si usavano e che erano qui in loco.

D: Altro? ANGIOLINO: La carlina, è sempre una radice come la genziana, si mette nella grappa. La carlina è uguale alla genziana. D: Non si mangia come il cardo?ANGIOLINO: No, si mette nella grappa.

D: Come avete conosciuto le erbe e da chi? Chi è stato il tuo informatore?ANGIOLINO: Io da ragazzino, andando su al rifugio Pernici, ho incontrato un frate. Era un frate francescano, di San Martino; lui stava su tre, quattro giorni, e si portava giù dei sacchi di erbe. Da quel momento, anche quando ero a Milano, i miei libri delle erbe li ho sempre avuti. Lui ci faceva vedere tutti i tipi di erbe, ci ha insegnato anche il rispetto, e di star attenti a come si usano, perché non è che tutte le erbe possiamo prenderle e usarle come vogliamo noi: ci sono stagioni, modalità differenti di come usarle, per uso interno, uso esterno, fare unguenti, fare infusi; non tutte le erbe si possono prendere alla leggera, bisogna star molto attenti. E per questo, quando siamo saliti su abbiamo dedicato proprio una sezione alla nostra associazione per questa attività di insegnare le erbe.D: Per quale motivo utilizzate queste erbe? Parlando anche della vostra cucina? Motivo legato al gusto, legato al fatto di scelta economica, motivo di salute?ANGIOLETTA: In primavera si andava per erbe per cucinarle, per fare il pranzo, e si facevano miste, mai tutte di una qualità. Il papavero, le popole, gli sgussoloni, tipo crescione, sono quelli grigi, lunghi ovvero gli sciopéti, o silene. Poi c’era il dente di cane.

D: Lo mangiavate cotto o crudo?ANGIOLETTA: Sempre cotto.

D: Nella misticanza?ANGIOLETTA: Si cotto, condito con l’olio oppure passate al burro, sono buone.

D: Il motivo era quindi economico?ANGIOLETTA: Una volta era così, si andava in primavera per erbe, anche perché durante l’inverno l’unica erba era il cappuccio o le rape, le verze, i porri, quello che si riusciva a metter via in autunno. Le rape duravano più a lungo.

D: Quindi anche per variare la dieta?R: Eh sì, d’inverno altrimenti cosa si mangiava, la patata, i porri, le rape, i cappucci, i crauti o l’insalata. In primavera appunto, sgussoloni, i denti de cain, le popole, si faceva un misto, ma buonissimo. Io lo faccio anche adesso, sempre. Ovvio che si prendono dove non ci son auto, una volta non era un problema, adesso è diventato un problema, si vanno a prendere lontane dalla strada, dall’inquinamento, proprio in montagna. Io vado nel mio orto, intorno all’orto le trovo tutte, poi ho seminato anche un po’ di radicchio, come si chiama… grumolo? Faccio un misto. Buonissimo.

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ANGIOLINO: Una volta senz’altro era per il sostentamento, perché non avendo il supermercato vicino, la quarta gamma non si sapeva neanche cos’era, adesso abbiamo la quarta gamma, l’insalata, le fragole.ANGIOLETTA: L’inverno facevamo il purè, i fagioli, il capuccio, crauti, rape e castagne.ANGIOLINO: C’è da notare che chi andava a cercarle, come quando si andava a cercare funghi - adesso cercare funghi è diventata una passeggiata - ma allora si veramente con l’abilità di doverli portare a casa, perché dovevano fare il pranzo con il marito, polenta e funghi. Non era un passatempo, era proprio un’attività della massaia andare a cercarsi le erbe per fare il pranzo a mezzo giorno. Quando non sapeva cosa fare, mi ricordo mia suocera tante volte faceva il giro di qua e tornava con un grembiule di funghi e diceva facciamo polenta con i funghi.

D: Cos’è la quarta gamma?ANGIOLINO: La quarta gamma è l’insalata nei sacchetti, che non viene neanche coltivata in terra, ma coltivata nei tappeti, l’abbiamo vista noi è una cosa impressionante vederla.Ogni tanto la compro perché è comoda. E’ alta un metro da terra. C’è la falciatrice che passa nei capannoni industriali, passano con l’aspiratore, va direttamente nell’acqua, non viene toccato niente, viene lavata e messa nel sacchetto. Il tappeto viene arrotolato e buttato via, steso un altro tappeto e nel giro di 24 ore c’è già l’insalata.Mi viene da ridere, quella volta che hanno trovato al Despar, dentro in questo sacchetto la ranocchia, che hanno fatto un processo, ma c’è da ringraziarlo! Vuol dire che l’insalata era sana.L’abbiamo vista a Chioggia, ci hanno spiegato tutto, quella è la quarta gamma, dall’insalatina alla rucola.

D: Conoscete persone che raccolgono oltre a voi?ANGIOLINO: Sì tantissimi, qui vanno tutti. Vengono su anche da Riva addirittura a raccogliere le erbe spontanee, a parte gli asparagi che oramai è una cosa nazionale, è conosciutissimo. Gli asparagi, anche il radicchio dell’orso, bisogna stare attenti perché tante volte fanno anche una raccolta un po’ indiscriminata, di massa, bisognerebbe fare un controllo, come con i funghi.

D: In merito all’evento che organizzate il primo di maggio, mi spieghi le modalità, come diffondete l’evento e quanta gente partecipa, cioè quali strumenti utilizzate per diffondere l’evento e nella realtà quante persone vi partecipano?ANGIOLINO: Noi abbiamo una mailing list, di quelli che erano appassionati ancora dall’inizio; avevamo gente che viene da Verona, e l’abbiamo ancora, gente che viene da Brescia, dalla Val di Ledro, insomma tutte le valli qui in torno. Noi questo evento qua lo pubblicizziamo un bel mese prima, cominciamo a martellare.Tante volte abbiamo un eccesso di iscrizioni, infatti la penultima edizione c’era anche il naturalista che era incavolato perché c’era troppa gente, 60 persone.Nell’ultimo evento abbiamo dovuto fare due gruppi, il naturalista che spiegava le erbe e io spiegavo la parte storica della malga, come funzionava la malga e queste cose qui, anche un po’ curiose, e ci scambiavamo. Oltre a questo durante l’evento, a mezzogiorno facciamo un piccolo assaggio di prodotti locali e poi la sera cuciniamo le erbe che sono state raccolte durante il giorno, facciamo la cena a base di erbe raccolte dai partecipanti. Una delle ultime volte, molto partecipate, c’era anche il prof. Brogiolo con tutti gli studenti, circa quindici studenti, più noi: eravamo anche lì un bel numero ed è stato veramente un’edizione eccezionale. Il prof. Brogiolo faceva i suoi appunti storici della zona, è stata veramente costruttiva. Università di Padova sezione archeologia medioevale.

D: Che strumenti avete utilizzato per pubblicizzare l’evento anche questa volta?

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ANGIOLINO: Questa volta Facebook, poi ancora le mailing list nostre, l’APT, la stampa locale.

D: Sull’evento di facebook quanti sono stati i partecipanti? Quanti si sono iscritti per quell’evento e quanti sono stati in realtà? Una curiosità statistica?ANGIOLINO: Circa la metà, venticinque, si sono iscritti su cinquanta che avevamo dell’evento.Avevamo cinquanta partecipanti, venticinque erano con Facebook.

D: L’evento quanti partecipanti ha totalizzato sulla pagina social? Venticinque o settanta e in realtà ne son venuti venticinque, sto cercando di capire se funziona.R: Non ricordo, ma forse erano di più senz’altro. Ormai si fa tutto su quei social, per racimolare un po’ di gente, per pubblicizzare.

D: Ci sono stati feedback sulla pagina poi, sull’evento? Qualcuno ha pubblicato foto, ha pubblicato commenti, i feedback arrivano come associazione, rispetto all’evento appunto “Nar per erbe”?ANGIOLINO: No.

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D: Vi sono commenti, nell’arco della giornata dell’evento?ANGIOLINO: Sì commenti sì, senz’altro, commenti positivi, poi danno indicazioni, magari perché tante volte il naturalista si sofferma su qualche aspetto e vorrebbero capire di più. È molto interessante, la gente sta facendo critiche molto costruttive, ne teniamo sempre conto perché noi distribuiamo il questionario per migliorare anno per anno. È una cosa che facciamo sempre, in tutte le manifestazioni che facciamo diamo sempre il questionario poi lo ritiriamo e ci sappiamo sempre regolare per quello che possiamo fare anche l’anno dopo.D: Nel questionario cosa chiedete in sostanza, c’è una sezione di gradimento rispetto alla singola erba?ANGIOLINO: No, chiediamo più per organizzazione in generale, il naturalista, il pranzo, la cena, se è meglio magari avere più spazio per fare degli audiovisivi, più spazio per mostrare libri, oppure se è meglio per la conservazione delle erbe, come si metton via le erbe. Perché il naturalista fa vedere tante erbe, però poi si sofferma su quelle principali sulle cinque, sei principali che uno può usare e spiega tutto: come vanno pulite, trattate, cucinate, come vanno conservate, a star attenti a metter via sott’olio, sotto aceto, tutti gli aspetti positivi e negativi, questo è importantissimo.

D: Nel questionario di gradimento quanto parte prende l’esperienza pratica? Quanto è gradita l’esperienza pratica dell’evento?ANGIOLINO: L’esperienza pratica è quella che serve di più e che vogliono di più per capire. Non è che serve tanto la nozione botanica, cos’è e non è, serve sapere: questo è il tarassaco, posso usare i fiori per fare questo, la radice per fare quell’altro e le foglie per cucinare, e come si fa, è importantissimo anche quello.

D: Quale è stato il menu della serata?ANGIOLETTA: Abbiamo fatto la carbonara vegetariana, sempre con le erbe cotte, lessate, poi tritate, passate nell’olio, con l’aglio, poi abbiamo cotto la pasta, abbiamo sbattuto le uova con il parmigiano e poi abbiamo unito parmigiano, le uova alla pasta e le erbe. Abbiamo fatto poi le frittate con le erbe, erbe raccolte tutte il mattino, erano il tarassaco, l’ortica, tutti i fiori commestibili, la primula, la viola e poi quello che sembra il botton d’oro, ha solo cinque petali ed è giallo, comunque in maggioranza erano la primula e la violetta, che abbiamo messo sopra.

D: Questi fiori che funzione avevano?ANGIOLETTA: Si potevano anche mangiare, noi abbiamo fatto per la presentazione, anche per abbellire il piatto.

D: La piantaggine? La lingua di vacca?R: La lingua di vacca non la mangiamo. La piantaggine non la usiamo, altre erbe che si possono metter su: la rosa canina.

D: Il luppolo?ANGIOLETTA: Si quello sì, le cimette, la prima parte, il germoglio come del resto tutte: degli asparagi, delle erbe si usano i germogli.

D: Parlando di bacche, il cornal?

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ANGIOLINO: Buono, le cornal, si fa la marmellata, poi il legno è importantissimo anche quello, per fare i manici per gli strumenti dei muratori va benissimo, perché è un legno duro.L’eghel è fuori tema, ma viene usato per fare i bastoni dove dormono le galline perché non attacchino le pulci. È il maggiociondolo c’è anche qui, è interessantissima la storia dei legni che si usavano; il “carpen” si usava per fare i contenitori per mettere il lardo, un legno duro e dolce.

D: Come avete imparato l’uso delle erbe, anche giocando magari e come?ANGIOLETTA: Più che altro dalle mamme, che andavano a prenderle, quando si facevano i giochi da bambine, si faceva da mangiare prendevamo l’erba e facevamo da mangiare, anche la minestra, ma giocando da bimbe proprio. Ma a cucinare e raccoglierle sempre dalle mamme, o dalle nonne addirittura.Filastrocche e storie sulle erbe, non me ne vengono in mente.

D: Del tarassaco non dicevano che era una pianta fatata, che soddisfa i desideri? Quando ci sono i soffioni…Sì i soffioni, quel gioco sempre. ANGIOLETTA: Io so fare quello dei sciopéti. Poi so far suonar le primule, si leva il calice della primula, si mette in bocca e si soffia e fa un bel suono, questa è stata una bella sorpresa per i miei nipotini:“Eh… come nonna? Biiiiiii” (risate) come mi diverto!

D: La conoscenza che aveva la mamma e la conoscenza che aveva la nonna sono diverserispetto alla tua?ANGIOLETTA: No, venivano sempre tramandate dalle nonne alle figlie, ai nipoti, che ero io.ANGIOLINO: Però adesso si è interrotto.ANGIOLETTA: No, io alle mie bimbe racconto un sacco di cose. Io avevo anche una capra, a me avevano comprato una capra. Quando tornavo da scuola, andavo con la mia capra che si chiamava Ceccona, ed era bella - dico alle mie nipotine -, era rossa, era fiera con queste corna, e mi seguiva, come un cagnolino, bravissima. Andavamo a mangiare nei boschi, dopo quando andavamo a casa, la mungevo: un latte buonissimo.

D: La conoscenza che hai è forte? La conoscenza delle piante tua è forte rispetto a quella che aveva tua mamma o tua nonna? ANGIOLETTA: La conoscenza che ho io è uguale a quella della mia nonna che poi l’ha trasmessa alla mia mamma; cioè in famiglia erano le donne che si occupavano di raccogliere le erbe di cucinarle preparare il pranzo. Mia nonna era una donna saggia. Si chiamava Regina, la chiamavano “la regina”, e siccome io amo molto lavorare, sono molto laboriosa, c’è un signore – il Gianni - che mi dice: “Ecco, hai ereditato tutto dalla Regina”, perché secondo me rimane impresso quello che insegna la nonna.

D: Perché?ANGIOLETTA: Non so, perché noi bambini stavamo sempre con i nonni, come adesso del resto, i bimbi chi li cura? I genitori vanno a lavorare, e anche i nostri andavano a lavorare. Quindi a casa si stava con la nonna, questa figura che faceva come da mamma. Mia nonna era molto austera come donna, una volta non sorridevano così, però era anche molto saggia, una donna che sapeva il fatto suo. Aveva passato due guerre anche lei, poverina, era rimasta anche vedova, si era rifatta una vita.

D: Cantava?

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ANGIOLETTA: Mia nonna, no! Io l’ho sempre vista abbastanza austera mia nonna. Non rideva tanto facilmente.

D: Era osservante, religiosa?ANGIOLETTA: Mamma mia, noi andavano a fare le rogazioni, io e mia cugina ridavamo come le matte, perché era tutto in latino, c’erano delle frasi che ci facevano ridere, eravamo “sciocchine” eravamo bambine. Alle cinque di mattina, su via in processione, là c’è un capitello e alle cinque la mattina c’era il prete che benediva e che diceva le preghiere in latino, sempre per preservare la campagna dalle tempeste, dalla siccità. Dopo le hanno tolte.D: C’era qualche formula che veniva pronunciata?R: Sì in latino, sempre un qualche cosa da preservare dalla tempesta, dalla siccità, dalle disgrazie, per le bestie. Io andavo a letto con i miei nonni la sera, soprattutto d’inverno perché faceva freddo e quando si dicevano le preghiere, diceva sempre un Pater ave gloria a Sant’Antonio per proteggere le bestie nella stalla. Io questo me lo ricordo. Tutte le preghiere si dicevano in latino, il padre nostro, gloria, l’ave Maria, me la ricordo in latino, tutte le dicevamo, una sfilza di preghiere, sempre mio nonno, la sera a letto.

ANGIOLINO: Infatti, la carne salada, nei contadini non era tanto ben vista, perché quando veniva il veterinario e diceva: “Questa bestia qui l’è da “salar zò” voleva dire che quella bestia lì non c’era più niente da fare ed era una grossa perdita per la famiglia.Per le rogazioni, noi abbiamo una tradizione ancora del 1500, che quelli di Riva per un voto fatto, non si è capito bene a chi, venivano su durante le rogazioni fino alla chiesetta di San Martino con 20 pecore: le dovevano ammazzare e mangiarle sul posto, era un rito, le rogazioni è un rito pagano che è stato preso dal cristianesimo. A Riva c’era questo voto che si faceva, è nominato anche negli atti visitali; venivano su a piedi da Riva tutti i preti, fino a San Martino con queste pecore che poi venivano uccise lì.D: Perché fino a San Martino?ANGIOLINO: Non si capisce bene se è legato alla peste che c’era a Riva o a qualcosa del genere.San Martino non sarebbe neanche della peste, è San Rocco più che altro, San Valentino, San Sebastiano. San Sebastiano ha le frecce, la peste è come una frecciata all’improvviso.Ci spiegava i dipinti, perché noi abbiamo San Rocco nella chiesetta e l’altra chiesetta, tutte e due sono dedicate a San Rocco perché qui c’è stata la peste.ANGIOLETTA: Sì, anche quello mia nonna mi ricordava, che portavano tutti gli ammalati, no ma quello era il tifo, non era la peste.ANGIOLINO: Il tifo nel 1800.

D: Cosa raccontava?ANGIOLETTA: Che portavano tutti gli ammalati, li portavano dove ci sono le scuole vecchie e lì c’era il lazzaretto, dove li curavano e quelli che morivano, li incartavano e li portavano giù al cimitero, che purtroppo, il tifo ha fatto molte e molte vittime.ANGIOLINO: Dev’essere stato nel 1850 in quel periodo lì.ANGIOLETTA: Mia nonna è nata nel 1870, e si ricordava... c’è stato anche dopo. D: Era la spagnola?ANGIOLETTA: No, la spagnola è venuta dopo il novecento. Era il tifo, un’epidemia. C’era la croce su alla chiesa, e quella era del tifo. Portavano gli ammalati sul carro e buoi fino all’ospedale, lo

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chiamavano il lazzaretto, ma diceva che arrivavano famiglie intere, su questo carro, lei che era bambina si ricordava queste cose è rimasta colpita, quindi è stato anche dopo.

D: E per guarire dal tifo, cosa c’era? Le erbe, c’era qualcosa?ANGIOLETTA: Bella domanda questo non lo so, che medicine avranno usato?ANGIOLINO: Penicillina non c’era…Sappiamo che si curavano con le erbe, si sono curati fino al ‘900 con le erbe, non c’erano tante… Senz’altro la medicina era erbe, c’era anche un misto di superstizioni, anche un po’ di stregoneria probabilmente, c’erano quei riti un po’…

D: In che senso?ANGIOLINO: Quando usavano le erbe, l’uso delle erbe era riservato a persone ben distinte che sapevano dire prendi questa roba qui, prendi quella roba là, che tante volte erano un po’ viste come persone un po’ particolari.

D: C’erano qui a Campi? Ce ne sarà stata una?ANGIOLINO: Senz’altro qualcosa che si interessava di erbe anche qui.D: Sai come veniva chiamata questa persona? ANGIOLINO: Lo speziale… ANGIOLETTA: Altrimenti ci si curava con l’olio di ricino. AlèSai quanto ne ho preso io, non stavo bene e arrivava sempre mia nonna.ANGIOLETTA: Mi presento: sono Malacarne Angioletta del 1949, sono nata a località Zucchetti, ai Campi. Sono nata proprio qui.ANGIOLINO: Un’altra bella trovata era la resina del larice che si usava per le ferite, molto interessante; e anche le bacche del mugo si usavano, la rosa canina.

D: Le nipotine? Imparano? ANGIOLETTA: Le mie? Eccome se sono interessate!Adesso una ha 14 anni una 12, ma quando ne avevano 6, 7 anni, quante volte ho raccontato la mia storia!

D: E come la racconti, come inizi?ANGIOLETTA: Che avevo una capra bellissima che era rossa e fiera: “Come nonna?”, sì lei sapeva tutto, la slegavo dalla stalla e andavamo. Avevo una corda per tenerla, e andavo sempre nel bosco e lei mangiava tutte le foglie, le più buone erano quelle del faggio, si faceva una mangiata e dopo tornavamo a casa ed era felice. Le davo sempre un pochino di sale, mi aveva insegnato la mia nonna a darle del sale, loro amano il sale, tutte le bestie.

D: Come veniva chiamate le capre e gli altri animali che andavano in giro da soli al paese alla sera, come era consuetudine da voi?ANGIOLETTA: Il cavrer, c’era questo ragazzo che veniva, aveva il corno, suonava “tuuuuuuu”, allora tutte fuori queste capre, lasciavano andare le capre e tutte andavano dove lui suonava il corno, andava su a malga Grassi a malga Campi o “Valmer”; alla sera al ritorno suonava ancora il corno e le capre tornavano a casa loro, e sapevano dov’era la loro casa. Tranne la mia Ceccona.La capra si usava per il latte in casa, le mucche si usava il latte per fare il formaggio. Si vendeva il capretto a Pasqua.ANGIOLINO: C’era anche una grossa mutualità qui. Quando le bestie andavano in malga c’era il “portel”, un cancello, lì si metteva il capo pastore e con due spaghi sapeva dire il peso della mucca,

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prendeva lo spago dalle corna alla coda e uno spago lo metteva attorno alla vita e in base alla lunghezza lui sapeva il peso della mucca; ne veniva registrato il peso, perché se succedeva qualcosa, magari la mucca cadeva e moriva, c’era il fulmine, - abbiamo contato anche 15 mucca ammazzate dal fulmine su a malga Grassi - il peso della mucca veniva diviso per tutti i soci della malga, se si poteva mangiare, veniva data la carne, se non si poteva mangiare dovevano pagare ugualmente e questo riusciva ad avere un po’ di sostentamento. Era una mutualità molto sentita questa.ANGIOLETTA: C’era più solidarietà. Adesso non c’è più niente.ANGIOLINO: Nella malga c’era il malgaro, il capo pastore e quello che aveva il sacco del sale, quello aveva la carica sua, sotto aveva tre quattro mandriani e quelli dormivano nella stalla. Il casaro comandava il caseificio, il casaro era una persona di tutto rispetto e non poteva andare a mungere le mucche, non poteva neanche entrare in stalla. Infatti, il casaro in paese era dipinto come una persona speciale, non abitava in paese ma abitava fuori, c’erano i Caseri perché lì abitavano i casari. Perché il casaro, il fabbro, la levatrice, quelli che facevano il pane, erano persone che guardavano un po’ con sospetto, con un po’ di stregoneria, perché trasformavano: il casaro trasformava il latte, e dicevano che il casaro non poteva mungere perché era pericoloso, magari la mucca non faceva più latte. Bello sentire queste cose, quando le racconto ai ragazzi ascoltano.ANGIOLETTA: Certo! Le mie bimbe sanno tutto.

D: Ma anche adesso sono interessate?ANGIOLETTA: Come no! Adesso facciamo le torte quando vengono. Hanno imparato a fare le torte, si scrivono le ricette.

D: I miscugli di erbe, piacciono?ANGIOLETTA: No, le erbe meno, mangiano gli spinaci, l’insalata, le erbe del mio orto, le verdure le mangiano.

D: Ma non le frittate?ANGIOLETTA: Meno, ma neanche gli asparagi, neanche quelli che si comperano.Son cambiati i gusti. Noi siamo cresciuti con poco. Di fame non siamo morti, ma non c’era nessun obeso. Quattro volte si andava a scuola, quattro km al giorno, su la mattina, giù a mezzo giorno, su e giù alle quattro, su alle 6 magari a portare il latte, a messa, alle funzioni, a maggio a ottobre.Eravamo 90 ragazzi, alle scuole di Campi, trenta per classe, prima, seconda e terza e terza, quarta e quinta, settima e ottava, medie non ce n’erano, quindi alè.Si andava a scuola sempre a novembre, verso l’11 di novembre, perché prima c’erano le mucche, si andava al pascolo, i marroni da raccogliere, le patate, tutti i lavori che facevamo noi ragazzi.Una volta si facevano tutti, non solo io.Era una vita semplice, fatta di tanti sacrifici.

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