“Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le...

5
62 63 “Cento aspetti della luna” Y oshitoshi fu l’ultimo genio creativo dell’ukiyo-e. La sua carriera attraversò due culture, quella del Giappone tradizionale e quella del periodo Meiji. I suoi valori e lo spirito critico si plasmarono mentre il Giappone era ancora formalmente isolato dal resto del mondo: aveva già ventinove anni, nel 1868, quando la restaurazione Meiji iniziò direttamente il cammino verso l’occidentalizzazione. Come molti suoi contemporanei, Yoshitoshi era affascinato dal mondo esterno, ma con il passare dei decenni divenne sempre più consapevole della perdita dei valori conseguente all’abbandono della tradizione. Scelse quindi di attingere dalle storie di un passato glorioso i soggetti per le stampe che, sebbene fossero rivolte all’antico – nel senso che illustravano eventi storici –, furono rivoluzionarie nella rappresentazione dell’emozione umana individuale e nella delicatezza psicologica. Ne è l’esempio più alto l’ultima grande serie, Tsuki hyakushi, i “Cento aspetti della luna”, una sequenza di cento fogli singoli di stampa da matrici di legno che hanno la luna come tema unifi- cante. A parte la luna o il riferimento a essa (non sempre, infatti, è visibile nei disegni), i soggetti non sono collegati tra loro e illustrano un’ampia gamma di figure storiche, letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli- cate nell’autunno 1885. Quelle successive furono edite, singolarmente o in lotti, a cadenza regolare; la centesima e ultima uscì nella primavera del 1892, poco prima della morte dell’autore. La serie era già molto famosa al tempo della sua realizzazione: il giorno della pubblicazione di una nuova stampa si formavano lunghe code prima dell’alba per garantirsene l’acquisto, ma spesso l’edizione andava subito esaurita. Ancora oggi, la serie delle lune è considerata il capolavoro di Yoshitoshi. Godere di un paesaggio al chiaro di luna in una notte tranquilla e silenziosa è un piacere oggi sempre più raro: le strade e le case sono illuminate a giorno e non sappiamo nemmeno in quale fase lunare ci troviamo. Nel Giappone tradizionale la luna era un’espressione, molto amata, della bellezza e faceva parte della vita quotidiana; il suo apprezzamento era un elemento importante dell’estetica giapponese: contemplare al chiaro di luna un ramo di pruno in fiore coperto di neve od osservare il riflesso della luna sull’acqua significava godere di un piacere estetico raffinato e feste e sagre per celebrare queste manifestazioni effimere di bellezza scandivano tutto l’anno. Quando la luna veniva illustrata in un’opera d’arte, suscitava reazioni radicate nella tradizione secolare giapponese: ad esempio, la luna piena rappresentava l’autunno, stagione della contemplazione e della nostalgia; la malinconia dell’anno che muore veniva richiamata alla mente dalla luna al suo culmine, prima di calare, come i boccioli di ciliegio erano considerati al massimo dello splendore nella piena fioritura, prossimi a cadere a pioggia sul terreno (in Occidente la luna piena d’autunno è associata essen- zialmente all’abbondanza del raccolto). C’era, naturalmente, il rischio che la reazione a questi fenomeni diventasse automatica e priva di significato e l’originalità con cui Yoshitoshi illustrò soggetti convenzionali nella serie della luna fu una ragione impor- tante del suo successo. La luna ricorre in tutta l’opera del maestro, specialmente negli anni ottanta, quando godeva di una certa stabilità personale e di un importante riconoscimento da parte del pubblico. È un motivo così presente nelle stampe – inclusi alcuni dei trittici migliori, nei quali domina interi fogli – che chiaramente rappresentava per l’artista molto più che un elemento tradizionale del disegno. La luna è anche il tema della sua elegia funebre 1 , che suggerisce quasi un attaccamento di tipo mistico. Kannon, il bodhisattva compassionevole che compare in questa serie, era associato alla luna e anche altri corpi celesti erano considerati sacri, ad esempio la stella polare. La serie seguiva una struttura tipica dell’ukiyo-e, nella quale un singolo tema veniva esplorato da un certo numero di disegni. Esempi precedenti di questo tipo di partizione sono le “Trentasei vedute del monte Fuji” di Hokusai, le “Cinquantatré stazioni della Tōkaidō” di Hiroshige e, all’inizio della tradizione ukiyo-e, le “Cento donne del Giappone” di Moronobu. Queste serie generalmente declinavano soggetti semplici, ad esempio paesaggi e occupazioni femminili, nei casi appena citati. Yoshitoshi si era 68 68 Nankai no tsuki, Luna del mare del Sud (particolare), 1888. Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.

Transcript of “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le...

Page 1: “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli - cate nell’autunno 1885. Quelle successive

62 63

“Cen

to as

petti

della

luna

Yoshitoshi fu l’ultimo genio creativo dell’ukiyo-e. La sua carriera attraversò due culture, quella del Giappone tradizionale e quella del periodo Meiji. I suoi valori e

lo spirito critico si plasmarono mentre il Giappone era ancora formalmente isolato dal resto del mondo: aveva già ventinove anni, nel 1868, quando la restaurazione Meiji iniziò direttamente il cammino verso l’occidentalizzazione.

Come molti suoi contemporanei, Yoshitoshi era affascinato dal mondo esterno, ma con il passare dei decenni divenne sempre più consapevole della perdita dei valori conseguente all’abbandono della tradizione. Scelse quindi di attingere dalle storie di un passato glorioso i soggetti per le stampe che, sebbene fossero rivolte all’antico – nel senso che illustravano eventi storici –, furono rivoluzionarie nella rappresentazione dell’emozione umana individuale e nella delicatezza psicologica. Ne è l’esempio più alto l’ultima grande serie, Tsuki hyakushi, i “Cento aspetti della luna”, una sequenza di cento fogli singoli di stampa da matrici di legno che hanno la luna come tema unifi-cante. A parte la luna o il riferimento a essa (non sempre, infatti, è visibile nei disegni), i soggetti non sono collegati tra loro e illustrano un’ampia gamma di figure storiche, letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli-cate nell’autunno 1885. Quelle successive furono edite, singolarmente o in lotti, a cadenza regolare; la centesima e ultima uscì nella primavera del 1892, poco prima della morte dell’autore. La serie era già molto famosa al tempo della sua realizzazione: il giorno della pubblicazione di una nuova stampa si formavano lunghe code prima dell’alba per garantirsene l’acquisto, ma spesso l’edizione andava subito esaurita. Ancora oggi, la serie delle lune è considerata il capolavoro di Yoshitoshi.

Godere di un paesaggio al chiaro di luna in una notte tranquilla e silenziosa è un piacere oggi sempre più raro: le strade e le case sono illuminate a giorno e non sappiamo nemmeno in quale fase lunare ci troviamo. Nel Giappone tradizionale la luna era un’espressione, molto amata, della bellezza e faceva parte della vita quotidiana; il suo apprezzamento era un elemento importante dell’estetica giapponese: contemplare al chiaro di luna un ramo di pruno in fiore coperto di neve od osservare il riflesso della luna sull’acqua significava godere di un piacere estetico raffinato e feste e sagre per celebrare queste manifestazioni effimere di bellezza scandivano tutto l’anno.

Quando la luna veniva illustrata in un’opera d’arte, suscitava reazioni radicate nella tradizione secolare giapponese: ad esempio, la luna piena rappresentava l’autunno, stagione della contemplazione e della nostalgia; la malinconia dell’anno che muore veniva richiamata alla mente dalla luna al suo culmine, prima di calare, come i boccioli di ciliegio erano considerati al massimo dello splendore nella piena fioritura, prossimi a cadere a pioggia sul terreno (in Occidente la luna piena d’autunno è associata essen-zialmente all’abbondanza del raccolto). C’era, naturalmente, il rischio che la reazione a questi fenomeni diventasse automatica e priva di significato e l’originalità con cui Yoshitoshi illustrò soggetti convenzionali nella serie della luna fu una ragione impor-tante del suo successo.

La luna ricorre in tutta l’opera del maestro, specialmente negli anni ottanta, quando godeva di una certa stabilità personale e di un importante riconoscimento da parte del pubblico. È un motivo così presente nelle stampe – inclusi alcuni dei trittici migliori, nei quali domina interi fogli – che chiaramente rappresentava per l’artista molto più che un elemento tradizionale del disegno. La luna è anche il tema della sua elegia funebre1, che suggerisce quasi un attaccamento di tipo mistico. Kannon, il bodhisattva compassionevole che compare in questa serie, era associato alla luna e anche altri corpi celesti erano considerati sacri, ad esempio la stella polare.

La serie seguiva una struttura tipica dell’ukiyo-e, nella quale un singolo tema veniva esplorato da un certo numero di disegni. Esempi precedenti di questo tipo di partizione sono le “Trentasei vedute del monte Fuji” di Hokusai, le “Cinquantatré stazioni della Tōkaidō” di Hiroshige e, all’inizio della tradizione ukiyo-e, le “Cento donne del Giappone” di Moronobu. Queste serie generalmente declinavano soggetti semplici, ad esempio paesaggi e occupazioni femminili, nei casi appena citati. Yoshitoshi si era

68

68 Nankai no tsuki, Luna del mare del Sud (particolare), 1888. Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.

Page 2: “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli - cate nell’autunno 1885. Quelle successive

3029

116 117

Incisore Yamamoto

Sigillo Yoshitoshi no in

Stampa1° giugno 1886

Luna della finestra in rovinahasō no tsuki

Incisore Yamamoto

Sigillo Taiso

Stampa marzo 1886

Yūgao, dal Racconto di GenjiGenji yūgao no maki

Uno dei disegni più deliziosi della serie è tratto da Genji monogatari (Racconto di Genji), il primo romanzo ad apparire in Giappone e forse nel mondo. L’autore è Murasaki Shikibu, una donna che apparteneva al mondo elegante della corte Heian dell’XI secolo. Più avanti nella serie, Yoshitoshi la ritrae mentre, ispirata dalla bellezza della luna, si accinge a scrivere il romanzo, il cui protagonista è appunto Genji, un principe giovane e attraente, molto sensibile alla bellezza, che ebbe una serie di avventure amorose con donne splendide.

L’amante più misteriosa fu una giovane che viveva in una casa fatiscente circondata da un giardino deserto e incolto. Luoghi così selvatici non erano infrequenti a Kyoto, dove un numero relativamente ristretto di persone viveva in un’area estesa in cui si aggiravano ancora bestie feroci. Un giorno mentre passava davanti alla casa, Genji notò alcuni fiori bianchi rampicanti che la ricoprivano rigogliosi: erano yūgao, lette-ralmente “volto serale”, l’equivalente vespertino dell’asagao, l’ipomea che si schiude al mattino. Genji mandò alla casa il suo servitore perché chiedesse qualche fiore e la donna glieli fece recapitare dal suo valletto posati sopra un ventaglio, sul quale era stato vergato un componimento poetico con una calligrafia elegante. Da quelle parole nacque una storia d’amore tra Genji e la dama della casa.

Questa donna di aspetto simile a un fantasma – lontana quindi dai canoni di bel-lezza florida del periodo Heian, secondo la tradizione cinese Tang – affascinò Genji. Si rifiutò di rivelargli il suo nome e la sua storia, così l’uomo la chiamò Yūgao, come il fiore. In seguito la dama misteriosa accettò l’invito a visitare una delle sue ville sontuose, dove consumarono la loro delicata passione. Come un fiore di yūgao, che appassisce rapidamente, la dama morì poche ore dopo, uccisa dallo spirito geloso di una antica amante di Genji. Egli pianse la scomparsa dell’amata con un dolore mai provato prima.

Qui il fantasma di Yūgao aleggia malinconicamente nel suo giardino in una notte di luna piena. I “fiori di luna” – altro nome dello yūgao – e i rami rampicanti sono visi-bili attraverso il corpo trasparente della donna, la cui figura sembra priva di volume, quasi proiettata su una superficie come un paravento. La tonalità blu dell’occhio e delle labbra è leggermente differente da quella dello sfondo e risalta senza eccesso (le labbra

blu indicavano convenzionalmente una persona morta o morente). Anche il centro giallo dei fiori è evidenziato; nella stampa originale i petali bianchi sono goffrati. Il frutto è ombreggiato sulla destra per dare l’impressione di rotondità. I colori sono stati stampati meravigliosamente per svanire nel nulla alla base dell’immagine.

L’intreccio della vegetazione ricorda disegni e mani-festi dell’Art Nouveau europea, che venne influen-zata dall’arte giapponese contemporanea. I disegni di Yoshitoshi includono spesso foglie e viticci, a testimo-nianza del suo amore per la vita rigogliosa delle piante. Noguchi Yone nella sua conferenza alla London Japan Society nel 1914, dove presentò l’opera del maestro per la prima volta in Occidente, fece notare il parallelismo citando proprio questo disegno come esempio.

71

Il buddhismo zen fa risalire le proprie radici mistiche al giorno in cui Buddha tenne semplicemente in mano un fiore invece di fare il suo sermone abituale. Un solo disce-polo capì la lezione: l’illuminazione può manifestarsi in forma di totale consapevolezza piuttosto che attraverso l’esecuzione di rituali o lo studio dei sutra.

Mille anni dopo, all’inizio del VI secolo, un principe indiano lasciò il suo maestro buddhista dopo avere studiato con lui per molti anni e andò in Cina. Si chiamava Bodhidharma, Daruma in giapponese. Per un certo periodo si trattenne a Canton, dove si rifiutò di elogiare il governatore locale per il suo appoggio – materiale, non spirituale

– al buddhismo. Quindi si diresse verso il tempio Shaolin nei pressi di Luoyang, nel nord della Cina. Lì rimase a meditare per nove anni, guardando un muro, che con il passare del tempo cadde in frantumi. La “finestra” del titolo verosimilmente si riferisce all’illuminazione di Daruma, ma anche allo squarcio che si aprì nel muro al momento del crollo. Una seconda allusione riguarda l’ensō, il cerchio che gli artisti zen tracciano per indicare il vuoto, una qualità centrale dell’illuminazione. Nel Taiheiki (“Cronaca della grande pace”) del XIV secolo, i monaci buddhisti raccontano di “vedere la luna della realtà permanente attraverso la finestra dell’astrazione e della contemplazione”.

Una vecchia tradizione racconta che, dopo aver ottenuto l’illuminazione, un monaco di nome Eka si recò da Daruma e gli chiese un insegnamento religioso. Daruma, che stava meditando in una grotta, si rifiutò di rispondere all’uomo, che alla fine si tagliò un braccio e lo portò al maestro per dimostrare la sua determinazione a raggiungere l’illuminazione. Fu proprio l’insegnamento di Daruma, dopo questo evento drastico, che introdusse il buddhismo chan (zen) in Cina.

Qui vediamo il maestro seduto, gli indumenti raccolti intorno al corpo, assorto in meditazione. Ha capelli e barba riccioluti di un indiano; il colore arancione del mantello si è ossidato in un marrone rossiccio metallico; sopra i muri di fango che si stanno sbriciolando intorno a lui crescono i rampicanti. La scena è illuminata dalla luna piena, ma l’atmosfera non è serena: il suo viso è severo mentre lotta con i suoi pensieri e la sua fisionomia appare impetuosa e robusta più che ascetica.

Daruma riassume in sé la disciplina e l’austerità dello zen: numerosi pittori, tra cui Hakuin (1685-1768), lo raffigurano con un’espressione di fiera concentrazione. Intorno alla sua vita sono fioriti numerosi racconti: una volta si addormentò durante la meditazione e al risveglio, mortificato per la sua debolezza, si tagliò le palpebre e le gettò a terra. Da esse germogliarono le piante del tè, che da allora aiutano le persone a rimanere vigili. I lunghi anni di inazione gli fecero perdere l’uso degli arti inferiori, ispirando una bambola tradizionale, la Daruma senza gambe, che ritorna nella posizione iniziale ogni volta che viene spinta a terra. In riferimento alla sua figura seduta e incappucciata, il pupazzo di neve talvolta è chiamato yukidaruma, “daruma di neve”. Daruma era anche un termine gergale che indicava le cortigiane, paragonando le sofferenze delle prostitute a quelle dei sacerdoti asceti. Un’interpretazione meno edificante ipotizza che le corti-giane, una volta supine, tornassero nella posizione iniziale come le bambole Daruma, pronte a un nuovo amplesso. Una lirica composta all’inizio del XVIII secolo domanda:

cosa sono nove anni?dieci anni nel mondo sofferenterivestiti di abiti a fiori.

I nove anni che Daruma passò a meditare di fronte al muro sono messi a confronto con i dieci del contratto di una cortigiana di un bordello prima di potersi riscattare. Un’ulteriore stratificazione di significato si ritrova per le espressioni giapponesi “mondo sofferente” e “mondo fluttuante”, entrambe pronunciate ukiyo.

Page 3: “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli - cate nell’autunno 1885. Quelle successive
Page 4: “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli - cate nell’autunno 1885. Quelle successive
Page 5: “Cento aspetti della luna” - laFeltrinelli · letterarie e tradizionali di Cina e Giappone. Le prime cinque incisioni vennero pubbli - cate nell’autunno 1885. Quelle successive