Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

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AntropologiaAntropologia

Capitolo X

La morte: dramma totale

o dramma pasquale?

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Io sono Suo e seguo le sue orme; vado verso la mia piena verità pasquale. Vista la

direzione che prendono le cose e la piega degli avvenimenti…vi dico, in piena verità,

va tutto bene.

La fiamma si è piegata,

la luce si è inclinata…

Posso morire.

Eccomi qui.

(Frère Christophe - trappista di Tibhirine)

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Dove siamo?Dove siamo?

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Tesi fondamentale della Predestinazione:

Figli nel Figlio per grazia

Momento sistematico I (= strutture della libertà creata)

Momento sistematico II(= vicenda storica della libertà creata)

Lo Stato Originale

La complicità in Adamo: il Peccato Originale

La solidarietà positiva in Cristo: la giustificazione

Il “morire umano”

Ri-fare il discorso a partire da:

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Morte è parola dal significato non univoco:

Morte clinica Morte cerebrale Morte biologica Morte mistica Morte al peccato Morire nel Signore

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Voci di uomini di fronte al dramma universale della morte

«Quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più. Non è nulla dunque né per i vivi né per i

morti perché per quelli non c’è, questi non sono più» (Epicuro, Lettera a Meneceo)

La morte annulla tutte le possibilità dell’esistenza

così la morte non ha alcun senso, anzi li distrugge.

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«si nasce senza motivo e si muore per caso. La morte toglie all’uomo la libertà e annienta tutte

le possibilità di realizzazione»

(J.-P. Sartre, La nausea)

«la vita ha la prima parola, ma la morte ha sempre l’ultima... la vita non ha senso, è

assurda, è meglio sopprimerla»

(A. Camus)

il dramma della morte è una assurda interruzione della temporalità

la morte toglie ogni significato alla vita: è il “non-senso”

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«La differenza che si dà tra la morte dell’uomo e la corruzione di un essere puramente naturale ... la corruzione di un essere

puramente naturale è il frutto di una legge di natura, esterna alla nostra vita e passivamente subita...Nell’uomo la morte ha a che fare con Nell’uomo la morte ha a che fare con la coscienza e la libertàla coscienza e la libertà: nella coscienza della

propria morte si apre lo spazio per una accettazione e per una consapevolezza...di

darle senso e perciò di trascenderla» (Hegel, Frammento sull’amore)

Qui la novità: c’è una distanza tra il morire “naturale” (= un finire biologico) e il morire dell’uomo (= un’esperienza

prettamente antropologica)

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Singolare riflessione di M. Heidegger sul “morire”: la morte non è solo l’ultimo momento della vita, ma “una modalità fondamentale della persona fin dal

suo primo esistere. Da quando è nato, l’uomo è abbastanza vecchio per morire: la morte ci sovrasta

in ogni istante della nostra vita”. Di qui la celebre definizione: l’uomo è un “essere

per la morte” La m. non è un accidente che sopravviene

dall’esterno, ma essa è una “possibilità permanente” e intima

Non è solo il segno della finitezza originaria dell’essere umano, ma anche il segno di un’esistenza autentica che prende posizione di fronte alla morte

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Trasposizione nella tradizione cristiana

L’esperienza della morte è indiretta/mediata/in via anticipata:

prolixitas mortis (Gregorio Magno – K. Rahner): vivo un’anticipazione della mia morte nella

morte dell’altro tutte le esperienze che si riferiscono al “non

esserci più” (partenze – distacchi - interruzioni) La possibilità permanente della morte

improvvisa: dice che la morte ci è “estranea”, viene dall’esterno, non la poniamo noi, ci si im-pone (= una certa passività non rimediabile che è anticipata nelle esperienze negative subite)

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Reazioni dell’uomo contemporaneo al morire

una via di fuga “di sempre” è l’oblio/la rimozione: “gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, hanno deciso per vivere felici, di non pensarci” (B. Pascal)

il mutamento nel modo di vivere la morte si condensa nella “emarginazione sociale della morte, nella sua privatizzazione”: dalla morte ad-domesticata (in casa era normale vedere cadaveri) alla morte clandestina/appaltata

demitizza/banalizza la morte: la persona è ridotta a un ruolo interscambiabile: la morte è il “fatto fisico finale”

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Non si “muore di mortalità”, ma si muore sempre per qualche causacausa (cf l’autopsia) = la “decostruzione della mortalità” (Bauman)

In definitiva:

la morte è il il tabùtabù che ha sostituito quello del che ha sostituito quello del sessosesso (Gorer)

La congiura del silenzio sull’essenziale “è un sintomo di angoscia e di smarrimento dell’uomo moderno. Egli sfugge il pensiero della mortepensiero della morte perché gli sfugge il senso ultimo della vitail senso ultimo della vita” (A. Bonora)

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Obiettivo: occorre parlare della morte (oggi tornano gli

studi) riportare l’annuncio cristiano su questo momento

inalienabile della vita, che costituisce uno snodo decisivo dell’autocomprensione dell’uomo

«parlarne» è una necessità pre-teologica:

«perché la vita ha il senso che noi diamo alla morte. Se la morte è per la vita allora possiamo sperare. Ma se la vita deve finire con un naufragio totale,

persone e cose, allora la vita stessa non ha senso poiché non ha sbocchi» (R. Latourelle)

«Tutte le interpretazioni dell’esistenza umana che non tengono conto della morte sono inevitabilmente non

esistentive e non credibili» (H. Volk)

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Sapienza antica e medievale: Tutta la vita è commentatio mortiscommentatio mortis (Cicerone)La morte è l’altra faccia della vita, è il con-fine con-fine

dell’esistenza creaturale: Media vita in morte sumus Media vita in morte sumus

Media morte in vita sumusMedia morte in vita sumus la memoria mortismemoria mortis: il finisfinis della morte richiama che

la vita non ha origine in sé ma in alioin alio (in Dio), richiama all’altro finisfinis iniziale della nascita, per cui l’uomo è finito, cioè creaturalecreaturale, dipendente da Dio

Da qui le domande: la morte, e poi? la morte, e prima?

“Non si sa quando verrà la morte, chi verrà: il niente o un nuovo inizio?” (Lévinas)

Da qui anche l’angoscia del vivere: al con-fine con-fine con l’ignoto

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La riflessione biblica sul “morire”AT = mwt

su 1000 ricorrenze 2/3 = l’azione del morirel’azione del morire

NT = Thanatos

più spesso ilil verbo morireverbo morire la Bibbia non è interessata tanto a spiegare il

donde e il perché della morte, quanto piuttosto il modo di affrontarla ed il senso del morire.

La molteplicità delle differenti prospettive anche nella Bibbia (non solo in cfr con la grecità) riflette:

l’ambiguitàl’ambiguità del morire

le fasi progressivefasi progressive della riflessione sulla morte

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1. L’uomo di fronte alla morte: l’AT

Livello “naturale-biologico” della morte La morte come compimento naturale della

vita = “morire vecchio e sazio di giorni” (Gn 35,29), al “numero completo dei giorni” (Es 23,26) è segno di una benedizione di Dio

È un costitutivo dell’uomo (basar + nefesh) è tratto dalla polvere e torna alla polvere, come le bestie (Gn 2,19; Qo 3,19-20)

L’assenza di sopravvivenza (un’al di là) è compensata da una numerosa posterità (2 Sam 14,17). Poche eccezioni: Enoch e Elia.

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La morte è una fatalità naturale e non genera un sentimento tragico, piuttosto rassegnazione: “noi dobbiamo morire e siamo come acqua

versata in terra che non si può raccogliere” (2Sam 14,14)

Siamo ancora ad uno “stadio infantile” “stadio infantile” (E. Bianchi):

la morte non è un nemico da vincere una visione religiosa della vita può convivere

con l’assenza di una fede nell’aldilà

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La percezione del dramma: la morte cattivaLo scandalo della morte improvvisa (non

naturale) nel “bel mezzo dei giorni” = la morte prematura (Is 38,10-11; Sal 102,24-25) è la “morte cattiva” di cui la malattia, la miseria, la solitudine sono degli anticipi (Sal 16)

una necessità contro natura = in contrasto il desiderio di vita e l’opposizione della morte (il sentimento dell’angoscia: Gb 9,25-26; 14,1-12)

La conseguenza della morte: il morto torna alla terra, nel regno sotterraneo dei morti (vedi Is 14,9: la visione tripartita del mondo)

Lo sheolsheol = soggiorno dei morti, luogo di tenebre e oscurità (Gb 10,21), luogo temuto perché:

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è l’antitesi di Diol’antitesi di Dio: l’uomo è tagliato fuori da Dio, mentre il vivente vive per lodarlo (Is 38,18); Dio non si ricorda più dei morti (Sal 88,6); il morto perde la sua consistenza

ed è ostile all’uomoostile all’uomo:

i morti dono “esseri deboli” (refaimrefaim), ombre, larve che abitano il luogo della tenebra e dell’oblio (Sal 88,11-13)

vivono un sonno permanente, la loro esistenza è inconsistenza (è “nulla”)

Ciò rendeva penoso il morire e impuro il contatto coi morti (Nm 19,16)

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La morte come prova e come maledizione

enigma: il giusto vive la “morte cattiva”: muore troppo presto, vive la minaccia della morte

la morte è minaccia per il giusto come per l’empio

il dramma non è pienamente comprensibile se lo si disgiunge dalla conoscenza di Dio e del peccato:

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Vedi i testi sapienziali:

“non provocate la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle

vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le

creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte” (Sap. 1,12-14).

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del

diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2,21-24).

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Perciò per l’AT ci sono due tipi di morte:

1) Una morte “naturale”, semplicemente fisica

2) Una morte “malefica” (il veleno di morte) che ha come stravolto la prima in conseguenza del peccato

La morte che si sperimenta è la prima (naturale) stravolta dalla seconda (spirituale)!

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La Speranza nella/di fronte alla morte Israele parte dalla contraddizione tra l’esperienza storica della sua vicenda con

Jhwh: Dio creatore della vita che si è mostrato come salvatore, riscattatore potente nei confronti del suo popolo

e la sorte finale del giusto che Jhwh non può abbandonare

si fa strada in Israele l’idea che Jhwh ha un rapporto con lo sheol

Sal 49: «Dio potrà riscattarmi, mi strapperà dalla mano della morte»

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il credente è certo della comunione con Dio per il presente prima della morte e per il futuro dopo la morte:

“non lascerai la mia vita nella fossa, né permetterai che il giusto veda la corruzione”

(Sal 16)

Il rapporto Jhwh – sheol non comporta ancora una visione chiara dell’al di là

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Sarà nell’apocalittica (II sec. a.C.) che si inizia ad annunciare il trionfo di Dio sulla morte:

libro di Daniele 12,1-2:

“molti di quelli che dormono nella polvere si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri

alla vergogna e all’infamia eterna”nel libro dei Maccabei i martiri confessano la

certezza della vita eterna:

“Tu ci strappi dalla vita presente; ma il re del mondo farà risorgere per una vita eterna noi

che siamo morti per le sue leggi”

(2Mac 7,9s)

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è una credenza tardiva ma molto diffusa: non tanto nella vita ultraterrena come

immortalità ma come risurrezione = dono di una vita nuova da parte di Jhwh creatore

al culmine della rivelazione AT: il credente muore nella speranza della risurrezione:

ciò testimonia della potenza universale di Dio che si estende sino allo sheol

e della sua giustizia che non lascia senza retribuzione quelli che sono morti martiri nel nome della loro fede in Jhwh

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2. Gesù e la morte: la vittoria della vita Dei due versanti dell’AT, il NT continua quello

della morte come potenza di peccato (una interruzione assurda più che un compimento)

Gesù non vive la morte come evento naturale ma la vive come dramma, come rottura di ogni comunicazione dovuta al peccato

vedi anche i 3 miracoli di risurrezione (Lazzaro, figlio vedi anche i 3 miracoli di risurrezione (Lazzaro, figlio unico della vedova di Naim, la figlia di Giairo)unico della vedova di Naim, la figlia di Giairo)

Nel ministero taumaturgico di Gesù è indissociabile la lotta contro il potere del Maligno (malattie, possessioni, peccato) e contro la Morte (si identificano)

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la morte è un nemico, non solo per l’uomo ma anche per Dio: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la

morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi” (1Cor 15,26)

viene ricondotta direttamente non a Dio, bensì al Diabolos:

“il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv 16,11)

Gesù lotta con la sua prassi taumaturgica (2/3 dei miracoli) per sconfiggere le manifestazioni anticipate della morte (malattia, sofferenze e le tre risurrezione da morte); i suoi gesti traducono la vicinanza/amore di Dio

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Ma soprattutto Gesù affronta la morte nel suo stesso dominio:

• anch’egli ne è divenuto partecipe:

per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte aveva il potere,

cioè il diavolo e affrancare quanti per timore della morte durante tutta la vita

erano soggetti a schiavitù

(Eb 2,14-15)

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3. La morte personale di Gesù

Una morte prevista e violenta:

“poteva e doveva contare in modo serio sulla eventualità della sua morte violenta” (era la sorte dei profeti dell’AT)

“non si è solo passivamente rassegnato a questo destino che gli si presentava davanti ma lo ha attivamente assunto nel suo comportamento” (H. Schürmann, Gesù di fronte alla propria morte)

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L’interpretazione della morte di Gesù

a) Mc 12,1-12: la parabola dei vignaioli omicidil’ultima lettura pubblica che Gesù fa della sua

morte imminente da la chiave di lettura della sua morte: essa non è fatale (un’incomprensione con i poteri

del tempo)

non è sete di morte da parte di Dio ma è necessaria come conseguenza inevitabile

dell’amore di Dio per la sua vigna (l’umanità) e dell’amore del Figlio che obbedisce al cuore del Padre (gli è con-corde).

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b) Ultima cena• “Senza la cena la Croce è muta”: gesto simbo-

lico sintetico delle intenzioni della sua vita

• Gesù interpreta la sua come una morte per (ypér): per voi (Lc 22,19-20) – per molti (Mt 26,28)

• conclude un’alleanza nel sangue (= la vita con-segnata - partecipata ai dodici che rappresentano il resto di Israele; parallelo con alleanza al Sinai)

• neppure l’estremo rifiuto da parte dell’uomo (il più alto che poteva osare: uccidere il Messia) non muta il progetto d’amore del Padre, non modifica l’originaria “volontà di comunione”

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c) Getsemanil’atteggiamento di Gesù è complesso e

contrastante con quello freddamente sere-no di un Socrate e per niente avvicinabile all’atarassia stoica

la mancanza di relazioni va in continuo crescendo in questo momento

Gesù è triste fino alla morte, profonda-mente turbato (Gv 12,27) è preso dall’an-goscia (Mt 26,37; Lc 22,44: agonia)

è in tutto simile a noi muore come noi: la nostra angoscia, la

nostra paura e le nostre tentazioni davanti alla morte, sono state le sue

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L’interlocutore di Gesù nella sua morte è il Padre (“apparentemente assente”)

Gli chiede non di esentarlo dall’ora della morte, ma di restare la sua unica speranza anche in quell’ora che da enigma diventa mistero di passaggio da questo mondo a lui:

E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò

che io voglio, ma ciò che vuoi tu»

(Mc 14,36)

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Ebrei: una meditazione biblica sul Getsemani«Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene

costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i

peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e

nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena

egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu

esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso

perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato

proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek» (Eb 5,1-8).

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d) Le parole di Gesù morenteLe ultime parole di Gesù, pronunciate sulla croce,

sono la migliore esegesi della sua morte: 1^ Parola, ai nemici: il perdono (Lc 23,34)2^, ai peccatori: Oggi sarai con me (Lc 23,39-43) 3^, ai santi: Donna ecco tuo figlio (Gv 19,26-27) 4^ Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mc

15,34) 5^ : Ho sete (Gv 19,28) 6^ : Padre nelle tue mani (Lc 23,46) 7^ : Tutto è compiuto (Gv 19,30). si è raggiunto il “telos”, la fine e il compimento

del progetto: poiché si è attuata la manifesta-zione dell’agape divina.

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e) L’attività soteriologica di Gesù nella sua morte

Atti 2,31 “previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione”.

• 1Pt 3,18-19 “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione”

Ap 1,18 “Io ero morto ma ora vivo per sempre e ho potere sulla morte e sugli inferi”

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Commento di Efrem il Siro al descensus

Parla “La Morte: «Correrò e chiuderò le porte dello Sheol / davanti a questo Morto la cui morte mi ha rapinato. / Chi sentirà ciò si meraviglierà della mia umiliazione, / perché sono stata sconfitta da un Morto venuto da fuori: tutti i morti vogliono uscire, / e lui insiste per entrare. Un farmaco di vita è entrato nello Sheol / e ha riportato i suoi morti indietro alla vita. Chi è colui che ha introdotto per me e nascosto / il fuoco vivente in cui le fredde e scure viscere dello Sheol si fondono?»”

(Inni di Nisibi, XXXVI, 14).

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e) L’evento della risurrezione consente la lettura retrospettiva della morte di Gesù come “affidamento”

Il Padre è l’interlocutore nella risurrezione del FiglioAtti 13,30 “…ma Dio lo risuscitò dai morti”

Atti 17,31 “Dio ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti”.

“Nel cuore della irrelazionalità della morte è nato un nuovo rapporto di Dio con l’uomo (E. Jüngel)

La vicinanza di Dio “dentro” lo spazio della morte (creato dal peccato) dà forma alla parola “amore” come vittoria sul dominio del peccato (separazione / aseità)

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Il morire del cristiano

I trattati classici dei fini ultimi = la sorte dei defunti dopo la morte (una cartografia dell’al di là)

Per influsso delle Filosofie esistenziali (Marcel - Sartre) anche la teologia si è concentrata sul “morire” cioè sull’istante stesso della morte e sul fatto della “morte”

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La morte conserva una certa dimensione “naturale”

Evento biologico, connaturale all’esistenza di tutti gli esseri viventi

Dimensione costitutiva: appartiene alla finitudine dell’uomo, alla sua condizione finita (il “non essere Dio”)

È la preoccupazione moderna (G. Martelet – T. de Chardin) che ha il pregio di ovviare a una rigida derivazione causale della morte come prodotta direttamente dal PO

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è affermazione con risvolto positivo:

“tutti gli uomini devono morire”

È un dato certo che a lungo andare la vita “si consuma”

È un compimento adeguato al processo vitale “consumare” questa vita in modo attivo

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Differenza tra il “finire” e il “morire” solo gli umani sono dei mortali, nella misura in cui

sono i soli capaci di relazionarsi alla propria morte più rigoroso distinguere tra il mero finire biologico,

corporale – proprio di ogni atomo dell’universo, come afferma T. de Chardin – dal morire, esperienza prettamente antropologica, singolare dell’uomo

Il PO non ha dato origine al finire dell’uomo, ma ne ha determinato la connotazione drammatica ed angosciante.

Se la finitudine era e resta in se stessa una di-mensione “naturale” dell’essere vivente, il morire è antropologicamente un’esperienza drammatica a motivo del PO

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La morte come fine dello stato di peregrinazione

Il viaggio terreno è un “passaggio” (status viae - viatoris): tempo di decisioni, contrapposto alla “fine”, cioè a una fase in cui cessa il tempo delle decisioni

nell’istante della morte è fissata in eterno la decisione sulla direzione della vita (con o senza Dio)

la morte non è solo la fine della vita; essa rende definitiva la vita di fronte a Dio

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L’esistenza terrena acquista il suo peso: io vivo una volta sola; la libertà è la facoltà del definitivo; le occasioni non tornano a mio piacimento;

le decisioni hanno carattere definitivo

unicità di questa vita e importanza eterna delle decisioni prese

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Il Giudizio di Dio sull’uomo tiene conto solo della vita terrena: dopo la morte non vi sono altre possibilità di opzione in uno stato non terrestre

Eb 9,27: “è stabilito per gli uomini di morire una volta sola, dopo di che viene il giudizio”

La morte come linea di demarcazione oltre la quale la situazione del giusto e dell’empio cambiano definitivamente (Lc 16,19-31)

Idea confermata da due dottrine magisteriali: retribuzione immediata subito dopo la morte

(DS 857-858) e condanna dell’apocatastasi origeniana (DS

411)

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si vede anche il carattere ambivalente della morte:

è interruzione biologica: radicale espropriazione di sé stessi

ma anche compimento: punto d’arrivo dell’uomo come persona spirituale = la pienezza della sua libera realtà spirituale

…………………………………………………………………………………………………………………………………….

Fondamento biblico: i moniti del NT sulla vigilanza, l’esortazione a usare con saggezza il tempo, a cogliere i kairoikairoi del Regno (Mc 13,33-37; Mt 25,13)

genere apocalittico genere apocalittico (minaccioso) = rimarca l’importanza unica della situazione salvifica di ciascuno, nella quale si è interpellati

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Due questioni toccano questo aspetto della morte come fine dello stato di pellegrinaggio:

1) Possibilità di ritorno dall’aldilà?

Il caso di pazienti clinicamente morti che una vol-ta rianimati raccontano le proprie esperienze di “soglia” tra la morte e il ritorno in vita. Li consideriamo testimoni dell’aldilà?

2) La trasmigrazione delle anime, la reincarna-zione. Quale rapporto tra questa teoria e l’escatologia cristiana?

Seguire: Nocke alle pagine 104-108

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Il cristianesimo non è compatibile con l’idea della reincarnazione:

relativizza il valore (di termine) della morteè contraria alla visione biblica del tempo e della

storia, che pone l’accento sulla unicità e irripetibilità dell’agire di Dio nella storia

è contraria alla concezione dell’unità antro-pologica: “corpore et anima unus” (GS 14) interamente ordinato alla vita immortale/risorta

queste teorie postulano un’idea di autoreden-zione e autocompimento che contraddice il primato della grazia di Dio (Ef 2,8-9); però dice

la necessità-possibilità di una purificazione

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La morte come salario del peccato (Rm 6,23)

“come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte,

così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”

(Rm 5,12)

- Idea classica: l’uomo paradisiaco godeva del dono preternaturale della immortalità

- Non confondere il dato teologico con l’insegna-mento scientifico: non significa che se l’uomo non avesse peccato avrebbe condotto una vita indefinita sulla terra

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obiezioni ad una vita terrena “in-definita”:

se i primi uomini e i loro discendenti fossero stati senza morte terrena sarebbero rimaste ben poche possibilità di vita per i loro discen-denti (dove li collochiamo?!)

psicologicamente, poi, sarebbe desiderabile una esistenza “terrena” senza fine? Lo scar-to tra il desiderare infinito desiderare infinito e i suoi compimenti…

come potrebbero avere tutto il loro valore i singoli momenti della vita nella prospettiva di una vita che non finisce?

in definitiva: la morte naturale è parte dell’uomo indipendentemente dal peccato

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l’interpretazione tradizionale: senza il peccato la morte corporale o biologica

semplicemente non sarebbe esistitaqualora si fosse effettuato nella innocenza il

transito alla definitività avrebbe comportato non la separazione del corpo dall’anima, e cioè il decesso (la morte-rottura), ma la trasposizione nella gloria di tutto l’uomo, anima e corpo (la morte-trasformazione) senza divisioni

la morte sarebbe stata vissuta e prospettata quale evento gioioso e desiderato, anziché, come accade all’uomo segnato dal PO, quale fatto angoscioso e temuto

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L’uomo paradisiaco avrebbe potuto sperimentare la morte nella gioia, come un atto estremo di fiduciosa autoeffusione, come una consegna amorosa di sé a Dio, la nascita ad una nuova vita beatificante

La tradizione cristiana ritiene che ciò sia accaduto nella dormitio della Vergine Maria che non aveva conosciuto peccato e passò in Dio attraverso la morte

Anche 1Cor 15,51: quanti saranno ancora in vita alla Parusia del Signore conosceranno una trasformazione radicale.

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Dimenticare il reale influsso che il PO ha sulla percezione umana del morire tende a trascurare e a mistificare la figura del male insita nella morte: essa è e resta un male

Con l’influsso del PO non si vuol intendere che il peccato abbia prodotto “qualcosa di nuovo” all’interno dell’esperienza umana

più limitatamente, ma molto concretamente, esso ha condizionato il modomodo di percepire e di vivere l’esperienza umana (anche il morire)

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Il PO non produce la morte, ma il modo tragico di viverla.

Non introduce un novum nella vita, bensì una percezione nuova di essa:

una percezione distorta e difforme rispetto all’intenzione originaria e benevola di Dio. Appunto, peccaminosa.

questo è il senso più preciso del dogma di TN che afferma come conseguenza del PO: in deterius commutatum.

L’uomo non si trova a vivere in condizioni storiche differenti rispetto agli inizi, ma la sua condizione esistenziale è mutata, in peggio.

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Il “cambiamento in peggio” circa il morire:

il PO è autosoteria, assenza di affidamento, che conduce a percepire questa morte in modo autoreferenziale, nell’isolamento, non come il compimento di sé ma come l’annichilimento di sé:

il veleno del peccato inietta l’aspetto terrificante della morte, l’assurdità di essa: come fallimento dei tentativi estremi di autosalvezza e perdita definitiva di sé stessi.

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Qui la posizione della teologia moderna: la morte non si comprende come mero dato

biologico, ma è determinato dall’esperienza della libertà

La relazione è col PO: con quella radice di peccato che sta a monte del peccato personale

Il PO non ha dato origine al finire dell’uomo, ma ne ha determinato la connotazione drammatica ed angosciante.

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La morte come azioneil memento mori: il mortificarsi a partire dalla

considerazione della propria creaturalità non solo subita dall’esterno, va vissuta con un

protagonismo attivo (l’ars moriendi):• nel MEvo essa si presentava nelle danze maca-

bre e nella visione dei cadaveri (teschi) che face-va pensare alla morte: veniva descritta l’accetta-zione del dissolvimento (“sei polvere… ritorna polvere”)

Per questo tema si può leggere E. da Rotterdam, La preparazione alla morte; A.M. de Liguori, apparecchio alla morte

E i riferimenti nella Liturgia: “per ottenere la gra-zia di una buona morte”; particolare cura dei moribondi (accumulo di sacramenti x passaggio)

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Conferma del dato biblicoConferma del dato biblico

Gesù è attivo nella sua morte: Un doppio dramma:Le consegne umane e le consegne divine

(Balthasar)

Consegna del potere religiosoConsegna del potere politicoConsegna/tradimento degli affetti

Consegna di Gesù dal Padre agli uominiConsegna di Gesù nelle mani del PadreConsegna di Gesù morente dello Spirito

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Gesù passa al Padre: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1)

offre e non subisce: “Nessuno mi toglie la vita, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla” (Gv 10,18)

Bonaventura: Gesù è morto più per quello che ha compatito che per quello che ha patito

porta a compimento: “E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò” (Gv 19,30)

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La dialettica del subire e dell’agireLa dialettica del subire e dell’agireAutori contemporanei = K. Rahner:

La m. non solo come assalto dall’esterno, distruzione, interruzione del filo della vita,

disgrazia, evento in cui l’uomo viene totalmente privato delle sue potenzialità, ma anche come

compimento attivo dall’interno, come un attivo condurre se stesso a compimento,

proprio mentre viene comprovato il risultato della vita, e come un totale prendere

possesso di sé della persona, è un aver realizzato se stessi ed è pienezza della

realtà personale attuata liberamente

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AMBIVALENZA:

una dialettica di attività e di passività: un prendere posizione, un decidersi (attività),

ma di fronte a un dato esterno (estraneo) alla libertà, che sta lì a limitarla e in questo senso le si impone (passività)

L’essere dis-posti (alla morte) è uno scacco alla struttura trascendente (andare avanti/oltre) dell’uomo e la morte è il momento supremo in cui ogni esistenza è “disposta”

Il “dato” (in-posto) per eccellenza è la morte così che la libertà è un prendere posizione di fronte alla propria morte. In questo senso la morte è il fine (= “compimento”) dell’esistenza.

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L’oggetto più proprio della libertà è precisamente l’accettazione o il rifiuto di questo venir-venir-

dispostadisposta, vale a dire della creaturalità finitacreaturalità finita (K. Rahner)

È vero che la libertà può porre atti definitivi per contribuire a fissare la propria identità in rapporto a Dio (posso decidere comecome ma non se morire o se morire o menomeno)

La libertà finita è chiamata a disporre di sé proprio nei riguardi/attraverso ciò che del suo “essere disposta” è la massima espressio-ne: la morte (indipendentemente dal momento puntuale del finire biologico)

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NB: La morte non è lo scopo da raggiungere visto che è sempre anche la fine che inter-rompe e, di fatto, l’uomo scientemente pecca-tore muore incompiuto (è “la fine” delle sue possibilità di redenzione)

La morte è la meta che “conclude e rende definitivo”

perciò non è solo ciò verso cui si va, ma ciò in relazione a cui si vive.

Per Gesù la passività della morte (“patita”) di-venta la massima espressione della sua attivi-tà filiale e salvifica: proprio nella morte prende posizione definitiva di fronte alla sua umanità che si riferisce al Padre e alla sua volontà.

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La morte può, dunque, essere vissuta:• passivamente: come subita/im-posta• attivamente: affidandosi al Fondamento, al

Mistero che assume contorni personali (per Gesù è il Padre)

dies natalis = è percepirsi come generati/ chiamati:

“Colui che chiama all’esistenza, chiama alla pienezza dell’esistenza”

vissuta in questa prospettiva, la morte è percepita come “dovuta”, una restituzione dovuta a chi ti ha posto nell’esistenza:

nel morire ci restituiamo a Colui al quale apparteniamo.

Page 67: Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

La tesi della decisione finaleLa tesi della decisione finaleL. Boros (discepolo di K. Rahner)Alla fine della vita l’uomo compie il suo primo

atto pienamente personale (?)La morte è separazione di corpo/anima = una

situazione liminale:

l’ultimo istante dello stato di unione

e insieme il primo di quello di separazione

L’istante della morte coincide con una decisione ultima, non più rivedibile, che riassume la sua intera esistenza e anche la propria posizione pro o contro Dio:

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l’uomo si trova immediatamente davanti a Cristo e liberato dalla corporeità che ostacola gli atti del suo spirito (?)

Solo ora egli è in grado di prendere la decisione della vita: decidersi senza riserve per la fede

Vantaggio: la morte non è solo subita, ma è un atto realmente umano in cui il soggetto prende posizione

Ma il “morire” (la “prolexitas mortis” che si scontra col “pro-gettarsi”) è di più della decisività di un istante!

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Critiche alla teoria di L. Boros:Questa ipotesi non ha fondamento biblicoNon si può basare su alcuna esperienza

verificabileSi basa sul modello antropologico della separa-

zione dell’anima dal corpo (oggi problematizzato: tutto l’uomo muore!)

Comporta sul piano etico-esistentivo di svalutare tutte le decisioni prima della morte in favore di questa decisione finale nella morte e togliere serietà alla parabola storica della vita

Contraddice l’insegnamento della Chiesa sul carattere irrevocabile della morte come sigillo definitivo della nostra vicenda credente-etica

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Già TommasoTommaso da Vio da Vio (cardinal Caietano commenta-tore di Tommaso), giustificava la morte quale mo-mento definitivo, di svolta della vita dell’uomo:

• l’istante della morte è privo di durata temporale

• l’anima può decidersi pro-contro Dio

• e tale decisione è definitiva.

KleeKlee ha riesumato la teologia di Caietano:

• circa i bambini morti senza battesimo

• l’intenzionalità sottostante è che tutti siano posti nella condizione libera di decidere

• anche loro sono posti nella possibilità di decidersi pro/contro Dio.

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Conclusione:

Nella teologia recente, ciò che è rimasto, è

la visione della morte non come totale passività

ma, sul modello di Cristo, come obbedienza del credente

in questa prospettiva, la consegna della fede (= conversione che implica il “mortificarsi”, il far morire le opere della carne, dell’uomo vecchio) sarebbe una autentica preparazione in senso cristiano al morire/morte.

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La morte come mistero pasquale

La morte di Cristo non ha tolto la necessità di morire e il carattere esistenziale (segnato dal PO) che le è proprio

non si propone una visione addolcita della morte: in sé non è diventata buona (cf la morte di alcuni santi fu tragica e dolorosa e in ciò hanno solidarizzato con il comune destino dei figli di Adamo – anche il caso misterioso della “morte dolorosa in senso vicario”)

Gesù non ha stravolto l’ordine storico, ma dall’interno dell’esperienza del male ne ha attuato la sconfitta

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Con Gesù che muore la morte cambia radical-mente di significato in virtù di Cristo che ne ha fatto l’atto supremo della propria esistenza terrena

“Cristo ha cambiato l’Occidente in Oriente” (Clemente Alessandrino)

- I moribondi cristiani (e poi le loro salme) venivano rivolti verso Oriente.

la morte cessa di essere il segno della poten-za di Satana sul mondo (morte-salario in connessione al PO) per divenire via di accesso alla vita eterna con Dio (morte-transito)

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1Cor 15, 54-55:

La morte è stata ingoiata per la vittoria.

Dov’è, o morte, la tua vittoria?

Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?

Obiezione:

dov’è la vittoria se anche i credenti muoiono?vittoria non è eliminazione della morte ma la

sua trasformazioneCristo nuovo Adamo (capostipite) è “morto per i

peccatori” (Rm 5,6): ha preso su di sépreso su di sé la morte di tutti e l’ha cambiata di segnol’ha cambiata di segno: da espressione di peccato a quella di dedizione assoluta a Dio

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In questo senso si parla di “morte al peccato” (Rm 6,10): è distrutto quel tipo di morte che sperimenta il peccatore

L’aspetto di inimicizia derivante dal peccato (1Cor 16,56 = “il pungiglione della morte è il peccato”) non sta nella morte in sé ma in un tipo di esperienza della morte

• “Sorella nostra morte corporale” (S. Francesco)

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«Il morire con Cristo» (Rm 6,3-4)

«Ormai il cristiano può vivere la morte!»

(E. Bianchi)

“Beati i morti che muoiono nel Signore” (Ap 14,13)

Gesù capostipite del corpo partecipa questaquesta sua morte (affidata alla cura del Padre) a tutti coloro che muoiono in lui, facendoli partecipare anche alla sua risurrezione (Rm 6,5)

Partecipazione che avviene nel battesimo (cf Rm 6) ma in modo dialettico (“già e non ancora” dell’eschaton)

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Ambivalenza:

a) per coloro che muoiono in Cristo la morte non è veramente morte:

- Non separa da Dio (Rm 8,38-39)- Diventa qualcosa di desiderabile (2Cor 5,8; Fil 1,21-

23)

Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da

una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio;

d’altra parte, è più necessario per voi

che io rimanga nella carne (Fil 1,21-23)

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Ignazio di Antiochia

(lettera ai cristiani di Roma - in vista del martirio):

Permettetemi di diventare pastura delle bestie; è infatti per loro che mi sarà concesso di arrivare

a Dio. Io sono il frumento di Dio, e sono macinato dai denti delle bestie per diventare il

pane immacolato di Cristo. Accarezzatele piuttosto, affinché siano la mia tomba e non

lascino sussistere nulla del mio corpo (!)

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b) per coloro che muoiono fuori di Cristo: la morte non solo resta quello che era prima di Cristo, ma diventa addirittura condanna

che la Ap 20,6 chiama “la morte seconda”, cioè definitiva = morte-morte e non morte-passaggio

senza alcuna pasqua e speranza di risurrezione

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Ognuno è chiamato a passare (‘pasqua’) attraverso questo dramma estremo, questa ultima prova da parte del male – l’estremo tentativo del diabolos di separarci da Dio – uscendone vincitori con Cristo.

Per il cristiano il morire con Cristo significa vivere la medesima esperienza pasquale

la morte può essere affrontata e vinta: con e come Gesù Cristo:

«dall’evento della croce in poi la morte ha cambiato il suo significato perché ormai si compie e si attua con il Cristo in una comunione che non può essere mai spezzata ... l’amore più grande della morte, più forte della morte e degli inferi (Ct 8,6) può farci gridare che nessuno ormai ci separerà dall’amore di Cristo» (E. Bianchi, Vivere la morte, 61).

Page 81: Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

«Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita…potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rom 8,37-39).

C’è un solo cristiano di cui il NT racconta la morte: Stefano; non a caso Stefano muore come Gesù. Per questo il credente cerca di vivere la morte: come Gesù (l’ideale della predestinazione = cristoformità)

Morire nel Signore è il dies natalis: giorno della nascita a una nuova forma di vita, non più insidiata dalla morte; conformazione al corpo glorioso di Cristo

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La morte è “letto nuziale” (liturgie orientali): le nozze escatologiche dell’Agnello

Ciò permette di comprendere perché l’AT mantiene l’affermazione di una dimensione “naturale” della morte, un’esperienza “pacifica”: però per i Patriarchi che muoiono sazi di giorni, per i giusti che muoiono nel Signore (libri sapienziali)

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«La morte del corpo conserverà per noi gli stessi caratteri che comportò per Cristo: conosceremo

la medesima angoscia, la medesima paura, il medesimo terrore di sprofondare

nell’annichilimento dell’essere. Tuttavia, dopo la croce, la morte ha cambiato senso, perché la

viviamo con il Cristo: questa comunione con Lui e per mezzo di Lui con Dio di cui già in questo mondo abbiamo esperienza, non può essere

soppressa da quell’atto supremo di amore che ci farà morire nel Signore»

(P. Grelot, Dalla morte alla vita, 80)

Page 84: Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

La morte come consegna/offerta di séLa morte come consegna/offerta di séIl “morire con Cristo” (Rm 6,3-4) è uno svolgi-

mento attivo della vita terrena che compren-de anche il morire ultimo, alla fine dell’esistenza terrena:

Paolo porta sempre e ovunque la morte di Cristo nel suo corpo (2Cor 4,10-12)

Come vivere la morte in questa vita? E da qui cercare un’interpretazione della morte alla fine

Il morire lungo tutta la vita può consistere in una vita di dedizione a Dio e proesistenza per gli uomini (il morire a sé stessi: alla philautia = amore disordinato di un “io falso”)

testimonianze:

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«Certo l’Eucaristia è, secondo l’espressione, tante volte citata, del martire Ignazio di Antiochia ‘farmaco di

immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo eternamente’ (Ad Ef. XX,2); ma altrettanto la Chiesa e il cristiano devono sapere che a un tempo l’Eucaristia uccide chi vi partecipa. Essa dà la vita, ma attraverso la morte; essa è farmaco di immortalità, non evitando la morte, ma aiutandoci a morire d’amore per

eternizzarci in una vita d’amore. E ancora Ignazio insegna che nell’Eucaristia vi è ‘un solo calice per l’unità del suo sangue’ (Filadelfiesi IV,1); col che viene a dire non solo l’unità dei fratelli dispersi che essa raduna in

santa sinassi, ma attraverso che cosa e come li raduna, cioè facendoli capaci di versare il loro sangue nell’unico

calice del sangue di Cristo.

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E questo nostro sangue [...] unito al sangue di Cristo è la nostra adorazione pura al Dio vivente e insieme la nostra offerta migliore non solo per la nostra salvezza, ma per la vita del mondo».

(G. Dossetti, La Parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, [a cura della Piccola Famiglia

dell’Annunziata] Dehoniane, Bologna 1997, p. 185).

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Il vescovo di Orano (Algeria), mons. Pierre Claverie, dopo il mas-sacro dei sette monaci trappisti di Nôtre-Dame de l’Atlas, e 40 giorni prima di essere a sua volta assassinato, a quanti gli domandavano perché lui e molti altri cristiani aves-sero deciso di rimanere nella tormentata terra d’Algeria, dichiarava nell’omelia tenuta il 23 giugno 1996 a Prouilhe (Francia):

«Siamo là a causa di questo Messia crocifisso. A causa di nient’altro e di nessun altro [...]. Non

abbiamo alcun potere: restiamo in Algeria come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, rinfres-candogli

la fronte [...]. Come Maria, come Gio-vanni stiamo là, ai piedi della croce su cui Gesù muore,

abbandonato dai suoi, schernito dalla folla.

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Non è forse essenziale per un cristiano essere là, nei luoghi di sofferenza, di abbandono? [...] Per quanto possa sembrare paradossale, la forza,

la vitalità, la speranza, la fecondità della Chiesa proviene da lì [...]. Tutto il resto è solo fumo negli occhi, illusione mondana. La Chiesa

inganna se stessa e il mondo quando si pone come potenza in mezzo alle altre, come

un’organizzazione, seppur umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare. Può brillare, ma non bruciare dell’amore di Dio,

‘forte come la morte’ (cfr. Ct 8,6)».

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La morte alla fine dell’esistenza terrena è la possibilità della definitiva consegna a Dio e il compimento ultimo della fede/amore

vissuti durante la vita

“la libertà che si lascia strutturare nella logica della fede”

“La morte come l’autoconsegnarsi a un Tu, l’ultima radicalizzazione di una offerta di sé attuata durante tutta la vita” (Nocke).

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Una definizione insufficiente di morte:

La morte come “separazione dell’anima dal corpo”

come dissoluzione del corpo

• però

a) nella prospettiva cristiana tale separazione è solo momentanea, poiché il corpo è creazione di Dio e parteciperà della trasformazione corporea

b) nel platonismo il corpo era visto come un carcere, nel cristianesimo è creato ed anche se è fragile non è da abbandonare

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Schema tradizionale: il corpo si decompone dopo la mortementre l’anima dei giusti è introdotta alla

visione di Dioper ricongiungersi alla fine dei tempi

per conciliare tre esigenze: il ritorno alla polvere dell’uomo (Gn 3,19) già ora i defunti sono con Cristo (Paolo) nella risurrezione finale il soggetto risuscitato

sarà identico all’uomo che è vissuto sulla terra (1Cor 15)

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NB: Serviva per dire che se l’anima non ha più un corpo è l’uomo che non ha più una storia, non può più fare niente, non può più cambiare in ordine al suo destino ultimo

ProblemiProblemi:non dice nulla dell’originalità della morte umana

che invece concerne tutto a titolo di persona spirituale e corporea (vedi riformati: Barth)

pensa alla morte come interruzione della vita ma non come possibilità immanente a tutta l’esperienza umana e come approdo alla libertà

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Per la Bibbia l’anima non è una parte dell’uomo a fianco del corpo, ma il principio vitale considerato nella sua unità e totalità, il suo “io”, il centro della sua persona

perciò la morte, è morte di tutto l’uomo, non solo del corpo: è l’estrema esperienza di inconsistenza, è “l’essere dominati” e rimanda alla condizione creaturale

• secondo K. Rahner, l’anima dopo la morte conosce una prossimità più grande con l’unità di questo mondo di cui il corpo non è che una parte (non diventa a-cosmica, ma pancosmica !?)

Page 94: Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

passare per la morte è la condizione necessaria per entrare nel compimento

punto di sutura tra antropologia e escatologia

Page 95: Antropologia Capitolo X La morte: dramma totale o dramma pasquale?

passaggio all’Escatologia