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Capitali di conoscenzaAlla ricerca delle “città illuminate”che hanno saputo disegnare il loro futuro

L’economia in cuiviviamo sta attraver-sano una rivoluzionecopernicana. Laconvergenza di tec-nologie e in partico-lare dell’enorme au -men to della capacità

di calcolo e di comunicazione, con una cul-tura d’impresa sempre più articolata el’esplosione di creatività prodotta dalla sem-pre più libera circolazione di idee e personeha innescato un nuovo Rina sci mento cheridisegna la geografia di tutto il Pianeta.Questo nuovo mondo può apparire comeuna vasta pianura per la facilità di comunica-re o spostarsi tra i centri di eccellenza e legrandi metropoli, i nodi della rete globale,ma non è affatto piatto come proposto dal-l’economista Thomas L. Fried man. Allar gan -

do la visuale ci accorgiamo che il Pianeta èfatto di picchi di creatività e di innovazione,spesso altissimi in corrispondenza di regionicome la Silicon Valley, culla del digitale, ol’area di Copenhagen e Malmo, ai primiposti nel mondo per la biomedicina e la qua-lità della vita, e non trascura i Paesi in via disviluppo come dimostra la fortissima crescitadi Bangalore, ma anche di valli il cui divariodalla sommità dei picchi di eccellenza è spes-so in aumento. Non è quindi un caso se neltratteggiare questa nuova geografia dello svi-luppo si parla di città o al massimo di regio-ni, piuttosto che di Paesi. Una caratteristicaimportante di questo nuovo Rina sci men tobasato sull’innovazione sono le sue dinami-che, simili a quelle di un fiume carsico chepuò scorrere per lunghissimi tratti sottoterra,affiorando solo là dove il terreno glielo per-mette. È in questi luoghi molto speciali che

Guido Romeo, 35 anni, giornalista, scrive di scienza e tecnologia. Laureato all’Uni ver sità di Bologna,è diplomato presso la Scuola superiore di giornalismo di Lille, in Francia, e per la CommissioneEuropea ha coordinato il progetto “Geod - Genetics in Europe open days” nel quadro della settima-na europea della scienza 2000. Nel 2004 è stato Armenise-Harvard science-writer fellow presso laHarvard School of Medicine a Boston.

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si collocano le città illuminate verso le qualiè partito l’8 marzo il viaggio di Nòva24 conla tavola rotonda di Trento, una città che si èdimostrata capace di attirare centri dell’Ocsee della Microsoft entrando a pieno titolonella rete globale della conoscenza pur man-tenendo salde radici nel territorio. Oltre araccogliere e raccontare le idee che emerge-ranno nel corso di questo cammino, Nòva24si è posto l’obbiettivo di elaborare una matri-ce di indicatori per misurare quei processi disviluppo culturale di respiro troppo ampioper dare risultati visibili o per venire efficace-mente misurati nella finestra quinquennalenella quale tradizionalmente si muove lapolitica. Un terzo compito che ci siamo dati

è la raccolta di idee per costruire una piatta-forma cittadina e intracittadina che permettadi pianificare il futuro attraverso quello chepotrebbe diventare un piano regolatore diuno sviluppo culturale in grado di mettere inrelazioni le città illuminate che via via andre-mo scoprendo. Le città sono le tappe delnostro viaggio perché, spesso ridotte a dor-mitori durante l’era industriale o passate insecondo piano nella struttura diffusa dellarete che ha caratterizzato l’era digitale, oggihanno recuperato importanza sia nella lorodimensione naturale che come luoghi diattrazione del capitale umano, i cervelli chesi stanno dimostrando la forza motrice piùpotente della nuova era creativa.

L’esplosione di dinamismo e potenzia-lità prodotte dalla globalizzazione edalle nuove tecnologie ha però

introdotto anche uno spostamento di para-digma epocale. Lo spazio non è più unagrandezza stabile, ma comprimibile a piaceregrazie alle tecnologie e il tempo non è piùdifferito, ma immediato. Ciò che ne derivasono tre grandi cambiamenti che investono imodelli economici, l’approccio alla produ-zione e le capacità richieste ai lavoratori. Sitratta di tre cambiamenti storici ai quali cor-rispondono altrettante discontinuità delsistema economico come lo conosciamo. “Laprima riguarda il modello di sviluppo tradi-zionale - spiega Ezio Andreta, direttoredell’Agenzia per la ricerca europea, che hacontribuito a sviluppare molti dei program-mi quadro della Commissione Europea -perché quello tradizionale basato su risorsenaturali, lavoro e capitali, organizzati inmaniera lineare, scricchiola, ormai giunto alcapolinea”. Le difficoltà di questo modello,altamente inefficiente nel suo utilizzo inten-

sivo di risorse e persone, appesantito da mol-tissime esternalità negative, sono sempre piùevidenti nel confronto tra le imprese occi-dentali e quelle asiatiche, fortemente compe-titive per i bassi costi. “Si tratta di un model-lo in declino perché fa fatica ad alzare il valo-re di ciò che produce - spiega Andreta -. Ciòche si fa strada è invece un modello ‘light’,basato sulla conoscenza e quindi con pochiinvestimenti materiali. I capannoni industria-li che abbiamo visto sorgere nell’ultimosecolo vengono sostituiti da ricercatori, cioè‘cervelli’ in una o più stanze distanti tra loroanche migliaia di chilometri. E il valore delprodotto è sempre più spesso svincolato daun oggetto fisico, perché diventa immateria-le, virtuale, in quanto basato sull’informazio-ne”. Il primo attacco al modello industrialesviluppatosi nel secolo scorso è arrivato dalladiffusione delle tecnologie dell’informazionee delle biotecnologie che hanno agito dacatalizzatori accelerando la transizione versouna produzione sempre più intensiva sulfronte delle conoscenze e del capitale, sem-

Un cambiamento di paradigma con tre discontinuità

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pre meno per quanto riguarda lavoro e risor-se naturali. Nei prossimi anni questa transi-zione continuerà sotto la spinta delle scienzedei materiali e delle nanotecnologie cheaumenteranno ancor più l’intelligenza dimateriali e prodotti. Dalle plastiche per lelenti che indosseremo, ai farmaci sempre piùmirati ed efficaci che ci cureranno, la dimen-sione nanotecnologica è destinata a invaderee spesso rivuluzionare il nostro mondo. Iltriplice paradigma “risorse-lavoro-capitale”viene perciò rapidamente sostituito dal bino-mio “conoscenza-capitale” innescando unacascata di conseguenze. “La seconda discon-tinuità, che in un certo senso è anche unasfida - continua Andreta - è l’abbandono delmodello lineare e taylorista, storicamentecaratterizzato da un approccio ‘top-down’ afavore di un modello più complesso, artico-lato e simultaneo perché ‘bottom-up’”.L’impatto di questo cambiamento radicalerischia di essere devastante per chi non saràin grado di adattarsi, ma apre nuove possibi-lità per l’industria dell’hi-tech e richiede unariorganizzazione delle capacità e delle com-petenze della forza lavoro. L’esempio piùevidente del ribaltamento dei modelli econo-mici riguarda l’automobile, con la sua catenadi montaggio, espressione di un sistemaobbligatoriamente lineare che richiede gran-di investimenti di tempo e risorse ed è forte-mente legato a un luogo fisico. Ai suoi anti-podi ci sono le reti di ricerca e sviluppo perla produzione di software, ma anche di far-maci e nuovi servizi, che permettono unaforte delocalizzazione sia nello spazio chenel tempo. L’industria della conoscenza, dicui la Microsoft di Bill Gates è uno degliesempi migliori, ridisegna continuamente lageometria del proprio sistema produttivochiudendo centri di ricerca e sviluppo inCalifornia per aprirli a Bangalore o, come èavvenuto per il centro tecnologico ITC-irst aTrento. Il risultato è un vastissimo laborato-rio virtuale la cui risorsa principale, i cervelli,sono formati a spese degli altri attori delsistema economico, come le Università, econ una geometria che può evolvere rapida-mente per adattarsi alle esigenze del mercato

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e della ricerca. Per l’industria il vantaggio diquesta struttura è evidente per la sua flessibi-lità ed efficienza e per i costi assai più bassirispettto al modello di un centro di ricercatradizionale perché è modificabile con inve-stimenti molto contenuti. La terza disconti-nuità è rappresentata dalle nuove sfide solle-vate da questa transizione verso un approc-cio complesso, simultaneo e bottom-upall’innovazione. Quelli che ne sapranno usci-re vincenti sono i ricercatori e i tecnici chedimostreranno di essere in grado di produr-

re conoscenza, di saperla adattare e allo stes-so tempo esercitare uno spirito imprendito-riale. Rispetto all’economia classica i proces-si vengono stravolti perché il prodotto vieneassamblato ogni giorno sfruttando quattroreti globali costituite da conoscenza, tecno-logia, cultura e creatività. La tradizionaleeconomia basata sulla “quantità” lascia così ilposto a un modello basato sulla “qualità”spingendo tutto il sistema produttivo a unatransizione da un sistema basato sul consu-mo delle risorse a uno sviluppo sostenibile.

“Sottoscrivendo il protocollo diKyoto e la dichiarazione di Lisbonal’Europa ha dimostrato di voler

essere in prima linea nella transizione versoquesta nuova economia dei saperi - osservaAndreta - anche se solo il 20% della sua pro-duzione si può oggi considerare ad alto valo-re aggiunto, cioè basato sulla conoscenza.L’Italia è ancora più indietro, con il 93% dellasua produzione ancora legata a prodotti abasso valore aggiunto”. L’idea europea di svi-luppo sostenibile, che costituisce anche la suaprincipale ricchezza culturale ha un significa-to ben preciso ed è basato su tre pilastri prin-cipali: la dignità dell’uomo e la qualità dellavita; la salvaguardia dell’ecosistema e dell’am-biente; la coesione sociale e geografica. Latransizione verso l’era della conoscenza èsostenuta da forze potenti, ma richiederàanche radicali riorganizzazioni delle nostreinfrastrutture. “Al cuore dell’economia dellaconoscenza c’è la creatività che scaturisce dal-l’incontro di diverse discipline - osservaSergio Arzeni, direttore dell’Ocse per l’im-prenditorialità - e la capacità di attirare e rite-nere i talenti è estremamente più importanteche attirare i capitali. Perché oggi sono i capi-tali che seguono i cervelli”. Questo meccani-smo impone di ripensare anche come è strut-turata la conoscenza e come costruirla. In

Italia le Università, che sono i centri principa-li ai quali si chiede di formare ricercatori edinnovatori in grado di dare corpo a questonuovo modello produttivo, sono raddoppiatenegli ultimi 25 anni. “Ma questa moltiplica-zione troppo spesso non è stata accompagna-ta da una moltiplicazione delle eccellenze,quanto piuttosto delle mediocrità”. SecondoArzeni l’importanza di investire immediata-mente e in maniera rigorosa sulla formazionedi nuovi talenti fa fatica a essere colta nonsolo a livello accademico, ma anche politico esi insiste ancora nel mirare ad attrarre capitaliputtosto che talenti. “Le città medio piccolecome Trento, che è riuscita a creare un’uni-versità che non soffre di pendolarismo e cheanzi riesce ad attirare e trattenere ricercatori estudenti dal resto dell’Italia e dall’estero sug-geriscono che forse questa dimensione è lapiù indicata per assicurare continuità agliinvestimenti in ricerca” sottolinea Arzeni. Mal’economia della conoscenza non è fatta solodi ricerca scientifica e tecnologica, tende anzia valorizzare anche risorse tradizionalmenteconsiderate effimere quali l’arte e la cultura.Sempre più spesso queste si stanno rivelandoun valore aggiunto importantissimo per lecittà che vogliono attirare i talenti. Quellagenerazione di creativi, altamente specializza-ti e mobili che Jacques Attali chiama i “nuovi

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nomadi”, sono attirati da luoghi non solodotati di strutture produttive o di ricerca dieccellenza, ma anche in grado di offrire un’al-ta qualità della vita. “I piccoli centri devonoinvestire su questo, anche perché la crescenteinsicurezza delle grandi città allontana molti -osserva Arzeni -. Natu ral men te, anche sulfronte degli investimenti in cultura bisognaadottare criteri rigorosi e focalizzati”. InItalia spesso non si è perseguito questo rigo-re, provocando molta dispersione. NellaPenisola, ad esempio, vi sono quasi 70 con-servatori riconosciuti, men tre in Francia tuttoè concentrato in due grandi centri a Parigi eLione. La cultura va perciò vista come patri-monio da valorizzare e nel quale investire perun ritorno concreto. Gli studi di Pier LuigiSacco, economista della cultura presso loIauv, e di Federica Viganò, ricercatrice dellaFondazione Enrico Mattei mostrano ad

esempio che festival internazionali legati allearti e allo spettacolo come quelli diAvignone, Edimburgo e Salisburgo per citarecasi europei, e Modena e Mantova in Italiahanno svolto un ruolo molto importantenella creazione di un brand cittadino e dirilancio dell’identità dei piccoli centri. Questerealtà sempre più spesso coincidono conquelle 25 città che il Censis ha recentementedefinito “falchi” dello sviluppo che, e nono-stante una popolazione pari al 12,1% di quel-la dei capoluogi regionali che sono le “aqui-le”, si rivelano altrettanto attraenti e compe-titive perché ca rat terizzate da alti livelli di svi-luppo economico, di benessere e di attività

Al cuore dell’economia della conoscenza c’è la creatività

che scaturisce dall’incontro di diverse discipline

e la capacità di attirare e ritenere i talenti è una cosa

estremamente più importante che attirare i capitali.

Perché oggi sono i capitali che seguono i cervelli.

Sergio Arzeni

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culturale. “Le città illuminate sono un ele-mento centrale della politica di sviluppo chemolti si auspicano di vedere in Italia neiprossimi anni - osserva Andrea Granelli,presidente di Kanso e direttore dellaDomus Academy - ma credo si debba entra-re al più presto nella sostanza non solo di

cosa fare, ma soprattutto di come fare a rag-giungere questi obbiettivi”. Non saranno letecnologie a risolvere le sfide che abbiamodi fronte oggi, ma la capacità di trovaresoluzioni condivise con tutta la comunitàcoinvolta. “In questa prospettiva le scienzeumane si stanno rivelando indispensabili -sottolinea Granelli - perché oggi ci trovia-mo spesso a confronto con troppa tecnolo-gia mentre abbiamo bisogno di persone chele diano senso”. Sono cioè sempre piùnecessarie figure in grado di cogliere ladimensione psicologica dell’innovazioone edi organizzare il migliore utilizzo dellenuove competenze che si stanno sviluppan-do. Non si tratta sempre di tecnici o grandiricercatori, ma molto più spesso di visiona-ri come Steve Jobs, il leader che ha creato erilanciato Apple.

“Un altro passaggio fondamentaleriguarda un vero e proprio saltoculturale - aggiunge Granelli -

perché una società veramente innovativadeve accettare la possibilità che alcuni tenta-tivi falliscano perché ne emergano altri dimaggior successo senza provocare lacerazio-ni della coesione sociale”. Il fallimento diun’azienda, considerato un prezioso mo -mento di esperienza e di rafforzamento dellecapacità imprenditoriali oltreoceano e so -prat tutto in ambienti come la Silicon Valley,in Italia è ancora uno stigma sia culturaleche giuridico in Italia che spesso si rivela unfattore limitante. Proprio all’interno dellecomunità si trova perciò uno dei nodi piùdifficili della transizione verso un’economiaad alto valore ag giun to. “Le grandi svoltesono avvenute quan do la competitività èdiventata un’obbiettivo condiviso da tutti -sottolinea Fer ruc cio de Bortoli, direttoredel “Sole 24Ore” e ospite delle tappe delviaggio tra le città illuminate. “Bisogna fare

in modo che l’idea di impresa sia centraleper tutti i cittadini. Non a caso i territori chesono avanzati meglio sono quelli che hannodimostrato di saper integrare meglio questivalori”. Favorire l’innovazione e la transizio-ne culturale verso un’economia della cono-scenza significa perciò creare un ambientericettivo e amichevole nei confronti degliinvestimenti, ma anche tollerante nei con-fronti delle differenze. L’innovazione nondeve apparire cioè contro natura, ma piutto-sto diventa un momento di integrazione trale diverse culture del territorio. “Il nostroPaese si trova oggi di fronte a una grandeoccasione - osserva De Bortoli - perché ilsuo vastissimo patrimonio artistico e monu-mentale diffuso sul territorio rappresenta unhumus unico per sviluppare il settore dellaconservazione e della trasformazione deibeni artistici, che potrebbe diventare estre-manente redditizio se affrontato in manierainnovativa”. Il dedalo di Pmi e di grandidistretti produttivi che costituiscono la stra-

Competitività è anche… libertà di fallire

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grande maggioranza della nostra industriasembra inoltre una struttura produttivaconcepita ad hoc per dare servizi, prodottie marchi che sembrano tagliati su misuraper il singolo consumatore e quindi ad altovalore aggiunto. Sulle specificità italianepunta anche Granelli. “Il patrimonio cultu-rale italiano è unico perché non conservatonei musei, ma per larghissima parte è distri-buito sul territorio e solo il nostro Paese siè dimostrato capace di affiancare il moder-no e l’antico come nel caso dell’autitoriumdella musica disegnato da Renzo Piano aRoma e ricollocato per salvaguardare unadomus romana, anche se spesso non è unastrada facile”. Questa capacità ha attiratoanche l’attenzione del governo di Pechino

durante l’ultima missione in Cina delGoverno Prodi, perché per molte città asia-tiche, in fortissima crescita comincia oggi aporsi lo stesso problema di coesistenza econservazione del patrimonio culturale.Una capacità che secondo Granelli si ritro-va in molti prodotti di successo. “Appledeve la sua forza alla capacità di sviluppareprodotti sia fisici che immateriali, che nellaloro ergonomia e design hanno più a chevedere con Vitruvio e il Rinascimento diquanto pensiamo. In questa prospettiva lecittà illuminate devono essere luoghi in cuiritorna la conoscenza e il progetto. La sfidapiù ampia resta però non avere solo cittàilluminate, ma pensare a un piano regolato-re per la cultura”.

L’esperienza di Trento

Alivello territoriale la ridefinizione delmodello industriale verso una strut-tura a rete ha portato a una contra-

zione del ruolo delle imprese negli investi-menti in ricerca e sviluppo. “In passato lagrande impresa investiva in ricerca al di làdelle sue necessità producendo un patrimo-nio di conoscenze che diventavano un’ester-

nalità positiva, un brodo di cultura per lanascita di nuove imprese innovative” osser-va Gianluca Salvatori, assessore per lo svi-luppo, la ricerca e l’innovazione della Pro -vin cia autonoma di Trento. È stato il casodei laboratori Parc creati dalla Xerox in Cali -for nia che hanno ospitato l’elaborazione digran parte dell’informatica che utilizziamo

1. AMMONTARE DELLA SPESA SOSTENUTA DALLA PROVINCIAAUTONOMA NEL SETTORE DELLA RICERCA - ANNI 2003-2004

(Dati in migliaia di Euro)

Fonte: Servizio Statistica Provincia di Trento* Il dato per le Imprese è riferito ai pagamenti sul capitolo della L.P. 6/99 a carico del Servizio Industria, rilevato dalRendiconto generale rispetto all'anno d'interesse Il dato per l'Università, gli Altri Enti e le No profit invece, è ricavato dal-l'indagine ISTAT sulla spesa pubblica in R&S negli anni 2003/2004

SOGGETTI* ANNO 2003 ANNO 2004

Università degli Studi di Trento 6408 7834Altri Enti di ricerca 51461 65052Enti No profit 863 633Imprese 6579 9093

TOTALE 65311 82612

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ancora oggi, ma anche il percorso dellestart-up nate in Svezia all’ombra del gigantedella telefonia mobile Ericsson. Oggi è per-ciò il territorio che deve farsi carico dellaproduzione di questi beni immateriali. Sepossiamo definire illuminati quei luoghi cheaccettano la sfida e si danno i mezzi perintrodurre conoscenza nelle loro comunità,l’esperienza trentina è sicuramente, in Italia,uno degli esperimenti più riusciti di transi-zione verso l’economia della conoscenza.“La peculiartà del sistema trentino è di esse-re veramente e fortemente ‘glocale’- spiegaLorenzo Dellai, presidente della Provinciatrentina - cioè fortemente autonomista, mainserito in una rete globale che lo collega adHaifa e Seattle, in cui coesistono centriMicrosoft e pompieri volontari, in cui cisono appuntamenti internazionali come ilFestival dell’economia, ma anche le tradizio-

ni delle valli”. Terra di forte emigrazione perbuona parte del secolo scorso, con un con-fine a lungo conteso, il Trentino oggi vantaun Pil procapite di 28.296 euro, superiorenon solo alla media italiana (23.101), maanche a quella europea (25.434) con untasso di disoccupazione del 3,2% control’8,2% italiano e il 7,9% europeo. La piccolacomunità di 460mila persone distribuita su6.200 chilometri quadrati (77 abitanti perKmq contro i 192 della media nazionale)vive ormai per i tre quinti nei centri urbanie gode di una delle scolarizzazioni più alted’Italia (90,7% dei ragazzi trentini tra i 15 ei 19 anni completano il ciclo di scuola supe-riore a fronte del 79,4% degli italiani el’82,9% degli europei). “La gestione direttadel sistema scolastico di base da parte della

Terra di forte emigrazione nel secolo scorso,

oggi il Trentino ha un Pil pro capite superiore non solo

alla media italiana, ma anche a quella europea.

E una disccupazione al 3,2% contro il 7,9% della Ue.( )

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Provincia, spesso considerata un tabù, si èrivelata anche una garanzia di qualità -osserva Dellai - perché oltre le indagini Pisa(Programme for Inter na tional StudentAssessment) dell’Ocse sul livello di istruzio-ne dei 15enni in 40 Paesi di tutto il mondovede i nostri ragazzi in testa”. Quella che 60anni fa era un’economia rurale oggi simuove rapidamente verso gli obbiettivi diLisbona investendo il 2,5% del suo Pil inricerca e sviluppo e ospita più di un migliaiodi ricercatori in 14 centri di ricerca pubblicitra cui il Centro per la ricerca scientifica etecnologica (ITC-irst) e 16 enti pubblici chetra le loro attività hanno anche la ricerca. Aquesti si affiancano strutture non configura-te come centri pubblici, ma con un’impor-tante attività di ricerca come il Celct (Centerfor the evaluation of language and commu-nication technologies), il Create Net (Cen -tre for research and telecommunicationexpe ri mentation for networked communi-ties), il centro di ricerche Microsoft associa-to con l’Uni ver sità di Trento e la Fon da zio -ne GraphiTech. Una vera e propria industriadella ricerca che dà lavoro a oltre 80milapersone, di cui quasi 70mila in centri chevendono un intervento pubblico e che nelquinquennio 1999-2003 è stata sostenutada stanziamenti di quasi 408 mi lio ni di euro

in formazione, ricerca e innovazione. Uninvetsimento in costante screscita che per il2007 si è attestato a 153 milioni. Le tecno-logie legate al mon do digitale hanno assun-to grandissima importanza, ma anche centricome l’Istituto agrario di San Micheleall’Adige (Iasma) stanno producendo risul-tati con forti ricadute per il settore agricolodi qualità con il completamento del sequen-ziamento del genoma della vite e quello delmelo in corso di finalizzazione. Non manca-no gli investimenti in cultura con il Mart diRovereto per l’arte moderna e il Festivaldell’economia lanciato l’anno scorso. Unpanorama che guarda anche all’Eu ro padell’Est come sbocco commerciale e indu-striale e che è riuscito ad attirare nel 2003l’unica sede distaccata all’estero dell’Ocseche ha collocato nel capoluogo il Leed, ilsuo centro per lo sviluppo locale. “Quellotrentino è un cammino che ha radici nelsecondo dopoguerra, quando l’ottenimentodell’autonomia regionale ha stabilito larestituzione, da parte del governo centraledel 90% delle imposte locali” spiegaSalvatori. È allora che per la classe dirigentelocale si pone un duplice problema: da unaparte creare un modello di sviluppo durevo-le e non dipendente dal governo centrale edall’altra formare i decisori del futuro. La

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14 Lo sviluppo del modello trentino èstato possibile grazie a una forte stabi-lità politica che ha permesso di garan-

tire continuità, ma il consenso nella popola-zione ha attraversato alti e bassi. Due fatto-

ri cruciali hanno tuttavia permesso l’avanza-mento dell’idea di uno sviluppo basato sullaconoscenza lanciata negli anni Sessanta. Difronte agli scontri ricorrenti con alcune fascedella popolazione che consideravano gli

soluzione arriva sotto forma della libera uni-versità lanciata nel 1962 con la facoltà disociologia. “Tutto ciò avviene senza un pia -no nazionale, ma con una forte programma-zione locale” spiega Salvatori. Lo scopo ècreare strutture nuove a livello locale spigo-lando tra le norme e l’escamotage è la crea-zione di un istituto trentino di cultura, pre-visto dall’autonomia provinciale che dava alTrentino competenza primaria in materia dicultura locale. Nella nuova struttura si fapassare la costituzione di una vera e propriauniversità, ma sulla forzatura si chiude unocchio anche a livello romano. Dopo 20anni e la nascita di altre facoltà tra cui eco-nomia, legge, scienze naturali e ingegneria,

l’Ate neo entra a far parte del sistema nazio-nale, mantenendo però un regime particola-re che lo lega fortemente al territorio e chepermette alla Provincia di negoziare un pro-gramma e degli obbiettivi. “Il modello èstato elaborato lungo il percorso, anche seinizialmente è partito da quello americanoche ha prodotto la Silicon Valley e i centri diricerca intorno a Harvard a Boston o dellaMcGill a Montreal, in Canada per un fatto-re storico, ma anche per una questione dipersone - osserva Salvatori -. La creazionedell’ITC-irst, ad esempio, ha visto il contri-buto di molti ricercatori italiani provenientidal Mit di Boston come Tommy Poggio,esperto di intelligenza artificiale”.

Dalla coesione alla visione

2. STANZIAMENTI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO PER L’ATTIVITÀ DI RICERCA - ANNI 2000-2004

(Dati in migliaia di Euro)

Fonte: Previsioni finali di competenza del Rendiconto generale per gli esercizi finanziari

Istituto 2000 2001 2002 2003 2004

IASMA 3.274 5.578 7.181 8.540 8.870IstitutoTrentino di Cultura 12.777 19.186 22.600 29.500 28.000UNITN 413 516 516 516 516MTSN 413 284 332 700 820CEA 852 697 811 810 795Finanz. a enti pubblici e privati 5.893 11.305 13.560 15.087 18.923Imprese industrianli e artigiane 4.261 16.191 7.006 8.300 17.350Realizzazione centro prontoterapia medica 1.450Ricerca nel settore dei beni culturali 155 52 72 72Assegnazione temporanea di ricercatori presso le imprese della provincia 129 58 50

TOTALE 28.038 53.887 52.116 63.575 76.796

ingenti investimenti in ricerca una sottrazio-ne ad attivittà con maggiore impatto socialenel breve termine c’è sempre stata unagaranzia di benessere per il territorio cheportava a un bilancio positivo. “Nel suocomplesso - osserva Salvatori - la societàcivile trentina ha sempre accettato il princi-pio che si investisse nel futuro e le sono sem-pre stati garantiti ritorni nel breve periodo,quasi a compensare in qualche modo i pro-getti a lungo termine”. Il secondo fattore,ma non meno importante, è stata la fortissi-ma coesione sociale che deriva dal passatocomune, spesso difficile e dal territoriomon tano, e che ancora oggi pone ilTrentino ai vertici della classifiche degliindici di cooperazione. “Questo è stato unvantaggio enorme nei momenti di crisi -osserva Sal va tori, che per confrontare l’evo-luzione del territorio trentino non guardaalle altre regioni italiane, ma all’estero -. In

altri momenti la forte coesione sociale si èperò rivelata anche un freno all’innovazione.Se si pensa a cosa succede ad altri territorinel mondo dove la ricerca è stata trainantecome in California e dove c’è più accettazio-ne della sconfitta di alcuni perché altri gua-dagnino di più, siamo stati certamente piùcauti e meno esplosivi nel progredire”.L’esperienza trentina è anche un insegna-mento perché mostra che ogni territoriodeve elaborare un modello di sviluppo indi-viduale e il successo è sempre una miscela di

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di futuro da costruire.

Che passa per una nuova fiducia nella scienza

e nella cultura e una dimensione di sicurezza

della vita collettiva. L’obiettivo è anche

sviluppare l’imprenditorialità privata.“ ”

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Una riforma per vincere

Alla sfida della globalizzazione cherichiede un’accellerazione verso lacreazione di nuove imprese, Trento

oggi risponde grazie agli strumenti che si èdata con la legge provinciale del 2005, laquale ha portato a una profonda riformadel sistema della ricerca pubblica cheallontanando l’amministrazione locale dauna gestione diretta degli istituti di ricer-ca, per investirla invece del ruolo di “inte-gratore di sistema” che agisce attraversopolitiche e leve finanziarie. Il provvedi-mento ha anche trasformato le istituzionidi ricerca di proprietà provinciale in fonda-zioni, per dar loro più libertà di manovra

nel rispetto della loro missione. “La corni-ce massima di policy è il Programma di svi-luppo provinciale, all’interno del quale lospazio degli investimenti in ricerca e svi-luppo deve essere condiviso con tutte leparti - spiega Salvatori - ma lo strumentooperativo è il programma pluriennale perla ricerca che ha una funzione specifica ecomplementare sia agli stanziamenti pub-blici nazionali ed europei che privati”.L’edizione 2006-2008, che per la ricercavede uno stanziamento complessivo di uncentinaio di milioni di euro l’anno, gestitidirettamente dall’assessorato all’innova-zione, ha destinato 28 milioni di euro su

elementi diversi, pianificabili e non. Oggi,più che alla Silicon Valley, il modello trenti-no assomiglia soprattutto a quello dei Paesinordeuropei che hanno saputo temperare lacompetizione con garanzie sociali. “La per-cezione nel territorio degli investimenti inricerca e cultura, per difendere i quali fino anon molti anni fa bisognava lottare dura-mente, è oggi molto più positiva - osservaDellai - e questo è il merito di politiche rigo-rose e trasparenti, ma anche di un’idea con-divisa di futuro da costruire. Un’idea chepassa attraverso una nuova fiducia nellascienza e nella cultura, ma soprattutto inuna dimensione di sicurezza della vita collet-tiva”. Per il Trentino, dove la maggior partedei giovani guarda al settore pubblico comesbocco lavorativo, l’obbiettivo per i prossimianni è sviluppare l’imprenditorialità privata.Qui l’industria privata ha ancora dimensionimedie e imprenditori di successo comeMarangoni, attivo nella gomma, e le indu-strie chimiche Zobele, stanno transitandooggi dal settore manifatturiero all’hi-tech.In questo contesto e in assenza di grandicampioni locali la carta fondamentale per ilTrentino si è rivelato il capitale umano e

sociale. “La capacità di produrre innovazio-ne ha un significato ben più ampio e com-plesso della disponibiltà di tecnologie, anchedi altissimo livello - avverte Salvatori - e inquesto senso ciò che fa veramente la diffe-renza tra i sistemi economici e le aziendespesso non sono le competenze disponibili,ma le capacità di trovare nuove soluzioni ecombinare gli elementi disponibili, che nonhanno sempre tutti un alto contenuto tec-nologico”. Una recente analisi sul settoremanifatturiero a livello mondiale, ad esem-pio, ha mostrato che non era il luogo adeterminare il successo, ma come si combi-nano i fattori di produzione. È il caso diAmerican Apparel, l’azienda tessile statuni-tense che si può vantare di produrre i suoicapi a Los Angeles, in assoluta controten-denza al settore che ha visto migrare le sueproduzioni in Asia. La sua competitività ègarantita non tanto dai bassi costi, quantodalla capacità dii rapidi cambi delle linee diproduzione per seguire i gusti dei suoi clien-ti e dalla distribuzione on-line. Il problemaquindi diventa come creare e mantenerequeste capacità orrizzontali indipendente-mente dal luogo.

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tre anni per attirare cervelli attraverso pro-getti esplorativi. In particolare l’attenzio-ne è rivolta ai giovani ricercatori e prevedeanche il lancio di nuove unità di ricercacon un piccolo gruppo di lavoro esternialle strutture già esistenti, ma che trovanoin esse spazi di lavoro. “È un modo perattirare nuovi talenti - osserva Salvatori -ma aiuta anche a immettere sangue nuovomantenendo il dinamismo del sistema eaumentando la sua competitività”. Agliantipodi delle misure per giovani ci sono i“grandi progetti” mirati a espandere ilsistema trentino in aree suscettibiuli dinotevoli sviluppi sia in termini di risultatiscientifici che di ricadute applicative. È lastrada che ha portato a strutture come ilcostituendo centro di bionformatica diMicrosoft, destinato a essere il più impor-tante d’Italia, il Cimec per la ricerca nelleneuroscienze diretto da Alfonso Ca ra maz -za a Rovereto, il centro per la protontera-pia di Povo nato come spin-off del centrodi fisica teorica Ect o i programmi di map-patura genomica della vite e del melo, col-ture importantissime per l’economia dellaregione. La legge provinciale sulla ricercaha introdotto anche nuovi strumenti digovernance. In particolare due comitatiscientifici, uno per la definizione dellestrategie presieduto da Carlo Calandra,presidente dell’Istituto nazionale di fisicadella materia, e uno per la valutazione deiprogrammi e delle performance del siste-ma, sia in termini di outcome che di out-put. “Si tratta di un meccanismo moltoimportante - osserva Salvatori - perché for-nisce un feedback che permette di gradua-re l’intervento finanziario sugli accordi diprogramma”. La riforma del 2005 miraanche a rafforzare i canali di comunicazio-ne con i cittadini attraverso la creazione ditavoli che coinvolgono rappresentanzedella società civile nell’elaborazione deipiani strategici per la ricerca, la promozio-ne di strumenti di accountability come laredazione del bilancio sociale per renderepartecipe l’intera comunità territoriale deirisultati conseguiti.

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La ricerca di Nòva24 sulle “città illumina-te”, partita da Trento, proseguirà inaltre città che sembrano lanciare segnali

di una progettualità consapevolmente orienta-ta al passaggio storico che viviamo: dall’epocaindustriale a quella della conoscenza.

La prima tappa ha portato alla luce temifondamentali come la necessità di concepireprogrammi orientati al lungo termine,capaci di trovare un largo consenso e unaforte coesione nella cittadinanza, nei qualila creazione di centri di eccellenza non

Appendice progettualedi Luca De Biase

Gli indicatori proposti

Alla luce della prima tappa del nostroviaggio alla scoperta delle città illumi-nate e della corposa esperienza trenti-

na, che continuiamo a seguire nella sua evo-luzione, possiamo cercare di abbozzare iprimi elementi di quella matrice di indicatoriche dovrebbe permettere di valutare il pro-gresso di una comunità verso uno sviluppoduraturo e sostenibile dell’economia dellaconoscenza. Non si tratta di postulati, ma diproposte per una riflessione destinata a matu-rare nelle prossime tappe del viaggio diNòva24 con integrazioni dei partecipanti alletavole rotonde, ma soprattutto di quellacomunità più vasta che sono i lettori. 1) Il grado di apertura verso le nuove gene-

razioni, sia in termine di capacità di attrar-re talenti esterni al sistema, che agli inve-stimenti per farli crescere localmente.Indicatori di questo parametro sono l’etàmedia dei ricercatori e sopprattutto deivertici delle strutture, ma anche i salariofferti ai componenti della classe creativache sono il motore dell’economia dellaconoscenza.

2) Gli investimenti e l’accesso alla formazio-ne di base e superiore nel territorio.Ottimi indicatori, come quelli dell’indagi-ne Pisa sono già stati elaborati dall’Ocse.

3) I meccanismi di condivisione degli ob -biettivi di lungo termine tra cittadini edecisori locali. Si tratta forse di uno degli

elementi più difficilmente misurabili, maallo steso tempo di uno dei più importan-ti poiché gli obbiettivi di lungo periodonecessari per mettere a punto nuovimodelli di sviluppo basati sulla conoscenzanecessitano di un consenso sociale forte edi stabilità. Un esempio è il meccanismo ditavoli di consultazioni messi in campo aTrento.

4) La valutazione degli obbiettivi e l’accoun-tability delle parti coinvolte. I mezzi divalutazione della ricerca sono ben cono-sciuti e praticati a livello internazionale edeuropeo, meno sul piano nazionale.Un’attenta applicazione a livello locale -ancora una volta l’esempio di Trento -può fornire un importante strumento digovernance oltre ad aumentare la traspa-renza - e quindi l’accettabilità sociale(punto 3) della spesa in ricerca, formazio-ne e innovazione che non ha tradizional-mente ritorni nel breve periodo.

5) L’impatto ambientale della comunità e larapidità di adozione di tecnologie pulite.Se i nuovi modelli di sviluppo sono basatisul binomio “conoscenza-capitale” il con-sumo di risorse naturali non rinnovabili varidotto al massimo. Come dimostratodagli esempi di Germania e Austria, lepolitiche di incentivazione, sia sotto formadi contributi che di defiscalizzazioni sonocruciali nel progresso su questo punto.

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generi una nuova forma di “cattedrali neldeserto” ma sia pensata anche in funzionedelle conseguenze sulla vita di tutti. Il suc-cesso di un percorso da “città illuminata”nasce da una visione condivisa che arriva araggiungere un consenso generale. Ma perraccontare questo genere di percorso, nonresta che andare a visitare diverse localitàper scoprire in che modo tutto questo sirealizza nel concreto.La ricerca proseguirà, naturalmente, con unametodologia giornalistica relativamente tra-dizionale: per trovare i centri di eccellenza, iprogetti innovativi, le forme di progettazio-ne partecipata della città, i protagonisti delpensiero locale e glocale. Ma sarà rafforzatadal supporto di alcune squadre di esperti peralcuni progetti di approfondimento necessa-ri a contribuire su temi particolarmente com-plessi e importanti. Il team dell’Ocse che alLeed si occupa di sviluppo locale, porterà lasua esperienza per la ricerca delle miglioripratiche nella gestione del territorio e nellosviluppo delle opportunità. Gli esperti chehanno partecipato alla prima tappa del lavo-ro proseguiranno indicando le loro liste dipriorità e producendo studi che verranno divolta in volta pubblicati in questa rivista. Ealtri temi di ricerca saranno sviluppati con lapartecipazione dei blogger e del pubblicoattivo in rete.A Trento, in particolare, è emersa la necessi-tà di approfondire almeno tre temi.1. Come incentivare la visione di lungo ter-

mine in contesti nei quali la competizionetende invece a giocarsi sul breve termine,come la politica e la finanza? Di fronte aquesta difficoltà, è nato un progetto persviluppare una metrica dei risultati dellaleadership locale che sia tale da potergenerare misure con ritmo relativamentebreve anche se le azioni da valutare sonoorientate al lungo termine. L’ipotesi dilavoro, a questo proposito, è che si possasviluppare una visione declinata in unasorta di roadmap, dotata di milestones etappe intermedie, con un indicatore chemostra di quanto, di anno in anno, la cittàsi discosta dalla linea prevista.

2. Come raccontare l’innovazione in modoche i progetti appaiano in un certo modocollegati tra loro e pure mantengano laloro autonomia creativa? Si tratta di pren-dere atto che la comunicazione dell’inno-vazione è parte integrante dell’innovazio-ne stessa, anche a livello di sviluppo loca-le. Le biografie degli innovatori, la qualitàdei progetti, le reazioni delle comunità,vanno tenute insieme da una visione evanno costruite in modo che siano ingrado di dialogare.

3. Come arrivare a pensare una progettazio-ne della città che sia metodologicamenteadatta a favorire la nascita di innovazionee nuova conoscenza. Se è chiaro che lapianificazione centrale in questo sensonon è efficiente, è anche chiaro che il purocaos creativo può generare risultati piùcasuali che prevedibili. Un sistema diincentivi indirizzati a una città pensatacome una piattaforma per generare idee èuna forma concettuale e pratica ancora dasviluppare ma sempre più urgente. Si èparlato di inventare una sorta di “pianoregolatore” della città del futuro, nelquale non si prevede solo la destinazioned’uso delle principali aree spaziali maanche la dinamica funzionale dei nodi edei collegamenti dei quali è costituita larete della piattaforma di connessioni,competizioni e collaborazioni della città.

Insomma, accanto al lavoro giornalisticoorientato a incontrare i protagonisti dellerealità locali “illuminate” e a trarne l’inse-gnamento informativo che un giornale devecercare, si avvieranno alcuni momenti diriflessione forse più astratti, ma utili acostruire una prospettiva profonda di quan-to si va pensando per il futuro della città. Ciauguriamo che il contributo delle “città illu-minate” possa rispondere anche in minimaparte alle necessità di conoscenza e consape-volezza delle città che innovano e di quelleche cercano la via per innovare. Di certo,porterà visionari e innovatori a potersi incon-trare e a scambiarsi esperienze. Da partenostra, racconteremo da buoni cronisti quel-lo che di volta in volta accadrà.