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Veronica AntonelliCosa significa azienda etica? Quali sono gli strumenti disponibili a livello internazionale e nazionale? Un breve percorso sul significato di azienda etica a 360° supportato dall’esempio del marchio Pomì del Consorzio Casalsco del Pomodoro. Antonelli Veronica Corso: Geografia Culturale (Avanzato) Anno Accademico: 2016/2017 Laurea Magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale Pomì: un esempio tutto italiano di azienda etica.

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Veronica   AntonelliCosa   significa   azienda   etica?   Quali   sono   gli   strumenti  disponibili   a   livello   internazionale   e   nazionale?   Un   breve   percorso   sul   significato   di  azienda  etica  a  360°  supportato  dall’esempio  del  marchio  Pomì  del  Consorzio  Casalsco  del  Pomodoro.  

Antonelli  Veronica  Corso:  Geografia  Culturale  (Avanzato)  Anno  Accademico:  2016/2017  Laurea  Magistrale  in  Lingue  Moderne  per  la  Comunicazione  e  la  Cooperazione  Internazionale    

       

Pomì:  un  esempio  tutto  italiano  di  azienda  etica.  

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INDICE CAPITOLO I I.1. Il Significato di Etica Alimentare………………………………………………………..……..5 I.2. Gli Strumenti per le Aziende...………………...…………...………......…...…...…..................7 I.2.1. La Responsabilità Sociale d’Impresa……………………………...………………………....7 I.2.2. La Certificazione SA 8000…………………………………………………………………...8 I.2.3. Il Codice Etico………………………….....…………………………………......…………...9 I.2.4. La Certificazione Social Footprint…………………………………………………………...10 CAPITOLO II II.1.1. Il Consorzio Casalasco del Pomodoro…………………………………………………......12 II.1.2. I Valori del Consorzio…………………………………………………………….......…....13 II.2.1. Il Marchio Pomì………………………………………………………………...………….16 II.2.2. I Valori del Marchio Pomì……………………………………………….................……...17 II.2.3. Le Certificazioni e i Progetti…………………………………………...................………..17 CAPITOLO III III.1. Conclusione e Riflessioni……………………………………….....................……………...22 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA…………………………………………....………………......23                                                      

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CAPITOLO I I.1. Il Significato di Etica Alimentare

Il binomio etica-sicurezza è stato spesso dato per scontato, tuttavia le molteplici emergenze alimentari degli ultimi decenni hanno fatto sì che venisse posta in primo piano la questione della sicurezza alimentare come problema etico. L’etica alimentare e dell’alimentazione, legata alla produzione e al consumo del cibo, nasce quindi da una crescente sensibilità di molti consumatori nei confronti della tutela della qualità del prodotto, del rispetto della salute e dell’impatto sull’ambiente dei propri stili di vita. Come afferma Maria Caporale1:

ripensare all’atto del consumo significa assumerne le implicazioni economiche, sociali e politiche, aprirsi al complesso sistema delle politiche dei consumi che regolano il mercato globale, nella consapevolezza della stretta interdipendenza che corre fra le nostre decisioni e i processi che esse determinano sulla vita di altri uomini.2

È quindi possibile affermare che l’etica alimentare si presenta come un processo articolato, progressivo e permanente che include l’apprendimento del significato culturale dei cibi e dell’alimentazione 3 , il cui obiettivo è il raggiungimento della sostenibilità (o produzione sostenibile), la quale, a sua volta, si traduce nel garantire l’integrità dell’ambiente e della biodiversità. Nell’epoca attuale i processi di produzione degli alimenti ricorrono sempre più spesso a sofisticazioni e standardizzazioni, e il clima di incertezza (dovuto a una mancanza di tracciabilità nella produzione) che ne deriva, porta il consumatore a una condizione di diffidenza nei confronti di ciò che gli viene proposto sugli scaffali. Per questo motivo, recentemente, si sta riproponendo in modo sempre maggiore, il concetto di “naturalità”4 come criterio di scelta all’interno di quelle che sono state definite “pratiche gustative consapevoli”5. Il principale modello di consumo delle società avanzate è caratterizzato da un consumo di cibo che supera la soglia del fabbisogno nutrizionale e da una necessità di sottostare alle regole imposte dall’organizzazione della catena distributiva (grazie a prezzi concorrenziali)6 ; ne deriva una produzione eccessiva di rifiuti nella fase successiva al consumo e un massiccio consumo energetico che contrasta con le necessità di salvaguardia ambientale relative alla riduzione delle emissioni climalteranti, che vanno a sommarsi con quelle derivate dalla produzione del prodotto stesso. Di conseguenza, risulta necessario intensificare i meccanismi di tracciabilità in modo da fornire un’adeguata conoscenza delle quantità di gas emessi nei processi di produzione, trasformazione e manipolazione degli alimenti.                                                                                                                1 Dottore di ricerca in Scienze Bioetico-Giuridiche, è ricercatore confermato in Scienze Bio-giuridiche – Storia della 2 Caporale M., La sicurezza alimentare – Problemi etici e tutele giuridiche, in Neldiritto (rivista telematica di diritto), n.79, http://www.neldiritto.it/appdottrina.asp?id=8717, 16 Novembre 2016 3 Minichini V., Per una bioetica dell’alimentazione, Luciano editore, Napoli, 2010 4 Stando al vocabolario online Treccani, il termine naturalità significa: “qualità, condizione di ciò che è naturale”; tuttavia questo termine viene utilizzato in campo alimentare anche per indicare prodotti che non sottostanno a questa definizione dato che presentano comunque lavorazioni meccaniche/industrializzate e spesso viene usato come sinonimo di “tradizione” 5  Carrara G., Idee per una filosofia dell’alimentazione, XIX Convegno nazionale dei dottorati di ricerca in Filosofia, 17-20 febbraio 2009 6  Caporale M., op. cit.  

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A quanto scritto finora va aggiunto che la localizzazione territoriale in pochi punti vendita ha permesso meccanismi di acquisto sempre più legati all’utilizzo di mezzi di trasporto e, così facendo, la fase di produzione e lavorazione degli alimenti appare sempre più distante e disgiunta da quella del consumo. Per questo motivo

la diversa organizzazione del tempo attuata per ridurre gli impatti negativi sull’ambiente richiede che i processi produttivi siano realizzati riducendo le alterazioni della naturalità delle stagioni avvalendosi di metodi di coltivazione della materia prima agricola in linea con la massimizzazione nell’impiego di fattori interni.7

Il sistema agroalimentare8 ha subito importanti cambiamenti negli ultimi decenni come, ad esempio, l’aumento della distanza fra i siti di produzione e quelli di consumi e lo sviluppo di tecnologie applicate alla produzione e conservazione del cibo; per questo motivo viene sempre più richiesta una politica alimentare basata sulla piena tracciabilità dei percorsi di produzione e sul controllo delle singole fasi della lavorazione della catena produttiva e distributiva (un esempio è stato l’inserimento obbligatorio dell’indicazione dell’origine degli alimenti sull’etichetta9). A livello europeo, la legislazione in materia di sicurezza alimentare ha introdotto rigorosi criteri di valutazione e controllo della produzione e distribuzione dei prodotti alimentari attraverso l’emanazione di numerose direttive10 in tema di tracciabilità ed etichettatura dei beni di consumo, con l’obiettivo di garantire la salute collettiva dei consumatori. In campo internazionale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO11) costituisce una sede di discussione per il dibattito e dialogo sulla questione dell’etica legata all’agricoltura e alla produzione alimentare e nel proprio programma afferma che

Building such a system does not and should not mean merely creating a blueprint - a detailed plan that risks becoming an end in itself. Instead, it must be a participatory process as well as one that evolves over time in response to new scientific data, changes in goals and objectives and new ethical issues raised by FAO and its partners. A more equitable, ethically-based, food and agriculture system must incorporate concern for three widely accepted global goals, each of which incorporate numerous normative propositions: improved well-being, protection of the environment and improved public health.12 [TRADUZIONE] Costruire un simile sistema non significa semplicemente ideare un progetto – che per quanto dettagliato sia potrebbe essere fine a se stesso – ma significa sviluppare un processo che sia allo stesso tempo partecipativo e modificabile nel corso del tempo in risposta alle nuove scoperte scientifiche, ai nuovi obiettivi e ai nuovi problemi in campo etico sollevati dalla FAO e i suoi partner. Un sistema agroalimentare più equo ed etico per essere tale deve essere relativo a tre obiettivi universalmente riconosciuti che a loro volta includono numerose proposte normative: miglioramento del benessere e della salute pubblica e protezione dell’ambiente.

Da qui l’importanza della capacità dei Paesi di adottare politiche nazionali (o internazionali) orientate al controllo e alla valutazione dei percorsi produttivi e distributivi dei beni alimentari,

                                                                                                               7 Caporale M., op. cit. 8 Unica attività manifatturiera che negli ultimi anni da un lato trasforma le materie prime realizzando quote di reddito, dall’altro salvaguarda (o tenta di salvaguardare) l’ambiente e il paesaggio. 9 Legge n.4, 03 Febbraio 2011, “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari” 10 Tra queste figurano: Regolamento CE n. 178/2002 (tracciabilità obbligatoria), Direttiva n. 882/2004 (conformità dei mangimi ai criteri prescritti dalla normativa europea vigente), Regolamento CE n. 853/2004 (requisiti per l’igiene degli alimenti di origine animale), Direttiva n. 89/108 (obbligo di etichettatura e di congelamento dei cibi ad una temperatura inferiore ai 18 gradi) e Regolamento dell’Unione Europea n. 1829 e 1839/2003 (obbligo di tracciabilità ed etichettatura degli alimenti geneticamente modificati). 11 Food and Agricolture Organization of the United Nations 12  FAO,  Ethical  issues  in  food  and  agricolture,  Editorial  Group  FAO  Information  Division,  Roma  2001  

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strategie e piani operativi ispirati, nel caso dell’Italia, a modelli e principi dell’ordinamento europeo e volti alla formazione di produttori e operatori del settore. Fra le scelte politiche in materia di alimentazione e salute assumono grande importanza:

a) l’adeguamento dei settori industriale, agricolo, zootecnico; b) la promozione del prodotto biologico; c) l’utilizzazione della catena corta (evitare trasporti di lunga percorrenza); d) la promozione del prodotto di fattoria, dei prodotti locali tipici, di tradizione; e) l’utilizzazione di latte e derivati provenienti da animali allevati al pascolo brado, la

valorizzazione di razze autoctone non di importazione; f) il contenimento dei costi (questi sono spesso determinati non dalle spese di produzione ma

da logiche di mercato, monopoli e politiche aziendali).

I.2. Gli Strumenti per le Aziende

I.2.1. La Responsabilità Sociale d’Impresa

L'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate.13

Questa la definizione sviluppata dalla Commissione Europea per la CSR (Corporate Social Responsibility), in italiano Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), uno degli strumenti strategici che punta a realizzare una società più competitiva e socialmente coesa e a modernizzare e rafforzare il modello sociale europeo14.

La RSI individua quali devono essere le pratiche e i comportamenti che un’impresa deve adottare su base volontaria, con il fine di ottenere dei risultati che possano portare benefici e vantaggi a se stessa e al contesto in cui essa opera; questo si traduce nell'adozione di una politica aziendale che deve saper conciliare gli obiettivi economici con quelli sociali-ambientali del territorio di riferimento, in un’ottica di sostenibilità futura. A partire dalla RSI sono stati sviluppati negli ultimi anni diversi strumenti operativi attraverso i quali vengono implementate le politiche di responsabilità sociali delle imprese. Tra gli standard più frequentemente impiegati vi sono15:

• Norma ISO 9001, incentrata sulla soddisfazione del cliente; • Norma ISO 14001, relativa alle ricadute dell’attività aziendale sull’ambiente; • Norma BS OHSAS 18001, riferita alla sicurezza dei lavoratori; • ISO 22000, standard che permette di armonizzare gli standard (nazionali e internazionali)

preesistenti in materia di sicurezza alimentare e analisi dei rischi e controllo dei punti critici (HACCP);

                                                                                                               13 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde – Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18/07/2001 14 Portale della responsabilità sociale d’impresa del Sistema Camerale, Cos’è la CSR, http://www.csr.unioncamere.it/P42A0C385S370/Che-cos-e.htm, 16 Novembre 2016 15 Pulina P., Etica e responsabilità sociale delle imprese della grande distribuzione alimentare, Agriregionieuropa anno 6 n. 20, Marzo 2010  

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• Norma BRC, è uno standard globale specifico per la sicurezza dei prodotti agroalimentari. Obiettivo della norma è fare in modo che i fornitori e i rivenditori della Grande Distribuzione Organizzata siano in grado di assicurare la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari proposti ai consumatori;

• GAP, è una risposta a carattere volontario che intende stabilire regole comuni applicabili da qualsiasi fornitore di ortofrutta della Moderna Distribuzione;

• Norma SA 8000, la quale supporta l’adozione di politiche di RSI improntate al rispetto delle principali convenzioni internazionali relative ai diritti umani e alle libertà fondamentali;

• Codice Etico, nel quale sono definite le attribuzioni morali di ciascuna figura che contribuisce all’azione dell’impresa.

Le catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) alimentare sono state tra le prime ad adottare politiche di responsabilità sociale (ormai diffuse anche presso le piccole e medie imprese). I vantaggi che derivano dall’adozione di politiche di RSI possono essere suddivisi in diverse tipologie16:

• consentono un migliore radicamento nel territorio; nel caso dell’impresa distributiva ciò

avviene in particolare per quel che riguarda la condivisione dei valori portanti nei quali si identificano le comunità locali;

• assecondano e supportano il ruolo multifunzionale assegnato dalla collettività al settore agricolo ed alle attività connesse;

• rinsaldano il rapporto di fiducia con i consumatori, incrinatosi a seguito dei recenti scandali alimentari;

• garantiscono un più equo meccanismo di ripartizione dei guadagni tra gli operatori lungo la filiera;

• attivano meccanismi di controllo sulla catena di fornitura; • rafforzano l’immagine dell’impresa, contribuendo a promuovere la fidelizzazione del

cliente.

I.2.2. La Certificazione Etica SA 800017 Si tratta di una norma che non nasce da parametri stabiliti da comitati di esperti nazionali di un settore specifico ma dal CEPAA (Council of Economic Priorities Accreditation Agency), un istituto statunitense fondato nel 1969 per fornire agli investitori e ai consumatori quegli strumenti informativi atti ad analizzare il rendimento e le competenze sociali delle aziende. Ciò che caratterizza questa norma è che essa esige che gli standard dichiarati vengano rispettati non solo dall’impresa che ha deciso di adottarli ma anche dai suoi fornitori. Grazie alla sua flessibilità, è una certificazione praticata in tutto il mondo, soprattutto in Italia dove trova la sua maggiore diffusione e in particolar modo nel sistema alimentare (anche perché viene pretesa da società come COOP e Granarolo per i suoi fornitori).

                                                                                                               16 UNIONCAMERE – Camere di commercio d’Italia, Uso dei marchi collettivi geografici: i problemi pratici e interpretativi, Dicembre 2007 17 SAI – Social Accountability International, SA8000® Standard and Documents, http://www.sa-intl.org/index.cfm?fuseaction=Page.ViewPage&PageID=937, 17 Novembre 2016

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I.2.3. Il Codice Etico Il Codice Etico è un mezzo efficace delle aziende che permette di definire le responsabilità etiche e sociali di ogni partecipante all’organizzazione imprenditoriale 18 e conseguentemente di prevenire comportamenti irresponsabili o illeciti da parte di chi opera in nome o per conto dell’azienda (in particolar modo se si tratta di multinazionali come ad esempio la Barilla). Questa sorta di “Carta Costituzionale” dell’azienda è il principale strumento d’implementazione dell’etica all’interno dell’azienda stessa. La struttura del Codice Etico può variare da impresa ad impresa, ma generalmente viene sviluppata su quattro livelli19: 1. I principi etici generali che raccolgono la missione imprenditoriale ed il modo più corretto

di realizzarla; 2. Le norme etiche per le relazioni dell'impresa con i vari stakeholder (consumatori, fornitori,

dipendenti, etc.); 3. Gli standard etici di comportamento:

– Principio di legittimità morale; – Equità ed eguaglianza; – Tutela della persona; – Diligenza; – Trasparenza; – Onestà; – Riservatezza; – Imparzialità; – Tutela ambientale; – Protezione della salute.

4. Le sanzioni interne per la violazione delle norme del Codice 5. Gli strumenti di attuazione; l'attuazione dei principi contenuti nel Codice Etico è affidata di

solito ad un Comitato Etico al quale è affidato il compito di diffondere la conoscenza e la comprensione del Codice in azienda, monitorare l'effettiva attivazione dei principi contenuti nel documento, ricevere segnalazioni in merito alle violazioni, intraprendere indagini e comminare sanzioni.

In altre parole, attraverso l’inserimento del Codice Etico l’azione dell’azienda è volta a perseguire il proprio business considerando il rispetto dovuto sia a tutti gli esseri viventi sia alle cose inanimate, come fine del proprio agire e non come mezzo per raggiungere il profitto.

                                                                                                               18 Si intendono dirigenti stessi, quadri, dipendenti, e spesso anche fornitori verso i diversi gruppi di stakeholder. 19 Spairani L., La responsabilità sociale ed etica di un’impresa, 23/08/2004, http://www.tdf.it/2004/etica_ita.htm, 17 Novembre 2016

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I.2.4. La Certificazione Social Footprint20 La Certificazione Social Footprint – Product Social Identity (SFP) nasce nel 2014 dalla collaborazione di un Gruppo di Lavoro di cui fanno parte tre dei principali Organismi di Certificazione nazionali ed internazionali (Bureau Veritas, Certiquality e Dnv Gl) e si tratta della prima certificazione che mette in evidenza la tracciabilità del prodotto e i valori etici e ambientali propri e della catena di fornitura. La finalità ultima della certificazione SFP è quella di coinvolgere il consumatore in scelte di acquisto più consapevoli e supportare le Organizzazioni nella comunicazione trasparente al mercato. L’Organizzazione che si certifica, da un lato assume l’impegno di stimolare il miglioramento delle condizioni etico sociali dei diversi anelli della sua filiera di produzione; dall’altro, si impegna a rendere trasparente al consumatore la filiera da cui un prodotto proviene, la localizzazione dei fornitori e degli attori coinvolti nel processo di realizzazione finale del prodotto e le relative informazioni. Così facendo l’Organizzazione può comunicare al mercato quella che viene definita “impronta sociale” di un suo prodotto, contrassegnandolo con un’apposita etichetta e associandovi ulteriori informazioni con altri mezzi (tra cui il web). L’impronta sociale è misurata attraverso l’uso di appositi indicatori21, i quali sono sottoposti al parere del Comitato di Stakeholder dello schema SFP. A seconda del numero, del tipo e del dettaglio degli indicatori, l’etichettatura SFP prevede due livelli:

• Livello base: rappresentato dalla lettera «A» • Livello approfondito: rappresentato dalle lettere «AAA»

Gli aspetti chiave di questa certificazione sono:

• La SFP è una certificazione di Prodotto con durata triennale, decorrente dalla data di emissione del certificato.

• La certificazione prevede lo svolgimento di una verifica di certificazione presso il Cliente (on-site) ed è soggetta a una verifica di mantenimento annuale nei due anni seguenti.

• L’Organizzazione che intende ottenere la certificazione SFP per un proprio prodotto deve univocamente identificare:

1. il prodotto da etichettare con i codici, nomi, marchi, tipo di confezione ecc. con cui esso è immesso sul mercato;

2. la catena di fornitura, con una profondità ed estensione definite dall’Organizzazione in funzione di quanto specificato nelle IPE (Indicatori di Profondità ed Estensione che vengono stabilite dal Social Footprint Group al fine di rendere confrontabile l’impronta sociale di prodotti simili e garantire omogeneità fra le comunicazioni provenienti da Organizzazioni diverse);

3. i siti produttivi coinvolti ed il loro contributo specifico alla realizzazione del prodotto all’interno dei confini della filiera così definita.

                                                                                                               20 Social Footprint – Product Social Identity, http://www.socialfootprint.it/, 18 novembre 2016 21 Gli indicatori sono in totale 44 e tra essi vi sono: fatturato, processo produttivo e di approvvigionamento, numerosità e mappatura del ciclo di produzione, informazione sui dipendenti, informazioni sui lavoratori, impegno dei fornitori della filiera del prodotto rispetto ai principi della SFP, ecc.  

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• L’Organizzazione deve provvedere a monitorare gli indicatori previsti dalla SFP identificati all’interno del Regolamento, sia per quanto riguarda la propria Organizzazione che i propri fornitori.

• La responsabilità per la correttezza delle informazioni fornite al mercato, sia attraverso le etichette di prodotto, sia attraverso informazioni aggiuntive sul sito web, è in capo all’Organizzazione che si certifica.

• All’Organismo di Certificazione spetta verificare che l’Organizzazione disponga di un sistema che sia in grado di raccogliere, elaborare, controllare e comunicare al mercato i dati richiesti rispetto al prodotto/ai prodotti inclusi nello scopo di certificazione, in coerenza al livello di approfondimento scelto e verificato in sede di audit.

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CAPITOLO II II.1.1 Il Consorzio Casalasco del Pomodoro

Il Consorzio Casalasco del Pomodoro (CCdP) nasce nel 1977 in provincia di Cremona come

cooperativa agricola, con lo scopo di commercializzare il pomodoro coltivato dai propri soci. All’inizio degli anni Ottanta CCdP avvia l'attività di trasformazione del pomodoro e nel 1982 viene costruito lo stabilimento di Rivarolo del Re. Da questo momento un rapido processo di sviluppo basato sull’innovazione tecnologica, unitamente alla crescita di mercato, porta la cooperativa a divenire uno tra i più importanti produttori non solo di semilavorati di pomodoro per l’industria alimentare ma soprattutto, un esperto produttore per i marchi più prestigiosi.

Nel 2000, CCdP, con altre Organizzazioni di Produttori operanti nella trasformazione del pomodoro da industria, costituisce il CIO (Consorzio Interregionale Ortofrutticoli), che nel 2003 ottiene il riconoscimento di Associazione di Organizzazioni di Produttori di pomodoro da industria (AOP) dalla Regione Emilia Romagna. Nel 2006, CCdP, acquisisce lo stabilimento confinante, l’ex calzificio Calze San Pellegrino, e implementa nuove linee e tecnologie produttive. Nel 2007, CCdP con il CIO, acquisisce il ramo di azienda Boschi Luigi e Figli, leader nella produzione di conserve di pomodoro, minestre e bevande, con stabilimenti produttivi a Fontanellato (PR) e Felegara (PR). Nel 2012 CCdP rileva la quota del CIO. Quest’operazione consolida la leadership dell’azienda nel mercato della trasformazione del pomodoro e della produzione di sughi, minestre, succhi di frutta e tè. Attualmente CCdP è una cooperativa a cui fanno capo oltre 370 aziende agricole produttrici di pomodoro di cui più della metà sono socie dirette. Il 95% delle aziende conferenti risiede in Lombardia ed Emilia Romagna, entro il raggio di 50 chilometri. L’attività di trasformazione del pomodoro (da fine luglio a metà settembre) prevede la produzione di semilavorati (concentrati, passati e polpa) in fusto o bins, per uso industriale interno o vendita; una parte di trasformato del pomodoro è confezionato in formati più piccoli (bottiglie e brik) per il catering e la grande distribuzione. Dato che la trasformazione del pomodoro è condizionata oltre che dalle azioni commerciali e dalle richieste di mercato, anche dalle condizioni meteo climatiche (non sempre favorevoli a questo tipo di coltura), lo stabilimento, nel periodo cosiddetto “fuori campagna”, si occupa anche del riconfezionamento dei semilavorati in formati destinati al consumatore, della produzione di formulati costituiti da polpa e/o concentrato addizionati ad altre materie prime e della produzione di salse a base di latticini (salse ai formaggi, besciamelle, ecc.), pesti e zuppe vegetali.

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II.1.2. I Valori del Consorzio I valori del CCdP, come afferma sul proprio sito, si rifanno ai dieci principi del Global Compact delle Nazioni Unite (GCNU)22, al quale il CCdP aderisce dal 2013:

1. Promuovere e rispettare i diritti umani universalmente riconosciuti nell'ambito delle rispettive sfere di influenza;

2. Assicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani; 3. Sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione

collettiva; 4. Eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio; 5. Effettiva eliminazione del lavoro minorile; 6. Eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione; 7. Sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali; 8. Intraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabilità ambientale; 9. Incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l'ambiente; 10. Impegnarsi nel contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse l'estorsione e le

tangenti.23 L’azienda è inoltre impegnata nel controllo dell’impatto ambientale, dal momento che gli stabilimenti del CCdP insistono su un’area particolarmente vocata alla produzione agricola, la quale svolge non solo una funzione di produzione di beni essenziali, ma anche di presidio del territorio, di tutela della biodiversità e delle varietà locali. Dal 2009 tutte le aziende socie del CCdP sono state certificate in conformità allo standard GlobalG.A.P.24 che definisce le buone pratiche agricole riguardo a:

• Aspetti ambientali (gestione del terreno e dei rifiuti, ecc.); • Prodotto (fitofarmaci impiegati, tecniche di irrigazione, protezione delle colture, modalità di

raccolta e trattamenti postraccolta); • Salute degli animali; • Salute e sicurezza dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro.

Di seguito le pagine 6 e 7 della Dichiarazione Ambientale 201525 del Consorzio Casalasco del Pomodoro nelle quali vengono messi in evidenza missione, valori e obiettivi.

                                                                                                               22 Iniziativa delle Nazioni Unite nata nel per incoraggiare le aziende di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibili e nel rispetto della responsabilità sociale d’impresa e per rendere pubblici i risultati delle azioni intraprese. United Nations Global Compact, https://www.unglobalcompact.org/, 07 Dicembre 2016 23 Global Compact Network Italia, I Dieci Principi, http://www.globalcompactnetwork.org/it/il-global-compact-ita/i-dieci-principi/introduzione.html, 07 Dicembre 2016 24Global Good Agricultural Practice (G.A.P), iniziativa nata nel 1997 da rivenditori appartenenti all’Euro-Retailer Produce Working Group, http://www.globalgap.org/uk_en/, 03 dicembre 2016 25 Consorzio Casalasco del Pomodoro, Dichiarazione Ambientale 2013-2016 Aggiornamento del 31/08/2015, http://www.ccdp.it/wp-content/uploads/2016/02/Dichiarazione-ambientale-2015.pdf, 03 Dicembre 2016

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II.2.1. Il Marchio Pomì Il marchio Pomì nasce a Parma nel 1982, nel cuore della food valley italiana, con l’introduzione di

nuove tecnologie produttive per il confezionamento della passata di pomodoro. L’immagine innovativa del prodotto venne lanciata ed espressa da uno slogan di grandissima efficacia realizzato dall’agenzia Pirella & Göttsche, incaricata di lanciare il machio nel 1984: “O così. O Pomì”. Nel 2007, dopo la vendita da parte di Parmalat spa, venne acquistato da Boschi Food & Beverage, società per la

trasformazione del pomodoro partecipata dal CCdP e dal CIO, con l’obiettivo di supportare il marchio e innovare il settore del cosiddetto “rosso” attraverso ampliamento della gamma, ricerca e sviluppo e comunicazione. Nello stesso anno, il CCdP divenne proprietario anche dei marchi Pomito e País con i quali esporta i propri prodotti in tutto il mondo. Nel 2009 venne fondata a New York la Pomì U.S.A. Inc. (controllata al 100% dal CCdP), con sede a New York, che si occupa di importazione, distribuzione e gestione della politica commerciale e marketing del brand nell’America del Nord. Successivamente, nel 2012, venne annunciata la fusione per incorporazione semplificata della Boschi Food & Beverage nel CCdP, tramite cessione delle quote in possesso del CIO, cosa che venne definita come

formalizzazione di un percorso congiunto durante il quale i due consorzi hanno lavorato per raggiungere una posizione di leadership nel settore.26

La società si avvale di tre stabilimenti, uno a Rivarolo del Re (CR), uno a Fontanellato (PR) e uno a Gariga di Podenzano (PC), che si occupano della lavorazione del pomodoro che per il 100% arriva direttamente dai campi delle oltre 370 aziende agricole collocate principalmente nelle province di Parma, Piacenza, Cremona e Mantova, distanti in media 50 chilometri dagli stabilimenti. Sebbene il marchio Pomì distribuisca, ad oggi, quasi 30 milioni di confezionati in Italia, più del 50% della produzione è destinata ai mercati esteri in più di 50 Paesi distribuiti in cinque continenti:

• Europa: Germania, Francia, Regno Unito, Irlanda, Austria, Svezia, Olanda, Bosnia, Slovenia, Kosovo, Romania, Russia, Svizzera, Estonia, Malta, Finlandia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Albania, Bulgaria, Serbia, Croazia, Lussemburgo e Moldavia;

• America: USA, Canada, Costa Rica, Bermuda, Antille, Guatemala, Cuba e Venezuela;

• Africa: Libia e Sud Africa; • Asia: Libano, Giordania, Georgia, Armenia,

Hong Kong, Indonesia, Qatar, Emirati Arabi e Corea del Sud;

• Oceania: Australia e Indonesia.

                                                                                                               26 Pomì, Un marchio, un territorio e le sue persone: un orgoglio italiano nasce così, https://www.pomionline.it/it/pomi/pomodoro-pomi/, 30 Ottobre 2016

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II.2.2. I Valori del Marchio Pomì I valori del marchio Pomì sono strettamente connessi con quelli del CCdP e vengono così riportati nel sito del prodotto:

1. Sincerità. Pomì è corretto, non mente, parla in maniera diretta; 2. Trasparenza. Pomì crede nella trasparenza della lavorazione e del prodotto. Attraverso il

brik Pomì si legge la storia del prodotto e del territorio in cui nasce e viene lavorato. Per Pomì trasparenza non è solo vetro;

3. Semplicità. Pomì è così come lo si vede, non aggiunge nulla al semplice pomodoro; 4. Sostenibilità. Pomì, rispetta in pieno i criteri fondamentali della coltivazione eco-sostenibile

(la salvaguardia dell’ambiente, delle sue risorse e degli eco-sistemi). Pomì nasce dalla terra e sa che dal rispetto di essa dipendono il mantenimento della sua alta qualità ed il suo futuro.

5. Innovazione. Pomì è attuale e moderno senza rinunciare alla sua tradizione. All’avanguardia da sempre nella lavorazione e nel confezionamento del prodotto, Pomì si conferma innovatore scegliendo materiali a bassissimo impatto ambientale e aderendo al progetto etichetta PER IL CLIMA di Legambiente;

6. Garanzia. Pomì è un prodotto garantito perché l’intera filiera di trasformazione è controllata in ogni passaggio dai singoli elementi della catena produttiva, e certificata da società esterne che ne attestano l’operato;

7. Salubrità. Pomì è solo pomodoro. Il pomodoro fa bene. Non c’è altro da aggiungere; 8. Etica. Pomì opera nel pieno rispetto dell’etica del lavoro e per questo è molto attento oltre

che all’assoluta regolarità di tutti coloro che operano all’interno della sua filiera, anche alla lavorazione del patrimonio delle sue risorse umane.

II.2.3. Le Certificazioni e i Progetti

Quanto descritto nei valori sopracitati viene concretizzato dall’azienda attraverso scelte specifiche relative alle certificazioni e a progetti presenti sul territorio e non, tra queste le più importanti ed evidenti sono: Carbon Footprint e relativo progetto COOKSTOVE, Social Footprint, Forest Stewardship Council e Progetto Life Prefer.

Carbon Footprint27 Dal 2014 Pomì aderisce al Programma nazionale per la valutazione dell’impronta ambientale con il progetto co-finanziato dal Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e dal Mare finalizzato al “Calcolo della Carbon Footprint della passata Pomì L+” (il prodotto più venduto). Il contributo all’effetto serra derivante dai gas climalteranti emessi durante le fasi del ciclo di vita del prodotto, calcolato per 1kg di passata di pomodoro Pomì L+

(pari a due confezioni) e relativo all’imballaggio, secondo quanto riportato sul sito ufficiale, è il seguente riportato nell’immagine a lato.

                                                                                                               27 La Carbon Footprint esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente al ciclo di vita del prodotto (dalla coltivazione e trasformazione del pomodoro fino alla distribuzione, utilizzo del prodotto e allo smaltimento dell’imballo).

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Dal primo controllo ad oggi Pomì, per ridurre al minimo e neutralizzare le emissioni di CO2, si è impegnata da una parte ad apportare modifiche ai propri sistemi di produzione e dall’altra a acquistare crediti certificati di carbonio, promuovendo allo stesso tempo un progetto finalizzato all’installazione di stufe per la cottura degli alimenti presso le aree rurali del Siaya County in Kenya28. Social FootPrint Questa certificazione è stata ottenuta dal marchio Pomì a maggio 2016 dopo più di un anno di lavoro e, come affermato sul relativo articolo presente nel sito,

va a completare in maniera molto più esaustiva le informazioni rilevabili attraverso Pomì Trace, il sistema che rende possibile la tracciabilità dei prodotti a marchio Pomì per tutti consumatori: collegandosi al sito web del brand (www.pomionline.it) e inserendo il lotto e l’ora di produzione presenti sul PACK è possibile ripercorrere tutta la catena produttiva fino ad arrivare all’azienda agricola che ha coltivato i pomodori contenuti nel prodotto acquistato. Pomì ha raggiunto il livello approfondito AAA; attraverso un set di

indicatori l’azienda ha mappato e calcolato la propria impronta sociale con focus sulle risorse umane coinvolgendo nel monitoraggio degli indicatori anche i propri partner. Grazie alla Social Footprint l’azienda è in grado di condividere con i consumatori le informazioni relative agli impatti sociali di ogni prodotto lungo tutta la filiera, dal campo al prodotto finito, sia attraverso la mappatura e la quantificazione dei fornitori di materia prima pomodoro, di ingredienti e packaging, sia attraverso la valorizzazione delle risorse umane in termini di numeri, condizioni lavorative, livello di istruzione e parità di genere, permettendo quindi al consumatore di scegliere un prodotto in modo sempre più consapevole valutandone anche gli aspetti “umani”. All’interno del sito italiano e del sito americano sono state inserite le etichette SFP di ogni singolo prodotto (troppo grandi per essere inserite nella confezione) in modo da renderle accessibili ai consumatori. Di seguito alcuni esempi.                                                                                                                28 Progetto COOKSTOVE per l’efficienza energetica certificato da Gold Standard. Scopo del progetto è la riduzione dei fuochi a cielo aperto con conseguente riduzione dell’inquinamento prodotto e delle malattie respiratorie che colpiscono le famiglie del luogo.

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Pomì Passata e Passata Rustica in bottiglia Pomì e Pomito Passata e Tomato Juice in Tetrapack

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Pomì e Pomito Passa e Polpa in Combi Pomì Chopped, Finely Chopped and Strained Tomatoes in Combi

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Forest Stewardship Council Dal 2011 l’azienda ha scelto di confezionare i propri prodotti esclusivamente in confezione certificate con il marchio FSC29 che identifica la carta proveniente da foreste rinnovabili, gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Progetto Life Prefer30 Unitamente alle aziende dell’Organizzazione Interprofessionale Distretto del Pomodoro di Industria

del Nord Italia, Pomì partecipa a questo progetto, finanziato dal Programma LIFE Plus della Commissione Europea e condotto dalle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, relativo a studi sulla PEG (Product Environment Footprint), ovverosia sull’impronta ambientale del prodotto, attraverso la valutazione

di cinque parametri ambientali (climate change, ozone depletion, acidification, land use, water resource depletion) per la produzione di trasformati di pomodoro.

                                                                                                               29 Forest Stewardship Council, Certificazione FSC, https://it.fsc.org/it-it/certificazioni, 01 Dicembre 2016 30 Progetto Life Prefer, Il Progetto, http://www.lifeprefer.it/it-it/, 01 Dicembre 2016

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CAPITOLO III III.1. Conclusione e Riflessioni

Come si è visto nel corso di questo elaborato, il marchio Pomì, unitamente al Consorzio Casalasco del Pomodoro, può essere definito come un chiaro esempio di industria alimentare etica. Pomì è definibile come azienda etica non solo perché risulta essere conforme alla legge ma perché, a mio avviso, ha fatto propri i valori sociali, instaurando un corretto rapporto con l’ambiente inteso in senso ampio: adozione di politiche di lavoro rispettose dell’individuo, rispetto per il territorio e il contesto sociale in cui è inserita, ecc. L’eticità di Pomì, insomma, non è relativa solo a un settore o aspetto della produzione ma riguarda a 360° tutta la filiera produttiva (dalla scelta del seme alla distribuzione sul mercato), coinvolgendo anche direttamente i consumatori fornendo loro gli strumenti per poter verificare in maniera semplice quanto affermato dall’azienda stessa (ad esempio attraverso le etichette SFP o il percorso di tracciabilità del prodotto). Spesso si pensa che sia sufficiente un programma aziendale che prevenga, individui e punisca le sole violazioni della legge, in realtà per incoraggiare una condotta esemplare, come si evince da quanto affermato nelle pagine precedenti, un’organizzazione ha bisogno di nuovi valori aziendali e mutamenti strutturali per sostenerli, perché il semplice fatto che un’azione sia legale non significa affatto che sia estranea da problemi etici. In conclusione, un’azienda, come dimostrato da Pomì e dal Consorzio Casalasco del Pomodoro, per rientrare nei parametri dell’eticità, ha bisogno di elaborare soluzioni innovative magari capaci di diminuire il costo di produzione o di aumentare il valore dei beni prodotti grazie ad uno sfruttamento potenziato delle risorse (la cosiddetta produttività potenziata).                                                

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