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IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO ANTOLOGIA MONDIALE DELLA LIBERTÀ A CURA DI JEANNE HERSCH MIMESIS

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IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO ANTOLOGIA MONDIALE DELLA LIBERTÀ A CURA DI JEANNE HERSCH

MIMESIS

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IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO

Antologia mondiale della libertà

Raccolta di testipreparata sotto la direzione di

Jeanne Hersch

MIMESIS

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MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) [email protected]

Isbn: 9788857528144

MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383Fax: +39 02 89403935

Con la collaborazione di:Associazione bambinisenzasbarre Onlusvia A. Baldissera, 1 – 20129 Milanotel. +39 02 711 998 – fax 02 36642957associazione@bambinisenzasbarre.orgwww.bambinisenzasbarre.org

In copertina: tavola di Francesco Tullio Altan, Sono un essere umano

Titolo originale: Le droit d’être un hommePrima edizione: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), 7, place de Fontenoy, 75352 Parigi 07 SP, Francia.© UNESCO 1968© MIMESIS / UNESCO 2015, per la presente edizioneTutti i diritti riservati

Le de nizioni utilizzate e la presentazione del materiale in questa pubblicazione non sono espres-sione di alcun tipo di opinione dell’UNESCO sullo stato dei paesi, territori, città o zone e le auto-rità di queste, né sulla demarcazione delle loro frontiere e con ni.Le idee e le opinioni espresse nella pubblicazione sono quelle degli autori e non necessariamente quelle dell’UNESCO e per questo non impegnano l’Organizzazione.

Con il sostegno di

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INDICE

PREFAZIONE

di René Maheu 11

PREMESSA

di Luigi Manconi 15

AVVERTENZA 17

RINGRAZIAMENTI 19

L’UOMO 23 Gli altri 23 Solidarietà 32 Valore di ogni vita. Rispetto e protezione della persona umana 43 La donna e il fanciullo 53 Se stesso: l’individuo responsabile, la persona irriducibile 61

IL POTERE 75 Fonti del potere: delega o violenza 75 Virtù e doveri del sovrano 79 Il sovrano, i suoi intermediari e il diritto alla giustizia 92

LIMITI DEL POTERE 99 Contro l’arbitrio del principe o dello Stato 99 La legge al di sopra o al di sotto del potere 106 Sottomissione condizionale, coscienza irriducibile 109 Rivolta legittima, dovere d’insurrezione 119

LIBERTÀ CIVILE 129 Libertà individuale 129 Elogio del popolo 134

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Libertà civile, repubblica e democrazia 138 Alcuni diritti particolari 153 Giustizia, imparzialità 157 Democrazia, principi e istituzioni 178

VERITÀ E LIBERTÀ 197 Pensiero ed espressione: diritto di pensare, di criticare, di obiet tare, di dubitare; diritto di dire, di scrivere, di pubblicare, di creare 197 La tolleranza e la fede 221

DIRITTI SOCIALI 245 Uguaglianza sociale 245 Proprietà 257 Lavoro 266 Giustizia sociale 277 Abusi, ineguaglianze, sfruttamento 291 Le vittime, i loro lamenti 308 Sciopero, programmi, leggi sociali 327

LA LIBERTÀ CONCRETA 337 Uguaglianza e giustizia 337 Diritti politici e condizioni economiche 343

EDUCAZIONE, SCIENZA, CULTURA 351 Sapere e cultura 351 Istruzione per tutti; il maestro 356 II sapere e il nutrimento; il sapere e la medicina; gioia, poesia, libertà 369

SCHIAVITÙ E VIOLENZA 379 La schiavitù contraria alla natura umana 379 Schiavitù e sfruttamento; padrone e schiavo 385 Oppressione e liberazione; sottomissione e rivolta 406

IL DIRITTO CONTRO LA FORZA 409 Il diritto contro la forza e l’arbitrio 409 Denunce, diffamazione, prigione, tortura, pena di morte, violenza, vendetta 415 Contro la guerra; il diritto deve valere anche nella guerra 427

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IDENTITÀ NAZIONALE E INDIPENDENZA 437 Uguaglianza tra le nazioni e i popoli, diritto di ciascuno all’esistenza 437 Tradizioni minacciate o distrutte; diritto alla lingua, schiavitù dei vinti, legittima difesa 442 Arbitrato e diritto delle genti 453

UNIVERSALITÀ 461 L’uomo, origini e condizioni comuni 461 Fraternità 472

ORIGINI E FINI 483 Assoluto morale, diritto naturale 483 Ricorso a Dio, alla natura 489 La giustizia nel passato: l’età d’oro 495 La giustizia promessa: in un altro mondo, in un’altra vita 500 La giustizia in questo mondo 504

POSTFAZIONE.IL DOPPIO VOLTO DELLA LIBERTÀ

di Roberta De Monticelli 513

BIBLIOGRAFIA 521

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Qualunque despota può costringere i suoi schiavi a cantare inni alla libertà.

Mariano Moreno, 8 dicembre 1810

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PREFAZIONE

Per ricordare il ventesimo anniversario della Dichiarazione universa-le dei diritti dell’uomo la Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) ha deciso la pubblicazione di una raccolta di testi provenienti da tradizioni e da epo-che diverse che facendo risaltare, per la diversità stessa delle loro origini, l’unità profonda dei loro signi cati, illustrasse l’universalità nel tempo e nello spazio dell’affermazione e della rivendicazione del diritto di essere un uomo.

La redazione di quest’opera rappresenta lo sforzo compiuto per realiz-zare tale disegno.

Per riunire il materiale necessario, il Segretariato si è rivolto alle commissioni nazionali degli Stati membri per l’UNESCO, alle organizza-zioni internazionali non governative regolarmente associate alle attività dell’UNESCO, oltre che a un certo numero di specialisti, amici e collabo-ratori volontari.

Desideriamo qui ringraziarli cordialmente tutti per il lodevole lavoro compiuto. La raccolta è davvero sorprendente per la quantità e la qualità dei testi, per la varietà degli argomenti, delle idee e dei modi di espressione che vi si manifestano. Ma è ancora più sorprendente per la straordinaria impressione di similitudini armoniche persino nei contrasti più profondi, o, per meglio dire, di parentela, in breve, di fraternità, che si sprigiona da que-sta doppia indagine degli uomini dei nostri tempi nella ricerca dei substrati storici più profondi della propria coscienza e degli uomini di tutti i tempi nella ricerca dell’ordine umano.

Abbiamo visto, così, schiudersi come da se stessa l’ampia rosa dei temi che hanno ispirato la Dichiarazione universale; e, su ciascuno di essi – come lungo un cammino seguito no ai più lontani orizzonti del mondo e della memoria – si son venuti a deporre dinanzi a noi, quasi fossero delle offerte, piamente conservate tra i veli delle parole di un tempo e di altri luoghi, i pensieri e i gesti che sono stati – e rimangono – gli interrogativi

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e le risposte, le aspirazioni e le prove, gli annunci e i compimenti, oscuri o luminosi, attraverso i quali l’uomo si è rivelato a se stesso.

In presenza di testimonianze così altamente signi cative la miglior de-cisione che potessero prendere coloro ai quali competeva la composizione dell’opera era quella di intervenire e di interpretare il meno possibile. Sono perciò loro grato di aver capito che ciò che occorreva essenzialmente pre-servare era l’immediatezza del messaggio e il contatto senza intermediari tra il lettore e ciò che è autentico.

È stato certamente necessario operare delle scelte. Ogni scelta è stata, tuttavia, determinata dalla cura di non escludere nessun tema fondamentale e di ri ettere fedelmente, anche se sommariamente, la diversità complessi-va del materiale ricevuto.

Occorreva anche disporre i testi in un certo ordine. Noi ci siamo limitati a seguire un ordine senza pretese esplicative, che si limita a sottolineare i punti di convergenza, oppure a tracciare le linee di accostamento più ma-nifeste.

Nella raccolta nale non manca certo una parte governata da una certa casualità, che ri ette le condizioni in cui i materiali sono stati ottenuti. Se i materiali provenienti da un certo tipo di cultura sono stati molto abbondan-ti, mentre per un altro è stato impossibile colmare talune serie lacune, ciò è dipeso spesso da circostanze fortuite. Si può, tuttavia, sperare che il gran numero di testi raccolti, unitamente alla molteplicità dei canali attraverso i quali essi sono giunti al Segretariato, abbiano permesso di correggere in misura abbastanza ampia alcuni squilibri quantitativi, rispetto ai quali avrebbe assolutamente torto chi volesse vedervi i segni di un qualsiasi par-tito preso.

Così il libro fu voluto e così è stato compilato. Benché sia il prodotto di un lavoro collettivo, al quale ha partecipato un gran numero di collabora-tori, tanto all’esterno che all’interno del Segretariato, lo si deve essenzial-mente a Jeanne Hersch, direttrice della Divisione di loso a. È lei che ha concepito l’idea e la composizione dell’opera senza mai cessare di animare l’impresa con la sua fede, al tempo stesso esigente e comprensiva. Deside-ro esprimerle qui la mia viva gratitudine.

Ora debbo forse dire che cosa è il libro, come usano fare i professori che de niscono nella lezione inaugurale l’oggetto e il signi cato del loro cor-so? Anche supponendo di poterlo fare, non mi sembra opportuno. Posso, invece, informare i lettori su ciò che il libro non è: un’azione senza dubbio più utile.

Prima di tutto questo volume non è un’opera scienti ca. L’essenzialità delle note e delle informazioni storiche lo dimostra a suf cienza. Si è cer-

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R. Maheu - Prefazione 13

tamente cercato di ottenere tutte le garanzie per quanto concerne l’auten-ticità dei testi citati, ma non è stato possibile dedicarsi alla critica rigorosa di questi testi, né a uno scrupoloso controllo della loro traduzione a causa della grande diversità delle fonti e delle lingue originarie. È possibile, quin-di, che siano rimaste delle inesattezze. Ogni impresa che voglia mettere in contatto uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi comporta necessariamen-te, diciamolo pure, una parte di approssimazione intellettuale, sulla quale scivola, e talvolta si smarrisce, il fervore dei cuori. Ma non sono soltanto gli uomini d’azione che hanno fretta di ottenere dei risultati a convenirne; l’accettano anche i profondi pensatori, perché vi riconoscono le condizioni atte a favorire il movimento dello spirito nella storia.

Questo libro non è affatto un trattato di morale, meno ancora un elenco di premi alla virtù. Se alcuni paesi sono meglio o più abbondantemente “rappresentati” di altri, questo non dimostra nulla per quanto, presso di loro, attiene al rispetto dei diritti dell’uomo. Ciò può essere dovuto al fatto che alcuni sono più portati, o abituati, di altri a mettere a nudo con una severa autocritica il proprio passato; al fatto che qualcuno si accontenta più facilmente di altri di ciò che è oggi, o, più semplicemente ancora, è dovuto a circostanze accidentali che favoriscono o disturbano momentaneamente il manifestarsi delle cose nazionali sul piano internazionale. Esistono nella vita, sia dei popoli che degli individui, delle variazioni della coscienza di sé che non corrispondono necessariamente a modi profondi della persona.

In ne questo libro, che non contiene alcuna dottrina, non è neppure il ri esso veridico della storia. L’umanità vi appare essenzialmente al livello dei suoi ideali nelle loro più nobili espressioni, non nella realtà, passata o presente, della sua condizione e dei suoi comportamenti.

Si è dato, senza dubbio, posto alle lagnanze, all’indignazione, all’ama-rezza, alla rivolta, che, proprio come le dichiarazioni di principi e le serene o trionfanti rivendicazioni, manifestano un’irreprimibile esigenza di digni-tà e di giustizia.

Tuttavia è ancora troppo poco per pretendere di tradurre l’autentica odissea della coscienza umana. I gemiti o le grida che si percepiranno in queste pagine non provengono dalle vittime più miserabili, rimaste mute nel corso dei secoli. Là dove i diritti sono totalmente calpestati regnano il silenzio e l’immobilità, che non lasciano alcuna traccia nella storia; perché la storia registra soltanto le parole e i gesti di coloro che sono capaci, per quanto poco, di impadronirsi della propria vita, o almeno di tentare di farlo. Vi sono sempre state –- e vi sono ancora – delle moltitudini di uomini, di donne, di bambini, ai quali si è arrivati a causa della miseria, del terrore o della menzogna, a far dimenticare la loro originaria dignità, o che hanno

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rinunciato allo sforzo di far riconoscere da altri questa dignità. Costoro tacciono. Le vittime che si lamentano e che noi ascoltiamo godono già di una sorte migliore.

È importante, quindi, avvertire il lettore che, sul rovescio della luce nella quale sta per entrare, egli dovrà proiettare – in spirito – questa massa di tenebre. È l’ombra ri essa dalla storia che nessun bagliore rischiara. È il fardello trascinato dal progresso: nessuno slancio lo solleva. È il peso dei crimini ai quali dobbiamo i nostri privilegi, e dai quali nessuna generosità potrà completamente assolverci, fosse anche la nostra innocenza; perché, essendone bene ciari, noi ne siamo obbiettivamente complici.

Di questi privilegi, il più eccelso è quello di poter considerare, con una certa obbiettività, la nozione stessa dei diritti universali dell’uomo.

Questo libro non è fatto per essere letto da cima a fondo in modo conti-nuativo, né è stato composto in vista di uno studio metodico. Il lettore potrà aprirlo a caso secondo la sua ispirazione; meditarne qualche riga o qualche pagina e poi richiuderlo. Avrà percepito, spero in maniera indimenticabile, qualcosa dal gusto agro-dolce, tenero e terribile, esaltante e sordido, della storia degli uomini nei suoi signi cati più essenziali.

Egli avrà forse inizialmente l’impressione che tutto sia stato detto e vissuto, in moltissimi luoghi, da secoli e da millenni. Senza dubbio tutta-via, ri ettendoci su, scoprirà che tutto resta ancora da fare e da inventare. Per quanto grandi siano stati gli sforzi impiegati, i progressi compiuti, per quanto eroici siano stati gli innumerevoli sacri ci, il prezzo dell’uomo li-bero non è ancora stato pagato dall’uomo e non è neppure stato de nito nel suo giusto valore. Il compito immemore rimane. In questo stesso mo-mento...

In questo stesso momento, milioni di esseri umani, nostri simili, oppres-si o in rivolta ci attendono, attendono te e attendono me.

Parigi, aprile 1968 René Maheu

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PREMESSA

Dobbiamo essere grati all’associazione Bambinisenzasbarre per l’im-portante iniziativa della nuova pubblicazione di questa certosina e fonda-mentale opera. Il diritto di essere un uomo è stato realizzato dall’UNESCO in occasione del ventesimo anniversario dell’adozione, da parte delle Nazioni unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Si tratta, infatti, di un libro unico nel suo genere e dif cilmente supera-bile. Come spiega René Maheu nella prefazione originaria alla sua prima edizione, esso è il risultato di un impegno collettivo, voluto e coordinato dall’UNESCO e realizzato con la collaborazione di molte persone di ogni parte del mondo.

Al suo interno, secondo un indice tematico che ancora regge all’usura del tempo, sono raccolti testi e documenti – dalle semplici frasi ai passi più famosi di opere capitali – delle più diverse culture riguardanti la dignità umana, i diritti della persona, i limiti ai poteri pubblici e le loro responsa-bilità.

Sono note le critiche alle teorie dei diritti, da quelle più risalenti nel tempo, del liberalismo di tradizione anglosassone, a quelle della cultura so-cialista e comunista, no a quelle relativiste della seconda metà del Nove-cento. Il primo affermarsi dell’universalismo dei diritti, con la rivoluzione francese, fu duramente criticato dall’altra parte della Manica: nella patria dell’habeas corpus i diritti umani coincidevano con le antiche libertà dei sudditi della Corona ed erano inimmaginabili fuori dal contesto e dalla tra-dizione, fuori dalla storia di una comunità nazionale. E così nella seconda metà dell’Ottocento, il movimento operaio e socialista si affermò in parte rivendicando, in parte contestando l’universalismo dei diritti, reo di occul-tare le disuguaglianze sociali e di mettere sullo stesso piano i borghesi e i proletari, e quindi – sostanzialmente – di difendere i diritti (e gli interessi) degli uni contro quelli degli altri. E ancora, nel secondo dopoguerra del Novecento, anche la Dichiarazione universale dei diritti umani non andò esente da critiche, questa volta sul versante culturalista: quelli scritti a fon-damento della nuova Organizzazione delle Nazioni Unite altro non sareb-

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bero stati che i diritti di matrice e di cultura occidentale, mediati all’interno delle sue tradizioni, quella liberale e quella socialista, uscite vincitrici dal secondo con itto mondiale.

La storia del diritto internazionale dei diritti umani, la sua diffusione e articolazione su base regionale, la sua in uenza nei processi di costi-tuzionalizzazione contemporanei, sono viceversa il segno della fecondità dell’intuizione che fu di Eleanor Roosevelt e dei suoi compagni di avventu-ra. La ragione di questo successo è felicemente testimoniata da questa rac-colta curata dall’UNESCO più di quarant’anni fa. In essa è possibile vedere come le più diverse ispirazioni abbiano contribuito, e possano continuare a farlo, a quell’universalismo di percorso di cui parlava un uomo come Raimon Panikkar che il dialogo interculturale lo aveva n dentro la sua esperienza di vita, nel suo essere glio di madre cattolica catalana e di padre indiano induista, e nel suo sentirsi nello stesso tempo “totalmente occidentale e totalmente orientale”.

Universalità e indivisibilità sono le condizioni perché i diritti possano essere misura delle responsabilità, individuale e collettiva, nel governo del-la cosa pubblica. E qui non ci sono cattedre su cui ergersi a pronunciare giudizi. Per un verso il riconoscimento dei diritti è sempre incompleto: la vita e la storia umana fanno emergere sempre nuovi bisogni che attendono di essere riconosciuti dalle istituzioni. Per altro verso, il riconoscimento di un diritto non è garanzia della sua effettività, né della sua permanenza nel tempo. La lotta per i diritti, quella sì, è per sempre: giorno dopo gior-no, storia dopo storia. Chi crede che i diritti della persona siano ragione e misura dell’impegno personale e delle istituzioni pubbliche non può che tornare sui suoi passi e ricominciare daccapo, consapevole che seppure quel che è stato fatto era ben fatto, ogni giorno resta altro da fare. Questo libro è dedicato a questi Sisifo contemporanei, come una sorta di breviario di lettura e meditazione da praticare tra un’azione e l’altra perseguita in nome dei diritti umani.

Roma, dicembre 2014 Luigi ManconiPresidente Commissione straordinaria

dei diritti umani del Senato

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AVVERTENZA

Dalla presente raccolta è stato escluso ogni testo ancora parte integrante di una qualunque costituzione attualmente in vigore, al ne di evitare sia noiose reiterazioni, da paese a paese, sia eliminazioni arbitrarie.

D’altro canto, poiché si è trattato di riunire testi ispirati ante litteram dalla loso a implicita nella Dichiarazione universale del 1948, non è sta-to ammesso alcun testo posteriore a questa data.

La maggior parte dei testi è costituita da estratti e, pertanto, non si è vo-luto appesantire la presentazione mettendo dei puntini sospensivi all’inizio e alla ne di ciascuno di essi. Per contro sono indicati i tagli interni.

L’ortogra a è stata modernizzata quando il carattere dei testi non ne veniva alterato.

Hanno contribuito alla presente raccolta alcune commissioni nazionali attive presso l’UNESCO, oltre a organizzazioni non governative e ai seguenti esperti:

José Maria Arguedas, Abderrahmane Ben Abdenoi, Gustavo Beyhaut, P. Naili Boratav, Génia Cannac, Henry Steele Commager, R. N. Dandekar, Vadim Elisseeff, Stanislas Frybes, Francesco Gabrieli, Janheinz John, P. Juvigny, Takev Kuwabara, Miguel León Portilla, Kia-Hway Liou, Guiller-mo Lohmann Villena, G. P. Malalasekera, Leo Moulin, Kostas Papaioan-nou, Pierre Pascal, Clémence Ramnoux, Pinhas Rosenbluth, Denis de Rou-gemont, Fryda Schutz de Mantovani, Marina Scriabine, Amadou Seydou, Shaul Shaked, Fernando Silva Vargas, Jean Starobinski, Joseph Tubiana.

Agli editori e agli autori che hanno gentilmente autorizzato la riprodu-zione di testi non ancora divenuti di dominio pubblico, a tutti coloro che in qualsiasi modo, da vicino o da lontano, hanno generosamente contribuito alla realizzazione di questo pro getto, il Segretariato esprime la sua viva gratitudine.

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RINGRAZIAMENTI

Valentina Achilli, Frances Albernaz, Francesco Tullio Altan, Dominique Arnouil, Elizabeth Ayre, Serena Baccaglini, Floriana Battevi, Giorgio Ber-tazzini, Odile Blondy, Maricla Boggio, Alain Bouregba, Corinne Branchat, Marco Cabassi, Enrico Calamai, Alessandra Carnevale, Lorenzo Castoldi, Francesco Catalucci, Sigrid Charrière, Paolo Cipelletti, Stéphane Cohen, El-vina Cohen Russo, Liamara Conti, Bruno Contini, Nina Contini Melis, An-drea Guido Costa, Pierre Dalla Vigna, Françoise Dalle, Marco De Bernardin, Géraud Delavenay, Stefano De Matteis, Roberta De Monticelli, Ian Denison, Serena Delesgues, Michel Devaux, Philippe Didillon, Doudou Diène, Vitto-rio Dini, Corinne Doria, Jean d’Ormesson, Ana Escandel, Vincenzo Fazzino, Bruna Filippi, Edoardo Fleischner, Marcello Flores, Leda Fo , Laura For-menti, Frida Fruchart, Caterina Gabrielli, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giac-chè, Yvonne Haëberli, Roberte Hamayon, Reynaldo Harguinteguy, Carmen Hernandez, Nicole Houssin, Maria Ingegno, Stefania Jahier, Nicole Janigro, Dominique Jemelen-Rapp, Vincenzo Jacomuzzi, Franck Kausch, Kianouche Kausch, Taraneh Khanlari, Julio Labastida Martin del Campo, Emo Lessi, Joel Lopez Jacome, Maria Lorenzoni Stefani, Jacqueline Lacor, Jean-Pierre Lacor, Sandrine Lacor, Giancarlo Lupo, Hannah Lynn, Romano Màdera, Mirta Mantaras, Gérard Marchesseau, Mascia Marini, Jean Louis Martin, Federico Mayor Zaragoza, Grazia Masi, Néguine Mathieux, Francisco Mele, Chiara Mirabelli, Santina Mobiglia, Cinzia Morselli, Magda Moyano, Isa-belle Nonain-Semelin, Annibale Osti, Annalisa Pauciullo, Elisabeth Petit, Cristina Peraboni, Enrica Peraboni, Kate Philbrick, PHILO, Cesare Pian-ciola, Anna Piccinini Morabito, Marie Laure Plançon, Giacomo Pontremoli, Vittorio Possenti, Frédéric Praud, Jean-Didier Prignol, Nicola Prinetti, Gio-vanni Puglisi, Romano Romani, Daniele Rossi Doria, Marco Rossi Doria, Henri Roudier, Lia Sacerdote, Maddalena Sala, Arianna Sanesi, Anna Maria Savarese, SCRIPTUM, Benedetta Sforza, Willy Spieler, Paolo Tanzi, Sylvie Tierny, Simona Torrini, Anne Toth, Miguel Angel Valdivia, Benicia Veillet Palacios, Luigi Vero Tarca.

Paola Costa per la determinazione con cui ha progettato e curato la ripub-blicazione di questo volume in Italia.

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IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO

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L’UOMO

Gli altri

I “daïni” sono delle canzoni popolari lituane trasmesse oralmente di generazione in generazione n da un’epoca anteriore all’introduzione del cristianesimo.

IL LUPO (“daïno” lituano)

Il lupo, il lupo,Che abita nei boschi,Sbuca di tra gli alberiE viene giù sul pratoA divorar l’agnelloE il giovane puledro:Questo è il suo lavoro.

La volpe, la volpe S’aggira per i boschiSbuca di tra gli alberiE slanciasi nell’aia,Agguanta e poi uccideL’oca e la gallina:Questo è il suo lavoro.

Il cane, il caneSorveglia la casa.Abbaia e mordeI ladri nei talloni.Spaventa le vecchiette E anche i vagabondi:Questo è il suo lavoro.

La pulce, la pulce Ha la bocca golosa E succhia il sangue fresco Sul fare dell’aurora. E sveglia la pastora

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24 Il diritto di essere un uomo

Per far uscir le mucche: Questo è il suo lavoro. L’ape, l’ape Che vive là nel bosco, Ronza sulla brughiera; Ci pizzica le ditaIl viso e poi le orecchie,Eppur ci dona il miele:Questo è il suo lavoro.

Uomo, o uomo! Osserva l’ape, Anche tu pungi il cuore, il cuore; Offri tuttavia dolcezza A chi ti è fratello: Perché questo è il compito dell’uomo. 1

Regola di condotta A Chong-kong, che lo interrogava sull’umanità, Confucio rispose:

“Quando esci di casa tua, comportati con tutti come lo faresti con un ospite di riguardo. Comportati con la gente come se assistessi a un grande sacri -cio. Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Allora nessuno si la-gnerà contro di te nello Stato e nella famiglia”. Chong-kong disse: “Anche se non sono intelligente, posso io mettere in pratica le tue parole?”

Confucio (551-479 a.C.), Colloqui, Cina. 2

Non vendicarti e non serbare rancore verso i gli del tuo popolo, ma ama il prossimo tuo come te stesso. Io sono Jahve.

Bibbia ebraica, Levitico, 19. 3

Ciò che contraria te stesso, non farlo al tuo prossimo; ecco tutta la Leg-ge, il resto sono solo commenti.

Talmud, Shabbat, 31. 4

Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricorda che sei stato schiavo in Egitto: perciò ti prescrivo di compiere tale cosa.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24. 5

Quando cade il tuo nemico non gioire, e quando egli inciampa non si rallegri il tuo cuore.

Bibbia ebraica, Proverbi, 24. 6

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L’uomo 25

Fratelli Per i Greci l’uomo è collocato in uno schema che oppone l’uomo a Dio,

il mortale all’immortale. Castore e Polluce sono due gemelli, l’uno, Pollu-ce, nato da seme divino, l’altro, Castore, da seme mortale. Ora il fratello mortale è stato ferito nel combattimento. Il fratello immortale chiede di condividere la sua sorte.

Strofe:Frettolosamente il Tindaride ritornò presso l’eroe, suo fratello. Lo ritro-

vò ancora vivo, ma con il respiro affannato. Mescolando i singhiozzi con calde lacrime, egli esclamò con voce acuta: “O glio di Cronos, o Padre, quale rimedio può esservi per la mia sofferenza? Ordina anche per me la morte con lui, o Sovrano! Non vi è più gloria per un uomo privato di coloro che gli sono cari: vi sono pochi compagni fedeli, tra i mortali, nella prova...

Antistrofe:... pochi che vogliano condividere le nostre fatiche”. Egli disse e Zeus

venne verso di lui, faccia a faccia e gli diede questa risposta: “Tu sei mio glio! Castore fu generato dopo di te nel seno di tua madre, dall’eroe suo

sposo, con una goccia di seme mortale. Ebbene io ti propongo la scelta che segue: se vuoi fuggire la morte e l’odiosa vecchiaia, abitando nell’Olimpo presso di me, in compagnia di Athena e di Ares dall’oscura lancia...

Epodo:... questa è la tua sorte. Ma se tu difendi tuo fratello, e se vuoi che egli

abbia una parte uguale con te in tutte le cose, passerai la metà della tua vita sotto terra e l’altra metà nel palazzo d’oro del cielo”. Egli disse e Polluce non esitò a scegliere tra le due offerte; riaperse l’occhio, poi rianimò la voce di Castore dalla cintura di bronzo.

Pindaro (521-441 a.C.), Nemea X, vv. 73-91, Grecia. 7

Nessuno di voi è credente nché non preferisce per suo fratello ciò che egli preferisce per se stesso.

Hadith (Detti del Profeta). 8

A un musulmano è proibito versare il proprio sangue se non per la di-fesa della giustizia e di versare sangue di altri se non è per la difesa della giustizia.

Malik Ibn Anas, giureconsulto (VIII sec.), Siria 9

Che cosa non fareste per combattere per la causa di Dio e per la difesa dei deboli tra gli uomini, delle donne e dei fanciulli?

Corano, An-Nissa’ (Le Donne), 75. 10

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26 Il diritto di essere un uomo

Che nessuno tra di voi, per spirito di imitazione, dica: “Se si compie il bene attorno a me, farò il bene e se attorno a me si compie il male, farò il male”. Tutt’al contrario, assumetevi l’impegno di fare il bene come lo si fa attorno a voi e di non partecipare al male che vedete commettere attorno a voi.

Hadith (Detti del Profeta). 11

Se vedete che sono sulla retta via, assistetemi. Se vedete che sono sulla falsa, rimettetemi sulla buona strada. Colui che è forte tra voi è debole ai miei occhi no alla prova della giustizia e colui che è debole tra di voi è forte ai miei occhi no a che gli sia resa giustizia.

Califfo Abu Bakr Al-Siddik (VII sec.) 12

Amore di Dio e amore del prossimo Chi pretende d’essere nella luce e ha in odio il suo fratello, è tuttora nella

tenebra. Chi ama il suo fratello dimora nella luce né per lui c’è occasione d’inciampo. Ma chi odia il proprio fratello è nella tenebra e nella tenebra cammina e non sa dove va, perché la tenebra accecò gli occhi suoi [...].

Se qualcuno dice: “Io amo Dio” e ha in odio il proprio fratello, è men-titore: chi infatti non ama il fratello suo che vede, non può amare quel Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello.

Nuovo Testamento, Prima lettera di Giovanni. 13

Diritti e doveri La vera sorgente dei diritti è il dovere. Se tutti compiremo i nostri dove-

ri, ci sarà facile ottenere il rispetto dei nostri diritti. Se, trascurando i nostri doveri, rivendichiamo i nostri diritti, essi ci sfuggiranno. Avviene così dei fuochi fatui, più li perseguiamo, più essi si allontanano da noi.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 14

L’infelice è il tuo prossimo Non beffarti di un cieco, non molestare un nano.Non fare dei torti a uno zoppo. … … …Anche lo straniero ha diritto di avere l’olio della tua anfora.Dio si augura che tu rispetti i poveripiuttosto che trattare con i potenti.

Amenope (circa 1300-1100 a.C.), Egitto. 15

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L’uomo 27

Assoluto moraleAnche se hanno tra le mani il nettare dei Devata, essi non lo conservano,

per quanto squisito sia, per berlo da soli (ma lo dividono con altri). Non conoscono l’odio. Perseguono senza sosta (e senza timore) i grandi compiti che altri hanno avuto paura d’intraprendere. Se si tratta di fare il bene, essi sono pronti anche a rischiare la loro vita. Se si tratta di fare il male, per nulla al mondo si decideranno a farlo. Essi non sono mai stanchi. Finché esistono degli uomini di un tale valore, che lottano non per raggiungere dei ni egoistici, ma per il bene altrui, anche il mondo esisterà.

Purananooru (circa II sec. a.C. - II sec. d.C., epoca sangam), tradotto dal tamil. 16

Legami indissolubili O padrone delle distese saline, ove il vasto mare ha color di zaf ro, ove il

verbasco dal ricco polline ha delle spine aguzze come i denti dello scoiattolo, anche quando avremo lasciato questa vita per rinascere in un’altra esistenza, dovrai essere il mio sposo, dovrò essere la tua tenera sposa.

Kurunthokai (II sec. a.C - circa II sec. d.C., epoca sangam), tradotto dal tamil. 17

Contro l’inimicizia Rinuncia all’inimicizia – è sempre meglio; poiché non si può ridurre al

silenzio un nemico con l’inimicizia. Se nutri inimicizia nel tuo cuore, non potrai guardarti completamente dal parlare o dall’agire di conseguenza. E se vuoi combattere o distruggere il nemico, dovrai accettare di ammazzare e di versare il sangue. In qualunque modo si considerino le cose, o Krishna, l’inimicizia ci fa perdere il sentimento del bene e del male.

Mahâbârata, tradizione telugu, isole Mauritius. 18

Prodezze O Signore Srinivasa! vi è forse oggi, per i potenti di questo mondo, la

possibilità di compiere altre prodezze all’infuori di queste: compatire la sorte dei disgraziati e migliorarla o rialzare colui che sta per terra; andare alla ricerca dei poveri per proteggerli, oppure premurarsi di soccorrere de-gli indigenti; raccogliere colui che chiede asilo oppure allevare un orfanel-lo; strappare qualcuno dalle grin e della morte oppure curare colui che la malattia inchioda nel letto? – In verità, quali azioni potrebbero essere più nobili di queste, o Signore Venkatesa!

Peda Tirumalayya, Neeti Seesa, Satakamu (XVI sec.), tradizione te-lugu. 19

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28 Il diritto di essere un uomo

Chi ha distrutto un cuore Un uomo venerando dalla barba bianca, ecco che egli non sa a che punto

stanno le cose. Se ha distrutto un cuore, non gli servirà a nulla accanirsi ad andare in pellegrinaggio (alla Santa Mecca).

Il cuore dell’uomo è il trono di Dio. Dio ha lo sguardo sempre rivolto verso i cuori. Colui che ha distrutto un cuore non conoscerà la felicità né in questo mondo, né nell’altro.

Quello che pensi per te, pensalo anche per gli altri; il signi cato nascosto nelle Quattro Scritture, se ve n’è uno, si riassume in queste poche parole.

Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia. 20

Sole o pietraAscoltate, o compagni, l’amore è come un sole. Il cuore che non ne ha la

sua parte, è come una pietra. Che cosa può crescere in un cuore di pietra? Colui che lo porta ha del veleno sulla lingua; tutte le parole dolci che tenta di pronunciare suoneranno come il fragore di una battaglia.

I cuori colmi di amore sono riscaldati da un fuoco e diventano teneri come la cera. I cuori di pietra sono come un crudo inverno, spietato e oscuro.

Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia. 21

Solo il corpo che è animato dall’amore contiene un’anima vivente: quel-lo che è sprovvisto di amore non è che uno scheletro ricoperto di carne.

Se ami te stesso, non commettere alcun peccato, per piccolo che sia. Per punire coloro che (vi) hanno fatto del male, copriteli di vergogna

mostrandovi buoni con loro e dimenticando in seguito tutto ciò che è stato fatto – sia il male che il bene.

La più grande di tutte (le virtù) mai descritta è quella che consiste nel condividere il proprio nutrimento con altri e nel preservare la vita sotto tutti i suoi aspetti. Non uccidere, ecco il perfetto bene; non mentire viene immediatamente dopo.

Sii umile nella prosperità e. dignitoso nell’avversità. Tirukkural (I sec. d.C.), isole Mauritius, tradotto dal tamil. 22

L’ingratitudine è peggiore della violenza Anche per i malvagi che hanno tagliato le mammelle delle mucche, per

coloro che hanno ucciso i bambini nel ventre delle donne adorne di ricchi

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L’uomo 29

monili, per coloro che hanno commesso dei crimini contro i propri geni-tori vi è una speranza di salvezza. Ma, anche se il mondo fosse sconvolto da cima a fondo, non vi sarebbe salvezza per gli ingrati che dimenticano il bene che hanno ricevuto. Così sta scritto nel Sâstra, o sposo della bella regina, adorna di gioielli.

Purananooru (circa III sec. a.C - II sec. d.C., epoca sangam), tradotto dal tamil. 23

Solo coloro che accettano dei sacri ci conoscono la gioia. Non sarai avido.

Ishavasy-Upanishad, India. 24

ReciprocitàTutto ciò che una persona non desidera che un’altra faccia nei suoi ri-

guardi, essa deve astenersi di compierla nei riguardi degli altri, rimanendo sempre cosciente di ciò che le è sgradevole.

Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 25

L’ospite Colui che tu accogli, sia per te un Dio. Taittirîga-Upanishad (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 26

Gli infeliciLe ricchezze dei migliori (tra gli uomini) frutti cano nel lenire le soffe-

renze dei disgraziati. Kâlidâsa; Maghadûta 53 (IV sec.), tradotto dal sanscrito. 27

Che cosa vi è di bene nella virilità di colui che non solleva gli af itti? Quale bene vi è nella ricchezza che non serva per coloro che ne sono pri-vati? Esiste veramente una sana attività che non sia in rapporto con ciò che è il bene per gli altri? Si può veramente chiamare vita ciò che è contrario agl’interessi del bene?

Subhâsita-Ratnabhândâgâra, tradotto dal sanscrito. 28

Io non desidero che il Signore mi accordi quello stato elevato che è contrassegnato dagli otto poteri soprannaturali, né che mi conceda di esse-re liberato dalle reincarnazioni. Poiché vivo nel cuore di tutti gli uomini, prendo su di me la loro miseria af nché essi in tal modo possano essere liberati dalla sofferenza.

Bhâgavata-Purâna (IX-X sec.), tradotto dal sanscrito. 29

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30 Il diritto di essere un uomo

Padronanza di sé Colui che al tempo stesso si vede in tutti gli esseri e vede tutti gli esseri

in se stesso e che (in qualche modo) sacri ca se stesso, giunge al dominio di sé.

Manusmriti, XII (II sec. a.C, I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 30

Iscrizione che gura sulla tomba di Dario (521-486 a.C.) a Naqshi-Roustem:

È un grande Dio questo Ahura-Mazdâ che ha compiuto quest’opera ec-cellente che vediamo, che ha creato la fortuna per l’uomo, che ha dotato il re Dario di saggezza e di attività.

Il re Dario disse: “Per grazia di Ahura-Mazdâ io sono fatto in modo da essere l’amico del bene e non del male. Io non auguro che il forte offenda il debole, né che il debole offenda il forte.

Io desidero ciò che è giusto. Non sono l’amico di colui che vive nella menzogna. Non sono collerico. Ciò che mi ispira collera, lo domino con la potenza del mio pensiero. Io mi domino completamente.

Colui che coopera io lo ricompenso secondo ciò che ha fatto di utile. Colui che agisce male, lo punisco secondo il torto che ha causato. Io non auguro che l’uomo compia il male; se egli lo compie, non mi auguro che rimanga impunito.

Ciò che un uomo dice contro un altro, mi convince solo se quest’uomo rispetta le norme delle buone regole.

Ciò che un uomo fa o eseguisce (per me) secondo le sue possibilità (na-turali), mi soddisfa e mi colma di grande gioia: io sono soddisfatto”.

Persia. 31

Uomo anche se sbagliaNessuno dovrebbe comportarsi da nemico nei confronti di un peccatore

o augurargli del male; bisogna quindi essere misericordiosi verso i peccato-ri e pensare: “È veramente doloroso vedere Ahreman imbrogliare e sviare qualcuno in questo modo”.

Dênkart (IX sec.), Persia. 32

Umiltà Colui che rinuncia alla cupidigia depone le armi e si astiene dal fare la

guerra. Colui che depone le armi e si astiene dal fare la guerra arriva all’u-miltà. Quando un uomo pratica l’umiltà, si preoccupa moderatamente del bene proprio e di più di quello degli altri.

Dênkart (IX sec.), Persia. 33

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L’uomo 31

RiguardoIl latino rimase la sola lingua scritta in Polonia durante molti secoli

dopo la conversione del paese al cristianesimo nel 966. Il testo polacco più antico è una frase scoperta nell’inventario del monastero di Henrykóv, in Slesia, composto in latino verso il 1266-1270. (La frase era stata inserita a questo punto per spiegare il nome di un villaggio). Un contadino, guar-dando sua moglie far funzionare un mulino le dice: Da yat / is pobrusa / a ti pociway, che signi ca:

Dammi il tuo posto: macinerò io, tu riposati. Inventario (XIII sec.), Polonia. 34

Relazione di uguaglianza Un’inclinazione naturale dello stesso ordine ha condotto gli uomini a

comprendere che hanno il dovere di amare gli altri non meno di se stessi. L’uguaglianza delle cose è visibile solo se tutte hanno “una misura comune: se mi auguro di essere trattato altrettanto bene da tutti quanto ogni uomo se lo augura per se stesso, come potrei aspettarmi di vedere questo desiderio almeno parzialmente soddisfatto se non mi curo io stesso di soddisfare l’u-guale desiderio che indubbiamente esiste negli altri, poiché abbiamo una sola e uguale natura? Ogni trattamento contrario al loro desiderio deve essere per loro altrettanto penoso quanto per me: dunque, se io faccio del male, devo aspettarmi di dover soffrire, poiché non vi è alcuna ragione che altri abbiano per me maggiore affetto di quanto io dimostro verso di loro; quindi il mio desiderio di essere amato dai miei uguali in natura, per quanto possibile, m’impone il dovere naturale di offrir loro, senza riserva, il medesimo affetto; nessun uomo ignora le diverse leggi e le regole che la ragione naturale ha tratto, per dirigere la nostra vita, da questa relazione di uguaglianza tra noi e i nostri simili.

Richard Hooker (detto “il saggio Hooker”), Le leggi della politica eccle-siastica, 1594, Inghilterra. 35

Bisogno degli altri Un giorno, giovinetto, partii solo;Andando all’avventura, perdetti la mia strada;Mi sentii ricco trovando un amico:perché l’uomo a un altro uomo si riconforta.

Un giorno, per diletto, nei campi io disposiI miei vestiti su un fantoccio strano:Vestito, ei pareva un vero duca;Un uomo nudo, invece, non è nulla.

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32 Il diritto di essere un uomo

II pino muore nella valle sinistra:Corteccia e legno non servono a nulla;L’uomo senz’amore è come quella pianta:Perché dev’egli vegetare ancora?

Il tizzone al tizzon s’in amma e brucia,Il fuoco nasce ognor da un altro fuoco;L’uomo si scalda all’uom con la parola:Egli evita colui che è senza voce.

Stanze di Odino, poesia islandese (circa 800-1100). 36

Solidarietà

Nessun uomo è un’isola, un tutto, completo in sé; ogni uomo rappresenta un frammento del continente, una parte dell’insieme; se il mare trascina via una zolla di terra, l’Europa (intera) ne è diminuita, come se i utti avessero trascinato via un promontorio, la dimora dei tuoi amici o la tua; la morte di ogni uomo mi diminuisce, perché io appartengo al genere umano; pertanto non domandare mai per chi suona il rintocco della campana: suona per te.

John Donne, 1624, Inghilterra. 37

Dignità altrui Mi è sempre sembrato molto misterioso che un uomo possa sentirsi ono-

rato dell’umiliazione dei suoi simili. Mahâtma Gandhi (1869-1948). 38

Intrepida umiltàLa non-violenza agisce nel modo più misterioso. Accade spesso che le

azioni di un uomo, considerate dal punto di vista della non-violenza, re-spingano ogni analisi; accade spesso anche che le sue azioni rivestano l’ap-parenza della violenza, mentre quest’uomo è assolutamente non violento, in tutta l’estensione del termine, come ci si accorge ulteriormente... Non posso continuare oltre il mio ragionamento. Il linguaggio potrebbe essere solo un mediocre veicolo per la completa espressione del pensiero. Per me, la non-violenza non rappresenta un semplice principio loso co: è la regola e il sof o stesso della mia vita [...]. So di sbagliarmi spesso, persino coscientemente, il più spesso inconsciamente. Si tratta di una questione, non d’intelligenza, ma di cuore. Per essere guidato sulla retta via bisogna costantemente servire Dio, con la più grande umiltà, con abnegazione di se stessi, essendo continuamente pronti a sacri carsi. La pratica della non-

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L’uomo 33

violenza esige una intrepidità e un coraggio in niti. Ho dolorosamente co-scienza dei miei insuccessi.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 39

Discorso sull’amore universale

Il santo il cui compito consiste nel governare il mondo deve sapere donde viene il disordine per poterlo regolare. Non sapendo donde viene il disordine, non può regolarlo. Pertanto, ad esempio, un medico che combatte la malattia di un uomo deve sapere donde viene questa malattia per poterla combattere. Colui che regola il disordine non dovrà allora fare la stessa cosa?

… … …Esaminando donde viene ogni disordine, egli scopre che proviene dal

non-amore reciproco. Così, a esempio, il suddito e il glio non riveriscono il principe e il padre. Ecco ciò che si chiama disordine. Poiché il glio ama se stesso, ma non suo padre. Per questo egli porta pregiudizio a suo padre per il proprio interesse. Il fratello più giovane ama se stesso ma non suo fratello maggiore. Per questo egli porta pregiudizio al fratello maggiore per il proprio interesse. Il suddito ama se stesso ma non il suo principe. Per questo egli porta pregiudizio al suo principe per proprio interesse. Ecco ciò che si chiama disordine.

Allo stesso modo, se il padre non è benevolo verso suo glio, il fratello maggiore verso il minore, il principe verso il suddito, è ciò che si chiama di-sordine. Poiché il padre ama se stesso ma non suo glio. Per questo egli porta pregiudizio a suo glio nel proprio interesse. Il fratello maggiore ama se stes-

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34 Il diritto di essere un uomo

so, ma non suo fratello minore. Per questo egli porta pregiudizio al fratello minore, per proprio interesse. Il principe ama se stesso ma non il suo suddito. Per questo egli porta pregiudizio al suo suddito per interesse proprio. Perché dunque tutto questo? Tutto ciò deriva dal non-amore reciproco.

Accade ugualmente per i ladri e per i banditi. Il ladro ama la sua casa ma non la casa di un altro uomo. Per questo il ladro svaligia la casa di quest’al-tro uomo per il proprio interesse. Il bandito ama se stesso ma non un altro uomo. Per questo egli attacca quest’altro uomo, per il proprio interesse. Perché tutto questo? Tutto ciò deriva dal non-amore reciproco.

Accade la stessa cosa da parte di un alto uf ciale che molesta la famiglia di un altro alto uf ciale, e del principe che invade lo Stato di un altro prin-cipe. Poiché l’alto uf ciale ama la sua famiglia ma non quella di un altro alto uf ciale. Per questo egli infastidisce la famiglia di quest’altro uf ciale per l’interesse della propria famiglia. Il principe ama il suo Stato, ma non un altro Stato. Per questo egli invade quest’altro Stato per l’interesse del proprio Stato. Il disordine del mondo intero non è altro che tutto questo. Esaminando donde viene tutto ciò, si scopre che è colpa del non-amore reciproco.

Se tutti adottano l’amore universale e se ciascuno ama l’altro come se stesso, potranno esservi ancora individui che non sono pii? Poiché consi-derando il padre e il fratello maggiore e il principe come se stesso chi sarà empio verso di loro? Vi saranno persone non benevole? Poiché conside-rando il proprio fratello minore, suo glio e il suo suddito come se stesso, chi sarà malevolo verso di essi? In tal modo empietà e malevolenza non esisteranno più.

Vi saranno ancora dei ladri e dei banditi? Considerando la casa di un al-tro uomo come la propria casa, chi la saccheggerà? Considerando il corpo di un altro uomo come il proprio corpo, chi mai attaccherà un altro uomo? Così i ladri e i banditi non esisteranno più.

Ci sarà mai un alto uf ciale che molesti la famiglia di un altro uf ciale o un principe lo Stato di un altro principe? Considerando la famiglia di un al-tro alto uf ciale, come la propria, chi la molesterà? Considerando un altro Stato come il proprio Stato, chi mai l’invaderà? In tal modo gli alti uf ciali perturbatori e i principi aggressori non esisteranno più.

Se il mondo intero adotta l’amore universale, uno Stato non vale più un altro Stato, una famiglia non molesta più un’altra famiglia, i ladri e i banditi non esistono più, i principi e i sudditi, il padre e il glio osservano il loro dovere di pietà e di benevolenza. Questo stato di cose costituisce il buon ordine nel mondo. Come pensare che il santo, il cui compito consiste nel governare il mondo, non dovrebbe proibire l’odio e incoraggiare l’a-

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L’uomo 35

more, poiché l’amore universale procura ordine e l’odio reciproco conduce al disordine? Pertanto il Maestro Mo-Tzu conclude: “Non si saprebbe non incoraggiare l’amore per gli altri”.

Mo-Tzu (V sec. a.C.), Cina. 40

Ideale dell’educazione azteca Essi incominciarono a insegnar loroCome dovevano vivere,Rispettare gli altri,DedicarsiA ciò che era buono e giusto;Come dovevano evitare il male,Fuggire l’ingiustizia e la sua forza,Evitare la depravazione e la cupidigia.

Tradizione azteca (XV sec.), Messico. 41

Senza principio umanoSe si vive senza principio umano, si è solo immondizia e cenere. Tradizione nahuatl, Messico. 42

Sacri cio Kaab ibn Marna era un Iyadita. Si racconta che egli – con una carovana,

nella quale si trovava un uomo dei Namir ibn Qasit – andò (nel deserto) durante un mese caldissimo d’estate. Essi si smarrirono e fu necessario razionare l’acqua di cui disponevano. Si gettava un sassolino nella coppa, e vi si versava sopra dell’acqua no a coprire il sassolino: questo sasso-lino, lo si chiamava la maqla e ogni uomo beveva così la stessa quantità d’acqua. Essi sedettero quindi per bere. Quando la coppa, spostandosi in circolo, giunse a Kaab, egli vide il Namirita che la guardava avidamente; gli cedette allora la sua razione d’acqua e disse a colui che versava: “Dai da bere al tuo fratello il Namirito”. Questi bevette quindi la razione d’acqua di Kaab. All’indomani, durante la tappa seguente, razionarono ancora l’acqua rimasta. E d anche questa volta il Namirito guardò la coppa con lo stesso sguardo della vigilia, e Kaab ripetè ancora lo stesso gesto. Quando la comi-tiva si mise in marcia, dissero: “Kaab, cammina!”, ma egli non aveva più la forza di alzarsi. Siccome l’acqua non era più molto distante, gli dissero: “Kaab va a cercare l’acqua, è una funzione che svolgi normalmente”; ma egli non ebbe la forza di rispondere. Quando persero ogni speranza a suo riguardo, lo ricopersero con un manto per allontanare da lui le bestie feroci e impedire a esse di divorarlo; lo lasciarono lì, ove egli morì.

Al-Maidani, Madjma’ al-Amthal (inizio XII sec.), Persia. 43

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36 Il diritto di essere un uomo

I doveri categoriciVi sono tre cose per le quali Dio non transige con nessuno: l’affetto ver-

so i genitori, siano essi buoni o cattivi; il tener parola, verso i buoni e verso i cattivi; restituire ciò che è stato af dato in custodia, al buono o al cattivo. Colui che crede in Dio e nel giudizio nale, agisca bene nei riguardi del suo vicino, onori il suo ospite, dica cose buone e sia riconoscente.

Hadith (Detti del Profeta). 44

Generosità nella sventuraHâtim Ibn’Abdallah, della tribù dei Tayy, era un uomo generoso e va-

loroso, vinceva sempre. Quando combatteva usciva dal combattimento vittorioso; quando ammassava del bottino lo regalava agli altri; quando gli si chiedeva qualcosa egli la donava; quando tirava con l’arco vinceva; quando correva in gara con gli altri, arrivava per primo; quando prendeva un prigioniero, lo rilasciava; quando era ricco spendeva per gli altri tutta la sua fortuna. Si racconta che, durante il mese sacro, egli andò alla ricerca di qualcosa di cui aveva bisogno, e quando arrivò nella terra dei Banou Anza, un prigioniero di costoro gli gridò: “O Abu Saffana (cioè: padre di Saffa-na; Saffana era il nome della glioletta di Hâtim), le catene e i pidocchi mi divorano! – La va male per te, rispose Hâtim, non sono tra i miei e non ho nulla con me! mi dai un bel fastidio interpellandomi in tal modo, e non ti si può tuttavia lasciar lì”. Poi discusse del suo riscatto con gli Anaza, e lo comperò da loro, lasciandolo subito libero e rimanendo egli stesso in prigione al suo posto no a che non ritornarono col prezzo del suo riscatto, che egli versò a coloro che lo avevano catturato.

Sua moglie Mâwiya racconta che un’annata di disdetta aveva colpito la loro tribù, eliminandovi ogni specie di bestiame. “Passammo, essa disse, una notte nella fame più dolorosa. Allora Hâtim prese (nostro glio) Adi e io (la nostra gliola) Saffana, e procurammo di distrarli nché si addormentarono. Poi incominciò a chiacchierare con me per

distrarmi e per addormentare anche me. Ebbi pietà di lui, vedendo i suoi sforzi, e cessai di parlargli perché credesse che io dormivo e così dormisse anche lui. “Dormi?”, egli mi domandò più volte. Io non ri-spondevo, ed egli tacque. Guardando dietro la tenda, vide che qualcuno avanzava e alzò la testa. Era una donna, che gli disse: “O Abu Saffa-na, vengo da te da parte di alcuni bambini affamati. Conducimi i tuoi bambini, rispose, e in nome di Dio li rifocillerò”. Allora, racconta sua moglie, mi alzai rapidamente e gli domandai: “Con che cosa, Hâtim? Ahimè, i tuoi stessi glioli affamati non si sono addormentati se non a forza di parole!”. Egli andò verso il suo cavallo, lo scannò, poi accese

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un fuoco e diede un coltello a questa donna, dicendole: “Fa’cuocere questa carne, e mangia, e dà da mangiare ai tuoi gli”. Poi rivolgendosi a me: “Risveglia i tuo i gli”. Li risvegliai, ma egli aggiunse: “Per Dio, sarebbe una vergogna che voi mangiaste mentre gli altri membri del clan, che si trovano nelle stesse condizioni vostre, non hanno nulla”. Egli andò allora di tenda in tenda, annunciando alle persone del clan: “Recatevi presso il fuoco”. Essi si radunarono e mangiarono, mentre egli si coprì delle sue vestimenta e si sedette in disparte e ben presto non restò per terra il più piccolo pezzo del cavallo.

Al-Maidani, Madjma’al-Amthal (inizio XII sec.), Persia. 45

Anche se dovessi perderti, salva il tuo compagno.Proverbio russo. 46

Uno stupidoPagnka s’ingaggiò come pastore presso alcuni Tartari della steppa: egli

conduceva al pascolo le loro mandrie di cavalli. Errò così durante parecchi anni in qualche località al di là di Penza, ai

con ni del deserto di Rynn-Peski, ove regnava da padrone un uomo molto ricco, Khan-Djangar. Quando veniva a vendere i suoi cavalli a Sura, questo Khan-Djangar si comportava modestamente, ma quando si trovava nelle sue steppe, faceva assolutamente tutto ciò che voleva, mandando gli uni al supplizio, ricompensando gli altri secondo quanto gli saltava per la testa.

Era impossibile controllare i suoi modi di fare in questo paese selvaggio e lontano dai centri abitati. Tuttavia Khan-Djangar aveva dei nemici; uno di questi, un certo Khabibula, attaccava continuamente le sue mandrie e rubava i più bei cavalli. Le genti di Khan-Djangar non riuscivano a impa-dronirsi di lui. Un giorno tuttavia vi fu una grande battaglia fra i Tartari; Khabibula, ferito, venne fatto prigioniero. Ora Khan-Djangar doveva an-dare a Penza e non aveva il tempo di giudicare Khabibula e di condannarlo a qualche spaventoso supplizio perché servisse di esempio agli altri ladri di cavalli.

Avendo fretta di recarsi alla era di Penza e temendo anche di farsi ve-dere con Khabibula in una regione ove le autorità russe si sarebbero im-mischiate dei suoi affari, Khan-Djangar decise di lasciare Khabibula ferito e incatenato presso una magra sorgente, af dandolo alla guardia Pagnka. Diede a costui della farina, un otre e gli disse in tono severo:

“Custodisci quest’uomo come la tua anima! Hai capito?”. Pagnka rispose: “Non è dif cile. Capisco e farò esattamente come tu mi hai detto”.

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38 Il diritto di essere un uomo

Khan-Djangar e il suo seguito partirono al galoppo. Allora Pagnka disse a Khabibula:

“Ecco dove ti hanno condotto i tuoi furti! Sei forte e coraggioso, ma hai impiegato la tua forza a fare del male e non del bene. Faresti meglio a correggerti”.

E Khabibula rispose: “Se non mi sono corretto n qui, oggi è troppo tardi, non ne ho il tempo.

– Non ne hai il tempo? Perché? La cosa principale è di voler sincera-mente correggersi, il resto verrà da sé [...]. Hai in te un’anima come tutti gli uomini; abbandona il male e Dio ti aiuterà subito a fare il bene, e allora tutto andrà benissimo”.

Khabibula lo ascolta e sospira: “No, disse, non è il momento di pensare a questo.

– Perché non è il momento?– Perché sono incatenato e aspetto la morte. – E io ti lascerò partire”. Khabibula non credette alle sue orecchie, ma

Pagnka gli sorrise dolcemente e gli disse: “Non scherzo, ti dico la verità. Khan-Djangar mi ha raccomandato di

custodirti “come l’anima mia”; ora sai come si deve custodire la propria anima? Non bisogna averne pietà, fratello! Bisogna che essa soffra per altri. È appunto di questo che io ho bisogno, perché non posso sopportare che si tormentino gli altri. Ti toglierò le tue catene e ti siederò sul cavallo. Vattene, salvati ove vuoi; ma se ricominci a fare il male, non avrai mentito a me, ma a Dio”.

Avendo parlato così, Pagnka spezzò le catene di Khabibula, lo fece sa-lire in sella e gli disse: “Va in pace dove vuoi”. Egli stesso rimase lì ad attendere Khan-Djangar. Attese a lungo. Quando l’altro arrivò con i suoi Tartari la sorgente si era prosciugata e non vi era quasi più acqua nell’otre... Khan-Djangar guardò a destra e a sinistra e domandò a Pagnka: “Dove è dunque Khabibula?”. Pagnka rispose: “L’ho lasciato partire”. “Come mai? Ma cosa mi dici dunque?” “Ti dico che ho agito secondo il tuo ordine e se-condo la mia volontà. Tu mi hai ordinato di custodirlo come la mia anima; ora amo a tal punto la mia anima che voglio soffra per altri... Tu pretendevi far perire Khabibula nei supplizi, ma io non sopporto che si tormentino gli altri... Prendi dunque me e tormenta me al suo posto, af nché la mia anima sia felice e libera da ogni terrore, poiché non ti temo affatto, né te né altri”.

Khan-Djangar sgranò gli occhi, si grattò la testa, poi disse a coloro che gli stavano d’attorno: “Avvicinatevi tutti e vi dirò ciò che penso”. I Tartari circondarono Khan-Djangar ed egli disse loro a bassa voce: “Penso che non si possa far morire Pagnka, poiché mi sembra che un angelo abiti in lui”. -

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L’uomo 39

Sì, risposero a bassa voce i Tartari, non possiamo fargli del male: da molto tempo egli è con noi, ma noi non lo comprendevamo: ora, tutto in un istante, egli è diventato chiaro per noi. Può darsi benissimo ch’egli sia un giusto”.

Nikolaj Leskov (1831-1895), Lady Macbeth del distretto di Mcensk, tra-dotto dal russo. 47

Il lebbroso e la donna avara Il lebbroso uscì un giorno dalla foresta con i suoi cani; ritornava dalla

caccia. Il calore lo s niva. Egli disse fra sé: “Andrò nel campo delle arachi-di ove lavorano le donne; se esse non acconsentono a darmi delle arachidi, potrò chiedere loro almeno dell’acqua: questa spero me la daranno”.

Varcò quindi il con ne del bosco e arrivò al primo campo; domandò a una donna: “Donna, dammi dell’acqua, perché io possa placare la mia sete!”.

La donna rispose: “Eh!... Tu, un lebbroso... darti della mia acqua? No, no, no!... dell’acqua? non ne ho. Cosa! io darti dell’acqua! Come! tu berre-sti nella mia zucca! Devi solo bere nelle tue mani!”.

“Non mi dai dell’acqua, buona mamma, riprese l’altro, versane allora almeno un poco in una foglia!”.

La donna non si commuove: “Non ho acqua da darti!”. Una donna che lavorava all’altra estremità del campo e aveva udito il

colloquio, chiamò il lebbroso e gli disse: “Vieni a bere dalla mia zucca!”. Ma egli rispose: “No, non voglio far questo; versami dell’acqua nel cavo della mia mano: berrò così”.

La donna insistette: “Bevi alla zucca, brav’uomo!”. Quando ebbe be-vuto, ella aggiunse: “I tuoi cani hanno sete, fa bere anche loro!”. Quando l’uomo si sentì dissetato, sospirò: “Basta, o donna, ti ringrazio”, e batté le mani per salutarla. Essa gli diede ancora dell’acqua e un cesto di arachidi. L’uomo allora tirò fuori un pezzo di selvaggina e gliela presentò.

Ma prendendo la selvaggina, ella fu presa da spavento. Il lebbroso allora disse: “Non temere, o donna, va a mangiare questa carne nel villaggio; la lebbra non potrà infettarti... Quanto a quella donna che mi ha ri utato l’ac-qua, dimmi il nome del suo clan”.

La donna gli rispose: “Il suo nome: Ba Ki nti ndumbu nkasa mayala”. Allora, grattandosi la testa, il lebbroso riprese a dire: “Ebbene, la gente

di questo clan abbia dei gli, e questi si moltiplichino, ma, poiché mi hanno ri utato un po’d’acqua, qualunque selvaggina screziata, antilope dal pelo striato, avranno occasione di mangiare darà loro la lebbra. Si guardino i anchi, la lebbra li avrà colpiti: essi, i loro gli e i nipoti dei loro nipoti.

Così avvenga, ho detto!”.

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40 Il diritto di essere un uomo

Dopo aver detto queste parole partì. Nel villaggio di queste donne, il tempo per dormire seguì quello per mangiare. Gli uomini uccisero un’anti-lope dal pelo striato; la spelarono e se la divisero. Un pezzo fu dato anche alla donna dal cuore duro. Essa lo fece arrostire, lo mangiò e quindi se ne andò a letto.

Al mattino, risvegliandosi, scorse che tutto il suo corpo era ricoperto con le pustole della lebbra, che l’aveva ricoperta dalla testa ai piedi. Suo marito le domandò: “Ebbene, che hai tu dunque?”. “Queste pustole, rispose essa, non so cosa sono. Mi sono venute questa notte”.

Il marito soggiunse: “Non ne capisco nulla di questa storia. Ieri mia moglie ritornò dai campi, entrò in casa ed era assolutamente sana. Questa notte abbiamo dormito in casa nostra ed ecco che ora essa ha il corpo tutto coperto di pustole! Voglio andare a consultare lo stregone per capire il si-gni cato di quest’affare”.

Mentre parlava così, una donna, che si trovava in un’altra capanna, gri-dò: “Vieni, te lo spiegherò io!”.

Il marito andò da lei. La donna gli disse: “Tu, brav’uomo, dici: vado a consultare lo stregone, ma questa storia è molto chiara”. Il marito rispose: “Ebbene, o donna, racconta! sei andata nei campi con lei, che cosa hai dunque visto?”.

La donna parlò in questi termini: “Sì, l’altro ieri, eravamo andati nei campi di arachidi. Giunti presso l’ac-

qua, avevamo anzitutto riempite le nostre zucche: io la mia, lei la sua, e i bambini le loro. Fatto ciò, ci siamo recati nei campi di arachidi e abbiamo incominciato la raccolta. Mentre eravamo intenti a compiere questo lavo-ro – era mezzogiorno – abbiamo visto arrivare un uomo con il fucile e il carniere, accompagnato dai suoi cani. Dapprima si fermò all’estremità del campo della mia compagna e le domandò da bere: “Oh, brava donna!, le disse, vieni qui, dammi un po’di acqua, brava mamma, perché io beva!”. Ed ecco che la mia compagna le rispose: “Eh! A te con il tuo brutto corpo! Sei completamente coperto di lebbra! E io dovrei darti la mia acqua! Non ho affatto acqua da darti”. Allora l’uomo cominciò a supplicarla: “Ebbe-ne, metti un po’d’acqua in questa foglia!”. La mia compagna allora gridò: “Vattene di qui! È stata forse la gente del mio clan, i Ba Ki nti ndumbu nkasa Mayala che ti hanno ordinato di venire qui?”.

Udendo ciò ho chiamato il lebbroso e gli ho detto: “Vieni qui, mio bravo vecchietto; vieni a bere alla mia zucca, essa è lì!”. Egli arrivò e presentò il cavo delle sue mani: “Versa qui dentro, perché io beva!”. Ma io non vole-vo: “Bevi alla mia zucca, mio bravo vecchietto! Forse che la lebbra si at-taccherebbe per questo alla mia zucca? Ma no, vero?”. Dopo che egli ebbe

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bevuto, ho dato da bere anche ai suoi cani. Poi ho riempito completamente un cesto di arachidi e gliel’ho dato. Allora egli ha avvicinato la mano al suo carniere e ne ha tratto un grosso pezzo di carne che mi ha offerto dicendo-mi: “Prendilo e mangia questa carne; non aver paura, la lebbra non potrà infettarti... Ma riguardo a quella donna che mi ha ri utato l’acqua da bere, dimmi il nome del suo clan! Dimmelo! Qual è?”. “Il nome del suo clan?, gli ho risposto, sono i Ba Ki nti ndumbu nkasa Ma yala”. Udendo queste parole, egli si è grattato la testa e l’ha stregata: “Ebbene, poiché la gente del clan di Ba Ki nti ndumbu nkasa Mayala mi ha ri utato dell’acqua, abbiano gli, si moltiplichino; ogni selvaggina screziata, antilope dal pelo striato,

– se ne mangeranno – darà loro la lebbra, sia che si tratti di antilope nkai o dell’antilope nsombi. Se ne mangeranno, si guardino i anchi, la lebbra li avrà colpiti: essi, i loro gli e i nipoti dei loro nipoti. Avvenga ciò, ho detto!”. Detto questo se ne partì. In seguito abbiamo raccolto le arachidi, le abbiamo messe nei nostri cesti e siamo ritornati al villaggio. Era sul far della sera. Giunto al villaggio, ho voluto raccontarti questa storia, ma l’a-vevo dimenticata. Ieri avete ucciso quest’antilope, e l’avete divisa con gli altri; lei ne ha mangiato?”.

Il marito rispose: “Certo che ne ha mangiato! Dopo che ne ebbe mangia-to, siamo andati a dormire. Al mattino, svegliandoci, ecco che d’improvvi-so vedo che ha tutto il corpo coperto delle pustole della lebbra”.

La donna replicò: “Poiché questa maledizione è stata lanciata dal leb-broso, vuoi andare a sprecare inutilmente il tuo denaro dallo stregone? Questa storia è così chiara... che cosa vuoi di più?”.

Il marito rimase lì senza parole. Quanto alla donna che aveva meritato questo castigo, ogni giorno, essa

si rivedeva coperta dalla lebbra! questa le infestava tutto il corpo. Avvenne così che tutti coloro che nascevano da quel clan contraevano la lebbra ogni volta che mangiavano della selvaggina screziata: sorci, antilopi dal pelo striato.

È per questo che la spaventosa lebbra si accanisce contro quel clan: per-ché una volta hanno ri utato dell’acqua al lebbroso.

Tradizione orale bakongo, Congo. 48

Se allevi un serpente, è su di te che imparerà a mordere.Proverbio sudanese, Africa. 49

Gli uomini sono due mani sporche. L’una si lava solo con l’altra. Proverbio peulh, Africa. 50

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42 Il diritto di essere un uomo

Quando la barba del tuo vicino prende fuoco, bagna la tua. (I mezzi con i quali vuoi aumentare la disgrazia del tuo prossimo rischiano di in iggerti la stessa disgrazia).

Proverbio sonraï, Africa. 51

Se un uomo ti offre del veleno, tu offrigli del burro. Proverbio somalo. 52

Marito e moglie = La legge e il governo. Proverbio amarico, Etiopia. 53

Se si parla male del tuo amico,ascolta ciò che vien detto come se si trattasse di te.Proverbio amarico, Etiopia. 54

L’uomo ripone la sua speranza nell’uomo. Proverbio rumeno. 55

Giusti rapporti umani Epistola ai fedeli di Praga (10 giugno 1415)Prego i padroni di trattare i loro dipendenti con benevolenza e di am-

ministrarli con equità. Prego la gente della città di trattare i loro affari con onestà. Prego gli artigiani di servire i loro padroni e le loro padrone con fedeltà. Prego i padroni che già conducono una vita giusta, di educare i loro apprendisti con rettitudine, insegnando loro prima di tutto ad amare Dio, a istruirsi per la Sua gloria, per il bene della comunità e per la loro propria salvezza; a non accumulare troppi beni terrestri, a non ricercare gli onori del mondo. Prego gli studenti e gli apprendisti di ascoltare i loro maestri e di seguirli nel bene e di accogliere con diligenza gli insegnamenti degli altri per la gloria di Dio e per la propria salvezza.

Vi prego anche di amarvi gli uni gli altri, di non lasciar opprimere i buo-ni e di ricercare la giustizia per tutti.

Jan Hus (1369-1415). 56

Rivoluzione francese Se gli uomini volessero vedere in sé solo dei mezzi reciproci di felicità,

potrebbero occupare in pace la terra, loro comune abitatrice, e avanzereb-bero insieme con sicurezza verso il loro ne comune.

Se essi si considerano ostacoli gli uni agli altri, ben presto non reste-rà loro che la scelta tra fuggire o combattere continuamente. La specie

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L’uomo 43

umana viene pertanto considerata solo più come un grande errore della natura.

Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789. 57

Se essi si considerano ostacoli gli uni agli altri, ben presto non resterà loro che la scelta tra fuggire o combattere continuamente. La specie umana viene pertanto considerata solo più come un grande er-rore della natura.

Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789. 58

Valore di ogni vita. Rispetto e protezione della persona umana

Sospensione del giudizio morale Ecco quello che io ti chiedo, o Signore, rispondimi bene:Chi, di coloro ai quali mi rivolgo è giusto e chi è cattivo?Quale dei due: sono io che sono cattivo,Oppure il cattivo è colui che, malvagio, vuole allontanarmi dalla tua salvezza?Come non pensare che il cattivo sia lui?Ecco quel che io domando, o Signore, rispondimi bene:(Come) ci libereremo dal maleAddossandolo a coloro che, pieni di indisciplina,Non cercano di seguire la GiustiziaE non si preoccupano di consultare il Buon Consiglio?

Avesta, Gâthâ di Zarathustra (anteriore al IV sec. a.C.), Persia. 59

Protezione Il saggio domanda allo Spirito di saggezza: “Chi è che merita maggior-

mente riguardi e protezione?”. Lo Spirito di saggezza gli risponde: “Un giovane servitore, una sposa,

una bestia da soma e un fuoco sono quelli che meritano maggiori riguardi e protezione”.

Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec.), periodo sassanide, Persia. 60

Presenza nel mondo Il trentaquattresimo quesito era questo: Il mondo materiale si trasfor-

merà senza l’uomo, in modo che non sussisterà più nulla di corporeo dopo di che avrà luogo la resurrezione, oppure come si svolgeranno le cose?

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44 Il diritto di essere un uomo

Ecco la risposta: Dalla creazione no alla rinnovazione puri catrice, l’uomo non è mai stato e non sarà mai assente dal mondo. Il compimento di questo cattivo desiderio sarà ri utato allo spirito del male.

Dâdistân î Dînîg (IX sec.), trattato teologico, Persia. 61

Umanità virtuale Non si può parlare dei diritti dell’uomo senza parlare dei doveri dell’uo-

mo; gli uni si riferiscono agli altri e, per i due insieme, cerchiamo una parola.

Succede lo stesso per la dignità umana e per l’amore degli uomini. Il ge-nere umano, quale è oggi, e sarà senza dubbio per molto tempo ancora, non possiede per la sua maggior parte alcuna dignità e merita più compassione che venerazione, ma deve essere innalzato all’altezza della vera natura del-la specie, di ciò che costituisce il suo valore e la sua dignità [...].

È l’umanità che caratterizza la nostra specie: essa non è in noi che una virtualità nativa e deve essere adeguatamente coltivata. Non la portiamo bell’e fatta venendo al mondo; deve diventare lo scopo dei nostri sforzi terrestri, la somma delle nostre attività, il nostro valore [...]. Anche ciò che vi è di divino nella specie risulta dall’aver coltivato l’umanità in noi [...]. Questa cultura (dell’umano) è un’opera da perseguire senza ne e senza sosta, altrimenti affonderemo, grandi e piccoli, nella bestialità e nella bru-talità primitive.

Johann Gottfried von Herder, Del progresso dell’umanità (lettera), 1796, Germania. 62

Voglio l’uomo completo, spontaneo, individuale, perché si sottometta in qualità d’uomo all’interesse generale. Lo voglio padrone di se stesso af nché sia meglio il servo di tutti.

Alexandre Vinet (1797-1847), Svizzera. 63

Prezzo della vita Colui che ha ucciso un uomo che non ha commesso né crimine, né pec-

cato grave di fronte alla terra, questi ha ucciso l’umanità intera. (Colui) che ha salvato la vita di un uomo, questi ha salvato la vita dell’intera umanità.

Corano, Al-Maïda, 32. 64

Se due gruppi di fedeli si fanno la guerra, procurate di condurli alla riconciliazione. Ma se avete visto quale dei due ha attaccato l’altro, allora combattete no a che esso si pieghi alla legge di Dio.

Corano, Al-Hojorat, 9. 65

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L’uomo 45

Se due musulmani si affrontano col ferro in mano, sia quello che avrà ucciso, che quello che sarà stato ucciso, andranno tutti e due all’inferno (letteralmente: nel fuoco). “O Inviato di Dio, fu chiesto al Profeta, la vit-tima avrà dunque la medesima sorte del suo assassino?”. Ed egli rispose: “Non aveva essa deciso di uccidere il suo avversario?”

Hadith (Detti del Profeta). 66

Colui che si getta dall’alto di un monte e mette così ne ai suoi gior-ni verrà precipitato nelle amme dell’inferno e vi dimorerà in eterno. Colui che inghiotte il veleno e mette così ne ai suoi giorni nel fuoco dell’inferno avrà costantemente nella sua mano un veleno che dovrà bere in eterno. Colui che a mezzo del ferro avrà messo ne ai suoi giorni nel fuoco dell’inferno affonderà in eterno con le proprie mani questo ferro nel suo ventre.

Hadith (Detti del Profeta). 67

Tu, o Varuna, tu sei il re di tutti gli dei, o Asura, e di tutti i mortali. Ac-cordaci cento autunni perché possiamo vedere il mondo nella sua diversità. Che ci sia dato di raggiungere l’età avanzata, ssata da molto tempo!

Rigveda, II (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 68

Prosperità per nostra madre e per nostro padre! Prosperità per il bestia-me, per tutto quanto si muove e per tutte le genti (della casa)! Che tutto sia ben disposto e pro ttevole per noi! Che ci sia dato di vedere per molto tempo il sole!

Atharvaveda, I (2000-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 69

Noi preghiamo per la vita e preghiamo per la grazia; Che la cecità ci sia risparmiata durante il giorno, Che l’impotenza ci sia risparmiata durante la notte. Ci sia dato di conoscere la fortuna di avere dei gli, E possa ciò che piantiamo portare frutti. Che la pace regni nel mondo, E che la prosperità Regni nel nostro paese.

Tradizione akan, Ghana. 70

Solo l’uomo conta Solo l’uomo conta; mi rivolgo all’oro ed esso non risponde; mi rivolgo

alla stoffa ed essa non risponde; solo l’uomo conta.

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46 Il diritto di essere un uomo

Egli non mira ad altro che a se stesso L’uomo non è una noce di palma: egli non ha alcuna ragione di essere

incentrato su se stesso.

Limitazione L’uomo è chiamato a interpretare solo un ruolo parziale nel dramma

della vita, e non tutti i ruoli.

NumeroPersino i morti cercano incessantemente di accrescere il loro numero. E

perché i vivi non dovrebbero fare di più?

Coscienza Puoi non vederti crescere, ma sai certamente quando commetti il

peccato.

Difesa del debole Statura o forza non devono servire per opprimere. Proverbi akan, Ghana. 71

Generosità Colui che ama i bambini del suo simile amerà certamente i propri gli.La questione di sapere se la tribù deve trattare un’altra tribù con tolle-

ranza può essere sollevata durante l’assemblea. Se i pareri sembrano divi-dersi, i partigiani della tolleranza possono citare il proverbio per sostenere la causa dell’indulgenza.

Taluno potrà sollevare delle vivaci obiezioni se dei membri di un’altra tribù vengono a cacciare nelle foreste che appartengono alla loro tribù. Se qualcuno giudica che l’obiezione manca di generosità, citerà il proverbio.

Proverbio jabo, Liberia. 72

Parentela delle creature Tutto questo sarebbe da dirsi, se vi è un certo rispetto che ci unisce e un

generale dovere di umanità, che ci lega non solo alle bestie, che hanno vita e sentimento, ma anche agli alberi e alle erbe. Noi dobbiamo la giustizia agli uomini, la grazia e la benignità alle altre creature che possono esserne capaci. Esiste qualche relazione tra loro e noi, e qualche mutua obbliga-zione.

Michel de Montaigne, Essais. 73

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L’uomo 47

Compassione L’uomo di questo mondo, anche il più ambizioso, se è nato umano e

compassionevole, non vede senza dolore il male che gli dei gli risparmia-no; anche se fosse poco soddisfatto della sua fortuna, non crede ancora tuttavia di meritarla, quando vede delle miserie più commoventi della sua; quasi fosse una colpa che vi siano altri uomini meno felici di lui, la sua generosità lo accusa in segreto di tutte le calamità del genere umano, e il sentimento dei suoi propri mali non fa che aumentare la pietà di cui i mali altrui lo compenetrano.

Luc de Vauvenargues, Ri essioni e massime, 1746. Francia. 74

Valore di tutto ciò che vive Il malfattore distrugge tutto ciò che è giovane e nge di ignorare l’av-

venire. Tutti questi galli che cantano, solo ieri erano ancora delle uova. Colei che ha messo al mondo un mostro è obbligata ad allattarlo. Non è il caso di trattare questo come un bambino e quello come uno

scarto. Lo storpio vale meglio di un morto. Innaf a tutte le piante, poiché non sai quale porterà dei frutti prima delle

altre.

Af ittiBisogna consolare gli af itti prima di condividere le loro gioie. Proverbi del Burundi. 75

Ospite Da noi in Russia, colui che viene a visitarci è il primo a essere servito. Proverbio russo. 76

Contro il disprezzo Grossa-Mazza, uomo sinceroC’era un pover’uomo che sfortunatamente aveva avuto un glio defor-

me. Egli lo chiamò “Grossa-Mazza”, a causa delle sue gambe e delle sue braccia incollate al ventre.

Quando questo glio crebbe, tutti ne ebbero orrore. Allora il giovane si ritirò nella foresta e vi condusse una vita di solitario. Di che cosa viveva? Solo di caccia. Era tuttavia di un’intelligenza superiore. Un giorno che era andato a caccia, venne a trovarsi faccia a faccia con un bufalo che minacciava di ucciderlo. Riuscì a deviarlo da questo disegno e gli propose

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48 Il diritto di essere un uomo

di vivere con lui in pace: “Non uccidermi, gli disse, e viviamo piuttosto insieme nella più grande amicizia. Portami un’antilope e ti salverò quando sarai nella miseria”. Il bufalo accettò la proposta.

Poco tempo dopo nel paese venne a mancare l’acqua. Tutti i torrenti si prosciugarono. Cercando dell’acqua nella foresta, la gente incontrò l’uo-mo deforme. “Uccidiamolo, dissero, è lui che impedisce alla pioggia di cadere, è un mostro, è uno iettatore”. Egli li supplicò di lasciargli la vita e promise loro di portare dell’acqua dal lago Tanganyika. Grossa-Mazza manteneva sempre la parola. Gli lasciarono la vita per vedere se avrebbe adempiuto la promessa ed egli si avviò nella direzione del lago Tanganyi-ka. Non lungi di lì si trovò in faccia al suo amico bufalo che cercava da bere. “Ricordati della tua promessa, disse il bufalo. Adesso io ho bisogno di acqua”. “Lasciami la vita per una seconda volta, rispose Grossa-Maz-za, e io ti porterò dell’acqua dal lago Tanganyika”. “Tu menti, replicò il bufalo, farei meglio a divorarti e mi avresti almeno reso servizio prima che io muoia di sete. Non ti credo capace di far arrivare dell’acqua n qui, poiché incontrerai delle bestie feroci che ti divoreranno”. Grossa-Mazza giurò di mantenere la sua promessa se avesse avuto la vita salva. Il bufalo lo lasciò partire. Qualche istante dopo, egli incontrò un leone: “Dove vai dunque?, gli disse il re degli animali. Io sono il re di questa foresta; ora ti divorerò, poiché sei tu che spontaneamente ti presenti a me”. “Sire, disse Grossa-Mazza, lasciami partire per il lago Tanganyika e al mio ritorno ti darò una grossa bestia da mangiare”. “Tu m’imbrogli, re-plicò il leone, come potresti tu acchiappare una grossa bestia? Non potrai mai strappare l’acqua del Tanganyika al coccodrillo che ne è il padrone incontestato. Egli ti divorerà. Ti mangerò quindi io prima di lui”. Grossa-Mazza dichiarò solennemente che avrebbe portato e l’acqua e la grossa bestia. Il leone lo lasciò partire.

Il nostro avventuriero continuò la sua strada e, mentre camminava, in-trecciava una grossa corda e procurava di non incontrare altre bestie feroci. Raggiunse così il lago Tanganyika.

Appena cominciò a prendere dell’acqua, un coccodrillo saltò su di lui: “Chi ti ha autorizzato, gli disse, a prendere quest’acqua di cui io sono il padrone incontestato? Ora ti divorerò; hai fatto bene a presentarti a me, avevo giusto fame”. Grossa-Mazza lo supplicò di risparmiargli la vita e di lasciarlo attingere l’acqua del lago. In contraccambio gli avrebbe dato una bestia grossa e grassa.

Fuori dell’acqua, Grossa-Mazza si rivolse al coccodrillo: “Ora sappi che io sono Grossa-Mazza, uomo che dice la verità e che mantiene le sue pro-messe. Prendi adesso questa corda. Se senti che la tiro, ciò vorrà dire che

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avrò già legato con la corda la bestia che ti ho promesso. Allora tu la tirerai con tutte le tue forze no a che la bestia arrivi vicino a te”. Il coccodrillo lo ringraziò vivamente e lo lasciò partire.

Il leone lo aspettava al luogo indicato. Grossa-Mazza si presentò e gli disse: “Sono riuscito ad avere l’acqua”. “Me ne rallegro con te, rispose il leone; e la mia bestia dov’è?”. “Non preoccuparti, rispose Grossa-Mazza: prendi questa corda e tirala quanto più potrai, perché vi ho lasciato l’anima-le legato. Tira con forza, no a che l’animale arrivi presso di te”.

Il leone incominciò a tirare e si accorse che aveva a che fare con una bestia molto grossa. Impiegò tutte le sue forze, sognando fra sé: “In verità, Grossa-Mazza non mi ha imbrogliato”. E più tirava, più si sentiva tirato a sua volta: era il coccodrillo (che dall’altro Capo) tirava la sua preda. Si stabilì un duro combattimento tra i due animali. Non ci fu né vincitore né vinto, perché i due animali si ammazzarono a vicenda.

Tuttavia Grossa-Mazza portava dell’acqua, prima al bufalo e poi alla gente. Saziata la sete, la pioggia cominciò a cadere su tutto il paese. I tor-renti rigurgitarono d’acqua, la gente e le bestie poterono avere l’acqua in abbondanza.

Alla vista di questo bene cio, la gente rimpianse di aver disprezzato Grossa-Mazza, di averlo cacciato nella foresta e, ciò che era stato peggio, di aver voluto ucciderlo. lo accettarono nella loro società, gli costruirono un bel palazzo, lo proclamarono re della loro nazione e gli diedero una regina. Così Grossa-Mazza, uomo sincero e fedele alla sua promessa, poté guadagnarsi la ducia della gente, per quanto fosse un mostro.

Favola del Burundi. 77

Diritto alla vitaUna brocca diventata regina.Vi era un uomo che aveva avuto dodici gli. Dopo solo qualche istan-

te di vita, erano morti tutti. In ne, venne al mondo un tredicesimo glio. Invece di un bambino normale per consolare gli infelici genitori fu una delusione straziante e quanto mai dolorosa. Pensate! Una brocca viva ve-nuta al mondo invece di un meraviglioso bambino! Che orrore! I genitori non sapevano più che cosa fare. Questa brocca non poteva essere che un porta sfortuna. I genitori decisero di allontanarla per sfuggire così a questa disgrazia.

L’intera famiglia, padre, madre, nonno, nonna, domestici, abbandonano la casa in tutta fretta lasciandovi quel mostro così indesiderabile e nefasto.

Ma erano appena usciti che la brocca li seguì rotolando e gridando loro: “Padre della brocca, aspetta la tua brocca”. A queste grida, essi si misero a

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correre in gran fretta e riuscirono ad allontanarsi da lei. Disgraziatamente una pioggia torrenziale si abbatté sui fuggitivi. La povera brocca venne travolta dalla corrente e scagliata nella vicina foresta, mentre la famiglia si riparava in una casa non lontana. La pioggia cessò. La famiglia continuò la sua strada e arrivò in un altro paese. Credendosi liberata per sempre da quel mostro terri cante, domandò asilo al principe della regione. Questi le offrì un eccellente terreno perché vi si stabilissero.

Dopo molti anni, il principe organizzò una partita di caccia. Si diresse verso la foresta, ove la misteriosa brocca era stata trasportata dalle acque. Alla ricerca di una selvaggina, scoprì d’un tratto la brocca abbandonata. Trovandola bellissima, ordinò di prenderla per ornare il suo palazzo. La brocca venne collocata sulla scansia degli utensili.

Accadde allora una sorpresa che nessuno si aspettava. Ogni volta che il principe si alzava e usciva per sbrigare i suoi affari, una graziosa fanciulla usciva dalla brocca, si metteva a spazzare e a pulire il palazzo, lavava gli uten-sili e curava decorazioni d’erba della scansia. Quando tutto era in ordine, essa ritornava a rinchiudersi nella sua brocca. Quando le serve venivano per com-piere il proprio lavoro, lo trovavano già terminato. Siccome ciò si ripeteva tutti i giorni, esse raccontarono la notizia al principe, che la trovò misteriosa.

Un giorno il principe si nascose dietro al canneto e volle vedere che cosa era all’origine di quel mistero. Vide allora una fanciulla uscire dalla brocca, mettersi a scopare e a pulire il palazzo, lavare gli utensili e sistemare ogni cosa al suo posto. Appro ttando di un momento in cui essa si curvava per raccogliere l’immondizia, l’afferrò e le disse. “Esci dal regno dei morti e vie-ni in quello dei vivi”. Da quel momento essa diventò la sua sposa. Un giorno ebbe l’occasione di vedere alcuni membri della sua famiglia venire a corte e pregò il principe di far venire questa gente nel palazzo. La principessa si nascose di nuovo nella brocca e gridò: “Padre e madre della brocca, nonno e nonna della brocca, aspettate la vostra brocca...”. Poi essa uscì dalla brocca e rivolse loro queste parole: “Non abbandonate mai il vostro rampollo, è un essere umano, che deve essere trattato e curato come tutti gli altri”.

Spaventati da queste parole, i genitori si ricordarono che era la brocca che essi avevano generato.

Favola del Burundi. 78

L’aiuto ai deboli All’epoca di Urwa ibn al-Ward (poeta e cavaliere della “Diahiliyya”,

periodo islamico) quando sopraggiungeva un’annata di disgrazie, si ab-bandonavano a casa gli ammalati, i vecchi e i deboli. Ora ‘Urwa, in quei frangenti, radunava la gente che non apparteneva alla sua famiglia e si

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industriava a scavare dei canaletti attorno alle loro tende, a costruire per loro dei recinti e a vestirle. Coloro che ne avevano la forza, gli ammalati in via di guarigione, i deboli già convalescenti, li conduceva con sé nelle sue spedizioni, e divideva con essi il bottino che era rimasto indietro. Quando il periodo di carestia era terminato, la gente aveva del latte in abbondanza e la cattiva annata era passata, riconduceva ognuno (dei suoi protetti) alla propria famiglia, dandogli la sua parte del bottino, se un bottino era stato preso. Accadde così più volte che uno di questi uomini, ritornando nella sua famiglia, era diventato ricco. È per questo che ‘Urwa venne chiamato “‘Urwa della povera gente”.

Abu al-Faraj Al-Isfahani, Kitâb al-Aghâni (Racconti sull’epoca preisla-mica), X sec. 79

La vera pietà La vera pietà non consiste nel volgere i vostri visi a Oriente e a Occi-

dente. Veramente pio è colui che crede in Dio e nel Giorno del Giudizio, agli Angeli, alla Scrittura e ai Profeti; colui che, per amor di Dio, dà ciò che possiede al suo prossimo e agli orfani, ai poveri e ai viaggiatori, ai men-dicanti e per la liberazione degli schiavi; colui che recita la preghiera e fa l’elemosina; coloro che mantengono i loro impegni quando si impegnano di fare qualcosa, che sono costanti nella disgrazia e al momento del perico-lo: costoro sono quelli che hanno la fede e sono i pii.

Corano, Al-Baqara, 177. 80

E soprattutto non dimenticate i poveri, ma, nché siete in grado di farlo, nutriteli e venite in aiuto all’orfano e giudicate personalmente la vedova; non permettete ai potenti di far perire un uomo. Non mettete a morte né il giusto né il colpevole di morte, non causate la perdita di un’anima.

Vladimir Monomaco (1053-1125), granduca di Kiev, Disposizioni per i suoi gli. 81

Uguale dignità dei vecchi e dei giovani, dei ricchi e dei poveri Al vecchio non è stata ritirata l’anima; al giovane non la si è messa sotto

sigillo. Il giovane lavora con le sue mani, il vecchio con la testa. Anche nell’Orda i vecchi sono rispettati. (cioè presso i Tartari-Mongoli:

ricordo del giogo mongolo). Non offendete il pezzente, anch’egli ha un’anima. Proverbi russi. 82

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Rispetto dovuto allo straniero Ovunque andiate, ovunque soggiorniate, date da bere e da mangiare al

povero e al viaggiatore, e soprattutto onorate lo straniero di qualsiasi pro-venienza, sia che si tratti di un uomo semplice o di buona famiglia o am-basciatore.

Vladimir Monomaco (1053-1125), granduca di Kiev, Disposizioni per i suoi gli. 83

L’esiliato Un bel giorno la gente dice: “Uno straniero, solo, senza parenti prossimi,

è morto... Se ne è avuto notizia quando erano già trascorsi tre giorni dalla sua morte...”. Poi lo si lava con acqua fredda. Questo è quanto accade a ogni esiliato, come me.

La mia lingua parla, i miei occhi piangono... Il mio cuore brucia al pen-siero degli uomini in esilio, senza vicini, senza parenti. La mia stella in cielo è forse anch’essa sola, altrettanto abbandonata quanto lo sono io?

O mio Yunus, mio Emre, o tu, il disperato. Non hai rimedio al tuo male. Va, erra attraverso il mondo, di città in città. Forse incontrerai un altro al-trettanto disgraziato e solo quanto sei tu.

Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia. 84

Un uccello trova rifugio in un cespuglio. Tu, non puoi neppure essere come un cespuglio?

Proverbio turco, citato nel XV sec. 85

Quando nevica, il cammello di tre anni geme; chi piangerà quando mo-rirà un povero (straniero, senza famiglia)?

Il povero (straniero, senza famiglia) ha il cuore lacerato, la parola senza calore; l’orfanello ha il collo curvato, il viso pallido.

Si è detto: “Un povero (straniero, senza famiglia) è morto”. Lo si è sa-puto solo tre giorni dopo la sua morte.

La povertà non fa morire; ma neppure fa sorridere. Proverbi turcomanni. 86

Creatore del mondo materiale, santo! Qual è il quinto luogo ove la terra ha il maggior numero di crucci? Ahura Mazda rispose: “È là dove la donna e il fanciullo d’un fedele seguono il cammino della

cattività, il cammino polveroso e arido, emettendo una voce lamentevole”Avesta, Vendidad (IX sec. a.C. - I sec. d.C.), Persia. 87

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Che il fanciullo che crescerà non ti odi! Che il vecchio che morrà non ti maledica! (Non bisogna fare del male ad alcuno e soprattutto ai deboli).Proverbio amarico, Etiopia. 88

La donna e il fanciullo

Sottomissione O mio caro e benamato dal berretto in occhettato, prendi dunque me al tuo anco nel percorrer tante terre. E se di me ti stancherai me in cintura muterai, cinta fatta in lo d’oro e di pietre tempestata. Se la cinta pesa troppo Cambiami in piuma per il tuo cappello. Se per no della piuma ti stancherai, fa di me un bianco cero che si consumi accanto a te. Da allora, quando pranzerai, dolcemente ti rischiarerò e i tuoi amici chiederanno “Donde viene questa luce?” “È la luce della mia candela, è una bella del mio paese, è il mio cero in pura cera, la mia amata dell’altra estate”.

Canzone popolare rumena. 89

Rivolta Tu, mio marito? Io, tua moglie? Ma si tratta di un fardello che trasciniamo l’uno e l’altra; Ognuno nella vita ha il suo debito da pagare; Un tempo erano gli uomini a lagnarsi delle mogli, Oggi sono le donne che ne hanno abbastanza degli uomini!Proverbio del Vietnam. 90

Differenza tra l’uomo e la donna Esiste una differenza tra l’uomo e la donna in più campi. Quando vedete

un uomo, lo riconoscete immediatamente. Nessuno ha bisogno di presen-

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tarvelo (di spiegarvelo). Il tratto essenziale, quello per cui l’uomo si diffe-renzia principalmente dalla donna, è la parola, la conoscenza e molte altre cose ancora.

Proverbio ewe, Togo. 91

RispettoLa sposa è una compagna e non una serva. Proverbio russo. 92

I luoghi ove le donne sono onorate sono abitati dagli dei. La donna è degna di rispetto. Essa rappresenta la luce della casa.

Manusmriti, III. India, tradizione hindi, tradotto dal sanscrito. 93

Là dove le donne sono onorate, gli dei sono soddisfatti; là dove esse non sono tenute in alcuna stima, nessun rito sacro porta frutti.

Manusmriti, III. India, tradotto dal sanscrito. 94

ContemplazioneGli uomini che cosa valgono? Tre sapeck la decina?Si chiudono in una gabbia come degli uccelli e si tengono nella mano,Mentre una donna vale trecento lingotti:La si colloca su di un tappeto orito e la si contempla! Proverbio del Vietnam. 95

La canzone della mal-maritataHo disteso il materasso nella mia camera nunziale, che ha il sof tto deco-

rato di rossi drappi.Mi sono coricata la sera, ancora ragazza, e il mattino mi son risvegliata

vergine.Mi hanno dato un ragazzo per marito, non sa né baciare né amare come

un marito.Proprio me, la bella, a un monello han dato. E con questo hanno commes-

so un gran peccato. … … …Mi auguro che, quando sarò morta, scavino la mia tomba sul ciglio della

strada,Perché i passanti dicano: “Povera bimba, che per sua disgrazia si è sposata”.Auguro che, dopo di me almeno, si diano le glie a coloro ch’esse amano.Proprio me, la bella... Canzone popolare turca. 96

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Destino della donnaPerché, mamma, senza curartidi me, che son tua glia, come un gattino mi hai buttatanella famiglia di mio marito?

Canta, glia, col cuore in festa,Sposalo, e la canzon s’arresta;Non più canzoni; son vani i canti,Tua sorte, glia, è il dolore.

Mia madre ha avuto il torto Di maritarmi senza accordo; Senz’amor nel focolare Meglio andarmi ad annegare. Mio marito mi colpiva, Mio marito mi batteva, Col piede il sen mi calpestava, E io dico: “Non sento nulla”.

astuški (poesia popolare russa). 97

Diritti della donna Se una donna ha dell’avversione per suo marito e non vuole avere rap-

porti con lui, vi è “ri uto del dovere coniugale”; essa dovrà versare a lui il doppio del “prezzo della sposa” [...].

Se un marito abbandona sua moglie per andare a compiere un dovere religioso oppure per farsi eremita, o per qualsiasi altra pia occupazione, sua moglie deve attenderlo per otto anni. Se l’abbandona per andare a compie-re degli studi e istruirsi, essa dovrà attenderlo per sei anni. Se l’abbandona per guadagnare del denaro, facendo del commercio o navigando, essa do-vrà aspettarlo per dieci anni. Se l’abbandona unicamente per trovare una (nuova) sposa, essa dovrà attenderlo per tre anni. Ma se il marito non man-da denaro a sua moglie, essa avrà il diritto di sposare un’altro uomo. Se un marito abbandona sua moglie per viaggiare, per recarsi in un paese lontano, essa dovrà aspettarlo per quattro anni; se non ritorna dopo quattro anni, essa avrà il diritto di prendere un altro marito.

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 98

Il leone maschio è certo un leone; perché il leone femmina (la leonessa) non dovrebbe esserlo?

È preferibile che io resti orfano di un padre con settecento pecore, che di una madre col suo solo ditale da cucire.

Proverbio turco, citato in una raccolta del XV secolo. 99

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Disposizioni prese in favore delle donne Per gli altri matrimoni, egli abolì le doti e decise che la moglie non

avrebbe portato con sé che tre vestiti, degli oggetti di poco valore e null’al-tro. Egli non voleva che si facesse del matrimonio un affare lucrativo e un traf co, ma che fosse una unione di vita, conclusa tra l’uomo e la donna, allo scopo di avere dei gli e di gustare la gioia di una tenerezza reciproca.

Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Solone. 100

Non far vedere che tua moglie (ti ha) offeso. Ripudiala decentemente e lascia che porti con sé le cose sue.

Libro della sapienza, epoca tolemaica, Antico Egitto. 101

“Maledetto colui che viola il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova”. E tutto il popolo dirà: “Così sia”.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 27. 102

Il matrimonio è un libero consenso reciprocoCan. 1081 – Il matrimonio nasce dal legittimo consenso manifestato,

che non si può supplire e che è atto della volontà per cui si dà e si ottiene diritto perpetuo ed esclusivo al corpo del coniuge per gli atti propri della generazione.

Diritto canonico. 103

Motivi di invalidità del matrimonio Can. 1083 – L’errore della persona rende invalido il matrimonio. Se poi

è sulla qualità, sebbene causa del contratto, lo rende nullo se si rifonde sulla persona o se questa è creduta libera mentre è schiava.

Diritto canonico. 104

Can. 1087 – È pure invalido il matrimonio contratto con violenza o ti-more grave in itto dall’esterno e ingiustamente, per cui non vi è altra scelta che il matrimonio per liberarsene. Nessun altro timore lo invalida.

Diritto canonico. 105

Dignità delle donne Uno dei promotori dell’“Era della riforma ungherese” si rivolge a loro:Alle donne della nostra patria che hanno il cuore nobile:Permettete, glie meritevoli della mia patria, che in segno di rispetto e

di affetto vi dedichi questo piccolo lavoro. Accordategli di buon grado la vostra protezione, anche se sembra dedicato maggiormente agli uomini. Mi

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propongo di parlare del credito (credito fondiario, innovazione rivoluzio-naria in quel tempo) e di ciò che ne deriva: dell’onore, del carattere sacro della parola data, della legittimità degli atti, argomenti che non possono affatto essere più estranei che a noi, poiché tante cose belle e nobili, che innalzano l’umanità, sono opera del vostro sesso. Siete voi che portate nel-le vostre braccia i bambini e che ne farete dei buoni cittadini; è nel vostro nobile sguardo che l’uomo attinge la fermezza del suo carattere e il suo coraggio. E quando la sua vita, dedicata al servizio della patria, sta per concludersi, siete ancora voi a cingergli la fronte con una corona. Voi siete gli angeli custodi della virtù civica e del patriottismo, che, senza di voi, credetelo, non saprebbero svilupparsi oppure non tarderebbero ad appassi-re, poiché siete voi che mettete ovunque il fascino e la vita. Siete voi che innalzate la polvere no al cielo ovunque e il mortale no all’immortalità... Siate salutate e vi sia reso grazie!...

Istvan Széchenyi (1791-1860), Ungheria. 106

Dopo aver consultato il tuo cuscino, domanda anche a tua moglie. Proverbio russo. 107

Statuto delle donne in Ucraina Là dunque, contro quanto normalmente accade in tutte le nazioni, si

vedono delle ragazze chiedere i giovani in matrimonio. Guillaume de Beauplan, Descrizione dell’Ucraina (1660), Francia. 108

...e in Russia E non arrivare a tal punto di follia da passare in rivista due o tre dan-

zate, poiché una ragazza è un essere umano come te e non già un cavallo. Negli affari domestici, è opportuno che tu ti consulti soprattutto con tua

moglie, perché la donna è stata donata da Dio a suo marito per aiutarlo e non per obbedirgli.

Ivan Posoškov, Testamento paterno, (inizio XVIII sec.), Russia. 109

Moglie e gli di condannati Alle mogli e ai gli dei condannati ai lavori forzati a vita o alla deporta-

zione e alla reclusione [...] si darà la libertà, se lo desiderano, di vivere nei possedimenti della loro dote; se una di queste spose vuol rimaritarsi con il permesso del Sinodo, glielo si concederà; e per il mantenimento suo e dei gli le si darà la parte legale dei beni mobili e immobili di suo marito.

Decreto 25 maggio 1753. Russia. 110

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Si può giudicare del grado di civiltà di un popolo dalla situazione sociale della donna.

Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888), Argentina. 111

Scoperta di séHELMER: Prima di tutto sei sposa e madre. NORA: Non credo più a questo. Credo che innanzi tutto sono un essere

umano, con gli stessi tuoi diritti o che devo per lo meno tentare di diven-tarlo.

HELMER: Parli come un bambino. Non capisci nulla della società di cui fai parte.

NORA: No, non ci capisco nulla. Ma voglio cercare di arrivarvi. Bisogna che io decida chi dei due ha ragione: io o la società.

Henrik Ibsen, Casa di bambola (1879). 112

Dignità Se fossi donna, mi ribellerei contro ogni pretesa che l’uomo si arrogasse

di fare della donna il suo giocattolo. Sono diventato mentalmente donna per penetrare nel suo cuore. Non sono riuscito a insinuarmi nel cuore di mia moglie che il giorno in cui mi sono deciso di trattarla diversamente da quanto avevo fatto no ad allora: l’ho ristabilita in tutti i suoi diritti, rinun-ciando ai pretesi diritti che avevo su di lei in quanto marito.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 113

Compresi che la sposa non è la schiava del marito, ma la sua compagna e collaboratrice, e un’associata che condivide ugualmente le sue gioie e le sue pene, libera quanto il marito di scegliere la propria vita.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 114

Ci rallegriamo che un’entità spirituale si trovi in ogni cosa e che i prin-cipi maschili e femminili delle cose e degli esseri si congiungano in buon accordo. Analogamente l’uomo e la donna sono, per loro natura, l’uno a anco dell’altro, allo stesso livello, e non vi è fra loro alcuna distinzione

per considerarsi superiore, inferiore, padrone, schiavo. Si crede tuttavia che la donna debba obbedire all’uomo come schiava: questo perché, assorbiti nel confucianesimo, abbiamo perduto il cammino proprio del nostro paese.

Zankô Masuho (1655-1742), Il cammino di Dio, Giappone. 115

Il cammino da seguire per rendere felice la donna non è quello di darle il piacere dello spettacolo, né di vestirla di broccati, di pizzi, di cinture ornate

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di pietre preziose; né di circondarla di servitù per darle un aspetto nobile. Il cammino da seguire per rendere felice la donna è che il marito stesso si conduca bene per ricompensarla della sua fedeltà, che riduca le sue spese personali e che risparmi alla famiglia la discordia e l’agitazione per evitare a sua moglie le preoccupazioni domestiche. Se il marito ne è cosciente, la moglie potrà considerare per sé una gioia il tollerare di essere povera e di sopportare con lui di essere perseguitata per la giustizia. Il cammino da seguire per rendere felice la moglie è di incoraggiare la sua anima generosa e non già di lusingare la sua bassa e detestabile vanità.

Kanzô Uchimura (1861-1930), Propositi sull’indipendenza, Giap-pone. 116

I diritti delle donne Non è possibile attirare le masse alla politica, senza farvi partecipa-

re le donne [...]. L’operaia e la contadina sono non solo asservite dal capitale, ma, in primo luogo, anche nelle più democratiche repubbliche borghesi, esse non godono di diritti civili, poiché la legge non accorda loro l’uguaglianza con gli uomini; in secondo luogo – questo è il più importante – esse vivono costantemente “nella schiavitù domestica”, es-sendo schiacciate dal lavoro più meschino, più grossolano, più duro, più degradante per un essere umano, il lavoro di cucina e del ménage fami-liare individuale.

La Rivoluzione bolscevico-sovietica ha tagliato – più profondamente di quanto non abbia mai osato farlo alcun partito politico né alcuna rivo-luzione al mondo – le radici dell’oppressione e della disuguaglianza tra gli uomini e le donne. E, soprattutto, la disuguaglianza abietta, degra-dante, ipocrita, espressa nel diritto familiare [...] è stata completamente soppressa dal potere sovietico.

Lenin (alla Giornata internazionale delle operaie), 1921. 117

Le donne nella società modernaUna società che si accontenta di vedere uno solo dei sessi che la com-

pongono adattarsi alle condizioni moderne, si condanna con ciò a restare immersa, per più della metà, nella debolezza. Un popolo, se desidera il progresso e la civiltà, deve comprendere questa verità e trarne le conse-guenze. Il disprezzo in cui abbiamo mantenuto le donne rappresenta la causa del fallimento del nostro tipo sociale. La vita ci è misurata in modo diverso dal destino, ma vivere vuol dire essere attivi. E se una sola parte dei membri di un corpo sociale è attivo, mentre l’altro rimane inerte, l’intero corpo sociale ne risulta paralizzato. Si vuole che un corpo sociale

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lavori e riesca nella vita? Bisognerà che adempia le condizioni richieste e metta tutte le probabilità dalla propria parte. Se quindi la nostra società ha bisogno di scienza e di tecnica, bisogna che uomini e donne le acqui-stino nella stessa misura. Chi potrebbe dubitare che la divisione del la-voro domina la vita, così come regna in tutti i campi? In questa divisione generale del lavoro le donne devono svolgere i compiti che loro spettano, ma questi compiti comprendono la partecipazione all’attività generale indispensabile per la prosperità e la felicità comuni. I lavori domestici non costituiscono che la minima e la meno importante parte dei doveri delle donne.

Kemal Atatürk, 1923. 118

BambiniI bambini non appartengono a nessuno: non sono né proprietà dei loro

genitori, né proprietà della società. Appartengono solo alla loro futura li-bertà. Ma nei bambini questa libertà non è ancora reale, è solo virtuale. Ne consegue che la società, il cui futuro dipende dall’educazione e dall’istru-zione dei bambini e che di conseguenza ha non solo il diritto, ma anche il dovere di conservarli, è la sola custode dei bambini dei due sessi [...]. La custodia, l’educazione e l’istruzione dei bambini dovranno essere uguali per tutti, a spese della società.

I vecchi, gli invalidi, i malati, circondati di cure, di rispetto e che godono di tutti i diritti, sia politici che sociali, saranno trattati e mantenuti larga-mente a spese della società.

Michail Bakunin (1814-1876), Russia. 119

Considerazioni per la madreQuando hai un glio non devi tollerare che egli soffra la fame poiché

egli è venuto per illuminare la tua vita. Non devi picchiarlo, ma renderlo felice; non adirarti contro tuo glio, e non maltrattarlo. Allora solamente tu desidererai di averne altri, e i tuoi gli prospereranno.

Tradizione guarani, area centrale dell’America del Sud. 120

Quando mangio del melone,Io ricordo i miei bambini;Quando mangio le castagne,Li ricordo meglio ancora.D’onde dunque sono venuti a me?Ai miei occhi la lor vision persiste,E dormir non posso in pace.

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Che valgono per meL’argento, l’oro e i gioielli?Nessun tesoro val più dei propri gli.

Yamanue Okura (660-733), Giappone. 121

Diritti dei fanciulli Un bambino di meno di dieci anni, che non sa distinguere il bene

dal male e che commette uno sbaglio, non deve essere punito dalle autorità.

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 122

Se stesso: l’individuo responsabile, la persona irriducibile

Negazione dell’esistenza indipendente

L’Uno è più sottile di un capello; è, si potrebbe dire, veramente invisi-bile. Perciò questa divinità, il cui ascendente è solido, mi è caro. Questo è Uno benedetto, senza età, immortale, abita la dimora di un mortale. Colui per cui essa è stata costruita giace; colui che l’ha costruita è diven-tato vecchio. Tu sei donna, uomo, ragazzo e anche ragazza. Tu vecchio, cammina con passo mal sicuro, appoggiandoti a un bastone. Nato, prendi tutte le forme. Inoltre egli è il loro padre, ed è anche il loro glio; egli è il loro fratello maggiore e anche quello minore. In verità, il dio unico, entrando nello spirito, è il primo nato nell’embrione.

Atharvaveda, X (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 123

L’universo non ha alcuna affezione umana,tutte le cose del mondo sono per lui come cani da pagliaio.Il santo non ha alcun affetto umano,il popolo è per lui come cane da pagliaio.L’universo è simile a un mantice da forgia;vuoto, non è appiattito,più lo si muove, più sof a,

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più se ne parla, meno lo si afferra,vale meglio inserirsi in esso.

Lao-Tzu, Tao tô-king (V sec. a.C.), Cina. 124

Indipendenza - invenzione - responsabilità degli uomini Il coro

Strofa I

Vi sono molte meraviglie in questo mondo, non ve ne è però nessuna più grande dell’uomo. Egli è l’essere che sa attraversare i utti grigi nel momento in cui sof a il vento del Sud, e anche i suoi uragani.

È colui che avanza nel cavo delle alte onde che gli aprono l’abisso. Egli è l’essere che tormenta la più augusta di tutte le divinità, la Terra.

La Terra eterna e infaticabile, con i suoi aratri che avanzano senza tre-gua, solcandola ogni anno; egli è colui che la fa arare dai prodotti delle sue giumente.

Antistrofe I

Uccelli storditi, animali selvaggi, pesci che popolano i mari, tutti egli li stringe e li prende

Nelle maglie delle sue reti l’uomo dallo spirito ingegnoso. Con i suoi arnesi, egli è il padrone

Delle bestie non domate, che corrono attraverso le montagne e, quando giunge il momento, egli piegherà sotto il giogo che avvolge il loro collo, sia il cavallo dalla densa criniera, che l’infaticabile toro delle montagne.

Strofa II

Parola, pensiero pronto come il vento, desiderio vivissimo da cui na-scono le città, tutto questo egli se lo è insegnato da sé così bene come ha saputo, costruendosi un nascondiglio,

Sfuggire ai morsi del gelo e della pioggia, crudeli per coloro che non hanno altro tetto che il cielo. Ben armato contro tutto, egli non è disarmato contro nulla

Di quanto può offrigli l’avvenire. Solo contro la morte, egli non avrà mai incanto che gli permetta di sfuggire per quanto egli abbia saputo, con-tro le malattie più pertinaci, immaginare più di un rimedio.

Antistrofe II

Ma così, maestro d’un sapere, le cui ingegnose risorse oltrepassano ogni speranza, egli può prendere in seguito sia la via del male che quella del bene.

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Con questo sapere diventi dunque una parte delle leggi della sua città e della giustizia degli dei, cui egli ha giurato fede; salirà allora molto in alto nella sua città; mentre si esclude da questa città, a partire dal giorno in cui abbandona il crimine.

Contaminarlo per bravura. Ah! che egli non abbia allora più un posto nel mio focolare, né tra i miei amici, se egli si comporta in questo modo.

Sofocle (V sec. a.C.), Antigone 125

Tutto proviene dall’uomo, ed è a lui che spetta ogni merito. Proverbio russo. 126

Il bebè nato orfano se la sbrigherà per tagliarsi da sé il proprio cordone ombelicale.

Proverbio turco (XVI sec.). 127

Condizione dell’uomo Nessuno è per natura accusato d’infamia. Nessuno stato, nessuna condizione può essere causa d’infamia per l’uo-

mo; al contrario è l’opera degli uomini stessi ad abbassarne altri e a fare in modo che alcuni divengano oggetto di derisione. Ciò che costituisce la gloria dell’uomo è l’amore dell’uomo. Se onoraste qualcuno, fareste di tutto per non umiliarlo.

Proverbio ewe, Togo. 128

Ogni uomo sceglie liberamente la sua vita: egli può a suo piacimento prendere il cammino della virtù o quello dell’iniquità. Sta scritto nella To-rah: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male.”

Maimonide (XII secolo), Hilchot Teshuvah, 5. 129

Irriducibilità personale Il dialogo del tiranno e del saggio Che cosa è dunque che turba e terrorizza la maggior parte degli uomi-

ni? Il tiranno e la sua guardia? E perché? Ben lungi da questo pensiero: non è possibile che un essere, libero per natura, sia turbato o impedito da un’altra persona che non sia lui stesso; sono le due opinioni perso-nali che lo turbano. Quando un tiranno dice: “Incatenerò la tua gamba”, colui che dà alla sua gamba un valore dice: “No per carità!”. Ma colui per il quale la propria volontà è preziosa, replica: “Incatenala, se ritie-ni utile farlo”. “Non te ne preoccupi?”. “Non me ne preoccupo”. “Ti

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mostrerò che sono io il padrone!”. “E come farai? Zeus mi ha lasciato libero. Credi tu che egli avrebbe lasciato ridurre suo glio in schiavitù? Tu sei padrone di questo cadavere che è il mio corpo. Prendilo. Allora quando tu vieni da me, non ti curi di me?”. “Non di te, ma di me stesso? Se vuoi farmi dire che io mi curo di te, sia, come lo faccio io della mia brocca”.

Epitteto (I sec. d.C.), Conversazioni. 130

Responsabilità personale Il re Enrico. Se dunque un glio, che il padre ha inviato a commercia-

re, perisce sul mare in stato di peccato, l’imputazione della sua perversi-tà, secondo la vostra regola, dovrà essere attribuita a suo padre che l’ha inviato; oppure se un domestico, che trasporta per ordine del suo padrone una certa somma di denaro, viene assalito dai ladri e muore carico di iniquità non assolte, direte che la necessità di un padrone è stata la causa della dannazione del servo. Ma in realtà non è così; il re non risponde del-lo stato in cui muoiono i suoi soldati, né il padre dello stato in cui muore suo glio, né il padrone dello stato in cui muore il suo servo; essi non reclamano la loro morte reclamando i loro servizi. Inoltre, non vi è re, per quanto pura sia la sua causa, se bisognasse addivenire all’arbitrato della spada, che possa deciderla solo con soldati senza macchia; gli uni sono forse colpevoli di assassinio premeditato o perpetrato, gli altri di aver in-gannato delle vergini, rompendo il loro giuramento; altri ancora cercando un rifugio nella guerra dopo aver insanguinato con saccheggio e furto il dolce seno della pace. Ora, se questi uomini hanno saputo eludere la leg-ge e sottrarsi al meritato castigo, anche se potranno sfuggire agli uomini, non avranno ali per nascondersi a Dio. La guerra è il sergente di Dio, la guerra è la sua vendetta. Ecco dunque degli uomini che un tempo hanno violato la legge del re e che ora ne sono puniti nel litigio del re; se temono la morte essi hanno salva la vita; se si credono al sicuro, periscono. Se dunque essi muoiono impenitenti, il re non è più colpevole della loro dan-nazione di quanto non sia stato un tempo colpevole dei peccati per i quali essi sono ora castigati. L’obbedienza di ogni suddito appartiene al re, ma l’anima di ogni individuo appartiene soltanto a lui stesso. Analogamente ogni soldato in guerra dovrebbe fare ciò che fa ogni persona ammalata nel suo letto, lavare tutte le macchie della sua coscienza; allora se muore la morte è per lui un bene cio; se non muore sarebbe stato un tempo for-tunatamente perduto quello in cui fu acquisita una simile preparazione; e per colui che scampa non sarà certo un peccato pensare che, avendo fatto a Dio una generosa offerta, Dio lo ha lasciato sopravvivere no a questo

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giorno per riconoscere la Sua grandezza e per insegnare agli altri come essi devono prepararsi a morire.

William Shakespeare, Enrico V, Atto IV, scena I, 1599. 131

Nel 1856 l’imperatore Teodoro, avendo conquistato lo Scioa, proibì di passare per le armi i parenti dell’omicida, cosa che no ad allora era legale:

Egli fa una legge dicendo: gli assassini sono numerosi nello Scioa; siano uccisi solo gli assassini, ma non i loro parenti, salvo se uno di loro è stato l’istigatore del crimine, oppure ha preso parte al litigio; non si uccidano sotto il pretesto che sono il padre, o il fratello dell’uccisore.

Avendo vinto il ribelle Agaw Negusé, egli fa grazia ai suoi soldati:Egli graziò i soldati che erano con (Agaw Negusé) tutti poveri diavoli,

che egli aveva forzato a raggiungere la foresta.Ma tutti i capi ribelli ebbero mani e piedi tagliati e morirono sul posto. Cronache etiopiche. 132

Ogni uomo è libero delle sue azioni, poiché, tra tutti gli esseri, solo gli animali devono stare sottomessi all’autorità di un padrone. È questo un assioma fondamentale.

Yehuda Levi, glio di Bezalel (1512-1609), Praga. 133

Che cosa mai è l’uomo, mi dico, perché ti ricordi di lui?E il glio dell’uomo perché ti interessi di lui?Anzi, lo hai reso poco meno di Dio;di gloria e splendore lo hai coronato.Lo hai fatto signore delle opere delle tue mani. Bibbia ebraica, Salmi, 8. 134

Contro la collera e l’impazienza, padronanza di séLa testa dell’uomo è un ripostiglio Il vecchio maestro canta: Sì, l’uomo, sì tu l’uomo dallo scudo!Sì, l’uomo, sì tu l’uomo dallo scudo!La testa d’un uomo, sì, è un recipiente che conserva a lungo le cose. Un nascondiglio per conservare le proprie riserve!Se ti accorgi che questo piccolo novizio è chiacchierone, dissimula tutto

nella tua testa. Ah sì, colei che veglia sul bambino, arriverà senza dubbio, anche lei a

schiamazzare. Ma la tua testa è il nascondiglio per immagazzinare. Ascolta bene!

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Ah sì, senza dubbio, uno dei fanciulli verrà a dirti: “Tua madre ha detto male di te”; oppure: “Costei, che è tra le novizie, ha detto male di te”.

La tua testa allora diventa il ricettacolo che custodisce per molto tempo le cose, e immagazzina queste dicerie.

Diciamolo al fanciullo durante la sua lezione: la testa del autista è un nascondiglio per conservare ciò che vien detto.

L’Assistente del Maestro spiega: Ricordati bene, piccolo fratello, di ciò che si dice a proposito delle

chiacchere che circolano nel tuo ambiente. Vedi, quando porti della carne suppongo che tagli un grosso pezzo per

un bambino. Quando l’avrà mangiato, sarà così contento che ti racconterà ciò che accade in casa. E dirà: “Quella tal donna ha bestemmiato e ti ha maledetto”.

Ma tu, tu hai una testa per immagazzinare le cose, quindi non fare una scenata alla donna per questo. Il bambino ha potuto inventarlo (letteral-mente: raccogliere la storia per terra) nella gioia provata per aver ricevuto il cibo con cui tu gli hai testimoniato il tuo affetto. Vedi, egli ha forse udito la donna dire un’altra cosa, oppure, anche se essa ti ha maledetto, conserva ciò nella tua testa, e non rovinare te stesso nel tuo ambiente.

Oppure, un’altra volta, tu arrivi, e l’altro bambino – se ve ne sono due – ti dice: “Papà, voglio dirti una cosa: quando eri partito, lei è andata con la suocera e con lei ha parlato male di te! Esse hanno detto: “Questo fan-nullone esce di casa così presto e fa di noi degli schiavi. Noi siamo per lui dei maiali, con la differenza che noi non dormiamo fuori tra i cespugli della foresta”. Quando senti dire una cosa simile, ti vien voglia di basto-narla, lei la suocera. Ma se fai questo, tutto nella tua casa nirà per andare male. Per questo il vecchio maestro ha detto: “La testa di un uomo è fatta per conservare le cose, essa è il tuo granaio!”. Non ascoltare le chiacchere dei bambini. Dato che sei un adulto e che ti sei dominato, devi conservare nella tua testa tutto ciò che un altro dice e non arrabbiarti. Conservalo nella tua testa, no a che, da te stesso, sii riuscito a sapere di che cosa si tratta. Quando sarai a casa, su quanto hai constatato da te stesso, interrogala con precauzione. Ma se, incollerito da dei chiacchieroni, tu bastonassi tua mo-glie e in seguito ti accorgessi che non era vero, e che stai diventando un tipo che la bastona in quel modo, per cui in seguito essa se ne vada, che essa parli e la vincesse su di te, allora essa sarà perduta per te e metterà al mon-do dei bambini per un altro uomo e curerà la sua casa, mentre il vecchio Maestro resta solo con la sua vana saggezza. Per questo il vecchio Maestro ti dice: “Dominati! Ciò che senti dire da altri, conservalo nella tua testa e

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aspetta che il padre e la madre ti interroghino”. Ed essi ti diranno: “Lascia andare, è la Giovane Sposa di casa nostra quella che governa la casa, la raddrizzeremo dolcemente”.

Tradizione orale chagga, Tanzania. 135

DecoroUn antico servo, divenuto funzionario, impresario ed economista, sotto

Pietro il Grande, dà dei consigli a suo glio:Saluta il nobile secondo la sua nobiltà, e il ricco secondo la sua ric-

chezza, poiché nobiltà e ricchezza sono doni di Dio; ma non disprezzare il povero e non ri utargli il tuo saluto [...]. E se anche un bambino ti saluta, devi rendere il saluto anche a lui.

... Ma soprattutto non permetterti di ingiuriare chiunque, ricco o povero, oppure di fargli un dispetto [...]. E se vedi un uomo che sia anche estrema-mente stupido, prenditi ben guardia di ingiuriarlo o di condannarlo, perché l’ingiuria colpirebbe Dio stesso, che lo ha creato in quelle condizioni.

Ivan Posoškov (inizio XVIII sec.), Testamento paterno, Russia. 136

Libertà e aritmetica Sembra che tutte le preoccupazioni dell’uomo consistano in questo: di-

mostrare a se stesso, a ogni istante che egli è un uomo e non un pezzo di macchina. Egli ne ha sofferto, ma se lo è sempre dimostrato [...]. Voi mi gridate che nessuno attenta alla mia libertà, che ci si affanna soltanto per ottenere che la mia volontà, spontaneamente coincida con il mio normale interesse, le leggi della natura e l’aritmetica.

Ah, Signori! che ne sarà della mia libertà [...] quando due per due non faranno più quattro? Due per due faranno quattro anche senza la mia volon-tà. È forse questo la mia volontà?

Fëdor Dostoevskij, Le memorie dal sottosuolo, 1864. 137

Saluta, ma non prosternarti.Per ogni uomo, come per ogni serratura, bisogna trovare la chiave giusta.Non giudicare l’uomo dalla sua robustezza sica, ma dai suoi propositi. Proverbi russi. 138

Ogni essere umano è unico Se qualcuno potesse compilare un inventario psico siologico della pro-

pria persona, tanto dettagliato che questa apparisse come una somma di attributi, e se in seguito gli fosse possibile di ricostruire la genesi di ognu-no di questi attributi e di tutte le loro combinazioni, risalendo sino alla

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forma di vita più primitiva, supponendo che ne riesca un’analisi genetica altrettanto completa di questo individuo, e che la sua storia e tutti i suoi antecedenti siano così conosciuti, la persona – quest’Incomparabile, unico nel tempo e nell’istante, questo volto che non ne ha mai avuto uno simile, questa voce ancora mai udita, questi gesti mai visti, questo corpo dotato di anima – sfuggirebbe all’analisi e a ogni derivazione, sarebbe tutto intero presente e non sarebbe nulla fuori di questa presenza. Quest’uomo, alla ne dei suoi vani sforzi, raccoglierebbe le sue ultime forze per formulare

un’ultima interrogazione sulla sua origine e si ritroverebbe, in n dei conti, creatura. Poiché ogni uomo è unico, ogni nascita è quella del primo uomo venuto al mondo.

Martin Buber, Die Schrift und ihre Verdeutschung (La scrittura e la sua interpretazione), 1946. 139

Gli uomini e la libertà Ivan Karamazov parla al fratello Alëša:Nel momento della Grande Inquisizione, sulla piazza di Siviglia, ove

ogni giorno vengono bruciati degli eretici, Cristo ritorna in mezzo alla fol-la. Il Grande Inquisitore passa e lo fa catturare. Venuta la notte, viene a vederlo nella cella e, tenendo una torcia in mano, così gli parla:

“Hai tu il diritto di rivelarci uno solo dei segreti del mondo dal quale vieni?”, domanda il vecchio, che risponde in sua vece: “No, non ne hai diritto, perché questa rivelazione si aggiungerebbe a quella precedente, e ciò signi cherebbe ritirare agli uomini la libertà che tu difendi tanto sulla terra. Tutte le rivelazioni nuove nuocerebbero alla libertà della fede, perché sembrerebbero miracolose; ora tu mettevi al di sopra di tutto, quindici secoli fa, questa libertà della fede. Non hai tu forse detto molto spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene li hai visti, gli uomini “liberi”, aggiunge il vecchio con tono sarcastico. Sì, questo ci è co-stato caro, continua guardandolo severamente, ma abbiamo nalmente compiuto quest’opera in tuo nome. Ci sono occorsi quindici secoli di duro lavoro per instaurare la libertà; ma ora è fatta, e fatta bene. Non lo credi? mi guardi con dolcezza, senza neppure farmi l’onore di indi-gnarti? ma sappi che mai gli uomini si sono creduti tanto liberi come adesso e tuttavia la loro libertà essi l’hanno umilmente deposta ai nostri piedi. Questo, in verità, è l’opera nostra; è questa la libertà che tu so-gnavi?”[...].

“Lo Spirito terribile e profondo, lo Spirito della distruzione e del nul-la – riprende a dire – ti ha parlato nel deserto, e le Scritture raccontano che egli ti ha “tentato”. È vero ciò? E non era possibile dire nulla di più

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penetrante di quanto ti è stato detto nelle tre domande, oppure, per parlare come le Scritture, le “tentazioni” che hai respinte? Se mai vi fu sulla terra un autentico e risonante miracolo, fu nel giorno di queste tre tentazioni. Il solo fatto di aver formulato queste tre domande costituisce un miracolo. Supponiamo che siano sparite dalle Scritture, che occorra ricostituirle, immaginarle nuovamente per ricollocarvele, e che si riuniscano a tal ne tutti i saggi della terra, uomini di Stato, prelati, scienziati, loso , poe-ti, dicendo loro: immaginate, redigete tre domande, che non solo corri-spondano all’importanza dell’avvenimento, ma che esprimano anche, in tre frasi, tutta la storia dell’umanità futura; credi tu che questo areopago della sapienza umana potrebbe immaginare qualcosa di altrettanto forte e profondo, più delle tre domande che ti propose allora il potente Spirito? Queste tre domande dimostrano da sole che si ha a che fare con lo Spirito eterno e assoluto e non con uno spirito umano passeggero. Perché esse riassumono e predicono al tempo stesso tutta la storia ulteriore dell’uma-nità; sono le tre forze in cui si cristallizzano tutte le contraddizioni inso-lubili della natura umana. Non si poteva rendersene conto allora, perché l’avvenire era velato, ma ora, dopo quindici secoli, vediamo che tutto era stato previsto in queste tre domande e si è realizzato al punto che è impossibile aggiungervi o togliervi una sola parola.

“Decidi quindi tu stesso chi aveva ragione; tu oppure colui che ti inter-rogava? Ricordati del senso se non del tenore della prima domanda: tu vuoi andare verso il mondo con le mani vuote, predicando agli uomini una liber-tà che la loro stupidità e la loro ignominia naturale impediscono di capire, una libertà che fa loro paura, poiché non vi è e non vi è stato mai nulla di più intollerabile per l’uomo e per la società! Vedi queste pietre nell’arido deserto? Cambiale in pane, e l’umanità seguirà i tuoi passi, come un gregge docile e riconoscente, tremando tuttavia al pensiero che la tua mano si ritiri e che essi non abbiano più pane.

“Ma tu non hai voluto privare l’uomo della libertà, e hai ri utato, rite-nendo che fosse incompatibile con l’ubbidienza comperata con dei pani. Tu hai replicato che l’uomo non vive di solo pane, ma sai tu che, al nome di questo pane terrestre, lo Spirito della terra insorgerà contro di te, lotterà e ti vincerà e che tutti lo seguiranno gridando: “Chi è simile a quest’animale, esso ci ha dato il fuoco del cielo?”. Passeranno i secoli e l’umanità procla-merà, per bocca dei suoi scienziati e dei sapienti, che non vi sono crimini e, di conseguenza, non esiste il peccato: vi sono soltanto degli affamati” [...].

“Nessuna scienza darà loro del pane, nché resteranno liberi, ma -niranno per deporla ai nostri piedi, questa libertà, dicendo: “Riduceteci piuttosto in servitù, ma nutriteci”. Comprenderanno in ne che la libertà

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è inconciliabile con il pane della terra a discrezione, perché non sapranno mai ripartirlo tra di loro! Si convinceranno anche della propria impotenza a rendersi liberi, essendo deboli, corrotti, nulli e ribelli. Tu promettevi loro il pane del cielo; ancora una volta è esso paragonabile a quello della terra agli occhi della debole razza umana, eternamente ingrata e deprava-ta? Migliaia e decine di migliaia di anime ti seguiranno a causa di questo pane, ma che cosa diventerebbero i milioni e i miliardi che non avessero il coraggio di preferire il pane del cielo a quello della terra? Predilige-rebbero i grandi e i forti, ai quali gli altri – la moltitudine innumerevole che è debole ma che ti ama – servirebbe solo da materia di sfruttamento? Anch’essi ci sono cari, gli esseri deboli. Sebbene depravati e ribelli, di-venteranno nalmente docili” [...].

“Poiché non vi sono per l’uomo, rimasto libero, preoccupazioni più co-stanti, più cocenti di quelle di cercare un essere dinanzi al quale inchinarsi. Ma l’uomo non vuole inchinarsi se non dinanzi a una forza incontestata, che tutta l’umanità rispetta per consenso universale. Queste povere creatu-ra si tormentano a cercare un culto che riunisca non solo alcuni fedeli, ma nel quale tutti insieme comunichino, uniti dalla stessa fede. Questo bisogno di comunità nell’adorazione è il principale tormento di ogni individuo e dell’umanità intera, n dall’inizio dei secoli. Proprio per realizzare questo sogno ci siamo sterminati con la spada. I popoli hanno foggiato degli dei e si sono s dati gli uni gli altri: “Abbandonate i vostri dei, adorate i nostri; se no, guai a voi e ai vostri dei!”. E sarà così no alla ne del mondo, anche quando gli dei saranno spariti; ci si prosternerà davanti agli idoli” [...].

“Ma che cosa è accaduto? Invece di impadronirti tu della libertà uma-na, l’hai ancora ampliata. Hai dunque dimenticato che l’uomo preferisce la pace, e per no la morte alla libertà di sceverare il bene dal male? Non vi è nulla di più seducente per l’uomo del libero arbitrio, ma anche nulla di più doloroso. E invece dei principi solidi che avrebbero tranquillizzato per sempre la coscienza umana, tu hai scelto delle nozioni vaghe, strane, enigmatiche, tutto ciò che oltrepassa la forza degli uomini, e così hai agito come se non li amassi; proprio tu che eri venuto a donare la tua vita per loro! Hai accresciuto la libertà umana invece di con scarla e hai così impo-sto per sempre all’essere morale le angosce di questa libertà. Volevi essere liberamente amato, volontariamente seguito dagli uomini incantati. Invece della dura legge antica, l’uomo doveva d’ora innanzi, con cuore libero, discernere il bene dal male, non avendo per guida che la tua immagine, ma non prevedevi tu che egli avrebbe alla ne respinto e contestato persino la tua immagine e la tua verità, oppresso sotto questo terribile fardello: la libertà di scegliere?” [...].

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“Vi sono tre forze, le sole che possano soggiogare per sempre la co-scienza di questi deboli ribelli: il miracolo, il mistero e l’autorità! Le hai respinte tutte e tre, dando in tal modo un esempio. Lo Spirito terribile e profondo ti aveva trasportato sul pinnacolo del Tempio e ti aveva detto: “Vuoi sapere se sei glio di Dio? Buttati giù, poiché sta scritto che gli angeli lo sosterranno e lo porteranno, non si ferirà in alcun modo; saprai allora se sei il Figlio di Dio e dimostrerai così la tua fede nel Padre tuo”. Ma tu hai respinto questa proposta, non ti sei gettato giù. Mostrasti allora una erezza sublime, divina, ma gli uomini, razza debole e ribelle, non sono degli dei! Sapevi che facendo un passo, un gesto per precipitarti, avresti tentato il Signore e avresti perso la fede in lui. Ti saresti fracassato su questa terra che avevi appena salvata, con grande gioia del tentatore. Ma ve ne sono però molti come te? Puoi ammettere per un istante che gli uomini avrebbero la forza di sopportare una simile tentazione? Appartie-ne forse alla natura umana il respingere il miracolo, e, nei momenti gravi della vita, dinanzi alle questioni capitali e dolorose, attenersi alla libera decisione del cuore?” [...].

“Ti occorreva un libero amore, e non i servili trasporti di uno schiavo terri cato. Anche qui tu ti facevi un concetto troppo elevato degli uomini, perché sono degli schiavi, quantunque siano stati creati ribelli. Vedi e giu-dica! Dopo il trascorrere di quindici secoli, chi hai tu innalzato no a te? Lo giuro, l’uomo è più debole e più vile di quanto tu pensassi [...]. L’anima debole è forse colpevole di non poter contenere dei doni così terribili? Sei tu veramente venuto solo per gli eletti? Allora è un mistero, incomprensi-bile per noi, e avremmo il diritto di predicarlo agli uomini, d’insegnare che non è la libera decisione dei cuori né l’amore che sono importanti, ma il mistero al quale essi devono sottomettersi ciecamente, anche malgrado la loro coscienza. Questo è quello che abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua opera fondamentale sul miracolo, il mistero, l’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere di nuovo guidati come un gregge e liberati da quel dono funesto che causava loro simili tormenti” [...].

“Tu avresti tuttavia potuto prendere allora la spada di Cesare. Perché hai respinto quest’ultimo dono? Seguendo questo terzo consiglio del possente Spirito, tu avresti realizzato tutto ciò che gli uomini cercano sulla terra: un padrone dinanzi al quale inchinarsi, un guardiano della loro coscienza e il mezzo di unirsi nalmente nella concordia in un formicaio comune, poiché il bisogno dell’unione universale è il terzo e ultimo tormento della razza umana” [...].

“Accettando la porpora di Cesare, avresti fondato l’impero universale e donato la pace al mondo. Infatti, chi è quali cato per dominare gli uomini,

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se non coloro che dominano la loro coscienza e dispongono del loro pane? Noi abbiamo preso la spada di Cesare e facendo ciò ti abbiamo abbandona-to per seguirlo. Oh! Ne passeranno ancora dei secoli di licenza intellettuale, di vane scienze e di antropofagia, poiché sarà lì che niranno dopo di aver edi cato la loro torre di Babele senza di noi” [...].

“L’indipendenza, il libero pensiero, la scienza li avranno smarriti in un tale labirinto, messi in presenza di tali prodigi, di tali enigmi, che gli uni, ribelli furiosi, distruggeranno se stessi; gli altri, ribelli ma deboli, folla vile e miserabile, si trascineranno ai nostri piedi gridando: ‘Sì, voi avevate ra-gione, voi soli possedevate il suo segreto e noi ritorniamo da voi; salvateci da noi stessi!’” [...].

“Allora li colmeremo di una dolce e umile felicità, una felicità adatta a delle deboli creature come loro. Li persuaderemo a non inorgoglirsi poiché sei tu che li hai allevati, ad averlo insegnato a loro; proveremo loro che sono deboli, che sono, dei pietosi bambini, ma che la felicità puerile è la più piacevole” [...].

“Certamente li costringeremo al lavoro, ma nelle ore di riposo orga-nizzeremo la loro vita come un giuoco di bambini, con canti, cori, danze innocenti. Oh! permetteremo loro persino di peccare perché sono deboli, e per questo ci ameranno come dei bambini. Diremo loro che ogni peccato sarà riscattato, se viene commesso con il vostro consenso; è per amore che permetteremo a essi di peccare e saremo noi a prenderne la pena. Ci ame-ranno come dei benefattori che si caricano dei loro peccati davanti a Dio. Non avranno per noi alcun segreto. Secondo il loro grado di obbedienza, permetteremo o proibiremo loro di vivere con le mogli o con le amanti, di avere dei gli e di non averne, e ci ascolteranno con gioia. Ci sottoporranno i segreti più dolorosi della loro coscienza, noi risolveremo loro la grave preoccupazione di scegliere da se stessi liberamente. E tutti saranno felici, milioni di creature, salvo un centinaio di migliaia, i loro direttori e salvo noi, depositari del segreto. I fortunati si cinteranno a miliardi e vi saranno centomila martiri oppressi dalla conoscenza maledetta del bene e del male. Moriranno tranquillamente, si spegneranno dolcemente nel tuo nome, e nell’aldilà essi non troveranno che la morte” [...].

“Quanto io ti dico si compirà e il nostro impero si edi cherà. Te lo ripe-to, domani, a un mio cenno, vedrai questo gregge docile portare dei carboni ardenti al rogo ove tu salirai, per essere venuto a intralciare l’opera nostra. Poiché se qualcuno ha meritato più di tutti il rogo, sei tu. Domani ti bru-cerò. Dixi”.

L’inquisitore tace, aspetta un momento la risposta del Prigioniero. Il suo silenzio gli pesa. Il Prigioniero l’ha ascoltato durante tutto il tempo,

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ssandolo col suo sguardo penetrante e calmo, visibilmente deciso a non rispondergli. Il vecchio vorrebbe che egli dicesse qualcosa, dovessero an-che essere parole amare e terribili. D’un tratto, il Prigioniero si avvicina in silenzio al nonagenario e bacia le sue labbra esangui. Questa è tutta la risposta. Il vecchio trasale e le sue labbra si muovono; va alla porta, l’apre e dice: “Vattene e non tornare più... Mai più!”. E lo lascia andare nelle te-nebre della città. Il Prigioniero se ne va.

Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, 1880. 140

Libertà sica e libertà morale La libertà si divide in libertà sica e morale. La libertà sica consiste

nel poter fare un’azione quando non si conosce e quando non si è ancora in grado di conoscere la sua moralità. La libertà morale è quella di cui go-diamo per agire o per non agire pur conoscendo, oppure essendo in grado di conoscere, la moralità dell’azione che stiamo per commettere. Da ciò si deduce che possono esservi delle azioni sicamente libere, che non lo sono moralmente.

Tomás António Gonzaga, Trattato del diritto naturale, 1768, Brasile. 141

Quanto è spiacevole rendere le cose semplici!L’uomo stesso trova dif cile essere uomo. Ghâlib (XIX sec.), tradotto dall’urdu, India. 142

Irriducibile libertà La libertà che mi riconosci è la tua. La libertà di fare ciò che ti piace. La

libertà non è uno scambio, è la libertà.André Malraux, La condition humaine, 1933. 143

Decisione La vita è regolata da una moltitudine di forze. Tutto sarebbe molto sem-

plice se si potesse decidere del corso delle proprie azioni in virtù di un principio generale unico, la cui applicazione sarebbe in ogni momento così evidente da non esigere neppure un istante di ri essione. Ma non ricordo alcun atto per il quale sia stato così facile prendere una decisione.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 144

L’uomo So che la mia anima ha il potere di conoscere ogni cosaE che resta tuttavia cieca e ignorante.So che, pur essendo uno dei piccoli re della Natura,

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Non sono meno asservito alle cose più basse e più vili.So che la mia vita è sofferenza e non avrà che un tempo;So che sono continuamente in balìa d’illusioni;E, per concludere, so che sono un uomo,Quindi un essere nobile e tuttavia miserabile. Sir John Davies (1569-1626), giurista e poeta, Inghilterra. 145

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IL POTERE

Fonti del potere: delega o violenza

Potere e violenza Il potere esiste solo attraverso la violenza. Se vi rinunzia, distrugge se

stesso, perché la gente cessa di temerlo a misura che si rende conto del-la sua clemenza e cessa di tremare davanti a esso. Il potere non è né il co succulento, né la pastosa oliva, né la vigna, che costituiscono la gioia

dell’uomo. Il potere è la spina che fa soffrire; fa male, ferisce, scortica, im-prigiona, uccide. In effetti, non è certo nutrendo gli affamati, né ricoprendo di vestiti i poveri, né curando gli ammalati, né dimostrandosi clementi, sen-za mai ferire o far soffrire chicchessia, che il potere prospera e si perpetua. Per questo, un abisso lo separa dalla clemenza. Per questa ragione ancora bisogna cercare di cogliere la natura, di conoscere coloro che è opportuno proteggere nel quadro di un certo ordine imposto, e di capire il senso di quest’ordine mantenuto con la forza. Esiste, ben inteso, un ordine diverso, quello che Dio ispira – servendosi di Suo Figlio quale intermediario – ad alcuni uomini, e del quale è urgente ricercare il signi cato. Ora, se bisogna far uso della forza per far regnare l’ordine, questo accade perché gli uomini mancano di saggezza, ignorano Dio e non obbediscono ai Suoi comanda-menti. Tuttavia il mondo intero ha bisogno di giustizia e di pace, senza di che non vi sarebbe possibilità di sopravvivenza per l’umanità. E poiché molti popoli non hanno alcun senso della virtù, non conoscono Dio e danno prova di ingiustizia nei confronti dei vicini, Dio, nostro Padrone, che desi-dera assicurare una lunga vita a queste moltitudini, manda loro dei re e dei principi, i quali – grazie al potere di cui Egli li ha investiti – mantengono la pace, combattono l’ingiustizia, troncano in prima e ultima istanza i litigi e impediscono alla gente – con la complicità delle autorità – di arrecar danno ai loro simili, di impadronirsi con la forza dei beni che non appartengo-no loro, di commettere furti o di arrogarsi dei diritti sulla proprietà altrui. Perciò ogni potere che si preoccupa di assicurare la pace e di permettere al massimo numero di persone di vivere onoratamente e nella prosperità,

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è tenuto a reprimere tutte queste iniquità e a usare la forza per far trionfare la pace e la giustizia. Più esso si preoccupa di mantenere la pace e più deve dimostrarsi implacabile nella repressione, perché i cittadini lo temano e perché così ciascuno si contenti di quello che ha. Quando il potere sarà riuscito a sopprimere l’ingiustizia, l’ordine regnerà dappertutto; gli uomini troveranno la pace e ciascuno potrà godere senza intralci dei beni che pos-siede. Un tale ordine è necessario all’esistenza di ogni nazione, perché in sua assenza gli uni cercherebbero di distruggere gli altri, vi sarebbero lotte di partiti, i forti opprimerebbero i deboli, li scaccerebbero dai loro focolari, ne farebbero dei servi o dei domestici e prenderebbero a loro le loro donne. Il potere serve dunque ad allontanare tutti questi agelli. E se si chiama se-colare, questo accade precisamente perché è tenuto a occuparsi degli affari del secolo per far trionfare in tal modo un ordine superiore.

Petr Chel iký (XV sec.), Dei tre stati (il clero, lo Stato, il popolo). 146

Oggetto del potere Il potere politico è quel Potere che ciascun uomo possiede allo stato di na-

tura, che si è riunito nelle mani di una società e che questa società ha af dato ad alcuni leader che sono stati scelti, con l’assicurazione e la condizione, espressa o tacita, che questo potere sarebbe stato usato per il bene del corpo politico, e per la conservazione di quanto appartiene in proprio ai suoi mem-bri. Ora, il potere che ciascuno ha allo stato di natura, e di cui si spoglia per darlo nelle mani di una società, consiste nell’uso dei mezzi più appropriati e che la natura permette, per conservare ciò che si possiede in proprio, e per punire coloro che violano le leggi della natura; in modo che così si lavora il più ef cacemente e più ragionevolmente possibile alla propria conserva-zione e alla conservazione degli altri uomini. Il ne quindi e l’oggetto prin-cipale di questo potere – quando è nelle mani di ogni singolo allo stato di natura – non rappresentando altro che la conservazione di tutti i membri della società, cioè di tutti gli uomini in generale, quando passano nelle mani dei magistrati e dei principi, non deve avere altro ne, né altro oggetto all’infuori delle conservazioni dei membri della società alla quale essi sono preposti, la conservazione delle loro vite, delle loro libertà, di ciò che loro appartiene: e per una conseguenza, la cui forza ed evidenza non possono fare a meno di farsi sentire, questo potere non potrebbe legittimamente essere un potere assoluto e arbitrario nei confronti delle loro vite e dei loro beni, che devono essere conservati il meglio possibile. Tutto ciò a cui il potere in oggetto deve tendere, consiste nel fare delle leggi e aggiungervi delle pene e, in vista della conservazione del corpo politico, nel tagliar via da esso solo quelle parti e quei membri che si sono corrotti, perché mettono in grave pericolo ciò che è

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sano; se si in iggessero pene con altri scopi, la severità non sarebbe affatto legittima. Del resto, il potere politico trae le proprie origini dall’accordo, dal mutuo consenso di coloro che si sono uniti per comporre una società.

John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 147

Fonte di potere: l’elezione Il popolo eleggerà, oltre ai dieci commissari già esistenti, venti altri,

scelti tra i cittadini che hanno più di 40 anni. Costoro, dopo aver giurato di redigere le proposte che giudicheranno migliori per lo Stato, presenteranno proposte per la salvezza dello Stato; ogni altro cittadino avrà anche il dirit-to di fare una proposta, af nché venga adottata la migliore di tutte.

Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene. 148

Elezioni nella Chiesa medievale Colui che deve essere alla testa di tutti (i credenti) deve essere scelto da

tutti (i credenti).San Leone, papa (V sec.). 149

Il principio dell’elezione papale Con la testimonianza di quasi tutto il clero, coi suffragi della folla pre-

sente, dei sacerdoti più anziani e degli uomini quali cati, egli fu eletto dalla maggioranza dei nostri colleghi.

San Cornelio (IlI sec. d.C.). 150

Consenso indispensabile Che nessun vescovo sia imposto ai fedeli contro la loro volontà. Celestino I, papa (V sec.). 151

Il principio della maggioranza Vinca la maggioranza. Concilio di Nicea (325 d.C.). 152

Si presume che la maggioranza abbia sempre ragione. Innocenzo IV, papa (1247). 153

Lo scrutinio segreto era già in uso nel 1159 nelle comunità monastiche: ... con gettoni bianchi e gialli, discretamente e segretamente, e non ad

alta voce o per seduta e alzata. Guillaume de Mandagout, cardinale, Libellum super electionibus, ( ne

XIII sec.). 154

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Gli assenti non devono essere contati nel numero di coloro che devono partecipare al capitolo (all’assemblea).

Panormitanus (verso il 1450). 155

Il mandato imperativo è proibito Essi sono tenuti a eleggere colui che, in coscienza, credono il più capa-

ce, o che stimano esserlo verosimilmente di più. Nova Collectio dell’ordine dei certosini (1582). 156

Ciò che riguarda tutti, deve essere discusso e approvato da tutti. Innocenzo III, papa (1161-1216). 157

Diritti del popolo Solo la comunità dei cittadini o la parte più eminente di essi può dare le

leggi umane. Marsilio da Padova, Defensor pacis (1324). 158

Costituzione “Nihil novi” Poiché la legge universale e le costituzioni pubbliche si applicano alla

nazione intera, e non a un individuo, noi stabiliamo che d’ora innanzi non può essere deciso nulla di nuovo senza il consenso comune del consiglio e dei deputati.

Polonia, 1505. 159

Elezione del generale Ecco come essi fanno la scelta del loro generale. Dopo essersi radunati

in assemblea, tutti i vecchi Cosacchi che godono fra loro di credito, danno ciascuno il proprio voto a colui che essi credono il più capace, ed egli viene nominato con la pluralità dei voti.

Guillaume de Beauplan, Descrizione dell’Ucraina, 1660, Francia. 160

Diritto dei cittadini a essere rappresentati in Parlamento In Inghilterra, i cittadini hanno – in virtù della “Common Law” – il di-

ritto di non essere soggetti a leggi che siano state elaborate senza il loro consenso; e siccome non è possibile ammettere ciascuno di loro a far valere questo diritto – il che, a causa del loro numero nirebbe nel disordine – essi eleggono dei rappresentanti, ai quali delegano a questo scopo i loro poteri [...]; si tratta di un diritto eminentemente rispettabile, che permette a ogni cittadino di partecipare al governo e alla legislazione.

Affare Ashby, Discorsi del Lord Chief Justice Holt, 1704, Inghilterra. 161

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Il potere 79

Virtù e doveri del sovrano

La missione del padre sulla terra Il padre, radice e origine del lignaggio umano. Il suo cuore è buono, egli

è buon amministratore delle cose, è compassionevole, dà prova di solleci-tudine, è colui che prevede, sostiene, e le cui mani sono protettrici.

Egli alleva i suoi gli, li educa, li istruisce, li sgrida, insegna loro a vivere.

Egli colloca dinanzi a loro un grande specchio, uno specchio forato dalle due parti; è come una grande torcia che non fa fumo.

Tradizione azteca (XVI sec.), Messico. 162

Misure prese in occasione di una carestia nell’antico Egitto Non ho fatto del male alla glia del povero. Non ho oppresso la vedova.

Non ho tormentato il contadino. Non ho maltrattato il pastore.Non esiste un capo squadra di cui io abbia preso gli uomini per farli

lavorare. Non vi è stato un povero intorno a me. Non vi è stato un affamato all’epoca mia.

Quando vennero gli anni della carestia, io mi sono alzato e ho lavorato tutti i campi del distretto dell’Oryx, dalle frontiere del sud a quelle del nord. Ho fatto in modo che i suoi abitanti facessero provviste per sopravvivere e che nessuno soffrisse la fame. Ho dato sia alla vedova che a colei che aveva un marito; non ho favorito l’adulto più dell’adolescente coi miei doni.

Poi, quando ritornarono le grandi inondazioni del Nilo e ritornarono in abbondanza le messi e ogni cosa, non ho reclamato gli arretrati della fattoria.

Iscrizione sulla tomba di Amenemhat, capostipite degli Oryx (XII dina-stia, inizio del II millennio a.C.). 163

Al di là di ogni costrizione, la ricerca da parte di ciascuno della propria perfezione

Kien-wu andò a trovare il pazzo Tsie-Yu, che gli domandò:“Che cosa ti ha detto Te-Tchong-che? – Mi ha insegnato, – disse Kien-wu – che il principe pubblica gli editti

sui princìpi della vita sociale e della morale, le regole di condotta e la valutazione delle cose. I suoi sudditi, poiché non osano disobbedirgli, si trasformano sotto l’in uenza della sua politica.

– Si tratta, – disse il pazzo Tsie-Yu – di un modo di ingannare gli uo-mini. Voler governare così, è come voler scavare un canale nel mare e far portare una montagna da una zanzara. Il santo governa forse gli uomini dal di fuori? Egli corregge dapprima se stesso, e la sua in uenza si diffonde

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in seguito. Egli non afferma altro che la propria capacità. D’altronde, l’uc-cello vola molto alto per evitare l’attacco della rete e della freccia; il topo campagnolo si nasconde profondamente sotto la collina per paura di essere as ssiato e disotterrato. Ignori tu forse la saggezza di queste bestiole?”

Ciuang-Tse (III sec. a.C.), Cina. 164

Doveri dei superiori di non abusare dei loro diritti I superiori si guardino bene dall’incatenare le anime dei loro soggetti

con dei princìpi di ubbidienza, sotto pena di colpa grave, quando non vi saranno costretti dalla necessità.

Costituzione dei Frati Minori Cappuccini (1536). 165

Doveri del re Quando un principe af evolisce la sua autorità, tradendo il suo nome e

la sua gloria,Se d’un tratto perde la sua ricchezza, si copre di vergogna.Tu stesso, o grande re, dovrai istruire il tuo popolo nella via del bene,Se non vuoi che il tuo regno e il tuo patrimonio diventino preda dei tuoi

servi disonesti.Fa in modo, o re, di non nuocere mai al tuo popolo inducendolo in errore,Se non vuoi vederli tutti, uomini e donne, tuffarsi in un oceano di di-

sgrazie.Quando un re è liberato da ogni timore, e si pone per scopo il piacere

dei sensi,Se perderà le sue ricchezze e tutto ciò che gli appartiene, si copre di

vergogna.Tra i grandi della terra, distinguiamo cinque poteri:Quello delle armi è certo all’ultimo posto;Viene poi, si dice, quello della ricchezza, o potente signore;Al terzo posto io indicherei, o re, il potere del discernimento;Nella valutazione il potere della casta è certamente al quarto posto;L’uomo avveduto aspirerà, senza dubbio, a ciascuno di questi.Di tutti questi poteri, il migliore è quello che si chiama sapere,Poiché dà all’uomo la saggezza e il successo. J taka (Le nascite), tradotto dal pali. 166

Responsabilità particolari del re Il re deve assicurare il sostentamento dei minori, dei vecchi indigenti

quando sono abbandonati, e anche quella delle donne che non hanno avuto gli (quando sono abbandonate)..

Kautiliya-Arthasâstra (II-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 167

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Il potere 81

Il re deve incaricarsi del sostentamento dei deboli e dei pazzi. Vasistha-Dharmasûtra, XIX (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 168

Il re deve vegliare sui beni dei vecchi e dei minori, dei ciechi e dei poveri. … … …Il regno del sovrano nei cui possedimenti una persona soffre la fame,

anche dopo aver compiuto i suoi studi subisce uno scacco [...]. Il re, nel cui regno delle donne in lacrime sono portate via violentemen-

te, mentre i loro mariti e i loro gli si lamentano, è come morto. Egli non vive.

Mahâbhârata, XIII (II sec. a.C. - I d.C.), tradotto dal sanscrito. 169

Nel suo regno, nessuno dovrebbe soffrire la fame, la malattia, il freddo e il caldo, sia a causa della povertà che di un’azione deliberata da altri.

Apastamba-Dharmasûtra, II (450-350 a.C.), tradotto dal sanscrito. 170

Il “portavoce” (okyeame) è un personaggio importante che serve da intermediario tra il capo e il popolo, oppure tra il capo e un altro capo; vi-gila sull’esattezza del linguaggio di rigore in ogni circostanza, e si rivolge al nuovo capo eletto in questi termini:

Lascia in pace le donne, Non lasciarti andare all’ubriachezza, Quando ti diamo un consiglio, ascoltalo. Non vogliamo che tu c’inganni, Non vogliamo che tu sia spilorcio, Non vogliamo gente che non ascolta i consigli, Non vogliamo che tu ci prenda per degli schiocchi, Non vogliamo degli autocrati, Non vogliamo essere brutalizzati, Non ci piace essere bastonati. Prendi lo sgabello, Benediciamo lo sgabello e te l’offriamo, Gli anziani dicono che ti danno lo sgabello.

Tradizione ashanti, Ghana. 171

Il nuovo capo presta allora giuramento davanti agli Anziani. Si denuda la spalla ma non sì toglie i sandali. Impugnando la sciabola da cerimonia dichiara:

Pronuncio il nome proibito di Mercoledì (giorno sacro). Pronuncio il grande nome proibito, perché se – con voi – io non governo

bene questo popolo, come i miei antenati e voi lo avete governato, e se

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82 Il diritto di essere un uomo

non ascolto i vostri consigli, incorro nel castigo previsto contro colui che pronuncia la grande parola proibita, io incorro nel castigo previsto contro chi pronuncia il nome proibito di Mercoledì.

E il capo continua: Quanto a me, oggi essi mi hanno collocato su questo seggio; vi supplico

di restare dietro a me dignitosamente: vi prego di concedermi una lunga vita; vi prego di accordarmi l’onore; non permettete che il mio popolo si stanchi di me; fate che questo popolo prosperi.

Tradizione ashanti, Ghana. 172

Giuramento del sacerdote Se io, sacerdote di Kloweki,non ho mai fatto cose simili;se non ho mai ucciso alcuno,mai provocato aborti,mai insultato il nome di alcuno,né portato falsa testimonianza,contro chicchessiae se, malgrado ciò, qualcuno mi accusadi aver fatto simili cose,imputandomi in tal modo crimini d’un altro,sarebbe un grande delitto da parte sua.Invocate la maledizione di Nânâ kodâsulla sua testa.

Tradizione krobo, Ghana. 173

Giusto oggi e ingiusto domani, non è questo un bel modo di governare. Proverbio akan, Ghana. 174

Tolleranza e perdonoSpirito di vendetta – governo cattivo. Proverbio akan, Ghana. 175

A Tse Kong, che gli domandava che cosa necessitava per governare, il Maestro disse: “Alimenti e munizioni in quantità suf ciente, e la ducia del popolo”. Tse Kong disse: “E se fosse assolutamente necessario fare a meno di una di queste tre cose, a quale rinuncereste?”. “Alle munizioni”, rispose il Maestro. Tse Kong gli domandò allora a quale delle altre due cose rinunce-rebbe se fosse necessario fare a meno di una di esse. Il Maestro rispose: “Agli alimenti perché n dall’origine dei tempi la morte colpisce tutti gli uomini; ma i popoli che non hanno ducia (nei loro dirigenti) vanno in rovina”.

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Il potere 83

Il Maestro disse: “Se un dirigente ha il cuore eccellente, le cose si faran-no senza che egli debba dare degli ordini. Se non ha il cuore eccellente, egli potrà dare degli ordini, ma non sarà obbedito”.

Confucio (551-479 a.C.), Dialoghi, Cina. 176

Non fare ai tuoi inferiori ciò che non ti farebbe piacere che i tuoi supe-riori facessero a te.

Scuola di Confucio (V sec. a.C.), Il grande studio. 177

Se il Sovrano, che è il padre del popolo, non può fare a meno di compie-re azioni che equivalgono a far divorare degli uomini da bestie feroci, come potrebbe pretendere di essere (considerato) il padre del popolo?

Mencius (372-289 a.C.), Cina. 178

La vita del Sovrano Se le leggi vengono fatte dopo essere state discusse [...] gli affari saran-

no condotti bene. Nei casi previsti dalla legge, la legge sarà applicata; nei casi non previsti dalla legge, le dif coltà saranno risolte per analogia.

Suin Tzu (III sec. a.C.), Cina. 179

Il re sempre al servizio del popolo Per molto tempo, gli affari dello Stato non sono stati trattati né i rapporti

ricevuti in qualsiasi momento. In seguito a ciò io ho preso ora le seguenti misure: in ogni momento, sia che io mi trovi durante il pranzo, o nell’ap-partamento delle donne, o negli appartamenti interni, o nelle scuderie, o ai corsi d’istruzione religiosa, o nel giardino, dappertutto gli ispettori do-vranno presentarmi i loro rapporti sugli affari del popolo. Dappertutto mi occuperò degli affari del popolo.

Editto di Ashoka, VI (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 180

Il re deve dominarsi Il dominio dei sensi che conduce allo studio delle scienze e alla discipli-

na deve essere ottenuto con la rinuncia alla lussuria, alla collera, all’avidi-tà, all’orgoglio, all’arroganza e all’esultanza eccessiva [...].

Di conseguenza, egli dovrà vincere i sensi sbarazzandosi del gruppo dei suoi nemici (cioè la lussuria, la collera, l’avidità, ecc.), coltivare la sua intelligenza frequentando i più anziani di lui [...], ottenere il pro-gresso e la stabilità con lo sforzo, fare in modo che il popolo compia i propri doveri compiendo lui stesso i suoi, sviluppare la disciplina con l’insegnamento delle scienze, rendersi popolare assicurando il benes-

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sere materiale e adottare l’atteggiamento corretto, facendo ciò che è vantaggioso.

Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 181

La regalità in quanto sacri cio Lo sforzo ininterrotto costituisce il voto che il re deve osservare in quan-

to sacri catore; l’adempimento dei suoi doveri costituisce la consumazio-ne effettiva del sacri cio; l’atteggiamento imparziale nei riguardi di tutti costituisce l’offerta sacri cale e il rito di iniziazione ne è il coronamento.

Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 182

Il contratto del sovrano col popolo Vainya fu il primo uomo designato come re. In questa occasione, egli

concluse con gli dei e coi saggi, che rappresentavano il popolo, il seguente contratto:

“Qualunque sia il compito riguardo agli obblighi politici che voi m’impo-nete di svolgere, in verità, io lo compirò. Non abbiate al riguardo alcun dub-bio”. Allora gli dei e anche i grandi saggi gli dissero: Qualunque sia il dovere il cui adempimento è stato chiaramente prescritto in determinate circostanze, compilo senza esitazione, scartando ogni considerazione di ciò che è grade-vole o sgradevole, rimanendo imparziale verso tutte le creature e rinuncian-do alla lussuria, alla collera, all’avidità e all’orgoglio. Se qualcuno sfugge all’adempimento del proprio dovere, dovrai impedirglielo con la forza delle (tue due) braccia e facendo sempre bene attenzione al tuo dovere personale.

Mahâbârata, XII (II sec. a.C, I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 183

Il Sovrano che regna veramente su tutti i suoi sudditi è colui di cui si sa solo che esiste. Viene poi il Sovrano che è amato e lodato,

Poi quello che è temuto, Poi quello che è disprezzato. Se (il Sovrano) non ha suf ciente ducia (nel suo popolo), allora in ve-

rità il suo popolo non ha ducia in lui. Lao-Tzu (VI sec. a.C.) Tao tô-king, Cina. 184

Se l’autorità dei dirigenti è puramente esteriore, potrà sembrare che l’or-dine regni per un certo tempo nello Stato, ma il cuore degli uomini non sarà in pace. Se quest’autorità si esercita secondo il mio metodo, che è quello della persuasione interiore, si stabiliranno delle relazioni personali nel mondo intero e ogni governo diventerà inutile.

Lieh-Tzu, scuola taoista (IV-III sec. a.C.), Cina. 185

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Il potere 85

L’imperatore, i suoi ministri e il popolo sono legati da un contratto. Scuola di Mo-Tzu (V sec. a.C.). 186

Un re che governa secondo la legge deve prelevare un sesto dei beni (dei suoi sudditi) come rimunerazione dei suoi servizi.

Vasistha-Dharmasûtra, I (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 187

Il primo dovere di un re è quello di proteggere i suoi sudditi Un re che, senza proteggere i suoi sudditi, percepisce da essi il tributo,

l’imposta, i diritti di pedaggio, una frazione (delle loro rendite) e delle multe va diritto all’inferno.

Manusmriti (VIII a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 188

Felicità dei sudditi, felicità del re La felicità del re risiede nella felicità dei suoi sudditi e il suo bene con-

siste nel bene dei suoi sudditi. Non quello che gli è caro, ma quanto è caro ai suoi sudditi, ecco ciò che è per lui il bene.

Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 189

La paternità del re Tutti gli uomini sono miei gli. Allo stesso modo che io desidero vedere

i miei gli godere di tutto il bene e di tutta la felicità del mondo, lo auguro anche a tutti gli uomini.

Editto di Ashoka, I (IlI sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 190

Il re deve proteggere i suoi sudditi che sono sfruttati dai funzionari, spe-cialmente dai Kâyasthas (gli uscieri). Solamente se saranno in tal modo liberati dal timore suscitato dai funzionari essi potranno essere considerati veramente come i sudditi del re.

Agni-Purâna, 223, 12 (V sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 191

Il re che si augura che la sua prosperità sia durevole deve anzitutto ri-cercare con cura i colpevoli e poi punirli con moderazione. Anche se un ministro vede sua madre morire di fame, non deve far nulla che i saggi giudicherebbero disprezzabile.

Tirukkural (I sec. d.C.), tradotto dal tamil, isole Mauritius. 192

Virtù regali Per quanto il possesso di una quadruplice armata – gli elefanti pieni di

feroce ardore che seminano la morte, i cavalli focosi dalla corsa rapida, i

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carri montati su alte ruote e completamente bardati di bandiere e i corag-giosi guerrieri che ardono del desiderio di correre al combattimento – possa contribuire alla grandezza di un regno, sappi, o re, che la sua vera forza viene dalla pratica della virtù. Evita quindi, rendendo giustizia, di favorire i tuoi parenti e i tuoi amici; non disconoscere le qualità degli estranei; che la tua bravura sul campo di battaglia e altrove sia altrettanto appariscente quanto il sole; che la tua bontà verso i tuoi sudditi sia altrettanto soave quanto i raggi della luna; riversa i tuoi bene ci sul mondo come fa la piog-gia e scaccia in tal modo la povertà dal tuo regno. O re molto grande e glorioso! Possa tu vivere (felice) ancora per molti anni.

Purananooru (Il sec. a.C - II d.C., epoca sangam), tradotto dal tamil. 193

Roboamo si recò a Sichem e gli Israeliti vennero a trovarlo per chie-dergli di alleggerire il giogo che era stato loro imposto. Il re Roboamo si consultò con gli anziani che erano stati al servizio di Salomone suo padre durante la sua vita. Disse loro: “Come mi consigliate di rispondere a que-sto popolo?”. Quelli gli risposero: “Se oggi ti sottometti a questo popolo, servendolo e rispondendogli con buone parole, ti obbediranno per sempre”.

Bibbia ebraica, Libro dei Re, I, 12. 194

Giustizia clemente Dirigere i subordinati con semplicità, governare il popolo con genero-

sità. La punizione non raggiunga i discendenti, le ricompense si estendano agli eredi. Perdonare gli errori, qualunque ne sia stata la gravità; punire i crimini intenzionali, per leggeri che siano. Trattare come leggeri i crimi-ni la cui gravità è dubbia e come grandi i meriti la cui importanza non è evidente. Val meglio trascurare una irregolarità piuttosto che uccidere un innocente.

Shu-Shing (attribuito a Confucio, 551-479 a.C.), Cina. 195

Qualità richieste per il Gran Sacerdote Che fosse povero e umile, Che suo padre e sua madre fossero i più poveri dei poveriPoca importanza aveva la sua origine, Contavano solo il suo modo di vivereLa purezza del suo cuore, La sua bontà, la sua umanità... Il coraggio del suo cuore... Si diceva che egli possedeva Dio nel suo cuore, Egli era profondo conoscitore di tutti gl’insegnamenti di Dio.

Tradizione azteca (XV sec.), Messico. 196

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Il potere 87

Il regno della benevolenza L’imperatore leggendario del Giappone è rivestito di tutti gli attributi

del re- losofo cinese perché è il padre del suo popolo.Sesto giorno del secondo mese della primavera del quarto anno. L’Im-

peratore si è rivolto ai suoi ministri in questi termini: “Siamo saliti su di una alta torre e abbiamo spinto i nostri sguardi a perdita d’occhio, ma non abbiamo visto alzarsi dalle nostre terre alcun lo di fumo. Ne deduciamo che il popolo è miserabile e che nelle case nessuno cuoce il riso. Abbiamo saputo che sotto il regno dei saggi sovrani dell’antichità tutti cantavano le loro lodi e da ogni focolare si udiva questo ritornello: “Quanto è grande la nostra fortuna”. Noi osserviamo il popolo da tre anni, ma oggi non si sentono frasi d’elogio; il fumo dei fornelli diventa sempre più raro. Questo ci fa comprendere che i cinque grani (canapa, miglio, riso, grano e orzo, i cinque grani dell’antica Cina) non crescono più e che il popolo soffre di una grande miseria. Per no nelle province dell’interno (il territorio che si estende attorno alla capitale posto sotto l’autorità diretta dell’imperatore) vi è gente che non ha il necessario; che cosa avverrà nelle province esterne del nostro regno?”.

Ventunesimo giorno del terzo mese. Venne promulgato il seguente de-creto: “D’ora innanzi e per tre anni, che il lavoro forzato sia completamente abolito e che il popolo levi la testa dalla sua fatica”. A partire da quel giorno gli abiti di gala e i calzari dell’imperatore non furono più usati e non se ne fabbricarono più. I viveri caldi e i brodi bollenti cessarono di inacidire o di alterarsi e non se ne prepararono più. L’imperatore regolò il suo cuore e frenò i suoi impulsi benché continuasse a svolgere senza sforzo le sue funzioni.

Da quel momento la cinta del Palazzo cadde in rovina e non fu più rico-struita; la paglia imputridì, ma non fu messa al riparo; il vento e la pioggia entrarono dalle fessure e bagnarono le coperte; la luce delle stelle ltrò attraverso le screpolature e cadde sui tappeti. Dopo di che il vento e la pioggia vennero a tempo opportuno e i cinque grani frutti carono in ab-bondanza. Per tre autunni il popolo ebbe largamente di che vivere e l’e-logio delle virtù dell’imperatore si udiva da tutte le parti e il fumo saliva spesso dai camini.

Primo giorno del quarto mese dell’estate del settimo anno. L’imperatore, salito sulla sua torre, guardava a perdita d’occhio e vedeva abbondanti fuma-te. Quel giorno si rivolse all’imperatrice con queste parole: “Noi siamo ora prosperi, di che cosa potremmo af iggerci?”. L’imperatrice rispose dicendo: “Che cosa intendi tu per prosperità?”. L’imperatore disse: “Non vi è alcun dubbio che vi sia quando il fumo s’innalza dalle terre e il popolo accede libe-

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ramente alla ricchezza”. L’imperatrice proseguì dicendo: “La cinta del palaz-zo sta crollando e non la si può riparare; le costruzioni sono talmente andate in rovina che le coperte sono esposte alle intemperie. Si può forse dire che noi viviamo nella prosperità?”. L’imperatore rispose: “Quando il Cielo insedia un Principe, ciò è nell’interesse del popolo. Il Principe deve quindi costruire la sua politica sul popolo. Per questo i saggi sovrani dell’antichità si assunsero la responsabilità quando uno solo dei loro sudditi era intirizzito e affamato. Ora la povertà del popolo non ha nulla di diverso dalla Nostra povertà e la prospe-rità del popolo non ha nulla di diverso dalla Nostra prosperità. Non è possibile che il popolo sia prospero e che, al tempo stesso, il principe sia povero.

Nihongi (Cronache del Giappone, VIII sec.). 197

Ritratto di un buon re Egli distribuiva a tutti,ai giovani come ai vecchi,tutto ciò che Dio gli dava,salvo la terra della gentee la vita degli uomini.

Beowulf, poema epico anglosassone (VIII sec.). 198

Avvertimento ai sovrani Sappiate che le dinastie declinano perché i sudditi sono negletti e lasciati

senza un lavoro determinato o un compito preciso. Se la disoccupazione si estende, la gente si mette a ri ettere, a pensare alle cose essenziali. Que-ste cose vengono allora esaminate sotto angolature differenti e si formano diverse scuole, il che causa inimicizia e odio reciproco, mentre tutti sono unanimi nel detestare il loro sovrano.

Attribuito al re sassanide Ardachêr I (III sec.), Persia. 199

Gli si domandò: “Che cosa i sudditi hanno diritto di aspettarsi dai re e che cosa i re hanno diritto di attendere dai loro sudditi?”.

Egli rispose: “I sudditi hanno il diritto di aspettarsi dai re che essi li trat-tino con giustizia, diano loro ciò che è loro dovuto, veglino alla sicurezza delle loro strade e sorveglino le loro frontiere. I sudditi devono ai loro re buoni consigli e gratitudine”.

Attribuito al re Khosro I, Anoshirvan (VI sec.), Persia. 200

“Il peggio...” Il saggio domandò allo Spirito della saggezza: “Chi è il peggiore dei so-

vrani, il peggiore dei capi, degli amici, dei parenti, degli sposi, dei bambini e dei paesi?”

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Il potere 89

Lo Spirito della saggezza rispose: “Il peggiore dei sovrani è colui che non è capace di vegliare sulla tranquillità del paese e dei suoi abitanti. Il peggiore dei capi è colui che è incompetente, ingrato verso coloro che lo servono, e che non sostiene i suoi sottoposti e non intercede per loro. Il peggiore degli amici è colui del quale non ci si può dare. Il peggiore dei parenti è colui che non vi viene in aiuto nella sfortuna. La peggiore delle spose è colei con cui non è possibile vivere con piacere. Il peggiore dei gli è colui che non sostiene il buon nome della famiglia. Il peggiore dei paesi è quello dove non è possibile vivere felici, senza timore, e in modo permanente.

Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 201

Il governo dei più saggi e il benessere del popolo Siccome questi re, e ciò è veramente notevole, comandavano a province

tanto grandi e regnavano su terre tanto vaste e in una regione molto arida e disseminata di montagne e di picchi nevosi o coperte di aride sabbie senza alberi né acqua, occorreva molta saggezza per governare delle nazioni così numerose, così differenti le une dalle altre per lingua, leggi e religione, per mantenerle tutte nella tranquillità e permettere loro di godere pace e amici-zia; e così benché la città di Cuzco fosse la capitale del loro impero, come abbiamo già spesso ricordato, essi avevano piazzato a intervalli, come ve-dremo, i loro delegati e i loro governatori, che erano gli uomini più saggi, più capaci e più zelanti che si potessero trovare e tra i quali nessuno era tanto giovane da non aver raggiunto l’ultimo terzo della loro età.

... Su terre così vaste, i loro principi ispiravano tanto timore che ogni popolo era così sorvegliato, e così ben governato, come se il signore in persona vi si fosse trovato per castigare coloro che si sarebbero comportati in altro modo. Questo timore si spiegava con la virtù e la giustizia stessa dei loro signori; perché si sapeva che se fosse stato commesso un errore, il castigo avrebbe colpito subito immancabilmente il colpevole, senza che le suppliche o la corruzione potessero fermarlo. Gli Incas trattavano sempre bene i loro vassalli e non ammettevano che li si molestasse o si colpisse-ro con imposte troppo pesanti o si facesse loro del male in qualche altro modo; al contrario, a tutti coloro – ed erano numerosi –- le cui province erano improduttive e i cui antenati avevano vissuto nella miseria, essi ordi-navano di render le loro terre fertili e prospere, fornendo loro il necessario; e là dove c’era mancanza di abiti o di greggi, essi comandavano di farne una generosa distribuzione. In ne allo stesso modo in cui questi signori seppero utilizzare le loro genti e ottenerne il tributo, così seppero conserva-re le terre, civilizzare le rozze popolazioni e trarle dalla loro miseria.

Pedro Cieza de León, cronista spagnolo del Perù (XVI sec.). 202

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90 Il diritto di essere un uomo

Estratto di un lungo poema in persiano, indirizzato a un sultano ottoma-no, Solimano I il Magni co

Come potrebbe l’uomo che orna la sua tavola di abbondanti cibi, pro-venienti dalle fatiche del popolo, l’uomo che a tutti i pasti mangia di ogni sorta di arrosti e di carne ai ferri, come potrebbe un tal uomo impietosirsi su dei cuori straziati? Il cuore duro è forse capace di provare la minima pietà per i cuori bruciati sul vivo? Il popolo non avrà alcuna tranquillità e alcuna fortuna sotto il regno di un monarca ingiusto. Divenuto guardiano del gregge, il lupo non sarà che una più grande calamità per le pecore. So-vrano senza cuore! Il contadino ha piantato e curato un albero perché tu ti rallegri alla sua vista. Non andarlo a tagliare, a segarlo per fartene un trono. Strappare con i denti le labbra che una bella, dal corpo di rosa, ha deposto quale balsamo sul tuo cuore ferito, non è un atto virile. Quale gioia può procurarti un trono che tu farai navigare nei utti delle lacrime cadute dagli occhi degli infelici? Sì, tu hai la tua parte di rendita sui beni del contadino, ma a condizione di recargli il tuo soccorso e la tua protezione ogni volta che gli accade una disgrazia. Spetta a te il compito di risarcire il contadino quando i suoi beni soffriranno delle perdite. Chi potrebbe proteggerlo se tu stesso gli fai torto?

Fuzûlî, poeta curdo (XVI sec.), tradotto da una versione turca. 203

Ogni uomo, nobile e paria, è un’anima donata dal cielo. Lasciare affa-mare un uomo, anche il più povero, è come uccidere con un colpo diretto l’anima del cielo [...]. Quando tutto il popolo muore di fame a che serve l’esistenza del signore? Il signore esiste solo per il popolo.

Baigan Ishida (1685-1744), Sulla città e sulla campagna, Giappone. 204

(Si dice che) i potenti non commettono errori; ma una volta che essi ne commettono, le loro conseguenze sono gravi.

Bisogna che i potenti abbiano il cuore tenero come cera. Proverbi turchi, citati nel XV sec. 205

Il Padiscià non deve installarsi nel suo palazzo prima che la casa (degli umili) sia costruita.

Proverbio turco. 206

Clemenza Una grande battaglia si svolse tra lui e l’Imam Ahmad, e il Signore Al-

tissimo (Benedetto sia il suo nome!) ornò della vittoria il re Claudio (la Pace sia su di lui!). E l’Imam Ahmad morì per mano di uno dei servi del re.

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Il potere 91

Ed essi uccisero numerosi soldati dell’armata dei Turcomanni e gente del paese di Saad-ed-Din. E quanto ai superstiti, metà fuggì per la via del mare con la moglie dell’Imam Ahmad e l’altra metà si impadronì di Muhammad, glio dell’Imam Ahmad, e lo consegnò nelle mani del re onorato Claudio,

e anch’essi deposero la loro sottomissione ai suoi piedi. Ma egli era clemente e misericordioso, e non rendeva male per il male di

cui erano colpevoli verso di lui, faceva invece il bene come un benefattore. E quando, nel giorno indicato in testa a questo racconto, molta gente che gli aveva nuociuto (a lui personalmente), o alla famiglia di suo padre o di sua madre, o alle chiese che si trovavano nelle parti basse del suo reame, si arresero nelle sue mani, essi furono lasciati sani e salvi dalla sua clemenza e misericordia, e non vi fu persona che se la prendesse con loro: neppure un cane per osare di leccarli con la sua lingua!

Accadde solo che un uomo della schiera Portoghese uccise a tradimento uno tra coloro i cui misfatti si erano innalzati no alle nuvole; tuttavia que-sta non era la volontà del nostro re Mar Claudio (la Pace su di lui!).

Cronaca dell’imperatore Claudio (1540-1559), Etiopia. 207

Rispetto dell’autorità Il nobile non si muove. Bisogna sempre avere rispetto e riguardo verso i superiori, i genitori, i

capi, e tutte le autorità. Un vecchio non chiede la (sua) parte. Egli non domanda: “Quale è la mia parte? Dov’è?”. Gliela si dà sponta-

neamente. Si debbono prevenire i desideri di un uomo anziano e non lo si deve morti care per il fatto che deve attirare l’attenzione su di sé.

Più uno è vecchio, più grande è la parte che gli deve essere riservata. Proverbi mongo, Congo. 208

Durante tutto il suo regno l’Imperatore non si affrettava proprio a con-dannare a morte. Quando qualcuno aveva assassinato un altro e gli si ap-plicava la legge, egli lo faceva con rettitudine e senza parzialità. Quando il titolare del debito di sangue di quest’uomo reclamava la sua morte, egli riscattava (la sua vita) con delle parole paci catrici e pagando per lui il prezzo convenuto del sangue. Quando un prigioniero di popoli pagani o di tribù musulmane gli veniva presentato (quest’uomo) capiva che era sfug-gito alla morte.

E d’altra parte non era uomo da scontare le colpe degli altri, non dava retta alle chiacchiere che correvano sulla gente, non accoglieva volentieri le accuse, non stava continuamente a castigare, non aveva l’abitudine di

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92 Il diritto di essere un uomo

adirarsi. E i popoli temevano il suo silenzio senza che avesse bisogno di ir-ritarsi e se gli capitava di arrabbiarsi, il sole non si coricava sulla sua colle-ra. Non odiava la gente a causa dei loro peccati, non rimproverava il giusto.

Piangeva sui morti e si consolava con la speranza della loro risurrezione. Aveva cura di vestire coloro che erano nudi e distribuiva del pane agli af-famati. Attingeva alla sorgente per gli assetati e procurava la guarigione ai feriti. Sollevava la fatica dei deboli, temeva il Signore Glorioso e altissimo e rispettava gli uomini.

… … …Non raccoglieva ciò che non aveva piantato, non mieteva quello che non

aveva seminato, e non raccoglieva ciò che non aveva sparso. Durante tutto il suo regno, non usurpò alcun patrimonio del suo prossimo, ne si appropriò del campo altrui. Non prese la mucca della vedova e non con scò l’asino dell’orfano. Soccorse i gli del povero e umiliò gli orgogliosi. La giustizia si diffuse durante il suo regno e la pace si estese ovunque.

Cronaca dell’imperatore Claudio (1540-1559), Etiopia. 209

Là ove un uomo rappresenta molto, il popolo è poca cosa. Proverbio ceco. 210

Il sovrano, i suoi intermediari e il diritto alla giustizia

L’uomo assetato va al ruscello: l’uomo vittima di un’ingiustizia va dal re. Proverbio amarico, Etiopia. 211

Un vero ministro Le parole “principe” e “ministro” traggono il loro signi cato dal servi-

zio reso agli uomini. Se non ho alcun senso del dovere nei riguardi dell’u-manità, sono straniero al principe. Se vengo a servirlo senza alcuna consi-derazione del bene dell’umanità, sono solo il domestico del principe. Ma se ho a cuore l’interesse del popolo sono il mentore e il collaboratore del principe. Allora soltanto posso realmente essere chiamato ministro.

Huang Tsung-hsi, Ming-i tai-fang lu (XVII sec.), Cina. 212

Sanzioni per abusi di potere presso gli IncaIl cacicco che uccideva un Indiano tra i suoi sudditi, senza autorizzazio-

ne dell’Inca, era castigato pubblicamente, a colpi di pietra, nella schiena (ciò che era chiamato la pena della pietra, ed era molto infamante), a meno che l’Indiano non avesse disubbidito gravemente al cacicco; e se dopo di

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Il potere 93

essere stato rimproverato e castigato questo cacicco diventava recidivo, ne moriva; e quando, in seguito a petizioni e intercessioni, questa pena non veniva eseguita, l’Inca lo privava della sua carica, dandola a un altro.

Bernabé Cobo, Historia del Nuevo Mundo, 1653. 213

Responsabilità delle autorità Quando dei viaggiatori venivano derubati in un albergo, si puniva in pri-

mo luogo il cacicco dal quale dipendeva il servizio dell’albergo; a sua volta il cacicco puniva gli altri suoi sudditi per la loro negligenza e la mancanza di sorveglianza.

Bernabé Cobo, Historia del Nuevo Mundo, 1653. 214

(L’Inca Yupanqui) organizzò le province e i dipartimenti nel modo se-guente: se un dipartimento non paga il suo tributo, oppure non costruisce le strade che avrebbe dovuto costruire, oppure non compie tutti i suoi ob-blighi, il dipartimento cui è associato deve sostituirlo e adempiere – in sua vece – ai suddetti obblighi e il signore di questo dipartimento dovrà casti-gare il signore del dipartimento manchevole [...].

Come chi serviva l’Inca godeva di tutti i favori menzionati e di molti altri, allo stesso modo il capo o il cacicco che si dimostrava negligente o non cu-rante e non agiva con piena giustizia per il bene di tutti gli Indiani che aveva in carico, era, sull’istante, privato di questa carica, e lo si inviava a custodire qualche gregge delle sue pecore o a occuparsi di lavori analoghi, ed egli non poteva contestare questa decisione, perché l’Inca era signore assoluto.

Cronaca dell’origine e del governo degli Inca, verso il 1575. 215

Sanzioni in itte alle autorità negligenti Chiunque ruba degli alimenti o dei vestiti, del denaro o dell’oro sarà

interrogato perché si sappia se ha rubato spinto dalla necessità e dalla po-vertà, e se si vede che è così, non sarà il ladro a essere castigato, ma colui che ha l’incarico di fornirgli il necessario e questi sarà privato della sua carica per non aver provveduto ai suoi bisogni e per non aver tenuto la lista dei bisognosi, e si darà a detto ladro il nutrimento, i vestiti, le terre e la casa di cui ha bisogno.

Leggi dei Peruviani, 1594. 216

Garanzie nei pesi e nelle misure L’Inca aveva, per legge, istituito dei pesi e delle misure in tutti i suoi

regni perché nessuno fosse leso o truffato. Bartolomé de las Casas (1474-1566), Antiguas gentes del Perú. 217

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94 Il diritto di essere un uomo

Se un individuo ha fame Se fra qualche decina di migliaia di uomini che hanno l’onore di trovarsi

sul territorio di Vostra Eccellenza, un contadino, anche il più umile, muore di fame o lascia il paese quale vagabondo, questo è un grande delitto di Vostra Eccellenza. Ma dato che non è facile per Vostra Eccellenza ammi-nistrare da sé, direttamente e che ne incarica dei funzionari, Vostra Eccel-lenza non può pensare che una cattiva amministrazione sia effettivamente un suo crimine. Neanche i suoi sudditi pensano così: i ministri ne rigettano la responsabilità sui podestà; questi ultimi fanno lo stesso sui piccoli fun-zionari; non si sa così chi sia veramente il colpevole... e ci si accontenta di sistemare le apparenze. È stata la negligenza da parte dei ministri e dei si-niscalchi senza dubbio, cui ci ha condotti la mancanza d’interesse politico di Vostra Eccellenza.

Kazan Watanabe (1793-1841), Misure da prendere in caso di carestia, Giappone. 218

Il diritto di appellarsi al re Obbligo del re di rendere giustizia Se un giavanese si ritiene vittima di un’ingiustizia, può, in ultima ana-

lisi, appellarsi direttamente al re; vi è in ciò una specie di diritto civico. L’appellante e le persone del suo seguito si portano in un determinato luogo del recinto del Palazzo reale ove si trovano due grandi alberi di co; sono tutti vestiti di bianco, colore della morte. Questa cerimonia si chiama “pepe”, cioè “stare al sole”, che signi ca “essere privato di ombra, di protezione”).

Il re ha allora il dovere di far venire l’appellante e di ascoltarlo. Sebbe-ne questa usanza abbia dovuto esistere durante molti secoli, non la si trova menzionata in nessun luogo della letteratura giavanese, salvo nel seguente racconto:

Il principe di Sourabaya possedeva un gallo che era stato prima una gal-lina. Pensando che questo straordinario cambiamento di sesso interessasse il re, il principe gli regalò il gallo con una grande cerimonia, spiegando che il posto di un animale così straordinario doveva essere nel Palazzo reale. Il re di Giava, che è un essere divino, ha il dono della seconda vista; il nostro re sapeva dunque che il nipote del principe di Sourabaya sarebbe stato un giorno il suo successore, e credette che, facendogli quel regalo, si volesse insinuare che egli avrebbe dovuto ritirarsi e cedere il posto al “nuovo gal-lo”. Quando il principe di Sourabaya fu partito, il re si adirò contro di lui in presenza di una numerosa corte.

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Il potere 95

Non occorse molto tempo perché questa collera del re venisse conosciu-ta da tutti. Pangeran P kik ne fu tosto informato, e fu preso da stupore e da paura. Egli si recò quindi al luogo situato a sud dei due alberi di co, vestito di bianco e accompagnato dalla moglie e da tutti i parenti; erano tutti vestiti.di bianco. In quel momento, il re lasciò i suoi appartamenti privati per tenere udienza sul palco: egli aveva l’intenzione di conferire a suo genero, il glio di sua moglie ratu Malang, il titolo di “pangeran Nata-brata”. Avendo scorto tutta quella gente vestita di bianco, mandò qualcuno a informarsi del motivo della loro presenza; gli si riferì che gli appellanti erano il principe di Soubaraya, sua moglie e tutti i suoi parenti. Il re ordinò di farli subito salire sul palco. Pangeran P kik salì, seguito dalla moglie, che lo tratteneva per il fondo del vestito (che aveva cioè paura). Tutta la corte era immersa nella tristezza.

Quando il re vide suo zio e sua zia, discese dal trono e li invitò a sedersi più in basso (poiché erano di un rango meno elevato). Domandò loro per-ché erano rimasti al sole. Pangeran P kik spiegò umilmente che era a causa del b kisar che egli aveva offerto; lungi da lui l’idea di intravedere anche solo la possibilità d’insinuare checchessia; di cercare di far comprendere qualche cosa al re, di meditare una ribellione, e non avrebbe mai pensato di cercare di affrettare il corso degli avvenimenti. Pangeran P kik e sua moglie dichiararono umilmente che se il re non voleva avere la bontà di perdonarli, lo supplicavano di farli immediatamente condannare a morte. Queste furono le loro parole, mescolate a lacrime; poi si sedettero abbas-sando il capo.

Quando il re ebbe inteso le parole dello zio e della zia, scoppiò anche lui in singhiozzi, perché si ricordò del suo defunto padre. Tutti coloro che assistevano all’udienza e che si trovavano vicino al trono versarono abbon-danti lacrime, grandemente impietositi alla vista di Pangeran P kik.

Asciugando le lacrime, il re disse allora: “Miei zio e zia, non pensateci più. Non sono in collera, e ora in verità vi concedo il mio perdono”.

Babad Tanah Jawi, Storiogra a giavanese, 1626. 219

Protezione dei piccoli da parte dei grandi Siamo delle piccole lumache che cercano rifugio dietro le foglie di un

banano Vedi, glio mio, io osservo la tua mano, che tu allunghi per acquistare

del bestiame e perché esso s’accresca. L’uomo del cielo ti aiuta a farlo au-mentare af nché ti renda potente. E tu ti inorgoglisci e pensi: “Non vi è più nulla che possa contendermelo”. Guardi dall’alto i grandi che circondano il capo e pensi: “Sono grande quanto loro!”. Una volta che sei arrivato

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96 Il diritto di essere un uomo

a questo punto, pensi dello stesso capo, quando lo vedi: “Peuh!”. Tanto che, quando egli ti osserva, si accorge che tu disprezzi tutto il mondo. Ed essi parlano di questo e dicono: “Un tale non conosce più nessuno che gli sia superiore”. Un altro risponde: “Non conosce neppur più il capo!”. E il capo parla: “Bisogna tendergli un tranello e spogliarlo di quanto possie-de!”. Allora un altro dice: “È ora troppo grande perché si possa far ciò. Se si allontana con i suoi gli e la sua parentela, tutto il paese vacillerà. Purché egli non maledica il capo, lasciamolo fare, rimanga pure qui e noi l’osserveremo”.

Viene poi il giorno in cui una malattia colpisce i tuoi possedimenti e il tuo bestiame deperisce. Allora tu ti siedi e pensi fra te: “Vediamo un po’, a che punto siamo ora?”. E tiri un gran sospiro. E mentre sogni così, sei colto tu stesso da una malattia, muori e lasci dietro di te degli orfanelli. Allora questo clan di cui tieni così poco conto, ti dice ora: “Era un uomo violento, che non riconosceva più nessuno. Se ne vada!”. Quando ebbero parlato così è che tu lasci degli orfani, ecco che sopraggiunge una care-stia. Quando arriva una carestia, che divora la gente, allora noi, noi siamo delle piccole lumache, e il luogo ove sopravviviamo è dietro un ventaglio di foglie del banano, dove ci nascondiamo, e così continuiamo a vivere. Se vuoi renderti conto che siamo come delle lumache, allora fa’bene at-tenzione, quando fa caldo, durante la “Luna della Siccità”, perché è essa che porta la carestia alle lumache, di modo che spariscono e che non se ne trovano più quando se ne cercano. Ma se stacchi una grande foglia del fusto del banano, allora tu ne trovi molte che si erano nascoste lì die-tro. Ma appena arriva la pioggia, che è loro favorevole, allora quelle che son sopravvissute al calore, escono in pieno giorno. E noi uomini, siamo come le lumache e sopravviviamo vicino ai grandi che sono dei capi. Se lasci dietro di te un orfanello, il capo lo raccoglierà, come accade per la lumaca che è rimasta in vita dietro la foglia del banano. Il capo è per gli uomini la larga foglia del banano. Per questo io ti dico, glio mio, non ti affaticare a spingere di gomiti per introdurli tra la gente e non riconoscere più alcun padrone sopra di te. Moderati e umilia te stesso. Mantieni il tuo spirito ben aperto perché sia informato. Se allora tu lasci un orfanello, egli intravvede dove rifugiarsi, dietro la larga foglia, cioè dietro il capo. Il capo diventa la fortuna dell’orfanello, ed egli arriva come te alla po-tenza. E l’uomo del cielo darà di nuovo del bestiame, perché il capo avrà aiutato, perché tu ti sarai dimostrato saggio abbastanza perché egli non ti volti la schiena.

Tradizione chagga, Tanzania. 220

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Il potere 97

Rispetto reciproco e non rivalità Sole e pioggia non si carpiscono la maestà (nessuno dei due è senza

prosperità). Tanto il sole che la pioggia rendono dei grandi servizi agli uomini

colmandoli di bene ci: il sole porta la stagione secca con la sua abbon-danza di pesci, la pioggia fa crescere le piante. Inoltre, si succedono re-golarmente, cedendosi vicendevolmente i giorni e le epoche dell’anno.

Applicato a coloro che rispettano l’autorità degli altri: è così che ciò deve farsi.

Proverbio mongo, Tanzania. 221

Dialogo tra un giudice marocchino (cadi) e il rappresentante del Califfo

Mohamed Chemsedin, il giudice, andò come d’uso incontro al nuo-vo rappresentante del Califfo per augurargli il benvenuto. Quest’ulti-mo, oltre che dalla sua guardia d’onore, era accompagnato da un grup-po di contadini che aveva catturato durante il suo viaggio. Mohamed Chemsedin s’informò della destinazione dei prigionieri. “Mi propongo di impiccarli”, rispose il rappresentante del Califfo. Il giudice gli do-mandò con quale diritto simili atti sarebbero stati compiuti. “Sono dei ladri e degli uccisori di persone umane”, replicò il rappresentante del Califfo. “La prova della loro colpevolezza è stata stabilita in modo le-gale?”, fece osservare il giudice. “Non abbiamo bisogno di stabilirla”, replicò il rappresentante del Califfo. “Ammazzare deliberatamente una persona umana in modo illegale non sarà certo compiuto in mia presen-za”. “Dovreste piuttosto, – continuò il giudice – entrare in città, esami-nare ogni caso e veri care se le colpe di cui sono imputati sono state bene stabilite. Solo dopo che queste colpe saranno state materialmente provate la loro condanna a morte sarà giusti cata e legale”. Allora il rappresentante del Califfo si rassegnò e si arrese al parere del giudice, che a quell’epoca godeva di una grande autorità morale.

Cadi Buliaman Munjidin Al-Hanbali (XIV sec.). 222

Se un capo che io ho designato commette un’ingiustizia nei confronti di un essere umano e io vengo a saperlo, se non faccio nulla per rime-diarvi, sono io che commetto questa ingiustizia.

Che la vittima di un governatore ingiusto se ne lagni con me! Il Califfo ‘Omar Ibn Al-Khattab (VII sec.). 223

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98 Il diritto di essere un uomo

Uguaglianza di accesso alle funzioni pubbliche Colui che ha af dato alle mani di un uomo anche solo una minima parte

degli affari musulmani, pur sapendo che un altro ne era più degno, costui ha offeso Dio, il suo Profeta e la comunità dei fedeli.

Hadith (Detti del Profeta). 224

Disposizioni che mirano a proteggere gli individui contro ciò che è arbi-trario e a impedire alle autorità di oltrepassare i loro diritti

Codice legislativo nazionale di Magnus Erikson, redatto verso il 1350 (Il Re deve prestare giuramento) di difendere, amare e preservare la

giustizia e la verità e reprimere l’iniquità, la menzogna e l’ingiustizia, in conformità alla legge e in virtù delle sue prerogative regali. (Egli deve inoltre giurare) di mostrarsi leale e fedele verso tutti i suoi compatrioti e di non attentare alla vita o all’integrità corporale di chiunque, ricco o povero che sia, senza un’inchiesta giudiziaria, fatta nella buona e dovuta forma, come lo prescrivono le leggi e la giustizia del paese, oppure di non privare chiunque dei suoi beni, se non in applicazione alla legge e dopo regolare processo.

Svezia. 225

Ordinanza del 1809 Il Re farà prevalere e servirà la giustizia e la verità; si opporrà all’ini-

quità e all’ingiustizia e le proibirà. Non priverà né lascerà privare chiunque della vita, dell’onore, della libertà o del benessere, senza un giudizio e una condanna in perfetta regola. Non priverà né lascerà privare chiunque dei suoi beni mobili o immobili senza un giudizio in buona e dovuta forma, conformemente alle disposizioni delle leggi e alle ordinanze svedesi. Egli non disturberà né permetterà che altri disturbi la pace di chiunque nel suo focolare. Egli non deporterà nessuno da un luogo a un altro; non esercite-rà e non lascerà esercitare alcuna pressione sulla coscienza di chiunque; veglierà invece af nché ognuno possa praticare liberamente la propria re-ligione, a condizione di non turbare l’ordine pubblico o provocare qualun-que scandalo. Il Re farà giudicare ogni accusato dal tribunale competente.

Svezia. 226

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LIMITI DEL POTERE

Contro l’arbitrio del principe o dello Stato

Al sultano Mulay Ismael:Vi scrivo questa lettera perché non mi è più possibile mantenere il si-

lenzio. Da molto tempo vedo che il nostro Sovrano cerca le esortazioni e i consigli e che desidera veder aprirsi le porte della prosperità e del successo. Pertanto ho voluto scrivere al nostro Sovrano una lettera che, se egli vorrà tenerne conto, mi permetterà di sperare per lui i bene ci di questo mondo e quelli dell’eternità e l’elevazione ai più alti gradi della gloria; se io non sono degno di rivolgere delle esortazioni, spero che il nostro Sovrano sarà degno di riceverle e che egli non ce ne vorrà.

Sappia quindi il Sovrano che la terra, con tutto quello che contiene, è il regno di Dio, l’Altissimo che non ha soci (uguali), e che le creature sono le schiave di Dio e i suoi servitori. Il nostro Padrone è uno di questi schiavi, cui Dio ha dato il potere sui suoi schiavi per metterlo alla prova. Se egli li tratta con giustizia, misericordia, equità e integrità, è il luogotenente di Dio sulla terra e l’ombra di Dio sui suoi schiavi: e gode presso Dio di un rango elevato. Ma se li governa da tiranno, da oppressore, con durezza, con orgoglio, violando la giustizia, egli si pone in stato di rivolta contro il suo Padrone; nel suo regno non è che un usurpatore insolente e si espone al più terribile dei castighi da parte del suo Padrone e alla sua collera. Ora, il nostro Sovrano sa quello che attende chiunque voglia tiranneggiare i suoi sudditi senza il consenso del Padrone, e farne degli schiavi, la sorte che sarà la sua il giorno in cui egli sarà nelle Sue mani [...].

Un saggio ha detto: “Un regno è un edi cio, l’esercito ne costituisce le fondamenta. Se queste fondamenta sono deboli, la costruzione crolla. Non vi è sultano senza esercito, non vi è esercito senza prosperità, non vi è prosperità senza giustizia: dunque la giustizia è la base di tutto”. Il loso-fo Aristotele disegnò per il re Alessandro una gura geometrica circolare, sulla quale scrisse queste parole: “Il mondo è un giardino, in cui il governo è la siepe; il governo è un sultano sostenuto dalla legge; la legge è una

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100 Il diritto di essere un uomo

base amministrativa che il re manovra; il re è un pastore che è sostenuto dall’esercito; l’esercito è un ausiliare che assicura l’abbondanza; là dove vi è abbondanza, si raggruppano i sudditi; i sudditi sono degli schiavi che la giustizia guida, la giustizia è una sintesi che regge il mondo, il mondo è un giardino, ecc.”.

Il Profeta (che la benedizione di Dio lo accompagni!) ha detto: “Voi siete tutti pastori e ogni pastore deve rendere conto del suo gregge”.

“Vi sono uomini che dilapidano ingiustamente il bene di Dio; essi co-nosceranno il fuoco il giorno del Giudizio; senza avere le mani legate, la giustizia in iggerà loro (questo castigo); l’ingiustizia li farà perire”.

Il nostro maestro Ali Ben Abu Taleb (che Dio sia contento di lui!) ha detto: “Ho visto, a Elabtah, il califfo Omar montato su di un cammello col basto, e gli ho detto: “Dove vai, o Principe dei credenti?”. Uno dei cammelli destinati alle elemosine, mi rispose: “È sparito: io lo cerco”. “Vuoi dunque screditare tutti i tuoi successori?”, gli dissi. “Non rimproverarmi”, riprese egli. Da parte di Colui che ha fatto portare la verità da Maometto (che Dio preghi per lui!), se anche la più piccola capretta fosse perduta sulle rive dell’Eufrate, ne sa-rebbe chiesto conto a Omar nel giorno dell’ultimo giudizio. Non è degno di maggior rispetto quel principe che causa un torto al musulmano di quanto lo sia l’impero che getta lo scompiglio tra i credenti”.

Il califfo Ali vide anche un vecchio Giudeo che mendicava alle porte: “Noi non abbiamo agito con giustizia nei tuoi riguardi – gli disse. – Ti ab-biamo fatto pagare la Djezia (imposta speciale pagata dagli Ebrei), nché eri giovane, e ora eccoti ridotto alla miseria per colpa nostra”. E gli fece corrispondere dal Tesoro il necessario per nutrirlo [...].

Quando il Profeta morì (Dio gli conceda le sue benedizioni e la sua sal-vezza!), designò come suo successore il califfo Abu Bakr (Dio sia contento di lui!). Questi no allora si era dedicato al commercio sul mercato per mantenere la propria famiglia. Quando divenne califfo, prese il denaro che serviva al suo negozio, e volle andare al mercato secondo la sua abitudi-ne. Ma gli Ulema (i saggi), fra i compagni del Profeta glielo impedirono, dicendogli che aveva abbastanza da fare con il potere senza andare al mer-cato, e gli assegnarono il denaro necessario per lui e per la sua famiglia [...]. Venne stabilito per tutti la più perfetta uguaglianza: egli riteneva per sé – come gli altri – solamente ciò che gli attribuiva la legge sacra. Questa fu la regola alla quale si conformarono i calif suoi successori.

Il nostro Sovrano deve prendere esempio da questi santi personaggi, in-vece di imitare coloro che seguono le proprie passioni. Interroghi a questo proposito i dotti di ducia che ha presso di sé, come Sidi Mohamed Ben Elhassan, Sidi Ahmed Ben Said e altri studiosi che temono Dio e non pa-

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Limiti del potere 101

ventano i Suoi rimproveri. Nel novero delle cose che ho indicate e di quelle di cui non ho parlato affatto, fate ciò che essi ordineranno e astenetevi dal fare ciò che proibiranno. Questa è la via della Salvezza, a Dio piacendo!

Io chiedo all’Altissimo di voler proteggere il nostro Sovrano, di guidarlo e di forti carlo, af nché, sotto la sua egida, la prosperità regni nel paese, e (Gli chiedo anche) di sterminare con la sua spada i tiranni e gli ostinati.

Così sia. Lode a Dio, Signore dei mondi. Lettera dello sceicco Al-Yussi (XVII sec.), Africa del nord. 227

Il poeta contro il sovrano Se tu sei Salomone, ascolta anche un po’ciò che dice la formica: ri etti

alle sue parole e rispondile.Se tu sei sovrano, scalda il popolo come il sole. Sii come l’acqua che

scorre, come il vento che sof a (bene co per gli uomini). Conosco ora gli errori della nostra epoca. I cattivi si sono messi a sfug-

gire tutto ciò che è buono. Ecco che delle persone di bassa origine, sop-piantando i nobili, senz’alcuna considerazione per loro, passano al posto d’onore.

I sovrani non regnano più nell’equità. Il Muftì emette una sentenza per un denaro. Sappilo: sono questi dei segni dell’avvicinarsi dell’Ultimo Giu-dizio. I tiranni senza rimorsi stanno superando tutti i limiti.

I poveri vengono maltrattati e il loro volto impallidisce. Ma coloro che tributano un culto ai potenti assumono un colorito di rosa. I tiranni si mo-strano pieni di orgoglio dinanzi agli umili e fanno sprizzare il sangue all’e-stremità della loro frusta [...].

Coloro che sono cadì (giudici) non restano fermi nel loro giudizio. Essi non si affaticano più la notte a studiare i loro libri. Non camminano più nella via diritta della Shari’a. Per concupiscenza stanno andando alla deri-va, senza fede.

L’Iran e il Turan dipendono da te, o Fetdah. Appro tta della tua fortuna. L’insieme dei turcomanni erra nelle steppe, o Fetdah. Sta attento a non versare ingiustamente il sangue.

Oggi re, domani diventerai mendicante, allontanato dal tuo popolo e dal tuo paese, non potrai più dire nulla. Un giorno, la vita ti abbandonerà, e tu sarai sacri cato. Sei carico di molti peccati, o Fetdah [...].

Terribile è la vendetta del popolo: il tuo avvenire è oscuro. O perirai, oppure sarai gettato in prigione, non dubitarne. Quando sarà distrutto il tuo trono non credere che ti lasceranno salva la vita, poiché hai cambiato in veleno il pane della gente, o Fetdah.

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102 Il diritto di essere un uomo

Ci hai separati dalle persone care, ed esse sono rimaste in lacrime. I gemiti che abbiamo emessi hanno raggiunto la volta celeste. Da ogni parte s’innalzano le forche, ove sono impiccati i nostri uomini. Sappilo, tu hai superato tutti i macellai, o Fetdah.

Piragi (pseudonimo del poeta). È giunto il momento di dire le proprie pene e di compatire quelle altrui. Bisogna che il crudele Fetdah si satolli del sangue che ingoia. Per me, io vivo ancora, ma annoveratemi tra i morti: se egli viene a sapere che io ho scritto questo poema, Fetdah mi ucciderà.

Magtimgulì (XVIII sec.), Turkmenistan. 228

Contro l’arbitrio del potereI CAPI SONO COME LA PIOGGIA Vedi, glio mio, i capi sono come la pioggia, imprevedibili nelle loro

inimicizie. Quando soffri per il molto calore e le piante che hai coltivato si disseccano, allora, il giorno che piacerà all’Uomo del cielo, la pioggia cadrà sulla terra e le tue piante se la caveranno. E allo stesso modo fanno i capi. Oggi piace loro di diventare nemici e subito dopo li vedi contrattare l’alleanza.

Capita che ti sei messo in animo di andare a visitare un qualche capo. Nel frattempo, appena esci di casa tua, ecco che si s dano l’un l’altro. L’u-no pensa: “Se un suo uomo cadesse nelle mie mani, lo ammazzerei, perché (l’altro capo) venga e noi ci battiamo af nché sia chiaro chi di noi due è l’uomo e chi la donna”.

Là ove tu vai, il capo ha conferito con i suoi uomini e ha detto: “Ostru-iamo la strada af nché (l’altro capo) se ne accorga, vada in collera e così noi possiamo batterci.”

Quando ha parlato in questo modo, un uomo se ne va e lo racconta a sua moglie. Le dice: “Noi siamo incaricati di ostruire il cammino di Mosci per domani”. Essa gli domanda: “Come farete?”. Egli le dice: “Se vediamo un uomo che viene da Mosci, dobbiamo ucciderlo. Perché essi sappiano che siamo nemici”.

La donna pensa: “Oh, potrebbe venire un uomo che ha concluso un patto di sangue con mio padre, oppure con mio suocero, e sarà forse uc-ciso”. Essa decide: “Andrò a tagliare dell’erba ai bordi della strada. Se vedo qualcuno, gli dirò di tornare indietro. Un uomo è un uomo, gli dirò in ogni caso di tornarsene indietro perché rimanga in vita”. E la donna prende i suoi legacci di vimini e se ne va a tagliare l’erba sul ciglio della strada. Ma gli altri sono in un’imboscata con il loro capo. Tu, tu cam-mini tutto allegro, diritto dinanzi a te, come desideri. E arrivi e incontri la donna mentre sta tagliando dell’erba. Vuoi passare senza fermarti,

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Limiti del potere 103

e non sei nemmeno disposto a salutarla. Essa alza il capo, ti vede, e ti domanda: “Dì un po’, Signore, tu che passi, donde vieni, che non saluti nessuno? Donde vieni dunque, suocero mio?”. Tu hai premura e gli rispondi con vivacità: “Vengo da Mosci!”. Ma essa domanda: “Conosci tu il racconto del paese dell’Est? per andare così lungo la tua strada?”.

Quando senti una domanda di questo genere ri etti bene e pensa a quel che ti ho detto: torna indietro e fuggi. Non seguire la donna.

Se la segui, la poni in pericolo di essere smascherata. E se incontri qualcun’altro, digli di tornarsene indietro anche lui.

E vedi, glio mio, essi, dopo, si gettano su di un altro e lo uccidono, tu invece così sei salvo! Dopo, quando essi si sono battuti e l’uno dei due (capi) è stato vinto e ha chiesto la pace, si riconciliano. E la gente va e viene come per il passato e va a farsi visita. Ma tu pensi: “Ecco. Senza la donna sarei stato certamente io a essere ucciso. E poi tutto si sarebbe aggiustato come adesso, e tutti si sarebbero rallegrati allo stesso modo”.

Ecco ciò che signi ca quanto io ti dico: sono simili ai parapioggia. Tu, tu saresti morto, ed essi, con questo, avrebbero concluso la pace; tu però non esisteresti più.

Tradizione orale chagga, Tanzania. 229

Le leggi vengono da te, e anche la guerra viene da te. (Invece della pace, i superiori fanno la guerra ai propri subordinati. La loro parola è la pace e l’ordine, ma lo spirito è uno spirito di violenza.

Nel concetto nknundò, l’autorità deve essere dolce, paci ca e rispettosa della libertà paterna).

Proverbio mongo, Tanzania. 230

Rispetto della persona umana Là ove l’uomo viene negato, il diavolo stesso perde i suoi diritti. (Rivolta contro le angherie del capo e messa in guardia nei suoi con-

fronti. Per i Peulh, un capo che ha solo degli schiavi come sudditi non un capo, perché nessuno osa dirgli la verità. Ora il potere è dialogo. “Halá”, in peulh, signi ca “diritto”, ma anche letteralmente: parola, verbo, logos).

O capo, come vuoi che avvenga l’impossibile?(Grido di rivolta di una delegazione di contadini peulh all’indirizzo di

un prefetto dell’epoca coloniale, e diventato in seguito detto popolare, uti-lizzato per ri utare da parte degli uomini corvée o animali requisiti).

Proverbi peulh, Africa. 231

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104 Il diritto di essere un uomo

Cattiva obbedienza Perché l’uomo accetti la mia legge senza condizioni, l’ho avvilito in

tutti i modi: l’ho persino costretto a dormire con la propria madre; ora egli è diventato sempre più disobbediente. Capisco adesso che egli mi aveva servito nel migliore dei modi quando l’ho trattato come un fratello.

Proverbio somalo. 232

Contro il timore Il timore vi garantisce male una lunga vita, mentre la benevolenza vi

assicura una fedeltà che non nisce. Colui che tiene i suoi sudditi sotto la propria autorità, grazie a un’oppressione violenta, deve senza dubbio im-piegare dei metodi crudeli, come il padrone deve fare nei riguardi dei suoi servi se non può dominarli diversamente; ma in una città libera, non vi è nulla di più pazzesco che prendere delle misure severe per farsi temere; si può certo rovinare le leggi modi candole col denaro e intimidire la liber-tà dei giudizi muti, dei suffragi anonimi su di una carica da assegnare le fanno tuttavia talvolta risorgere. La libertà, quando la si fa cessare, attacca il potere con maggior asprezza che se la si mantiene. Abbracciamo quindi il partito che è di facilissimo accesso e che non serve soltanto alla conser-vazione della nostra vita, ma a quella della nostra ricchezza e del nostro potere: lungi dal farci temere, conserviamo l’amore di tutti e otterremo così molto facilmente ciò che vorremo, nei nostri affari privati e nella no-stra vita pubblica. Quando ci si vuol far temere, bisogna prima provare noi stessi il timore di coloro che ci temono.

Cicerone (106-43 a.C.), Trattato dei doveri. 233

Contro l’odio e il timore Val meglio perire che odiare e temere; val meglio perire due volte che

farsi odiare e temere; tale dovrà essere un giorno la massima suprema di ogni società organizzata politicamente.

Friedrich Nietzsche, II viaggiatore e la sua ombra. 234

È pertanto incontestabile, ed è la massima fondamentale di tutto il diritto politico, che i popoli si sono dati dei capi per difendere la loro libertà e non per asservirli.

Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della di-suguaglianza fra gli uomini, 1755. 235

Il “Bill of rights” (Inghilterra, 1689), che condannava la condotta di Giacomo II, comprendeva specialmente i seguenti articoli:

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Limiti del potere 105

1. Il preteso potere di sospendere delle leggi o di far eseguire delle leggi per l’autorità regale, senza il consenso del Parlamento, è illegale.

2. Il preteso potere di dispensarsi dalle leggi, o dall’esecuzione delle leg-gi, in virtù dell’autorità regale, senza il consenso del Parlamento è illegale.

5. I sudditi hanno il diritto di presentare delle petizioni al re, e ogni de-nuncia e ogni procedimento giudiziario motivati da queste richieste sono illegali.

9. La libertà di parola e le discussioni o le deliberazioni in seno al Par-lamento non debbono essere attaccate né contestate da alcun tribunale o luogo esterno al Parlamento.

10. Non bisogna esigere cauzioni eccessive, né imporre multe eccessive, né in iggere pene crudeli e non comuni.

11. Ogni imposizione di multa o minaccia di con sca di cui fossero og-getto dei privati, prima del giudizio, è illegale e nulla.

Bill of rights, Inghilterra. 236

Contro lo Stato L’apparato dello Stato centralizzato con i suoi organi militari, burocrati-

ci, clericali e giudiziari onnipresenti e complicati, stringe il corpo vivente della società civile come un boa constrictor [...]. Tutti gli interessi, anche piccoli, che risultano dalle relazioni tra i diversi gruppi sociali, furono se-parati dalla società stessa, resi indipendenti da essa e messi in opposizione con essa, sotto la forma dell’interesse dello Stato, che gestivano i sacerdoti della divinità dello Stato (Staatspriester): la gerarchia dei funzionari [...]. Tutte le rivoluzioni non hanno fatto che perfezionare questa macchina del-lo Stato invece di sbarazzarsi di questa sofferente oppressione.

Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871. 237

La vera democrazia: La Comune La Comune di Parigi (1871) non fu una rivoluzione contro tale o tal’al-

tra forma di potere dello Stato, legittimista, costituzionale, repubblicana o imperiale. Fu una rivoluzione contro lo Stato stesso, questo aborto innatu-rale della società; fu la ripresa, da parte del popolo e per il popolo, della sua propria vita sociale. Non fu una rivoluzione fatta per trasferire questo potere da una frazione di classi dominanti a un’altra, ma una rivoluzione per rompere quest’orribile apparato stesso del dominio di classe. Non fu una di quelle meschine lotte tra la forza esecutiva e la forma parlamentare della dominazione di classe, ma una rivolta contro queste due forme che si confondono, la forma parlamentare non è che un’appendice ingannatri-ce dell’esecutivo. Il Secondo Impero fu la forma conclusiva dello Stato

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usurpatore. La Comune ne fu la negazione netta [...]. Essa è la ripresa del potere di Stato da parte della Società, di cui diviene la forza vivente invece di essere la forza che la domina e la soggioga. È la sua ripresa da parte delle masse popolari stesse che sostituiscono la loro propria forza alla for-za organizzata per opprimerle. La Comune è la forma politica della loro emancipazione sociale.

Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871. 238

La legge al di sopra o al di sotto del potere

La legge al di sopra del potere Bisogna che il popolo combatta sia per la sua legge che per le sue mura. Eraclito di Efeso (VI sec. a.C.). 239

Contro coloro che vivono nel paese non pronuncerò un bando contrario alle leggi stabilite e ai decreti del popolo ateniese e del Consiglio; non lo farò io stesso e impedirò a chiunque altro di farlo.

... Non riceverò regali [...] né io né un altro, uomo o donna di mia co-noscenza, senza simulazione o manovra qualsiasi. Ascolterò l’accusatore e l’accusato con la stessa imparzialità e dirigerò il mio voto sull’oggetto pre-ciso della mia causa. Lo giuro per Zeus, Poseidone, Demetra. Se divento spergiuro, che io perisca, io e la mia casa; se sono fedele al mio giuramen-to, possa io prosperare.

Giuramento degli eliasti nel discorso contro Timocrate da parte di De-mostene (circa 353 a.C.). 240

Non modi cate mai una legge per soddisfare i capricci d’un principe; la legge è al di sopra del principe.

Kuan-tse (VII sec. a.C.), Cina. 241

Se vi fossero in quel tempo dei magistrati costituiti per la difesa del popolo, per frenare la troppo grande cupidigia e la licenza dei Re, come anticamente i Lacedemoni avevano coloro che essi chiamavano Efori, i Romani i loro difensori popolari, gli ateniesi i loro avvocati e come sono, oggigiorno, in ogni regno i tre stati quando sono radunati. A coloro che sa-ranno costituiti in tale Stato non proibirò di opporsi e di resistere all’intem-peranza o alla crudeltà dei Re, secondo il dovere del loro uf cio, a tal punto che se essi dissimuleranno, vedendo che i Re disordinatamente vessano il povero popolo, stimerò mio dovere accusare di spergiuro una tale dissimu-

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lazione, con cui maliziosamente essi tradirebbero la libertà del popolo; del-la quale essi dovrebbero sapere di essere istituiti tutori per volontà di Dio.

Jean Calvin, Istituzione cristiana, 1541. 242

È quindi opportuno che la legge domini e sui re e su tutti i magistrati, af nché essi se ne difendano contro le passioni dell’anima e se ne facciano una regola per governare se stessi e per governare il loro popolo.

Andrzej F. Modrzewski, De Republica emendanda, 1551, Polonia. 243

Quando l’amministrazione si lascia fuorviare all’eccesso e si rende di-spotica e tirannica, sacri cando il diritto e la libertà del popolo, la missione delle leggi è precisamente quella di raddrizzarla e di ricondurla nel solco della giustizia. L’istituzione della Magna Charta in Inghilterra e la pro-mulgazione della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, al tempo della Rivoluzione in Francia, ne sono validi e celebri esempi. Ciò che spazia nell’aria al di sopra del popolo giapponese per servirgli di regola e di modello, preservandolo dalla scon tta e dalla depravazione, è precisa-mente la virtù delle leggi.

Tsukasa Okamura (1866-1922). 244

La legge strumento di potere L’uomo che ha il senso della giustizia è padrone della legge stessa LO STRANIERO: Ora è ben chiaro che, in un certo modo, la legislazione

è funzione regale; e tuttavia, ciò che va meglio, non è di donare forza alle leggi, ma all’uomo regale dotato di prudenza. Sai perché?

SOCRATE IL GIOVANE: Quale è dunque il tuo perché? LO STRANIERO: Il fatto è che la legge non sarà mai capace di abbracciare

insieme quanto vi è di migliore e di più giusto per tutti, in modo da poter pubblicare le prescrizioni più utili. Poiché la diversità che vi è tra gli uomi-ni e gli atti, e il fatto che nessuna cosa umana è, per così dire, mai in riposo, non lasciano posto, in nessuna arte e in nessuna materia, a un assoluto che sia valido per tutti i casi e per tutti i tempi. Penso che su questo punto siamo d’accordo.

SOCRATE IL GIOVANE: E come! LO STRANIERO: Ora è proprio a questo assoluto che noi vediamo che la

legge si sforza di arrivare come un uomo sicuro di sé, ignaro, che non permetterebbe a nessuno di fare nulla contro la consegna che egli ha pro-clamato, e non ammetterebbe alcuna discussione fosse anche in presenza di una situazione nuova, migliore, in tal o tal altro caso, di quella che era prevista nelle proprie prescrizioni.

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SOCRATE IL GIOVANE: È vero, la legge agisce nei confronti di ciascuno di noi, esattamente come hai detto tu.

LO STRANIERO: Non è quindi impossibile che quello che rimane sempre assoluto si adatti a ciò che non lo è mai?

SOCRATE IL GIOVANE: È certo da temersi. Platone (429-347 a.C.), Politica. 245

La legge da sola non basta e l’ordine non si perpetua da se stesso. Quan-do arriva l’uomo che ha le qualità richieste, la Legge adempie il suo com-pito, ma non diversamente. Sotto il governo di un santo, le leggi generali si applicheranno in tutti i casi, ma quando il Sovrano non è un santo, nessuna legislazione potrebbe essere applicata in modo soddisfacente. Ora, quando la legge è mal applicata, il disordine non è lontano.

Siun Tsu (III sec. a.C.), La voce dell’imperatore, Cina. 246

Le leggi e l’ordine non sono che lo strumento del governo, non sono la sorgente della purezza o dell’impurità di questo governo.

Siun Tsu (III sec. a.C.), Bibliogra a di Tong Tchong Chu, Cina. 247

Il trono e la leggeLIBERTÀ (ode)

Fuggi, sparisci dalla mia vista,Regina impotente di Citera!Dove sei tu, dove sei tu, terrore dei re,Fiera campione della libertà?Vieni, strappa dalla mia fronte la corona,Spezza questa insipida lira;Voglio cantare la libertà,Fustigare il vizio sui troni. … … …Ahimè, dovunque mi volto,Dovunque fruste, dovunque ferri,L’onta del diritto schernito,Le lacrime vane dei servi;E dovunque io vedo un potere iniquo,Il genio malvagio della schiavitù,Installato nelle spesse tenebre dei pregiudizi; Assetato d’onori e di gloria.

Là soltanto il popolo non soffreSotto il dominio dei sovraniDove la santa libertà è strettamente associataAl rispetto rigoroso della Legge,

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Il cui duro scudo protegge il mondo intero;Là dove la spada della Legge, tenuta da ferma mano,Passa senza abbattersi arbitrariamente,Sulle teste uguali di tutti i cittadini,E va a colpir dall’alto il crimine,Con colpo sicuro e giusto;Là dove la Legge non si lascia aggirareNé dall’oro né dal Timore.O voi, re, è la Legge e non la NaturaChe vi ha dato corona e trono;Voi, re, dominate il popolo,ma al di sopra di voi, sta la Legge.

Il poeta, dopo aver evocato in seguito l’esecuzione di Luigi XVI e l’as-sassinio dello zar Paolo I, termina- così:

O re, questo vi sia di lezione!Né il castigo, né le ricompense,Né il sangue delle carceri, né gli altari,Possono servire a voi di salvaguardia.Inchinatevi, siate i primi ad accettareLa protezione sicura della Legge;La libertà e la pace dei popoliDiverranno allora gli eterni custodi del trono.

Aleksandr Puškin (1799-1837). 248

Sottomissione condizionale, coscienza irriducibile

Contro il potere regale, l’esigenza assoluta Antigone disobbedì al sovrano Creonte che aveva proibito di dare sepol-

tura a suo fratello CREONTE: Ora, rispondimi senza frasi, con una sola parola. Conoscevi la

proibizione che io avevo fatto proclamare? ANTIGONE: Sì, la conoscevo: potevo io forse ignorarla? Era delle più

chiare. CREONTE: E così tu hai osato passare oltre la mia legge? ANTIGONE: Sì, perché non è Zeus che l’aveva proclamata! Non è la Giu-

stizia seduta a anco degli dei infernali che ha mai ssato simile legge agli uomini, e non pensavo che le tue proibizioni fossero abbastanza potenti per permettere ai mortali di passare oltre ad altre leggi, alle leggi non scritte, indistruttibili, degli dei: quelle leggi non datano né da oggi né da ieri, e nes-

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suno conosce il giorno in cui sono apparse. Potevo io dunque, per timore di chicchessia, espormi alla vendetta di quelle leggi presso gli dei? Non sape-vo forse che dovevo morire? E questo quand’anche tu non avessi proibito nulla. Ma morire prima dell’ora, lo dico ben forte, per me è tutto pro tto: quando si vive come me, in mezzo a disgrazie senza numero; come non trovare vantaggio a morire? Subire la morte non è per me una sofferenza: lo sarebbe stato invece se avessi tollerato che il corpo di un glio di mia madre non avesse ottenuto una tomba dopo la sua morte. Di quello, certo, avrei sofferto; di questo non soffro. Ti sembra senza dubbio che io agisca come una pazza. Ma il pazzo potrebbe anche essere quello stesso che mi considera pazza.

Sofocle (V sec. a.C.), Antigone. 249

Contro il diritto naturale, l’esigenza legale La parola diritto, come anche la parola legge, ha due signi cati: un si-

gni cato proprio e uno metaforico. Il diritto propriamente detto è la creatu-ra della legge propriamente detta: le leggi reali fanno nascere i diritti reali. Il diritto naturale è creatura della legge naturale: è una metafora che trae la sua origine da un’altra metafora.

Ciò che vi è di naturale nell’uomo, sono dei mezzi, delle facoltà: ma chiamare questi mezzi, queste facoltà dei diritti naturali, è ancora mettere il linguaggio in opposizione con se stesso: perché questi diritti sono stabiliti per assicurare l’esercizio dei mezzi e delle facoltà. Il diritto è la garanzia, la facoltà è la cosa garantita. Come è mai possibile intendersi con un linguag-gio che confonde in un medesimo termine due cose così distinte? Dove andrebbe a nire la nomenclatura delle arti se si desse al mestiere che serve a fare un lavoro lo stesso nome che all’opera stessa?

Il diritto reale è sempre impiegato in un signi cato legale, il diritto na-turale è spesso impiegato in un signi cato antilegale. Quando si dice, a esempio, che la legge non può andare contro il diritto naturale, si impiega la parola diritto in un signi cato superiore alla legge: si riconosce un diritto che attacca la legge, che la rovescia e l’annulla.

In questo signi cato antilegale, la parola diritto è il più grande nemico della ragione e il più terribile distruttore dei governi.

Non si può più ragionare con dei fanatici armati di un diritto naturale, che ognuno interpreta come più gli piace, applica come gli conviene, di cui non può cedere nulla, nulla depennare; che è in essibile e al tempo stesso inintelligibile, che è consacrato ai suoi occhi come un dogma, e da cui non si può deviare senza commettere un crimine. Invece di esaminare le leggi dai loro effetti, invece di giudicarle come buone o come cattive,

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essi le considerano in rapporto al preteso diritto naturale: cioè essi so-stituiscono al ragionamento dell’esperienza tutte le chimere della loro immaginazione.

Non si tratta di un errore innocente, esso scivola dalla speculazione nella pratica. “Bisogna obbedire alle leggi che sono d’accordo con la natura, le altre sono nulle di fatto; invece di ubbidirvi, bisogna resister-vi. Appena i diritti naturali sono attaccati, ogni cittadino virtuoso deve ardentemente difenderli. Questi diritti, evidenti per se stessi, non hanno bisogno di essere dimostrati, basta dichiararli. Come provare l’evidenza? Il semplice dubbio implica un difetto di signi cato o un vizio dell’anima [...].”

Ma perché non mi si accusi di attribuire gratuitamente delle massime sediziose a questa specie di ispirati politici, citerò un passaggio positivo di Blackstone, perché, fra tutti gli scrittori, egli è quello che ha dimostra-to il più profondo rispetto per l’autorità dei governi (I Comm., p. 42). Parlando delle pretese leggi della natura e delle leggi della Rivelazione: “Non si deve accettare, – egli dice: – che le leggi umane contraddicano quelle: se una legge umana ci ordina una cosa proibita dalle leggi naturali o divine, siamo tenuti a trasgredire questa legge umana [...].”

Non è forse questo un mettere le armi nelle mani di tutti i fanatici con-tro tutti i governi? Nell’immensa varietà delle idee sulla legge naturale e la legge divina, ognuno non troverà forse qualche ragione per resistere a tutte le leggi umane? Vi è forse un solo Stato che potrebbe sopravvivere un giorno se ognuno si credesse, in coscienza, tenuto a resistere alle leg-gi, a meno che esse non fossero conformi alle sue idee particolari sulla legge naturale e la legge rivelata? Quale orribile strettoia tra tutti gli in-terpreti del codice della natura e tutte le sette religiose? [...].

L’utilità essendo stata spesso male applicata, intesa in un signi cato stretto, avendo prestato il suo nome a dei crimini, era sembrata contraria alla giustizia eterna; era degradata, aveva una reputazione mercenaria, e bisognava avere del coraggio per rimetterla in onore e per ristabilire la logica sulle sue vere basi.

Immagino un trattato di conciliazione con il partigiano del diritto natu-rale. Se la Natura ha fatto questa o quell’altra legge, coloro che la citano con tanta ducia, coloro che si sono assunti modestamente il compito di esserne interpreti, devono pensare che essa ha avuto delle ragioni per farlo. Non sarebbe più sicuro, più persuasivo e più breve di darci diretta-mente queste ragioni piuttosto che presentarci la volontà di questo Legi-slatore sconosciuto come quella che fa autorità da se stessa?

Jeremy Bentham, Principi di legislazione, 1789, Inghilterra. 250

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112 Il diritto di essere un uomo

Limiti dell’autorità Consigli ai sovrani Sappiate che la vostra autorità non si esercita che sul corpo dei vostri

sudditi, e che i re non hanno alcun potere sui cuori. Sappiate che se voi dominate gli uomini in ciò che possiedono, non li dominerete mai nel loro spirito.

Attribuito al re sassanide Ardachêr I (III sec.), Persia. 251

Poiché ho l’onore di essere nato nel vostro regno, trovo il mio corpo obbediente a Vostra Eccellenza, ma la mia anima non lo sarà mai.

Nichiren Daishonin (1275), Senji Shô, Giappone. 252

Un uomo venne a rendere visita a Raba e gli disse: “Il governatore della mia città mi ha ordinato di ammazzare un tale, altrimenti lui ucciderà me”. Raba gli disse: “Lascia che egli ti uccida, ma tu non essere un omicida. Chi ti dice che il tuo sangue è più rosso del suo? È forse il suo che è più rosso del tuo”.

Talmud, Yoma, 23. 253

Disposizione del Superiore ecclesiastico Presso i domenicani è previsto che il Superiore locale o provinciale –

alla metà del periodo del suo mandato – riunisca coloro che lo hanno eletto.

In quel Consiglio si procederà a uno scrutinio segreto per determinare se il Provinciale debba essere mantenuto nelle sue funzioni o essere deposto.

Regola dei Domenicani, art. 469, 1283. 254

Eletto a vita, il Superiore Generale può essere deposto Se dovesse presentarsi il caso (voglia la bontà e la grazia divina evitarlo)

che il Generale si rendesse colpevole di gravi errori, nettamente provati, la Compagnia, considerando l’onore divino e il bene di tutti, ha il dovere di deporlo o di allontanarlo.

Epitome della Compagnia di Gesù, 1689. 255

L’obbedienza non è incondizionata Quanto ai Fratelli che sono soggetti, si ricordino che, per amore di Dio,

essi hanno fatto abnegazione della loro volontà. Pertanto raccomando loro formalmente di obbedire ai loro Ministri in tutto ciò che hanno promesso al Signore di osservare e che non è contrario alla loro coscienza e alla no-stra Regola. E, – e in qualunque luogo siano i Fratelli – se sono convinti e

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riconoscono di non poter osservare la Regola secondo lo spirito, dovranno e potranno ricorrere ai loro Ministri.

Regola di San Francesco d’Assisi, cap. X, 1223. 256

(Obbedire) in tutte le cose oneste e lecite, semplicemente e senza discu-tere, rapidamente e senza tardare, gioiosamente e non per triste necessità.

Costituzione dei Carmelitani scalzi, cap. XII, 1636-1637. 257

I nostri Fratelli devono ubbidire ai Superiori in tutto ciò che deriva dalla Regola e dalla Costituzione... Non siamo tenuti a obbedire, meglio ancora, non possiamo ubbidire quando si tratta di un atto che va contro a dei co-mandamenti di Dio e della Chiesa o della Regola.

Regole dei Domenicani, art. 544. 258

(L’obbedienza è dovuta solo) in tutte le cose in cui non si scorgerebbe il peccato.

Costituzione della Compagnia di Gesù, 1556. 259

Limiti dell’obbedienza ai principi Non vi è altra volontà se non quella di un solo Dio che possa essere per-

petua e immutabile, regola di ogni giustizia. Perciò noi siamo tenuti a obbe-dire a Lui solo, senza alcuna eccezione. E per quanto riguarda l’obbedienza dovuta ai principi, se essi rappresentassero sempre la bocca di Dio per co-mandare, bisognerebbe anche dire senza eccezione che si dovrebbe obbedire loro proprio come a Dio; ma poiché, n troppo spesso, accade il contrario, bisogna stabilire questa condizione purché essi: non ordinino cose irreligiose o inique. Io chiamo ordini irreligiosi quelli con cui ci viene comandato di fare ciò che la prima Tavola della legge di Dio proibisce, o viene proibito di fare ciò che essa comanda. Chiamo comandamenti iniqui quelli ai quali non si può obbedire senza fare od omettere ciò che ognuno deve al suo prossimo, secondo la propria vocazione, sia pubblica che privata.

Théodore de Bèze, II diritto dei magistrati sui loro soggetti, 1581, Francia. 260

La ricompensa del comandamento osservato è il comandamento osser-vato e quella della sua trasgressione è la trasgressione.

Talmud, Avot, 4. 261

Irriducibilità del giudizio individuale Se fosse facile comandare agli spiriti come alle lingue, nessun governo

si troverebbe mai in pericolo, e nessuna autorità avrebbe bisogno di mez-

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zi violenti per essere esercitata. Perché i sudditi orienterebbero tutta la loro vita secondo il beneplacito dei governanti e nessuno darebbe dei giu-dizi sul vero e sul falso, né sul giusto o l’ingiusto, se non in conformità al volere di questi. Ma [...] le cose son ben lontane dallo svolgersi in questo modo, perché lo spirito di un uomo non potrebbe mai cadere in assoluta dipendenza di chicchessia. Nessuno saprebbe, di sua propria volontà e non costretto, trasferire a chicchessia l’intero suo diritto naturale, né la sua capacità di ragionare e di giudicare liberamente in ogni circostanza. Di conseguenza, un’autorità politica che pretendesse di farsi valere anche sugli spiriti, è quali cata come violenta; una maestà sovrana, d’altra par-te, commette una violazione di diritto e si rende colpevole di usurpazione nei confronti dei propri sudditi quando tentasse di imporre loro le nozioni che essi dovranno accettare per vere o respingere come false; come an-che le credenze cui dovrà ispirarsi la loro venerazione verso Dio. Infatti, ogni uomo gode di una completa indipendenza in materia di pensiero e di credenza: mai, neppure se fosse fatto volentieri, egli potrebbe aliena-re questo diritto individuale. Io non nego affatto che, pur senza subire direttamente l’autorità di un’altra persona, molti uomini hanno la mente occupata da così numerosi e incredibili pregiudizi che il loro pensiero ri-produce, senza tentar di comprenderla, le parole di quest’altra persona: al punto che sembrerebbe assolutamente giusto dire che essi hanno alienato la propria indipendenza interiore. Per quanto lontano tuttavia alcuni pos-sano giungere, usando vari arti ci, nel far valere un’in uenza di questo genere, non si potrebbe impedire che gli uomini scoprano un giorno que-sto fatto, basato su di una banale esperienza: ognuno di noi preferisce il proprio modo di vedere in confronto a quello degli altri; e i pensieri sono soggetti a tante variazioni quanti sono i gusti [...].

Per quanto sia quindi considerevole il diritto di cui una Potenza sovrana dispone in ogni campo, per quanto fermamente le sia riconosciuto il suo ruolo di interprete e del diritto umano e del culto più fervente, non si potrà tuttavia mai impedire ai sudditi di avere un proprio giudizio su ogni cosa, nel modo che preferiscono, né di provare questo o quell’altro sentimento a titolo individuale. Ben inteso che la Potenza sovrana ha il diritto di consi-derare come nemici gli uomini che non condividono assolutamente il suo modo di vedere in ogni circostanza. Ma [...] quello che noi cerchiamo di stabilire, non è il massimo del diritto della Potenza sovrana, è bensì che la condotta che sarà per essa la più vantaggiosa. Non contestiamo che essa possa legalmente esercitare il sistema di governo più violento e mettere a morte dei cittadini per un futile motivo; ma una simile concezione del proprio ruolo – secondo un parere unanime – urta il giudizio razionale [...].

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Limiti del potere 115

Lo scopo nale dell’instaurazione di un regime politico non è il dominio, né la repressione degli uomini, e neppure la loro sottomissione al giogo di un’altro. Ciò cui si mira con un tale sistema, è di liberare l’individuo dal timore, in modo che ciascuno viva, per quanto è possibile, nella sicurezza; in altri termini conservi al massimo possibile il proprio diritto naturale di vivere e di compiere un’azione (senza nuocere né a sé né ad altri). No, lo ripeto, lo scopo perseguito, non potrebbe essere quello di trasformare degli uomini ragionevoli in bestie o in automi! Ciò che si è voluto dar loro, è piuttosto, la più ampia libertà di compiere in perfetta sicurezza le funzioni dei loro corpi e del loro spirito. Dopo di che, essi saranno in grado di ragio-nare più liberamente, non si affronteranno più con le armi dell’odio, della collera, della scaltrezza, e si tratteranno vicendevolmente senza ingiustizia. In breve lo scopo dell’organizzazione in società, è la libertà!

... Accettiamo per un istante l’ipotesi che il giudizio possa essere repres-so, e gli uomini imbrigliati così strettamente da non osare pronunciare una parola se non per ordine della Potenza sovrana. Non si otterrà mai, in cam-bio, che tutti i loro pensieri siano conformi alle volontà politiche uf ciali. Che cosa accadrà dunque? I sudditi agiterebbero quotidianamente pensieri senza rapporto alcuno con le loro parole; la buona fede, così indispensabile alla comunità pubblica, si corromperebbe, mentre, sulle tracce detestabili dell’adulazione e della per dia, la furberia e il decadimento dei migliori modi di vivere sarebbero incoraggiati. Inoltre, bisognerebbe conservare strane illusioni, per ottenere dagli uomini una così perfetta docilità, fosse anche solo nelle loro parole; più ci si sforza invece di privarli della loro libertà d’espressione, e più la loro resistenza è accanita.

Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico, 1670. 262

I diritti individuali, che possono anche essere designati come naturali, primitivi, assoluti, primordiali o personali, sono delle facoltà, delle pre-rogative morali che la natura ha conferito all’uomo in quanto essere in-telligente; sono quindi di sua proprietà, inerenti alla sua personalità, parti integranti dell’entità umana.

Pimenta Bueno, Commenti alla Costituzione imperiale del 1824, Brasile. 263

Diritti e garanzie costituzionali Ora le garanzie costituzionali sono una cosa e i diritti, di cui queste ga-

ranzie traducono, in parte, la condizione di sicurezza politica o giudiziaria, ne sono un’altra. I diritti sono degli aspetti, sono delle manifestazioni della personalità umana nella sua esistenza soggettiva oppure nelle sue situazio-

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116 Il diritto di essere un uomo

ni di relazione con la società o con gli individui che la compongono. Le garanzie costituzionali sono stricto sensu le solennità tutelari di cui la legge circonda alcuni di questi diritti per proteggerli contro gli abusi del potere.

Rui Barbosa, Commenti alla Costituzione repubblicana del 1891. 264

Contro le istituzioni di Sparta Considerata in rapporto al proprio ne, la legislazione di Licurgo è un

capolavoro della politica e della conoscenza degli uomini. Egli voleva uno Stato potente, che riposasse sulla propria base, indistruttibile; la forza poli-tica e la durata erano il ne verso cui tendeva, e questo ne lo ha raggiunto, nché ciò era possibile nelle circostanze in cui si trovava. Ma, se si con-

fronta il ne che Licurgo si proponeva con quello dell’umanità, un severo rimprovero segue l’ammirazione che ci ha ispirato un primo e rapido colpo d’occhio. Tutto può essere sacri cato al bene dello Stato, eccetto ciò cui lo Stato stesso non serve che come mezzo. Lo Stato stesso non rappresenta mai il ne; esso non ha importanza se non come condizione, come via per raggiungere il ne dell’umanità, e questo ne dell’umanità non è altro che lo sviluppo di tutte le forze dell’uomo, il progresso. Se una costituzione po-litica impedisce che tutte le forze che sono nell’uomo si sviluppino, se essa impedisce il progresso dello spirito, è condannabile e nociva, per quanto sia ben concepita e perfetta nel suo genere. Le qualità stesse che assicurano la sua durata diventano in questo caso un soggetto di biasimo piuttosto che di gloria: essa non è allora che un male prolungato; più essa si mantiene, più è nociva.

Noi possiamo, in generale, nell’apprezzamento delle istituzioni politi-che, stabilire questa regola: che sono buone e lodevoli se non in quanto esse conducono al loro sviluppo tutte le forze che sono nell’uomo; n tanto che esse favoriscono il progresso della cultura, o per lo meno non l’intral-ciano. Questo si applica sia alle leggi religiose che a quelle politiche: le une e le altre sono biasimevoli se incatenano una delle forze dello spirito umano; se, in qualsiasi modo, esse lo condannano a rimanere stazionario. Una legge, a esempio, che obbligasse una nazione ad attenersi costante-mente alla professione di quella fede che, a una data epoca gli è parsa la migliore, una tale legge sarebbe un attentato contro l’umanità, e nessuna buona intenzione, per quanto speciosa fosse, saprebbe giusti carla. Essa sarebbe direttamente opposta al più alto bene, al più alto ne della società.

… … …Il sentimento comune dell’umanità era soffocato a Sparta in un modo

ancora più rivoltante, e l’anima di tutti i doveri, il rispetto del genere uma-no, si perdevano irreparabilmente. Una legge dello Stato stabiliva come

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un dovere per gli Spartani la disumanità verso i propri schiavi: in queste miserevoli vittime, l’umanità era oltraggiata e maltrattata. Nello stesso co-dice di Lacedemone era predicato il pericoloso principio di considerare gli uomini come mezzo e non come ne: con ciò le basi del diritto naturale e della morale erano legalmente capovolte. Tutta la moralità era sacri cata per raggiungere un ne che non può tuttavia avere valore se non come mezzo di tendere a questa moralità.

… … …Ogni industria era bandita da Sparta; tutte le scienze erano trascurate;

ogni commercio con i popoli stranieri proibito; tutto ciò che poteva venire di fuori escluso. A Sparta erano chiusi tutti i canali attraverso i quali le luci avrebbero potuto avere accesso in quella nazione; lo Stato spartano doveva girare perpetuamente su se stesso in un’eterna uniformità e in un triste egoismo.

… … …Se riassumiamo tutto questo, vediamo sparire quel falso fasto con cui il

solo lato rilevante della costituzione lacedemone abbaglia un occhio non sperimentato; troviamo solo più un’imperfetta prova da scolaro, il primo tentativo di un mondo ancora giovane, che mancava di esperienza e di luce per riconoscere i veri rapporti delle cose. Per quanto difettoso sia stato in n dei conti questo primo esperimento, esso rimarrà sempre notevole per

chi studia da losofo la storia dell’umanità. Era in de nitiva un passo da gigante dello spirito umano il trattare come opera d’arte ciò che no ad allora era stato abbandonato al caso e alla passione. Il primo esperimento nella più dif cile di tutte le arti doveva essere necessariamente imperfetto: esso resta tuttavia sempre stimabile, perché è stato tentato nell’arte più importante. Gli scultori hanno cominciato con degli Ermes prima di in-nalzarsi alla forma perfetta di un Antinoo o di un Apollo del Vaticano; dopo Licurgo, i legislatori si esercitarono lungamente ancora in grossolani tentativi, no a che il felice equilibrio delle forze sociali si presentò loro spontaneamente.

La pietra cede pazientemente allo scalpello che la cesella, e le corde che tocca il musicista gli rispondono senza resistere alle sue dita.

Solo il legislatore lavora una materia spontaneamente attiva e resistente: la libertà umana.

Friedrich Schiller, La legislazione di Licurgo e Solone (1759-1805). 265

Libertà e onore La libertà è il diritto di ogni uomo a essere onorato e a pensare e parlare

senza ipocrisia [...]. Vi sono degli uomini che vivono contenti anche se vi-

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vono senza onore. Ve ne sono altri che soffrono mille morti quando vedono che gli uomini vivono senza onore attorno a loro. Occorre nel mondo una certa quantità di luce come occorre una certa quantità di onore. Quando vi sono molti uomini senza onore, ve ne sono sempre altri che assumono l’onore del maggior numero di essi.

Sono questi che si rivoltano con una terribile forza contro coloro che rubano al popolo la libertà, cioè il loro onore. Questi uomini rappresentano migliaia di uomini, un popolo intero, la dignità umana. Essi sono sacri.

José Marti, L’età d’oro, 1889, Cuba. 266

Nessuna sottomissione incondizionata Una fedeltà indefettibile dei partigiani al capo crea una relazione che

non è politica e che esiste solo in cerchio ristretto e in strutture sociali primitive [...]. In uno Stato in cui regna la libertà, il controllo di tutti e i cambiamenti di persone sono normali.

... Da ciò una doppia colpevolezza: anzitutto quella che deriva, in modo generale, dalla sottomissione incondizionata a un capo; in seguito, quella che proviene dal carattere stesso del capo al quale ci si sottomette. L’atmo-sfera di sottomissione comporta già una colpevolezza collettiva.

Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania. 267

La preoccupazione dell’educazione a venire è quella di creare un atteg-giamento refrattario all’idea che lo Stato sia un essere supremo e assoluto e che è nostro dovere di conformarci alla ragion di Stato.

Kiyoshi Kiyosawa, Giornale del 2 dicembre 1944, Giappone. 268

Se un padre commette un’ingiustizia, tocca ai suoi gli di lasciare la casa paterna. Se il direttore di una scuola amministra il suo istituto in modo immorale, gli alunni devono abbandonare la scuola. Se il presidente di una società è corrotto, i membri di questa società devono lavarsi le mani del-la sua corruzione, ritirandosi dalla società; analogamente, se un governo commette una grave ingiustizia, la vittima di quest’ingiustizia deve cessare di cooperare interamente o parzialmente – quanto basta almeno perché i dirigenti rinuncino alla propria iniquità. In ognuno dei casi che ho imma-ginato, entra un elemento di sofferenza morale o sica. Senza questa soffe-renza, è impossibile raggiungere la libertà.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 269

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Rivolta legittima, dovere d’insurrezione

Un re che, dopo aver proclamato “Vi proteggerò”, non protegge (i suoi sudditi) può essere ucciso come un cane ammalato e colpito da follia, dai suoi sudditi che si sono sollevati contro di lui.

Mahâbhârata, XIII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 270

Il re Hsüan di Tch’i domandò: “Non è forse vero che T’ang ha scacciato Tchieh e che il re Wu ha bastonato Tchu?”. Mencius rispose: “Così sta scritto negli annali”. Il re domandò: “È allora permesso a un suddito di uccidere il suo sovrano?”. Mencius rispose: “Colui che oltraggia l’umanità è uno scellerato; colui che oltraggia la virtù è un agello. Un agello o uno scellerato è una creatura da condannarsi. ho inteso dire che una creatura condannata, chiamata Tchu, fu messa a morte, ma non ho inteso dire nulla riguardo all’uccisione di un sovrano.”

Mencius (372-289 a.C.), Cina. 271

Coloro che sono oppressi hanno il diritto di battersi e Dio può accordare loro la vittoria.

Corano, Al-Hadj, 39. 272

Nessuna creatura deve ubbidienza nella disobbedienza al Creatore. Hadith (Detti del Profeta). 273

La Russia ha conosciuto delle repubbliche governate da un’Assemblea popolare, in cui il principe, eletto, non era che un semplice capo militare.

(Nel 1270) si mandò al principe, nel Palazzo, un messaggero portatore di uno scritto che enumerava tutte le sue colpe [...] e ve ne era un gran numero: “E ora, principe, noi non possiamo più sopportare le tue violenze. Vattene da casa nostra, e ci cercheremo un altro principe”. Il principe spe-dì all’assemblea Svjatoslav e Andrej Vorotislavi con questa preghiera da parte sua: “A tutto questo io rinunzio e presterò giuramento nel modo che desiderate”. Ma i Novgorodiani risposero: “Principe, vattene, noi non vo-gliamo più saperne di te. Altrimenti noi, tutta Novgorod, ti scacceremo!”. Il principe se ne andò dalla città, suo malgrado.

Cronaca Prima di Novgorod, Manoscritto della ne del XIV sec. 274

Rivolta a teatro La Mazza era un cilindro di legno nel quale s’intagliavano delle gure

umane deformate. Essa serviva come simbolo di rivolta contro le novità

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religiose e dello Stato. Durante molto tempo i padroni cercarono di soppri-mere quest’arma di rivoluzione. Ecco lo svolgersi di una rivolta di Mazza durante la guerra di Rarogne del 1414-1415:

La folla si era radunata sulla pubblica piazza ove la Mazza era stata in-nalzata e uno spettacolo teatrale si svolse sotto forma di dialogo tra la folla e un portavoce della Mazza, che stava in piedi al suo anco.

LA FOLLA: O Mazza, che cosa stai facendo qui? IL PORTAVOCE: Mazza, essi vogliono aiutarti. Nomina colui che tu temi.

È forse il Silenen?... l’Asperling?... l’Hengarten?... A ogni nuovo nome, il portavoce diceva di quale genere di oppressione egli supponeva colpevole il signore che lo portava.

Finalmente egli domandò: “Sono quelli di Rarogne?”. La Mazza s’inchi-nò. Il portavoce continuò: “Colui che vuol salvar la Mazza alzi la mano!”.

La maggioranza lo fece. Di villaggio in villaggio si annunciò che la Mazza sarebbe andata dai Rarogne. Alla data convenuta, le case ostili fu-rono saccheggiate.

Albert Carlen, Il teatro dell’Alto Vallese nel Medio Evo, 1945, Sviz-zera. 275

Contratto sociale e diritto di resistenza Ora noi leggiamo (nella Bibbia) due specie di alleanze alla consacra-

zione dei Re: la prima, tra Dio, il Re e il popolo; la seconda tra il Re e il popolo, cioè che il popolo obbedirebbe fedelmente al Re che avrebbe comandato secondo giustizia...

... Nella prima Alleanza vi è obbligo alla Pietà: nella seconda alla Giu-stizia: con la prima il Re promette di obbedire religiosamente a Dio; con la seconda di comandare al popolo: con l’una egli si obbliga di procurare la gloria di Dio: con l’altra il pro tto del popolo. Nella prima vi è questa condizione, se tu osservi la mia Legge; quanto alla seconda, se conservi per ciascuno il diritto che gli appartiene. Dio è veramente il protettore e il ven-dicatore della prima se essa non viene eseguita; quanto alla seconda, spetta legittimamente a tutto il popolo o a tutti gli Stati che lo rappresentano e devono mantenere quest’autorità, di punire il colpevole.

Philippe Duplessis-Mornay, Le rivendicazioni contro i tiranni, 1579, Francia. 276

Non è permesso al Principe, se non ha potere assoluto, di spogliare chic-chessia dei suoi beni, e sebbene ci sia dato di metterlo sotto accusa per proteggere colui che è stato spogliato e fargli restituire i suoi beni, noi non lo consideriamo per questo meno uno spogliatore.

Juan de Solórzano Pereira (1575-1654), Spagna. 277

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Se considerassi solo la forza e l’effetto che ne deriva, direi: “Finché un popolo è costretto a obbedire e obbedisce, fa bene; appena egli può scuotere il giogo, e lo scuote, fa ancora meglio: poiché, ricuperando la sua libertà con lo stesso diritto che gliel’aveva rubata, o è convinto di doverla riprendere, oppure non si aveva il diritto di togliergliela”.

Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762. 278

La storia dice: da che il mondo esiste i regimi assoluti sì sono sempre arrogati dei diritti incompatibili con uno stato sociale veramente buono dell’umanità. Essi hanno così spinto sempre i popoli alla resistenza armata contro le pretese all’assolutismo e contro l’attentato ai loro legittimi diritti.

Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), Svizzera. 279

IL GIOCO DI TELL Il simbolo della libertà che è rappresentato da Guglielmo Tell in Svizze-

ra è stato molto spesso utilizzato per il teatro popolare. Ecco alcuni estratti di un’opera. I personaggi citati sono: Tell, Hedewig, sua moglie; Werner e Arnold, gli amici di Tell; Gessler, il governatore straniero.

WERNER: Il numero dei congiurati cresce di giorno in giorno. E anche la collera, la fedeltà e la ducia infantile in colui che è il nostro liberatore.

ARNOLD: Come, il cappello, quest’antico segno di una bella libertà, sa-rebbe ora trasformato in un monumento di una vile servitù?

… … …TELL: (al governatore) Colui che tutti temono teme tutti. L’orgoglio si

annienta da se stesso e contro di esso sono rivolti tutti i dardi. Mai preferi-rei la servitù alla mia vita. Una vita senza libertà mi è di peso [...]. Tell ha preso la difesa dei diritti degli uomini, sollevandosi senza paura contro i briganti sfrenati; sia ciò il mio onore e il mio salario.

GESSLER: La plebaglia non deve sapere che ha una volontà, che la natura le ha dato dei diritti, una dignità umana; che lo Stato le ha dato la proprietà. Queste conoscenze pericolose devono essere totalmente estirpate.

… … …GESSLER: (a Hedewig) La natura ti colma di importanti doni: non sotter-

rarli. Collocati dinanzi agli altri e distinguiti da loro.HEDEWÌG: (rispondendo al governatore) Il nostro paese non conosce di-

stinzioni se non quella che accorda la virtù a una donna. WERNER: (al governatore) Tu non piegherai il nostro coraggio con le mi-

nacce. Esso aumenterà con la resistenza no a quando la nostra coscienza ci protegge. Io parlo da uomo libero [...] anche se avessi il re di fronte a me [...] e tutte queste anime nate libere devono parerti odiose.

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… … …TELL: Questa fortuna (d’aver scacciato il governatore), cari concittadini,

non è che il primo passo. Ricordatevi che la libertà deve essere consolidata. Joseph Ignaz Zimmermann, Wilhelm Tell. 1777. Svizzera. 280

I diritti della donna DICHIARAZIONE DI INTENTI E RISOLUZIONI DI SENECA FALLS (19 LUGLIO 1848) Il testo cita dapprima la Dichiarazione d’Indipendenza delle colonie

americane, secondo la quale quando una lunga serie di abusi e di usur-pazioni, perseguendo invariabilmente lo stesso ne, tradisce il disegno di ridurre (gli esseri umani) sotto un dispotismo assoluto, è loro dovere di rigettare un simile governo e di circondarsi di garanzie nuove in vista della loro futura sicurezza.

… … …Tanta è stata la paziente sofferenza delle donne sotto questo governo,

quanto è ora la necessità che le obbliga a reclamare l’uguaglianza alla qua-le esse hanno diritto.

La storia dell’umanità è densa degli abusi e delle usurpazioni dell’uomo nei riguardi della donna, commessi con lo scopo precipuo di sottometterla a una tirannide assoluta. Per provarlo parlino da se stessi, a ogni spirito non prevenuto, i fatti che seguono:

L’uomo non le ha mai permesso di esercitare il suo diritto inalienabile di partecipare alle elezioni. Egli l’ha obbligata a sottomettersi a delle leggi elaborate senza la sua partecipazione. Le ha ri utato i diritti accordati agli uomini più ignoranti e più degradati, siano essi cittadini di questo paese o stranieri.

Avendola privata del suo primo diritto di cittadina, il diritto di voto, e avendola lasciata senza rappresentanza negli organi legislativi, l’ha op-pressa in tutti i modi.

Ne ha fatto, se è sposata, un essere civilmente morto riguardo al diritto. Le ha tolto ogni diritto di proprietà, anche sul salario che ella guadagna.

Ne ha fatto un essere moralmente irresponsabile poiché essa può commettere numerosi delitti e crimini in completa immunità, purché lo faccia in presenza di suo marito. Il contratto di matrimonio l’obbliga a promettere obbedienza al suo sposo, che diventa sotto ogni punto di vista il suo padrone, poiché la legge gli dà il potere di privarla di libertà e di punirla.

Egli ha redatto le clausole delle leggi che de niscono i motivi validi per il divorzio, e quelle, in caso di separazione, stabiliscono a chi è af data la

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custodia dei gli, senza tenere il minimo conto della felicità della donna, poiché la legge in ogni caso è fondata sulla falsa ipotesi della supremazia dell’uomo e dà a questi tutti i poteri.

Dopo di averla privata di tutti i suoi diritti, se si è sposata, egli la ob-bliga, se è nubile, e se ha dei beni, a pagare delle imposte per sostenere un governo che non riconosce la sua esistenza se non quando può trarre pro tto dai suoi beni.

L’uomo ha monopolizzato quasi tutti gli impieghi vantaggiosi e, per quelli che è autorizzata a esercitare, la donna non riceve che una magra ri-munerazione. Egli le chiude tutte le vie che conducono alla ricchezza e alle carriere, che egli giudica molto onorevole per se stesso. Non si deve sapere che la donna insegna la teologia, la medicina o il diritto.

Egli le ha ri utato la possibilità di fare degli studi completi, poiché tutte le università le sono chiuse.

Nella Chiesa come nello Stato, egli le permette solo di occupare una posizione di subalterna, invocando l’autorità apostolica per escluderla dal sacerdozio e, salvo qualche eccezione, da ogni partecipazione pubblica agli affari della Chiesa.

Egli ha divulgato delle idee false nel pubblico, dando al mondo dei codi-ci di morale diversi per gli uomini e per le donne, per modo che dei delitti morali che escludono le donne dalla società sono non solo tollerati ma giudicati insigni canti per gli uomini.

Egli ha usurpato le prerogative dello stesso Jehovah, arrogandosi il di-ritto di assegnare alla donna un campo di azione, mentre ciò dipende dalla coscienza della donna e del suo Dio.

Egli ha tentato, con tutti i mezzi a sua disposizione, di distruggere la ducia che ella aveva in se stessa, di diminuire il rispetto della sua propria

persona e di indurla ad acconsentire a condurre una vita dipendente e ser-vile.

Noi dichiariamo che, poiché l’uomo, arrogandosi per se stesso la su-periorità intellettuale, riconosce effettivamente la superiorità morale della donna, egli ha il dovere supremo di incoraggiare la donna a parlare e a insegnare, se ne ha l’occasione, in tutte le assemblee religiose.

Noi dichiariamo che bisogna esigere dall’uomo lo stesso grado di virtù, di delicatezza e raf natezza nella condotta che questi esige dalla donna nella società, e che le stesse deviazioni dovrebbero essere sanzionate con uguale severità sia per l’uomo che per la donna.

Noi dichiariamo che gli uomini hanno cattivo garbo nel parlare di con-dotta contraria alla delicatezza e alla convenienza, come lo fanno così spes-so quando una donna prende la parola in pubblico, nel mentre, frequentan-

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do gli spettacoli, essi incoraggiano la donna a presentarsi sulla scena, al concerto o nei giuochi dei circhi.

Noi dichiariamo che la donna si è troppo a lungo accontentata dei limiti ristretti che le sono stati assegnati dai costumi corrotti e da una applicazio-ne pervertita delle Scritture, e che è ormai tempo che essa acceda al campo più vasto che il suo grande Creatore le ha attribuito.

Stati Uniti d’America. 281

La maggioranza contro la coscienza IL DOVERE DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE La ragione concreta per la quale, una volta che il potere sia nelle mani

del popolo, è permesso a una maggioranza di regnare e di mantenere il suo regno durante un lungo periodo, non è che essa ha più verosimilmente ragione, né che ciò sembri la cosa più giusta alla minoranza, ma è che essa è sicamente la più forte. un governo invece in cui la maggioranza regna in tutti i casi non può basarsi sulla giustizia, anche come la comprendono gli uomini. Può forse esservi un governo in cui non siano le maggioranze che decidono virtualmente di ciò che è bene e di ciò che è male, ma la coscien-za? Ove le maggioranze decidono solo di questioni alle quali è applicabile la regola dell’opportunità? Deve forse il cittadino, fosse pure solo per un momento oppure al più debole grado, consegnare la sua coscienza tra le mani del legislatore? Perché tutti gli uomini hanno allora una coscienza? Ritengo che dobbiamo, anzitutto, essere degli uomini e poi dei sudditi. Non è tanto per la legge quanto per il diritto che è desiderabile di sviluppare il rispetto. Il solo obbligo che io abbia il diritto di assumere è quello di fare in ogni momento ciò che stimo giusto.

… … …La maggior parte degli uomini – con il loro corpo – serve in questo

modo lo Stato, non come uomini, ma come macchine. Essa è rappresentata dall’armata permanente, dalla forza pubblica, la polizia, ecc. Nella mag-gior parte dei casi non vi è alcun libero esercizio del giudizio o del senso morale; questa gente si mette al livello della legna, della terra e delle pietre; e si potrebbero forse fabbricare degli uomini di legno che renderebbero gli stessi servizi. Simili esseri non meritano più rispetto dei fantocci di paglia o di un blocco di fango. Essi valgono ciò che valgono cavalli e cani, non di più. Tuttavia questi esseri sono ordinariamente stimati come buoni citta-dini. Altri – quale la maggior parte dei legislatori, dei politici, dei giuristi, dei ministri e dei funzionari – mettono soprattutto la loro testa al servizio dello Stato; e siccome fanno raramente qualche distinzione morale, hanno la massima probabilità, senza volerlo, di servire tanto il diavolo che Dio.

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Un piccolissimo numero, quali gli eroi, i patrioti, i martiri, gli informatori nel signi cato elevato della parola, e gli uomini mettono al servizio dello Stato anche la loro coscienza e quindi gli resistono: sono allora trattati or-dinariamente da lui come nemici [...].

Quale atteggiamento conviene adottare da un uomo d’oggi verso questo governo americano? Rispondo che egli non può, senza vergogna, associar-si con lui. Non posso riconoscere, per un solo istante, come mio governo questa organizzazione politica che è anche il governo negriero.

Tutti gli uomini riconoscono il diritto di rivoluzione, cioè il diritto di ri utare obbedienza al governo e di resistergli quando la sua tirannide op-pure la sua incapacità sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dichiarano che non è il caso di oggigiorno. Ma essi pensano che invece era proprio il caso al momento della Rivoluzione del 1775. Se qualcuno venisse a dirmi che era un cattivo governo, perché colpiva di tasse alcuni prodotti stranieri al loro ingresso nei suoi porti, è molto probabile che non mi metterei a fare questioni per questo, poiché non posso fare a meno di quegli articoli. Tutte le macchine hanno la loro frizione [...].

Ma quando la frizione arriva a bloccare la macchina, quando l’oppres-sione e il furto sono organizzati, lo dichiaro, non sopportiamo questa mac-china più a lungo. In altri termini, quando un sesto della popolazione di una nazione che si è impegnata a essere il rifugio della libertà è schiava, che un paese è completamente invaso, conquistato da un esercito straniero e sottoposto alla legge militare, trovo che non è troppo presto per la gente onesta di sollevarsi e di fare la rivoluzione. Ciò che rende questo dovere altrettanto più urgente è che il paese così invaso non è il nostro, ma che l’invasione è stata compiuta dal nostro esercito [...].

Esistono delle leggi ingiuste: consentiremo noi a obbedire oppure ci sforzeremo di correggerle, obbedendo loro no a che non ci saremo riusciti oppure le trasgrediremo all’istante? Gli uomini in generale, sotto un gover-no come questo, ritengono che si debba attendere di aver deciso in mag-gioranza per cambiarli. Credono che se vi resistessero il rimedio sarebbe peggiore del male. Ma è colpa del governo stesso se il rimedio è in effetti peggiore del male. È esso che lo rende peggiore. Perché non è più pronto a prevedere e a prendere delle misure riformatrici? Perché non cura la sua minoranza che è saggia? Perché grida, resiste prima che lo si tocchi? Per-ché non incoraggia lui i suoi cittadini a restare sul chi-vive per segnalargli i suoi errori e a far meglio di quanto egli voleva essi facessero?

… … …Sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto

di un giusto è anche la prigione. Il posto conveniente oggigiorno, il solo

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posto che il Massachusetts abbia previsto per i suoi spiriti liberi e mai scon- tti, è nelle sue prigioni, per metterli alla porta dello Stato, metterli fuori

con la sua stessa legge come ci si sono già messi in base ai loro principi. È lì che lo schiavo fuggitivo, il prigioniero messicano in libertà sulla parola e l’Indiano venuto per far presente i torti fatti alla sua razza, dovranno trovarli. Su di un terreno a parte, ma libero e onesto, in cui lo Stato colloca coloro che non sono con lui ma contro di lui. Sola abitazione, in uno Stato schiavista, ove un uomo libero possa rimanere con onore. Se vi sono per-sone le quali ritengono che la loro in uenza vi si perderebbe, che la loro voce non tormenterebbe più le orecchie dello Stato, che essi non sarebbero come un nemico entro le sue mura; costoro non sanno quanto la verità è più forte dell’errore, né quanto più eloquentemente, più ef cacemente può combattere l’ingiustizia colui che l’ha provata un poco nella sua persona. Date la totalità del vostro voto, non semplicemente un pezzo di carta, ma tutta la vostra in uenza. Una minoranza è impotente nché si conforma alla maggioranza; allora non è neppure una minoranza; ma diventa irresi-stibile quando, con tutto il suo peso, ostruisce il passaggio. Se non vi è altra alternativa che mantenere in prigione tutti i giusti oppure rinunciare alla guerra e alla schiavitù, lo Stato non esiterà nella sua scelta; se un migliaio d’uomini ri utassero di pagare le imposte quest’anno, non sarebbe questa una misura violenta e sanguinosa come accadrebbe pagandole, mettendo così lo Stato nelle condizioni di dover agire con la violenza e di versare il sangue innocente. Se simile cosa fosse mai possibile, sarebbe questa la de nizione di una rivoluzione paci ca. Se l’esattore o qualsiasi altro fun-zionario mi domanda, come uno di loro mi ha domandato: “ma cosa volete che io faccia?”, la mia risposta sarà: “Se volete veramente fare qualcosa, abbandonate il vostro impiego”. Quando il suddito ha ri utato l’obbedien-za e il funzionario ha abbandonato il suo posto, allora la rivoluzione è com-piuta. Ma supponete anche che scorra il sangue. Non vi è forse una specie di sangue versato quando la coscienza è ferita?

… … …L’evoluzione dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale,

dalla monarchia costituzionale alla democrazia è un’evoluzione verso un rispetto vero dell’individuo. Anche i loso cinesi avevano suf ciente sag-gezza per considerare l’individuo come la base dell’impero. Una democra-zia, quale noi la conosciamo, è forse l’ultimo progresso possibile in fatto di governo? Non è possibile fare un passo di più verso il riconoscimento e l’attuazione dei diritti dell’uomo? Non vi sarà mai uno Stato veramente libero e illuminato nché lo Stato non riconoscerà l’individuo come una

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potenza superiore e indipendente da cui esso trae la sua potenza e la sua autorità, e lo tratterà di conseguenza.

Godo nell’immaginare uno Stato, in ne, che possa mostrarsi giusto ver-so tutti gli uomini e trattare l’individuo con rispetto, come un vicino; che andrebbe no al punto di non giudicare incompatibile con la propria tran-quillità, che taluno ne vivesse lontano, senza immischiarsi a esso né essere costretto da esso, adempiendo tutti i suoi doveri di vicino o di simile. Uno Stato che portasse questo genere di frutto e che gli permettesse di cadere appena maturo, preparerebbe la via a uno Stato ancora più perfetto, addi-rittura splendido, quale io lo ho immaginato, ma che non ho ancora visto in nessun luogo.

Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, 1849, Stati Uniti d’A-merica. 282

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LIBERTÀ CIVILE

Libertà individuale

Libertà va cercando, ch’è sì cara,come sa chi per lei vita ri uta.

Dante (1265-1321), Divina Commedia. Purgatorio. 283

Ah! libertà, qual nobil cosa!La Libertà è sorgente di gioia.In tutti i suoi mali l’uom consola.Vivere liberi, qual piacer!Nobil cuore non può star a suo agio,Felicità né conoscer giammai,Senza libertà, perché lei solaDesiderio è supremo dell’uomo.Quei che sempre libero è vissuto,Non può immaginar la condizione,Il rancore e il penoso destinoDi coloro che sono asserviti.Ma solo colui che è stato schiavo,Molto ben sa che soffre chi è schiavoE dà alla libertà maggior valore,Che non ai tesor di tutto il mondo.Perché l’aver provata la sfortuna,Ci dà della fortuna il quadro vero.

John Barbour (XIV sec.), The Brus, Scozia. 284

Nessuna forza lo doma, nessun tempo lo consuma, né alcun nome ha merito uguale a quello di libertà.

Niccolò Machiavelli (1469-1527). 285

Legge e libertà Lo scopo di una legge non è di abolire o di diminuire la libertà, ma di

conservarla e di aumentarla. Infatti in tutti gli Stati i cui membri sono delle

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creature capaci di aver delle leggi, dove non vi è alcuna legge, non vi è più libertà. Poiché la libertà consiste nell’essere esenti da molestia e da violenza da parte di altri: ciò che non si troverebbe dove non vi è legge, e dove, secondo quanto abbiamo detto più sopra, non vi è una libertà che permetta a ognuno di fare ciò che più gli piace. Poiché chi può mai essere libero quando il temperamento molesto di qualche altro individuo potrà do-minarlo e soggiogarlo? Per contro si gode di una vera libertà quando si può disporre liberamente, e come si vuole, della propria persona, delle, proprie azioni, dei propri possedimenti, di tutto il proprio Bene, secondo le leggi che regolano la nostra vita e che fanno sì che non si è punto soggetti alla volontà arbitraria degli altri, ma che si può liberamente seguire la propria volontà.

John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 286

UCCELLO IN GABBIA Il giovane fringuello domanda al vecchio perché sospira: “Questa gab-

bia ove viviamo è tuttavia confortevole!”. “Tu sei nato qui e puoi anche credere che sia come tu pensi. Ma ahimè, io mi ricordo della libertà... e sospiro.”

Ignacy Krasicki, Favole, 1779, Polonia. 287

Non credere che il popolo offeso, dileggiato abbia perso il suo onore: la pietra preziosa perde forse del suo valore perché è caduta per terra?

Se anche la corda micidiale del boia si cambiasse in dragone della mor-te, essa è mille volte preferibile alla catena della schiavitù.

È mai possibile annullare l’idea della libertà con degli atti ingiusti e cru-deli? Prova, se lo puoi, a scacciare la ragione dall’intera umanità.

Namik Kemal (1840-1888), Ode alla libertà, Turchia. 288

Garanzia delle franchigie e della comprensione del Trattato da parte dei cittadini

TRATTATO DI ZURIGO (1° MAGGIO 1351) Si deve inoltre anche sapere che noi abbiamo espressamente determinato

e stipulato verso tutti coloro che sono in questa alleanza, che ogni città, ogni cascina, ogni villaggio al quale appartiene colui che fa parte di questa allean-za, deve continuare a restare con i suoi tribunali, le sue libertà, le sue lettere di franchigia, i suoi diritti e le sue buone abitudini, tali e quali li ha avuti nora, per modo che nessuno deve portar loro pregiudizio o impedir loro di

agire, senza eccezione. È anche stipulato, af nché giovani e vecchi, e tutti coloro cui ciò interessa, conoscano meglio quest’alleanza, che rinnoveranno

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e spiegheranno, con le parole, gli scritti e sotto giuramento, e con tutto il ce-rimoniale usuale, ogni dieci anni, prima o dopo l’inizio del mese di maggio. Tutti gli uomini e i giovani che avranno più di sedici anni, in quel momento, dovranno giurare di attenersi sempre a quest’alleanza. 289

Nel 1378 il vescovo di Ginevra, Adhémar Fabri, riunì in un codice le franchigie e le libertà accordate ai cittadini

Art. 2. Della sicurezza. Ogni sacerdote o laico, tanto cittadino quanto straniero, deve essere e rimanere salvo e con la piena sicurezza di tutti i suoi beni nella città e nei dintorni. Se, entro detti limiti, fosse usata violen-za a chicchessia, i cittadini qui domiciliati, abitanti e giurati, hanno il dirit-to di difendere l’offeso con tutto il loro potere, purché egli abbia consentito a riconoscere la giurisdizione del nostro Delegato o del nostro Vicedomino, ossia del suo Luogotenente.

Art. 23. Del diritto di essere governato da persone elette di sua scelta. I detti cittadini, borghesi, abitanti e giurati della detta città, possono ogni anno stabilire e nominare quattro di loro quali Procuratori e Sindaci della detta città, e trasmettere a questi quattro eletti tutto il loro potere. Questi quattro potranno gestire gli affari della detta città e dei cittadini, a fare tutto ciò che potrà essere utile ai loro interessi.

Art. 55. Della protezione dei beni. Nessuno, né a nostro mezzo né a mezzo di chiunque altro, deve essere spogliato della sua proprietà, in qualunque modo ciò possa avvenire, senza che la sua causa sia sta-ta ascoltata e difesa, per quanto egli vorrà riconoscere la giurisdizione dei tribunali della detta città (ossia stare in giudizio secondo gli usi e le consuetudini di detta città) sotto la riserva del diritto dei signori, il cui oggetto contestato è trattenuto in feudo, en teusi o alloggio o potrebbe esserlo in avvenire.

Art. 19. I beni di un condannato non debbono essere con scati.Né per un delitto, qualunque esso sia, né per un altro qualsiasi motivo, i

beni di un cittadino, borghese, giurato o abitante, del clero o laico, saranno con scati, sotto qualsiasi forma, sia che egli sia stato condannato per delit-to o diversamente, se non nel caso permesso dal diritto secondo le decisioni dei giureconsulti.

Art. 10. Delle condizioni di imprigionamento.Nessun laico, se non per causa criminale, cioè furto pubblico, omicidio

manifesto, tradimento notorio, e altri delitti pubblici, per i quali non si deve rinviare la persona sotto cauzione, deve essere preso nella città o nei dintor-ni nché egli sarà disposto a dare cauzione e garanzia; e se non sarà pronto a dare garanzia e cauzione, nel caso sia preso o detenuto, non lo si conduca

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in prigione, ma sia trattenuto e custodito presso la Corte temporaneamente, in modo che egli possa ricercare delle malleverie, se egli ha potere e mezzo di averli e se allora egli non potrà averne e sarà condotto in prigione, non appena egli sarà pronto a dare una garanzia, venga liberato dalle prigioni e messo totalmente in libertà con i suoi effetti personali.

Franchigia di Ginevra, 1387. 290

Ogni uomo è libero negli Stati della Repubblica, tanto se vi è nato quan-to se vi si è stabilito, oppure vi è appena giunto. Egli ha qui il diritto di usa-re le sue forze e la sua fortuna come meglio gli sembra, purché si conformi alla legge di Dio e alle leggi del paese. Nessun uomo può impadronirsi di un altro uomo, con la propria forza e con l’aiuto dei suoi simili; nessuno ha il diritto di aiutarlo per fare questo, né di causare pregiudizio alla persona, alla vita e alla fortuna del suo prossimo.

Hugo Kollataj, La legge politica della nazione polacca, 1790. 291

Qualunque sia l’epoca, qualunque siano le condizioni, non sarà mai per-messo di violare i diritti dell’uomo né di ri utare di restituirgli i suoi diritti. Nessun paese è degno di essere chiamato libero se un uomo vi è infelice; nes-sun paese è libero se un uomo vi è ridotto in schiavitù. Nessuna legislazione deve quindi passare sotto silenzio i diritti dell’uomo; nessuna società può sacri care un uomo per gli altri. un ragionamento che lo permettesse sarebbe l’espressione sia della paura, sia dell’ingiustizia. Dire che il popolo, non es-sendo illuminato, non può godere dell’insieme dei suoi diritti, vuol dire par-lare contro la saggezza e la verità, poiché non vi è nessun caso (a eccezione della debolezza dovuta all’età e quella dei sensi) in cui l’uomo possa perdere i suoi diritti. Lo stesso minore e il pazzo sono collocati sotto la protezione della bene cenza umana; solo il.criminale può essere lo schiavo della socie-tà. Poiché il destino che l’opinione prepara all’uomo è frutto del caso, mentre il sentimento del cuore è l’effetto dei diritti che gli sono naturali.

Hugo Kollataj, La legge politica della nazione polacca, 1790. 292

L’uso della libertà non deve diminuire quella degli altri Quando la ragione approva che l’uomo faccia un certo uso delle sue

forze e della sua libertà, oppure, ciò che è poi la stessa cosa, quando essa riconosce in lui un certo diritto, bisogna – per conseguenza naturale – che per assicurare questo diritto a un uomo, essa riconosca allo stesso tempo che gli altri uomini non devono assolutamente servirsi delle loro forze né della loro libertà per opporsi a lui; ma, al contrario, essi devono rispettare il suo diritto, e aiutarlo a servirsene.

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Del diritto di resistere I diritti perfetti sono quelli di cui si può rigorosamente esigere l’effetto

[...]. È così che si può ragionevolmente opporre la forza a chiunque attenti ingiustamente alla nostra vita, ai nostri beni o alla nostra libertà.

Non si può legittimamente rinunciare alla propria libertà L’uomo non saprebbe rinunciare interamente, assolutamente e senza riser-

va alla sua libertà; poiché sarebbe manifestamente mettersi nella necessità di fare male, se colui al quale ci si è sottomessi su questo piano lo comandasse.

Dobbiamo trattarci come naturalmente uguali Siamo quindi obbligati a considerarci come naturalmente uguali, e a

trattarci come tali; sarebbe smentire la natura, il fatto di non riconoscere questo principio di equità come uno dei primi fondamenti della Società. Ben lungi dall’idea che il governo rovesci questo primo ordine (lo stato naturale di libertà e di uguaglianza) è piuttosto per dare a esso un nuovo grado di forza e di consistenza che è stato stabilito.

Jean-Jacques Burlamaqui, Principi del diritto naturale, 1747, Gine-vra. 293

Estensione della libertà È libero colui che ha la certezza di non essere punto ostacolato nell’e-

sercizio della sua proprietà personale e nell’uso della sua proprietà reale. Pertanto ogni cittadino ha il diritto di rimanere, di andarsene, di pensare, di parlare, di scrivere, di stampare, di pubblicare, di lavorare, di produrre,.di conservare, di trasportare, di scambiare e di consumare, ecc.

Suoi limiti I limiti della libertà individuale sono collocati solo al punto ove essa co-

mincerebbe a nuocere alla libertà altrui. Spetta alla legge di riconoscere questi limiti e di segnarli. Fuori della legge, tutto è libero per tutti: poiché l’unione sociale non ha per oggetto solo la libertà di uno o di più individui, ma la libertà di tutti. Una società nella quale un uomo fosse più o meno libero di un altro, sarebbe, a colpo sicuro, molto male ordinata: bisognerebbe ricostituirla.

Abbé Sieyès, Preliminare della Costituzione, 20 e 21 luglio 1789, Francia. 294

Minacce alla libertà Può la libertà essere concepita senza una perfetta armonia? Essa ha fatto

presto a trasformarsi in una schiavitù segreta. Io divento libero opprimendo

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qualcuno. Si può molto rapidamente imparare a evitare di essere schiaccia-ti, ma occorrono dei secoli di oppressione d’un noviziato quale non se ne sono ancora mai conosciuti per perdere la volontà di schiacciare gli altri [...]. La libertà non esiste e non è mai esistita [...]. Attualmente l’umanità si dirige non già verso il Paradiso, ma verso il più rude, il più nero, il più bru-ciante dei purgatori. Le tenebre assolute della libertà sono vicine. L’Assiria e l’Egitto saranno superati da una nuova inaudita schiavitù. Ma le galere non rappresentano che uno stadio preparatorio, un garante della libertà [...] della libertà scientemente creata, perfettamente equilibrata, dell’armonia suprema.

Il’ja Ehrenburg, Le avventure straordinarie di Julio Jurenito, 1921, Unione Sovietica. 295

Elogio del popolo

Ama ciò che il popolo ama e detesta ciò che egli detesta. Scuola confuciana (V sec. a.C.), Il grande studio, Cina. 296

Il popolo è quello che importa maggiormente, poi viene lo Stato;. l’Im-peratore è quello che importa meno.

Mencius (372-289 a.C.), Il grande studio, Cina. 297

Cerca il popolo e troverai la verità. Proverbio russo. 298

Ri uto di ogni prestigio Non desidero godere di alcun prestigio, qualunque esso sia. È questo un

attributo che si addice alle sorti regali. Io sono il servitore dei musulmani, dei cristiani, dei parsi e degli ebrei, altrettanto quanto degli indù. Ora un servitore ha bisogno di amore, non di prestigio. Questo amore mi è assicu-rato nché io rimango un servitore fedele.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 299

Contro il potere monarchico Discorso di un Persiano ammirato da un Greco Sono del parere che un solo uomo non abbia più su di noi autorità di mo-

narca, perché ciò non è né gradevole, né buono. Avete visto infatti a qual punto si è spinto l’insolente orgoglio di Cambise, e, dal canto vostro, avete anche provato quello del Mago. Come potrebbe la monarchia essere cosa

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ben ordinata, quando le è permesso, senza dover rendere conto ad alcuno, di fare ciò che vuole? Il miglior uomo del mondo, investito di quest’autori-tà sarebbe infatti messo da questa fuori dei suoi soliti pensieri. La prospe-rità di cui egli gode fa nascere in lui un’orgogliosa insolenza; e l’invidia è innata presso l’uomo di tutti i tempi. Avendo questi due vizi, il monarca ha in sé ogni cattiveria: l’orgoglio fa sì che, satollato, egli commette molti atti follemente criminali, l’invidia agisce analogamente. In verità, il tiran-no, meglio di altri, dovrebbe ignorare l’invidia, poiché egli possiede tutti i beni; ma invece il suo atteggiamento verso i cittadini esprime tutto il contrario: egli invidia i migliori nché vivono e sono di questo mondo; va d’accordo con la parte peggiore della popolazione; è pronto ad accogliere le calunnie. Nulla di più incoerente: se lo ammirate moderatamente, egli se la prende con voi perché non lo corteggiate abbastanza; se lo corteg-giate molto, si adirerà con voi come farebbe con un vile adulatore. E dirò quel che vi è di più grave: egli sconvolge le abitudini degli antenati, usa violenza alle donne, mette a morte senza un vero giudizio. Al contrario, il governo del popolo porta anzitutto il più bello di tutti i nomi: isonomia, uguaglianza della legge. Poi vi si fa nulla di ciò che fa il monarca: vi si ottengono le magistrature elette con la sorte; si rende conto dell’autorità che si esercita; tutte le deliberazioni sono sottomesse al pubblico. Propendo quindi verso l’idea che noi rinunziamo alla monarchia e che eleviamo il popolo al potere: poiché è nel numero che tutto risiede.

Erodoto (V sec. a.C.), Discorso d’Otane, Grecia. 300

Teseo parla:Per un popolo non vi è nulla di peggio di un tiranno. Sotto questo re-

gime, non esistono leggi che vadano bene per tutti: è un uomo solo che governa, e la legge consiste in quello che vuole lui. Quindi, non vi è più uguaglianza, mentre sotto il dominio delle leggi scritte, il povero e il ricco hanno i medesimi diritti. Il debole può rispondere all’insulto del forte, e il piccolo può, se ha ragione, vincere il grande. Quanto alla libertà, essa sta in queste parole: “Chi vuole, chi può dare un consiglio saggio alla sua patria?”. In questo caso, ognuno può, a suo piacimento, brillare o tacere. È possibile immaginare una uguaglianza più bella?

Inoltre, nei paesi in cui è il popolo che governa, questo si compiace nel vedere crescere un’ardente gioventù. Un tiranno odia questo: i cittadini migliori, quelli che egli ritiene pensino, li atterra, temendo sempre per il suo trono. Quanta forza può dunque restare alla patria, quando, come in un campo orito dalla primavera, si viene a tagliarvi la spiga del coraggio? Quale vantaggio nell’ammassare ricchezze per i nostri gli, se i nostri sfor-

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zi non fanno che arricchire il tiranno; a che pro allevare nei nostri focolari delle caste vergini, se questo vuol dire provvedere ai piaceri di un despota, se questo vuol dire preparare per noi delle lacrime? Che io muoia se devo vedere de orare in tal modo le mie glie!

Euripide (V sec. a.C.), Le Supplici. 301

Responsabilità reciproca Disposizioni legali prese da Solone di Atene in favore dei cittadini di

rango inferiore: Egli credette di dover ancora sostenere la debolezza del popolo, e diede

a tutti i cittadini il diritto di intentare un’azione giudiziaria in favore di coloro che erano stati maltrattati. Così, se un uomo era stato colpito, ferito o violentato, era permesso a chi lo poteva e lo voleva di denunciare e per-seguire il colpevole. Il legislatore aveva voluto, con ragione, abituare con questo i cittadini a sperimentare e condividere – come se fossero parti di un solo corpo – gli uni i mali degli altri. Si cita un suo motto in accordo con questa legge: pare che quando gli si domandava quale fosse la città meglio custodita (rispondesse): è quella in cui, senza essere danneggiato lui stesso, ognuno mette tanto zelo a perseguire e punire un’ingiustizia quanto fareb-bero coloro che ne sono vittime.

Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Solone. 302

Nobiltà e plebe Il signor d’Etanges ri uta Saint-Preux per genero Ho espresso il mio giudizio in seguito al discorso, che Edoardo aveva

osato proporre il tuo matrimonio col tuo amico, che egli chiamava spaval-damente il suo e al quale egli offriva di fare, in questa qualità, un accordo conveniente. Tuo padre aveva respinto con disprezzo questa proposta, e su tale punto le discussioni cominciavano a scaldarsi. Sappiate, gli diceva Mi-lord, che, nonostante i vostri pregiudizi, è tra tutti gli uomini il più degno di lei e forse il più adatto a renderla felice. Tutti i doni che non dipendono dagli uomini, egli li ha ricevuti dalla natura e vi ha aggiuntò tutti i talenti che hanno dipeso da lui. Egli è giovane, alto, ben fatto, robusto, abile; è educato, ha buon senso, sani costumi e coraggio; ha la mente colta, l’ani-ma sana, che cosa gli manca dunque per meritare il vostro consenso? La fortuna? L’avrà. Un terzo dei miei beni sono suf cienti per fare di lui il più ricco possidente del paese di Vaud, gliene darò, se occorrerà, no alla metà. La nobiltà? Vana prerogativa in un paese in cui essa nuoce più di quanto sia utile. Ma egli la possiede per di più, non dubitatene, se non è scritta a inchiostro in vecchie pergamene, è però incisa al fondo del suo cuore in

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caratteri indelebili. In una parola, se voi preferite la ragione al pregiudizio e se amate vostra glia più dei vostri titoli, la darete proprio a lui.

A questo punto tuo padre si irritò vivamente. Considerò la proposta as-surda e ridicola. “Cosa! Milord, – egli disse – un uomo d’onore come voi può anche solo pensare che l’ultimo rampollo di una famiglia illustre possa estinguere o degradare il suo nome in quello di un qualsiasi individuo, senza casa, e ridotto a vivere di elemosine!...”. “Fermatevi! – interruppe Edoardo. – Voi state parlando del mio amico, ebbene dovete sapere che io considero rivolti a me tutti gli oltraggi che gli vengono fatti in mia presenza e che gli insulti a un uomo d’onore sono ancora più gravi per colui che li pronuncia. Alcuni di questi sconosciuti sono più rispettabili di tutti gli Hobereaux d’Eu-ropa, e vi s do, a trovare qualche mezzo più onorevole di far fortuna che gli omaggi della stima e i doni dell’amicizia. Se il genero che vi propongo non conta, come voi, una lunga serie di antenati sempre incerti, egli costituirà il fondamento e l’onore della sua casa come il vostro primo antenato lo fu per la vostra. Vi sareste dunque ritenuto disonorato dall’alleanza del capo della vostra famiglia, e questo disprezzo non ricadrebbe forse su voi stesso? Quan-ti grandi nomi cadrebbero nell’oblio se si tenesse conto soltanto di quelli che hanno cominciato con un uomo stimabile? Giudichiamo il passato per mezzo del presente; su due o tre cittadini che si rendono illustri con mezzi onesti, mille bricconi nobilitano ogni giorno la loro famiglia; e che cosa dimostrerà questa nobiltà di cui i loro discendenti saranno tanto eri, se non i furti e l’in-famia del loro antenato? Lo confesso, si vedono molti disonesti tra i plebei; ma si può sempre scommettere venti a uno che un gentiluomo discende da un ladro. Lasciamo, se volete, da parte l’origine e valutiamo il merito e i servizi. Voi avete combattuto sotto un principe straniero, suo padre ha combattuto gratuitamente per la patria. Se voi avete servito bene siete stato ben pagato, e, per qualche onori cenza che abbiate acquistato in guerra, cento plebei ne hanno acquistato ancor più di voi.

“Di che cosa si onora quindi, – continuò Milord Edoardo – questa no-biltà di cui siete tanto ero? Che cosa conta essa per la gloria della patria o la fortuna del genere umano? Nemica mortale delle leggi e della libertà, che cosa ha essa mai prodotto, nella maggior parte dei paesi ove brilla, se non la forza della tirannia e l’oppressione dei popoli? Osereste voi, in una repubblica, onorarvi di uno Stato distruttore delle virtù e dell’umani-tà? di uno Stato in cui ci si vanta della schiavitù e si arrossisce di essere uomo?” [...].

“Se conosceste la nobiltà dell’Inghilterra sapreste che è la più illustre, la meglio istruita, la più saggia, la più valorosa d’Europa: con questo non ho bisogno di cercare se è la più antica; perché quando si parla di ciò che essa

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è, non si tratta di ciò che essa fu. Noi non siamo affatto, è vero, gli schiavi del principe, ma i suoi amici, e neppure i tiranni del popolo, ma i suoi capi. Garanti della libertà, sostegno della patria e appoggio del trono, noi costi-tuiamo un invincibile equilibrio tra il popolo e il Re. Il nostro primo dovere è verso la nazione; il secondo verso colui che la governa; non consultiamo la sua volontà, ma il suo diritto. Ministri supremi delle leggi alla camera dei Pari, talvolta per no legislatori, noi rendiamo ugualmente giustizia al popolo e al Re, e non tolleriamo affatto che qualcuno dica: “Dio e la mia spada”, ma soltanto: “Dio e il mio diritto”“.

Jean-Jacques Rousseau, La nuova Eloisa, 1761. 303

Lagnanza contro la disuguaglianza Un plebeo che voglia legarsi in amicizia con un nobile non può mai stare

con lui su di un piede di uguaglianza. Proverbio del Vietnam. 304

A proposito del popolino Sai che cosa è il popolino per gli Stati di una nazione? Esso è ciò che

il mare è per le sponde. Perché come ogni acqua trae la sua origine dal mare, se ne nutre e nisce per ritornarvi, ugualmente ogni nobile lignaggio è uscito dalla condizione contadina, vien mantenuto da coloro che in essa si trovano e presto o tardi nisce per annullarsi. Vedi dunque la perfezio-ne ammirevole delle cose di questo mondo, che vogliono che la persona comune sia successivamente madre, nutrice e cimitero di ogni fortuna e dignità.

György Bessenyei, 1804, Ungheria. 305

Libertà civile, repubblica e democrazia

DELLA LIBERTÀ DEL CITTADINO

La libertà loso ca consiste nell’esercizio della propria volontà, o al-meno (se bisogna parlare in tutti i sistemi) nell’opinione in cui ci si trova a esercitare la propria volontà. La Libertà politica consiste nella sicurezza, o almeno nell’opinione che ognuno ha della propria sicurezza.

Questa sicurezza non è mai tanto attaccata come nelle accuse pubbliche e private. Dalla bontà delle leggi criminali dipende quindi principalmente la libertà del cittadino.

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SI VUOLE CHE LA LIBERTÀ SIA FAVORITA DALLA NATURA DELLE PENE E DALLA LORO PROPORZIONE

La libertà trionfa quando le leggi criminali derivano ogni condanna dalla natura particolare del delitto. Tutto ciò che è arbitrario cessa; la pena non deriva affatto dal capriccio del legislatore, ma dalla natura della cosa; e non è l’uomo che fa violenza all’uomo [...].

Nelle cose che turbano la tranquillità o la sicurezza dello Stato, le azioni nascoste appartengono alla giustizia umana. Ma in quelle che feriscono la divinità, là dove non vi è affatto azione pubblica, non vi è materia di de-litto: tutto si svolge tra l’uomo e Dio, che conosce la misura e il momento delle sue vendette. Se il magistrato, confondendo le cose, ricerca anche il sacrilegio nascosto, egli conduce un’inchiesta su di un genere di azione in cui essa non è affatto necessaria; distrugge la libertà dei cittadini, armando contro di loro lo zelo delle coscienze timide e quello delle coscienze co-raggiose.

Bisogna farsi un’idea chiara di che cosa è l’indipendenza e che cosa è la libertà. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono; e se un cittadino potesse fare ciò che esse proibiscono, non avrebbe più libertà, perché anche gli altri avrebbero questo potere.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 306

Alla ricerca di una forma di associazione Trovare una associazione che difenda e protegga con tutte le sue forze

comuni la persona e i beni di ogni associato, e con la quale ognuno, unen-dosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e rimanga altrettanto libero come prima: questo il problema fondamentale di cui il contratto so-ciale dà la soluzione.

Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762. 307

Diritto di proprietà Poiché il diritto di proprietà non è che una convenzione e una istituzione

umana, ogni uomo può, secondo il suo gradimento, disporre di ciò che pos-siede: ma non avviene la stessa cosa per i doni essenziali della natura, quali la vita e la libertà, di cui è permesso a ciascuno di godere e di cui è per lo meno dubbioso che si abbia il diritto di spogliarsi; togliendosi l’una si degrada il proprio essere, togliendosi l’altra lo si annienta nel suo essere; e, siccome nessun bene temporale può risarcire dell’una e dell’altra, sarebbe offendere al tempo stesso la natura e la ragione il rinunciarvi, per qualunque prezzo.

Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della di-suguaglianza fra gli uomini, 1755. 308

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Giudizio riguardante la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del citta-dino del 1789.

Un simile fenomeno nella storia degli uomini non sarà mai più dimenti-cato, poiché esso ha messo in evidenza nella natura umana una disposizio-ne al progresso e una capacità di realizzarlo tale che nessun uomo politico, considerando il corso anteriore delle cose, avrebbe potuto concepirlo.

Immanuel Kant, Sämtliche kleine Schriften, 1790. 309

LA FESTA DELLA LIBERTÀ Un tedesco racconta come il popolo francese, il suo re, la sua regina, il

clero giurarono obbedienza alla Costituzione (1790) Sotto una pioggia scrosciante ci si diresse verso l’altare della Patria.

un arco di trionfo s’innalzava all’ingresso del Campo di Marte. Una mol-titudine di gente, venuta senza carrozze né cavalli, senza una canna né una spada, si accalcava nei dintorni. L’altare della Patria s’innalzava al centro del Campo di Marte come un poggio sacro. Il trono del Re era stato collocato su di una tribuna coperta; dietro, stava la Regina con il Del no; a destra era seduto il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Di-nanzi a lui, a destra e a sinistra, su una tribuna scoperta, si trovavano tutti gli onorevoli rappresentanti del popolo, custodi della santa libertà. La più in ammata delle immaginazioni non potrebbe concepire scena più nobile e più commovente. L’altare della Patria si innalzava di fronte al Re e la Guardia Nazionale di Parigi formava una siepe ai due lati del viale che vi adduceva. Seduti su dei sedili preparati per loro, innumerevoli gruppi di musicisti suonavano arie militari o della musica dolce e contribuiva-no così a stabilire un’euforia generale. Migliaia di bandierine portava-no delle iscrizioni e dei simboli che esprimevano l’ironia, lo spirito e il patriottismo ardente di questi discendenti dei Franchi. Presso l’altare erano raggruppati i deputati delle Guardie Nazionali e i diversi corpi di volontari e i soldati i cui capelli si erano incanutiti al servizio della Pa-tria. In secondo piano sorgevano i gradini ove avevano preso posto più di 600.000 spettatori. Il vescovo di Autun ha celebrato la Messa. Sotto un cielo coperto di pesanti nubi, la pioggia batteva continuamente. Ma i cannoni si misero a tuonare e al di sopra di questa scena maestosa il cielo ridiventò sereno. Dei sacerdoti, vestiti di bianco e cinti con una sciarpa dai colori nazionali, stavano sui gradini dell’altare. Venne data lettura del giuramento e “quali organi scatenati che accompagnano il frangersi delle onde”, rimbombò il grido della moltitudine: “Lo giuro! lo giuro!”. Poi il silenzio, tutti gli sguardi sono ssati su di un unico punto: silenzio sulla terra, silenzio nell’aria, ove gli spiriti sono certo attenti. Ma il rumore

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ritorna presto, la musica esplode, i cannoni tuonano, migliaia di perso-ne restano silenziose, centinaia di migliaia piangono. Allora La Fayette, salito su di un cavallo bianco, si avanzò quale messaggero di Dio, verso l’altare. Messo il piede a terra, salì i gradini, seguito da due compagni d’armi, tese solennemente la mano destra verso il cielo e pronunciò il giuramento di fedeltà, di fraternità e di rispetto della Costituzione! Poi scese dall’altare, saltò sul cavallo, e, brandendo il suo cappello sulla pun-ta della spada, gridò: “Viva la Nazione!”. come un rombo di tuono che scuota le montagne, il grido si ripercosse tra la folla: “Viva la Nazione! Viva La Fayette!”. Nessuno, in quell’istante, era più felice di La Fayette. Poi giurarono fedeltà gli arconti e in ne il Re e la Regina. Milioni di sguardi illuminati si concentrarono allora su di lui e, quale un clamore che salutava la creazione del mondo, migliaia di voci s’innalzarono dal Campo di Marte: “Viva il Re! Viva il nostro buon Re! Viva l’Assemblea Nazionale! Viva la libertà!”. Con queste parole, il genio dei Franchi rom-peva le catene, rovinava l’aristocrazia e le indirizzava questa profezia: “Su di voi peserà d’ora innanzi una condanna a morte cui non potrete sfuggire!”. La Regina sollevò allora il Del no e lo mostrò al popolo. Il piccolo principe agitandosi ebbe come un gesto di slancio verso l’altare e le acclamazioni del popolo risuonarono: “Viva la Regina! Viva il Del -no!”. Quella notte tutta Parigi fu illuminata. Nell’atmosfera di festa e di gioia generale, si udivano delle preghiere e delle lodi rivolte a Dio, che, in questo mondo che invecchia, aveva liberato dalle sue catene un grande popolo e l’aveva innalzato su una cima raggiante. Con quest’esempio esso mostrava a tutti i popoli della terra che l’umanità non può ritrovare la sua grandezza primitiva se non nella libertà.

Christian Schubart (1739-1791), Germania. 310

RIFLESSIONI SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE (1790) Non sorprende, dopo questo, che con tali idee – quando ogni cosa

nella loro propria costituzione o nel loro governo, sia nella Chiesa che nello Stato, pare loro illegittima e usurpata e ben più una vana presa in giro – essi (gli ammiratori ed emuli inglesi della Rivoluzione francese al suo inizio) ssino su di voi i loro sguardi con tutto l’entusiasmo e tutto l’amore della passione. Mentre i loro spiriti sono preoccupati di ciò, inva-no si parla loro di quello che è stato praticato dai loro antenati, delle leggi fondamentali del loro paese, delle forze stabilite dalla Costituzione, i cui vantaggi sono confermati dalla testimonianza irrevocabile di una lunga esperienza, dal progresso della fortuna pubblica, e da quello della pro-sperità nazionale. Essi disprezzano l’esperienza, perché, secondo loro,

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questa è saggezza solo per gli ignoranti. Ma per terminare, essi hanno preparato sotto terra una mina la cui esplosione farà saltare tutti in una volta gli esempi dell’antichità, le usanze, le carte, gli atti del Parlamento, tutto: questa mina è i diritti dell’uomo. Contro tali diritti non vi è prescri-zione, le adesioni non sono degli impegni, non vi è né temperamento, né modi ca. Tutto ciò che è contrario a quanto essi racchiudono, non è che frode e ingiustizia. Nessun governo consideri come punto di sicurezza pubblica la lunghezza della sua durata, né la dolcezza e la giustizia della sua amministrazione: ciò è contrario ai diritti dell’uomo. Se le forme non quadrano con la loro teoria, le obbiezioni che fanno questi speculatori contro un governo antico e che ha agito bene acquistano subito tutta la validità di quelle che si farebbe contro la tirannia più violenta e contro l’usurpazione più aspra. Essi sono sempre in contestazione, con i gover-ni, non già a causa degli abusi che rimproverano loro, ma perché mettono sempre in questione la loro competenza e il loro titolo. Non ho risposto nulla alle numerose sottigliezze della loro meta sica politica; esse sono buone come passatempi dei loro scolari: “Illa se jactet in aula Aeolus, et clauso ventorum carcere regnet”. Noi tuttavia non tolleriamo che essi sfascino la loro prigione, che sof no con una collera eolica, e che i loro uragani vengano a spazzare in terra, e che facciano uscire dal suo seno dei utti che ci inondino.

Si tratta forse dei veri diritti dell’uomo? Oh, allora io sono così lungi dal negarne la teoria che il mio cuore è colmo di desiderio di conservarne nella pratica tutti i vantaggi. Negando le false pretese dei diritti dell’uo-mo, non ho affatto l’intenzione di fare torto a quelle che sono reali, e che sono tali al punto che i loro pretesi diritti sono a esse assolutamente con-trari. Se la società civile è fatta per il vantaggio dell’uomo, ogni uomo ha diritto a tutti i vantaggi per i quali essa è fatta. Si tratta di una istituzione di bene cenza, e la legge stessa non è che la bene cenza, diretta da una determinata regola. Tutti gli uomini hanno il diritto di vivere seguendo questa regola. Essi hanno diritto alla giustizia e questo diritto appartiene loro sia contro i più forti che contro i più deboli. Essi hanno diritto a tutti i prodotti della loro industria e a tutti i mezzi di farla frutti care. Hanno diritto di appartenere al loro padre e alla loro madre. Hanno diritto di allevare e di perfezionare i loro gli. Hanno diritto all’istruzione durante la vita e alle consolazioni al momento della loro morte. Qualunque cosa un uomo possa intraprendere separatamente per il proprio bene, senza ostacolare il bene di un altro, egli ha il diritto di farlo; ha in comune con tutta la società un diritto incontestabile ad avere la propria parte in tutti i vantaggi che derivano all’industria e dalla forza che essa procura. Ma,

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Libertà civile 143

quanto al diritto di condividere il potere, l’autorità o la guida degli affari dello Stato, negherò sempre formalmente che questo faccia parte dei di-ritti diretti e primitivi dell’uomo che vive in una società civile; perché io mi occupo soltanto dell’uomo civile e sociale e non di altro; è una cosa sulla quale è necessario mettersi d’accordo.

Se la società civile è un risultato di convenzioni, queste devono essere le sue leggi; devono modi care e limitare ogni specie di costituzione che si fa in virtù di queste convenzioni; non esiste potere, né legislativo né giudizia-rio o esecutivo, che non derivi da essi; non possono infatti esistere in nes-sun altro stato di cose; e come potrebbe accadere che un uomo reclamasse, in nome della società civile, dei diritti che non presuppongono neppure la sua esistenza, dei diritti che gli ripugnano assolutamente? uno dei principa-li scopi della società civile e che diventa una delle sue regole fondamentali è che nessuno sia giudice nella propria causa. Con ciò soltanto ogni indi-viduo si è spogliato tutto d’un colpo del primo diritto fondamentale che appartiene all’uomo non legato da nessun contratto, quello di giudicare da sé e di sostenere il proprio diritto. Egli abdica al diritto di governarsi da sé; abbandona per no, per quanto è possibile, il diritto di provvedere alla propria difesa, questa prima legge della natura. Gli uomini non possono go-dere allo stesso tempo dei diritti di uno Stato civile e di uno Stato che non lo è. Essi abbandonano, al ne di ottenere giustizia, il diritto di decidere su ogni cosa ciò che loro importa maggiormente; e, allo scopo di conservare una certa libertà, essi l’af dano tutta intera a un comune deposito.

Il Governo non è fatto in virtù dei diritti naturali che possono esistere e che infatti esistono indipendentemente da esso. Questi sono molto più chia-ri e molto più perfetti nella loro astrazione; ma questa perfezione astratta è il loro difetto pratico. Avendo diritto a tutto, si manca di tutto. Il Governo è un’invenzione della saggezza umana, per provvedere alle necessità degli uomini. Gli uomini hanno diritto a che le loro necessità siano soddisfatte da questa saggezza. Tra tutte queste necessità, si conviene che, al di fuori della società civile, quella che si fa maggiormente sentire, è di limitare suf cientemente le passioni. La società non esige soltanto che le passioni degli individui vengano ridotte, ma per no che, collettivamente e in massa, e anche separatamente, le inclinazioni degli uomini siano spesso contrasta-te, la loro volontà controllata e le loro passioni soggette a un freno. Questo non può certamente essere compiuto se non da un potere che sia al di fuori di loro e che non sia, nell’esercizio delle sue funzioni, soggetto a quella medesima volontà e a quelle stesse passioni che è suo dovere domare e sottomettere. In questo senso, la limitazione è, come la libertà, nel numero dei diritti degli uomini. Ma siccome la libertà e le sue restrizioni variano

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144 Il diritto di essere un uomo

coi tempi e le circostanze, siccome ammettono, l’una e le altre, delle mo-di che, no all’in nito, non si può assoggettarle ad alcuna regola ssa, e nulla è più insensato quanto il discuterla come se ciò potesse essere fatto.

Dal momento in cui voi alterate qualcosa in questi diritti fondamentali dell’uomo, in quello di governarsi da sé, e ammettete che vi si stabiliscano alcuni limiti positivi e arti ciali, subito tutta l’organizzazione del Governo diviene materia di convenzioni. Questo è ciò che rende la costituzione di uno Stato, e la distribuzione equa dei suoi poteri, l’oggetto della scienza più delicata e più complicata. Questo è ciò che esige una conoscenza tan-to profonda della natura umana e delle sue necessità, di tutte le cose che possono facilitare o impedire i diversi ni che ci si propone col meccani-smo delle istituzioni civili. Lo Stato ha bisogno di reclute per le sue forze armate e di rimedi per i suoi mali. A che servirebbe, per alimentare o per guarire, una discussione astratta sui diritti dell’uomo? Tutto consiste nel saper procurare e amministrare l’uno o l’altro; in simili circostanze con-siglierei sempre di ricorrere piuttosto al contadino e al medico anziché al professore di meta sica.

Edmund Burke (1729-1797), Gran Bretagna. 311

LE VIRTÙ SOCIALI DELLA GIUSTIZIA D. Che cosa è la società? R. Ogni raggruppamento di uomini che vivono insieme sotto le clausole

di un contratto espresso o lecito, che ha per ne la loro comune conserva-zione.

D. Le virtù sociali sono numerose? R. Sì: se ne possono contare tante quante sono le specie di azioni utili

alla società; ma tutte si riducono a un solo principio.D. Che cos’è questo principio fondamentale? R. È la giustizia che da sola comprende tutte le virtù della società.D. Perché dici che la giustizia è la virtù fondamentale e quasi unica della

società? R. Perché essa sola abbraccia la pratica di tutte le azioni che le sono utili,

e tutte le altre virtù, sotto i nomi di carità e di umanità, di probità, d’amor di patria, sincerità, generosità, semplicità di costumi e modestia, non sono altro che forme variate di applicazioni diverse di quest’assioma: Non fare a un altro quel che non vorresti egli facesse a te, che è la de nizione della giustizia.

D. Come prescrive la giustizia la legge naturale?R. Attraverso tre attributi sici, inerenti all’organizzazione dell’uomo. D. Quali sono questi attributi?

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R. Sono l’uguaglianza, la libertà e la proprietà. D. In che modo l’uguaglianza è un attributo sico dell’uomo? R. Perché avendo tutti gli uomini ugualmente degli occhi, delle mani,

una bocca, delle orecchie e il bisogno di servirsene per vivere, essi hanno con ciò un uguale diritto alla vita, all’uso degli elementi che la mantengo-no; sono tutti uguali dinanzi a Dio.

D. Pretendi che tutti gli uomini intendano ugualmente, vedano ugual-mente, sentano ugualmente, abbiano uguali bisogni e uguali passioni?

R. No; è evidente infatti e si tratta di cose che possono constatarsi ogni giorno, che l’uno ha la vita corta e l’altro l’ha lunga; che l’uno mangia molto e l’altro poco; che l’uno ha delle passioni dolci e l’altro violente; in una parola, che l’uno è debole di corpo e di spirito, mentre l’altro è forte.

D. Sono quindi realmente disuguali? S. Sì, negli sviluppi dei loro mezzi, ma non nella natura e nell’essenza di

questi mezzi; è una medesima stoffa, ma le dimensioni non sono uguali; il peso e il valore non sono gli stessi. La nostra lingua non ha la parola adatta per designare al tempo stesso l’identità della natura e la diversità della forma e dell’impiego. Si tratta di una uguaglianza proporzionale; ed ecco perché ho detto, uguali davanti a Dio, e nell’ordine della natura.

D. In che modo la libertà è un attributo sico dell’uomo? R. Perché tutti gli uomini, avendo dei sensi suf cienti per la loro conserva-

zione, non avendo nessun bisogno dell’occhio di un altro per vedere, del suo orecchio per sentire, della sua bocca per mangiare, del suo piede per cammina-re, sono tutti per ciò stesso costituiti naturalmente indipendenti, liberi; nessuno è necessariamente sottomesso a un altro, né ha il diritto di dominarlo.

D. Ma se un uomo è nato forte, non ha egli il diritto naturale di dominare l’uomo nato debole?

R. No, perché non è né una necessità per lui, né una convenzione tra loro; è una estensione abusiva della sua forza; e si abusa qui della parola diritto, che, nel suo vero signi cato non può indicare che giustizia oppure facoltà reciproca.

D. In che modo la proprietà è un attributo sico dell’uomo? R. Per il fatto che gli uomini sono uguali, liberi e non si devono nulla,

essi non hanno il diritto di chiedersi alcunché gli uni agli altri, se non per restituirsi valori uguali; se non quando la bilancia del dare e avere è in equi-librio; ed è questa uguaglianza, quest’equilibrio che si chiama giustizia, equità; cioè uguaglianza e giustizia sono una stessa parola, sono la stessa legge naturale, di cui le virtù sociali non sono che delle applicazioni e dei derivati.

Volney, La legge naturale, Francia, 1793. 312

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146 Il diritto di essere un uomo

LA COSTITUZIONE CIVILE PERFETTA II problema più importante che si pone alla specie umana e che la na-

tura obbliga l’uomo a risolvere è di creare una società civile che applichi il diritto in modo universale. Poiché solo nel seno della società, più pre-cisamente di una società che, pur offrendo il massimo di libertà, ciò che implica un antagonismo generale tra i suoi membri, avrà determinati – con la massima precisione e garanzia – i limiti di questa libertà, af nché essa sia compatibile con quella degli altri, poiché solo in una società di questo genere la natura potrà realizzare all’interno dell’umanità la sua intenzione suprema, che è lo sviluppo di tutte le sue capacità: la natura vuole anche che l’umanità realizzi da sé questo disegno, come tutti quelli che s’iscri-vono nel suo destino. Quindi il compito supremo imposto dalla natura alla specie umana sarà d’instaurare una società in cui la libertà sottomessa a leggi esterne, sarà legata il più possibile a una forza irresistibile, cioè una costituzione civile perfettamente equa; poiché la natura non saprebbe re-alizzare gli altri progetti che essa nutre nei riguardi della nostra specie se non dopo aver risolto e realizzato questo compito. E il pericolo che costrin-ge l’essere umano, così innamorato in genere di una libertà senza freni, a sottomettersi a questa costrizione, e questo pericolo è il più grande: quello che gli uomini s’impongono, gli uni agli altri, perché, a causa delle loro tendenze, essi non saprebbero vivere a lungo, anco a anco, in una libertà anarchica. Ora, nel cerchio costituito da una tale associazione civile, queste stesse tendenze avranno un eccellente effetto. Così, in una foresta, gli albe-ri, disputandosi l’aria e il sole, si obbligano ad andarli a cercare al di sopra di se stessi, quindi, crescono belli e diritti, mentre quelli che, discosti dagli altri, lasciano crescere i loro rami a capriccio, in completa libertà, crescono gracili, storti e curvi. Tutta la civiltà e tutta l’arte, ornamento dell’umanità, come anche il più bell’ordine sociale, sono frutti dell’insociabilità che essa stessa si sforza di disciplinarsi e di svilupparsi così completamente, con questo arti zio che s’impone, i germi della natura.

Immanuel Kant, Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerli-cher Absicht (Proposta per una storia generale in una visione mondiale), 1784. 313

I PRINCIPI DELLA CONDIZIONE CIVILE

Pertanto la condizione civile, considerata semplicemente come condi-zione giuridica, è fondata a priori sui seguenti principi:

1. La libertà di ogni membro della società, come uomo; 2. L’uguaglianza di costui con ogni altro, come soggetto; 3. L’indipendenza di ogni membro di una comunità, come cittadino.

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Libertà civile 147

Questi principi appartengono meno alle leggi date dallo Stato già isti-tuito, che non alle leggi secondo le quali solo l’istituzione di uno Stato è possibile, conformemente ai puri principi nazionali del diritto umano gene-ralmente esterno. Pertanto:

1. La libertà in quanto uomo; io ne esprimo il principio per la costitu-zione di una comunità con questa formula: nessuno può costringermi a essere felice in un certo modo (quello con cui egli concepisce il benessere degli altri uomini), ma è pur permesso a ognuno di cercare la felicità nel modo che pare a lui essere quello buono, purché non nuoccia alla libertà che può coesistere con la libertà di ognuno, secondo una legge universale possibile (in altre parole, al diritto altrui). Un governo che fosse fondato sul principio della benevolenza verso il popolo, quale quello di un padre verso i suoi gli, cioè un governo paternalistico (imperium paternale), in cui per conseguenza i sudditi, quali gli minori incapaci di decidere circa ciò che è per loro veramente utile e nocivo, sono obbligati a comportarsi in modo so-lamente passivo, per aspettare unicamente dal giudizio del capo dello Stato il modo con cui devono essere felici, e unicamente dalla sua bontà che egli ugualmente lo voglia, – un tale governo, dico – è il più grande dispotismo che si possa concepire (costituzione che sopprime ogni libertà dei sudditi che, da quel momento, non possiedono alcun diritto). Non è un governo paterno (väterlich), ma un governo patriottico (vaterländisch) – imperium non paternale, sed patrioticum – che è l’unico concepibile per degli uomini capaci di diritti e che, al tempo stesso, risponde alla benevolenza del so-vrano. Infatti il modo di pensare (Denkungsart) è patriottico quando ogni individuo nello Stato (senza escluderne il capo) considera il corpo comune come il seno materno, oppure ancora il paese come il suolo paterno da cui è uscito e dove è nato egli stesso, e che deve anche lasciare come pegno prezioso al solo ne di preservarne i diritti a mezzo delle leggi della volon-tà comune, senza ritenersi autorizzato a disporne secondo il suo capriccio incontrollato. Questo diritto della libertà gli spetta in compartecipazione quale membro del corpo comune in quanto uomo, cioè in quanto essere che, in modo generale, è capace di diritti.

2. L’uguaglianza in quanto suddito, la si può formulare così: ogni mem-bro del corpo comune possiede un diritto di costrizione su ogni altro, a eccezione del solo capo dello Stato (perché egli non è membro di que-sto corpo, ma ne è il suo creatore, oppure il suo conservatore) che, solo, ha il potere di costringere, senza esser lui stesso sottomesso a una legge di costrizione. Chiunque in uno Stato si trovi sotto alle leggi è suddito, quindi sottomesso al diritto di costringere come gli altri membri del corpo comune; ne è esente soltanto (nella sua persona sica e morale) il capo

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148 Il diritto di essere un uomo

dello Stato, che, solo, può esercitare ogni costrizione di diritto. Poiché se anch’egli potesse essere costretto, non sarebbe il capo dello Stato, e la serie ascendente di subordinazione andrebbe all’in nito. D’altra parte se essi fossero due (persone affrancate da costrizione), né l’una né l’altra sarebbe sottomessa a delle leggi di costrizione e l’una non potrebbe trattare l’altra in modo contrario al diritto, ciò che è impossibile.

Questa uguaglianza universale degli uomini in uno Stato, come suoi sudditi, è tuttavia perfettamente compatibile con la più grande ineguaglian-za, in quantità o in gradi, della loro proprietà, sia che si tratti di superiorità sica o intellettuale sugli altri, che di beni di fortuna che sono esterni a

essi, e di diritto in generale (possono esservene molti) nei loro rapporti con gli altri, per modo che il benessere dell’uno dipende molto dalla volontà dell’altro (quello del povero dipende da quello del ricco): che l’uno deve mostrarsi obbediente (i gli ai genitori, la moglie al marito), mentre l’altro retribuisce, ecc. Ma secondo il diritto (che, in quanto espressione della vo-lontà generale può essere solamente unico, e che concerne la forma del di-ritto, non il modo o l’oggetto sul quale io ho un diritto) essi sono tuttavia, in quanto sudditi, tutti uguali, poiché nessuno può costringere un altro se non in virtù della legge pubblica (e attraverso il suo organo il capo dello Stato), mentre in virtù della legge, ogni altro gli resiste nella stessa misura, poiché nessuno può perdere questa facoltà di costrizione e perciò il suo diritto di ricorso contro altri, se non per causa di un proprio crimine e neppure rinun-ciarvi da sé, cioè con un contratto: di conseguenza nessuno può con un atto giuridico fare in modo da non avere dei diritti, ma unicamente dei doveri, poiché egli priverebbe così anche se stesso del diritto di contrattare, e in seguito il contratto si sopprimerebbe da sé.

Ora, da questa idea dell’uguaglianza degli uomini nel corpo comune come sudditi deriva anche la formula seguente: Bisogna che ogni membro di questo corpo possa in esso pervenire a ogni grado di condizione (adatto a un suddito) a cui lo può portare il suo talento, la sua attività e le sue pro-babilità; e non bisogna che questi co-sudditi (Mitunterthanen) gli sbarrino la strada in virtù di una prerogativa ereditaria (che gode del privilegio di una certa determinata condizione) che permetta loro di mantenerlo eterna-mente, lui e i suoi discendenti, in un rango inferiore al loro.

Immanuel Kant, Sull’espressione corrente: può darsi che sia giusto in teoria, ma non val niente nella pratica, 1793. 314

Dei cittadini per la libertà La libertà politica e civica resta e sarà sempre il più sacro di tutti i beni, il

ne più degno di tutti gli sforzi e il centro di ogni cultura: ma questo splen-

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Libertà civile 149

dido edi cio non potrà mai essere innalzato se non su solide fondamenta d’un carattere nobilitato. Bisogna quindi cominciare col creare dei cittadini per una costituzione, prima di poter dare una costituzione ai cittadini.

Friedrich Schiller, Guerra dei trent’anni, 1790. 315

Vogliamo essere un sol popol di fratelliChe, né periglio né miseria scinde;Vogliam la libertà dei nostri padri,Meglio morir che vivere da schiavi!Vogliamo porre in Dio nostra duciaE non temere le potenze umane.

Friedrich Schiller, Guglielmo Tell, 1804 316

Democrazia e libertà Nulla è tanto pericoloso quanto il lasciare a lungo il potere nelle mani

di uno stesso cittadino. Il popolo si abitua a obbedirgli ed egli si abitua a comandare al popolo: è una specie di usurpazione e di tirannia [...]. I buoni costumi sono i pilastri delle leggi, non la forza; l’esercizio della giustizia è l’esercizio della libertà.

... Numerosi stati antichi e moderni hanno scrollato l’oppressione; ma sono molto rari quelli che hanno saputo godere di qualche prezioso mo-mento di libertà; molto presto sono ricaduti nelle loro cattive abitudini; perché sono i popoli, più che i governi, a trascinare con sé la tirannia [...]. Soltanto la democrazia, a mio avviso, è compatibile con una libertà as-soluta; ma quale governo democratico è riuscito a riunire nel medesimo momento potere, prosperità e durata? [...]. I codici, i sistemi, le costituzio-ni, per quanto saggi possono essere, sono opere morte, che hanno scarsa in uenza sulle società; sono gli uomini virtuosi, i patrioti, e gli uomini illustri quelli che costituiscono le repubbliche! [...]. Io imploro la conferma della libertà assoluta per gli schiavi così come implorerei per la mia vita e per quella della Repubblica.

Simon Bolivar, Discorso al Congresso di Angostura, 14-15 febbraio 1819, Venezuela. 317

PROGRAMMA DELLA LEGIONE POLACCA (1848) 6. In Polonia, libertà per tutte le confessioni, libertà di ogni culto e di

ogni associazione religiosa.7. Libertà di parola, liberamente espressa, giudicata dalla legge secondo

i suoi frutti. 8. Ogni membro della nazione è cittadino; tutti i cittadini sono uguali

davanti alla legge e alle magistrature.

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150 Il diritto di essere un uomo

9. Tutte le cariche sono elettive, liberamente conferite, liberamente ac-cettate.

10 A Israele, fratello maggiore, rispetto, fraternità e aiuto nella sua ricer-ca dei beni eterni e di quelli temporali. Diritti uguali in tutto.

11. Alla donna, nostra compagna, fraternità, cittadinanza, diritti uguali in tutto.

12. A ogni Slavo che abita in Polonia, fraternità, cittadinanza, diritti uguali in tutto.

13. A ogni famiglia – il suo pezzo di terra sotto la tutela della comunità. A ogni villaggio – una terra comune sotto la tutela della nazione.

14. Ogni proprietà rispettata e salvaguardata dalla legge nazionale. 15. Aiuto politico, fraterno, della Polonia al fratello ceco e ai popoli ce-

chi, al fratello russo e ai popoli russi. Aiuto cristiano a tutti i popoli, nostri vicini, nostro prossimo.

Adam Mickiewicz (1798-1855). 318

Vantaggi dei piccoli Stati per quanto riguarda la libertà dei cittadini Il piccolo Stato esiste perché vi sia nel mondo un angolo di terra in cui il

maggior numero di abitanti possa fruire della qualità di cittadino nel vero senso della parola... Il piccolo Stato non possiede altro che la vera e reale libertà, con la quale esso compensa pienamente – sul piano ideale – gli enormi vantaggi e per no la potenza degli Stati più grandi.

Jakob Burckhardt (1818-1807), Svizzera. 319

Lettera del 1° giugno 1949 La monarchia deve essere necessariamente basata su di un’autorità sa-

cra e inviolabile, autorità che scende verso il popolo, comunicando a ogni gradino della gerarchia sociale una parte del potere supremo. Vedo sulla fronte di ogni commissario di polizia la traccia dell’olio sacro di cui è unto il suo re. La solennità e lo splendore sono indispensabili alla monarchia; la maestosa presenza e la porpora sono necessarie al monarca come la casula al prete. Il potere monarchico deve farsi vedere dappertutto, essere eviden-te; deve ricordare costantemente che l’individuo non è nulla di fronte a lui, che è suddito e obbligato a sacri cargli la sua parte migliore e soprattutto a sottomettersi in tutto e dappertutto.

L’abolizione dell’autorità è l’inizio della Repubblica. Questa riconosce solo uomini liberi; l’autorità uccide la libertà dell’intelligenza.

La Repubblica non ha bisogno di nessun altro principio all’infuori di quello che è inerente a ogni tipo di vita sociale: condizione universale e senza la quale ogni società diventa impossibile. Vi sono cose obbligatorie,

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non perché gli uomini vivono sotto la Repubblica, ma perché vivono in-sieme.

La Repubblica che esiga qualcosa di più di queste condizioni indispen-sabili, cessa di essere Repubblica, oppure è ancora in formazione [...].

Il principio interiore della Repubblica è l’insieme armonioso e non il dualismo; essa non ha né abiti talari, né laici, né uomini piazzati in alto né piazzati in basso – non ha nulla al di sopra di se stessa – l’uomo è la sua religione, è il suo Dio; essa non ne ha altri. Per questo, presuppone l’uomo morale, cioè capace di socialità. L’uomo libero non riceve ordini da nessu-no, è indipendente, come ogni autocrate. L’assenza di un ordine supremo che pesa in virtù dell’autorità del forte è l’inizio della moralità dell’uomo, della responsabilità dei suoi atti.

Qui la moralità diventa una forma naturale della volontà dell’uomo, essa fonda i desideri dell’uomo con il mondo esteriore, la società. Essa non ha bisogno dell’insolente dito indicatore che insegna la strada, che minaccia e umilia. Sotto questo rapporto la Repubblica rassomiglia alla natura. Si cita spesso la sottomissione della natura alle sue leggi, dimenticando che, nella natura, la legge è insuperabile dai fatti e che essa stessa rappresenta una legge realizzata; la legge come astrazione non esiste che nello spirito umano.

... Nella natura, come nella Repubblica, il governo è nascosto, non lo si vede! Il governo è l’insieme, non esiste isolato, continuamente si agglome-ra e si disperde.

L’idea del governo separato dal popolo, che si tiene al di sopra di esso, avendo per vocazione il compito di guidarlo è l’idea dello spirito che orga-nizza la materia grossolana; è Jehovah, è il re, il simbolo della provvidenza sulla terra, è precisamente ciò che la Repubblica respinge.

... Noi temiamo la libertà, perché temiamo gli uomini: li prendiamo per molto più cattivi di quanto non sono; è la monarchia che ci ha abituati a considerare così le cose. Noi dormiamo tranquillamente pensando che esiste un governo forte, cioè un potere che, appoggiato sulle baionette, può gettarci in prigione, fucilarci, deportarci; il pensiero di questo potere avreb-be dovuto al contrario privarci di riposo e di sonno.

Aleksandr Herzen (1812-1870), Lettere dalla Francia e dall’Ita-lia. 320

Progetto di programma per il Partito social-democratico russo Il Partito social-democratico russo rivendica in primo luogo: 1. La convocazione del Zemski Sobor (Assemblea costituente) che sarà

composto da rappresentanti di tutti i cittadini, per la elaborazione di una Costituzione;

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2. Il suffragio universale e diretto per tutti i cittadini russi che hanno raggiunto i ventun anni, senza distinzione di religione e di nazionalità;

3. La libertà di riunione, di associazione e di sciopero; 4. La libertà di stampa; 5. La soppressione delle classi e l’uguaglianza assoluta di tutti davanti

alla legge;6. La libertà di culto e l’uguaglianza di tutte le nazionalità;7. Il diritto di ogni cittadino di denunciare qualsiasi funzionario dinanzi

ai tribunali, senza passare attraverso la gerarchia;8. La soppressione del passaporto, il diritto di circolare liberamente e di

cambiare domicilio; 9. Il diritto di fare del lavoro artigianale e di esercitare un mestiere; la

soppressione delle corporazioni. Lenin (in prigione), 1895 o 1896. 321

Programma minimo del Partito operaio social-democratico russo, adot-tato al 2° congresso del partito nel 1903

Il partito operaio social-democratico russo considera come suo compito più urgente l’abolizione del regime autocratico zarista e la sua sostituzione con una repubblica democratica la cui costituzione garantirebbe:

il potere assoluto del popolo, cioè la concentrazione del potere supremo tra le mani di un’Assemblea legislativa, composta di rappresentanti del popolo e che formano un’unica Camera;

il suffragio universale, uguale e diretto, per le elezioni all’Assemblea legislativa e per le elezioni alle amministrazioni autonome locali;

l’inviolabilità della persona e del domiciliola totale libertà di coscienza, di parola, di stampa, di riunione, di sciope-

ro e di associazione;il diritto di circolare liberamente e di esercitare un mestierela soppressione delle classi e l’uguaglianza assoluta di tutti i cittadini,

senza distinzione alcuna, specialmente di sesso, di religione, di razza e di nazionalità;

il diritto, di tutte le nazioni che fanno parte dello Stato di disporre di se stesse;

l’elezione dei giudici da parte del popolola separazione della Chiesa dallo Stato; la separazione della Scuola e

della Chiesa; l’insegnamento generale e professionale obbligatorio e gratuito, per tutti

i ragazzi dei due sessi, no all’età di dodici anni; vitto, vestiti e libri scola-stici saranno forniti ai poveri a spese dello Stato.

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... Il Partito operaio social-democratico russo è fermamente convinto che la realizzazione completa, continua e de nitiva delle riforme politiche e sociali menzionate or ora sarà possibile solo a condizione che sia abolito il regime autocratico e venga convocata un’Assemblea costituente, eletta liberamente da tutto il popolo. 322

Ragion d’essere dello Stato O lo Stato è fondato sulla personalità di ciascuno dei suoi gli, il lavo-

ro manuale, la ri essione personale, il perfezionamento di sé e il rispet-to dell’onore familiare e del perfezionamento degli altri, in ne l’amore appassionato per la dignità dell’uomo; oppure lo Stato non vale una sola lacrima versata da una sola delle nostre donne, né una sola goccia di sangue dei nostri eroi.

José Marti (1853-1895), Cuba. 323

Libertà politica e responsabilità La libertà politica incomincia quando, nella maggioranza del popolo,

l’individuo si sente responsabile della politica della collettività alla qua-le appartiene – quando egli non si accontenta di reclamare e protestare – quando chiede soprattutto di vedere da se stesso la realtà quale è. Egli non vuole agire ispirandosi, sul terreno politico ove essa non abbia nulla a che vedere, a una fede in un Paradiso terrestre, che solo la cattiva volontà e la stupidità degli altri impediscono di realizzare. Egli sa, al contrario, che la politica cerca nel mondo concreto il cammino che, in tale o tal altro mo-mento, è possibile seguire, ispirandosi all’ideale della condizione umana: la libertà.

Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania. 324

Alcuni diritti particolari

Del diritto di circolare liberamente Nessuna prigione mi ha accolto, fosse stato anche solo per passeggiarvi.

L’immaginazione me ne rende la vista spiacevole anche solo dall’esterno. Sono così nauseato dopo la libertà, che se qualcuno mi proibisce l’accesso a qualche angolo delle Indie, non vivrei per questo per nulla peggio a mio agio. E nché troverò terra o aria aperti altrove, non imputridirò in un luo-go ove io debba nascondermi. Mio Dio! come soffrirei male la condizione in cui io vedo tanta gente, inchiodata a un quartiere di questo regno, pri-vata dell’ingresso nelle principali città e nelle piazze e all’uso delle strade

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pubbliche, per aver discusso le nostre leggi! Se quelle che io servo mi mi-nacciassero solamente la punta del dito, andrei immediatamente a cercarne altre ovunque. Tutta la mia piccola prudenza, in queste guerre civili in cui ci agitiamo, è diretta a impedire che esse interrompano la mia libertà di movimento.

Michel de Montaigne, Saggi (1580-1588). 325

Libera circolazione dei commercianti presso gli Incas Topa Inga Yupanqui fece pubblicare in tutto il suo impero che chiunque

desiderava essere commerciante poteva andare liberamente in ogni luogo senza che nessuno potesse impedirglielo, sotto pena di gravi sanzioni, e ordinò venissero istituiti in ogni provincia ere e mercati.

Miguel Cabello Balboa (XVI sec.), Spagna. 326

Indiani chiusi (nelle riserve) La terra è madre di tutti e tutti dovrebbero avere su di essa uguali diritti.

Sarebbe come sperare che i umi potessero scorrere contro corrente il cre-dere che un uomo che è nato libero possa essere felice quando lo si rinchiu-de in un luogo e gli si toglie la libertà di andare dove vuole. Se si limita a un Indiano il soggiorno su di un piccolo territorio e lo si obbliga a rimanervi, egli non sarà felice e non potrà conoscere né sviluppo, né prosperità. Quan-do penso alle nostre condizioni di vita, mi sento il cuore pesante.

Giuseppe, capo indiano Naso Perforato (XIX sec.), America del Nord. 327

Diritto di scambio delle idee Bisogna essere in molti per potersi consultare. Proverbio akan, Ghana. 328

Inviolabilità del domicilio Oh voi che avete creduto, non entrate in una casa che non è la vostra senza

che vi siate accolti dai suoi abitanti, che allora saluterete: questo vi sarà rico-nosciuto, possiate ricordarvene. Se non vi trovate un’anima che vive, allora non entrate prima che ve lo si permetta; e se vi si dice: “Ritornate!”, ritor-natevi, questo vi sarà conteggiato, poiché Dio vede tutto quello che voi fate.

Corano, An-Nur, 27-28. 329

Contro le perquisizioni arbitrarie I difensori sostengono che, in virtù dei precedenti veri catisi, i rappre-

sentanti dell’ordine hanno il diritto di entrare di forza presso la gente, di

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sconquassare i loro uf ci, di impadronirsi delle loro carte, ecc., senza dover fare l’inventario degli oggetti presi in tal modo, e che un semplice ordine generico, che non porta alcun nome di delinquente, conferisca loro dei po-teri discrezionali per perquisire la casa di ogni persona sulla quale possono cadere i loro sospetti. Se veramente un segretario di Stato gode di tali poteri e può delegarli ai suoi subordinati, ogni abitante di questo regno rischia di doverne soffrire nella sua persona o nei suoi beni, e questo va totalmente contro la libertà del cittadino.

Affare Wilkes, giudizio, 1763, Inghilterra. 330

Diritto uguale di tutti alla giustizia Voi che credete, trovare la vostra forza nell’equità e testimoniate per

Dio anche quando ciò fosse contro voi stessi, contro vostro padre e vostra madre e contro coloro che vi sono più vicini.

Corano, An-Nissa’, 135. 331

Coloro che vi hanno preceduto sono periti perché essi lasciavano impu-nito il potente che commetteva un furto e punivano il debole che commet-teva un furto. Lo giuro in nome di Colui che tiene la mia anima nella sua mano: Se Fatima, la glia di Maometto, commettesse un furto, le taglierei la mano!

Hadith (Detti del Profeta). 332

Come potrebbe essere benedetta la nazione in cui contro il forte non vi fosse giustizia per il debole?

Hadith (Detti del Profeta). 333

Diritto d’asilo Si assicura che egli (l’Inca) desiderava agire bene e rinviava sempre ai

giudici gli affari di delitti, e si assicura che i delinquenti che entravano nel tempio di Corichancha erano liberi, e che accadeva lo stesso per coloro che si rifugiavano nel suo palazzo, salvo che per i ladri o gli adulteri; si afferma che questo Inca Yabarvacac, per non vedere punire i colpevoli, fece costru-ire le prigioni fuori della città.

Juan de Santa Cruz Pachacuti, Relación de antigüedades deste reyno del Perù, circa 1600. 334

Salvezza garantita a coloro che fuggono Se qualche nuovo arrivato, che non appartiene ai nostri uomini si è rifu-

giato nella nostra città, e vi ha preso dimora per un anno e un giorno senza

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156 Il diritto di essere un uomo

essere reclamato, se si è presentato al suo arrivo agli uf ci amministrativi della città oppure direttamente a noi, e ha aiutato nei lavori di pubblica utilità, noi cittadini lo considereremo d’ora innanzi come concittadino ed egli godrà della nostra garanzia nel bisogno. Se non ha punto aiutato, non lo si consi-dererà concittadino e nessuna garanzia gli sarà accordata; non sopporteremo tuttavia, per l’onore della città, che entro le sue stesse mura gli sia recato in-sulto; se però verrà preso o ucciso fuori della città, noi non lo vendicheremo.

Carta di Neuchâtel (Svizzera) data ai cittadini della città nel 1214. 335

Quando la Costituzione di uno Stato offre agli stranieri un asilo inviola-bile, esso non accorda un favore e non compie un atto deliberato della sua volontà. Esso riconosce un diritto che appartiene a tutti gli uomini, in tutti i paesi, e la cui violazione sarebbe uno di quei numerosi atti di barbarie che hanno disonorato la storia umana.

Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888), Argentina. 336

Lo straniero La madre e il glio mangiano pesce, e danno a quest’imbecille d’Imono

dei legumi acidi; cercano di farmi così soffrire di emorroidi; dopo mi cure-ranno forse con dei bagni?

La liberalità tra parenti non si estende agli estranei, che ricevono solo il vitto di cattiva qualità. Credono essi forse che io accetterei per diventare ammalato? Pensano che io ignori che non saranno loro a curarmi durante la malattia?

Uno straniero (un visitatore) è considerato come della cenere.Non rimane che un certo tempo e poi scompare spesso per davvero. Di conseguenza se egli è importuno o provoca dispiacere, sopportalo per

un po’, non durerà molto; inoltre non bisogna dimenticare che, lasciandoti, egli racconterà come è stato ricevuto, ti farà una buona rinomanza, o, al contrario, andrà in giro a dire che tu sei cattivo.

La sete di un bambino è come la fame di uno straniero.Lo straniero ha fame, ma non osa chiedere del cibo, come il bambino

non sa chiedere nulla.Non si deve aspettare che lo straniero chieda da mangiare, bisogna of-

frirgliene. Proverbi mongo, Congo. 337

Esilio Chi è allevato da sua madreVive sulla sua terra e nella sua casa.

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Io, solo, povero esiliatoNon ho né casa né terra.

Poesia popolare quechua, Perù. 338

Il forestiero che soggiorna con voi sarà per voi come un cittadino: lo amerai come te stesso, poiché voi foste forestieri nella terra d’Egitto. Io sono Jahve vostro Dio.

Bibbia ebraica, Levitico, 19. 339

Giustizia, imparzialità

Forza e giustizia In tutto ciò che è sociale vi è la forza. Solo l’equilibrio annienta la forza. Se si sa dove la società è equilibrata bisogna fare ciò che è possibile per

aggiungere del peso nel piatto della bilancia troppo leggero. Benché il peso sia il male, manovrandolo con questa intenzione, può darsi che esso non macchi. Ma bisogna aver concepito l’equilibrio ed essere sempre pronti a cambiare di lato, come la Giustizia, questa “fuggitiva dal campo dei vincitori”.

Simone Weil, Quaderni, 1942, Francia. 340

La forza non è una macchina per creare automaticamente la giustizia. È un meccanismo cieco da cui escono per caso, indifferentemente, gli effetti giusti o ingiusti, ma, per il gioco delle probabilità, quasi sempre ingiusti. Il corso del tempo non vi fa nulla; non aumenta nel funzionamento di questo meccanismo la proporzione in ma degli effetti che sono per caso conformi alla giustizia.

Se la forza è assolutamente sovrana, la giustizia è assolutamente irreale. Ma essa non lo è: lo sappiamo per esperienza. Essa è reale nel fondo del cuore degli uomini. La struttura di un cuore umano è una realtà tra le realtà di quest’universo con lo stesso valore della traiettoria di un astro.

Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia. 341

Ammurabi è venuto per “fare risplendere la giustizia [...], per impedire al potente di fare torto ai deboli”.

Codice di Ammurabi (1730-1685 a.C.), Babilonia. 342

Il bestiame detesta il precipizio; l’uomo detesta l’ingiustizia. Proverbio amarico, Etiopia. 343

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158 Il diritto di essere un uomo

Giustizia immanente MACBETH: Se fatta la cosa, tutto fosse fatto, allora sarebbe bene che essa

fosse fatta in fretta. Se questo assassino potesse intralciare le sue conse-guenze e raggiungere, col suo termine, il successo; se soltanto questo colpo da darsi potesse esserne la sostanza e la ne ultima quaggiù, non fosse altro che quaggiù su questo banco di sabbia del tempo, noi rischieremmo la vita futura. Ma in casi come questo, noi siamo sempre giudicati n da quaggiù; noi non facciamo altro che dare delle lezioni di sangue che, una volta im-parate, ritornano a colpire il precettore; l’imparziale giustizia presenta alle nostre labbra il contenuto della coppa da noi avvelenata.

Shakespeare, Macbeth, Atto I, scena VII. 1606. 344

Imparzialità Anno 16, terzo mese della stagione dell’inondazione, giorno 21. In

quel giorno, nella grande Corte di giustizia di Tebe, a anco delle due steli dell’alto, a nord della Corte di Amon, alla porta di Dwarekhit. No-tabili che sedevano nella grande Corte di Giustizia di Tebe, quel giorno: il prefetto di Tebe e vizir Khaemwese; il gran sacerdote di Amenre, re degli dei, Amenhotep; il profeta di Amenre, re degli dei, e sacerdote-sem, Nesamun, del tempio dei Milioni di anni (tempio funerario) del re Nefer-kere Setepenre; il servo reale Nesamun, scriba del faraone; l’intendente della casa della Divina Adoratrice d’Amenre, re degli dei; il servitore reale Neferkere-enperamun, araldo del faraone; il luogotenente generale Ori, delle truppe carreggiate; il portabandiera della otta Ori; il principe di Tebe Pesiur.

Il prefetto di Tebe e visir Khaemvese fece comparire il fabbro ferraio Peikharee, glio di Khari, il fabbro ferraio Thari, glio di Khaemope, e il fabbro ferraio Peikamon, glio di Thari, del tempio di Usimare Miamon, al servizio del gran-sacerdote di Amon.

Disse il visir ai grandi notabili della grande Corte di Giustizia di Tebe: “Questo principe di Tebe ha elevato alcune accuse contro gli ispettori e gli operai della Necropoli nell’anno 16, terzo mese dell’inondazione, 19° gior-no, in presenza del servitore reale Nesamun, scriba del faraone, a proposito delle grandi tombe che si trovano sulla Piazza della Bellezza.

Tuttavia quando andai laggiù io stesso, in qualità di visir del paese, in compagnia del servo reale Nesamun, scriba del faraone, esaminammo le tombe di cui il principe del Nom e aveva detto che erano state violate dai fabbri del tempio di Usimare Miamon, nella casa di Amon: noi le abbiamo trovate intatte, e tutto ciò che era stato detto si è rivelato falso. Ora ecco che i fabbri sono davanti a voi; domandate loro tutto delle tombe della Piazza

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Libertà civile 159

dei Faraoni a proposito delle quali questo principe aveva parlato, e si rico-nobbe che in quest’affare il principe aveva avuto torto.

I grandi notabili rilasciarono i fabbri del tempio di Usimare Miamon, ed essi furono af dati quel giorno stesso al gran-sacerdote di Amenre, re degli dei, Amenhotep.

Fu redatto un rapporto che venne depositato negli archivi del visir. Cronaca di un processo (XX dinastia. II millennio a.C.), Antico

Egitto. 345

Procedura legale Caso in cui un uomo denuncia un altro, dicendo: “Egli mi ha preso la

mia casa, essa è mia, è quella di mio padre”, e in cui colui che è accusato in tal modo replica: “È mia, l’ho tirata fuori dal canale” (cioè l’ho costruita con l’argilla del canale). Se la casa è vicina al canale, si dirà a colui che è accusato: “Dimostra che essa è tua e che tu l’hai tratta dal canale”; altri-menti colui che ti accusa dovrà dimostrare che è sua e che ha appartenuto a suo padre”. Se il canale non passa vicino alla casa, si dirà all’accusatore: “Dimostra che è tua e che apparteneva a tuo padre”. L’altro dovrà conse-gnargli un atto scritto di rinuncia riguardante la casa in questione.

Codice di leggi di Hermopolis Epoca tolemaica, Antico Egitto. 346

Uniformità Poiché è desiderabile che vi sia uniformità nella procedura e nelle pene,

ordino che d’ora innanzi sia così. Editto di Ashoka, Pilastro IV (III sec. a.C.), India. 347

Gli arconti salgono sulla pietra e [...] “giurano di adempiere la loro ca-rica con la massima giustizia e conformemente alle leggi, di non ricevere regali a causa dell’esercizio delle loro funzioni, oppure, se ne ricevono, di consacrare una statua d’oro”.

Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene. 348

Condizioni per ogni condanna a morte ... che non si poteva eseguire una condanna a morte di nessun cittadino

senza la decisione di un tribunale … Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene. 349

Non si può condannare un cittadino a morte se non nei comizi riuniti. ... condanna a morte il giudice o l’arbitro che è convinto di aver emesso

la sua sentenza secondo il desiderio di colui che gli ha dato del denaro. Legge delle XII tavole (prima legislazione romana), V sec. a.C. 350

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160 Il diritto di essere un uomo

Un Greco che debba essere giudicato avrà, il giorno prima dell’i-nizio del processo, la possibilità di scegliere tra una giuria composta interamente di Romani o composta per metà da Greci; se si pronuncia per una metà di Greci, allora, dopo che le palle saranno state pesate e se su queste saranno stati scritti i nomi, si estrarranno da un’urna i nomi dei Romani e da un’altra quelli dei Greci no a che si sarà raggiunto, in ciascun gruppo, il numero di 25. Da questo numero l’accusa ri uterà, se lo vuole, un giudice di ciascun gruppo e l’accusato tre in tutto, senza che egli possa ricusare soltanto dei Romani o dei Greci. Tutti gli altri saranno in seguito autorizzati a dare il loro voto, deponendoli separa-tamente, i Romani in una cassetta, i Greci in un’altra; poi, dopo aver contato separatamente i voti emessi da una parte e dall’altra, il gover-natore annuncerà pubblicamente ciò che la maggioranza avrà giudicato.

Primo editto di Augusto, Anno 7-6 a.C. 351

Tertulliano contesta la legalità della condanna dei cristiani. Non vi è stato processo regolare, non vi sono stati avvocati.

La verità non ha che un solo desiderio, quello di non essere condannata senza essere conosciuta.

… … …In ne, se è certo che noi siamo dei grandi criminali, perché siamo trattati

diversamente dai nostri simili, cioè gli altri criminali? Tertulliano (II sec.), Apologetica. Cartagine. 352

I giudici Il re deve nominare alla funzione di giudice delle persone che abbiano

studiato a fondo le scritture, che conoscano il Dharma, che si mantengano attaccati alla verità e che diano prova di imparzialità nei riguardi dell’attore o del difensore.

I giudici che si discostano dal diritto quale è ssato negli Smiritis o che fanno cose analoghe, per affezione, avidità o timore, devono essere colpiti da una pena doppia di quella che meriterebbe il colpevole nel caso consi-derato.

Yâjñavalkyasmriti, II (III-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 353

Giustizia rapida e rigorosa Quando ha preso posto sul suo seggio nell’assemblea, il re non deve

lasciar aspettare a lungo alla porta coloro che desiderano sottoporgli le loro lagnanze. Poiché un re poco accessibile sarebbe incitato dal suo entourage ad agire in senso contrario di quanto conviene fare o non fare. Allora dovrà

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Libertà civile 161

forse affrontare una rivolta del popolo in cui rischierà di essere vinto dal nemico.

Kautiliya, Arthasâstra, I (IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 354

Restituzione Il re deve ricuperare i beni rubati dai ladri e restituirli integralmente

ai proprietari, qualunque sia il loro rango sociale. Se non può ricuperarli, deve indennizzare le vittime, attingendo al suo tesoro personale.

Visnusmriti, III (IV-V sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 355

Rigore Il principio della legge è che, nel caso in cui un semplice privato fosse

condannato alla multa di un karsâpana (una moneta), un re dovrebbe essere condannato a una multa di mille (kârsapana).

Manusmriti, VIII (II sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 356

Amministrare la giustizia senza tener conto del Dharma coinvolge, per il re, la perdita del cielo, della gloria e del mondo della beatitudine. Am-ministrare bene la giustizia, al contrario, conduce al cielo, alla gloria e al successo. Il re non deve lasciare impunito neppure il proprio fratello o suo glio, o una persona rispettata (quale un maestro) o il suocero o il padre di

sua madre, se si è allontanato dal Dharma. Il re che punisce le persone che meritano un castigo e che condanna a morte coloro che meritano la morte, può essere considerato come chi ha compiuto (numerosi) sacri ci costituiti da offerte perfette ed eccellenti. Poiché (egli è in diritto di trarre da questo fatto) un frutto uguale a quello di un sacri cio, il re deve esaminare lui stesso, una a una e giorno dopo giorno, con il concorso degli assessori, le diverse cause di cui è investita la giustizia.

Yâjñavalkyasmriti, I (III-IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 357

Tuttavia, quando la persona danneggiata ha subito un danno e lo denun-cia, bisogna amministrare la giustizia tenendo nel dovuto conto le circo-stanze particolari, quali il momento, il luogo e il diritto locale, e così pure l’età, il grado di cultura e la posizione (degli interessati).

Vasistha-Dharmasûtra, XIX (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 358

L’amministrazione della giustizia non può essere assoluta Ciò che sembra contrario alla legge normale, o re, deve essere applicato

come legge (in certe circostanze). (Analogamente) ciò che è legge normale deve essere considerato come contrario alla legge.

Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 359

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162 Il diritto di essere un uomo

Summum ius, summa injuria.Citato da Cicerone, De of ciis, I secolo a C. 360

Diritto di appello Ordino che d’ora in poi si proceda così: agli uomini che sono già stati

colpiti da una pena, che sono in prigione o condannati a morte, ordino che siano accordati tre giorni di dilazione legale, perché (durante questo tempo) i loro congiunti possano sollecitarne la grazia, o, allo scopo di risparmiar loro, alla ne, delle sofferenze (spirituali), fare delle offerte e osservare dei digiuni che siano loro vantaggiosi nell’altro mondo.

Editto di Ashoka, Pilastro, IV (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 361

Perché la giustizia sia bene applicata Rinunciando alla voracità e abdicando agli avidi desideri, tratta con im-

parzialità le cause che ti sono sottoposte. Le denunce presentate dal popolo, sono circa un migliaio al giorno. Se ve ne sono tante in un giorno, quante ve ne saranno al termine di diversi anni? Se l’uomo che deve amministrare la giustizia fa del guadagno il suo scopo di ogni giorno e ascolta i difen-sori allo scopo di ottenere otri di vino, allora i processi dei ricchi saranno simili alla pietra lanciata nell’acqua (non incontreranno alcuna resistenza), mentre le denunzie dei poveri saranno come l’acqua gettata sulla pietra. In queste condizioni, i pezzenti non sapranno ove indirizzare i propri passi.

… … …Che ognuno abbia il proprio incarico e che le attribuzioni restino ben

distinte. Quando degli uomini saggi sono collocati nei posti di comando, le doti

si innalzano da ogni parte. Se si tratta di uomini senza principi che occu-pano questi posti, i disastri e il caos aumentano continuamente. In questo mondo sono ben pochi coloro che ricevono un quid di saggezza n dalla nascita: il sapere è frutto di un’ardente meditazione. Per ogni cosa, grande o piccola, si tratta di sapere scegliere l’uomo che conviene e tutto andrà certamente per il meglio; in tutte le occasioni, che vi sia o meno urgenza, basta rivolgersi a un uomo saggio perché gli affari si regolino da sé. In tal modo la perennità dello Stato sarà assicurata e i Templi della Terra e del Grano saranno al riparo da ogni pericolo. Anche i saggi sovrani dell’an-tichità cercavano l’uomo che ricoprisse una determinata carica, e non la carica da dare a un determinato uomo. Che i ministri e i funzionari vengano alla Corte molto presto al mattino e si ritirino tardi la sera. Gli affari dello Stato non tollerano la negligenza e la giornata tutt’intera basta appena a disimpegnarli. Di conseguenza, se i funzionari arrivano tardi non possono

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Libertà civile 163

decidere convenientemente sui casi urgenti e, se partono presto, il loro la-voro non può essere terminato.

… … …Asteniamoci da ogni sdegno e guardiamoci dal gettare degli sguardi ir-

ritati. Non dobbiamo avere alcun risentimento se gli altri non la pensano come noi, poiché tutti gli uomini hanno un cuore, e ogni cuore ha le sue inclinazioni. Ciò che è bene per gli altri è male per noi, e ciò che è bene per noi è male per gli altri. Noi non siamo necessariamente dei saggi e gli altri non sono necessariamente degli stupidi. Siamo tutti soltanto degli uomi-ni comuni. Come potrebbe qualcuno stabilire dei princìpi per distinguere il bene dal male? poiché siamo al tempo stesso saggi e stupidi, come un anello che non ha ne. Dunque anche se gli altri si lasciano trascinare dalla collera, siamo noi invece che dobbiamo temere di commettere degli errori, e anche se siamo forse soli ad avere ragione, seguiamo la moltitudine e agiamo come essa.

… … …Le questioni importanti non devono essere de nite da un solo individuo. Esse devono essere studiate da molti; ma le piccole cose hanno minori

conseguenze e quindi non è necessario consultare numerose persone. Solo quando si tratta di affari gravi e vi è pericolo di errori bisogna de nirle in unione con altri, al ne di giungere a una conclusione giusta.

Costituzione del principe imperiale Shôtoku 604, Giappone. 362

Le caste e il diritto “Si può dire, Signore, che si senta dappertutto una sola affermazione:

‘Solo i bramini formano la casta migliore, tutte le altre caste sono inferiori; solo i bramini sono di tinta chiara, tutti quelli delle altre caste hanno un colorito scuro; solo i bramini sono puri, gli altri non lo sono; i bramini sono gli di Brahma, sono nati dalla sua bocca; nati da Brahma sono stati formati da Brahma, sono gli eredi di Brahma!’. Che ne pensate di questo, Signore? Se un nobile penetrasse con scasso in una casa, commettesse un saccheggio o un furto, tendesse un’imboscata o si rendesse colpevole di adulterio, e se gli uomini che lo hanno catturato lo conducessero dinanzi a voi dicendo: “Ecco Maestà, il ladro che vi nuoce, diteci quale castigo dobbiamo in iggergli”. Che cosa gli fareste?

– Mio buon Kaccana, noi dovremmo ucciderlo oppure rovinarlo o espel-lerlo o trattarlo a nostro piacimento. Perché? Perché il nome di ‘nobile’ che egli aveva un tempo è ora scomparso ed egli è solo considerato un ‘ladro’.

– Che ne pensate di questo, Signore? Se un bramino, un mercante o un lavoratore entrasse con scasso in una casa... che cosa gli fareste?

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164 Il diritto di essere un uomo

Mio buon Kaccana, dovremmo ucciderlo... egli è considerato solo come un ‘ladro’.

Che ne pensate, Signore? Se le cose stanno così, queste quattro caste sono esse esattamente le stesse o no? Oppure... che ne pensate?

In verità, se le cose stanno così, queste quattro caste sono esattamente le stesse, non vedo alcuna differenza tra di loro a questo riguardo”.

Majjhima Nikaya, II, testo pali. 363

Forza della legge, protezione dell’accusato Can. 2226 – § 1. È soggetto alla pena relativa alla legge o al precet-

to chiunque è vincolato da questa legge o da questo precetto, a meno di espressa esenzione.

§ 2. Se una legge penale modi ca una legge anteriore, nel caso che il de-litto sia stato commesso prima della promulgazione della legge più recente, deve essere applicata la legge più favorevole all’imputato.

§ 4. Il colpevole è soggetto a pena ovunque, anche quando vien meno la giurisdizione del superiore, a meno di un’espressa disposizione contraria.

Can. 2228 – Non si incorre nella pena stabilita dalla legge che quando il delitto è stato interamente consumato nel suo genere, nel senso preciso dei termini della legge.

Piena coscienza e responsabilità Can. 2229 – § 1. L’ignoranza evidente della legge o della sola pena non

scusa da nessuna pena di “lata sentenza”; ma quando la legge dice “presun-se, osò, scientemente, studiosamente, temerariamente, a bella posta fece” o altro simile che comporti una vera diminuzione di imputabilità per l’in-telletto o per la volontà, si resta esenti dalla pena di “lata sentenza”.

1. Se la legge non ha quelle espressioni, l’ignoranza crassa o supina non scusa da alcuna pena di “lata sentenza”; se non è crassa o supina scusa dalle pene medicinali, non dalle vendicative di “lata sentenza”.

2. L’ubriachezza, l’omissione della diligenza necessaria, la debolezza della mente, l’impeto della passione, anche se diminuiscono l’imputabilità, nché c’è la colpa grave, non scusano dalle pene di “lata sentenza”.

3. Nemmeno scusa il timore grave dalle pene di “lata sentenza” se il delitto riguarda il disprezzo della fede, o dell’autorità ecclesiastica o il pub-blico danno delle anime.

ImputabilitàCan. 2213 – I tentativi di delitto hanno tanto maggiore imputabilità

quanto più si avvicinano al delitto consumato, benché minore che per il

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Libertà civile 165

delitto consumato. Il delitto frustrato è più colpevole del semplice ten-tativo.

Diritto canonico. 364

Uguaglianza e gerarchia Ogni distinzione sia negli onori sia nelle ricchezze perché sia legit-

tima suppone un’anteriore uguaglianza fondata sulle leggi, che con-siderano tutti i sudditi come ugualmente dipendenti da esse. Si deve supporre che gli uomini che hanno rinunziato al naturale loro dispoti-smo abbiano detto: chi sarà più industrioso abbia maggiori onori, e la fama di lui risplenda nei suoi successi; ma chi è più felice o più onorato speri di più, ma non tema meno degli altri di violare quei patti coi quali è sopra gli altri sollevato. Egli è vero che tali decreti non emanarono in una dieta del genere umano, ma tali decreti esistono negli immobili rapporti delle cose, non distruggono quei vantaggi che si suppongono prodotti dalla nobiltà e ne impediscono gli inconvenienti; rendono for-midabili le leggi chiudendo ogni strada all’impunità. A chi dicesse che la medesima pena data al nobile e al plebeo non è realmente la stessa per la diversità dell’educazione, per l’infamia che spandesi su di un’il-lustre famiglia, risponderei che la sensibilità del reo non è la misura delle pene, ma il pubblico danno, tanto maggiore, quanto è fatto da chi è più favorito.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 365

Garanzie giudiziarie L’attentato alla sicurezza e alla libertà dei cittadini è uno dei delitti più

gravi. Le sole leggi possono decretare le pene sui delitti. Ma una pena ac-

cresciuta al di là del limite ssato dalle leggi è la pena giusta più un’al-tra pena; dunque non può un magistrato sotto qualunque pretesto di zelo o di bene pubblico accrescere la pena stabilita a un delinquente cittadino.

Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice... La carcere è dunque la semplice custodia di un cittadino nché sia giu-dicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve du-rare il minor tempo possibile e dev’esser meno dura che si possa....

È evidente che il ne delle pene non è di tormentare e af iggere un essere sensibile... Il ne dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuoverne altri dal farne uguali.

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166 Il diritto di essere un uomo

L’educazione contro i delitti È meglio prevenire i delitti che punirli. Questo, è il ne principale di

ogni buona legislazione... Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accom-pagnino la libertà... Finalmente il più sicuro, ma il più dif cile mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 366

Castighi senza arbitrio È il trionfo della libertà, quando le leggi criminali applicano ogni pena

secondo la natura particolare del crimine. Ogni arbitrio cessa; la pena non deriva punto dal capriccio del legislatore, ma dalla natura della cosa; e non è più l’uomo che usa violenza all’uomo.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 367

Libertà a mezzo della legge Avrei voluto vivere e morire libero, cioè talmente sottomesso alle leggi

che né io né alcun altro avremmo potuto scuoterne l’onorato giogo, questo giogo salutare e dolce, che le teste più ere portano tanto più docilmente perché sono fatte per non portarne alcun’altro.

Avrei dunque voluto che nessuno nello Stato avesse potuto dirsi al diso-pra della legge, e che nessuno dal di fuori avesse potuto imporne altre che lo Stato fosse poi obbligato di riconoscere. Giacché qualunque possa essere la costituzione d’un governo, se vi si trova un solo uomo che non sia sotto-messo alla legge, tutti gli altri sono necessariamente alla mercé di questa.

Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della di-suguaglianza fra gli uomini, 1755. 368

Il fatto è che invece di distruggere l’uguaglianza naturale, il patto fonda-mentale sostituisce al contrario un’uguaglianza morale e legittima a ciò che la natura aveva potuto mettere d’inuguaglianza sica tra gli uomini, e che, potendo naturalmente essere inuguali per forza o per genio, essi diventano tutti uguali per convenzione e di diritto.

Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762. 369

Repressione della venalità presso i funzionari Delle leggi e dei castighi con cui gli Inca governavano il loro regno Non avendo alfabeto, gli Indiani non avevano leggi scritte, ma conser-

vavano per tradizione quelle che avevano stabilito i loro re, con gli usi e le norme che vi erano legati. Formulerò, come segue, le principali e quelle di cui avevano un maggior ricordo.

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Libertà civile 167

Se un governatore, per corruzione o per affezione, non osservava la giu-stizia o dissimulava qualcosa, l’Inca stesso lo castigava privandolo del suo caciccato e della sua carica e rendendolo incapace di poterne assumere altre; e se l’ingiustizia verteva su una materia grave, lo faceva uccidere.

Bernabé Cobo, Storia del Nuovo Mondo, 1653. 370

Né pena di ordine pecuniario, né con sca dei beni Garcilaso de la Vega (l’Inca), glio d’un capitano spagnolo e di una

madre indigena di sangue regale, fu storico, prete, latinista e poligrafo; fu soprannominato “l’Erodoto degli Inca”

Gli indiani non usavano condannare al pagamento di una multa, né con- scavano i beni di nessuno. Essi adducevano come motivo il fatto che l’at-

taccarsi ai beni dei colpevoli e lasciare questi in vita non signi cava ban-dire il crimine da uno Stato, ma dare ai criminali la libertà di commettere dei mali maggiori. Se un Cacicco si ribellava (cosa che essi castigavano con estremo rigore) o se egli commetteva qualche altra offesa per la quale meritava di essere messo a morte, anche se egli lo era effettivamente, colui che doveva succedergli nella sua carica non ne veniva spogliato. Al con-trario gliela davano, facendogli però notare la colpa e la pena di suo padre, af nché facesse attenzione di non fare come lui. Pedro Cieza de León, par-lando degli Inca a questo riguardo, al capitolo 21 del suo libro, dice che per impedire che i loro sudditi volessero loro del male, essi usavano di non to-gliere mai la dignità di Cacicco a coloro che la detenevano ereditariamente e che erano del paese. Se per caso qualcuno aveva commesso una colpa così enorme da meritare per punizione di essere degradato di questo segno di onore e di nobiltà, essi la davano a uno dei suoi gli o dei suoi fratelli, comandando a tutti di obbedirgli e di riconoscerlo per Cacicco.

Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608 o 1609. 371

L’amministrazione della giustizia presso gli Inca Con la sentenza pronunciata dal giudice, egli non doveva mai deroga-

re alla punizione stabilita dalla Legge, invece eseguirla bene, punto per punto, sotto pena di morte se fosse venuto meno alle ordinanze del Re. Essi dicevano a questo riguardo che non si poteva permettere al Giudice di aggiungervi o di togliervi qualcosa di suo, senza diminuire la maestà della Legge; che per altro la si doveva tanto più rispettare perché era il Re stesso che l’aveva fatta con il consenso di tutti i membri del suo Consiglio; che dei Giudici particolari non avevano tanta esperienza quanto essi, e pertanto che autorizzarli no a questo punto sarebbe stato rendere la giustizia ve-nale e aprire un cammino alla corruzione o con preghiere o con doni. Essi

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168 Il diritto di essere un uomo

aggiungevano che ciò non poteva essere tollerato senza attirare un grande disordine nello Stato, tanto più che con questo sistema ogni Giudice avreb-be cominciato a fare a modo suo, e che, in una parola, non era ragionevole che nessuno di loro si autocostituisse Legislatore, ma doveva essere un semplice esecutore di ciò che la Legge comandava, per quanto rigorosa potesse essere.

In qualunque processo di cui si fosse trattato, essi non ricorrevano mai da una Corte all’altra. Perché il primo Giudice, non potendo contravveni-re alla Legge, la faceva eseguire, punto per punto, con una sua sentenza, e così l’affare era concluso. È vero che, visto il buon ordine che vi apporta-vano questi Re, e il modo onesto di vivere dei loro sudditi, vi erano molto pochi processi tra di loro. Per esaurirli senza ritardo, essi stabilivano un Giudice in ogni città, che, dopo l’udienza data alle parti, le obbligava a mettere in esecuzione entro cinque giorni il contenuto della Legge. Se per caso capitava qualche azione che fosse stata più importante o più seria dell’ordinario, e avesse perciò avuto bisogno di essere rinviata per essere discussa dal Giudice provinciale, si andava per questo direttamente da lui, che la concludeva de nitivamente. Perché, per impedire che coloro i quali erano sotto processo uscissero dalla loro Provincia, vi era nella città capitale un Sovraintendente della Giustizia, per giudicare le parti [...]. I re inca sapevano benissimo che i poveri non avevano i mezzi per difendersi fuori del loro paese, né in altri tribunali, a causa delle spese che avrebbe-ro dovuto incontrare, tanto che si vedevano costretti a lasciar perdere il loro buon diritto per non poterlo difendere, principalmente se avevano a che fare con delle parti che fossero più ricche di loro, poiché l’abitudine di questa gente era di rendere cattiva, a causa della loro potenza, la causa dei miserabili, per quanto buona potesse essere. Per rimediare a ciò, essi ordinarono che vi fossero ben poche sedi presidiali, in cui coloro che avrebbero avuto un processo potessero ricorrere senza uscire dalla pro-vincia. Non venivano date sentenze da parte dei giudici ordinari, di cui a ogni Luna essi non fossero obbligati di rendere conto ad altri giudici, dei quali essi erano solo dei subalterni. Infatti alla Corte ve ne erano di vari gradi, che si aveva l’abitudine di impiegare diversamente, secondo l’importanza che la questione richiedeva; e anche per questo in tutte le trattative dello Stato, vi era un ordine, dai più piccoli ai più grandi, no ai giudici sovrani, che erano i viceré o i luogotenenti delle quattro parti dell’Impero. Il rapporto da un giudice all’altro aveva luogo appositamen-te per controllare se essi avevano esercitato bene la loro carica, af nché con questo metodo i giudici inferiori fossero diligenti nell’eseguire il loro compito, oppure che per causa di questi si castigassero con estremo rigo-

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Libertà civile 169

re; ciò che poteva essere chiamato una riforma segreta, che aveva luogo ogni mese.

Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608 o 1609. 372

Diritto alla protezione giuridica Dato che ho saputo che i detti Corregidores, nei predetti processi cri-

minali, perseguivano gli accusati Indiani con eccessivo rigore, senza tener conto delle regole del diritto, ed eseguivano le sentenze di morte alle quali essi li condannavano senza dar diritto di appello, e poiché conviene rime-diare a questo stato di cose af nché questo disordine non continui, decreto e ordino che, ogni volta che un tale fatto avrà luogo, detti Corregidores o altri giudici condanneranno degli Indiani alla pena di morte e che que-sti ultimi interporranno appello, si accettino le richieste che essi avranno presentato dinanzi alle dette istanze regali del distretto in cui il fatto avrà avuto luogo, e che nel caso in cui per l’ignoranza di qualcuno di loro non interponesse appello, non vengano uccisi e si trasmettano senza ritardo le sentenze pronunciate alle sopraddette istanze regali, perché i loro patroci-natori ricorrano in appello, se lo ritengono opportuno.

Ordinanza del viceré del Perù ai Corregidores, 1685. 373

Uguaglianza del castigo Se le stesse leggi devono essere applicate a tutta la Repubblica, dobbia-

mo punire i criminali con punizioni uguali. Poiché nulla squali ca di più la legge che la diversità nell’applicazione delle pene che colpiscono in modo diverso i colpevoli. In verità, se la questione venisse trattata con scrupolo, delle pene più pesanti colpirebbero i peccatori di più elevata condizione, mentre la legge si mostrerebbe più benevola verso la gente di modeste condizioni. Platone ordina di punire più severamente il cittadino della sua repubblica che lo schiavo o lo straniero [...].

La legge ingiusta che punisce con dieci libbre l’assassino di un plebeo e con cento o con la morte quello di un nobile, non ha potuto essere inven-tata che da un tiranno, non già da un legislatore saggio. Bisogna quindi sbarazzarne la repubblica e cancellarne persino il ricordo dalla memoria degli uomini.

Andrzej Frycz Modrzewski, De republica emendanda, 1551, Polonia. 374

La repressione degli abusi El Mawardi dice che colui che ha l’incarico di svelare gli abusi deve

dar prova di una perfetta dignità, di un’alta autorità, di un grande pre-stigio, deve essere di costumi puri e scrupolosi. Infatti le sue funzioni

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170 Il diritto di essere un uomo

esigono la potenza dell’ispettore e la serenità del giudice. Egli deve possedere le qualità di queste due categorie di funzionari, in modo che la forza dell’autorità amministrativa si mescoli all’equità del giudice.

Al-Wancharisi (XVI sec.), Il libro delle magistrature, Africa del Nord. 375

La carica di cadì (giudice) Gli autori del nostro rito, per la maggior parte, e altri ancora, si sono

adoperati a spaventare e a mettere in guardia contro l’accettazione della carica di cadì. Essi hanno insistito per biasimare coloro che la ricerca-no e hanno consigliato di scansarla, di evitarla, di fuggirla, tanto che è ancorato nella mente di molti giuristi e di gente onorevole che colui che è investito della funzione di cadì indebolisce la sua fede, si avvia da sé alla sua perdizione, e storna se stesso da ciò che è più meritorio.

La loro opinione sulla carica di cadì è molto cattiva. E questo un errore detestabile, cui bisogna rinunciare e di cui conviene ricredersi.

Ciò che occorre è di onorare questa nobile carica e riconoscerne il rango nella religione musulmana. Per la giustizia furono mandati i Pro-feti, per essa sono creati il cielo e la terra. Il Profeta ha posto il compito di giudicare nel numero delle cose ben fatte, che è permesso di invidia-re, dicendo, secondo Ibn Mess’ud: “Non si saprebbe invidiare che due uomini: l’uno, colui al quale Dio ha dispensato la fortuna e il potere di distribuirla per fare del bene, l’altro colui al quale egli ha dato la sag-gezza cui egli conforma i propri giudizi e i propri atti”.

Al-Wancharisi (XVI sec.), II libro delle magistrature, Africa del Nord. 376

La giustizia d’Itakura Shighemune, grande magistrato del XVII secolo in Giappone

Una volta nominato, Shighemune va ogni giorno in tribunale; si av-via nel corridoio dal lato dell’Ovest ed entra. Là egli depone un macini-no da tè, poi si siede dietro una porta di carta e, mentre polverizza il tè con le proprie mani, giudica le cause. Ci si stupiva della cosa; ma non lo si poteva interrogare. Dopo molti anni, qualcuno avendogli doman-dato il perché, egli rispose: “Quando vado in tribunale se compio le mie devozioni nel corridoio del lato Ovest, è per pregare gli dei dell’Atago. Tra gli innumerevoli dei, quelli dell’Atago sono particolarmente rino-mati per il loro potere divino; e io compio, rivolgendomi a loro, le mie adorazioni per chiedere una cosa: “Giudicando le cause che gli sono sottoposte, che il cuore di Shighemune non sia parziale in nulla; se è

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Libertà civile 171

parziale in qualsiasi cosa, fate che egli non continui a vivere”. Li ho pregati così ogni giorno. Pensavo anche, se non si è chiari nei giudizi, è perché, toccando ogni cosa, il cuore è scosso. Gli uomini buoni posso-no cercare di non lasciarsi commuovere, ma Shighemune non saprebbe riuscirvi. Allora, per provare se il mio cuore è scosso o meno, me ne assicuro polverizzando del tè. Quando il mio cuore è calmo e fermo, la mia mano vi corrisponde, il macinino lavora con tranquillità e il tè macinato che ne cade è estremamente no: so così che il mio cuore non si muove; allora emetto il mio giudizio. Se ascolto le cause attraverso una porta di carta, è perché, quando si vedono le gure umane, se ne trovano di orribili e di simpatiche, di sincere e di cattive, ogni sorta di varietà tanto che non si saprebbe enumerarle. Ciò che dice l’uomo che ha una sionomia sincera in apparenza ci dà l’impressione di essere vero; ciò che fa colui che ha un volto cattivo ci sembra falso, anche se può essere giusto. Dinanzi alla denuncia di un uomo dalla sionomia simpatica, si crede che egli sia stato perseguitato; e quando discute un uomo dal volto detestabile, si pensa che egli sia dalla parte del torto. Tutto ciò proviene dal fatto che, il cuore essendo in uenzato da ciò che vedono gli occhi, prima ancora che la gente abbia parlato, già nel nostro cuore noi ci formiamo un giudizio che un tale sarà un criminale, oppure un uomo buono, oppure un dritto; e quando udiamo le parole della causa, abbiamo molte occasioni per capire le cose come noi le avevamo pensate. Ma quando si pronuncia un giudizio, vi sono persone che avevano l’aspetto detestabile, dei falsi tra i sinceri, dei dritti tra i tortuosi: quanti casi di questo genere! Il cuore dell’uomo è dif cile da comprendere per cui non si può mai giudicare dalla sionomia. Un tem-po, si pronunciavano delle sentenze seguendo il colore (l’apparenza) delle persone; cosa che possono fare degli uomini che non si sono mai sbagliati; ma gli uomini come Shighemune sono spesso ingannati da ciò che vedono. Non solo tutti hanno paura di presentarsi dinanzi alla Corte del tribunale, ma per di più, alla vista di colui che ha il potere di uccidere o di lasciar vivere, la gente si sente naturalmente spaventata; non può dire ciò che dovrebbe dire, ed eccola obbligata a subire una condanna per crimine o per delitto. Val dunque meglio non lasciarci vedere, mutuamente, i nostri volti. Fu questo il pensiero che m’indusse a separare i posti”. Così, ogni giorno, pregando Dio, egli giura di non essere punto parziale, raddrizza il suo cuore all’interno e all’esterno, poi ascolta i processi e pronuncia le sentenze.

Arai Hakuseki, Hankampu, 1701. 377

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172 Il diritto di essere un uomo

Giustizia ambigua I TRE VIAGGIATORI E LA PUNTA D’AVORIO

Vi erano una volta tre uomini che viaggiavano insieme. Il primo si era munito di un gambo di manioca; il secondo portava un pacco di arachidi arrostite; il terzo non aveva con sé che il suo cane. Strada facendo, essi arri-varono a anco di un tronco d’albero, coricato sul bordo del sentiero, in un bosco che separava due villaggi. Stanchi della lunga marcia che avevano compiuto e avendo fame, si sedettero per mangiare. Ora il primo cercava qualche cosa da mangiare con la manioca; il secondo, d’altro canto, si la-gnava di non aver nulla da mangiare con le sue arachidi. Egli offrì quindi un pugno di arachidi al primo e ricevette in ritorno un pezzo di manioca. Poi si misero a mangiare tutti e due, senza curarsi del loro compagno che non aveva portato nulla.

Quando ebbero terminato il loro pasto, gettarono le foglie, che avevano avvolto la manioca e le arachidi, nella vicina foresta. Il cane si precipitò su di esse. Ma, siccome tardava a ritornare, il suo padrone andò a vedere che cosa facesse laggiù e lo trovò che rosicchiava una punta d’avorio. Egli raccolse allora lestamente la punta e ritornò col cane verso i due compa-gni, tutto felice della sua scoperta. Ma il primo pretese di con scarla a suo vantaggio: “Se io, – disse – non avessi gettato nella foresta le foglie, il tuo cane non vi sarebbe andato. Quindi la punta è mia”. Il secondo non sentiva le cose da quell’orecchio (non era d’accordo): “È vero che tu hai gettato le foglie, – egli obiettò – ma se io non ti avessi dato le mie arachidi, tu non avresti mangiato la tua manioca. La punta deve quindi essere mia”.

Mentre la discussione si prolungava su questo tono, sopraggiunse la not-te ed essi decisero di rinviare la decisione all’indomani. Fattosi poi giorno, la discussione riprese più animata e, in questo momento, la causa è ancora da de nirsi.

Si domanda quindi il vostro parere: “A chi dei tre viaggiatori spettava la punta d’avorio?”.

Racconto fang, Gabon. 378

Del diritto di giustizia Ciò che ti spetta di diritto, non mendicarlo.Non accettare il giudizio pronunciato in tua assenza.È il piccolo torto compiuto senza pensarvi che ti strapperà l’occhio.

(L’occhio di qualcuno rappresenta tutto ciò che gli è più caro, anche a sua insaputa, suo fratello, il suo prossimo).

Saltellare non è, per il dolce di miglio, un mezzo per abbandonare il boccale di latte.

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Libertà civile 173

(Contro il diritto, non vi è astuzia che valga). Sappi che il diritto altrui è una brace; se tu te ne appropri, esso ti brucia

le mani. Proverbi zerma-sonraï, Africa. 379

Piove anche nel campo dello stregone mangiatore di anime. (Anche il respinto ha dei diritti. La giustizia è universale. Nessun uomo,

per quanto esecrabile, può essere privato dei diritti che essa gli concede). Proverbio haussa, Africa. 380

La giustizia val meglio di tutto ciò che non rappresenta la giustizia verso gli altri.

Proverbio zerma-sonraï, Africa. 381

Il principe e il sindaco non renderanno giustizia dinanzi all’assemblea in uenzata dalle fazioni, ma presso il principe, nella sua anticamera, con-siderando il diritto secondo il loro giuramento [...]. Né il principe né il sindaco dovranno prendere delle spezie.

Carta di giustizia di Pakov, 1397, Russia. 382

Nessuna detenzione arbitraria Nelle piccole città molti nobili conducono i loro domestici e i loro con-

tadini per farli mettere in prigione. Per questo, sia nelle città che nelle am-ministrazioni, bisogna tenere dei registri di detenuti e ordinare che, senza “biglietto” trascritto nel registro, nessun detenuto sia trattenuto nell’am-ministrazione o in prigione. E se, al momento dell’ispezione si scopre un individuo non iscritto nel registro colui che lo ha fatto arrestare “senza biglietto” dovrà essere severamente punito perché in avvenire non si agisca più in questo modo.

Ivan Posoškov, Trattato della povertà e della ricchezza, 1724, Rus-sia. 383

Giustizia malgrado la gerarchia militare Se un soldato disertore è stato arrestato e se dice di aver disertato per

sfuggire ai cattivi trattamenti del suo uf ciale, converrà fare un’inchiesta. E se i cattivi trattamenti sono provati, bisognerà punire l’uf ciale ed esen-tare il soldato dal marchio col ferro rovente.

Ivan Posoškov, Trattato della povertà e della ricchezza, 1724, Rus-sia. 384

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174 Il diritto di essere un uomo

Fiducia nella giustizia Nessuna nazione conserva tanta moderazione nelle liti quanto gli abi-

tanti della Piccola Russia. Là le due parti si mettono tranquillamente sullo stesso carro, bevono, mangiano e dormono insieme, anche se fosse neces-sario percorrere 300 verste per arrivare dal giudice. Un simile modo di agire è certamente una delle grandi prove che essi possono dare del rispetto che hanno per la legge e del disinteresse e dell’equità di coloro che devono essere gli esecutori.

J.-B. Scherer, Annali della Piccola-Russia o Storia dei cosacchi zaporo-gi e dei cosacchi dell’Ucraina, 1788, Francia. 385

Parzialità del giudice Quale onta e quale scandalo, per questo mondo e per l’altro, che un go-

vernatore di provincia opprima i suoi amministrati. Un essere che si dice uomo, come può mai pronunciare una sentenza in

favore dell’ingiusto quando la verità è manifesta?Si può forse chiamare giustizia il verdetto d’un tribunale in cui il giudice

è difensore e l’usciere testimonio? Maledetta sia la fortuna la cui acquisizione è dovuta a speculazioni sulla

religione, l’onore o l’onestà.L’uomo è colui che vuol il bene del suo prossimo: è questo il solo crite-

rio del carattere umano.Si chiama uomo colui il cui cuore sensibile si rattrista dinanzi ai dolori

dei suoi simili. Non attaccarti col cuore alla fortuna (di cui godi) e non credere che la

sfortuna sarà durevole: la ruota celeste non gira sempre sulla medesima orbita.

L’ingiusto troverà alla ne la sorte lamentevole che merita. Colui che distrugge il focolare degli altri vedrà un giorno sprofondarsi il suo.

Ziya Pasha (1829-1880), Turchia. 386

Garanzie LE GARANZIE DELL’“HABEAS CORPUS” (1679) E LA SCHIAVITÙ L’atto dell’Habeas Corpus fornisce il mezzo per veri care la legalità

di una misura di detenzione. Chiunque si crede vittima di una detenzione arbitraria può chiedere che sia emessa un’ordinanza d’Habeas Corpus ad subjiciendum contro la persona che lo ha arrestato, la quale è allora tenu-ta a comparire davanti al tribunale, in un determinato giorno, per provare che la detenzione è giusti cata. Se questa prova non viene data, il giudice ordina la liberazione immediata. La legge e la tradizione sono così forti a

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Libertà civile 175

questo riguardo che ogni richiesta concernente la libertà di una persona viene accolta con priorità da qualsiasi tribunale.

Nell’affare Sommersett (1772) Lord Chief Justice Mans eld si espri-me come segue riguardo alla libertà individuale, considerata sotto il suo aspetto più essenziale:

Per spiegare la nostra decisione, mi riferirò al rapporto fornito in risposta all’ordinanza dell’Habeas Corpus senza tuttavia riprenderne letteralmente i termini. Il capitano della nave a bordo della quale fu condotto il negro espone le cose in questa risposta: che gli schiavi abbondano sempre in Afri-ca; che il loro commercio è conforme alle leggi e alle idee che prevalgono in Virginia e in Giamaica; che essi costituiscono una mercanzia e possono, di conseguenza, essere venduti e comperati; che James Sommersett è un negro dell’Africa, che, molto tempo prima della pubblicazione del decreto reale, era stato condotto per essere venduto ed era stato venduto al Signor Charles Steuart, residente allora in Giamaica; che questo negro non era poi stato affrancato; e che, dovendo venire per suoi affari in questo paese, il signor Steuart l’aveva condotto come servo con l’intenzione di ricondurlo indietro quando avesse concluso i suoi affari; che questa intenzione non era stata del resto mutata; che il negro aveva, dopo un certo tempo, lasciato il servizio senza il consenso del suo padrone; che questi l’aveva allora, prima della pubblicazione del decreto reale, fatto condurre, sotto buona scorta, a bordo del “Ann and Mary” per esservi detenuto no a che il signor Steuart potesse, con quella stessa nave, ritornare con lui in Giamaica, ove contava di venderlo come schiavo; che è così che lui stesso, capitano Knowles, comandante di detta nave attualmente ancorata nel Tamigi, era stato incari-cato di custodire il negro che avrebbe poi rimesso al Tribunale [...]. Il solo punto che noi dovremmo risolvere è dunque di sapere se i motivi invocati nella risposta sono suf cienti. In caso affermativo, il negro deve essere messo in prigione; in caso negativo, deve essere messo in libertà. È detto in questo documento che, essendo lo schiavo partito e avendo egli ri utato di servire, lo si è fatto mettere ai ceppi per venderlo all’estero. Perché sia pos-sibile un atto che dimostra un potere così assoluto, bisogna che sia autoriz-zato dalla legge del paese in cui è (stato) commesso. Il potere del padrone sui suoi schiavi ha sempre variato in modo considerevole secondo i paesi. Lo stato di schiavitù non potrebbe, per sua natura, trovare una giusti cazio-ne in ragioni morali o politiche; non può appoggiarsi che su leggi in vigore, leggi i cui effetti continuano a farsi sentire anche quando da molto tempo è sparito nanco il ricordo delle circostanze che l’hanno suscitata. La schia-vitù è così odiosa che non può trovare appoggio se non in queste leggi. Ora, io non posso dire che i motivi (di detenzione) invocati in quest’affare siano

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176 Il diritto di essere un uomo

validi nei riguardi della legge inglese, e qualunque inconveniente possa da ciò derivare, dichiaro che il negro deve essere rilasciato.

Processo Sommersett, Gran Bretagna. 387

Condizioni legali LA PRIGIONIA La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza d’ogni

altra, precedere la prova del delitto, ma questo carattere distintivo non le toglie l’altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gli indizi di un de-litto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano a un esame e a una pena. La pubblica fama, la fuga, la stragiudiciale confessione, quella d’un compagno del delitto, le minacce e la costante inimicizia con l’of-feso, il corpo del delitto, e simili indizi, sono prove bastanti per catturare un cittadino; ma queste prove devono stabilirsi dalla legge e non dai giu-dici, i decreti dei quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando non siano proposizioni particolari di una massima generale esistente nel pubblico codice.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 388

Controllo della giustizia Ordinanza del 1809 II Riksdag (Parlamento) designerà due cittadini di sperimentata compe-

tenza giuridica e d’integrità irreprensibile, l’uno alla carica di ombudsman per gli affari civili, e l’altro come ombudsman per quelli militari, af nché essi assicurino il rispetto della legge e delle ordinanze in qualità di rappre-sentanti del Riksdag e in conformità alle istruzioni di questo [...]

In conformità alla divisione delle responsabilità citata più sopra, que-sti ombudsman promuoveranno azione (legale) dinanzi al tribunale com-petente contro tutti coloro che, nell’esercizio delle loro funzioni uf ciali, avessero – sotto l’in uenza della parzialità, per favoritismo o per qualsiasi altro motivo – commesso un atto illecito o mancato ai doveri della loro carica [...].

L’ombudsman per gli affari civili e l’ombudsman per gli affari militari possono, ogni volta che lo giudicano necessario nell’esercizio delle loro funzioni, assistere alle deliberazioni e alla proclamazione delle decisioni della Corte suprema, della Corte amministrativa suprema, del segretariato della Corte suprema, delle corti di appello, dei consigli amministrativi o delle istituzioni che le sostituiscono, e di tutti i tribunali di prima istanza, ma essi non hanno il diritto di esprimere un parere in tali occasioni.

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Libertà civile 177

... Nel caso in cui, contro ogni aspettativa, si venisse a notare che la Corte suprema all’unanimità, oppure uno o più dei suoi membri, avrebbero reso, per un interesse personale, una mancanza di equità o per negligenza, un giudizio in contraddizione con la legge o coi fatti debitamente stabiliti, facendo o rischiando di fare perdere con ciò a qualcuno la vita, la libertà, l’onore o i suoi beni, oppure se apparisse che la suprema Corte ammini-strativa oppure uno o più dei suoi membri si sono resi colpevoli di una simile condotta nel corso degli affari amministrativi loro sottoposti in ap-pello, l’ombudsman degli affari civili (o l’ombudsman degli affari militari, quando si tratta di delitti di natura militare come quelli che sono de niti nell’art. 96) avrà il dovere, come sarà pure nelle attribuzioni del Procura-tore generale del Re, d’intentare un’azione contro l’autore di questo delitto al tribunale considerato qui appresso e di chiedergli conto dei suoi atti, conformemente alla legge del paese.

Svezia. 389

Protezione delle persone da parte dell’ombudsman Nel 1848 l’ombudsman per la giustizia si accorse, esaminando la lista

delle persone imprigionate a Gothenburg che una donna arrestata nel 1838 era rimasta incarcerata aspettando di essere identi cata. Egli domandò al-lora se si era cercato di ottenere delle informazioni su di lei e sulla sua si-tuazione, e risultò che nulla era stato fatto a questo riguardo. Il governatore e il suo segretario dal landsting furono messi sotto accusa, quali respon-sabili di questa omissione. Il governatore venne condannato a pagare una multa e il segretario del landsting venne sospeso dalle sue funzioni senza stipendio per due mesi. La donna, che era fuggita dalla prigione nel 1842, rinunciò a reclamare un indennizzo per i torti subiti a causa di questa incar-cerazione ingiusti cata dal 1838 al 1842; altrimenti essa avrebbe ricevuto il pagamento dei danni e degli interessi [...].

Nel 1887, un cittadino segnalò che gli era stato proibito dalla municipa-lità di Linköping di fare una conferenza su “l’accrescimento demogra co in Svezia e i pericoli che esso presenta per la prosperità generale e la mo-ralità”. Il richiedente riteneva che nel suo caso si era trattato di una vio-lazione dei diritti dell’uomo. L’ombudsman per la giustizia concluse che nessuna legge giusti cava l’interdizione pronunciata dalla municipalità e iniziò un’azione in tribunale contro ì funzionari responsabili, che furono condannati a una multa.

Rapporto dell’epoca, Svezia. – 390

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178 Il diritto di essere un uomo

Democrazia, principi e istituzioni

Preannuncio del principio della limitazione dei poteri Amici miei, non vi è anima mortale la cui natura possa sopportare la

grande autorità umana, se essa è giovane e irresponsabile, evitando di con-trarre la peggiore delle malattie, quella di non ragionare e di provocare l’odio dei suoi amici anche più intimi. Per preservarsene e conservare la giusta misura, occorrono dei grandi legislatori. Che il risultato sia allora stato ottenuto ciò è da parte nostra una modesta congettura. Pare infatti che vi sia stato...

– Che cosa?– …un dio, che si curava di voi, e che, in previsione dell’avvenire, facen-

do nascere presso di voi due re gemelli, invece di uno solo, ha ricondotto l’autorità entro limiti giusti. E dopo di ciò ancora, una natura umana unita a una natura divina, vedendo il vostro regno sempre febbricitante, mesco-lò la potenza ragionevole della vecchiaia alla forza generosa della razza, dando al consiglio dei ventotto anziani, negli affari importanti, uguale voto di quello che aveva il potere regale. Poi il terzo salvatore, vedendo presso di voi il potere ancora insuperbito e irritato, gli impose come un freno la potenza degli Efori, che egli ravvicinava alla potenza attribuita dalla sorte. E così, grazie a questo dosaggio, la regalità del vostro paese, mescolanza proporzionata di elementi necessari, ha salvato se stessa e ha costituito la salvezza degli altri.

Platone (429-347 a.C.), Le leggi. 391

Voterò secondo le leggi e i decreti del popolo ateniese e del Consiglio dei Cinquecento, e, nei casi non previsti dalle leggi, secondo l’opinione più giusta, senza favoritismi e senza odio. Non voterò né per un tiranno né per una oligarchia e se si attacca il potere del popolo ateniese, se si parla o se si fa votare contro non vi acconsentirò.

Giuramento degli eliasti, nei discorsi contro Timocrate di Demostene. Verso il 353 a.C. 392

I partiti Il vostro servitore sa che, n dall’antichità, si discute del valore dei partiti.

Bisogna sperare almeno che un monarca saprà distinguere tra i partiti degli uomini di qualità e quelli degli uomini volgari. In generale, gli uomini di qua-lità formano tra loro dei partiti, perché essi hanno dei principi comuni, mentre gli uomini volgari s’associano con i loro simili, perché ne traggono un reci-proco pro tto. Ciò è del tutto naturale. Ma il vostro servitore sosterrebbe che

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Libertà civile 179

di fatto gli uomini volgari non hanno partito e che solo gli uomini di qualità sono capaci di formarne. Perché ciò? Gli uomini volgari amano il pro tto e desiderano i beni materiali. Quando le circostanze permettono loro di sperare, di trarre dei vantaggi comuni, essi si uniscono temporaneamente per forma-re un partito, che è tuttavia essenzialmente arti ciale. Ma quando giunge il momento in cui essi entrano effettivamente in concorrenza per ottenere un vantaggio, o che i vantaggi che essi hanno ricercato non si materializzano e sono perduti di vista, allora essi fanno volta faccia e si attaccano mutua-mente, senza risparmiare né fratello né genitori. Per questo il vostro servitore afferma che questi uomini non hanno un vero partito e che quelli che essi formano temporaneamente sono essenzialmente arti ciali. Ma non accade la stessa cosa per gli uomini di qualità, che si conformano alla Via e alla Retti-tudine, che praticano la lealtà e il rispetto della parola data e si preoccupano soltanto di onore e di integrità. Quando danno prova di queste qualità nella loro condotta personale, essi hanno un principio in comune e si migliorano reciprocamente e quando le mettono al servizio dello Stato, essi si uniscono in un ideale comune, e, nell’aiuto reciproco, e dal principio alla ne agiscono come un solo uomo. Questi sono i partiti degli uomini di qualità.

Ou-Yang Xiu (1007-1072), Cina. 393

Diritti dell’individuo La Magna Charta concessa nel 1215 da Giovanni senza TerraNessun uomo libero sarà arrestato, né imprigionato, né spogliato, né

posto fuori legge, né esiliato, né molestato in alcun modo, e noi non met-teremo né faremo mettere le mani su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo le leggi del paese.

Magna Charta, art. 39. 1215, Inghilterra. 394

Protezione dell’individuo, anche non libero, contro la con sca arbitra-ria dei suoi beni

Un uomo libero non potrà essere colpito da ammenda per un lieve delitto se non proporzionalmente a questo delitto; e per un grande delitto, potrà essere punito in proporzione alla gravità del suo delitto, ma senza che sia costretto a perdere il suo feudo. Avverrà parimenti per i mercanti, ma senza che la loro mercanzia possa essere con scata; i contadini saranno anch’essi colpiti da ammenda, senza tuttavia perdere i loro strumenti di lavoro. E nessuna di queste multe sarà imposta se non dietro il giuramento di uomini probi e leali del vicinato.

Magna Charta, art. 20. 1215, Inghilterra. 395

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180 Il diritto di essere un uomo

Le Disposizioni di Oxford, promulgate nel 1258, ssano gli obblighi degli amministratori nei riguardi del popolo e de niscono una procedura che permetta di mettere sotto accusa gli amministratori corrotti:

È previsto che saranno eletti in ogni contea quattro saggi e leali cava-lieri, i quali, ogni volta che (il tribunale della) contea terrà seduta, si riu-niranno per raccogliere tutte le lagnanze che verteranno sui danni morali e materiali che avranno potuto essere causati a chiunque dagli “scerif ”, dai “balivi” o da altre persone, e per riunire (allo scopo di conservarli) i documenti relativi a dette querele, in attesa che la regione venga di nuovo visitata dal giudice reale [...].

A proposito degli “scerif ”: saranno designati come “scerif ” degli uo-mini probi e leali, scelti tra i proprietari; le funzioni di “sceriffo” saranno così esercitate in ogni contea da un proprietario feudale della contea stessa, il quale dovrà mostrarsi equo leale e giusto, nei riguardi della popolazione. E (è stipulato): che egli non accetterà grati che e che non resterà “sceriffo” per più di un anno; che, durante l’anno, renderà conto della sua ammi-nistrazione allo Scacchiere e sarà responsabile della sua carica; che il re gli assegnerà, traendola dagli introiti regali, una somma proporzionale ai propri introiti, af nché egli possa amministrare come si conviene la contea; che né lui né i suoi “balivi” accetteranno grati che e che se venisse provato che essi hanno infranto questa regola, ne seguirà il castigo.

Disposizioni di Oxford, Inghilterra. 396

Importanza crescente del Parlamento nella seconda metà del XIII seco-lo. Esso ricopre le funzioni di tribunale, decidendo in ultimo appello sulle querele degli individui.

Poiché è stabilito che di fronte al tribunale del re il giudizio di una causa si trova talvolta ritardato perché una delle parti allega l’impossibilità di dar seguito, in assenza del re, alle rivendicazioni del querelante; e (sta-bilito) che molte persone si vedono accusare dai ministri del re di danni immeritati per i quali non possono ottenere riparazione se non davanti al parlamento, noi stabiliamo che il re dovrà, almeno una volta all’anno – e se necessario due volte – riunire il parlamento in un luogo appropriato. E (sta-biliamo) che in questi parlamenti si procederà all’esame e al regolamento delle cause, il cui giudizio sarebbe stato differito come abbiamo detto, e di quelle che avrebbero dato luogo a divergenze di opinioni tra i tribunali. Analogamente, le questioni trattate davanti al parlamento continueranno, come per il passato, a essere regolate in conformità ai principi del diritto e della giustizia.

Ventinovesima Ordinanza, 1311, Inghilterra. 397

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Libertà civile 181

Supremazia dell’Assemblea Gli statuti emanati da un Capitolo generale possono essere autentica-

mente interpretati solo da un Capitolo generale. Statuti dell’Ordine dei Premostratensi, 7, 1503. 398

Il Capitolo generale ha piena e completa autorità sul Ministro generale, che a esso è inferiore e sottomesso.

Th. Montalvus, cappuccino, 1740. 399

L’assemblea generale possiede la pienezza del potere. Il Generale è sot-tomesso alla sua autorità. Egli deve convocarla per trattare gli affari im-portanti.

Epitome della Società di Gesù, art. 22, 1689. 400

Convocazione dell’Assemblea Tutte le volte che vi sarà nel monastero qualche affare importante da

decidere, l’Abate convocherà tutta la comunità ed esporrà egli stesso di che cosa si tratta. Dopo aver raccolto il parere dei fratelli, egli delibererà per conto suo e farà in seguito ciò che avrà giudicato più utile.

Ciò che ci fa dire che bisogna consultare tutti i fratelli, è che spesso Dio rivela a uno più giovane ciò che è meglio.

Elezione dell’Abate da parte della Comunità Venga eletto (abate) colui che, sia tutta la Comunità – unanime nel timor

di Dio – sia la parte, per quanto ridotta, della Comunità che è la più avve-duta, avrà eletto.

(Colui che sarà eletto abate) venga eletto a causa del suo modo di vivere e della sapienza del suo insegnamento, anche se egli è l’ultimo della Co-munità.

Regola di San Benedetto, 529. 401

IL PATTO DEL “MAYFLOWER”, 11 NOVEMBRE 1620 Questo patto che servì come costituzione ai primi coloni separatisti,

sbarcati nella nuova Inghilterra, estendeva al campo civile l’impegno abi-tuale della comunità religiosa.

Nel nome dell’Altissimo, Amen. Noi sottoscritti, leali sudditi del no-stro augusto Sovrano, Giacomo, per grazia di Dio re di Gran Bretagna, di Francia e d’Irlanda, difensore della Fede, ecc., avendo intrapreso – per la gloria di Dio e la propagazione della Fede cristiana e per l’onore del no-stro Re e del nostro Paese – una traversata allo scopo di impiantare la pri-

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182 Il diritto di essere un uomo

ma colonia nelle regioni al nord della Virginia, conveniamo e disponiamo con la presente, solennemente e mutuamente, in presenza di Dio e gli uni degli altri, di unirci in un corpo politico per favorire l’ordine e la nostra comune salvezza e per raggiungere gli scopi menzionati più sopra; in vir-tù di che ci è dato di comporre, stabilire e istituire, nel volgere del tempo, nella giustizia e nella uguaglianza, quelle leggi, ordinanze, costituzioni e incarichi che saranno giudicati i più convenienti e adatti a favorire il bene generale della colonia e alle quali noi promettiamo di sottometterci e di obbedire come si deve. In fede di quanto sopra, noi abbiamo rmato i presenti documenti e al Capo Cod, l’11 novembre dell’anno di grazia 1620, diciottesimo del regno del nostro sovrano e padrone, il re Giacomo in Inghilterra, in Francia e il diciottesimo in Irlanda e il cinquantaquattre-simo in Scozia. 402

Contro gli atti arbitrari del re L’essenziale è insomma di sapere se [...] in questi casi particolari, le

imposte alle quali il re ha costretto i suoi sudditi, senza avere l’appro-vazione del parlamento, sono oppure no legali [...]. Nessuno immagina, spero, che si possa prendere pretesto dal presente affare per domandarsi se il re può, in qualsiasi momento e in qualsiasi occasione, imporre delle tasse ai suoi sudditi in generale, senza il consenso del parlamento. Se dovesse essere posta una simile questione, è evidente che bisognerebbe rispondervi negativamente. Gli abitanti del regno sono dei sudditi e non degli schiavi; sono degli uomini liberi e non dei villani che si possono taglieggiare e opprimere a piacere. Benché il re d’Inghilterra detenga il potere monarchico e jura summae majestatis, benché egli, per governare i suoi sudditi, goda di una assoluta ducia che è stata posta nella sua corona e nella sua persona, egli deve non di meno governare secundum leges regni [...]. Secondo queste leggi, i sudditi non sono dei semplici proprietari soggetti alla volontà del re [...]. Essi hanno, per nascita, il diritto di invocare le leggi del regno. Non si può imporre loro nuove leggi; e nessuna delle loro leggi può essere modi cata o abrogata senza il consenso del parlamento.

Affaire Hampden, Esposto di un giudice, 1638, Inghilterra. 403

DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA DELLE COLONIE AMERICANE REDATTA DA THOMAS JEFFERSON (4 LUGLIO 1776)

Riteniamo evidenti per se stesse queste verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che sono dotati da parte del loro creatore di alcuni

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Libertà civile 183

diritti inalienabili; che tra questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità; che per assicurare questi diritti sono istituiti presso gli uomini dei governi che traggono i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni volta che una forma qualunque di governo giunge a essere di-struttiva di questi scopi, è diritto del popolo di cambiarla o di abolirla e di istituire un nuovo governo, ponendo le sue fondamenta su tali principi, e organizzando i suoi poteri nella forma che gli sembrerà più adatta a dargli la sicurezza e la felicità. La prudenza in verità impone, quando dei governi sono stabili da lungo tempo, di non cambiarli, e, di conseguenza, l’esperienza ha sempr mostrato che l’umanità è più disposta a soffrire quando i mali siano sopportabili che a farsi giustizia abolendo le forme alle quali è abituata. Ma quando un lungo seguito di abusi e di usurpa-zioni, perseguendo invariabilmente il medesimo scopo, denuncia il dise-gno di ridurla sotto un despotismo assoluto, è suo diritto, è suo dovere, respingere un simile governo e premunirsi di nuove garanzie per la sua sicurezza futura. 404

Condizioni di libertà Lettera circolare di G. Washington agli Stati (1783) Nulla può illustrare queste osservazioni in modo più evidente che il

ricordo del momento in cui, favorita da un felice concorso di avveni-menti e di circostanze, la nostra Repubblica prendeva il suo posto tra le nazioni; la fondazione del nostro Impero non ha avuto luogo nell’epoca tenebrosa dell’ignoranza e della superstizione, ma in un secolo in cui i diritti dell’uomo sono meglio compresi e più chiaramente de niti che in nessun altro della storia, in cui le ricerche dello spirito umano sul be-nessere sociale sono state spinte molto avanti, in cui i lavori, intrapresi da lunghi anni dai loso , dai saggi, e dagli organi legislativi, aprono dinanzi a noi tesori di conoscenza e in cui la loro sapienza accumulata può essere applicata con fortuna per stabilire le nostre forme di gover-no; la libera cultura delle lettere, lo sviluppo illimitato del commer-cio, il raf namento progressivo dei costumi, la generosità crescente dei sentimenti, e soprattutto la pura e dolce luce della Rivelazione, hanno avuto un’in uenza favorevole sull’umanità e hanno accresciuto i bene- ci della Società. Sotto questi favorevoli auspici gli Stati Uniti hanno

incominciato a esistere come nazione e se i loro cittadini non dovessero conoscere una libertà e una felicità complete ne sarebbero interamente colpevoli. 405

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184 Il diritto di essere un uomo

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO Decretata dall’Assemblea Nazionale nelle sedute del mattino del 20, 21,

22, 23, 24 e 26 agosto 1789. Firmata dal Re, il 5 ottobre 1789.

PREAMBOLO

I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Naziona-le, considerando che l’ignoranza, la dimenticanza e il disprezzo dei Diritti dell’Uomo sono le sole cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre in una dichiarazione solenne i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, af nché questa Dichiarazione, co-stantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro sempre i loro diritti e i loro doveri; af nché gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo, potendo essere a ogni istante confrontati con il ne di ogni istituzione politica, ne siano più rispettati; af nché i reclami dei cit-tadini, fondati ormai su dei principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione e alla felicità di tutti.

Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in pre-senza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i Diritti seguenti dell’uomo e del Cittadino:

ARTICOLO I

Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti; le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.

II

Il ne di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescindibili dell’uomo; questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.

III

Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione; nes-sun corpo, nessun individuo può svolgere il suo mandato d’autorità senza esserne espressamente delegato.

Seduta del giovedì 20 agosto 1789.

IV

La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; pertan-to l’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo ha per limite solo quello che assicura agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti; quei limiti non possono essere determinati che dalla legge.

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Libertà civile 185

V

La legge ha il diritto di proibire solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è proibito dalla legge non può essere impedito e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.

VI

La legge è l’espressione della volontà generale; tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere personalmente, o a mezzo di loro rappresentanti, alla sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente am-missibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici, secondo la loro capacità e senza altre distinzioni se non quelle delle loro virtù e dei loro talenti.

Seduta del venerdì 21 agosto.

VII

Nessun uomo può essere accusato, arrestato, né detenuto se non nei casi determinati dalla legge e secondo le forme che essa prescrive. Coloro che sollecitano, sbrigano, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, de-vono essere puniti, ma ogni cittadino chiamato o arrestato in virtù della legge deve ubbidire immediatamente; si rende colpevole se reticente.

VIII

La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente neces-sarie, e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata.

IX

Poiché ogni uomo è presunto innocente no a che non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non fosse necessario per assicurarsi della sua persona, deve essere punito dalla legge.

Seduta del sabato 22 agosto.

X

Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, pur-ché la loro manifestazione non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge.

Seduta della domenica 23 agosto.

XI

La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo. Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare

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186 Il diritto di essere un uomo

liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà, nei casi deter-minati dalla legge.

XII

La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino necessita di una forza pubblica: questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è af data.

XIII

Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di ammi nistra-zione, un contributo è indispensabile; esso deve essere equamente ripartito tra tutti i cittadini, in ragione delle loro disponibilità.

Seduta del lunedì 24 agosto.

XIV

I cittadini hanno il diritto di constatare direttamente o a mezzo dei loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di consentirlo libera-mente, di seguirne l’impiego, e di determinarne l’entità, la ripartizione, la riscossione e la durata.

XV

La Società ha il diritto di chiedere conto a tutti gli agenti pubblici della loro amministrazione.

XVI

Ogni Società in cui la garanzia dei diritti non viene assicurata e neppure viene determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione.

XVII

La proprietà, essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, se non quando una necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga evidentemente e sotto la condizione di una giusta e preventiva in-dennità.

Seduta del mercoledì 26 agosto. 406

Superiorità del regime rappresentativo La pura democrazia era la società che si governava senza l’assistenza

di mezzi secondari; innestando la rappresentazione sulla democrazia, noi arriviamo a un sistema di governo capace di accogliere e di riunire tutti i diversi interessi, l’estensione del territorio e la popolazione, per quanto

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Libertà civile 187

numerosa possa essere; e ciò con dei vantaggi tanto superiori al governo ereditario quanto la repubblica delle lettere è superiore alla letteratura ereditaria.

... Ciò che vien chiamato governo [...] non è altro che un centro comune ove con uiscono tutte le parti della società. Ciò non potrebbe aver luogo con alcun metodo più conforme ai differenti interessi della società, che con il sistema rappresentativo. Esso invero concentra le conoscenze necessarie all’interesse delle parti e del tutto; e pone il governo in uno stato di maturità perfetta. Non è mai, come abbiamo osservato, né giovane né vecchio; non è soggetto né all’infanzia né al rimbambimento. Non si trova mai in culla né con le stampelle. Non ammette la separazione delle conoscenze e del potere, e si trova a essere superiore – come il governo deve sempre essere – a tutti gli accidenti dell’uomo individuale, e conseguentemente è molto al di sopra di quella che si chiama monarchia.

Tom Paine, Diritti dell’uomo, 1791, Gran Bretagna. 407

Discorso di addio di G. Washington (17 settembre 1796) Pertanto esse (le parti dell’Unione) sfuggiranno in ugual modo alla ne-

cessità di queste forze armate smisurate, che sono propizie alla libertà, qualunque sia la forma del governo, ma che dobbiamo considerare come particolarmente incompatibili con la libertà repubblicana [...].

I nostri sistemi politici hanno per base il diritto dei popoli a stabili-re e a modi care le costituzioni che li reggono. Ma nché essa non sia stata modi cata con un atto esplicito e autentico dell’intero popolo, la Costituzione che esiste in un dato momento impone a tutti un obbligo sacro. L’idea stessa del potere e del diritto che ha il popolo di stabilire un governo presuppone il dovere per ogni individuo di obbedire al governo costituito...

Una certa opinione vuole che i partiti svolgano nei paesi liberi un com-pito utile perché essi permettono di esercitare un controllo sull’amministra-zione del governo e mantengono vivace il genio della libertà. Ciò è proba-bilmente esatto, entro certi limiti, e sotto dei governi di forma monarchica il patriottismo può considerare con indulgenza, se non con favore, lo spirito di parte. Nel caso di governi popolari e puramente elettivi è viceversa uno spirito da non incoraggiare. Quei governi infatti, poiché a ciò li porta la loro tendenza naturale, hanno la sicurezza di poter disporre sempre di quel tanto di spirito che è salutare; poiché il pericolo si trova in un rischio co-stante di eccesso, i loro sforzi dovranno tendere a temperare e moderare questo spirito con la forza dell’opinione pubblica. Questo fuoco, che nulla saprebbe estinguere, deve formare l’oggetto di una sorveglianza costante

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per timore che in ammandosi bruscamente, esso non consumi invece di riscaldare [...].

È profondamente vero che la virtù, oppure la moralità, è una molla es-senziale del governo popolare; questa regola vale difatti, con maggior o minor forza, per tutte le specie di governo libero. Come potrebbe quindi un amico sincero di un simile governo tollerare nell’indifferenza che si tenti di minare l’edi cio alla sua base? Pre ggetevi perciò, come uno dei vostri obiettivi principali lo sviluppo di istituzioni incaricate di diffondere il sapere. Finché la struttura di un goyerno trasforma l’opinione pubblica in una forza, è essenziale che questa opinione pubblica sia illuminata [...].

Date prova di buona volontà e di giustizia verso tutte le nazioni. Colti-vate con tutte la pace e l’armonia: lo prescrivono la religione e la moralità. E non sarebbe forse anche una tale prescrizione una buona tattica politi-ca? Sarà un compito degno di una nazione libera, illuminata e che in un prossimo avvenire meriterà di essere chiamata grande il dare all’umanità l’esempio magnanimo e nuovo, ahimè, di un popolo costantemente guidato dai supremi imperativi della giustizia e della benevolenza [...].

La condizione prima e assolutamente essenziale per condurre a buon ne questo compito è di fare tacere anche ogni antipatia permanente e inve-

terata verso certe nazioni come ogni attaccamento appassionato per altre, e di nutrire verso tutte gli stessi sentimenti di giustizia e di amicizia. Una nazione che si lascia andare a coltivare un odio o un’affezione abituale per un’altra si trova in una certa misura schiava, sia della sua animosità sia del-la sua affezione, l’una come l’altra suf cientemente possenti per stornarla dal suo dovere e dal suo interesse [...].

Analogamente, l’attaccamento appassionato di una nazione per un’al-tra è sorgente di molteplici mali. La simpatia portata alla nazione favorita facilita l’illusione di un interesse comune immaginario anche quando non ne esiste alcuno, incita l’una a fare suoi i nemici dell’altra, e induce così la prima a prendere atto e far causa comune nelle questioni e nelle guerre della seconda, senza ragione e senza giusti cazione suf ciente. 408

Problemi del federalismo Risoluzioni prese dal Kentucky nel 1798 I. Dichiara: che i diversi Stati che compongono gli Stati Uniti d’America

non si sono uniti secondo il principio di una sottomissione illimitata al loro governo generale; ma che, in virtù di un atto chiamato Costituzione degli Stati Uniti coi relativi emendamenti, essi hanno stabilito un governo gene-rale avente ni speciali e gli hanno delegato certi poteri ben determinati, ogni Stato riservandosi, quanto al resto, il diritto di governarsi da se stesso;

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Libertà civile 189

che in tutti i casi nei quali il governo generale assume dei poteri che non gli sono stati attribuiti, i suoi atti sono senza valore, nulli e di nessun effetto.

... che, come in ogni caso di contratto tra parti che non hanno un giudice comune, tutte le parti sono ugualmente in diritto di giudicare da se stesse, tanto di ciò che costituisce un abuso quanto della forma e della misura della riparazione [...].

III. Dichiara: che è vero in regola generale, come anche è espressamente de nito in uno degli emendamenti alla Costituzione, che “i poteri che non sono delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione o che non sono ri utati da essa agli Stati sono conservati dagli Stati oppure dal popolo”; che nessun potere, sulla libertà di religione, di espressione e di stampa essendo delega-to agli Stati Uniti dalla Costituzione oppure ri utato da essa agli Stati, ogni potere legale in materia spetta, in via di diritto, agli Stati oppure al popolo, e sono loro riservati;

... che di conseguenza, questo testo (Sedition Act) che limita precisa-mente la libertà di stampa, non è quindi una legge, ma è interamente nulla e di nessun effetto [...].

VI. Dichiara: che l’imprigionamento di una persona, protetta dalle leggi di questo Stato, per ri uto di obbedienza a un semplice ordine del Presi-dente che gli ingiunge di lasciare gli Stati Uniti, imprigionamento previsto dalla legge intitolata “Legge sugli stranieri”, è contraria alla Costituzione di cui un emendamento stabilisce che “nessuno potrà essere privato della sua libertà senza una procedura legale”, e mentre un altro emendamento di-spone che “in tutte le cause criminali, l’accusato godrà del diritto di essere giudicato [...] pubblicamente da un giurì imparziale, e di essere informato della natura e della causa dell’accusa, di essere messo a confronto con i te-stimoni a carico, di far citare, con tutti i mezzi legali, dei testimoni a difesa e di avere l’assistenza di un avvocato per la sua difesa”, la detta legge, che autorizza il Presidente a espellere dagli Stati Uniti, basandosi sulle sole sue supposizioni, una persona protetta dalla legge, senza accusa, senza giurì, senza processo pubblico, senza confronto dei testimoni a difesa, senza te-stimoni a difesa, senza difesa e senza avvocato, è contrario anche a queste ultime disposizioni della Costituzione, non è quindi una legge, è nulla e di nessun effetto [...].

Limitazione vigilante del potere Questo Stato è risoluto – come non dubita che lo siano anche gli altri

Stati – a non inchinarsi docilmente dinanzi a chiunque sulla terra – uomo o gruppo di uomini – tenti di esercitare dei poteri non delegati e di con-seguenza illimitati; che se le leggi summenzionate fossero mantenute, si

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190 Il diritto di essere un uomo

potrebbe trarne queste conclusioni: che il governo federale può, quando lo creda opportuno, far gurare qualsiasi atto sulla lista dei crimini, pu-nirlo egli stesso, sia o no citato nella Costituzione come riguardante la sua competenza; che egli può trasmettere il potere di giurisdizione riguardo a quest’atto al Presidente oppure ad altra persona, che sarà al tempo stesso accusatore, difensore, giudice e giurì [...] che lo straniero senza amici è stato infatti scelto come l’oggetto più sicuro di una prima esperienza, ma che questa esperienza non tarderà a essere – o piuttosto è già stata – este-sa al cittadino, poiché questi è la vittima designata di una legge sugli atti sediziosi; e se non si sbarra loro la strada per tempo, queste leggi e quelle della stessa natura che le seguiranno, rischiano di condurre questi Stati alla rivoluzione e allo spargimento di sangue, ed esse forniranno degli argo-menti ai calunniatori dei governi repubblicani e nuovi pretesti a coloro che vogliono far credere che l’uomo non può essere diretto se non con la forza; che noi saremmo in una pericolosa illusione se la ducia accordata agli uomini scelti da noi facesse tacere le nostre apprensioni quanto al rispetto dei nostri diritti; che la ducia ingenera dappertutto il dispotismo: un go-verno libero riposa sulla vigilanza e non sulla ducia ed è la vigilanza, non la ducia, che c’impone di racchiudere entro i limiti di una Costituzione coloro ai quali noi siamo in obbligo di af dare il potere; che la nostra Co-stituzione ha dunque ssato alla nostra ducia dei limiti che essa non deve oltrepassare; che lo spirito sincero che esalta la ducia comprenda le leggi sugli stranieri e sugli atti sediziosi, e dica se la Costituzione non ha agito saggiamente assegnando dei limiti al governo che essa ha creato, e se noi saremmo ben avveduti se sopprimessimo questi limiti. 409

Rispetto delle minoranze Primo discorso inaugurale di Jefferson dopo la sua elezione alla Presi-

denza degli Stati Uniti (4 marzo 1801) Tutti saranno per altro penetrati di questo sacro principio: la volontà

della maggioranza, sebbene sia chiamata a vincerla in tutte le circostanze, deve, per essere legittima, essere ragionevole; la minoranza possiede ugua-li diritti e il violarli sarebbe agire da oppressori [...].

E sogniamo che, avendo liberato il nostro paese dall’intolleranza reli-giosa, sotto l’impero della quale l’umanità era così lungamente sanguinan-te e aveva sofferto, noi non abbiamo affatto progredito se lasciamo sussi-stere una intolleranza politica ugualmente dispotica e iniqua, e sorgente di persecuzioni anche crudeli e sanguinose [...].

Noi siamo tutti repubblicani, siamo tutti federalisti. Se vi sono tra noi di quelli che augurerebbero di sciogliere questa Unione, oppure di cambiare

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Libertà civile 191

la sua forma repubblicana, stiamo in pace per testimoniare del poco rischio che vi è nel tollerare un errore d’opinione, quando la ragione rimane libera di combatterla.

Forza del governo repubblicano So bene che alcuni spiriti sinceri temono che un governo repubblicano

non possa essere forte, e che il nostro non lo sia a suf cienza; ma l’onesto patriota, nel momento cruciale di un’esperienza felice, arriverà forse no ad abbandonare un governo che, in questo momento, ha salvaguardato la nostra libertà e la nostra stabilità, sotto l’effetto della paura teorica e chimerica che questo governo – la migliore speranza dell’universo – potrebbe eventualmente rivelarsi troppo debole per sopravvivere? Sono persuaso di no, credo invece, che il nostro governo è più forte di tutti, è il solo che vedrebbe ogni cittadino, all’appello della legge, associarsi alla bandiera della legalità e far fronte a ogni trasgressione dell’ordine pub-blico come a un’offesa personale. Si dice talvolta che l’uomo è incapace di governarsi da se stesso. Si potrà allora giudicarlo capace di governare altri uomini? Oppure avremmo noi trovato, per governarlo, degli angeli sotto forma di re? Lasciamo alla storia la cura di rispondere a questo quesito.

Restiamo quindi, con coraggio e con ducia, fedeli ai nostri principi federali e repubblicani, attaccati all’unione e al governo rappresentati-vo. Isolati, per bontà della natura e di un vasto oceano, dalla tempesta sterminatrice che decima una parte del globo; troppo eri per soffrire le degradazioni degli altri, possessori di un paese scelto, abbastanza vasto per accogliere i nostri discendenti no a migliaia di generazioni, dovutamente compenetrato del nostro diritto uguale all’uso delle nostre facoltà, ai prodotti della nostra industria, al rispetto e alla ducia dei nostri concittadini in ragione non della nostra nascita, ma dei nostri atti e dell’opinione sotto forme diverse, ma che tutte predicano l’onestà, la veracità, la temperanza, la gratitudine e l’amore del prossimo; ricono-scendo e adorando una Provvidenza onnipotente di cui tutte le disposi-zioni provano che essa gode della felicità dell’uomo quaggiù e della sua più grande felicità nell’aldilà – così colmati di benedizioni – che cosa ci occorre di più per fare di noi un popolo felice e prospero? Una sola cosa, concittadini: un governo avveduto ed economo, che impedisca agli uomini di farsi dei torti gli uni agli altri, e per il resto li lasci liberi di operare e migliorare la loro sorte, e che non prenda al lavoratore il pane che egli ha guadagnato. 410

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192 Il diritto di essere un uomo

Fine del potere assoluto presso i Cosacchi dell’Ucraina Nel 1710, i capi dei Cosacchi elessero come atamano il segretario ge-

nerale Filipp Orlyk. Nello stesso tempo venne votata una carta che isti-tuiva le basi di un regime rappresentativo. Un’assemblea comprendente, non solo i capi dell’esercito, ma anche dei deputati dei reggimenti e dei Cosacchi Zaporogi si sarebbe riunita tre volte l’anno. Veniva posta ne al potere assoluto dell’atamano sugli altri capi e di questi capi sulla popola-zione. Nessuna pena dovrebbe essere in itta senza giudizio. Le funzioni sarebbero elettive.

Patti e consuetudini delle leggi e delle libertà dell’esercito degli zaporo-gi (testo riassunto), 1847. 411

Vox populi, vox DeiSi è presa l’abitudine di dire: bisogna innalzare il popolo no a noi,

è così che noi diventeremo una nazione; tuttavia la nobiltà è in un pre-cipizio, e raggiungerla equivale, non a una elevazione, ma al contrario a una caduta. Quale illusione credere che il piccolo possa innalzare il grande: quand’anche non fosse proprio in basso, ma su una riva alta e sicura. Non sono i milioni di persone di cui si compone il popolo che devono integrarsi in questo pugno di uomini che rappresentano la no-biltà, ma il contrario.

I miei fratelli contadini non chiedono affatto dei diritti a qualcuno, oppure all’assemblea nazionale. Essi esigono che la classe privilegiata dia prova di giustizia rinunciando ai privilegi di cui si è arbitrariamen-te appropriata: allora tutti i diritti del popolo avranno forza di legge, producendo i loro effetti senza che la classe privilegiata si degni dire con condiscendenza: popolo, ecco i diritti che ti ho concesso! Da chi avrebbe la classe privilegiata ricevuto maggiori diritti? Non è Dio che ha potuto darglieli, perché allora sarebbe lui a essere ingiusto.

Mihály Táncsics, Lajos Kossuth, 1847, Ungheria. 412

I gli (talvolta due o tre) servono nell’esercito, difendono la patria, com-piono il santo e pesante dovere imposto dalla patria, e tuttavia i padri non hanno ii diritto di votare. Non è giusto che una parte della nazione abbia solo dei doveri, che sia essa a pagare le imposte e sacri chi i suoi gli, senza avere dei diritti.

Lo ripeto, è la giustizia divina che si esprime attraverso la bocca degli operai che rivendicano il diritto al voto.

Mihály Táncsics, 1869, Ungheria. 413

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Libertà civile 193

Irriducibilità Noi siamo una nazione ribelle. Tutta la nostra storia è tradimento; il

nostro sangue era impuro già prima della nostra nascita, le nostre credenze consistono nell’infedeltà alla nostra Chiesa materna; la nostra costituzione, il tradimento della nostra patria. Che importa? Se anche tutti coloro che governano il mondo ci imponessero di tradire l’uomo, e ce ne dessero l’e-sempio, noi non dovremo cedere mai.

Teodoro Parker, detto «Il Grande Predicatore Americano» (1810-1860). 414

La prima condizione della libertà La prima condizione della libertà è che ogni funzionario sia responsabile

di ogni atto che compie durante l’esercizio delle sue funzioni, di fronte a ogni cittadino, ai tribunali ordinari, e secondo la legge comune.

Friedrich Engels, Lettera ad August Bebel, 18-28 marzo 1875. 415

Democrazia contro dispotismo Dominazione e sfruttamento non sono che un solo e medesimo concetto

[...]. La sola idea del dispotismo è il disprezzo dell’uomo [...]. Il despota non vede mai gli uomini diversamente che spogliati della loro dignità [...] il principio essenziale della monarchia, è l’uomo disprezzato e disprezza-bile, l’uomo disumanizzato. Montesquieu ha il grande torto di considerare l’onore come principio della monarchia. Egli lo fa mantenendo la distinzio-ne tra monarchia, dispotismo e tirannia. Ma questi sono nomi di una sola e medesima idea, o tutt’al più delle varianti super ciali di un medesimo principio. Là ove predomina il principio monarchico, gli uomini sono con-siderati dei minorenni; là ove questo principio non è messo in dubbio, non vi sono affatto degli uomini.

Karl Marx, Lettera a Ruge, 1844. 416

Data la natura dell’idea di Stato, la sovranità deve risiedere nel popolo. Essa può risiedere tra le mani dell’imperatore, secondo i tempi e le circo-stanze, ma con il progresso della conoscenza del popolo e la prosperità del paese, essa deve, nalmente, risiedere nel popolo [...]. In Giappone, essa risiede senza dubbio nella persona dell’imperatore da più di duemilacin-quecento anni, ma si dovrebbe restituirla al popolo dietro sua richiesta fra qualche centinaia d’anni, quando la sorte del paese sarà cambiata e il popo-lo sarà unanime a voler trasformare la monarchia in democrazia.

Tatsui Baba (1850-1888), Autobiografia di Kentarô Kaneko, Giap-pone. 417

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194 Il diritto di essere un uomo

Le due condizioni della democrazia Il “principio di una larga democrazia” implica – e tutti probabilmente ne

converranno – due condizioni sine qua non: in primo luogo la totale pub-blicità, in secondo l’elezione a tutte le funzioni. Sarebbe ridicolo parlare di democratismo senza una pubblicità completa, non limitata ai membri dell’organizzazione. Noi chiameremo il partito socialista tedesco un’orga-nizzazione democratica, poiché tutto vi si fa apertamente, persino le sedute del congresso del partito; ma nessuno quali cherà d’organizzazione demo-cratica un partito ricoperto del velo del segreto per tutti coloro che non ne sono membri.

Il secondo indice del democratismo, il principio elettivo, è una con-dizione che va da sé nei paesi di libertà politica. “Sono membri del partito tutti coloro che riconoscono i principi del suo programma e so-stengono il partito nella misura delle loro possibilità”, dice il primo paragrafo degli statuti del partito social-democratico tedesco, Ognuno viene a sapere dai giornali e dalle assemblee pubbliche, se questa o quella persona riconosce o no il partito, lo sostiene oppure gli fa op-posizione. Si sa che un certo militante politico ha avuto tale o tal altro inizio, che ha seguito tale o tal altra evoluzione, che in un determinato dif cile momento della sua vita egli si è comportato in un certo modo, che si distingue per tale o tal altra qualità; pertanto tutti i membri del partito possono, con conoscenza di causa, eleggere questo militante o non eleggerlo ai vari posti del partito. Il controllo generale – nel senso stretto della parola – di ogni passo fatto da un membro del partito nella sua carriera politica crea un meccanismo che funziona automaticamente e assicura ciò che si chiama in biologia la “persistenza del più adatto”. Grazie a questa “selezione naturale”, risultato di una pubblicità asso-luta, dell’elezione e del controllo generale, ogni militante si trova in n dei conti “classi cato sulla sua tavoletta”; egli assume il compito più appropriato alle sue colpe e dimostra davanti a tutti la sua attitudine a comprendere le sue colpe e a evitarle.

Cercate un po’ di far tenere questa tavola nel quadro della nostra auto-crazia!

Lenin, Che fare?, 1902 418

“Separati ma uguali”? Nel 1896 il giudice John Marshall Harlan esprime ai suoi colleghi del

Tribunale il proprio disaccordo sul problema delle razze.Per quanto concerne i diritti civili, comuni a tutti i cittadini, il mio parere

è che la Costituzione degli Stati Uniti d’America non permette a un’au-

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Libertà civile 195

torità pubblica qualsiasi di fare distinzione di razza tra coloro che sono ammessi a bene ciare di una protezione per il godimento di questi diritti. Ogni uomo che si rispetta è ero della sua razza, e in circostanze appro-priate, quando i diritti degli altri uomini, suoi uguali davanti alla legge, non rischiano di essere colpiti, gli è lecito esprimere questa erezza e, sulla base di questo sentimento, agire come più gli piace. Ma nego a ogni organo legislativo e a ogni tribunale giudiziario il diritto di tener conto della razza di un cittadino quando i diritti civili di quest’ultimo sono in causa. Infatti, ogni legislazione come quella di cui si tratta qui è incompatibile non solo con l’uguaglianza dei diritti propria della cittadinanza relativa alla nazione o a uno Stato, ma anche con la libertà individuale, riconosciuta a ognuno sul territorio degli Stati Uniti [...].

Sembra però che noi abbiamo ancora in certi Stati una razza dominante, una classe superiore di cittadini che si arrogano il diritto di regolamentare, basandosi sulla razza, il godimento dei diritti civili comuni a tutti i citta-dini. Si può temere che questa decisione non solo favorisca le aggressioni, più o meno brutali e vessatorie, contro i diritti riconosciuti dei cittadini di colore, ma anche che essa incoraggi a pensare che è possibile, a mezzo di decreti emanati dallo Stato, di andare contro le intenzioni bene che che il popolo degli Stati Uniti aveva, quando ha adottato i recenti emendamenti alla Costituzione, uno dei quali fa dei Negri di questo paese dei cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui essi risiedono, e proibisce agli Stati di recare pregiudizio ai privilegi e alle immunità di cui essi godono in quan-to cittadini. Sessanta milioni di Bianchi non hanno nulla da temere dalla presenza di otto milioni di Negri. I destini delle due razze di questo paese sono indissolubilmente legati ed è nell’interesse degli uni e degli altri che il governo comune a tutti non permetta che i semi dell’odio razziale siano seminati con la sanzione della legge.

… … …La schiavitù in quanto istituzione tollerata dalla legge sarebbe, certa-

mente, sparita dal nostro paese, ma i diversi Stati conserverebbero il potere di ostacolare, con una legislazione iniqua, il pieno godimento dei bene ci della libertà, di regolamentare secondo la razza i diritti civili comuni a tutti i cittadini, e di collocare in uno stato di inferiorità giuridica un vasto corpo di cittadini americani che fanno attualmente parte della comunità politica, chiamata il popolo degli Stati Uniti, per il quale e dal quale, a mezzo di rappresentanti, il nostro governo è amministrato. un simile sistema è in-compatibile con le garanzie accordate dalla Costituzione.

Affaire Plessy, Stati Uniti d’America 419

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VERITÀ E LIBERTÀ

Pensiero ed espressione:diritto di pensare, di criticare, di obiettare, di dubitare;

diritto di dire, di scrivere, di pubblicare, di creare

Verità

La verga della verità ha un bel assottigliarsi, non si rompe mai. Proverbio amarico, Etiopia. 420

Dinanzi a una parola di verità, anche i torrenti si arrestano. Proverbio turco. 421

In confronto a cento pozzi al fondo dei quali dorme l’acqua dolce, val meglio un solo pozzo provvisto di gradini. A cento pozzi provvisti di gra-dini, un sacri cio yaga è preferibile. A un centinaio di tali sacri ci è prefe-ribile un buon glio, e a cento gli buoni, è preferibile una parola di verità.

Mahâbhârata, tradizione telugu, isole Mauritius. 422

Cercare la verità Non ho nulla contro il fatto che si oppongano gli uni agli altri. È così che

il vero e il giusto si scoprono meglio [...]. Bisticciatevi nché vorrete, non ve ne rimprovero. La sola condizione che vi pongo è che, con una coscien-za pura e diritta, cerchiate la verità.

La vita dell’arciprete Avvakum, scritta da lui medesimo (XVII sec.), Russia. 423

Il frutto più bello della libertà è il potere di essere vero. La libertà, il vero, si trovano là ove regnano pace e giustizia.

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198 Il diritto di essere un uomo

Jean de Muller (1752-1809), Russia. 424

Perché il sentimento religioso proceda dallo spirito di verità, bisogna essere totalmente pronti ad abbandonare la propria religione, anche se si dovesse perdere in tal modo ogni ragione di vivere, nel caso in cui essa fosse cosa diversa dalla verità. Solo in questa disposizione di spirito si può discernere se vi è in essa della verità o meno. Altrimenti non si osa neppure porre il problema nel suo rigore.

Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia. 425

Dire la verità Il mondo in cui vivo mi ripugna, ma mi sento solidale con gli uomini che

vi soffrono. Vi sono ambizioni che non sono le mie e non mi troverei a mio agio se dovessi percorrere la mia strada appoggiandomi sui poveri privilegi che vengono riservati a coloro che si aggiustano in questo mondo.

Ma mi sembra che vi è un’altra ambizione che dovrebbe essere quella di tutti gli scrittori: testimoniare e gridare, ogni volta che è possibile, nella misura del nostro talento, in favore di coloro che sono asserviti come noi.

Albert Camus, in Combat, 1948, Francia. 426

Per servire la verità LA LIBERTÀ

Sono nato libero e lo resto;Voglio così si viva e anco si muoia;E con mano libera io possoSenza questuare prendere il mio pane.Io vado ove mi piace andareAscolto ciò che mi è gradito,Vo proclamando ciò che penso,E posso amare, essere amato,Fare il ben m’è ricompensaSì, mia legge, è sol mia volontà. … … …No! che i miei giorni trovino lor neSu questa terra dove sono nato,Che ‘1 cener mio soltanto s’orniDella grandezza che ho cantato.Venga l’infante cinto di gloriaChe sulla mia tomba abbandonataCelebri così la mia memoria:“Costui, nato in questi tempi neri,

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Carco di ferri, fu il primoProfeta della libertà”.

Aleksandr Radiš ev (1749-1802), Russia. 427

VUOI SAPERE CHI SONO? Vuoi saper chi, che cosa sono? Dove vado?Quel che fui, sarò tutta la vita:Né albero, né bestia, né schiavo, soltanto un uomo, qui. Tracciar la via all’intrepido, ove mai nulla è stato;Al poeta, al pensator focoso aprir la via;Per soffocar la verità, per gettar lo spavento nel cuore dei virtuosi,D’Ilim al bagno io sto andando.

Aleksandr Radiš ev (1749-1802), Russia. 428

La forza non risiede nella forza, ma nella verità. Proverbio russo. 429

Malintesi e complessità della verità Parole messe in bocca a un personaggio immaginario, il “dottore” La gente immagina che basti dimostrare la verità, come un teorema di

matematica, per farla accettare; che basti credervi noi stessi perché gli altri vi credano. Ora, accade molto diversamente: gli uni dicono una cosa, gli altri li ascoltano e ne comprendono un’altra, perché il loro grado di evo-luzione non è lo stesso. Che cosa predicavano i primi cristiani e che cosa capiva la folla? La folla ha compreso tutto l’incomprensibile, l’assurdo, il mistico; tutto ciò che era chiaro e semplice le è stato inaccessibile; la folla ha accettato tutto ciò che legava la coscienza, e nulla di ciò che affran-cava l’uomo. Analogamente, più tardi, essa ha compreso la rivoluzione unicamente come una esecuzione sanguinosa, una ghigliottina, una ven-detta; un’amara necessità storica è diventata un grido di trionfo; alla parola “fraternità” si è accoppiata quella di “morte”; “la fraternità o la morte” è diventato una specie di “la borsa o la vita” dei terroristi. Abbiamo tanto vis-suto noi stessi, abbiamo visto tante cose e, per di più, i nostri predecessori hanno tanto vissuto per noi, che alla ne è diventato per noi imperdonabile di appassionarci, di credere che basta far conoscere il Vangelo al mondo romano per farne una repubblica democratica e sociale, come credevano gli apostoli rossi; oppure che basta stampare su due colonne una edizione illustrata dei Diritti dell’uomo perché l’uomo diventi libero.

Aleksandr Herzen (1812-1870), Lettere. 430

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200 Il diritto di essere un uomo

RACCONTO DEL CONTADINO ELOQUENTE Un contadino spogliato da un ricco osa criticare con violenza tutti i

grandi personaggi. Gli viene resa giustizia.C’era una volta un uomo che si chiamava Khunanup. Era un oasiano

dell’oasi del Sale. E aveva una moglie chiamata Méryé. E questo oasiano disse a questa sua moglie: “Ehi, tu! voglio andare in Egitto per riportarne il cibo per i miei gli. Va dunque a misurarmi l’orzo che c’è nel grana-io, quello che rimane (dell’anno passato)”. Allora essa gli misurò (otto) boccali di orzo.

E questo oasiano disse a questa sua donna: “Tieni (vi saranno) per te [...] boccali d’orzo che serviranno per il nutrimento tuo e dei tuoi gli. Con (gli altri) boccali d’orzo fammi dunque del pane e della birra per ogni giorno in cui (sarò in viaggio)”.

Allora questo oasiano discese in Egitto dopo aver caricato i suoi asini di canne, di piante-redemet, di natron, di sale, di legna (proveniente) da bacchette di àount dell’oasi di Farafra, di pelli di pantere, di pellicce di lupi, di piante-neca, di pietre-ânou, di piante khépérour, di pietre-sénet, di pietre-âba, di pietre-isba, di piante inbi, di piccioni, di uccelli,... (in breve) di una quantità di buoni prodotti di ogni specie che si trovavano nell’oasi del Sale. Questo oasiano si avviò in direzione del sud, verso Mennesou e arrivò sul territorio di Perfé , a nord di Médéni. Trovò un uomo che stava su di una diga e il cui nome era Djéhoutinekht: era il glio di un uomo chiamato Isri, un vassallo del grande intendente Rensi, glio di Meru.

Allora questo Djehutynecht disse, quando vide gli asini di questo oa-siano, che piacevano al suo cuore: “Ah! se avessi soltanto qualche poten-te idolo a mezzo del quale potermi impadronire dei beni di questo oasia-no!”. Ora la casa di Djehutynecht si trovava sul terreno presso il torrente: era piccola, non era più larga da oltrepassare la larghezza di una pezza di stoffa. L’uno dei suoi lati era ricoperto d’acqua, l’altro era coltivato d orzo. Allora Djehutynecht disse al suo servitore: “Va e portami un pezzo di tela della mia casa”. Questi gliela portò subito.

Distese allora la tela sul terreno in modo che la sua frangia arrivava a lambire l’acqua e il suo orlo l’orzo. Questo oasiano venne dunque sulla strada pubblica. E questo Djehutynecht disse: “Fa attenzione, oasiano! Hai intenzione di camminare sulle mie vesti?”. Questo oasiano rispose: “Farò ciò che ti piace, ma la strada che io seguo è la buona”. Allora questo oa-siano si avviò verso l’alto (della sponda), ma questo Djehutynecht disse: “Il mio orzo ti servirà forse da strada, o oasiano?”. Questo oasiano rispose: “La strada che io seguo è buona. La sponda è scoscesa, la strada è (in parte)

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Verità e libertà 201

coltivata a orzo, e tu ingombri ancora il nostro cammino con le tue vesti. Vuoi forse impedirci di passare sulla strada?”.

Appena ebbe nito di dire queste parole, uno degli asini riempì la sua bocca con un ciuffo d’orzo. Allora questo Djehutynecht disse: “Ecco, ora mi impadronirò del tuo asino, oasiano, perché mangia il mio orzo; e peste-rà il grano a causa del male che ha fatto”. E questo oasiano rispose: “La strada che io seguo è la buona. Siccome uno dei (lati) era impraticabile, ho condotto il mio asino sul (lato) proibito. Tu te la prendi perché ha riempito la sua bocca di un ciuffo d’orzo. Ma io conosco il proprietario di questo campo: appartiene al grande intendente Rensi, glio di Meru. È proprio lui che punisce tutti i ladri nell’intero paese: sarò io derubato proprio nella sua proprietà?”. Allora questo Djehutynecht disse: “Non sarebbe proprio questo il proverbio che la gente dice: il nome del povero è pronunciato solo a causa del suo padrone?. Sono io che ti parlo ed è il grande intenden-te al quale tu pensi”. Allora afferrò una bacchetta di Tamarisco fresco per colpirlo, e lo agellò su tutto il corpo; poi s’impadronì dei suoi asini che furono introdotti nella sua proprietà. E questo oasiano si mise a piangere molto forte a causa del cattivo trattamento che gli era stato usato; ma que-sto Djehutynecht gli disse: “Non alzare la voce, oasiano, perché tu sei (sul cammino che conduce) alla dimora del Padrone del silenzio”. E l’oasiano rispose: “Tu mi batti, tu rubi il mio bene e poi mi togli ancora il lamento dalla bocca! Oh Padrone del silenzio rendimi ciò che mi appartiene e così cesserò di disturbarti con le mie grida”.

E l’oasiano continuò per dieci giorni a supplicare Djehutynecht senza che costui gli prestasse attenzione [...].

Allora l’oasiano venne a supplicare il grande intendente Rensi, glio di Meru, dicendo: “Grande intendente, mio Signore [...] permetti che io ti faccia in questo paese una rinomanza al di sopra per no di ogni buona legge, o guida esente da rapacità, oh grande esente da bassezza! Annienta la menzogna, dona l’esistenza alla verità. Vieni alla voce di colui che chia-ma, abbatti il male. Io parlo perché tu intenda. Fa’ giustizia, oh tu che sei lodato da coloro che sono lodati. Distruggi la mia miseria, perché io sono accasciato dal dolore, sono indebolito per causa sua; prendi cura di me, perché io sono nella povertà”.

Ora, l’oasiano teneva questo discorso ai tempi della Maestà del re Nebkaurè [...]. E il grande intendente Rensi, glio di Meru, andò dinanzi a sua Maestà a dire: “Mio Signore, he trovato uno di questi oasiani buon parlatore in verità: egli è stato spogliato dei suoi beni da un uomo che è al mio servizio, ed ecco che è venuto a supplicarmi a questo proposito”. Sua Maestà rispose: “Come tu desideri vedermi in salute, trattienilo qui e

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202 Il diritto di essere un uomo

trascina l’affare in lungo, senza rispondere a tutto ciò che egli potrà dire. E per quanto egli continui a parlare, tu taci. E poi le sue parole ci siano riferite per iscritto [...]. Assicura tuttavia il mantenimento di sua moglie e dei suoi gli, perché questi oasiani (non) vengono (affatto in Egitto) prima che la loro casa non sia vuota no al suolo. Assicura anche il manteni-mento dello stesso asino. Tu veglierai af nché gli siano date provviste, ma senza lasciargli sapere che sei stato tu a dargliele”. Così gli donarono dieci pani e due boccali di birra ogni giorno. Il grande intendente Rensi, glio di Meru li forniva, ma li passava a uno dei suoi amici ed era costui

a darglieli (all’oasiano). Poi il grande intendente Rensi, glio di Meru inviò (un emissario) al governatore dell’oasi del Sale al ne di assicurare il nutrimento della moglie di questo oasiano, in ragione di tre misure (d’orzo) al giorno.

Allora l’oasiano lo supplicò una seconda volta, dicendo: “Grande in-tendente, mio Signore [...] gli alti funzionari agiscono male. La rettitu-dine pende da un lato; i giudici rubano. E questo ancora: colui che deve catturare un uomo che ha commesso qualche impostura si scarta anch’e-gli su questo punto dalla retta via [...]. Colui che deve dividere secondo giustizia è un ladro. Colui che deve allontanare il bisogno è colui stesso che l’accresce, (al punto che) la città ne è sommersa. Colui che deve re-primere il male commette (egli stesso) l’iniquità”.

Allora il grande intendente Rensi, glio di Meru, disse: “Il tuo bene è per il tuo cuore qualche cosa di più importante che (il rischio) di essere arrestato da uno dei miei servitori?”. Ma questo oasiano proseguì: “Il misuratore del grano compie frodi a suo bene cio. Colui che riempie (dei granai) per un altro, ruba i beni di quest’ultimo. Colui che deve insegnare l’applicazione delle leggi comanda il furto. Chi dunque si opporrà alla perversità quando colui che deve respingere l’ingiustizia si permette (lui stesso) delle manchevolezze? L’uno sembra essere dritto, pur andando per vie tortuose: l’altro aderisce (apertamente) al partito del male. Trovi tu in ciò (qualcosa) per te? [...]. Colui che possiede delle rendite (può ben) essere compassionevole, ma un malfattore è (forzatamente) violen-to. Rubare è naturale per colui che non ha nulla, come pure appropriarsi dei beni da parte di un malfattore. Ciò è un crimine (agli occhi di) colui che non ha dei bisogni! (Ma) non si deve volergliene (al ladro): egli non fa che cercare per se stesso (i mezzi di sussistenza). Tu, per contro, tu hai di che saziarti con il tuo pane, di che ubriacarti con la tua birra”.

… … …Allora questo oasiano venne a supplicarlo per una terza volta, dicendo:

“Grande intendente, mio Signore [...] respingi il ladro, proteggi il misera-

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Verità e libertà 203

bile, non colpire chi ti supplica con la violenza dell’inondazione. Preoc-cupati dell’avvicinarsi dell’eternità! Desidera di vivere a lungo secondo il proverbio ‘Praticare l’equità è vivere!’.

… … …“Tu sei come un miserabile lavandaio dal cuore rapace, che fa torto a un

amico, che abbandona uno dei suoi intimi in favore di un suo cliente: colui che è venuto a portargli (un’ordinazione) è suo fratello.

“Tu, tu sei come un passatore che (non) lascia attraversare (se non) colui che ha di che pagare il prezzo del passaggio, un giusto di cui la giustizia è ridotta al nulla [...].

“Tu, tu sei (come) un falco per gli uomini, che vive mangiando i più deboli uccelli.

“Tu, tu sei come un cuoco, per il quale uccidere (degli animali) è una gioia senza che la loro mutilazione possa essergli rimproverata.

… … …“Tu che devi udire non odi affatto; perché dunque non senti? Oggigiorno

certamente io ho respinto un violento; il coccodrillo si ritira. Quale sarà dunque per te il risultato di ciò? Si troverà bene il segreto della verità, e la schiena della bugia sarà messa a terra. Non disporre del domani prima che sia giunto; nessuno sa quali mali vi sono in lui”.

Ora questo oasiano teneva questo discorso al grande intendente Rensi, glio di Meru, all’ingresso degli uf ci. Allora questi fece andare contro di

lui due guardie armate di frusta che gli fustigarono tutte le membra. E que-sto oasiano disse: “In questo modo il glio di Meru percorre (ancora) una strada sbagliata? Il suo volto è cieco di fronte a ciò che vede, sordo è quello che ode, distratto riguardo a ciò che gli è stato ricordato”.

… … …Allora questo oasiano venne a supplicarlo una quarta volta. Poiché l’a-

veva trovato mentre usciva dal portale del tempio di Arsafè, egli disse: “Oh lodato, che ti lodi Arsafè, al cui tempio sei venuto! Il bene è perito; non vi è (per contro) nessuno che possa vantarsi di aver gettato a terra la schiena della bugia”.

… … …Allora l’oasiano venne a supplicarlo una quinta volta, dicendo: “Grande

intendente, mio Signore [...]. Non derubare un povero di ciò che possiede, un uomo debole che tu conosci. Per un miserabile i suoi beni sono un sof- o (di vita); colui che glieli prende lo soffoca. Tu sei stato collocato per

ascoltare le questioni, per giudicare le parti, per punire il brigante. Ma non fai altro che dar il tuo appoggio al ladro”.

… … …

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204 Il diritto di essere un uomo

Allora questo oasiano venne a supplicarlo una sesta volta, dicendo: “Grande intendente, mio Signore, ogni inchiesta fatta imparzialmente dal giudice distrugge l’effetto della bugia, dona esistenza alla verità, crea ogni bene e annienta il male, come quando giunge la sazietà viene a far cessare la fame, come quando arrivano gli abiti e fanno cessare la nudità, come quando il cielo si rasserena dopo un violento temporale e riscalda tutti co-loro che hanno freddo, come il fuoco che cuoce gli alimenti, come l’acqua che estingue la sete”.

… … …Allora quest’oasiano venne a supplicarlo una settima volta dicendo:

“Grande intendente, mio Signore, tu sei il governatore dell’intero paese; il paese naviga ai tuoi ordini. Tu sei un secondo esemplare di Tot, che giu-dica senza inchinarsi da un lato. Signore, sii benevolo quando un uom o si rivolge a te per (giudicare) la sua giusta causa [...].

“Come una breccia in una diga, e l’acqua che essa contiene se ne fugge, (così) la mia bocca si è aperta per parlare. Allora ho manovrato il mio sba-glio, ho vuotato la mia acqua, mi sono sbarazzato da ciò che era nel mio corpo, ho lavato i miei vestiti sporchi. Il mio discorso è terminato; la mia miseria si è distesa completamente dinanzi a te. Di che cosa tu dunque hai ancora bisogno?”.

… … …Allora questo oasiano venne a supplicarlo per l’ottava volta, dicendo:

“Grande intendente, mio Signore, si può cadere molto in basso a causa dell’avidità. L’uomo avido (spesso) non raggiunge lo scopo; il (solo) scopo che egli raggiunge è l’insuccesso. Tu sei avido, e questo non ti sazia; tu rubi, e questo non ti porta vantaggio; tu che dovresti permettere a un uomo di alzarsi per (difendere) il suo buon diritto. Poiché ciò che ti occorre per il tuo mantenimento è nella tua casa; tu hai lo stomaco ben ripieno; la misura per il grano straripa e se vacilla, quanto ne sfugge sarà perduto per il paese [...].

La giustizia è per l’eternità; essa discende nella necropoli con colui che la pratica [...].

Sia che venga io, sia che venga un altro, fa(gli) buona accoglienza. Non rispondere (a ciò che dirà) come qualcuno che si rivolge a un uomo che non ha il diritto di parlare; non attacca un uomo che non attacca.”

… … …Allora questo oasiano venne a supplicarlo per la nona volta, dicendo:

“Grande intendente; mio Signore, la lingua degli uomini è la loro bilancia; è la bilancia che scopre le manchevolezze.

“... Non essere parziale e non ascoltare il tuo cuore. Non coprire il tuo volto di fronte a colui che tu conosci. Non essere cieco di fronte a colui

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Verità e libertà 205

che (una volta) hai guardato. Non respingere colui che viene a te suppli-cando [...].

“Colui che denuncia diventa un povero miserabile e il miserabile è de-stinato a essere un supplicante: (il suo) avversario diventa (il suo) uccisore. Vedi, ti rivolgo una supplica e tu non l’ascolti. Andrò quindi a rivolgere una supplica nei tuoi riguardi ad Anubis.”

Allora il grande intendente Rensi, glio di Meru, inviò due guardie per farlo ritornare sui suoi passi. E questo oasiano ebbe paura, perché s’immagi-nava che faceva ciò per punirlo di questi discorsi che egli aveva tenuto [...].

Ma il grande intendente Rensi, glio di Meru, disse: “Non temere, oa-siano; poiché se si è fatto questo contro di te (era solamente) per obbligarti a restare con me”. E questo oasiano rispose: “Per il mio volto: dovrò allora mangiare del tuo pane, bere la tua birra no all’eternità?”. Il grande inten-dente Rensi, glio di Meru, riprese: “Aspetta almeno un poco qui perché tu possa ascoltare le tue suppliche”. Ed egli le fece leggere svolgendo un nuovo rotolo di papiro, ogni supplica secondo il suo contenuto. Poi il gran-de intendente Rensi, glio di Meru, fece avere (questo rotolo) alla Maestà del re Nebkaurè [...] e ciò fu gradito al cuore (di sua Maestà) più di ogni cosa che si trova nell’intero paese. E (sua Maestà) disse: “Decidi tu stesso, glio di Meru”.

Allora il (grande intendente) Rensi, glio di Meru, mandò due guar-die perché (conducessero Djehutynecht). Egli fu quindi condotto e venne redatto un inventario dei (suoi beni e della) sua (gente, cioè): sei persone senza contare [...].

La ne del manoscritto è molto sciupata. Si capisce tuttavia che tutti i beni di Djehutynecht furono donati all’oasiano, mentre Djehutynecht stes-so e anche tutti i suoi ne diventarono i servitori.

Antico Egitto ( ne del III millennio a.C.). 431

Diritto di presentare delle obiezioni Se accade che si ingiunga a un fratello di fare cose dif cili o impossi-

bili, egli accetterà con molta mansuetudine e obbedienza il comando che gli è stato fatto. Tuttavia, se giudica che il peso del fardello oltrepassi in-teramente la misura delle sue forze, egli farà presente al superiore le ra-gioni della sua impotenza, ma lo farà con pazienza e a proposito, senza dimostrare né orgoglio, né resistenza, né contraddizione. E se, dopo questa obiezione, il superiore mantenesse il suo ordine, l’inferiore si persuaderà che la cosa è per il suo vantaggio, e obbedirà con amore, mettendo la sua ducia nell’aiuto di Dio.

Regola di San Benedetto. 432

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206 Il diritto di essere un uomo

Obiezioni e obbedienza Non è tuttavia mancare alla perfezione dell’(obbedienza) l’esporre (dopo

di aver ardentemente pregato Dio) in che cosa la vostra opinione differi-sce dalla sua (quella del Superiore). A condizione tuttavia che i dipendenti non si sforzino d’imporre la loro volontà a quella del Superiore e che essi siano pronti, con cuore e anima non solo ad accettare ogni decisione che il Superiore, così informato, giudicherà opportuno di prendere, ma ancora ad approvarla e a considerarla migliore.

Epitome della Società di Gesù, 1689. 433

Signor Presidente, trovo in un piccolo volume alcune righe di cui ecco qui circa il tenore:

Dolce è il nome della libertà, ma essa stessa è un tesoro inestimabile. Pertanto noi dobbiamo vegliare in modo speciale per non perdere, cullan-doci nella dolcezza della parola, il bene più prezioso di cui possa inorgo-glirsi questo nobile regno. È cosa senza prezzo il poter in questa casa usare effettivamente di questo bene.

... Accade talvolta in questo recinto che, per illuminare il dibattito, un uomo dabbene si faccia avvocato di una cattiva causa, nella speranza di fare così sorgere una verità nascosta ed evitare il male; ne concludo che in que-sta casa, che viene considerata quella della libertà di parola, nulla è tanto necessario quanto la libertà di parola per la protezione del principe e dello Stato; se essa non esistesse, sarebbe burlarsi del mondo il dare alla nostra assemblea il nome di Parlamento; perché questa casa sarebbe allora solo più una scuola di adulazione e di dissimulazione, in cui si troverebbe tutto ciò che occorre per servire il diavolo e il suo seguito, ma non per glori care Dio e fare il bene dello Stato [...]. Vi sono specialmente, Signor Presidente, due cose che fanno molto male a questa casa e di cui voglio ora parlarvi. La prima, sono le dicerie che in essa corrono dicendo questo: “Fate attenzione a ciò che fate; Sua Maestà la Regina non condivide questa o quell’opinione, e chiunque difenderà questa opinione incorrerà nella sua collera”; oppure ancora: “Attenzione. Sua Maestà la Regina è di tale o tal altra opinione, e chiunque esprimerà un parere contrario incorrerà nella sua collera”. La se-conda, sono le bugie che ci pervengono talvolta qui e che, contenendo degli ordini o delle interdizioni, portano grave pregiudizio alla libertà di parola e di consultazione. Vorrei, Signor Presidente, vedere, a Dio piacendo, questi rumori e messaggi all’inferno; è infatti certo che sono cose cattive: perché il loro primo autore è il diavolo, dal quale nulla procede che non sia cattivo.

Dichiarazione di Peter Wentworth alla Camera dei Comuni, 1576, In-ghilterra. 434

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Verità e libertà 207

Per la difesa dei libri Non nego che sia del massimo interesse per la Chiesa e per la Repub-

blica sorvegliare con sguardo vigilante la condotta dei libri come si fa per quella degli uomini, e in seguito trattenerli, imprigionarli e punirli col più grande rigore, come dei malfattori. Perché i libri non sono cose assoluta-mente morte; essi hanno in sé un principio di vita altrettanto attivo quanto l’anima da cui sono usciti; ed essi conservano anche, come in una boccetta, l’ef cacia e l’essenza più dura del cervello vivente da cui sono usciti. So che sono anche pieni di vita e anche vigorosamente fecondi quanto i denti del dragone della favola: vengono seminati qua e là, ne usciranno forse de-gli uomini armati. D’altro canto tuttavia – a meno di dar prova di prudenza – distruggere un buon libro è quasi uccidere un uomo; chiunque uccide un uomo, uccide una creatura dotata di ragione, l’immagine di Dio; ma chiun-que distrugge un buon libro, uccide la ragione stessa, uccide l’immagine di Dio come se gli avesse inferto un colpo in un occhio. La vita al di là della vita. A dire il vero, nessun secolo può restaurare una vita, la cui sparizione non costituisce forse una grande perdita; e, con l’andar degli anni, è raro che sia riparata la perdita di una verità che è stata respinta, la cui assenza è dannosa per intere nazioni. Dovremmo quindi mostrarci prudenti nelle nostre critiche riguardo ai lavori viventi degli uomini pubblici, nel nostro modo di sciupare questo succo vitale dell’esperienza umana, che è con-servato e immagazzinato nei libri, perché vediamo che si può commettere anche una specie di omicidio, esporre al martirio e, se si tratta della totalità degli esemplari stampati, arrivare a una specie di massacro, che non ha per effetto di distruggere una vita elementare, ma che colpisce questa quintes-senza eterea, il sof o della ragione stessa, e che annienta una immortalità piuttosto che un’esistenza.

John Milton, Areopagitica, 1644, Inghilterra. 435

La libertà e il diritto di dubitare Si è fatto molto rumore riguardo alla libertà di pensiero e nel corso delle

discussioni; degli uomini hanno dato prova di uno spirito che non risiede né nel carattere dei membri del clero, né in quello dei buoni cittadini, uno spirito arbitrario e tirannico sotto la maschera di uno zelo religioso e uno spirito presuntuoso e fazioso sotto quello della libertà. Se i primi potevano vincere, imporrebbero una fede implicita e una obbedienza cieca e istitu-irebbero una inquisizione per mantenere questa abietta servitù. Affermare l’esistenza degli antipodi potrebbe ridiventare altrettanto eretico quanto l’arianesimo o il pelagianesimo; e degli uomini potrebbero, come Galileo, essere gettati nelle prigioni di qualche Sant’Uf zio per aver detto di aver

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208 Il diritto di essere un uomo

veduto ciò che in realtà hanno veduto e che qualsiasi altra persona potrebbe vedere se lo desiderasse. Se i secondi potessero vincere, distruggerebbero immediatamente l’in uenza della religione, sconvolgendone le sue fon-damenta, gettate dall’educazione. Ecco degli estremi molto lontani l’uno dall’altro. Non vi è una via di mezzo che potrebbe essere seguita da un uomo ragionevole e buon cittadino? Io penso che questa via esista.

Ognuno ha il diritto incontestato di pensare liberamente; ma vi è di più: ognuno ha il diritto di farlo, nella misura in cui ne ha il mezzo e la possi-bilità. Questo dovere, inoltre, non è mai tanto imperioso per lui come nei casi che concernano quella che io chiamo la loso a primaria. Coloro che non hanno né mezzi né occasioni di questo genere, devono sottomettere le loro opinioni all’autorità; e a quale autorità possono sottomettersi più giu-stamente e con maggior sicurezza se non quella delle leggi e della costitu-zione del loro paese? In generale, nulla può essere più assurdo che adottare duciosamente delle opinioni della massima importanza, che ci riguardano

nel modo più intimo. Ma in numerosi casi particolari è impossibile sfuggir-vi. Le cose più assurde dal punto di vista speculativo diventano necessarie nella pratica. Gli uomini sono fatti così, e la ragione li scusa a causa di que-sta necessità. La ragione fa per no un po’di più, ed è tutto ciò che può fare. Essa dà il migliore orientamento possibile all’assurdità: in tal modo incita coloro che devono credere perché non possono sapere, a credere alle leggi del loro paese e a confermare le loro opinioni e la loro condotta a quelle dei loro antenati, a quelle di Corunciano, di Scipione, di Scevola, e non a quelle di Zenone, di Cleante, di Crisippo.

Ma la ragione che conferisce simile saggezza a tali uomini, darà un orientamento del tutto opposto a coloro che hanno i mezzi e le occasioni che mancano agli altri. Lungi dal consigliare loro di assoggettarsi a questa servitù intellettuale, darà loro il consiglio di impiegare tutta la loro attivi-tà, di manifestare la massima libertà di pensiero, e di non appoggiarsi ad alcuna autorità se non alla propria, cioè la loro. Parlerà a essi il linguaggio dei Su , setta di loso persiani di cui alcuni viaggiatori hanno parlato. “Il dubbio – dicono questi saggi e onesti liberi pensatori – è la chiave del sapere. Chi non dubita mai, non esamina mai: chi non esamina mai, non scopre nulla; chi non scopre nulla è cieco e lo rimarrà. Se tu non vedi al-cuna ragione di dubitare delle opinioni dei tuoi padri, attieniti a loro, che ti basteranno. Se vedi una ragione qualunque per dubitarne, cerca tranquil-lamente la verità, ma sta attento a non turbare lo spirito di altri uomini”.

Conformiamoci nel nostro agire a queste massime. Cerchiamo la veri-tà, ma facciamolo tranquillamente e liberamente. Non lasciamoci andare a immaginare, come taluni chiamati liberi pensatori, che ogni uomo in grado

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Verità e libertà 209

di pensare e giudicare da sé, come è suo diritto, abbia anche per ciò stesso il diritto di parlare e di agire secondo la completa libertà del suo pensiero. La libertà gli appartiene, in quanto è creatura dotata di ragione; in quanto membro della società, egli è tenuto alla riservatezza.

Henry St.-John Bolingbroke, Lettera ad Alexander Pope, 1730, Inghil-terra. 436

Primato della verità Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza

sono vecchie come le montagne. Tutto ciò che ho fatto è stato di tentare di realizzare delle esperienze, in questi due campi, sulla più vasta scala possi-bile. Così facendo, talvolta ho sbagliato, e i miei errori mi hanno insegnato molte cose. La vita e i suoi problemi sono così diventati per me altrettan-te esperienze nella pratica della verità e della non-violenza. Se il gusto della verità è istintivo in me, non accade lo stesso per la non-violenza. come diceva un giorno molto giustamente un muni giainista, io ero meno portato all’ahimsa che alla verità, e facevo passare la verità davanti alla non-violenza. Perché, come diceva questo muni, io sono capace di sacri -care la non-violenza alla verità. Infatti, è proprio cercando la verità che ho scoperto la non-violenza.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 437

Censura morale Bisognerebbe anche sopprimere tutte le occasioni e tutti gli strumenti di

corruzione dell’anima umana, cioè: 1. i dipinti e i disegni indecenti che si trovano nei libri o altrove; bisogna

assicurarsi che essi non possano cadere sotto gli occhi di nessuno; 2. le canzoni profane, sensuali, lascive; 3. i racconti fantasiosi (come la storia di Amadigi o quella di Melusina)

e tutte le opere immorali, perché sono quelle che diffondono l’ateismo; 4. gli spacci di bevande, taverne e cabarets, che non dovrebbero essere

tollerati sotto nessun pretesto; 5. bisognerebbe anche sbarazzare la società di tutti gli usurai, specula-

tori, e altri parassiti e vampiri dello stesso genere; e conviene dimostrare ancora minore indulgenza nei confronti dei giuocatori, astrologi, giullari, commedianti, danzatori sulla corda e altri ciarlatani e imbroglioni, che vi-vono a spese degli altri.

Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio catholica, XVII sec. 438

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210 Il diritto di essere un uomo

Censura politica In verità la sola spiegazione che possiamo dare di questa legge provvi-

soria sulla stampa è che essa è stata promulgata al ne di insegnare – prov-visoriamente – agli scrittori a mantenere il silenzio e, quando vi saranno completamente riusciti, alla ne di questo periodo di prova, a tacere per davvero.

Se durante il periodo di applicazione di questa legge gli scrittori ce-chi pretendessero ancora di presentarsi, sotto ogni punto di vista, quali campioni della verità, sarà loro necessario per questo di essere come Jan Žižka, poiché la legge minaccia di inviarli per un nonnulla sul banco degli accusati.

La saggezza consiglia al redattore capo di pregare il governo di auto-rizzarlo benevolmente a recarsi direttamente in prigione coi suoi mobili e di istallarvi i suoi uf ci. Altrimenti per un giornale politico di media importanza occorreranno circa quattro redattori: due per scontare le pene, un terzo per sedersi sul banco degli accusati e un quarto per dirigere effet-tivamente la redazione. Ma quest’ultimo dovrebbe guardarsi bene dal bere il più piccolo bicchiere di champagne per paura che questa bibita faccia zampillare in lui una scintilla di spirito francese; perché allora anche una équipe due volte più numerosa non sarebbe suf ciente a far andare avanti il giornale. Inoltre l’editore dovrebbe aver molte miniere d’oro per pagare le multe sul reddito che ne trarrebbe. Il redattore che non fosse un uomo di paglia e il cui cuore bruciasse d’amore per l’umanità, non sarebbe quasi mai nel suo uf cio; al contrario lo si troverebbe spesso in prigione, dove, supponendo che sia stato abbronzato al sole della libertà, avrebbe ogni pos-sibilità di schiarirsi il colorito.

… … …Se volesse evitare di udire il cigolio delle porte della prigione, lo scritto-

re non potrebbe esprimere la minima critica all’oppressione esercitata dai lacchè del potere. Gli articoli politici che egli scrivesse non sarebbero che castelli di carte che il più semplice scrittore straniero, che viva in un paese libero, potrebbe far crollare d’un sof o. Beninteso, questo non sarebbe af-fatto conforme all’interesse del popolo e la nazione rischierebbe di ricadere nelle tenebre. Ma, come ognuno sa, il nostro popolo si è in ammato per la politica e ha la passione della verità; così non potrebbe affatto accontentar-si di un tale stato di cose.

Emanuel Arnold, scrittore ceco, Legge provvisoria sulla stampa, 1849. 439

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Verità e libertà 211

Non è certamente facile determinare ciò che è falso o nocivo in mate-ria di stampa. È accaduto che degli ignoranti si beffassero di scritti molto sapienti, mentre altri li maledivano e altri ancora volevano gettare i loro autori in prigione. Finalmente poi ci si è accorti che la verità non era dal lato del potere.

… … …Vi sono delle idee e delle opinioni che non si ha il diritto di considerare

con dif denza perché questo passerebbe per un peccato. Vi sono delle idee e delle opinioni che una canaglia egoista, ma abile, una raccolta di briganti che si mescolano ai veri difensori della verità, sostengono con tutte le loro forze e con tutti i mezzi, e impongono al popolo credulone. Drappeggiati nella loro magni cenza, convinti della propria eminenza e infallibilità essi fanno prosperare la menzogna e il dispotismo.

Karel Sabina (1813-1877), scrittore ceco. 440

Servilismo Il tiranno e i loso : Io agirò e voi giudicherete i miei atti. Karel apek (1890-1938), scrittore ceco. 441

Dichiarazione regale del 10 maggio 1728 Art. 2. – Vogliamo che tutti gli stampatori che saranno giudicati rei d’a-

ver stampato, a qualsiasi titolo, opere o scritti privi di privilegi e di permes-si, a proposito di dispute nate o da nascere, in materia di religione, e spe-cialmente coloro che fossero contrari alle bolle ricevute nel Nostro Regno, al rispetto dovuto al Nostro Santo Padre il Papa, ai Vescovi e alla Nostra Autorità, siano condannati, per la prima volta a essere messi alla berlina e per no a una pena maggiore, se è il caso, senza che la suddetta pena possa essere moderata per qualsiasi pretesto. In caso di recidiva, ordiniamo che i suddetti stampatori siano inoltre condannati alle galere per cinque anni, e questa pena non potrà ugualmente essere condonata né moderata.

… … …Art. 4. – Vogliamo che coloro che saranno giudicati rei di aver compo-

sto e fatto stampare quelle opere o scritti indicati negli articoli precedenti, quali perturbatori della pace pubblica, siano condannati, per la prima volta a essere banditi per un determinato periodo fuori della competenza del Par-lamento dove saranno giudicati; e in caso di recidiva, a essere banditi in perpetuo dal Nostro Regno.

Francia. 442

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212 Il diritto di essere un uomo

Libertà della stampa? Tutto il decreto sulla stampa può essere riassunto in una riga: io per-

metto che tu parli, ma esigo che tu taccia. I tre quarti dei giornalisti repub-blicani deportati o esiliati, i rimanenti braccati dalle commissioni miste, dispersi, erranti, nascosti qua e là, in quattro o cinque giornali che soprav-vivono indipendenti, ma spiati, sulla testa dei quali pende il randello di Maupas, quindici o venti scrittori coraggiosi, seri, puri, onesti, generosi, che scrivono con la catena al collo e la palla al piede; il talento tra due fazioni, l’indipendenza imbavagliata, l’onestà guardata a vista, e Veuillot che grida: “Sono libero!”.

Dettaglio prezioso: il Signor Bonaparte voleva che Arago giurasse! Sap-piatelo: l’Astronomia deve prestar giuramento. In uno Stato ben regolato come la Francia o la Cina, tutto è funzione, per no la scienza. Il mandarino dell’Istituto dipende dal mandarino della Polizia. La grande lente a piede parallassico deve rendere omaggio al Signor Bonaparte. Un astronomo è una specie di guardia civica del cielo. L’Osservatorio è una garitta come un’altra. Bisogna sorvegliare il buon Dio che è lassù e che sembra talvol-ta non sottomettersi completamente alla Costituzione del 14 gennaio. Il cielo è pieno di allusioni sgradevoli e ha bisogno di essere tenuto sotto sorveglianza. La scoperta di una nuova macchia del sole costituisce evi-dentemente un caso da censura. La predizione di un’alta marea può essere sediziosa. L’annuncio di un’eclisse di luna può essere un tradimento. Noi siamo un po’ come la luna all’Eliseo. L’astronomia libera è almeno tanto pericolosa quanto la stampa libera. Sappiamo forse che cosa accade in quei “tête à tête” notturni tra Arago e Giove? [...].

E poi, l’abbiamo detto, si è fatalisti quando si è Bonaparte; il grande Napoleone aveva una stella, il piccolo deve pur avere una nebulosa! Gli astronomi sono certamente un poco astrologi. Prestate giuramento, Signo-ri! È ovvio che Arago ha ri utato.

Victor Hugo, Napoleone il piccolo, 1850. 443

Siccome, per godere della libertà, bisogna che ognuno possa dire ciò che pensa, e che, per conservarla bisogna anche che ciascuno possa dire ciò che pensa, un cittadino in questo Stato dirà e scriverà tutto ciò che le leggi non gli avranno espressamente proibito di dire o di scrivere.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 444

In che cosa consiste lo stampare? Ogni ostacolo posto al progresso delle informazioni è un male. La stampa

sia quindi libera. Anzitutto non si può limitare questa libertà senza ostacolare

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Verità e libertà 213

l’esercizio dei diritti naturali. Che cosa signi ca infatti stampare? Signi ca sottoporre agli occhi degli altri uomini le proprie opinioni, le proprie idee. Ora che cosa vi è in quest’azione di contrario ai diritti degli altri? D’altronde l’esame delle opinioni, dei pensieri di un altro non è forse una delle strade che possono condurre alla verità? Essa è un bene reale, e perciò la società non può avere il diritto di privare nessun individuo di un mezzo di conoscer-la. Il pericolo dell’abuso della stampa è nullo. Se si tratta di opinioni generali, ogni verità è utile, e un errore stampato non può essere pericoloso a meno che non si sia liberi di attaccarlo. Si tratta di discutere dei diritti particolari, delle azioni che hanno qualche in uenza sull’ordine pubblico? Sarebbe questo il momento in cui le restrizioni alla libertà di stampa diverrebbero ancora più tiranniche, poiché, al diritto generale di esporre le proprie idee, si unisce qui il diritto, non meno sacro, di discutere i propri interessi.

Si esamini quindi, secondo i princìpi del diritto naturale, in quale caso uno stampato può essere un crimine; si ssi allora, come per gli altri delitti, in che cosa consiste; si determinino i mezzi per constatarlo, o lo si assog-getti a una pena. Ma ogni cittadino possa conservare il diritto di stampare come quello di usare a proprio vantaggio uno strumento utile, di cui po-trebbe abusare per commettere un delitto.

Nicolas de Condorcet, Vita di Turgot, 1786. 445

Pericolo delle proibizioni Discorso per la difesa di A. H. Rowan, incolpato per aver pubblicato un

libello sedizioso Da quali calamità il popolo è preservato quando gli è assicurato il libero

accesso all’informazione? Vi dirò, signori, da che cosa egli è preservato e da che cosa è preservato il governo; vi dirò anche a che cosa l’uno e l’altro sono esposti se questo libero accesso è proibito [...]. Se dubitate delle ter-ribili conseguenze che implica la proibizione di esprimere anche solo una scontentezza individuale, volgete i vostri sguardi verso i paesi asserviti dove simili limitazioni si suppone assicurino la protezione del dispotismo. La persona stessa del despota non è mai al sicuro. Né i timori del despota, né le macchinazioni dello schiavo conoscono riposo, poiché l’uno antici-pa il momento del pericolo, l’altro spia l’occasione per attaccare. La crisi fatale è ugualmente una sorpresa per tutti e due: l’istante decisivo arriva bruscamente, senza avvertire, affrettato dalla follia dell’uno o dalla fre-nesia dell’altro, e nulla annuncia il tradimento no al momento in cui il traditore agisce.

... La stampa soffocata, il popolo asservito e il principe perduto! Per questo, in qualità di difensore della società, della pace, della libertà inte-

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214 Il diritto di essere un uomo

riore e dell’unione duratura dei due paesi, vi scongiuro di salvaguardare la libertà della stampa, questa potente sentinella dello Stato, questa grande scopritrice dell’impostura pubblica; preservatela, perché, se essa scompa-re, scompariranno con lei in una medesima tomba la libertà del suddito e la sicurezza della Corona.

John Philpot Curran, 29 gennaio 1794, Irlanda. 446

Uomo o soggetto MARCHESE DI POSA

Io non posso essereil servo del principe.(Il re lo guarda stupito).Sire, io non voglio ingannare il compratore. Se voi vi degnate di im-

piegarmi, voi vorrete solo azioni già determinate. Voi vorrete sul campo il mio braccio e il mio coraggio, nel ministero il mio consiglio. Non le mie azioni in sé, ma il plauso del re dovrebbe essere di tali azioni la mèta. Per me, invece, la virtù ha un suo intrinseco valore... Io amo l’umanità, e sotto le monarchie non dovrei amare che me stesso.

RE: Lodevole è questo fuoco. Volete fare del bene. Al patriota e al saggio è indifferente come lo farete. Cercatevi nel mio regno il posto che vi con-senta di soddisfare al nobile impulso.

MARCHESE: Lo troverò. RE: Perché? MARCHESE: Il bene che la Maestà vostra distribuirebbe per mano mia è

forse il vero bene degli uomini? Quel bene che il mio puro amore per gli uo-mini invoca? Davanti a un tal bene tremerebbe il trono: ben diverso è quello creato dalla corona, che la corona è in grado di distribuire, e che è capace di soddisfare gli appetiti della corona suscitati nei cuori. Nelle sue monete esso conia la verità; la verità che essa può tollerare; e tutti gli stampi che non son come il suo, essa li respinge. Ma forse a me basta ciò che appaga la corona? Può il mio amore fraterno prestarsi a defraudare il mio fratello? Posso crede-re che egli sia felice prima che gli sia concesso di pensare? No, sire, non me scegliete a distribuire il bene da voi coniato. Devo ri utarmi di spacciare tale moneta. Io non posso essere il servo del principe.

Peccato però che, mentre trasformavate l’uomo da creatura di Dio in creazione vostra, e a questo individuo di nuova formazione davate voi stes-so come Iddio, in una cosa vi siete sbagliato: voi siete rimasto un uomo, un uomo creato da Dio. Come un mortale, quindi, proseguiste a soffrire e a desiderare. Voi avete bisogno di simpatia, sire; ora a un Dio si sacri ca, davanti a un re si trema, lo si prega. O deplorevole scambio! Disgraziato

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Verità e libertà 215

stravolgimento della natura! Avendo abbassato l’uomo a istrumento ac-compagnatore del canto, chi risponderà al vostro canto?

RE: (a parte). Per Dio! Costui mi prende l’anima. MARCHESE: Ma per voi nulla conta questo olocausto. Perciò siete unico,

creazione di voi stesso, e a questo prezzo siete un Dio. Ma non sarebbe ter-ribile se questo non si avverasse, se in cambio di un tal prezzo, in cambio della calpestata felicità di milioni di uomini, voi non aveste guadagnato nulla? Se la libertà che avete distrutta fosse la sola cosa che potrebbe appa-gare i vostri desideri? Sire, vi prego di congedarmi.

Friedrich Schiller, Don Carlos, Atto III, scena X, 1787. 447

Siamo, per una volta tanto, meno schiavi delle nostre opinioni invetera-te, abbiamo meno amor proprio; diamo libero accesso alla verità e lascia-mo penetrare la luce e la conoscenza: non reprimiamo l’innocente libertà di pensare alle questioni di interesse universale; non crediamo che questa libertà permetterà mai di attaccare impunemente il merito e la virtù, perché – dal momento che queste due qualità parlano da se stesse in loro favore e hanno sempre per arbitro imparziale il popolo –, gli scritti di coloro che osassero indegnamente attaccarli si ridurrebbero in polvere. La verità e la virtù contengono in se stesse la loro migliore apologia; a forza di parlarne e di discuterne, esse appariranno in tutto il loro splendore e la loro magni- cenza. Se si impongono delle limitazioni alla libera discussione, sia lo

spirito che la materia vegeteranno, e l’errore, la menzogna, i pregiudizi, il fanatismo e l’abbruttimento saranno appannaggio del popolo e causeranno per sempre il suo decadimento, la sua rovina e la sua miseria.

Mariano Moreno, Sulla libertà di scrivere, “Gaceta de Buenos Aires”, 1810. 448

Tre princìpi solidali Facciamo attenzione – non dimentichiamolo mai, noi legislatori, che

questi tre princìpi, popolo sovrano, suffragio universale, stampa libera, vi-vono di una vita comune. Così vedete come essi si difendono reciproca-mente! Se la libertà di stampa è in pericolo, il suffragio universale si solle-va e la protegge. Se il suffragio è minacciato, la stampa corre e lo difende. Signori, ogni attentato alla libertà della stampa, ogni attentato al suffragio universale è un attentato contro la sovranità nazionale. Libertà mutilata, si-gni ca sovranità paralizzata. La sovranità del popolo non esiste, se non può agire e non può parlare. Ora, intralciare il suffragio universale signi ca to-gliergli l’azione; intralciare la libertà di stampa signi ca toglierle la parola.

Victor Hugo, Discorso all’Assemblea legislativa, 3 luglio 1850. 449

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216 Il diritto di essere un uomo

Finché l’ingiusto e l’immorale si esercitano di nascosto nella società, la nostra patria è ancora in pace. Quando esse si eserciteranno apertamente al sole come nella società odierna, quando coloro che li praticano non se ne vergognano e quando coloro che ne sono i testimoni non se ne stupiscono, considerandoli come normali, non si saprà come imbrogliare gli storici fra un centinaio d’anni, anche se si intralcerà la penna degli scrittori. Sarebbe facile proibire il lavoro di uno scrittore; sarebbe anche facile tenere a freno la penna di tutti gli scrittori. Non sarebbe dif cile neppure di bruciare i libri e di sotterrare vivi gli scrittori imitando un tiranno cinese, Che Huang-ti, fondatore della dinastia Ts’in. Ma come è mai possibile rendere sordo e cieco tutto un popolo per privarlo della vista e dell’udito?

Roan Uchida (1868-1929), Lo steccato demolito, Giappone. 450

Il criticare le idee inveterate ci espone inevitabilmente a qualche pe-ricolo. Ma uno spirito perspicace non deve cercare di soffocare la critica per paura di questo pericolo più o meno grande. Una volta che lo spirito critico germoglia, come è mai possibile impedirgli di crescere, qualunque precauzione venga presa per cercare di estirparlo? Il potere è senza dubbio inviolabile, i costumi sono stabili, ma come possono sfuggire all’assal-to dello spirito critico? Una volta che si manifesta chi saprà resistergli? [...]. La grande riorganizzazione del nostro paese deve fondarsi sulla critica fondamentale. Abbiamo ancora molte critiche da rivolgere ai costumi, alle abitudini e al potere. Non posso esimermi dal deplorare che questi sedi-centi patrioti ci tengano a soffocare la critica volendo affrettare una falsa riorganizzazione. Deploro soprattutto la loro concezione della morale.

Hajime Onischi (1864-1900), Dello spirito critico, Giappone. 451

Materializzare lo spirito La libertà di stampare è una materializzazione dello spirito, essa è un

diritto costituzionale derivante dalla sua libertà naturale. L’interdizione di stampare equivale a non potersi esprimere con la parola e persino a non avere più il diritto di pensare a certi argomenti. Non si dovrebbe fare allo spirito questa suprema violenza, perché è fuori dei limiti del potere umano sullo spirito, che non può essere né incatenato né imprigionato. Solo la pa-rola e lo scritto possono essere l’oggetto di un castigo. Il pensiero non può diventare l’oggetto di delitto e d’interdizione se non è divulgato. Se questa facoltà dello spirito a materializzarsi con la parola e con lo scritto è un’a-spirazione e un diritto naturale dell’uomo, di cui questi può abusare come di ogni altro suo diritto, non si può però privarlo di essa solo per il timore dell’abuso. Conviene allora, qui come altrove, lasciare allo spirito indivi-

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Verità e libertà 217

duale la sua libertà di azione e istituire delle punizioni per le infrazioni. Ciò dimostra la necessità assoluta di una legislazione in materia di stampa, che garantisca a ognuno la libertà di far conoscere il proprio pensiero a mezzo della stampa, pur proteggendo la società dagli abusi. Dei giurati dovrebbe-ro valutare le infrazioni e il giudice deciderebbe.

Questo punto di vista è ugualmente confermato da considerazioni pu-ramente giuridiche. Proprio come un’invenzione, un pensiero originale, è proprietà del suo autore e nessuno ha il diritto di privarglielo o di alterarlo. Ma spetta solo al tribunale e al suo giudizio di decidere se questa proprietà dell’autore può diventare nociva per la società.

La censura agisce contro questo principio permettendo al censore di giu-dicare arbitrariamente, a spese di questo diritto, il più sacro dell’autore, alla libertà dello spirito. I tre principi essenziali di ogni censura, secondo cui lo scrittore non dovrebbe essere diretto né contro il regime, né contro la religione, né contro la morale, si rivelano infatti molto dif cili da applicarsi in ogni caso particolare. Il censore timoroso sceglie la sicurezza preferendo attirarsi l’inimicizia dell’autore piuttosto che quella dei pubblici poteri, ed elimina senza pietà le idee più sacre, che non ha né abbastanza approfon-dito, né esattamente apprezzate. La debolezza di una tale versatilità indivi-duale deriva d’altronde chiaramente dal regolamento che riserva alla poli-zia il diritto di con scare o di scartare libri e giornali, anche approvati dalla censura, ciò che costituisce un nuovo atto arbitrario dell’alto potere della polizia. In queste condizioni, nessuna sicurezza può proteggere la proprietà del libraio e dell’autore, i contratti, gli accordi o associazioni, gli aggiusta-menti letterari, perché nessuna legge, nessun tribunale possono garantirli.

Dal punto di vista della scienza, la censura rappresenta un ostacolo allo sviluppo dello spirito loso co e critico se questo, lasciando le sfere della pura astrazione, s’interessa al mondo e alle sue manifestazioni concrete. Si urta inevitabilmente ai princìpi politici, religiosi e morali, e non può considerare queste forze spirituali come immutabili, ma come destinate a progredire. Sono queste leggi fondamentali della vita sociale dei popoli, e poiché i popoli si evolvono grazie alla scienza, che è indispensabile al loro sviluppo, ogni immobilismo di idee e di nozioni è interdetto.

Karol Libelt, Del coraggio civico, 1843, Polonia. 452

LA LORO FORZA

Immense armate e eri generali,Polizie: pubblica, segreta, bisessuale.Contro chi dunque così s’associano?Contro qualche idea... e non delle più nuove.

G. K. Norwid (dalla trad. francese di C. Jelenski), 1851, Polonia. 453

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218 Il diritto di essere un uomo

CONTRO LA CENSURA La libertà è l’essenza dell’uomo, a tal punto che anche i suoi avversari

la realizzano anche se ne combattono la realtà; essi vogliono appropriarsi di ciò che hanno respinto come se si trattasse dell’ornamento più prezioso della natura umana. Nessuno combatte la libertà; si combatte tutt’al più la libertà degli altri. La libertà è sempre esistita, ma talvolta come privilegio di qualcuno, talaltra come diritto di tutti.

... Non si tratta di sapere se la libertà della stampa deve esistere, poiché essa esiste sempre. Si tratta di sapere se la libertà della stampa è il privile-gio di qualche individuo o il privilegio dello spirito umano.

Si tratta di sapere se ciò che è un torto per gli uni può essere un diritto per gli altri.

… … …La vera censura – quella che è fondata sull’essenza della libertà di stam-

pa – è la critica; essa è il tribunale che la libertà di stampa si dà da se stessa. … … …La censura stessa riconosce che essa non ha una ragion d’essere in se

stessa, che non è nulla di buono in sé, che è fondata sul principio: il ne giusti ca i mezzi. Ma un ne che ha bisogno di mezzi ingiusti non è un ne giusto.

… … …Lo scrittore non considera affatto i suoi lavori come dei mezzi. Essi sono

degli scopi a sé, sono così poco un mezzo per lui e per gli altri che, se è necessario, egli sacri ca la sua alla loro esistenza, ed erige come norma, quasi come il predicatore fa della religione: “Meglio obbedire a Dio che agli uomini”, a questi uomini tra i quali tuttavia lo collocano le sue neces-sità e i suoi desideri umani [...].

La prima libertà per la stampa consiste nel non essere un’industria.Lo scrittore che abbassa la stampa no a farne un mezzo materiale, me-

rita quale castigo di questa mancanza di libertà interiore la mancanza di libertà esteriore, la censura. Meglio ancora: la sua esistenza rappresenta già la sua punizione.

Karl Marx, Discussione sulla libertà della stampa, “Rheinische Zei-tung”, 1842. 454

Secondo la legge (del 24 dicembre 1841), la censura non deve impedire alcuna “ricerca seria e modesta della verità” [...]. Queste due quali che “serio” e “modesto” rinviano la ricerca della verità non già alla sua es-senza, ma a qualcosa di esteriore a quest’essenza. Ora il primo dovere di chiunque ricerchi la verità non è forse di avanzare diritto sulla verità, senza

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Verità e libertà 219

guardare né a destra né a sinistra? Non dimentico forse di dire la verità quando dovrei soprattutto non dimenticare di dirla nelle forme volute?

La verità è tanto poco discreta quanto la luce. Verso chi dovrebbe es-serlo? Verso se stessa: Verum est index sui et falsi. Dovrebbe allora essere discreta nei riguardi dell’errore?

Se la discrezione costituisce il carattere della ricerca, essa è l’indice della paura che si ha della verità piuttosto che l’indice della paura che si dovrebbe avere dell’errore.

... Voi ammirate l’affascinante verità, la ricchezza inestinguibile della natura. Non pretendete che la rosa abbia il profumo di violetta, ma, secon-do voi, lo Spirito – ciò che vi ha di più ricco nel mondo – non deve esistere che in un solo modo. Sono umorista, ma la legge mi ordina di scrivere seriamente; sono audace, ma la legge ordina che il mio stile deve essere modesto. Il chiaroscuro! ecco il solo colore che si ha la libertà di usare. La minima goccia di rugiada se cade un raggio di sole scintilla in un in nito giuoco di colori; ma il sole dello spirito, qualunque sia il numero e la natura degli oggetti ove si ri ette, non potrebbe dare che un solo colore, il colore uf ciale.

... Si esige che i redattori della stampa quotidiana, cioè tutti i giornalisti, siano degli uomini assolutamente irreprensibili. come prima garanzia di questa integrità, si cita “il sapere, la competenza”. Ma non si manifesta il minimo dubbio sul sapere e la competenza del censore, che l’autorizzano a emettere un giudizio sul sapere e la competenza in ogni cosa. Se vive in Prussia una simile coorte di genii universali, conosciuti dal governo, per-ché queste persone enciclopediche non fanno della letteratura? Invece di ri-correre alla censura per porre ne alle deviazioni della stampa, questi fun-zionari, onnipotenti per numero, più potenti ancora per sapienza e genio, non dovrebbero fare altro che sollevarsi con uno slancio solo per schiaccia-re col loro peso quei miserabili scrittori che praticano un solo genere e lo fanno anche senza che la loro capacità sia stata uf cialmente riconosciuta. Perché mantengono il silenzio quei furbacchioni che sull’esempio delle oche romane, potrebbero col loro schiamazzare salvare il Campidoglio? Essi sono di una discrezione, esagerata. Il pubblico letterario li ignora, ma il governo li conosce.

Karl Marx, Osservazioni sulla regolamentazione della censura prussia-na, 1842. 455

La stampa libera La stampa libera è l’occhio sempre e dappertutto aperto dello spirito

popolare; la ducia radicata che un popolo ha in se stesso, il legame par-

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220 Il diritto di essere un uomo

lante che riunisce l’individuo allo Stato e al mondo, la cultura personi cata che tras gura le lotte materiali in lotte spirituali e ne idealizza la forma grossolana e concreta. È la confessione senza riserve di un popolo davanti a se stesso e si sa che la forza della confessione è liberatrice. È lo specchio spirituale in cui un popolo osserva se stesso, e la conoscenza di sé è la pri-ma condizione della saggezza. Si tratta dello spirito pubblico che si lascia trasportare al fondo di ogni capanna, a un prezzo inferiore a quello del gas materiale. È universale, presente dappertutto e sa tutto. È il mondo ideale che sorge costantemente dal mondo reale e vi ri uisce, spirito sempre più ricco, per vivi carlo nuovamente.

Karl Marx, Discussione sulla libertà di stampa. “Rheinische Zeitung”. 1842. 456

Il partito (comunista) deve pronunciarsi per una libera emulazione dei diversi gruppi e delle diverse correnti letterarie. Ogni altra soluzione di questo problema sarebbe una soluzione burocratica. Per la stessa ragione è inammissibile stabilire con un decreto e legalizzare il monopolio lettera-rio di un solo gruppo o di una sola organizzazione [...]. Il partito non può conferire il monopolio letterario a nessun gruppo, foss’anche il più pro-letario per ideologia: questo riuscirebbe soltanto a uccidere la letteratura proletaria.

Risoluzione del Partito bolscevico nel campo delle lettere, 1924. 457

MAJAKOVSKIJ COMINCIA Eh, vi sia una nuovaEpoca gioiosaD’un grano umanoRigon ato,Senza cardi, senza ortiche,Diserbata,Dissodata,Zappata.Che non siano in essa CondizioniNé postiPer i valletti tutto miele,Gli ingannatori, i bigotti,Né la parola che piaggia,Né la fuga vigliacca.Che solo al vederloL’uomo conosca l’uomo.

Nikolaj Aseev, 1940. 458

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Verità e libertà 221

La tolleranza e la fede

Unanimità Andate insieme, parlate con una sola voce, possano le vostre menti ave-

re i medesimi pensieri, come gli dei di un tempo condividevano la loro porzione di sacri cio in piena concordia! Che la concordia contrassegni le loro deliberazioni, le loro decisioni, le loro menti, i loro pensieri! Io assicu-ro l’armonia della vostra deliberazione col mio incantesimo; offro per voi un’oblazione comune. Che le vostre intenzioni si accordino, che i vostri cuori si accordino! Che le vostre menti si accordino af nché ci sia tra voi un’armonia perfetta!

Rigveda, X (tradotto dal sanscrito). 459

Diversità Non si può esigere che tutto il mondo agisca in modo uniforme. Proverbio burundi. 460

Verità e diversità La verità è una; i sapienti ne danno de nizioni diverse. Rigveda (tradotto dal sanscrito). 461

Non pensare e non dire mai che la tua religione personale (Dharma) è superiore alle altre. Non denigrare mai la religione altrui.

Editto di Ashoka (IlI sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 462

Ognuno in nome del suo Dio “Ora avverrà alla ne degli anni: il monte della casa di Jahve sarà fonda-

to sulla cima dei monti e si eleverà oltre i colli: a esso af uiranno i popoli, verranno genti numerose e diranno: “Orsù, saliamo al monte di Jahve e alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegni le sue vie e noi camminiamo per i suoi sentieri. Poiché da Sion esce l’ammaestramento e la parola di Jahve da Gerusalemme. Sarà arbitro tra molti popoli e pronuncerà sentenze a nazioni potenti, anche lontano. Allora martelleranno le spade in vomeri e le lance in falcetti; nessuna nazione leverà la spada contro un’altra né impareranno più la guerra. Ma staranno al sicuro, ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo co; senza che nessuno li disturbi. Poiché la bocca di Jahve degli eserciti ha parlato. Sì, tutti i popoli camminano ciascuno nel nome del suo dio: noi pure camminiamo nel nome di Jahve, nostro Dio per tutta l’eternità”.

Bibbia ebraica, Michea, 4. 463

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222 Il diritto di essere un uomo

L’unità oltrepassa i riti Una è dunque la religione e la venerazione (per Dio) presso tutti gli

uomini dotati di spirito ed essa è il fondamento comune di tutta la diversità dei riti.

Nicola Da Cusa, De pace seu concordantia dei, 1454, Germania. 464

L’unità oltrepassa i nomi dati a Dio La prima strofa tratta del Budda trascendente, la cui manifestazione

sulla terra è il Budda-Re di Giava. La seconda indica che i membri delle comunità non buddiste danno nomi differenti allo stesso Budda trascen-dente

Amen. Gloria a te, Signore. Il servitore (il sacerdote) canta senza tregua le lodi del Signore,

Che è nascosto nel punto di annullamento della concentrazione mentale, che è l’essenza della materia e dello spirito, Siva-Budda,

Il Signore di Sailendra, il Protettore di coloro che hanno bisogno di es-sere protetti,

Il sovrano dei re di questo mondo, Preminente tra le Manifestazioni, preminente tra gli Esseri inconcepibi-

li, la cui apparenza terrestre è l’Essere come il non-Essere. Per coloro che venerano Visnu, Egli è “Colui che impregna tutto

l’Universo, l’Anima di tutto ciò che esiste, Colui che non può essere quali cato”. Per i loso dello Yoga, Egli è Isvara; per i loso del Sangkhya, Egli è

Rapila. Egli è Kubera materializzato, che è il Dio della ricchezza e Wrha-spati che è il Dio del sapere; Egli è Kâma nei riguardi del Kâma-Sûtra (dottrina delle relazioni sessuali).

Egli è Yama quando si tratta di eliminare gli ostacoli. Il frutto della Sua azione, è la felicità e la prosperità dell’umanità.

Nâgarakrtâgama (panegirico composto nel regno di Madjapahit), 1365, Giava. 465

Concordia tra tutte le religioni. Il re Priyadarsin, il prediletto degli dei, onora gli uomini di ogni

setta, gli asceti e i “padroni di casa” con doni e diversi segni di consi-derazione. Ma il prediletto degli dei non accorda tanto valore ai doni o agli onori quanto a – che cosa? – allo sviluppo della forza spirituale tra gli uomini di ogni setta. Lo sviluppo della forza spirituale si pre-senta, a dire il vero, sotto molteplici aspetti. Tuttavia, la sua radice è la seguente: misurare le proprie parole – come? – per evitare di esaltare

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Verità e libertà 223

la propria religione e di criticare quella degli altri, oppure disprez-zare di onorare, come si conviene in diverse circostanze, le persone che appartengono ad altre sette religiose. Chi si comporta così esalta certamente i suoi correligionari nel medesimo tempo in cui aiuta gli adepti di altre religioni. Chi agisce diversamente fa un torto alla pro-pria religione e ferisce coloro che ne professano altre. Perché chi loda i propri correligionari e denigra i fedeli di altre religioni – tutto questo per devozione alla propria religione – perché? – per poter glorificare così la propria religione – a dire il vero, così facendo, nuoce senza alcun dubbio alla propria religione. La concordia tra tutte le religioni è certamente augurabile – come? – perché delle persone che pensano diversamente possano capire e servire la religione gli uni degli altri. Perché tale è il desiderio del prediletto degli dei – e che cosa? – che gli adepti di tutte le religioni divengano tolleranti e incoraggino un atteggiamento sano in materia di religione. Che (i miei inviati) nei loro diversi luoghi di lavoro proclamino quanto segue: “Il prediletto degli dei non accorda tanto valore ai doni o agli onori quanto – che cosa? – allo sviluppo della forza spirituale tra gli uomini di ogni religione”. A questo scopo sono impiegati numerosi agenti incaricati della carità, sovraintendenti preposti al benessere delle donne, ispettori di recinti per mucche e altre categorie di funzionari. E questo sarà il frutto di tutte queste misure, cioè la religione di ciascuno viene incoraggiata e il Dharma è glorificato.

Editto di Ashoka, XII (II sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 466

Il re, avendo assimilato le più alte verità di tutte le religioni, ha detto agli adepti delle diverse religioni: “Andate ora e compite i vostri diversi riti e i vostri diversi doveri secondo le vostre rispettive religioni”.

Uddyotanasûri Kuwalayamâlâ (779 d.C.), tradotto dal pracrito. 467

I discepoli di Hillel di Dhamoi discussero tra loro per ben tre anni’. I primi dicevano: “Noi abbiamo la verità”, gli ultimi dicevano: “Noi abbiamo la verità”. In ne, una voce dal cielo troncò la loro discussio-ne: gli uni e gli altri pronunciano le vere parole di Dio, ma il giudizio sarà in favore dei discepoli di Hillel. E se qualcuno domanda perché, la risposta è che i loro modi di fare sono modesti e tolleranti; perché essi insegnano non soltanto i propri concetti ma anche quelli di Shamoï e perché citano per no sempre le parole di Shamoï prima delle loro.

Talmud, Babli. 468

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224 Il diritto di essere un uomo

Stranieri e infedeli La sessantaduesima domanda era questa: È legittimo o no appropriarsi

dei beni appartenenti a stranieri o infedeli? Ecco la risposta: Quando degli stranieri detengono dei beni o degli og-

getti che hanno preso con la violenza a fedeli della Buona Religione, e non li restituiscono, conviene, se possibile, riprenderli a loro. Anche quando questi stranieri sono debitamente autorizzati dai dirigenti [...] e sono abili-tati a conservare i beni in questione, in virtù di una decisione giudiziaria in buona e dovuta forma e in modo legittimo, è giusto esigere che essi versino un interesse su questi beni all’antico proprietario legittimo.

Riguardo a coloro che rispettano la legge bisogna agire allo stesso modo e non violare i contratti stabiliti con loro.

La morte di un infedele che non sia uno straniero è causa di pena e di dolore. Quando quest’uomo viene presso i suoi, conviene dargli del cibo, dei vestiti e dei medicinali al ne di proteggerlo dalla fame e dalla sete, dal freddo e dal caldo. Ma è stato detto che non si ha il diritto di donare delle ricchezze, dei cavalli, delle armi, degli strumenti, del vino o delle terre agli stranieri o agl’infedeli.

Dâdistân î Dînîg (IX sec.), trattato teologico, Persia. 469

Non si dovrebbero ri utare agli infedeli o a chiunque meriti di essere considerato eretico i beni terreni destinati a essere consumati o posseduti.

Dênkart (IX sec.), Persia. 470

Permeabilità alla fede altrui Quando i membri della prima comunità musulmana cercarono asilo in

Abissinia, presso il Negus (cristiano), i Qurai si sforzarono di ottenere da lui che egli glieli rimandasse loro. Egli interrogò i musulmani sulla loro fede e Dja’far Ibn Abi-Taleb rispose:

“O re, noi eravamo un popolo barbaro, che adorava gli idoli, mangiava della carne impura, commetteva ogni sorta di turpitudini; noi spezzavamo i legami del sangue, noi agivamo male verso i nostri vicini e il forte divorava il debole. Così siamo stati, no a quando Dio ci ebbe inviato un Profeta, che era uno di noi, di cui conoscevamo la famiglia e la lealtà, l’onestà e la virtù, e costui ci ha chiamati a Dio, perché noi riconoscessimo la sua unità e lo adorassimo, respingendo le pietre e gli idoli che noi e i nostri antenati abbiamo adorato al di fuori di Lui. Egli ci ha ordinato di essere veritieri nei nostri discorsi e fedeli nel restituire ciò che ci era stato af dato, di rispet-tare i legami del sangue, di trattare bene il nostro vicino, di astenerci dalle cose proibite, e così pure dal versare il sangue; ci ha proibito le turpitudini

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Verità e libertà 225

e la menzogna, ci ha proibito di dilapidare i beni dell’orfano, di calunniare le donne virtuose; ci ha ordinato di venerare Dio solo, e di non associare nulla a Lui nel culto; ci ha prescritto la preghiera, l’elemosina legale, il digiuno; e noi l’abbiamo creduto e abbiamo adorato Dio solo, senza asso-ciargli nulla, abbiamo dichiarato proibito ciò che egli ci proibiva, e lecito ciò che ci ha detto essere lecito. Ma il nostro popolo ci è stato ostile, ci ha perseguitati, ha cercato di allontanarci dalla nostra fede per ricondurci dal culto del Dio Altissimo a quello degli idoli, e a considerare di nuovo lecite le turpitudini che ci sembravano permesse prima. Quando ci hanno oppres-si e perseguitati, cercando di proibirci la nostra religione, siamo venuti nel tuo paese e ti abbiamo eletto come nostro protettore preferendoti a tutti gli altri, nella speranza della tua protezione ospitale, e nella speranza, o Re, di non essere nel tuo Paese degli oppressi”. Il Negus allora gli domandò: “Puoi tu dirmi qualcosa di ciò che egli vi ha portato da parte di Dio?”.. Dja’far rispose: “Sì”. “Raccontamelo”, disse il Negus; ed egli gli recitò un pezzo iniziale della sura Kahay’as. Allora il Negus pianse no a bagnarsi la barba, e così fecero i vescovi che lo circondavano, bagnando di lacrime i loro libri sacri, quando ascoltarono ciò che egli leggeva loro. In ne il Negus disse: “Questo e il messaggio di Gesù provengono dalla medesima sorgente”. E ai due emissari di Qurasish: “Andatevene, non ve li consegne-rò mai, ed essi non saranno sottoposti qui ad alcuna vessazione”.

Ibn Hisham (IX sec.), Africa del Nord, Sira. 471

Libertà religiosa Non vi è costrizione in materia di religione: vi si distingue il vero dal falso. Corano, Al-Baqara, 256. 472

Se il tuo Signore lo volesse, tutti gli uomini della terra avrebbero la fede, ma vorresti tu forzare la gente a credere?

Corano, Younes, 99. 473

Gregorio Magno (papa, VI sec.) ricorda al vescovo di Napoli, che vuole ri utare agli ebrei la libertà di culto, che gli uomini i quali, in simili circo-stanze, fanno uso della forza,

si dimostrano più attaccati alla propria causa che a quella di Dio, e quindi ordina che gli ebrei abbiano la più ampia libertà di osservare e di celebrare tutte le loro feste

e cerimonie, come l’hanno sempre fatto no al momento presente, essi stessi e le loro famiglie.

Registrum epistularum. 474

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226 Il diritto di essere un uomo

Bisogna far battezzare i gli degli ebrei e di altri infedeli, contro la volontà dei genitori?

È usanza della Chiesa, che ha in questo campo la massima autorità; bi-sogna seguirla in tutti i casi [...]. Ora, l’usanza della Chiesa non è stata mai quella di battezzare i gli degli ebrei contro la volontà dei genitori [...]. Vi sono due ragioni per questo. La prima è il pericolo della fede; infatti, i bambini che avessero ricevuto il battesimo prima dell’uso della ragione, rischierebbero in seguito, giunti all’età adulta, di essere condotti dai loro genitori all’abbandono di ciò che essi hanno ricevuto nell’ignoranza; e ciò tornerebbe a danno della fede.

La seconda è che questo è contrario alla giustizia naturale. Il glio è in-fatti per natura un qualcosa che appartiene al padre. In un primo tempo, il bambino non è distinto dai suoi genitori secondo il corpo, nché è rinchiuso nel grembo materno. In seguito, quando il bambino è nato, ma prima che sia giunto all’età della ragione, egli rimane sotto la sorveglianza dei genitori, come in un grembo spirituale. Quindi, nché il glio non ha l’uso della ra-gione, non differisce da un animale privo di ragione. Di conseguenza, come un bue o un cavallo sono di proprietà di un uomo a tal punto che egli può, secondo il diritto civile, servirsene a suo piacere, come di uno strumento che sia di sua proprietà, così fa parte del diritto naturale che un glio, prima di avere l’uso della ragione, sia sotto la sorveglianza dei genitori. Sarebbe quindi contrario alla giustizia naturale che un glio, prima di avere l’uso della ragione, venisse sottratto alla sorveglianza dei suoi genitori, o che si disponesse di lui contro la volontà dei genitori. Ma quando egli comincia ad avere l’uso del libero arbitrio, allora diventa padrone di sé e può provvedere alle proprie necessità per quanto riguarda il diritto divino e il diritto naturale. E allora, bisogna invitarlo alla fede, non con la costrizione, ma con la persua-sione; egli può aderire alla fede ed essere battezzato, anche contro la volontà dei suoi genitori; tuttavia non prima ch’egli abbia l’uso della ragione.

San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica. 475

Difendere la religione con la forza? Fa parte del diritto umano e del diritto naturale -– humani juris et natu-

ralis potestatis est – che ciascuno possa adorare quel che vuole; la religione di un individuo né nuoce, né serve ad altri. Non è nella natura della reli-gione il forzare la religione; questa deve essere adottata spontaneamente, non con la forza, perché i sacri ci sono richiesti solo se di buon grado. Per questo, se voi ci forzate a sacri care, non darete nulla di effettivo ai vostri dei; costoro non hanno bisogno di sacri ci offerti di mala voglia.

Tertulliano (apologista cristiano del II sec.), Ad scapulam, Cartagine. 476

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Verità e libertà 227

Si deve difendere la religione, non uccidendo, ma morendo; non con la crudeltà, ma con la sofferenza; non col delitto, ma con la fede [...]. Perché se tu vuoi difendere la religione col sangue, le torture, il male, essa non viene difesa, ma macchiata, ma violata. Non vi è nulla di così volontario come la religione; essa scompare, diventa nulla, se il sacri cio è offerto di mala voglia.

Lattanzio (apologista cristiano, 250-317?), Numidia e Gallia 477

Bisogna costringere gli infedeli alla fede? Tra gli infedeli, alcuni [...] come i gentili e gli ebrei, non hanno mai ade-

rito alla fede. Costoro non devono in alcun modo essere costretti a credere: [...] il credere infatti deriva dalla volontà. I fedeli possono tuttavia costrin-gerli, se ne hanno il potere, a non ostacolare la fede sia con le bestemmie, che con i cattivi consigli e le persecuzioni aperte. Per questo i fedeli del Cristo dichiarano spesso guerra agli infedeli: non per costringerli a credere (perché, se anche li vincessero e li facessero prigionieri, li lascerebbero liberi di credere secondo la loro volontà), ma soltanto per costringerli a non ostacolare la fede. Altri infedeli, al contrario, hanno aderito un tempo alla fede e la professano: così gli eretici e tutti gli apostati, e costoro possono essere costretti, anche corporalmente, af nché adempiscano le loro pro-messe e conservino ciò cui hanno aderito.

San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica. 478

Perorazione in favore dei pagani Consiglio a ogni principe sovranoDello Santissimo Impero Romano:Accrescete l’onore dei cristiani...E se scon tti poi sono i pagani,Che giustizia da voi sia garantita.Ascoltate ciò che ve ne dittaUn’umil donna che non ha studiatoRisparmiate ciò che Dio ha creato.Il primo uomo invero era paganoChe Dio ha fatto di sua propria mano.Elia, Enoch, sappiate, o voi, cristiani,Son conosciuti ancora come pagani.E Pagano era pur, s’è constatato,Noè, che nell’Arca risparmiato.Sì, Giobbe era pagano veramente,E Iddio, tuttavia, non l’ha escluso.A questi tre re poi fate attenzione:un di costoro nome avea Gasparre,

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228 Il diritto di essere un uomo

L’altro Melchiorre e l’altro Baldassarre:E se pagani ancor sono chiamati,All’inferno non sono destinati.Lo stesso Iddio, con la propria mano,Quando sua madre a lui porgeva il seno,Ricevette da loro i primi omaggi.E dunque non si dèe tutti i paganiRitenere all’inferno destinati.Noi lo sappiamo, questo, in verità: Che ogni madre, n dai tempi d’Eva,Quando un gliolo partorisce,Ciò che mette al mondo, carne è pagana,Che il battesimo talvolta, forse, avrà.Ogni donna, quand’anche è battezzata,Sempre si porta in sen bimbo pagano:Così suo glio ha sempre gran bisognoChe il battesimo gli venga.Hanno i giudei un mezzo singolare:un pezzetto di carne fan tagliare.Pagani fummo tutti noi un tempo;Ed è dolore per ogni giusta menteChe un glio possa essere destinatoDal padre suo a essere dannato:Bisogna ch’abbia pietà di loro,Lui, il sempre misericordioso.

Wolfram von Eschenbach, Willehalm, XIII sec. 479

Contro le crociate In verità: ultimamente, ai tempi del nostro imperatore, durante il Concilio

di Basilea, un cavaliere cristiano discuteva con il conestabile dei Turchi, e il cavaliere diceva al conestabile: “Signore, voi siete un uomo saggio, bisogna che vi facciate battezzare e diventiate cristiano. La nostra dottrina è pura, e così ben studiata in ogni punto che nessuno vi può scoprire cosa alcuna che sia malvagia”. Il conestabile rispose: “Capisco bene che è vero quello che tu dici, citando la Scrittura. Che Cristo vi abbia redenti con la sua morte e liberati per la vita eterna, lo so dalle vostre Scritture. Ma vedo anche che voi non avete di essa alcun desiderio e non vivete affatto secondo i suoi insegnamenti. Voi siete per lui dei rinnegati: l’uno ruba all’altro l’onore e i beni; l’uno indica l’altro come sua proprietà. Questo non è affatto ciò che ha voluto il vostro Dio e Signore. Adesso voi vi accingete ad attraversare il mare, marciare su di noi e combatterci, e pensate di fare così un viaggio pio. Se poteste ucciderci pense-reste di acquistare la vita eterna. Così vi ingannate da voi stessi. Se rimaneste a casa vostra, combattendo i falsi cristiani, e riconducendoli sulla retta via,

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Verità e libertà 229

questo sì che sarebbe un viaggio pio!”. Vedete che cosa ci tocca udire dalla bocca di un infedele! e aggiunse ancora: “Se vi convertiste e osservaste la vostra legge, di colpo ci conquistereste, certamente; il mondo intero verrebbe a voi e non vi sarebbe più che un solo pastore e un solo ovile”.

Riforma dell’imperatore Sigismondo, XV sec. 480

È sempre lo stesso Dio, per noi e per loro. Proverbio russo. 481

Un mercante di Tver’, cristiano ortodosso, si trova isolato in mezzo ad altri credenti:

E io m’informai da loro a proposito della loro religione, ed essi mi disse-ro che credevano in Adamo e in Budda, e che Budda fosse Adamo. Vi sono nell’India 84 religioni.

… … …Quanto alla vera fede, Dio solo la conosce, e la vera fede sta nel rico-

noscere un solo Dio, nell’invocare il Suo nome dappertutto e in assoluta purezza.

… … …Uscii da Beder un mese prima del Grande Bairam musulmano, e, quanto

alla Pasqua cristiana, la Risurrezione del Cristo, non ne conoscevo la data; ma praticai il digiuno con i Musulmani e lo terminai con loro per il grande giorno.

Atanasij Nikitin, Viaggio al di là di tre mari, 1466-1472, Russia. 482

Supplizi e fede L’ARCIPRETE AVVAKUM PROTESTA CONTRO I NIKONIANI CHE BRUCIAVANO I VEC-

CHI CREDENTI (1672) Fa meraviglia come essi ri utino di intender ragione: col fuoco, la frusta

e con la potenza, essi vogliono affermare la fede! Quali apostoli hanno dunque insegnato in tal modo? Non ne conosco affatto. Il mio Cristo per-sonale non ha comandato ai nostri apostoli d’insegnare che col fuoco, la frusta e la potenza si debba attrarre alla fede [...]. Tu vedi, mio ascoltatore, è per mezzo della libertà che Cristo chiama a sé [...]. Quei dottori si rive-lano essere dei fautori dell’Anticristo, quelli che, per condurre alla fede, uccidono e mettono a morte: tale la fede, tali le opere.

Potere temporale Egli si lamenta che lo zar si faccia chiamare nella liturgia “cristianissi-

mo”, “clementissimo”, “potentissimo”, e riceva così più lodi di tutti i santi,

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230 Il diritto di essere un uomo

proprio come Nabucodonosor che diceva: “Io sono Dio! Chi è uguale a me? Dio regna sul cielo, e io sono il suo uguale sulla terra!”.

In quale canone è scritto che lo zar debba spadroneggiare nella Chiesa e cambiare i dogmi, e incensare l’altare? A lui spetta soltanto di vegliare su di Lei, e di proteggerla contro i lupi che vorrebbero distruggerla, e non di insegnare come credere e come farsi il segno della Croce.

La vita dell’arciprete Avvakum, scritta da lui medesimo, XVII sec., Rus-sia. 483

Professione religiosa senza costrizione Can. 572. § 1 – Per la validità di qualsiasi professione religiosa si ri-

chiede:… … …l’assenza di violenza, di timore grave o di dolo.Can. 214 § 1 – Il religioso che ha ricevuto un ordine sacro perché co-

stretto da grave timore e che essendo stato in seguito liberato da questo timore non ha dimostrato, almeno tacitamente per mezzo dell’esercizio dell’ordine, di rati care la ricevuta ordinazione sottomettendosi volonta-riamente con tale atto agli obblighi clericali, sia ridotto con una sentenza del giudice allo stato laicale, dopo che sia stata legittimamente provata la costrizione e la mancanza di rati cazione, senza più alcun obbligo di celi-bato e dell’osservanza delle ore canoniche.

Diritto canonico. 484

“Dio solo sa” O tu, che mi rimproveri dicendo che io non compio le mie orazioni ritua-

li, io le compio. Ma che io le compia o no, questo riguarda Dio solo, egli solo ne sa qualcosa.

Nessun altro che Dio sa chi è miscredente e chi è credente. Le mie pre-ghiere serviranno a qualcosa, se Egli mi concede la sua indulgenza.

1 fondamenti della religione, della fede, sono la dirittura (morale) e la verità; se tu non le possiedi, con quali materiali pretendi di costruire la tua fede?

Yunus Emre (XIII sec.), Turchia. 485

Con itti Le cause principali di divisione fra gli uomini sono tre: 1. Le differenze

di opinioni: noi non siamo capaci di pensare allo stesso modo sulle mede-sime cose; 2. gli odii: non siamo disposti ad ammettere opinioni diverse

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sulle stesse cose senza che l’amicizia ne soffra; così le nostre divergenze di opinioni provocano in noi un sentimento appassionato di mutua pre-venzione; 3. le ingiustizie e le persecuzioni aperte: che sono i risultati dei nostri odii, per la nostra comune disgrazia. Il primo con itto proviene dallo spirito, il secondo dalla volontà e dai sentimenti, il terzo dalle forze che si oppongono segretamente o apertamente, per una mutua distruzione. Oh, se fosse permesso di scoprire gli intrighi ostili della loso a, della religione, della politica e degli affari privati, noi non vedremmo altro che tentativi e sforzi crudeli delle onde del mare contro le foreste, come è scritto nel quarto libro di Esdra [...].

Io quali co come inumani i con itti di questa categoria; perché l’uo-mo, che è stato creato a immagine di Dio, deve essere buono, amabile, e generalmente paci co. Ma quando l’uomo è separato dall’uomo, quando è incapace di sopportare il suo prossimo, quando un uomo si adira contro un altro, assistiamo a una vera decadenza dell’umanità. Si tratta di un com-portamento che non si può osservare in nessuna specie di creature mute, eccetto i cani selvatici, la cui natura è di irritarsi gli uni contro gli altri, di abbaiare, di mordersi scambievolmente e di battersi per un osso da rosic-chiare.

Di conseguenza, se vogliamo che la inumanità ceda il posto all’uma-nità, non dobbiamo stancarci di ricercare i mezzi per raggiungere questo ne. Questi mezzi sono tre: in primo luogo, gli uomini devono smetterla di darsi troppo del loro buon senso, e, tenendo conto della comune fragilità

umana, (devono) riconoscere che è indegno di loro darsi addosso gli uni contro gli altri per futili motivi; essi dovranno, in linea generale, perdonarsi litigi, torti e bronci passati. Chiameremo questo: cancellare il passato. In secondo luogo, nessuno deve imporre i propri princìpi ( loso ci, teologici e politici) a chicchessia; al contrario, ciascuno deve permettere a tutti gli altri di far valere le proprie opinioni e di godere in pace quanto possiedo-no. Chiameremo questo: mutua tolleranza. In terzo luogo, tutti gli uomini dovranno cercare, in uno sforzo comune, di trovare che cosa vi è di meglio da fare e, per giungervi, unire le loro ri essioni, le loro aspirazioni e le loro azioni. È quello che noi chiameremo la conciliazione.

Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio catholica, XVII sec. 486

CONDIZIONI DI PACE DI ISTAVAN BOCSKAY, PRINCIPE DI TRANSILVANIA (1605) Noi richiediamo, in primissimo luogo, per il maggior riposo della nostra

anima e della nostra coscienza, che Sua Maestà ci rispetti e faccia rispettare la libera professione della nostra fede; che sia autorizzato per tutti il libero

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culto della confessione svizzera e di quella di Lutero, proprio come quello della religione cattolica, in questo paese, senza badare allo stato di ognuno e che sia permesso di perseverare in essa [...]. E, perché la libertà tanto desiderata dell’esercizio del culto, rimanga irrevocabile [...] (chiediamo) che Sua Maestà [...] abolisca l’ignobile articolo del “ut lutherani combu-rantur”. 487

LEGGE DEL MAARYLAND SULLA TOLLERANZA (21 APRILE 1649) Atteso che, in uno Stato cristiano ben governato, gli affari che riguar-

dano la religione e l’onore dovuto a Dio dovrebbero essere esaminati per primi e con grande attenzione, e ci si dovrebbe sforzare di metterli in rego-la, viene [...] ordinato [...] che d’ora innanzi, in questa provincia, chiunque bestemmierà contro Dio, o negherà che Nostro Signore Gesù Cristo è il Figlio di Dio, o negherà la Santissima Trinità, formata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, o negherà la divinità di una delle tre persone della Trinità o l’unità della Divinità [...] sia punito con la morte e la perdita o la con sca di tutte le sue terre.

... Atteso anche che, in materia di religione, il forzare le coscienze si è spesso rivelato pericoloso negli Stati in cui questa pratica è stata adotta-ta, al ne di assicurare un governo più tranquillo e più paci co di questa provincia e per meglio preservare l’amicizia e l’affetto reciproco fra i suoi abitanti, viene [...] ordinato (sotto la riserva di ciò che è stato dichiara-to ed enunciato più sopra nella presente legge) che in questa provincia o nelle isole, porti, baie, nelle rade che da essa dipendono, nessuna persona, qualunque sia, che dichiari di credere in Gesù Cristo, potrà d’ora innanzi essere disturbata, molestata o respinta in alcun modo a causa o a proposito della sua religione, né nella libera osservanza di questa sul territorio della provincia, o delle isole che da questa dipendono, né forzata in alcun modo a credere in un’altra religione o a praticarla contro la sua volontà, purché questa persona non sia sleale verso il Lord proprietario, né si abbandoni a violenze o cospiri contro il governo stabilito, ora o in avvenire, sotto la sua autorità o sotto quella dei suoi eredi; viene inoltre ordinato che chiunque, contrariamente alla presente legge e al suo spirito veritiero, oserà fare torto a una persona, qualunque sia, che professi la propria fede in Gesù Cristo, o oserà disturbarla o molestarla volontariamente, nella sua persona o nei suoi beni, direttamente o indirettamente, a causa o a proposito della sua religione, o della libera osservanza della sua religione in questa provincia, salvo quanto è detto nella presente legge, dovrà versare alla sua o alle sue vittime tre volte l’ammontare dei danni-interessi e per ogni infrazione di questo genere pagherà una multa di 20 scellini di sterlina o l’equivalente

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Verità e libertà 233

in natura [...]. Chiunque si sia reso colpevole degli atti qui sopra descritti o ri uti o non possa indennizzare la vittima o le vittime, o soddisfare la sua pena della multa o di con sca, sarà severamente fustigato in pubblico e imprigionato per il tempo che piacerà al Lord proprietario o al suo Luogo-tenente, e col Governatore generale di questa provincia, senza possibilità di essere messo in libertà dietro cauzione o di essere provvisoriamente ri-lasciato nelle mani di un terzo responsabile. 488

SULLA TOLLERANZA Si perdonerebbero forse gli uni gli altri, non dico i diversi costumi, ma

anche solo le massime opposte, se non si sapesse tollerare ciò che ci fe-risce? E chi può mai arrogarsi il diritto di sottomettere gli altri uomini al proprio tribunale? Chi può essere tanto impudente da credere che non ha bisogno dell’indulgenza che egli ri uta agli altri? Oserei dire che si soffre meno dei vizi dei cattivi che non dell’austerità accanita dei riformatori, e ho notato che non vi era affatto severità che non avesse avuto la sua origine nell’ignoranza della natura, in un amore eccessivo, in una gelosia dissimu-lata, e in ne, in una piccolezza del cuore.

Vauvenargues, Ri essioni e massime, 1746. 489

ARTICOLO “PERSEGUITARE” Se è vero che la persecuzione è contraria alla dolcezza evangelica e alle

leggi dell’umanità, non è meno opposta alla ragione e alla sana politica. Sono solo i nemici più crudeli del benessere di uno Stato ad aver potuto suggerire ai sovrani che quelli tra i loro sudditi che non la pensavano per niente come loro erano diventati delle vittime votate alla morte e indegni di condividere i vantaggi della società. L’inutilità della violenza basta per disingannare nei riguardi di queste odiose massime. Quando gli uomini, sia a causa dei pregiudizi dell’educazione, sia in seguito allo studio e alla ri essione, hanno abbracciato opinioni cui credono sia legata la loro eterna felicità, i più gravi tormenti non fanno che renderli più ostinati; l’anima in-vincibile in mezzo ai supplizi si rallegra di godere della libertà che si vuole rapirle; essa s da i vani sforzi del tiranno e dei suoi boia. I popoli sono sempre colpiti da una costanza che pare loro meravigliosa e soprannatura-le; essi sono tentati di considerare, come martiri della verità, gli sfortunati verso i quali sono interessati a causa della pietà; la religione del persecu-tore diventa per essi odiosa; la persecuzione crea degli ipocriti e mai dei proseliti.

Enciclopedia, articolo di Diderot (1751-1772). 490

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234 Il diritto di essere un uomo

MOLTO UMILE RIMOSTRANZA AGLI INQUISITORI DI SPAGNA E PORTOGALLO Una ebrea di diciott’anni, bruciata a Lisbona durante l’ultimo auto-da-

fé, diede l’occasione alla compilazione di questo piccolo lavoro; credo che sia il più inutile che sia mai stato scritto. Quando si tratta di provare delle cose così chiare, si è sicuri di non convincere.

L’autore dichiara che, sebbene egli sia ebreo, rispetta la religione cri-stiana, e l’ama abbastanza per togliere ai principi che non saranno cri-stiani un pretesto plausibile per perseguitarla. Vi lagnate, disse agli in-quisitori, per il fatto che l’imperatore del Giappone fa bruciare a lento fuoco tutti i cristiani che si trovano nei suoi Stati; ma egli vi risponderà: Vi trattiamo – voi che non credete come noi – come voi stessi trattate coloro che non credono come voi; non potete lagnarvi d’altro che della vostra debolezza, che vi impedisce di sterminarci, e che fa sì che siamo noi a sterminare voi.

Ma bisogna ammettere che voi siete ben più crudeli di quest’impera-tore. Fate morire noi che crediamo solo ciò che voi credete, perché non crediamo tutto ciò che voi credete. Noi seguiamo una religione che voi sapete benissimo fu un tempo cara a Dio: pensiamo che Dio l’ami ancora, e voi pensate che egli non l’ama più; e siccome stimate che le cose stiano così, fate passare a ferro e fuoco coloro che sono in quest’errore tanto scusabile, di credere che Dio ama ancora ciò che ha amato.

Se voi siete crudeli nei nostri riguardi, lo siete molto di più nei riguardi dei nostri gli; li fate bruciare, perché seguono le ispirazioni che a essi diedero coloro che la legge naturale e le leggi di tutti i popoli insegnano a rispettare come degli dei.

Vi private del vantaggio che vi ha dato sui maomettani il modo in cui la loro religione si è stabilita. Quando si vantano del numero dei propri fedeli, dite a essi che la forza li ha acquisiti a loro, e che essi hanno esteso la loro religione col fuoco: perché dunque (anche voi) affermate la vostra col fuoco?

Quando volete farci venire con voi, vi obiettiamo una sorgente dalla quale voi vi gloriate di discendere. Voi ci rispondete che la vostra reli-gione è nuova, ma che essa è divina; e lo provate col fatto che essa è cresciuta con la persecuzione dei pagani e col sangue dei vostri martiri; ma oggi assumete il ruolo dei Diocleziani, e fate prendere a noi il vostro.

Vi scongiuriamo, non per il Dio possente che serviamo, voi e noi, ma per il Cristo che voi ci dite aver preso la condizione umana per proporvi degli esempi che possiate seguire; vi scongiuriamo di agire con noi come agirebbe egli stesso se fosse ancora su questa terra. Voi volete che siamo cristiani, e non volete esserlo voi stessi.

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Verità e libertà 235

Ma se non volete essere cristiani, siate almeno uomini: trattateci come fareste se, avendo soltanto quei deboli lumi di giustizia che la natura ci dà, voi non aveste affatto una religione per guidarvi, e una rivelazione per illuminarvi.

Se il cielo vi ha amato tanto da farvi vedere la verità, vi ha dato una gran-de grazia; ma spetta forse ai gli che hanno avuto l’eredità del loro padre, di odiare quelli che non l’hanno avuta?

Perché se voi avete questa verità, non nascondetecela nel modo con cui ce la proponete. Il carattere della verità, è il suo trionfo sui cuori e sulle menti, e non questa impotenza che voi confessate quando volete farla ac-cettare in iggendo dei supplizi.

… … …Bisogna che vi avvertiamo di una cosa: cioè che se qualcuno nella po-

sterità oserà dire che nel secolo in cui noi viviamo, i popoli d’Europa erano guardati a vista dalla polizia, voi sarete citati per dimostrare che questi popoli erano barbari; e l’idea che si avrà di voi sarà tale che coprirà d’i-gnominia il vostro secolo, e porterà l’odio su tutti i vostri contemporanei.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 491

DELLA TOLLERANZA UNIVERSALE

Non occorre una grande arte, un’eloquenza molto ricercata, per dimostrare che i cristiani debbono tollerarsi gli uni gli altri. E vado più lontano: vi dico che bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli. E che! mio fra-tello il Turco? mio fratello il Cinese? l’Ebreo? il Siamese? Sì, senza dubbio; non siamo forse tutti gli del medesimo padre e creature del medesimo Dio?

Ma questi popoli ci disprezzano; ma essi ci trattano come degli idolatri? Ebbene! dirò loro che hanno molto torto. Mi pare che potrei stupire almeno l’orgogliosa testardaggine di un Imam se parlassi loro press’a poco così:

Questo piccolo globo, che è soltanto un puntino, ruota nello spazio, come tanti altri globi; noi siamo sperduti in questa immensità. L’uomo, alto circa un metro e mezzo, è certamente ben poco nella creazione. Uno di questi es-seri impercettibili dice a qualcuno dei suoi vicini, in Arabia o nella terra dei Cafri: “Ascoltatemi poiché il Dio di tutti questi mondi mi ha illuminato; vi sono novecento milioni di piccole formiche come noi sulla terra, ma soltanto il mio formicaio è caro a Dio; tutti gli altri, Egli li aborrisce dall’eternità; esso sarà il solo felice e tutti gli altri saranno eternamente sfortunati”.

Essi mi arresterebbero allora, e mi domanderebbero chi è quel pazzo che dice questa sciocchezza. Sarei obbligato a rispondere loro: siete voi stessi. E cercherei in seguito di addolcirli; ma sarebbe ben dif cile.

Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763. 492

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236 Il diritto di essere un uomo

SE L’INTOLLERANZA DEL DIRITTO NATURALE E DEL DIRITTO UMANO Il diritto naturale è quello che la natura indica a tutti gli uomini. Voi avete

allevato vostro glio, egli vi deve rispetto quale suo padre, riconoscenza come suo benefattore. Voi avete diritto ai prodotti della terra che avete coltivata con le vostre mani. Avete dato e ricevuto una promessa: deve essere mantenuta.

Il diritto umano non può essere fondato in alcun caso se non su questo diritto di natura; e il grande principio, il principio universale dell’uno e dell’altro, è in tutta la terra: “Non fare quello che non vorresti facessero a te”. Ora, non si vede come, seguendo questo principio un uomo potrebbe dire a un altro: “Credi quello che io credo e anche quello che tu non puoi credere oppure perirai”. È quello che si dice in Portogallo, in Spagna, a Goa. Ci si accontenta ora, in qualche altro paese di dire: “Credi, oppure io ti odio; credi, o ti farò tutto il male che potrò; mostro, tu non hai la mia reli-gione, non hai quindi religione; bisogna che tu sia detestato dai tuoi vicini, dalla tua città, dalla tua provincia”.

Se facesse quindi parte del diritto umano comportarsi così, bisognerebbe che il giapponese detestasse il cinese, che questi esecrasse il siamese; co-stui perseguitasse gli abitanti della provincia del Gange, che cadrebbero (a loro volta) sugli abitanti dell’Indo; un Mogol strapperebbe il cuore al primo Malabar che incontrasse; il malabarese potrebbe sgozzare il persiano, che massacrerebbe il turco; e tutti insieme si getterebbero sui cristiani, che si sono per lungo tempo divorati gli uni gli altri.

Il diritto dell’intolleranza è dunque assurdo e barbaro; è il diritto delle tigri; ed è ben più orribile, perché le tigri si sbranano solo per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragra .

Voltaire, Trattato sulla tolleranza. 493

EDITTO DI TOLLERANZA DI GIUSEPPE II (OTTOBRE 1781) In particolare, Noi vogliamo che i punti seguenti siano rispettati:I sudditi acattolici possono costruire la propria casa di preghiera o di

scuola nelle località ove vivono cento famiglie, anche se non abitano nella località della casa di preghiera o di resistenza del pastore, a condizione che coloro che non abitano là risiedano a qualche ora di distanza. Coloro che abitano a una distanza maggiore potranno recarsi tutte le volte che lo vor-ranno alla casa di preghiera più vicina, situata nei domini ereditari dell’Im-peratore e Re, visitare i loro Ministri a condizione che siano cittadini dei nostri Domini. I Ministri potranno portare i conforti dell’anima ai malati, quando sarà necessario, ma non potranno mai opporsi, senza assumersi delle gravi responsabilità, a che tal o tal altro ammalato faccia venire un sacerdote cattolico.

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Verità e libertà 237

Per le case di preghiera, Noi ordiniamo che là dove le cose non siano disposte in modo diverso, gli edi ci non abbiano alcuna apparenza este-riore di chiesa, che non vi sia campanello, né campane, né campanile, né entrata troppo visibile sulla strada; per contro esse possono essere costruite liberamente con il materiale preferito. L’amministrazione dei sacramenti, la frequenza del culto, come pure la visita agli ammalati nelle liali, le sepolture pubbliche con accompagnamento del pastore, devono essere in-teramente permessi.

… … …Ci si scosti dal modo usuale di fare, in materia di matrimoni degli acat-

tolici per l’educazione dei gli nella religione cattolica romana, e che resti inteso che se il padre appartiene alla religione cattolica, tutti i gli, maschi e femmine, saranno educati nella religione cattolica, cosa che deve essere considerata una prerogativa della religione dominante; ma quando il padre sarà protestante e la madre cattolica, i gli seguiranno la religione del pa-dre, le glie quella della madre.

Austria. 494

Intolleranza ARTICOLO “RIFUGIATI” Luigi XIV, perseguitando i protestanti, ha privato il suo regno di circa un

milione di uomini industriosi che egli ha sacri cato agli scopi interessati e ambiziosi di alcuni cattivi cittadini che sono i nemici di ogni libertà di pen-siero, perché essi non possono governare se non all’ombra dell’ignoranza. Lo spirito persecutore dovrebbe essere represso da ogni governo illumi-nato: se si punissero i perturbatori che vogliono continuamente turbare la coscienza dei loro concittadini quando hanno opinioni diverse dalle loro, si vedrebbero tutte le sette vivere in perfetta armonia e a fornire a gara dei cittadini utili alla patria e fedeli al loro principe.

Che idea dobbiamo farci dell’umanità e della religione dei partigiani dell’intolleranza? Coloro che credono che la violenza può far sgretolare la fede degli altri danno un’opinione molto riprovevole dei loro sentimenti e della propria costanza.

Enciclopedia, articolo di Diderot (1751-1772). 495

Se restringiamo la libertà religiosa, nessun rimprovero sarà mai troppo severo per la nostra follia

Noi, sottoscritti, cittadini del detto Stato (Virginia), avendo attentamente esaminato un progetto di legge, stampato per ordine dell’Assemblea gene-rale nella sua ultima sessione e intitolato “Progetto di legge contenente le

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238 Il diritto di essere un uomo

disposizioni per coloro che insegnano la religione cristiana”, ritenendo che questo testo, se avrà un de nitivo valore di legge, costituirà un pericoloso abuso di potere, siamo tenuti, in quanto membr i fedeli di uno stato libero, a protestare nei suoi riguardi e a esporre i motivi della nostra decisione. Noi protestiamo contro questo progetto di legge.

Perché consideriamo come una verità fondamentale e innegabile che “la religione, o i doveri che noi abbiamo verso il nostro Creatore, e il modo di sdebitarcene non possono essere regolati se non dalla ragione e dalla convinzione; e non con la forza o la violenza” (Dichiarazione dei diritti, articolo 16). La religione di ogni uomo dipende dunque dalla sua convin-zione e dalla sua coscienza e ognuno ha il diritto di praticarla secondo ciò che essa gli comanda. Questo diritto è per natura un diritto inalienabile. È inalienabile perché le opinioni che, in ognuno di noi, si appoggiano uni-camente sulle prove esaminate dal nostro spirito non possono obbedire ai comandamenti di altri uomini; è inalienabile anche perché ciò che qui è di-ritto verso gli uomini è un dovere riguardo al Creatore. Ogni uomo è tenuto a rendere al Creatore l’omaggio che ritiene gli sia gradito, e solo quello. Sia nell’ordine del tempo che per la forza dell’obbligo, questo dovere passa prima delle esigenze del corpo sociale. Prima che un uomo possa essere considerato come membro di questo corpo, egli deve esserlo come suddito del Padrone dell’universo; e se, quando egli aderisce a un’Associazione subordinata qualunque, un membro del corpo sociale deve sempre farlo sotto riserva dei suoi obblighi verso l’autorità generale, a più forte ragione colui che diventa membro di un corpo sociale determinato, qualunque esso sia, deve fare le riserve che gli impone la sua sottomissione al Sovrano uni-versale. Noi affermiamo dunque che, in materia di religione, nessuno può vedere diminuiti i suoi diritti dall’istituzione di un corpo sociale, e che la religione sfugge interamente alla competenza di questo. Non esiste certa-mente altra norma che la volontà della maggioranza per regolare in ultima analisi le questioni che possono dividere un corpo sociale; ma è anche vero che la maggioranza può usurpare i diritti della minoranza.

… … …Conviene infatti allarmarsi n dal primo tentativo fatto contro le nostre

libertà. Consideriamo questa gelosa prudenza come primo dovere dei cit-tadini e come una delle più nobili caratteristiche della recente rivoluzione. Gli uomini liberi d’America non hanno atteso che l’autorità usurpata si fosse rafforzata con l’esercizio del potere e avesse imbrogliato la questione con dei precedenti. Essi intravvidero tutte le conseguenze nel principio e le evitarono negando il principio. Noi consideriamo troppo importante questa lezione per perderne ben presto il ricordo. Chi non vede come l’autorità

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Verità e libertà 239

che può erigere il cristianesimo a religione di Stato, con l’esclusione di ogni altra religione, potrebbe con altrettanta facilità accordare lo stesso trattamento a qualsiasi setta cristiana, a esclusione di tutte le altre sette? Forse che l’autorità che può costringere un cittadino a prelevare anche solo tre pence sui suoi beni per sostenere una Chiesa uf ciale unica, potrà co-stringerlo a fare atto di sottomissione a qualsiasi altra Chiesa uf ciale in qualsiasi caso?

Perché il progetto di legge viola l’uguaglianza che deve essere il fonda-mento di ogni nazione e di ogni religione, e promette di illustrare il nostro paese e di dare una più grande prosperità a un numero considerevole dei suoi cittadini. Questo progetto di legge è certo il triste segno di un improv-viso decadimento. Invece di aprire un asilo ai perseguitati, esso è di per sé un segnale di persecuzione. Priva del rango di cittadino tutti coloro la cui opinione in materia religiosa non si conformi a quella dell’autorità legisla-tiva. Per quanto distante sia – nella sua forma attuale – dall’inquisizione, la differenza è solo di grado: l’uno è il primo passo, l’altro l’ultimo sulla via dell’intolleranza. Per l’uomo dal cuore magnanimo che, in terra straniera, soffre di questo crudele agello, il progetto in questione apparirà come un segnale eretto al nostro anco per avvertirci che val meglio cercare qualche altro asilo ove la libertà e la lantropia, avendo il posto che loro compete, gli permettono, dopo le sue disgrazie, di godere più sicuramente un po’ di riposo.

… … …Perché distruggerà questa moderazione e quest’armonia che le nostre

leggi, astenendosi dal riferirsi alla religione, hanno prodotto tra le diver-se sette. Dei torrenti di sangue sono colati nel Vecchio mondo perché il braccio secolare si sforzava invano di sopprimere le discordie religiose proibendo ogni divergenza di punti di vista in materia di religione. Il tempo ha nalmente messo in evidenza il vero rimedio: ogni volta che si è tentato di temperare questa politica stretta e rigorosa, si è constatato dovunque un miglioramento della salute dell’ammalata. Ciò che è successo in America prova che una libertà completa e uguale per tutti, se non sopprime comple-tamente il male, distrugge almeno suf cientemente la sua in uenza perni-ciosa sulla salute e la prosperità dello Stato. Se, avendo sotto gli occhi gli effetti salutari di questo sistema, noi cominciamo tuttavia a restringere la libertà religiosa, nessun rimprovero sarà troppo severo per la nostra follia. Che almeno il primo frutto di questa innovazione, da cui siamo minacciati, sia per noi un avvertimento: la semplice apparizione del progetto di legge ha trasformato le virtù cristiane della pazienza, dell’amore e della carità (articolo 16) di un tempo in animosità e gelosia che non si calmeranno

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240 Il diritto di essere un uomo

forse per molto tempo. Quali sventure non sarebbero da temersi nel caso in cui questo nemico della pace pubblica fosse armato dei poteri della legge?

Perché le misure previste sono contrarie alla diffusione della luce del cristianesimo. Il primo augurio di quelli che godono di questo dono pre-zioso dovrebbero essere che esso venga accordato a tutta l’umanità. Con-frontate il numero di coloro che hanno ricevuto questo dono col numero di quelli che restano ancora sotto l’impero delle false religioni e vedrete quan-to debole sia il primo! Il progetto di legge tende forse a diminuire questa sproporzione? No! Anzitutto esso scoraggia quelli che sono estranei (alla rivelazione) dal venire nelle regioni in cui essa diffonde la sua luce e allo stesso tempo il suo esempio incoraggia le genti che restano nelle tenebre a tenere lontani coloro che potrebbero illuminarle. Invece di appianare, per quanto possibile, tutti gli ostacoli che si oppongono al vittorioso progresso della verità, il progetto di legge lo circonderebbe di muraglie, per una timi-dezza indegna e molto poco cristiana, al ne di proteggerla dall’invadenza dell’errore.

Perché, sforzandosi di imporre con sanzioni legali delle disposizioni che urtano una così alta percentuale di cittadini, si tende a indebolire le leggi in generale e a rilassare i legami della società. Se è dif cile far eseguire una legge, che non è giudicata necessaria o salutare dalla maggioranza, quanto maggiore sarà la dif coltà se la legge è considerata ingiusti cata e perico-losa! E quale può essere l’effetto di un esempio così evidente di impotenza sull’autorità generale del governo? [...].

In ne, possediamo, esattamente come tutti gli altri nostri diritti, il diritto che ogni cittadino ha di praticare liberamente la propria religione, secondo le esigenze della coscienza. Perciò se consideriamo la sua origine, anche questo diritto è un dono della natura; se ne misuriamo l’importanza, non ci può essere meno caro; se consultiamo la dichiarazione dei diritti che spet-tano al buon popolo della Virginia e formano “la base e il fondamento del Governo” (Dichiarazione dei diritti, titolo), questo diritto è enunciato con la stessa solennità o piuttosto con la stessa voluta insistenza. Dobbiamo dunque dire o che l’autorità del corpo legislativo non conosce altri limiti all’infuori della propria volontà, e che, nell’esercizio di questa completa autorità, può sopprimere tutti i nostri diritti fondamentali, oppure esso l’ob-bliga di lasciare intatto questo diritto e di considerarlo come sacro.

James Madison, Memorial and Remonstrance, 1784. 496

IL MIO CREDO POLITICO Gli ebrei siano cittadini che godono i nostri stessi diritti, cioè coloro

tra i nostri compatrioti che osservano la religione di Mosè: le leggi non

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Verità e libertà 241

possono ragionevolmente prendere in considerazione il modo col quale ta-luno adora il suo Dio, ma soltanto esigere che ogni cittadino che vive in questo paese, qualunque sia la sua religione, soddis ai suoi doveri verso la società e osservi le leggi. Qualunque sia la sua confessione, un cittadino può essere punito soltanto se è colpevole e se merita una punizione. Ora gli ebrei sarebbero anche puniti globalmente, siano essi buoni o colpevoli: il che è in contraddizione tanto con la ragione quanto con il senso di umanità e con la giustizia pura e semplice.

Mihály Táncsics, socialista agrario ungherese, 1848. 497

Naturalmente uno stato senza religione non vuol dire che i cittadini si-ano senza religione; signi ca soltanto che lo Stato, custode della libertà di coscienza, non osserva alcun culto e non accorda situazioni di privilegio a nessun clero.

Enrique José Varona (1849-1933), Cuba. 498

Opzione rivoluzionaria Chi non è con noi è contro di noi. Quelli che credono di stare al di fuori

della storia s’ingannano. Anche ammettendo che un tempo ciò sia stato possibile, oggi simili persone non possono più esistere. Nessuno ha biso-gno di loro. Tutti, senza eccezione, sono trascinati nel turbine [...]. Dite che io sempli co troppo la vita? E che questa sempli cazione minaccia la cultura [...]. Ma bisogna far vedere alle masse russe delle cose molto sem-plici che siano per loro accessibili. I Soviets, il comunismo, ecco ciò che è semplice [...]. L’unione degli intellettuali con gli operai? Sarebbe una buo-na cosa. Dite loro dunque di venire a noi. Secondo voi, essi servono molto sinceramente l’ideale della giustizia? perché non vengono allora a unirsi a noi? Siamo noi quelli che abbiamo assunto il compito immenso di mettere in piedi il popolo, di dire al mondo tutta la verità sulla vita; noi mostriamo ai popoli la via che conduce diritto verso la dignità umana, che permette di uscire dalla schiavitù, dalla miseria e dall’umiliazione.

Lenin, citato da Maksim Gorkij, 1920. 499

Libertà d’opinione Il Consiglio dell’istruzione pubblica (Board of Education) dello Stato

della Virginia occidentale aveva imposto nel 1943 la cerimonia del saluto alla bandiera in tutte le scuole pubbliche. I ragazzi che avessero infranto questa regola sarebbero stati respinti e in caso di assenza, i genitori avreb-bero potuto essere perseguiti. Questa decisione venne contestata e il caso fu sottoposto alla Corte Suprema.

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242 Il diritto di essere un uomo

Il giudice Jackson dà il suo parere durante il processo:In questo caso, tuttavia, noi abbiamo a che fare con l’obbligo imposto

agli alunni di dichiarare un credo. Non ci si accontenta di far loro conosce-re il saluto alla bandiera, af nché essi sappiano che cosa è, e anche cosa signi ca. Si tratta di sapere se è possibile, dal punto di vista costituzionale, abbreviare questa iniziazione al lealismo – lenta e facilmente negletta – so-stituendola con un saluto e la recita di una formula obbligatoria [...].

Bisogna notare anche che il saluto obbligatorio alla bandiera e la dichia-razione corrispondente, esigono l’affermazione di un credo e l’adozione di un certo atteggiamento mentale. Non si sa se il regolamento prevede che l’alunno debba rinunciare eventualmente a ogni convinzione contraria e allinearsi, suo malgrado, a questa cerimonia obbligatoria, oppure se è am-messo che egli simuli il suo assenso pronunciando delle parole alle quali non crede e compiendo un gesto vuoto di signi cato [...].

Per sostenere che il saluto alla bandiera ha un carattere obbligatorio, bisogna che noi affermiamo che il “Bill of Rights” (Dichiarazione dei di-ritti), che salvaguarda il diritto di ogni individuo di dire ciò che pensa, ha lasciato alle autorità pubbliche la possibilità di obbligarlo a dire ciò che non pensa [...].

Senza l’assicurazione che verrà ulteriormente adottato un “Bill of rights” di carattere limitato, è poco probabile che la nostra Costituzione avrebbe raccolto suffragi suf cienti per essere rati cata. Vegliare oggi al rispetto di questi diritti, non vuol dire preferire un governo debole a un governo forte. Signi ca solamente cercare la forza nella libertà individuale, piuttosto che in una uniformità uf cialmente disciplinata, che la storia ha dimostrato raggiungere il più spesso una ne disilludente e disastrosa.

La causa di cui siamo ora investiti illustra questo principio. L’insegna-mento pubblico gratuito, se è fedele all’ideale della istruzione laica e della neutralità politica, non sarà né favorevole né sfavorevole a nessuna classe, a nessun credo, a nessun partito o fazione. Al contrario, se esso dovesse imporre una disciplina ideologica qualunque, ciascun partito o confessione si sforzerebbe inevitabilmente di indebolire o, in mancanza, (almeno) di ridurre l’in uenza del sistema d’insegnamento. Il rispetto dei limiti imposti dalla Costituzione non indebolirà il Governo nel campo in cui la sua auto-rità si esercita legittimamente [...].

Il quattordicesimo emendamento, come è attualmente applicato nei con-fronti degli Stati, protegge il cittadino contro lo Stato medesimo e contro tutte le istituzioni che da esso emanano: ivi compresi i Consigli dell’I-struzione pubblica. Questi hanno evidentemente delle funzioni importanti, delicate e altamente discrezionali, ma non ne hanno alcuna che essi non

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Verità e libertà 243

possano esercitare nei limiti del “Bill of rights”. Il fatto stesso che presieda-no all’istruzione civica dei giovani conferisce loro il dovere di proteggere scrupolosamente le libertà costituzionali dell’individuo se si vuole evitare che la libertà di spirito sia soffocata alla radice e che i giovani non impari-no a considerare come puramente teorici dei principi importanti del nostro sistema di governo [...].

E il dovere che ci incombe di applicare le disposizioni del “Bill of rights” nei confronti degli atti dell’autorità uf ciale non è condizionato dal pos-sesso di competenze elevate nel campo in cui i diritti vengono trasgrediti. Certamente, il compito che consiste nel tradurre le maestose generalità del “Bill of rights” – concepite come un elemento del sistema di governo li-berale del XVIII secolo – in limitazioni concrete imposte a funzionari che trattano problemi del XX secolo, è tale da far esitare i più sicuri. Questi principi sono usciti da un terreno che ha anche fatto nascere una loso a la quale ritiene che l’individuo è il centro della società, che la sua libertà può essere ottenuta con la semplice assenza di obblighi statali, che il governo deve ricevere soltanto un piccolo numero di poteri ed esercitare solo una leggerissima sorveglianza sugli affari umani. Occorre che noi trapiantiamo questi diritti in un terreno in cui il concetto del lasciar fare – il principio del non-intervento – si è atro zzato almeno per quanto concerne gli affari economici e in cui ci si sforza sempre più di realizzare il progresso sociale mediante una integrazione più stretta della società e un’azione più profon-da e più estesa dei poteri pubblici. In queste circostanze nuove, il ricorso ai precedenti è spesso azzardato e noi siamo obbligati a rimetterci, più di quanto ce lo augureremmo, al nostro giudizio personale. Ma noi agiamo in questo caso non con l’autorità delle nostre conoscenze, ma in forza del nostro mandato. Un’idea modesta delle nostre quali che in campi specia-lizzati come l’istruzione pubblica, non ci autorizza a eludere l’obbligo che la Storia assegna a questo Tribunale di dare un giudizio quando la libertà è trasgredita [...].

Coloro che cominciano a eliminare con la forza la dissidenza arrivano ben presto a sterminare i dissidenti. L’uni cazione obbligatoria delle opi-nioni si conclude solamente nell’unanimità dei cimiteri [...].

Ma la libertà d’opinione non si limita alle cose di poca importanza. Sa-rebbe soltanto l’ombra della libertà. La pietra di paragone della sua realtà è il diritto di essere in disaccordo su quanto sta al centro dell’ordine esistente.

Giudice Jackson, Virginia occidentale, 1943. 500

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DIRITTI SOCIALI

Uguaglianza sociale

Quando Adamo zappava, mentre Eva lava,Chi era allora il gran Signore?Canto popolare del sec. XIV (anonimo), Inghilterra. 501

Il mandarino ha fretta, ma il popolo non ne ha.Se il mandarino ha fretta, attraversi il ume a nuoto!Proverbio del Vietnam. 502

Abuso Perché vendono per denaro il giustoe il povero per un paio di sandali:essi che gettano la polvere della terrasulla testa dei poveri e violano il diritto dei miseri [...].E su vesti prese a pegno si stendono presso ogni altare,e bevono il vino del loro strozzinaggio nel tempio del loro Dio.Bibbia ebraica, Amos, 2. 503

Non siamo forse dei ladri, in un certo senso? Se prendo qualcosa di cui non ho bisogno immediato e lo conservo, lo rubo a qualcun altro.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 504

Il cielo non crea l’uomo né al di sopra né al di sotto degli uomini. Yukichi Fukuzawa (1834-1901), Iniziazione al sapere, Giappone. 505

Nessuna distinzione d’ordine sociale alla nascita In questo mondo si osserva la differenza tra le impronte di una vacca, di

un elefante, di un cavallo, d’un daino, d’un leone, di una tigre, ecc., dicen-do: “Questa è l’impronta di una vacca”, “questa è l’impronta di un elefan-te”, “questa è l’impronta di un cavallo”, “questa è l’impronta di un daino”,

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246 Il diritto di essere un uomo

“questa è l’impronta di un leone”, “questa è l’impronta di una tigre”, ecc. Ma non accade lo stesso per un bramino e per gli altri uomini di cui non si dice: “questa è l’impronta di un bramino”, “questa è l’impronta di un ksatriya”, “questa è l’impronta di un vaisya”, “questa è l’impronta di un sûdra”, ecc. Di conseguenza, data l’assenza di ogni differenza d’impronta, vediamo che non esiste che una sola classe, quella degli esseri umani, e che non vi è distinzione tra le quattro classi della società.

In questo mondo si osserva una differenza tra gli organi maschili e quelli femminili, il colore, l’aspetto sico, gli escrementi, l’orina, l’odore e il grido della mucca, del bufalo, del cavallo, dell’elefante, dell’asino, della scimmia, della pecora, della capra, ecc. Ma non accade la stessa cosa nel caso del bramino, dello ksatriya, e degli altri uomini. Di conseguenza, an-che lì, data l’assenza di ogni differenza, dobbiamo supporre che esista una sola classe, quella degli esseri umani.

… … …Analogamente, o Bramino, poiché vi è identità (tra gli esseri umani) di-

nanzi al piacere, al dolore, alla vita, all’intelligenza, all’azione, al compor-tamento, alla morte, alla nascita, alla paura, all’unione dei sessi, ai costumi, non si può certamente supporre una distinzione (tra di loro secondo che sono) bramini (ksatriya, ecc.).

Si deve tener conto anche di questo, proprio come non v’è distinzione di classe tra i frutti prodotti da uno stesso albero [...] e come non si può dire “questo è un solo e medesimo albero”, “questo è un frutto bramino”, “questo è un frutto ksatriya”, ecc., perché sono tutti prodotti di un solo e medesimo albero, non vi è alcuna distinzione (di classe) tra gli uomini, perché essi sono tutti creati da un solo Essere supremo.

Attribuito a Asvaghosa (I sec. a.C. - I sec. d.C.), Vajrasûci, tradotto dal sanscrito. 506

La parola, l’unione dei sessi, la nascita e la morte sono simili per tutti gli umani.

Mahâbhârata, III (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 507

Il desiderio, la collera, la paura, l’avidità, il cruccio, l’angoscia, la fame, la stanchezza, ci dominano tutti. Come, in queste condizioni, una classe sociale differisce dall’altra? Il sudore, l’orina, gli escrementi, la bile e il sangue (caratterizzano) il corpo di tutti (gli uomini), che perisce (a poco a poco); come può dunque una classe essere distinta (da un’altra)?

Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 508

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Diritti sociali 247

I bramini (cioè gli uomini appartenenti alla classe detta la più nobile) sono nati dalle viscere della donna, proprio come i Candâlas (cioè gli uo-mini che appartengono alla classe detta inferiore) sono nati dalle viscere della donna. Quale giusti cazione vedete per assegnare il rango più elevato (ai primi) e la posizione inferiore (ai secondi)?

Non esiste differenza o distinzione tra gli esseri umani né per quanto riguarda i capelli, né le due orecchie, o la testa o gli occhi.

Sârdûlakarnâvadàna, 18 (II-IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 509

Dio giustiziere Se ho disprezzato il diritto del mio schiavo e della mia schiavanelle loro querele con me,che farò quando Dio si leverà?Quando esigerà i conti, che gli risponderò? Bibbia ebraica, Giobbe, 31. 510

Ingiustizia… Che la foglia del banano cada su una spina, o che una spina cada sulla

foglia del banano, è sempre la foglia che ne patisce.

… ma Se tutti vogliono viaggiare in portantina, dove si troveranno i portatori? Proverbi telugu, isole Mauritius. 511

Uguaglianza L’uomo che ha il coraggio di rinunciare alle caste e all’orgoglio sarà un

santo. Kabir, poeta Hindi (1089-1172). 512

La voce del popolo è il tamburo di Dio. Proverbio pendjabi. 513

Grande o piccola, la pietruzza conserva la sua natura (Importante o no, un uomo è sempre un uomo).

Imana (l’Essere supremo) crea gli uomini e non li differenzia. Proverbi del Burundi. 514

Inchinati dinanzi a colui che ti offre il segno del suo rispetto: non è uno schiavo che hai ereditato da tuo padre; rimani ero dinanzi a colui che fa l’orgoglioso: egli non è affatto il glio del Profeta.

Proverbio kazako. 515

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248 Il diritto di essere un uomo

Unità delle caste Che ne pensi tu di questo, Assalâyana? Supponiamo che un re raduni

cento uomini di origine diversa e dica loro: “Avvicinatevi! Che coloro che provengono da una famiglia di nobili, di sacerdoti o di re, portino del le-gno di teck, di sal o di un albero odorifero, di sandalo o di loto, accendano un fuoco e gli facciano produrre del calore! Avvicinatevi, anche voi; che coloro che provengono da una famiglia disprezzata, da una famiglia di cac-ciatori con trappole, di cestai, di carradori o di spazzini, portino un pezzo di legno di una mangiatoia per i cani, di un trogolo per i maiali o di una tinozza per tintore, o ancora delle schegge secche di un cespuglio di ricino, accendano un fuoco e gli facciano produrre del calore”.

Che ne pensi, Assalâyana? Se qualcuno – sia egli di una famiglia di no-bili o di sacerdoti, o di re, e che il legno sia di teck o di sal, oppure di un al-bero odorifero o di santal o di loto – accende un fuoco e gli fa produrre del calore, forse che questo fuoco non avrà amme, colore e splendore? Forse che per questo non potrà essere utilizzato come un fuoco? E se qualcuno – che provenga da una famiglia disprezzata, da una famiglia di cacciatori con le trappole, o di cestai, di carradori o di spazzini – porta un pezzo di legno di una mangiatoia per il cane o di trogolo per i maiali o di una tinozza per tintore, o ancora delle schegge secche di un cespuglio di ricino, accende un fuoco e gli fa produrre del calore, non avrà questo fuoco delle amme, un colore, uno splendore? Di conseguenza non potrà essere utilizzato come un fuoco?

– Ma sì, mio buon Gotama. Se qualcuno di una famiglia di nobili, di sacerdoti o di re porta del legno di teck, o di sal o di un albero odori co o di sandalo o di loto, accende un fuoco e gli fa produrre del calore, questo fuoco ha delle amme, un colore e uno splendore, e può essere utilizzato come fuoco. Analogamente, se qualcuno di una famiglia disprezzata, di una famiglia di cacciatori con trappola o di cestai, o di carradori o di spaz-zini porta un pezzo di legno di una mangiatoia per il cane o di trogolo per il maiale o di una tinozza per tintore o ancora delle schegge secche di un cespuglio di ricino, accende un fuoco e gli fa produrre del calore, questo fuoco avrà anch’esso delle amme, colore e uno splendore e potrà essere utilizzato come fuoco. Così, mio buon Gotama, tutti questi fuochi hanno delle amme, un colore e uno splendore e possono essere utilizzati come dei fuochi.

Majjhima Nikaya, II, tradotto dal pali. 516

Ajari Eijitsu era uno dei sacerdoti dell’Enrayaku-ji, il più grande tempio buddista di Kyoto. Secondo la volontà dell’imperatore, egli venne chia-

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Diritti sociali 249

mato in particolare al palazzo per curare l’imperatore Enyü gravemente ammalato [...]. A mezza via dal palazzo imperiale si incontrò con un am-malato che invocava la morte. Eijitsu discese dalla carrozza e lo curò. Il messaggero imperiale glielo rimproverò. Eijitsu rispose: “Non ho nulla da cercare se non Budda e non avendo io alcun attaccamento al mondo, non vi è per me né imperatore né signore [...]. Un ammalato abbandonato, ecco ciò che mi rattrista di più”. Egli si fermò lì e non si presentò al palazzo.

Storia dei Santi, episodio della ne del X sec., Giappone. 517

L’uguaglianza è un bisogno vitale dell’anima umana: essa consiste nel riconoscimento pubblico, generale, effettivo, espresso realmente dalle isti-tuzioni e dai costumi, dal fatto che la stessa quantità di rispetto e di riguar-do è dovuta a ogni essere umano, perché il rispetto è dovuto all’essere umano come tale e non già secondo gradi.

Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia. 518

Misfatti dell’inuguaglianza Se l’alto non esiste, non vi è voluttà a sfruttare il basso. Se il basso non

esiste, non vi è né adulazione né intrigo per piacere all’alto, né odio, né con itti di conseguenza. Non vi è alcuno che in alto, appropriandosi della via del Cielo, pianti di straforo la radice del furto e neppure nessuno che, in basso, rubi degli scudi e dei bèni, e così l’alto non farà delle leggi per punire il basso [...]. Nessuno, in alto, che, non coltivando la terra con le sue stesse mani, sfrutti il risultato del lavoro degli altri; nessuno che, deli-ziandosi si delizi di feste fastose e di musica e si lasci andare agli intrighi amorosi; nessuno che, in basso, invidioso e geloso, correndo per banchetti e abbandonandosi alle ragazze, faccia delle sciocchezze senza pudore [...]. Senza circolazione d’oro e d’argento, nessuno che desideri salire per rag-giungere la ricchezza e la prosperità, e neppure alcuno che, caduto in basso, si tormenti, umile, povero e ammalato.

Shoeki Ando, La vera condotta naturale, 1703-1762, Giappone. 519

Dopo tutto, non vi è alcuna ragione fondamentale che possa imporci una distinzione di rango tra gli uomini.

Joken Nishikawa (1648-1724), Memorie di un cittadino, Giappone. 520

Se presti denaro ad alcuno del mio popolo, al povero che sta con te, non ti comporterai con lui come un creditore: non gli imporrai alcun interesse.

Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo restituirai al tra-monto del sole. Esso infatti è la sola sua coperta, è il mantello per la sua

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250 Il diritto di essere un uomo

pelle; su che cosa giacerebbe? Se egli alza a me grida di aiuto io lo ascol-terò, poiché io sono compassionevole.

Bibbia ebraica, Esodo, 22. 521

Ciò che deve essere il sacerdote Amare tutti i propri fratelli ugualmente, e non solo quelli che saranno

stati giudicati migliori nell’opera di bene e nel professare l’obbedienza. Non mettere colui che è nato libero al disopra di colui che era schiavo prima del suo ingresso nella religione, a meno che vi sia un motivo ragio-nevole; se tuttavia il sacerdote crede di doverlo fare in virtù di un’esigenza di giustizia, faccia pure ciò che gli sembra meglio; altrimenti, che ognuno resti dove è, poiché, schiavi o liberi, tutti noi non siamo che uno in Cristo, e, sotto un solo Signore, portiamo il giogo di un solo servizio. Poiché, presso Dio, nessuno può raccomandarsi, ma Egli ci distingue solo se Gli sembriamo migliori di altri nel bene e pieni di umiltà. Si usi dunque verso tutti uguale carità nel suo servizio e, secondo i loro meriti, tutti siano sotto-messi a una medesima regola.

Regola di San Benedetto, 529 522

Colui che grida come un pappagallo è un pappagallo. Tutti gli uccelli che gridano così sono dei pappagalli; nessun altro uc-

cello grida così. Non preferire quindi l’uno o l’altro, essi gridano tutti allo stesso modo, sono tutti uguali.

Il lato sinistro e il lato destro sono tutte e due dei diritti di caccia. Uomo o donna, ricco o povero, ecc. non sono sostanzialmente diversi;

sono tutti degli uomini nati da una donna e destinati a morire. Proverbi mongo, Congo. 523

Gli uomini non sono dei covoni di miglio tra i quali si avrebbe interesse a scegliere il più grosso.

(Necessità di trattare tutti gli uomini secondo uguaglianza. In opposi-zione ai capi che hanno delle preferenze personali).

Proverbio sonraï, Africa. 524

Dall’imperatore no al popolo, non vi sono altre specie se non l’uomo e la donna tra gli esseri umani. Sono tuttavia stati divisi in superiori e inferio-ri, si sono stabiliti dei gradi e si è ssata una distinzione di quattro ranghi; samurai, agricoltore, artigiano e negoziante, che non per questo, tutti, sono meno uomini, meno esseri umani.

Genpaku Sugita (1733-1817), Veglia dell’anatomia, Giappone. 525

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Diritti sociali 251

Sotto il regime zarista Il servaggio era abolito. Ma due secoli e mezzo di schiavitù avevano ge-

nerato tutto un mondo di abitudini e di usi [...]. Si osservava dappertutto il disprezzo dell’individuo, il dispotismo dei padri, la sottomissione ipocrita delle spose, delle gliole e dei gli. All’inizio del XIX secolo, il dispoti-smo regnava nei costumi di tutta l’Europa occidentale [...] ma in nessun luogo si sviluppava come in Russia. La vita russa tutt’intera ne era pene-trata; i rapporti famigliari, i rapporti tra superiori e subordinati, uf ciali e soldati, padroni e servi ne offrivano degli esempi. Era un mondo composto di abitudini e di usanze, di modi di pensare, di pregiudizi e di bassezza mo-rale, che era sviluppato in un terreno nutrito di ozio. Anche i migliori tra gli uomini di quest’epoca pagavano un largo tributo a questi costumi ereditati dal servaggio, contro cui la legge si era rivelata impotente.

Solo un grande movimento sociale che tagliasse il male alla sua radi-ce poteva riformare le abitudini e le usanze della vita quotidiana. Questo movimento, questa lotta per i diritti dell’individuo prese in Russia un ca-rattere molto più potente, più implacabile nella sua negazione (dell’ordine stabilito) che in ogni altro paese. Nel suo notevole romanzo “Padri e gli”, Turgheniev diede a questo movimento il nome di “nichilismo”.

Pëtr Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario, 1899 (tradotto dall’ingle-se), Russia. 526

L’altra nobiltà Oreste parla Ah! Non vi è alcun segno sicuro della virtù e il disordine regna nelle na-

ture che hanno in comune gli esseri umani. Ho già visto il glio di un padre generoso mostrarsi uomo da nulla e dei gli nobili nascere da genitori vili. Ho visto presso l’uomo ricco la penuria di spirito e la grandezza d’animo nel corpo di un povero e allora quale segno scegliere per un sano giudizio? La ricchezza? Si prenderebbe un ben cattivo giudice. L’indigenza? Ma vi è una tara nella povertà e il bisogno è per l’uomo la scuola del male. Devo riferirmi all’armatura? Chi, vedendo una lancia, oserebbe testimoniare che colui che la porta è valoroso? La cosa migliore in mezzo a questa confusio-ne è quella di lasciare che regni il caos.

Vedete quest’uomo: non è un grande in Argo, non si inorgoglisce dello splendore di un bel nome, e, sebbene uomo del popolo, egli ha rivelato la sua virtù. Ascoltate la ragione, voi che vi lasciate traviare da una folla di vani pregiudizi, ed è osservando la loro condotta e il loro carattere che giudicherete della nobiltà dei mortali.

Euripide (V sec. a.C.), Elettra. 527

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252 Il diritto di essere un uomo

Gerarchia corretta Il saggio domandò allo Spirito di saggezza: “Come è possibile preoccu-

parsi del mantenimento e della prosperità del corpo senza danno per l’ani-ma, e della preservazione dell’anima, senza danno per il corpo?”.

Lo Spirito di saggezza rispose: “Colui che è meno di te, consideralo come tuo uguale; colui che è tuo uguale, come tuo superiore; colui che è più grande di te, come un capo; e un capo come un sovrano.

“Con i sovrani bisogna essere docili, obbedienti e sinceri. Coi colleghi, sii sottomesso, dolce e buono”.

Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 528

I veri criteri Non è la nascita che fa il bramino o il non-bramino: Lo si diventa con la vita e la condotta. È la loro vita che fa i contadini, i negozianti e i servi; È essa che fa i ladri, i soldati, i sacerdoti e i re. Così, il saggio scopre la causa che spiega l’origine dell’esistenza, Così egli discerne ciò che ha preceduto, e ciò che seguirà. Ogni uomo ha la sorte che chiama il suo passato, Come il carro segue il cammino tracciato dalla strada. Sono la rinuncia, la vita santa e padronanza di sé Che fanno il vero bramino.Sutta Nîpâta (Le formule), India del sud e Ceylon, tradotto dal

pali. 529

Sentimento dell’uguaglianza umana Vedo no a quali limiti va la necessità naturale; e, considerando il povero

mendicante che si trova alla mia porta, spesso più allegro e più sano di me, mi pongo al suo posto, cerco di adattare la mia anima alla sua condizione. E, considerando in tal modo gli altri esempi, checché io pensi della morte, della povertà, del disprezzo e della malattia, mi decido facilmente a non spaven-tarmi di ciò che una persona minore di me accetta con tale pazienza. E non posso credere che la povertà dell’intelletto possa più del vigore.

Montaigne (1580-1588), Essais. 530

Le anime degli Imperatori e dei ciabattini sono gettate nella stessa maci-na. Considerando l’importanza delle azioni dei principi e il peso che hanno, ci persuadiamo che esse sono prodotte da qualche causa tanto potente e importante. Ci sbagliamo: esse sono condotte avanti e indietro nei loro movimenti dalle stesse molle che fanno muovere noi. La stessa ragione

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Diritti sociali 253

che ci fa bastonare un servo, se ha luogo in casa di un Re, gli fa rovinare la sua provincia. Essi hanno una volontà debole come la nostra, ma sono più potenti. Uguali stimoli agitano un animaletto e un elefante.

Montaigne (1580-1588), Essais. 531

Ogni uomo, nel fondo del suo cuore, ha il diritto di credersi comple-tamente uguale agli altri uomini; non ne consegue da ciò che il cuoco di un cardinale debba ordinare al suo padrone di preparargli il pranzo; ma il cuoco può dire: “Sono un uomo come il mio padrone; sono nato come lui piangendo; egli morirà come me nelle stesse angoscie e le stesse cerimo-nie. Siamo soggetti tutti e due alle stesse funzioni animalesche. Se i Turchi s’impadroniscono di Roma, e se allora io sono cardinale e il mio padrone cuoco, lo prenderò al mio servizio”. Tutto questo discorso è ragionevole e giusto; ma aspettando che il Grande Turco s’impadronisca di Roma, il cuoco deve fare il suo dovere, oppure tutta la società umana è pervertita.

Voltaire, Dizionario loso co, riveduto nel 1771. 532

Testo scritto in prigione, in Germania, dopo la lettura di un passo delle “Leggi” di Platone

Durante gli intervalli di un interminabile allarme del 23 febbraio 1945.“Ci sono due specie di eguaglianze che si rassomigliano in quanto al

nome, ma che nella realtà sono molto diverse. L’una consiste nel peso, nel numero e nella misura: non vi è alcun Stato, alcun legislatore al quale non sia facile farla passare nella distribuzione degli onori, lasciandoli alla disposizione della sorte. Ma non accade così della vera e perfetta ugua-glianza, che non è facile a essere conosciuta da tutti. Il suo discernimento appartiene a Giove e di esso si trova ben poco tra gli uomini. E per di più quel poco che se ne trova, sia nell’amministrazione pubblica che nella vita privata, produce tutto ciò che vi si fa di bene. Essa dona di più a chi è grande, meno a colui che è più piccolo, all’uno e all’altro nella misura della sua natura. Proporzionando in tal modo gli onori al merito, essa dona i maggiori a coloro che hanno virtù e i minori a coloro che hanno minor virtù ed educazione. Ecco in che cosa consiste la politica giusta, alla quale dobbiamo tutti tendere, mio caro Clinias, avendo sempre gli occhi rivolti a questa uguaglianza nella costituzione della nostra nuova colonia. Chiunque penserà a fondare uno Stato deve proporsi lo stesso scopo nel suo piano di legislazione e non già l’interesse di uno o di più tiranni oppure l’autorità della moltitudine, ma sempre la giustizia, che, come abbiamo detto or ora, non è altro che l’uguaglianza stabilita tra le cose inuguali conformemente alla loro natura [...]”.

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Questo passo di Platone [...] non è oscuro, né contraddittorio [...]. Più che un’oscurità, vedo in esso una specie di luccichio (di cui credo saper discernere la causa, che noterò). Platone distingue due nozioni molto dif-ferenti nell’uguaglianza. Da una parte l’uguaglianza-equivalenza, l’ugua-glianza che si traduce con una identità aritmetica e che consiste “nel peso, nel numero e nella misura”. In questa accezione, l’uguaglianza non cono-sce, nega o tende ad annullare la diversità, la varietà degli individui, cioè le ineguaglianze naturali; essa le sottomette tutte, volenti o nolenti, alle stesse regole di misura, di numero e di peso. Dall’altra parte l’uguaglianza-equità, che accetta il “materiale” umano quale è, che riconosce come fatto princi-pale la diversità, la varietà, e di conseguenza l’inuguaglianza intrinseca dei dati umani e che si manifesta, non con l’uniformità numerica, ma con la giusta proporzione mantenuta tra i dati umani inuguali. “Essa dona di più a colui che è grande, di meno a colui che è piccolo”.

“La Giustizia, conclude Platone, non è altro che l’uguaglianza stabilita tra le cose inuguali, conformemente alla loro natura”. E questa de nizione mi sembra ammirevole. La giustizia, l’uguaglianza consistono nel man-tenere la proporzione tra la natura e la società e, di conseguenza, a non tollerare nella società altre ineguaglianze all’infuori di quelle che sono l’e-spressione delle ineguaglianze naturali.

Nulla è più chiaro, volete forse che io non conosca questo testo? [...]. Ho sempre ritenuto che l’uguaglianza fosse il rispetto esatto della varietà e, di conseguenza, dell’inuguaglianza naturale. Le formule dell’uguaglian-za sono, non già “Tutto alla tesa” (antica misura di lunghezza italiana e francese)”, “‘Tutto nel medesimo sacco”, ma “Ognuno al suo posto” e “A ognuno quel che gli è dovuto”.

Questo concetto di uguaglianza è completamente rivoluzionario. Per-ché la società fosse equa, cioè rispettosa della prima distribuzione ritenuta giusta, bisognerebbe che dopo una iniziale divisione tra le cose inuguali, le ineguaglianze individuali fossero integralmente e inde nitamente trasmis-sibili di generazione in generazione. La società sarebbe allora “uguale”, sebbene ripartita in caste. Ma le diversità individuali non sono ereditarie, mentre le preferenze o i vantaggi sociali, annessi alle superiorità persona-li, continuano a trasmettersi sotto forme multiple. Eliminare dalla società tutte le ineguaglianze che non esprimono le ineguaglianze individuali, rap-presenta esattamente la rivoluzione. Ho spesso ripetuto, in questo senso, che la rivoluzione poteva contenersi in due leggi: una la legge sull’eredità e l’altra sull’educazione. Una legge sull’eredità, per far “partire” da una uguaglianza ognuno degli individui che compongono una generazione. Una legge sull’educazione, o piuttosto sull’ostentazione sociale, per setac-

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ciare, classi care, coltivare l’in nita varietà dei temperamenti “inuguali”, e per ristabilire l’uguaglianza designando ogni individuo al compito socia-le che la sua vocazione naturale gli destina.

… … …La fratellanza, comunque la si intenda, non viene prima dell’uguaglian-

za. Deriva da essa. Non vi è fraternità possibile se non tra uomini liberi e uguali. Libertà e uguaglianza (cioè Giustizia) anzitutto. La fraternità viene in seguito, come una conseguenza.

Donde viene la nta oscurità, cioè il luccichio? Dalla stessa confusione tra il Sociale e il Politico, che ho segnalato con tanta insistenza a proposito del concetto di rivoluzione. Bisogna distinguere tra uguaglianza sociale e uguaglianza politica come pure tra rivoluzione politica e rivoluzione socia-le [...]. Per Platone, l’uguaglianza sociale è la vera e l’uguaglianza politica è la falsa. Per questo può essere al tempo stesso aristocratica o antidemo-cratica e comunista.

È giusto che in un certo senso l’uguaglianza politica, principio della democrazia, disconosca il dato di fatto delle ineguaglianze naturali. Il popolo è sovrano. Per riconoscere la volontà del sovrano, la regola del-la maggioranza è la sola ammissibile, o anche la sola concepibile e, per la composizione della maggioranza, tutte le unità civiche sono necessa-riamente considerate come equivalenti. È questa la falsa uguaglianza di Platone, quella che si traduce con il numero, il peso e la misura, quella che postula un’identità aritmetica tra gli individui. Da ciò l’eterna obiezione [...]: “la democrazia, regime dell’incompetenza”, il parere elettorale dello straccivendolo d’Aubervilliers, valutato proprio come quello di Renan, o di Pasteur, ecc. [...].

È vero che in materia politica l’uguaglianza è la “falsa uguaglianza”, l’u-guaglianza inadeguata, ma è necessariamente così, a differenza di quanto accade (o può o deve accadere) in materia sociale. Perché? Perché, mentre il regime sociale può tener conto e trarre pro tto dalla varietà dei tempe-ramenti individuali, in ragione della sua stessa complessità, uguale a quel-la della natura, ogni regime politico, qualunque sia, ha per caratteristica predominante l’uniformità, l’universalità, la generalità. Non vi può essere, in ogni materia, se non una medesima legge per tutti, e, di conseguenza, ogni legge e ogni sistema politico implicano la subordinazione di una certa quantità di volontà individuali alla volontà collettiva. L’uguaglianza vera resta irrealizzabile. Ogni uguaglianza resta inadeguata (come del resto la stessa libertà). La questione è di sapere: 1) se questa uguaglianza inade-guata non è preferibile all’anarchia pura, poiché non vi è altra scelta [...]; 2) se, per realizzare questa uguaglianza inadeguata, cioè per determinare

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la volontà sovrana, esista un procedimento migliore e più equo della legge del numero, del postulato dell’identità aritmetica tra le unità civiche. E, in verità, per parte mia non ne vedo.

Ma è essenziale notare che i vizi e gli effetti nocivi di questa mancanza di adeguamento dell’uguaglianza politica sarebbero attenuati al punto da diventare trascurabili se si supponesse risolta l’uguaglianza vera in materia sociale, cioè in regime socialista, poiché:

1. questo regime determina l’elevazione progressiva e costante del li-vello generale;

2. la selezione sociale, come ho già detto, è il mezzo migliore per for-mare le élite politiche;

3. la gestione propriamente politica dello Stato perde progressivamente della sua importanza. Essa si confonde sempre più con l’amministrazione.

Una democrazia sociale che riposa sulla vera uguaglianza andrà dunque d’accordo senza fatica con una democrazia politica, fondata su quella “fal-sa”, e non potrà accordarsi con alcun altro regime politico.

Ecco, io credo, quello che è più giusto, o che completa oppure che spie-ga.

Se distinguiamo ben chiaramente tra uguaglianza politica e uguaglian-za sociale, ci renderemo conto che la prima non può essere altro che l’uguaglianza-equivalenza, perché è l’espressione o la sensazione di di-ritti che sono realmente equivalenti oppure identici per tutti gli individui. Alla base, come infrastruttura di ogni collettività, si collocano un certo numero di diritti elementari, essenziali, i diritti dell’uomo, e del cittadino se si vuole, che tutti gli individui possiedono al medesimo titolo e allo stesso grado e secondo i quali la nozione del più e del meno non ha alcun signi cato, perché il loro esercizio non varia secondo il più o il meno di merito personale, il più o il meno di utilità sociale. A questo riguardo, tutti rappresentano realmente delle unità civiche equivalenti e identiche in peso, in misura... È pertanto perfettamente legittimo che il sistema politico riposi sulla “falsa uguaglianza” di Platone, che riferita a esso diventa vera. Riposando su questa base, s’innalza, si distende allora il sistema sociale, che non è altro che l’organizzazione collettiva del lavoro e della produzione. Da questo punto di vista, non si tratta più di assicu-rare a tutte le unità sociali l’esercizio di identici diritti, ma d’impiegare nel miglior modo possibile, per la complessità dei compiti sociali, dei bisogni sociali, la diversità inuguale dei temperamenti individuali; e, di conseguenza, la “vera uguaglianza” di Platone riprende il suo posto... È d’altronde perché la “vera uguaglianza” riposa sulla “falsa”, perché la diversità dei compiti (e di conseguenza dei vantaggi materiali e mora-

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li, delle condizioni) riposa sull’identità assoluta dei diritti elementari, le élite sorte dalla selezione per la direzione, l’organizzazione, il comando, non rischieranno di diventare delle aristocrazie, e lo spirito ugualitario sarà preservato nelle gerarchie della vera uguaglianza.

Léon Blum, 1945, Francia. 533

Proprietà

Cose Le cose sono o di diritto divino o di diritto umano; tale la loro principale

divisione. Nella classe delle prime stanno le cose sacre e quelle religiose; vi si comprendono ancora delle cose sante, come i muri; le porte della città appartengono così in qualche modo al diritto divino. Le cose di diritto di-vino non appartengono a nessuno: le cose di diritto umano ordinariamente hanno un padrone. Esse possono tuttavia non averne alcuno, ad esempio le cose che dipendono da una successione non appartengono a nessuno no a che non esista un erede. Le cose di diritto umano sono o pubbliche o priva-te. Non si suppone affatto che le cose pubbliche abbiano un padrone; esse appartengono a tutti. Le cose private appartengono ai privati.

Istituzioni di diritto di Gaio, 150 d.C., Roma. 534

Proprietà collettiva La divisione dei beni e i modi di appropriazione Ed ecco le cose che sono comuni a tutti per diritto naturale: l’aria, l’ac-

qua che scorre, il mare, e di conseguenza le rive del mare. … Le cose che appartengono a un corpo sono quelle che non apparten-

gono a ciascun membro in particolare; e queste sono le città, i teatri, le strade e le altre cose comuni.

Codice di Giustiniano, imperatore d’Oriente, 533 d.C. 535

A proposito delle “spese di manutenzione” fatte da un proprietario in mala fede

Il governatore della provincia ordinerà che la casa che tu dimostri ap-partenerti, in virtù della successione di tua madre, e che è stata ingiusta-mente occupata dalla parte avversa, ti sia restituita con gli af tti che sono stati percepiti o che potrebbero esserlo, e con la riparazione di ogni danno causato.

Codice Gordiano, 239 d.C., Roma. 536

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Proprietà Se gli si danno i beni di suo padre, è la vita. Se gli si tolgono i beni di suo padre, è la morte. (La più grossa ingiustizia che si possa commettere è quella di privare

qualcuno della terra patrimoniale). Giudizio iniquo, povero spogliato. Proverbi amarici, Etiopia. 537

Distribuzione delle terre Gli adulti maschi riceveranno 20 meu di terra per sempre e 80 meu a

titolo di lotto personale. Gli adolescenti maschi, di diciott’anni o più, ri-ceveranno terre alle stesse condizioni degli adulti. I vecchi, gli infermi e gli invalidi riceveranno 40 meu a titolo di lotto personale; le mogli e le concubine vedove avranno 30 meu di assegnazione personale. Se i loro antenati hanno posseduto terre per l’eternità, queste saranno calcolate nei lotti personali. Quando dei neonati, dei bambini, dei vecchi, degli infermi o degli invalidi dell’uno o dell’altro sesso, oppure delle vedove, sono capi-famiglia, riceveranno in ogni caso 20 meu di terra per l’eternità e 20 meu a titolo di assegnazione personale [...].

In tutti i casi di contestazione, quando è stato concluso un accordo, co-lui che ha già lavorato e piantato avrà il prodotto del raccolto, anche se la decisione è in seguito annullata. Quando la terra è stata lavorata, ma non vi si è ancora piantato nulla, il nuovo proprietario rimborserà il prezzo dell’aratura.

Leggi fondiarie (dinastia T’ang, 618-907), Cina. 538

Contro coloro che opprimono il popolo Voi avete devastato la vigna;le spoglie del povero sono nelle vostre case.Perché mai opprimete il mio popolo,stritolate la faccia dei poveri?Guai a voi, che aggiungete casa a casae unite campo a campo, nché non vi resti più spazio

e voi restiate soli ad abitare nel mezzo del paese.

Bibbia ebraica, Isaia, 3 e 5. 539

L’uomo non godrà che i frutti del suo sforzo. Corano, An-Nadjm, 39. 540

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Colui che si è impadronito ingiustamente di una terra – anche se questa misurasse soltanto la larghezza di una mano – costui si piegherà, il giorno del giudizio, sotto il giogo di sette terre.

Chi ha reso viva una terra, che recava in sé la propria morte, questa terra spetta a lui e nessun altro ne ha diritto.

Hadith (Detti del Profeta). 541

Colui che fa delle differenze tra i suoi gli Non vivrà un anno (Dio lo punirà). Proverbio amarico, Etiopia. 542

Uguaglianza all’inizio della vita Limitare il numero dei propri gli o uccidere uno di quelli che nascono

dopo gli eredi, passa per un delitto vergognoso, e laggiù i buoni costumi hanno maggior valore che altrove le buone leggi [...]. In ogni famiglia essi crescono, nudi e sporchi, no a raggiungere quella ossatura, quei corpi che ci meravigliano. La madre nutre ella stessa i suoi gli al seno ed essi non vengono af dati a serve o a nutrici. Nessuna raf natezza distingue l’educa-zione del padrone da quella dello schiavo: essi vivono mescolati agli stessi animali, dormendo sul medesimo terreno, no a che l’età separi quelli che sono liberi, e la virtù li riconosca per suoi.

Tacito, Germania, 98 d.C., Roma. 543

Gli abitanti di Cuba Essi ritengono per certo che la Terra, come il sole e l’acqua, apparten-

gono a tutti, e che non deve esistere né “il mio” né “il tuo”, nozioni che generano tutti i mali; essi si accontentano dunque di poco [...]. Per essi è l’età d’oro. Non circondano le loro proprietà né con fossati, né muri, né siepi; vivono in giardini aperti, senza leggi, senza libri e senza giudici: venerano per natura ciò che è giusto; ritengono cattivo e perverso colui che si compiace di arrecare ingiuria ad altri.

Racconti di esploratori, raccolti da Pedro Martire d’Anghiera, storico italiano, precettore alla Corte di Spagna, 1511. 544

Preghiera Possa io mettere, o mio Dio, una sentinella sulla soglia della mia co-

scienza, af nché la mia terra non gridi mai contro di me e i suoi appezza-menti non si mettano mai a piangere a causa della mia ingiustizia verso i miei servi; a causa della fatica troppo pesante, a mala pena sopportabile, che io avrei loro imposto, al di là di quanto mi è dovuto; o perché io avrei

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ri utato a essi ciò che è loro dovuto; o perché avrei mancato di dare ai miei giornalieri la giusta mercede [...].

In che cosa sono io più degno di chi mi è sottomesso? Non sei forse tu il medesimo che hai creato ognuno di loro e che hai creato me? Non sei forse tu che li hai formati nelle viscere materne, come me? Allora ricordandomi di questo, possa io non estendere indebitamente il mio potere su di loro e non trascinarli ad atti biasimevoli; possa io al contrario accontentarmi di quanto mi devono, cedere piuttosto qualcosa dei miei diritti e, ogni volta che sarà possibile, alleggerire la loro sorte, invece di essere lieto – nell’e-sercizio del mio potere e della mia forza – della loro povertà senza via d’uscita e di caricarli di fardelli insopportabili. Possa io non trattarli come bestie, ma ricordarmi che sono uomini, creati a Tua immagine, e nati come me. Che essi non debbano, per causa mia, sospirare verso di Te, per il timore che Tu non li ascolti e che Tu non vendichi su di me il torto che io avrei fatto loro [...].

Possa io non in erire mai sui loro diritti; e possa io non togliere loro giammai le libertà che essi hanno avuto da me e dai miei antenati, ma al contrario accrescerle quando occorre. Perché, allo stesso modo che io sono inebriato della mia più grande libertà quale nobile, ugualmente essi lo sono della loro cara piccola libertà, per quanto ristretta essa sia. E ciò che mi dispiace, non lo debbo fare ad altri.

Jan Stoinski (1590-1654), nobile polacco. 545

Limitazione della proprietà Quest’uomo, nella sua grande saggezza, ha facilmente previsto senza

dubbio, che il solo e unico mezzo per assicurare il benessere generale con-siste nell’osservare l’uguaglianza in ogni cosa, ma io dubito che questa uguaglianza possa mai essere mantenuta là dove esiste la proprietà privata. Quando ognuno cerca di assicurarsi la proprietà assoluta di tutti i beni che può acquisire, per quanto grande sia la massa delle ricchezze, queste sono suddivise soltanto fra un piccolo numero di persone, mentre le altre restano nella povertà. Accade, in generale, che questi ultimi siano altamente degni della sorte dei primi, perché i ricchi sono avidi, privi di scrupoli e inutili, mentre i poveri sono modesti, semplici, e, col loro lavoro quotidiano, fan-no di più per il bene pubblico che per se stessi... Benché io riconosca che questa situazione può essere migliorata in una certa misura, sostengo che non può sparire completamente. Si potrebbe decretare che nessuno debba possedere più di una certa quantità di terre, né una fortuna superiore a una somma ssata per legge. Leggi speciali potrebbero essere promulgate per impedire che il sovrano sia troppo potente e il popolo troppo arrogante, che

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le cariche dei magistrati siano commerciabili, che possano essere vendute e che comportino spese personali eccessive.

Thomas More, Utopia, 1516, Inghilterra. 546

Proprietà della terra Quinto: (gli indiani) abbiano le loro proprie case e terre, come giudi-

cheranno giusto coloro che governano e governeranno in seguito le Indie, e che si dia loro il tempo di lavorare, di valorizzare e di coltivare queste terre a modo loro.

Rapporto all’Assemblea dei teologi e dei giuristi, riunita a Burgos (Spa-gna) nel 1512. 547

I beni degli Indiani La Regina al nostro governatore e capitano generale della provincia di

Santa Maria, agli altri capitani e alle persone che sono considerate nel se-guente testo del presente decreto, e a ciascuno di voi: “Ho saputo che acca-de sovente, quando gli Spagnoli s’inoltrano all’interno delle terre di questa provincia, (che) gli Indiani fuggano dai loro villaggi, nel timore di essere maltrattati dai detti Spagnoli, e che lascino deserte le loro case, e i loro beni nascosti sotto terra, e sono stata supplicata e implorata di ordinarvi per pietà di non tollerare né permettere che gli Spagnoli prendano ciò ch’essi hanno così nascosto, distruggendo e asportando dalle loro case stoffe, com-pleti di piume, ornamenti e altri oggetti che per questi Spagnoli non hanno alcun valore, ma ai quali essi (gli indigeni) tengono molto, in modo che restano scandalizzati e nutrono un grande odio contro i detti Spagnoli [...]. Per questo, io vi ordino di non tollerare né permettere che alcuno derubi i predetti Indiani, prenda loro gli oggetti citati, attenti alle loro persone o ai loro beni, oppure riceva da loro più di quanto essi sono pronti a dare spontaneamente”.

Decreto reale del 5 aprile 1530, Spagna. 548

Riparazione Atteso che il capitano Diego de Agüero, mio padre, (che Dio accolga la

sua anima) è stato uno di coloro che hanno un tempo assicurato la conqui-sta, il popolamento e la salvaguardia di questi regni, che ha contribuito a porre e a mantenere al servizio di Dio e sotto l’autorità della Maestà Vostra e della Corona reale di Spagna, a titolo personale e adempiendo agli inca-richi che gli sono stati af dati dal marchese Francisco Pizarro, che fu go-vernatore di queste province; benché egli abbia sempre agito in buona fede, credendo che la citata conquista fosse legittima e che i pro tti che essa gli

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aveva procurato fossero leciti, io ritengo che mio padre ha contratto una responsabilità e un obbligo, sia per non aver rispettato in questo l’ordine e tutto quanto era necessario a giusti care i suoi atti, sia per aver commesso qualche eccesso, maltrattando gli indigeni e spogliandoli illecitamente di alcuni beni, oppure in altri modi e con altri mezzi; e io, che sono suo glio e sono obbligato a scaricarmi la coscienza, volendo riparare, cancellare e compensare tutti questi torti per il bene della sua anima, mi sono sforzato di sapere in modo certo e preciso quant’era l’ammontare della somma di cui egli poteva essere debitore per le ragioni che ho detto. Da quanto mi è stato riferito, da coloro che un tempo avevano preso parte alla detta conquista con mio padre risulta (... che i beni ch’egli ha lasciato...) possono e devono essere dedicati al pagamento della detta somma no alla concorrenza della detta somma di [...] quattromila pesos, ho quindi deciso, per la ragione su esposta, che i beni che mio padre ha lasciato e che io ho ereditato [...] deb-bono essere restituiti (agli indigeni).

Restituzione fatta dal capitano Diego de Agüero, Lima il 23 marzo 1560. 549

Norme che regolano l’agricoltura presso gli IncaPoiché le loro terre erano aumentate, essi misuravano tutte quelle che

possedeva la provincia; ogni villaggio misurava le sue e ne facevano tre parti: una per il sole, un’altra per il re, e la terza per il popolo. Questa ripar-tizione era sempre fatta in modo che la gente del popolo avesse un pezzo di terra suf ciente per poter seminare: piuttosto troppo grande che troppo piccolo. E quando la popolazione del villaggio o della provincia aumen-tava, essi prendevano un pezzo della parte del sole e della parte dell’inca (dei re) per darlo ai vassalli, in modo che il re non prendeva per sé e per il sole se non le terre che dovevano restare deserte e senza proprietario [...].

Per lavorare e coltivare le terre, esistevano ugualmente regole pre-cise. Essi lavoravano innanzi tutto le terre del sole, poi quelle delle vedove e degli orfani, come pure quelle dei vecchi e degli invalidi; tutti costoro erano considerati poveri e, di conseguenza, l’Inca comandava che si lavorassero le loro terre. Esistevano in ogni villaggio, o in ogni quartiere, se il villaggio era grande, uomini incaricati soltanto di far coltivare le terre di quelli che noi chiamiamo poveri; questi uomini erano designati col nome di Ilactamayu, cioè scabino del villaggio. Essi avevano cura, al momento dell’aratura, della semina e del raccolto dei frutti, di salire di notte su torri costruite a questo scopo; là suonavano la tromba o il corno per attirare l’attenzione, e gridavano ad alta voce: “Il tal giorno si arano i campi degli invalidi; ciascuno si rechi nel luogo

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che gli è stato assegnato”. Gli abitanti di ogni circoscrizione sapevano già, grazie al censimento che era stato fatto, su quale terreno dovevano recarsi; erano generalmente quelli dei loro parenti o dei loro vicini più prossimi. Ciascuno doveva portarsi da mangiare da casa sua, perché gli invalidi non dovessero preoccuparsi di servire loro un pasto. Si diceva che i vecchi, i malati, le vedove e gli orfani ne avevano abbastanza della loro disgrazia, senza doversi curare di quelle altrui. Se gli invalidi non avevano sementi, se ne prelevava per loro dai grani pubblici [...]. Il consiglio municipale si incaricava anche di far coltivare, durante la loro assenza, le terre dei soldati partiti per la guerra, come pure quelle delle vedove. Questo servizio veniva reso loro come a persone bisognose. Si dedicava molta cura all’educazione dei gli di coloro che morivano in guerra, no a quando essi fossero sposati.

Una volta lavorate le terre dei poveri, ognuno lavorava la propria, aiu-tandosi gli uni gli altri, a turno. In seguito lavoravano quelle del cacicco, che dovevano essere lavorate per ultime in ogni villaggio.

Ultimissime fra tutte venivano lavorate le terre del re: venivano col-tivate in comune, come quelle del sole. Gli indiani vi andavano gene-ralmente tutti insieme, in grande allegria e festosamente, vestiti dei loro paramenti più belli, con ornamenti incrostati d’oro e d’argento, che riser-vavano per le grandi feste, e col capo ornato di grandi piume. Al momen-to dell’aratura (lavoro che essi allora preferivano), cantavano numerosi canti che essi componevano in lode dei loro re; il lavoro si trasformava per essi in festa e in allegria, perché lo compivano al servizio del loro Dio e dei loro re. Sulle terre in cui l’acqua per innaf are era scarsa, la distri-buivano per ordine e secondo razioni (come tutte le altre cose che erano divise fra loro), af nché non vi fossero litigi fra gli Indios al momento di prelevarla. Essi misuravano l’acqua, e siccome sapevano per esperienza il tempo che era necessario per innaf are una determinata parte di terra, assegnavano a ogni Indio un certo numero di ore, calcolato largamente secondo la super cie delle loro terre. Non vi era nessuna preferenza per il ricco o il nobile, né per i familiari né per i parenti del cacicco, né per il cacicco stesso, né per il ministro governatore del re. Chi, per negli-genza, non niva di innaf are la sua terra nel lasso di tempo che gli era stato assegnato, veniva castigato con l’oltraggio seguente: lo colpivano in pubblico con tre o quattro colpi di pietra nella schiena, o gli frustavano le braccia e le gambe con grossi rami di vimini, per punirlo della sua pi-grizia e della sua indolenza, difetti molto biasimevoli ai loro occhi.

Garcilaso de la Vega (l’Inca), Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608-1609. 550

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Salvaguardare la vita, la libertà e i beni Riguardo allo stato di natura. Per comprendere bene in che cosa consi-

ste il potere politico e risalire alla sua origine, bisogna considerare lo stato nel quale tutti gli uomini naturalmente si trovano, cioè uno stato in cui essi hanno completa libertà di ordinare le loro azioni e di disporre dei loro beni e delle loro persone nel modo da loro preferito, nei limiti della legge naturale, senza chiedere permessi a nessuno, né dipendere dalla volontà di alcuno.

È anche uno stato di uguaglianza, nel quale tutti i poteri e le attribuzioni sono reciproci, e nessuno ne ha più di un altro; infatti, nulla di più naturale che gli individui della stessa specie e dello stesso rango, nati per godere degli stessi vantaggi naturali, e usare le stesse facoltà, senza distinzione, siano anche uguali fra loro, senza subordinazione né soggezione.

John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 551

Ragion d’essere dei governi Se l’uomo allo stato di natura è libero come abbiamo detto, se egli è il

padrone assoluto della sua persona e dei suoi beni, se è uguale ai più grandi e non è sottomesso a nessuno, perché dovrebbe egli rinunciare a questa libertà, abbandonare quest’impero e sottomettersi al dominio e all’autorità di un altro potere? La risposta è evidente: perché l’uomo abbia un simile diritto allo stato di natura, il godimento di questo diritto è molto incerto e sempre esposto alle usurpazioni di altri uomini; perché, se tutti sono ugual-mente sovrani come lui, se ogni uomo è suo uguale, e se la maggior parte degli uomini non rispetta strettamente l’equità e la giustizia, il godimento dei beni ch’essi possiedono (in questo stato di cose) è ben poco sicuro e mal garantito. Per questo, egli è disposto a lasciare una condizione la quale, benché libera, è piena di timori e di pericoli continui, e non senza ragione egli cerca di associarsi ad altri, che si sono già riuniti, o che hanno l’in-tenzione di unirsi, per la salvaguardia reciproca della loro vita, della loro libertà e dei loro beni – ciò che io indico col termine generale di proprietà – ed è prontissimo a farlo.

Di conseguenza, il ne principale cui gli uomini mirano, quando si uni-scono in repubblica e si sottomettono a un governo, è quello di salvaguar-dare le loro proprietà; questa protezione è ben lungi dall’essere assicurata, allo stato di natura.

... Il potere supremo non può togliere a nessun uomo una parte della sua proprietà senza il suo consenso; dato che, infatti, la salvaguardia della proprietà è il ne del governo e che proprio a questo scopo gli uomini si raggruppano in società, questo presuppone ed esige necessariamente che

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Diritti sociali 265

gli uomini possiedano dei beni; altrimenti bisognerebbe pensare che essi, raggruppandosi in società, perdono ciò che li incita a unirsi, assurdità trop-po grossolana per poter essere sostenuta da chicchessia.

,.. Ogni uomo nasce con un duplice diritto: in primo luogo, il diritto alla libertà della sua persona, sulla quale nessun altro uomo ha potere e la cui libera disponibilità gli appartiene; in secondo luogo, il diritto di ereditare con i suoi fratelli i beni di suo padre, prima di ogni altro.

John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 552

Specie della proprietà La proprietà della propria persona è il primo dei diritti. Da questo dirit-

to primitivo deriva la proprietà delle azioni e quella del lavoro; perché il lavoro rappresenta solamente l’utilizzazione delle facoltà di ognuno; esso emana evidentemente dalla proprietà della persona e delle azioni.

La proprietà degli oggetti esterni, o la proprietà reale, non è, analoga-mente, che un seguito e come un’estensione della proprietà personale. L’a-ria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il frutto che mangiamo, si trasfor-mano nella nostra propria sostanza, per effetto di un lavoro involontario o volontario del nostro corpo.

Con operazioni analoghe, benché maggiormente dipendenti dalla volon-tà, io mi approprio di un oggetto che non appartiene a nessuno e di cui ho bisogno, con un lavoro che lo modi ca, che lo prepara all’utilizzazione da parte mia. Il mio lavoro era mio; e lo è ancora: l’oggetto sul quale io l’ho ssato era mio come di tutti; era tuttavia più mio che degli altri, poiché io

avevo su di esso, più degli altri, il diritto di primo occupante. Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789,

Francia. 553

Dio e la proprietà privata della terra La terra non è stata creata dallo zar, ma da Dio. Dio l’ha data al primo

uomo, cioè a tutto il genere umano, perché la utilizzasse in comune. Per la cattiveria degli uomini l’ordine stabilito da Dio è stato mutato, e oggi la terra appartiene ai signori, e tutti gli altri la vedono solo attraverso loro [...]. È proibito tagliare un ramo secco! Il Signore dirà: “E mio! [...]”. Forse che Dio ha fatto solo per i signori la terra, i prati, i boschi e i umi? Se tutto questo è stato creato per tutti gli uomini, quando dunque Dio ne ha fatto dono ai signori?

Discorsi di contadini molokani (setta religiosa in Russia) risalenti a circa la ne del XIX sec. 554

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266 Il diritto di essere un uomo

Lavoro

Lavoro rimunerato per contratto Ho costruito questa tomba per “pane-birra” (termine con cui viene in-

dicata ogni ricompensa in natura) che ho consegnato a tutti gli artigiani che vi hanno lavorato; quando ebbi dato, in oggetti diversi, la larghissima ricompensa che avevano chiesto, essi me ne ringraziarono.

Iscrizione Antico Egitto, V dinastia, IlI millennio a.C. 555

Il cavapietre Pepi è stato soddisfatto del contratto che io avevo stipulato con lui.

Iscrizione Antico Egitto, VI dinastia. 556

Iscrizione su di un blocco di pietra la quale indica che operai e artigiani avevano il diritto di stare in giudizio quando avveniva un litigio

Dichiarazione del richiedente. Egli ha detto: “Ho comperato questa casa, a titolo oneroso, dallo scriba Tchenti. ho pa-

gato per essa 10 “shât” (oggetto in rame che serve da monetatipo), (cioè): una stoffa (del valore) di 3 “shât”, un letto (del valore di 4 “shât”, una stoffa (del valore) di 3 “shât”.

Esso fu rmato dinanzi (ai membri del) Consiglio della piramide di Che-ope e a nume rosi testimoni: il macellaio Tchenti; i costruttori Ini e Râho-tep; i membri del phylé Nemut e K(a)emipu; l’operaio carraio Mekhà; il prete funerario Ini; il prete funerario Sabni; il prete funerario Niânkhor.”

I termini dell’accusa propriamente detta non sono stati riprodotti.Iscrizione Antico Egitto, V dinastia, IlI millennio a.C. 557

Discorso di Ramses II agli operai che lavoravano nelle cave di pietra, alle statue reali che dovevano essere innalzate a Eliopoli, nel tempio di Ptah, a Men e a Pi Ramses:

Ouser-Maât, setep-en-Rê, Ramses Meriamon stesso disse agli operai che lavoravano nella cava: “O lavoratori scelti, valorosi e abili, che tagliate per me monumenti in quantità; o voi, che onorate il lavoro della dura e nobile pietra, che penetrate nel granito rosso e che siete abituati alla pietra-Bia, bravi e forti costruttori, grazie ai quali, nché sarete in vita, io posso riempire tutti i templi che costruisco; o uomini dabbene, infaticabili, che sorvegliate senza posa i lavori, portando a buon ne con cura l’opera vostra; voi che, dopo aver ri ettuto, dite “Lo faremo”, recandovi a questo scopo nella montagna sacra; abbiamo inteso bene ciò che stavate mormorando tra voi [...]. Io, Ramses Meriamon, sono colui che fa prosperare le generazioni facendole vivere. Vi

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Diritti sociali 267

sono dinanzi a voi provviste in abbondanza, suf cienti per soddisfare i vostri desideri..Vi è attorno a voi cibo in quantità. ho soddisfatto le vostre necessità in ogni modo, cosicché voi ora potete lavorare per me con affetto. Io sono sempre il protettore dei vostri interessi. Le provviste che avete sono più pe-santi del frutto del vostro lavoro, af nché, ben nutriti, voi diveniate (buoni lavoratori); io conosco a fondo il vostro lavoro, e colui che lavora si rallegra sempre se il suo ventre è ben riempito. I granai sono pieni di grano per voi af nché non passiate neppure un solo giorno senza nutrimento. Ognuno di voi è impegnato per un mese. Ho riempito per voi i magazzini di ogni sorta di cose; pane, carne, dolci, per sostentarvi; sandali, abiti, unguenti vari perché le vostre teste siano unte ogni dieci giorni, perché voi siate rivestiti a nuovo ogni anno e abbiate sempre buoni sandali ai piedi. Non vi è nessuno tra voi che passi la notte a sospirare perché è povero. Ho assunto molta gente af- nché voi siate al riparo dal bisogno: dei pescatori per portarvi il pesce, dei

giardinieri per far crescere la vigna. Ho fatto fabbricare grandi vasi sul tornio dei vasai per rinfrescare la vostra acqua durante la stagione calda. L’Alto Egitto trasporta per voi verso il Basso Egitto, e il Basso Egitto trasporta per voi verso l’Alto Egitto, farro, orzo, grano, sale e fave in grandissima quanti-tà. Tutto questo l’ho fatto af nché voi siate prosperi mentre lavorate per me come se aveste un solo cuore.”

Antico Egitto, XVIII dinastia, II millennio a.C. 558

Dignità del lavoroESORTAZIONE AI GIOVANI

Lavora! Taglia il legno, lavora la terra,Pianta i cactus, semina il maguey; E avrai di che bere, mangiare e vestirti.Così potrai portare la testa alta.Così potrai vivere.Così sarai stimato e lodato;Così ti presenterai ai tuoi parenti e al tuo prossimo. Un giorno legherai la tua sorte a quella d’una donna,Che cosa berrà? Che cosa mangerà? Vivrà forse dell’aria del tempo?Tu sei il sostegno, tu il conforto; Tu sei l’aquila, tu sei la tigre.

Tradizione azteca (XV sec.), Messico. 559

Dignità per mezzo del lavoro Colui che, avendo del riso sotto gli occhi, vuole procurarsene subito è si-

mile al ladro e alla bestia. Bisogna procurarsene per rendersi degni d’essere

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268 Il diritto di essere un uomo

uomini, dopo averne seminato i grani. Colui che, avendo beni e ricchezza sotto gli occhi, vuole averli subito è simile al ladro e alla bestia. Bisogna procurarseli, per rendersi degni d’essere uomini, dopo aver lavorato.

Sontoku Ninomiya (1787-1856), Lezioni della natura, Giappone. 560

Diritto al salario Non defrauderai la mercede del povero e dell’indigente né tra i tuoi fra-

telli né tra i forestieri che si trovano nella tua terra, dentro le tue città. Ogni giorno gli darai la sua mercede: su di essa non tramonterà il sole, poiché egli è povero e a essa rivolge il desiderio.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24. 561

O Creatore del mondo dei corpi, o santo! Qual è, in quinto luogo, l’uomo che rallegra la terra con la gioia più

grande? Ahura Mazda rispose: O Spitama Zarathustra, colui che, in completa pietà e bontà non paga

il fedele che lavora la terra quanto gli è dovuto, costui, Spenta-Armaiti (il Genio della terra, offeso) sarà precipitato nelle tenebre, nel mondo ove è dolore, nel mondo infernale; e lo farà cadere no al più profondo dell’a-bisso.

Avesta Vendidad (I sec. a.C - I sec. d.C.), Persia. 562

Condizioni di lavoro Trattamento degli Indiani nell’America coloniale In terzo luogo, Vostra Altezza può obbligarli a lavorare, ma questo la-

voro deve essere tale da non impedire di istruirli sulle cose della fede ed essere bene co per loro e per lo Stato.

… … …Settimo, per il lavoro, essi devono ricevere un salario conveniente, non

in denaro, ma sotto forma di abiti e altri beni d’uso domestico. Rapporto dell’Assemblea dei teologi e di giuristi riunita a Burgos (Spa-

gna) nel 1512. 563Parimenti, voi non dovete permettere che i religiosi, i sacerdoti o altre

persone obblighino degli Indiani a sorvegliare i loro greggi o a lavorare i loro campi, le loro terre o le loro vigne, o a portare delle lettere da un luogo a un altro, o a svolgere qualsiasi altro compito, senza pagare loro un salario equo, e questo salario deve essere consegnato dinanzi a voi (il Corregidor) agli stessi Indiani e non ai loro cacicchi.

Ordinanze del governatore del Perù ai corregidores, 1565. 564

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Diritti sociali 269

Frutto del lavoro Si dice che il campo appartiene a colui che, per primo, lo sgombera dagli

alberi, ecc. per coltivarlo; e il cervo appartiene a colui la cui freccia l’ha toccato per primo.

Manusmriti (II sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 565

Benché la Terra e tutte le Creature inferiori siano comuni e appartengano in generale a tutti gli uomini, tuttavia ognuno ha un diritto particolare sulla propria persona, sulla quale nessun altro può avere pretesa alcuna. Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue mani, possiamo dirlo, sono assolutamente personali. Tutto ciò che egli ha tratto dallo stato di Natura con la sua fatica e la sua attività appartiene a lui solo: perché, essendo questa fatica e questa attività solamente e unicamente personali, nessuno potrebbe aver diritto su ciò che è stato acquisito per mezzo di questa fatica e di quest’attività se rimangono a suf cienza per gli altri cose analoghe e anche buone cose comuni.

John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 566

Imposte I buoni re, come le nuvole, non ricevono che per donare. Kâlidâsa, IV (IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 567

Bhisma dice al re Yudhisthira: Spero che i contadini, che in realtà hanno a carico il re (cioè il peso) e

assicurano anche il sostentamento degli altri uomini, non abbandonino il tuo regno, perché eccessivamente oppressi.

Mahâbhàrata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 568

Nârada dice al re Yudhisthira: Spero che i mercanti che vengono da lontano n nel tuo regno, attratti

dal guadagno, non siano costretti dai funzionari, la cui sussistenza dipende dalle imposte, a pagare altre imposte, oltre quelle dovute.

Mahâbhârata, II (II sec. a.C - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 569

Esenzione dalle imposte Una persona che conosce bene le scritture dovrebbe essere esentato dal-

le imposte, dovrebbero esserlo ugualmente le donne di ogni rango socia-le; i ragazzi che non prestano ancora i segni dell’adolescenza, coloro che vivono presso il loro maestro per studiare, coloro che fanno penitenza per devozione al Dharma; una persona della classe più umile che ha per com-

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270 Il diritto di essere un uomo

pito di lavare i piedi del suo padrone; i ciechi, i muti, i sordi e i malati; gli asceti ai quali le scritture proibiscono di accettare denaro.

Apastamba Dharmasûtra, II (450-350 a.C.), tradotto dal sanscrito. 570

Imposte moderate Il re deve trarre imposte dal suo regno come si estrae il miele da un favo

di miele, ma non deve disturbare le api. Egli deve (in qualche modo) mun-gere la mucca tenendo conto dei bisogni del vitello e non spremere troppo le mammelle.

Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 571

Uguaglianza di fronte alle imposte Per quanto riguarda l’ordine che veniva osservato nella ripartizione,

nell’esazione e nel pagamento delle imposte, poiché esisteva la suddetta di-visione che l’Inca aveva fatto del suo popolo e l’ordine che aveva stabilito per il suo governo, era molto facile applicarli alla divisione e all’esazione delle suddette imposte, perché ciò che toccava a ognuno era chiaro e certo, senza che vi fosse disuguaglianza né frode [...] e tutti erano uguali [...] e la ripartizione era uguale in modo che nessuno ne fosse leso.

Hemando de Santillán, Relación... del gobierno de los Incas, 1563. 572

Lavoro spossante Proibisco inoltre espressamente che gli Indiani o Indiane portino il mi-

nimo carico, anche se la necessità se ne fa sentire e i carichi sono leggeri, e anche se gli Indiani lo accettano volontariamente e vi si prestano, soprattut-to se si tratta di legno o di altri materiali che bisogna portare per costruire le capanne nei ripartimenti, nei possedimenti e nelle fattorie, anche die-tro presentazione di un’autorizzazione e di un ordine del corregidor della presente provincia di Merida, corregidor degli indigeni, protettore, ecc., e ordino che gli encomenderos, maggiordomi e altre persone abbiano cavalli e muli per svolgere i servizi di cui essi potranno aver bisogno [...].

Inoltre, poiché si è visto, nel corso del presente viaggio, che i lavori ai quali gli Indiani sono stati e sono assoggettati nelle fabbriche di miele e di zucchero sono molto pesanti, faticosi e nocivi alla loro salute, e che, per conseguenza, molti tra loro hanno perduto le forze e sono deperiti, dichiaro in modo espresso, in conformità del decreto reale, applicabile in questo caso, che a partire da oggi, nella presente provincia di Merida, gli Indiani non possono né debbono lavorare nelle fabbriche di stoffe degli Spagno-li, nelle imprese che producono miele e zucchero, oppure lino, lana, seta o cotone, o in nessun’altra impresa analoga, ma che gli encomenderos e

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Diritti sociali 271

altri spagnoli cui queste aziende appartengono devono, a loro piacimento, impiegare dei Neri o qualsiasi altra categoria di servitori, senza ricorrere alla forza o alla costrizione materiale o morale; sia che gli Indiani ricevano o meno un salario, e anche con consenso dei loro cacicchi, in base a una decisione della giustizia o in qualunque altro modo. Ordino che tutto que-sto sia fedelmente eseguito, nonostante tutte le ordinanze che stabilissero il contrario.

Ordinanze riguardanti gli Indiani, 1605. 573

Lavoro pericoloso DUBINUSCA La parola “dubina” – diminutivo: dubinuška, viene impiegata qui in un

doppio signi cato: all’inizio signi cava uno speciale pezzo di legno che serviva come strumento per far leva; e nell’ultimo signi ca il randello.

Ho ascoltato molti canti nel mio paese natale;Essi traducevano la gioia o il dolore;Ma ve n’è uno che si è inciso nella mia memoria –È il canto della squadra al lavoro. Ritornello: Oh! dubinuška, a-han! Oh! mia bella, va da sé, va da sé, Andiamo, andiamo! A-han! Dall’età più antica, di padre in glio,Ci è stato trasmesso questo canto,E appena il lavoro oltrepassa le nostre forze, Noi cerchiamo in esso soccorso. Ritornello: Un giorno io ascoltavo questo canto intonato da una squadra che innalzava una putrella su di un ponteggio;D’improvviso la putrella scivolò e fu il silenzio: Due robusti giovanotti erano stati schiacciati. Ritornello:Sia che noi tiriamo la chiatta, che battiamo il ferro,che fatichiamo nella miniera di Siberia,Noi cantiamo sempre, il cuore pieno, questa canzoneChe evoca la dubinuška familiare.

Ritornello: E sui bordi del Volga, nella sabbia estenuante,

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272 Il diritto di essere un uomo

Le gambe rotte, la schiena e il petto infuocati,Noi cantiamo, perché l’alaggio ci appaia meno duro,La nostra dubinuška familiare.

Ritornello: Ma verrà il momento, il popolo si risveglierà,Si drizzerà in tutta la sua prestanza,E per combattere padroni, popi e gli zar,Saprà trovare una dura e solida dubina!

Ritornello: Oh! dubinuška, a-han! Oh! mia bella, va da sé, va da sé, Andiamo, andiamo! A-han! Russia, metà del XIX sec. 574

Lavoro dei fanciulli nelle miniere La miniera vomita i suoi forzati e i pozzi i suoi schiavi: squadre di gio-

vani dei due sessi, ahimè! sebbene né i loro vestiti né il loro linguaggio indichino la differenza; le ragazze sono vestite come gli uomini; e bestem-mie, che farebbero fremere degli uomini, sporcano le loro labbra, che do-vrebbero invece pronunciare sempre solo parole di dolcezza e d’amore. E saranno tuttavia – alcune lo sono già – delle madri d’Inghilterra. Ma come stupirsi della schifosa grossolanità del loro linguaggio quando si pensa alla selvaggia rudezza della loro vita? Nude no alla cintura, le gambe sempre coperte da un paio di pantaloni di tela trattenuti alla vita da una catenella di ferro agganciata a una cintura di cuoio, queste ragazze inglesi sono con-dannate a passare dodici, e talvolta sedici ore al giorno a spingere, trascina-re, dirigere dei grossi pesi attraverso cammini sotterranei, oscuri, melmosi, scavati in ripidi pendii. Queste circostanze sembrano essere sfuggite all’at-tenzione della società formatasi per l’abolizione della schiavitù dei negri; i cui degni membri sembrano aver anche ignorato le crudeli sofferenze dei piccoli chiuditori (incaricati di aprire e di chiudere i chiusini). E ciò che è tanto più strano è che molti di loro utilizzano essi stessi questi disgraziati bambini.

Guardateli uscire anche loro la sera dalle viscere della terra. Sono dei bambini dai quattro ai cinque anni; molti sono delle ragazzine ancora bel-le, delicate e timide; vengono loro af dati compiti della più alta impor-tanza e li si obbliga a entrare per primi nella miniera, per uscirne solo gli

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Diritti sociali 273

ultimi. È vero che questo lavoro non è per essi troppo pesante – del resto per loro sarebbe una cosa impossibile – ma viene compiuto in mezzo alle tenebre, al silenzio e in solitudine. Subiscono la punizione che i lantropi hanno inventato per la maggior parte dei colpevoli e che costoro temono ancor più della stessa morte. Le ore si succedono alle ore e nulla ricorda al fanciullo il mondo che vive sopra la sua testa, o quello che si agita ai suoi piedi, se non il passaggio dei vagoni ripieni di carbone, per i quali egli apre le gallerie; egli deve rinchiuderle all’istante, perché da tale pre-cauzione dipende la sicurezza della miniera e la vita dei lavoratori che essa racchiude.

Disraeli, Sybil ovvero Le due nazioni, 1845, Regno Unito. 575

Cassa comune Conviene mettere da parte tutti i beni della comunità indiana di ogni vil-

laggio in una cassa comune e in seguito spendere quanto occorre nell’inte-resse di tutti, e vigilare alla conservazione, all’accrescimento, ecc. di questi beni, distribuendone i fondi dietro presentazione di ordini di pagamento scritti, conformemente alle regole della buona contabilità e in modo ragio-nevole.

Carlo V, Leggi dei regni delle Indie, XVI sec. 576

Diritto alle cure Inoltre, procurerete che in ogni reparto venga creato un ospedale ove

saranno prestate le cure a tutti gli indiani sprovvisti di risorse, che abitano laggiù o vi sono di passaggio, e che il funzionamento di quest’ospedale e le cure agli indiani vi siano assicurate nelle condizioni più soddisfacenti possibili.

Ordinanze del governatore del Perù ai corregidores, 1565. 577

Niente oziosi Lungi dall’autorizzare chiunque (presso gli Inca) a starsene ozioso e

ad andare a rubare il prodotto del lavoro altrui, essi comandavano a tutti di lavorare. E così ogni padrone andava a trascorrere qualche giorno alla sua fattoria, prendeva con le sue mani l’aratro e rivoltava la terra pur occupandosi di altre cose. Gli Inca stessi lo facevano, dando così il buon esempio, perché bisognava ritenere per inteso che nessuno doveva essere tanto ricco da volersene valere per offendere e oltraggiare i poveri; e in base all’ordine degli Inca nessuno lo era in tutta la sua provincia: infatti, tutti coloro che erano in buona salute lavoravano e non mancavano di nulla, mentre per tutti quelli che non lo erano, si prelevava dalle riserve di

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274 Il diritto di essere un uomo

che provvedere ai loro bisogni. E nessun ricco poteva portare più parure e ornamenti dei poveri, né differenziarsi con la sua foggia del vestire, col suo costume, a eccezione dei signori e dei cacicchi, che, in virtù del loro rango, godevano di grandi franchigie e di libertà, come pure l’alta nobil-tà, che era esente in tutte le nazioni.

Pedro Cieza de León, cronista spagnolo del Perù. XVI sec. 578

Non si tollererà nello Stato alcun ozioso, cioè nessuna persona che ri- uterà di guadagnare onestamente la sua vita e quella della sua famiglia e

di servire la comunità, sia coltivando la terra, sia eseguendo dei lavori di artigianato o facendo del commercio o dando dei consigli.

… … …1. I ricchi dovrebbero consacrare il loro tempo allo studio e contribuire,

coll’acquisire sapienza, al bene di tutti. 2. I poveri dovrebbero guadagnarsi di che vivere lavorando con le pro-

prie mani. Chiunque agisse diversamente si aspetti di essere punito. Se queste regole potessero essere applicate, basterebbero per far sparire la metà dei disordini e degli orrori che travagliano il mondo: non vi sarebbe più sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, né furti, né giuochi di de-naro, né truffe di nessun genere.

… … …Inoltre i monopoli e gli oligopoli dovrebbero essere soppressi nel mon-

do intero. Un’epoca illuminata non dovrebbe conoscere ciò che disonora il nostro secolo: la possibilità data a un pugno di individui di stabilire dei monopoli nelle città e negli imperi, impedendo così agli altri di abbrac-ciare tale o tal altra professione e impegnandosi a togliere loro il pane di bocca. È impossibile tollerare più a lungo il bizzarro stato di cose che permette ad alcune persone di immischiarsi di tutto. Si deve invece in-staurare un ordine che stabilisca chiaramente ciò che ognuno deve fare, e non si dovrebbe neppure ammettere che un compito – che potrebbe essere condotto a buon ne in un modo più adeguato da un certo numero di persone, che siano rivali in ardore e in zelo – possa essere af dato a un solo individuo che sarà certo di poterne trarre pro tto, mentre senza alcun dubbio lo Stato vi perderà.

Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio catholica, XVII sec. 579

Senza lavoro non si ha pane da mangiare. Proverbio amarico, Etiopia. 580

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Diritti sociali 275

Diritto agli strumenti di lavoro Non si prenderanno in pegno le due mole né la mola superiore: sarebbe

un prendere in pegno la vita stessa. Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24. 581

Diritto al lavoro DEGLI OSPEDALI Un uomo non è povero perché non ha nulla, ma perché non lavora. Colui

che non possiede nulla e che lavora è a suo agio quanto colui che ha cento scudi di rendita senza lavorare. Colui che non ha nulla e ha un mestiere non è più povero di colui che ha di suo dieci arpenti di terra e che deve lavorarli per vivere. L’operaio che ha dato ai suoi gli in eredità il suo mestiere ha lasciato loro un bene che si è moltiplicato in proporzione del loro numero. Non accade la stessa cosa per colui che ha dieci arpenti di fondo per vivere e che li divide tra i suoi gli.

Nei paesi commerciali, dove molta gente ha solo il suo mestiere, lo Stato è spesso obbligato a provvedere ai bisogni dei vecchi, degli ammalati e degli orfani. Una nazione civile ricava questi mezzi di sussistenza dai fondi stessi delle arti; esso dà agli uni i lavori di cui sono capaci; insegna agli altri a lavorare, ciò che rappresenta già un lavoro.

Qualunque siano le elemosine che si facciano a un uomo nudo nelle stra-de non adempiono punto gli obblighi dello Stato, che deve a ogni cittadino una sussistenza assicurata, il vitto, un vestito conveniente e un genere di vita che non sia in nulla contrario alla salute.

Aureng-Zeb, al quale veniva chiesto perché non costruiva degli ospedali (nel signi cato antico di ospizio per gli indigenti), disse: “Renderò il mio impero così ricco che non avrà più bisogno di ospedali”. Avrebbe invece dovuto dire: “Comincerò col rendere ricco il mio impero, e poi costruirò degli ospedali”.

Le ricchezze di uno Stato presuppongono molte industrie. Non è possi-bile che, in un così grande numero di commerci vari non ve ne sia sempre qualcuno in dif coltà e i cui operai per conseguenza non si trovino in una momentanea necessità.

Per questo lo Stato ha bisogno di apportare un tempestivo soccorso, sia per impedire al popolo di soffrire, sia per evitare che si rivolti: in questo caso occorrono degli ospedali, oppure delle disposizioni equivalenti, che possono prevenire questa miseria.

Ma quando la nazione è povera, la povertà individuale deriva dalla mise-ria generale; ed essa è, per così dire, la miseria generale. Tutti gli ospedali del mondo non saprebbero guarire questa povertà speciale, individuale; al

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contrario, lo spirito di pigrizia che essi ispirano, aumenta la povertà gene-rale, e di conseguenza quella individuale [...].

Ho detto che le nazioni ricche avevano bisogno di ospedali, perché la fortuna vi era soggetta a mille incidenti; ma si ha la sensazione che degli aiuti momentanei varrebbero molto meglio di stabilimenti perpetui. Il male è transitorio: occorrono quindi degli aiuti della stessa natura, che siano applicabili al caso individuale.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 582

Mi limiterò a indicare il soggetto da trattare, il diritto al lavoro. Non mi curo di iniziare alcuna discussione su questi sogni rinnovati dei Greci, questi diritti dell’uomo divenuti tanto ridicoli. Dopo le rivoluzioni che ci ha causato il loro regno, si crede forse che noi ci avviamo verso nuove tribolazioni per aver dimenticato il primo e il solo utile di questi diritti, il diritto al lavoro, di cui i nostri uomini politici non hanno fatto menzione, secondo la loro abitudine di omettere, in ogni ramo di studi, le questioni principali?

Tra le altre infrazioni al diritto di cui si tratta, citerò le compagnie privi-legiate che, sfruttando un ramo del lavoro, ostacolano il concorso ai preten-denti e ri utano l’ammissione condizionale.

L’in uenza di queste compagnie può diventare pericolosa e causare ri-voluzione solo in quanto i loro regolamenti si estendessero all’intero cam-po commerciale.

Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti, 1808, Francia. 583

Diritto al riposo Osserva il giorno del sabato per santi carlo, come ti ha ordinato Jahve

tuo Dio. Faticherai per sei giorni e farai tutti i tuoi lavori, ma il settimo giorno è il sabato per Jahve tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo glio né tua glia né il tuo schiavo né la tua schiava né il tuo bue né il tuo

asino né alcuna delle tue bestie né il forestiero che si trova dentro le tue porte, af nché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricorda che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che di là Jahve tuo Dio, con mano forte e braccio teso, ti ha fatto uscire; perciò Jahve tuo Dio ti ha or-dinato di celebrare il giorno del sabato.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 5. 584

Al termine di ogni sette anni farai il condono. Bibbia ebraica, Deuteronomio, 15. 585

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Diritti sociali 277

Peggio per lui se il popolo non ha tempo che per guadagnarsi il pane; gliene occorre anche di più per mangiarlo con gioia, altrimenti non lo gua-dagnerà a lungo. Questo Dio giusto e benevolo che vuole che egli si oc-cupi, vuole anche che egli si distenda: la natura gli impone ugualmente l’esercizio e il riposo, il piacere e la sofferenza. Il disgusto del lavoro acca più i disgraziati del lavoro stesso.

Jean-Jacques Rousseau, Lettre à d’Alembert, 1758. 586

Giustizia sociale

Chi ha sete, crede che neppure un’anfora intera basterebbe a dissetarlo, ed ecco che invece gli è suf ciente una coppa. Comincia allora la vera sfor-tuna del genere umano; poiché crede che un’anfora non basti a spegnere la sua sete, l’assetato sottrae a tutti gli assetati l’anfora intera, di cui berrà solo una coppa. Anzi egli spezzerà l’anfora perché nessuno ne beva, se egli non può bere. Meglio ancora: dopo aver bevuto, verserà per terra tutto il liquido (rimasto) af nché negli altri crescano la sete e l’odio. E sempre meglio: si uccideranno tra loro questi assetati, perché nessuno beva. Ah! sciocchi che siete, che ciascuno beva un poco, e poi fate riempire queste anfore per chi verrà dopo di voi.

Giovanni Pascoli (1855-1912), Italia. 587

Severità verso coloro che opprimono il popolino Se le due squadre di soldati che sono nella campagna, l’una nella re-

gione meridionale, l’altra nella regione settentrionale, requisiscono le pelli di animali in tutto il paese senza dar tregua un solo anno, senza dar requie ai contadini [...] e scelgono quelle che sono marchiate (col ferro rosso), mentre passano di casa in casa bastonando (la gente) ed eserci-tando sevizie, senza lasciare alcuna pelle ai contadini [...] e se qualche [...] di Faraone viene per esigere la tassa del suo bestiame e li interpella, e non si trovano in casa loro le pelli (per modo che) si viene a sapere che essi sono indebitati; e se essi si guadagnano la ducia di costoro (cioè la ducia del direttore del bestiame e dei suoi subordinati) dicendo: “Ce li

hanno presi: dato che anche questo è un caso grave, si agirà in conformità (con la gravità dei fatti)”.

Se il direttore del bestiame di Faraone va a esigere le tasse sul bestiame in tutto il paese (perché) è lui che va a raccogliere le pelli delle (bestie) morte che [...], la mia Maestà ha ordinato che il contadino sia lasciato libe-ro a causa delle sue rette intenzioni.

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278 Il diritto di essere un uomo

Ma per quanto riguarda ogni militare, se si sentirà dire che va requisen-do le pelli, a partire da oggi gli si applicherà la legge, colpendolo con cento colpi (che gli causino) cinque ferite aperte, e togliendogli la pelle rubata, considerata un bene male acquisito.

Decreto di Horemheb, Antico Egitto, XVIII dinastia, II millennio a.C. 588

Protezione dei deboli, giustizia, ri uto della pena di morte Fa regnare la Giustizia-verità (la maât) no a quando tu abiti sulla terra.

Calma chi piange; non spogliare la vedova; non privare nessuno dei beni di suo padre; non destituire gli altri funzionari dai loro posti. Astienti dal punire ingiustamente. Non uccidere; è inutile (e dannoso) per te; castiga con punizioni corporali e con la prigione. E in tal modo questo paese sarà ben sistemato.

… … …Non fare distinzione tra il glio di un uomo ragguardevole e quello di

origini modeste, prendi per te (al tuo servizio) un uomo per quel che sa fare.

… … …Ben governati sono gli uomini, gregge di Dio: Egli ha creato il cielo e la

terra per il loro piacere, ha contenuto la furia delle acque e ha creato l’aria per dare vita alle loro narici. Gli uomini sono fatti secondo la sua immagine e sono nati da lui. Egli si alza nel cielo per loro. Creò per loro i vegetali, gli animali, gli uccelli, i pesci per nutrirli.

Insegnamenti per Merikare, Antico Egitto, X dinastia. Fine del III mil-lennio a.C. 589

Fede contro privilegi Un uomo che ama il suo prossimo come se stesso non può permettersi

di possedere una qualsiasi cosa più di lui, per modo che se ha dei beni e non li distribuisce senza provare rincrescimento, no a diventare lui stesso come i suoi vicini, non obbedisce esattamente ai comandamenti del Signore.

San Simeone, il nuovo teologo (949-1022), Bisanzio. 590

Non bisogna mai spogliare il povero di quanto possiede.

Tu ri uti un pollo al tuo vicino, e all’indomani lo sparviero te lo porta via. Proverbi del Burundi. 591

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Diritti sociali 279

Classi sociali e doveri di assistenza Gli abitanti della città si dividono in tre categorie: gli uomini, le donne e

i bambini. Da un altro punto di vista, gli abitanti della Città si dividono an-cora in tre categorie, che sono: a) gli uomini della casa del capo (gli uomini che hanno autorità); b) i notabili; e) i semplici cittadini.

... (I notabili): Se qualcuno è considerato un ricco dignitario, è bene che egli possieda

molto bestiame, che compri dei fucili per i membri della sua famiglia e per i suoi schiavi, che molti pacchi, molto argento riempiano i suoi orci, che possieda immensi campi, che la sua casa sia ampia, che egli possieda perle e gioielli di gran pregio come adzagba, gblotti, dzete, wodze, che possieda stoffe di grande valore, grandi gioielli in oro, grandi collane d’oro, abiti di seta, e bevande di pregio nella sua casa. Egli deve possedere barili di polvere, af nché, il giorno della sua morte, possano essere sparate grandi salve in suo onore, oppure se la Città venisse a essere attaccata, si possa trovare soccorso presso di lui. I notabili godono rispetto sia da parte della gente della famiglia del capo che di quella del popolo, poiché questi notabili vivono anch’essi come dei capi nella loro casa, e hanno innumerevoli persone (al loro servi-zio), membri della famiglia, servitori, schiavi e persone tenute in ostaggio nella loro casa. Si porta loro molto rispetto perché nel giorno della disgrazia sono loro che accordano soccorso e assistenza. Essi portano abiti di valore, mettono grandi calzari, portano grosse collane d’oro, anelli d’oro, mutande di seta. Quando s’incontrano hanno un seguito come fossero dei capi. Se il capo e i suoi consiglieri vogliono applicare una legge che al popolo non sembra giusta, i semplici cittadini vanno a trovare questi notabili, che li di-fendono dinanzi ai capi e interrompono l’applicazione delle leggi ingiuste. Ciò che rinforza la potenza dei dignitari, è il fatto che, quando il popolo si indebita e il capo è incapace di pagare il debito, sono questi dignitari a dare assistenza al popolo. Essi non possono trasmettere questa posizione ai loro gli o discendenti, perché non possiedono il seggio di capo.

Tradizione ewe, Togo. 592

Giusta riparazione Per quanto concerne le rendite della città, tanto quelle che voi percepite

da voi stessi e che si perdono in spese inutili, quanto i versamenti dei vostri alleati, dichiaro che debbono essere amministrate in modo che ciascuno di voi ne abbia una parte uguale: i cittadini in età di servizio militare, a titolo di soldo; coloro che hanno superato l’età, come indennità di sorveglianza o a qualunque altro titolo si voglia.

Demostene, Arringa sull’organizzazione nanziaria. Attorno al 349 a.C. 593

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280 Il diritto di essere un uomo

Mutuo aiuto Se gli individui non si aiutano tra loro, vivono nella povertà; se la socie-

tà non riconosce i diritti dell’individuo, scoppiano dei con itti. La povertà crea l’angoscia e i con itti generano la sventura. Per calmare l’angoscia ed eliminare i con itti, la cosa migliore è quella di istituire una società che riconosca chiaramente i diritti dell’individuo.

Siun Tsu (IlI sec. a.C.), Cina. 594

Obblighi reciproci L’Illuminato si trovava un giorno vicino a Râjagaha, nella foresta dei

bambù, presso alla radura degli scoiattoli.In quel momento, il giovane Sigâla, glio di proprietario, essendosi al-

zato di buon mattino, uscì da Râjagaha e, coi capelli e gli abiti bagnati, alzò le mani giunte e venerò le diverse parti della terra e del cielo: l’est, il sud, l’ovest, il nord, il nadir e lo zenit.

Molto presto quel mattino, l’Illuminato si vestì, prese la sua bisaccia e il suo mantello ed entrò in Râjagaha per chiedere l’elemosina. Vide il giova-ne Sigâla in preghiera e gli disse:

“Perché dunque, giovanotto, che ti sei alzato di buon mattino e sei uscito dalla città con i capelli e gli abiti bagnati, sei venuto a venerare le diverse parti della terra e del cielo?

Maestro, mio padre, morendo, mi ha detto: mio caro glio, tu dovrai vene-rare tutte le parti della terra e del cielo. Per questo, Maestro, obbedendo a mio padre, pieno di riverenza e di devozione, compio il mio dovere sacro, mi alzo di buon mattino e, uscendo da Râjagaha, vengo qui a fare atto di venerazione.

Ma, nella religione degli Ariani, non è così, giovanotto, che bisogna venerare le sei parti.

Come è dunque, Maestro, che nella religione degli Ariani si debbono venerare le sei parti? Sarebbe cosa eccellente, Maestro, se l’Illuminato volesse insegnarmi la dottrina e dirmi come, nella religione degli Ariani, bisogna venerare le sei parti.

Ascolta dunque, giovanotto, presta orecchio a quanto sto per dirti”. … …. …“E come, giovanotto, il discepolo ariano protegge le sei parti? Ecco qua-

li sono le sei parti: “I genitori sono l’est, i maestri sono il sud, le donne e i fanciulli sono

l’ovest, gli amici e i compagni il nord, i servitori e i lavoratori il nadir, gli insegnanti di religione e i bramini lo zenit.

“Il glio deve servire i suoi genitori, che sono l’est, in cinque modi: nutrito un tempo da loro, provvederò ai loro bisogni; compirò i doveri che

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Diritti sociali 281

spettano a loro; manterrò il lignaggio e la tradizione della mia famiglia; mi renderò degno della mia eredità.

“Così serviti dal loro glio, i genitori, che sono l’est, dimostrano in cin-que modi il loro amore per lui: lo allontanano dal vizio, l’esortano alla vir-tù, gli danno una professione, gli fanno fare un buon matrimonio, e, venuto il momento, gli trasmettono l’eredità.

“Così egli protegge l’est e veglia sulla sua sicurezza. “Gli alunni devono servire i loro maestri, che sono il sud, in cinque

modi: si alzano (per salutarli), si pongono ai loro ordini, imparano con zelo, rendono loro servizio e ascoltano i loro insegnamenti con atten-zione.

“Così serviti dai loro discepoli, i maestri, che sono il sud, li amano in cinque modi: insegnano loro ciò che essi devono sapere, insegnano loro a ricordare ciò che deve restare, fanno loro conoscere i segreti di tutte le arti, ne dicono bene ai loro amici e compagni e garantiscono dappertutto la loro sicurezza.

“Così l’allievo protegge il sud e veglia sulla sua sicurezza. “Lo sposo deve servire la sua sposa, che è l’ovest, in cinque modi: di-

mostrarle rispetto, cortesia e fedeltà, darle dell’autorità e offrirle di che ornarsi.

“Così servita dal suo sposo, la sposa, che è l’ovest ama lui in cinque modi: compie bene i suoi doveri, dà ospitalità alle persone delle due fami-glie, rimane fedele a lui, veglia sui beni che egli porta e dà prova in tutto di competenza e di zelo.

“Così, egli protegge l’ovest e veglia sulla sua sicurezza. “Un membro di una tribù deve servire i suoi amici e i suoi familiari,

che sono il nord, in cinque modi: dimostrare loro generosità, cortesia e benevolenza, trattarli come tratta se stesso, ed essere fedele alla parola data.

“Serviti in tal modo da lui, i suoi amici e i suoi familiari, che sono il nord, lo amano in cinque modi: lo proteggono quando allenta la propria vigilanza, e in questo caso vegliano sui suoi beni; gli offrono rifugio in caso di pericolo, non lo abbandonano nelle prove e sono pieni di atten-zione verso la sua famiglia.

“Così egli protegge il nord e veglia sulla sua sicurezza. “Il padrone ariano deve servire i propri servitori e i suoi impiegati, che

sono il nadir, in cinque modi: assegna loro dei compiti in rapporto alle loro forze, dà loro nutrimento e salario, veglia su di loro quando sono malati, condivide con loro le leccornie insolite, e concede loro una vacanza ogni tanto.

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“Così serviti dal loro padrone, i servitori e gli impiegati lo amano in cin-que modi: si alzano prima di lui, si coricano dopo di lui, si accontentano di ciò che ricevono, fanno bene il loro lavoro, e vanno cantando dappertutto le sue lodi e la sua rinomanza.

“Così egli protegge il nadir e veglia sulla sua sicurezza.“Chi fa parte di un clan deve servire gli anacoreti e i bramini, che sono

lo zenit, in cinque modi: dimostrare l’affetto verso di loro nei fatti, nelle parole e nello spirito, aprire loro la propria casa e soddisfare i loro bisogni temporali.

“Così serviti, anacoreti e bramini, che sono lo zenit, dimostrano il loro amore per lui in sei modi: lo allontanano dal male, lo esortano al bene, lo circondano di pensieri affettuosi, gli insegnano quello che non aveva ca-pito, correggono e puri cano quello che aveva capito, e gli rivelano la via del paradiso.

“Così egli protegge lo zenit e veglia sulla sua sicurezza.”Così parlò l’Illuminato. Sigâlovâda Suttanta, testo pali. 595

Solidarietà sociale Allora Sua Maestà il Re del Madjapahit chiese il permesso di parlare e

disse con voce dolce:Ecco ciò che si chiama l’uguaglianza, il modo con cui si manifesta, sia

che il risultato sia buono o cattivo.Se un compito deve essere effettuato alla porta del palazzo e se qualcuno

che ne è incaricato si trova vestito in modo negletto, O se voi date una festa e vedete un uomo adottare un atteggiamento

ripugnante, allora bisogna rispettare il samayalaksana (le caratteristiche dell’uguaglianza) [...].

Se avete un ospite, offritegli i cibi cui è abituato, in qualità e in quantità, anche se deve lasciare la vostra casa all’alba.

Uno dei vostri ospiti potrebbe essere insolente, dimostrarsi violento o ferirvi;

Allora, qualunque siano le parole che vi grida questa persona grosso-lana, qualunque possa essere la sua posizione sociale, accondiscendete ai suoi desideri, e se volete presentare una lagnanza rivolgetevi a me.

Perché il Palazzo e i villaggi che ne dipendono sono solidali tra loro come il leone e la foresta.

Se la campagna è abbandonata alle devastazioni, se è saccheggiata, la Resistenza reale non avrà più alimenti.

“Non più servi” signi ca “non più Re”; lo straniero verrà a seminare rovine.

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Diritti sociali 283

Per questo bisogna proteggere e il Palazzo e i villaggi, af nché essi so-pravvivano grazie alla reciproca comprensione.

Nâgarakrtâgama, panegirico composto nel reame di Madjapahit, 1365, Giava. 596

Non si pretende certo che vi riduciate in strettezze per alleviare gli altri, ma che, per principio di uguaglianza, ciò che nel momento attuale avete in soprappiù serva a soccorrere l’indigenza degli altri, af nché a sua volta il soprappiù degli altri torni a vantaggio della vostra indigenza, e così si abbia l’uguaglianza. Così sta scritto: “Chi molto raccolse non ne ebbe di più, e chi poco non ne ebbe di meno”.

Nuovo Testamento, San Paolo, seconda lettera ai Corinzi, 8. 597

La stabilità sociale poggia sulla prosperità del popolo Quanto a credere che la miseria del popolo sia una garanzia di sicurezza

e di pace, l’esperienza dimostra a suf cienza che questo è il massimo degli errori. Dove ci sono più litigi che tra i mendicanti? Chi si affretta di più a rovesciare lo stato di cose esistenti, se non colui che è scontento di quanto è toccato a lui? Chi si slancia più temerariamente sulla via della rivoluzióne di chi non ha nulla da perdere e spera di guadagnarci nel cambiamento? Un re, che fosse disprezzato e odiato dal suo popolo al punto da non poter più dominare i suoi sudditi se non col rigore, con le esortazioni, le con sche, un re che li riducesse a mendicare, farebbe meglio ad abdicare subito che usare procedimenti che gli conserveranno forse la corona, ma gli tolgono la grandezza, perché la dignità regale consiste nel regnare su gente prospera e felice, non su dei mendicanti.

Thomas More, Utopia, 1516, Inghilterra. 598

Bisogna coltivare l’amicizia dei vicini Vedi, glio mio, un vicino, bisogna coltivare la sua amicizia. Se tu hai

poco da mangiare, danne al tuo vicino; se ne hai molto, dagliene anche! Per esempio: tu sei a casa tua ed esci per lavorare. Durante la tua assenza, i bambini accendono un fuoco nella casa, e vluf! ecco la tua casa in amme! Ma se tu hai coltivato l’amicizia del tuo vicino, appena i bambini si met-tono a gridare, egli accorre rapidamente, e se il fuoco non è ancora troppo grosso, attinge acqua e la versa sulla casa. Se essa è già completamente in amme, egli si avvolge con una pelle (di animale), stacca il bestiame e lo

spinge fuori. E se trova aiuto, salverà anche molte altre cose. Tradizione chagga, Tanzania. 599

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284 Il diritto di essere un uomo

Suddivisione tra fratelli MANGIARE DA EGOISTI PORTA SFORTUNA

Vedete, gli miei! Voi siete nati gli di una donna e state crescendo in quattro. Tu sei uno dei quattro. E pensi: “Ebbene, voglio essere più furbo degli altri!”. E decidi: “Mangerò tutto da solo”.

Ma quello che tu mangi (da solo) nel tuo cantuccio fa sì che ne privi le persone della tua famiglia. Essi non ne sanno nulla; continuano a compor-tarsi bene con te. Uno di essi mette in serbo una capra e poi ti invita quando la mangeranno. Quando ammazza la capra, che è un prodotto del suo alle-vamento, vi chiama tutti e quattro. Vi invita, perché i suoi fratelli si sazino e voi portate ancora a casa qualcosa per mangiare la sera.

Tra loro, tu sei il più spavaldo, e cammini dinanzi agli altri. E colui che ha messo da parte la capra si augura che tu sia suo padre, poiché tra loro tu sei il maggiore (dei fratelli). Se Dio vi ha tolto vostro padre e questi non c’è più, tu diventi il loro padre, ed egli (il fratello di cui si tratta) ti offre il petto, che era la porzione del padre. Tu prendi dunque il petto e i fratelli più giovani, dopo di te, si dividono la carne delle prime tre costole. Ma il quarto prende la costata (il pezzo che viene dopo le prime tre costole). È per i suoi bambini (letteralmente: è l’aiuto che date alla sua casa).

E se hai ancora un altro fratello, che non è glio di vostro padre, egli prende un cosciotto (d’agnello) e lo divide col suo vicino che lo aiuta a sor-vegliare la casa. E il fratello che ha allevato la capra ti dirà: “Vedi, fratello maggiore, poiché ho avuto questa capra, vi ho invitati, e sono divenuto ora il sostegno della vostra famiglia, allo stesso modo che voi mi avete lasciata questa bistecca. Ma se rimane qualcuno che si mette in testa di farci un tor-to, questo è affar vostro e ciò non mi riguarda più” (cioè: io ho fatto il mio dovere e dopo la morte di nostro padre ho messo in ordine, per quanto mi concerneva, le nostre reciproche relazioni). Ma tu, tu te ne vai, essi hanno fatto di te il loro idolo e tu rientri a casa tua e cerchi egoisticamente il tuo piacere egoista (letteralmente: prendi del ventre).

Ad esempio, tu hai depositato una capra presso qualcuno. La uccidi a casa sua e porti a casa tua la carne. Qualcuno ti vede per strada, si ferma per veri care, ti riconosce e lo dice ai tuoi fratelli. Quando essi lo vengono a sapere, si dicono l’un l’altro: “Nostro fratello ha ucciso una capra”. Ma nascondono ciò nella loro testa e non ne dicono nulla.

Tu fabbrichi birra, li inviti a berla, ed essi vengono. Tu disponi lì vicino di un recipiente di infuso di banane e te ne servi per allungare la loro birra. Ed essi ti dicono: “Questa birra è molto leggera”. Tu rispondi loro: “Sì, non avevo grano abbastanza (per renderla più densa)”. Essi rientrano a casa loro pieni di cattivo umore. La loro testa non è allegra come lo è di solito quan-

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Diritti sociali 285

do uno rientra da casa di suo fratello: ora è come se rientrasse da casa di qualcun’altro.

Vedi, glio mio, quando avete qualcosa da mangiare, voi chiedete a un anziano che ha la precedenza su di voi: “Prega per noi l’Uomo del cielo e il nostro primo Antenato”. Digli: “Antenato, noi te lo chiediamo, mettiti d’accordo con l’Uomo del cielo, af nché vegli su di noi. Se noi ci ri utia-mo l’un l’altro la parte di cibo, allora, o Uomo del cielo, o Grande Capo, tieni l’occhio su di noi e frantumaci. Ma se noi ci trattiamo reciprocamente con riguardo, allora facci salire come il fumo quando si fabbrica la birra, af nché noi prosperiamo. Uomo del cielo, facci ingrassare!

Dopo questo, se tu mangi senza dare agli altri la loro parte, l’Uomo del cielo sserà il suo sguardo su di te e non permetterà che tu continui a prosperare.

Al contrario, il fatto di mangiar di nascosto, ricusando ai tuoi fratelli la loro parte, questo sarà per te la causa di essere privato dei tuoi gli. In seguito morrai tu stesso ben presto, e sparirai dal seno della tua parentela perché sei stato egoista, pervertito dal tuo ventre.

Per questo te lo dico, glio mio: se i tuoi fratelli ti trattano come si con-viene, non abbandonarli dopo e non andare a mangiare in disparte. L’isola-mento egoistico comporta gravi danni e una rapida morte.

Questo, te lo proibisco, e ti dico: “Non fare questo. Al contrario, condi-vidi lealmente con i tuoi fratelli. Non nascondere loro nulla, come essi non nascondono nulla a te”.

Tradizione chagga, Tanzania. 600

Condividere e non avere tutto Non si mangia il bruco “elima” a quattro ganasce. Non si deve voler

avere tutto, voler cumulare i bene ci, voler ereditare tutti i beni; bisogna lasciar qualcosa agli altri.

Proverbio mongo, Congo. 601

Chi mangia da solo il suo miele fa soffrire il suo stomaco. Proverbio akan, Ghana. 602

Una grande dama Ai suoi servi e alle sue serve ella assicurava vitto e vestiario a suf cien-

za; distribuiva il lavoro secondo le loro forze; non chiamava nessuno con soprannomi ingiuriosi; non si faceva portare l’acqua per lavarsi le mani, né si faceva allacciare le scarpe, ma si serviva sempre da sola.

Vita di Juliana Lazarevskaja, narrata da suo glio (1604), Russia. 603

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286 Il diritto di essere un uomo

Origine sociale Tu non hai forse la testa allo stesso posto del povero? Non sarai giudica-

to per la tua vita su questa terra, come il povero? [...]. Noi abbiamo ricevuto il battesimo della fede alla medesima fonte, e tutti vi siamo rinati da una medesima madre, la grazia.

Ivan Višenskij (XVIII sec.), Ucraina. 604

I gli di un mandarino diventeranno mandarini, Quelli dei poveri passeranno la loro giornata ad accendere carbone.Proverbio del Vietnam. 605

“A ciascuno secondo le sue necessità” Uno dei princìpi più essenziali del comunismo consiste nell’idea empi-

rica basata sulla natura umana, che le differenze della testa e delle facoltà intellettuali in generale non comportino nessuna differenza di stomaco e di necessità siche; che, in conseguenza, la massima falsa, fondata sul-le condizioni attuali: “A ciascuno secondo le sue capacità”, debba essere trasformata, nella misura in cui si riferisce al godimento nel senso stretto della parola, in quest’altra: “A ciascuno secondo le sue necessità”; che, in altri termini, la differenza nell’attività, nei lavori, non crea nessuna inugua-glianza, nessun privilegio per quanto riguarda il possesso e il godimento.

K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, 1845-1846. 606

Come fu risolta da allora in poi l’importante questione della retri-buzione più elevata del lavoro quali cato? Nella società dei produttori privati sono le persone private e le loro famiglie a sopportare le spese della formazione dell’operaio quali cato; sono quindi le persone priva-te quelle cui tocca il prezzo più elevato della forza del lavoro quali ca-to: lo schiavo abile si vende più caro, il salariato abile si paga più caro. Nella città a organizzazione socialista, è la società a sopportare questa spesa. Quindi, una volta prodotti, appartengono a essa i frutti, cioè i valori maggiori del lavoro quali cato, mentre l’operaio stesso non ha diritti supplementari.

Friedrich Engels, Anti-Dühring, 1878. 607

La libertà di tutti attraverso l’uguaglianza (Bisogna) organizzare la società in modo tale che ogni individuo” uomo

o donna, venendo al mondo, trovi dei mezzi press’a poco uguali per lo svi-luppo delle sue diverse facoltà e per la loro utilizzazione per mezzo del suo lavoro. La soluzione completa di questo problema sarà senza dubbio lavoro

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Diritti sociali 287

di secoli, ma la storia l’ha posto e noi non sapremo ormai farne astrazione senza condannarci da noi stessi a una completa.impotenza.

Per essere libero, io ho bisogno di vedermi circondato e riconosciuto come tale da uomini liberi. La libertà di tutti – lungi dal porre limiti alla mia, come pretendono gli individualisti – ne è, al contrario, la conferma, la rea-lizzazione, e l’estensione all’in nito. Volere la libertà e la dignità umana di tutti gli uomini, vedere e sentire la mia libertà confermata, sanzionata, estesa all’in nito per l’assenso di tutti, ecco la felicità, il paradiso umano sulla terra.

Fate che tutte le necessità divengano realmente solidali, che gli interes-si materiali e sociali di ciascuno divengano conformi ai doveri umani di ciascuno. E, per questo, vi è un solo mezzo: distruggere tutte le istituzioni dell’inuguaglianza; fondare l’uguaglianza economica e sociale di tutti e, su questa base, si eleveranno la libertà, la moralità, l’umanità solidale del mondo.

Michail Bakunin (1814-1876). 608

La libertà è lo scopo della vita del popolo, il frutto del suo sacri cio. La libertà esiste solamente là dove la proprietà è abolita; il popolo deve sacri- care ogni sua proprietà per la propria libertà, quindi per la propria vita e

la sua fortuna. Sacri carsi, in quanto materia, per se stessi in quanto spirito, ecco l’interesse del popolo perché da questo sacri cio nasca la libertà. Se qualcuno ci chiedesse di dimostrare che la libertà è la perfezione assoluta della vita dell’umanità, noi gli risponderemmo che la sua intelligenza è in difetto perché egli non è per nulla al corrente del processo.

La libertà assoluta del popolo (quindi anche dei popoli e dell’umanità in-tera) presuppone che esso sia libero da ogni oppressione. Ora l’oppressione è multipla: prima di tutto quella sica – rapporto fra il forte e il debole; poi l’oppressione per mezzo della proprietà – rapporti tra il ricco e il povero, che può essere de nitiva come una (relazione di) dipendenza, mentre la precedente poteva essere descritta come una schiavitù; in ne l’oppressione per mezzo dello spirito, quella dell’incolto da parte dell’intelligente, del debole intellettuale da parte del causidico brillante.

Edward Dembowski, La libertà assoluta del popolo, 1843, Polo-nia. 609

Esproprio rivoluzionario Messaggio al congresso nazionale dei contadini durante la rivoluzione

russa Con mio grande rincrescimento, il mio stato di salute non mi permette di

prendere la parola a un convegno grande come il vostro.

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Ma questa non è la sola ragione. Giudicando mio dovere parlarvi con totale franchezza, vi dirò che – se anche non fossi ammalato – forse non mi sarei azzardato a dirvi il mio parere su alcuni aspetti del nostro problema agrario, come l’ha posto recentemente la rivoluzione [...].

Veniamo al fatto. Innanzi tutto permettetemi di congratularmi con voi perché il vostro congresso si tiene in un clima di libertà politica.

Da parecchi secoli, a causa delle sfavorevoli condizioni del suo sviluppo storico, il popolo russo soffriva sotto il giogo dello zarismo. Molto spes-so persino dei funzionari subalterni hanno scritto al governo di Mosca: “Siamo rovinati, più che sotto l’occupazione dei Turchi e dei Tartari, dalle insopportabili lentezze della burocrazia moscovita”. Ma sono ancora i no-stri contadini russi che hanno maggiormente sofferto delle lentezze buro-cratiche di Mosca, poi di Pietroburgo, e in linea generale, di tutto l’antico regime [...].

... Terra natia!Citami un rifugio,un angolo – io non ne vidi mai –Dove tuo glio, il tuo custode,Il mugik russo non debba gemere!Egli geme nei campi e sulle strade,Egli geme nelle prigioni e nelle segrete,Ai ferri, nelle miniere,Egli geme nei pagliai e alle macine,Sotto la telega dove passa la notte nella steppa;Egli geme nella sua povera isbaSenza osar rallegrarsi della luce di Dio;Egli geme nelle città,Nei tribunali e nelle corti di giustizia. (Citazione del poeta Nikolaj Nekrasov)Checché ne sia, voi tutti sapete che l’antico regime ha lasciato mol-

to oscurantismo nel popolo. Questo oscurantismo spiega i disordini che scoppiano qua e là e che comportano gravi turbamenti nella vita del nostro paese. Solo gli stessi lavoratori possono por ne a questi disordini. E i la-voratori si impegneranno volentieri in questa lotta quando avranno acquisi-to la convinzione che simili turbamenti, moltiplicandosi, rischiano di scal-zare e di distruggere il nostro nuovo regime di libertà. Voi, rappresentanti coscienti dei contadini, voi potete contribuire grandemente a diffondere questa convinzione [...].

La maggior parte delle terre private appartiene beninteso ai grossi pro-prietari terrieri. Ma un numero abbastanza grande di contadini possiede

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Diritti sociali 289

ugualmente qualche pezzo di terra. Nella maggior parte dei casi, la super -cie di questi è molto ridotta. È forse possibile che anche a questi proprietari voi togliate la loro terra senza compenso? Secondo me, sarebbe al tempo stesso ingiusto e inopportuno. Ingiusto, perché i piccoli proprietari contadi-ni hanno nella maggior parte dei casi acquisito questa terra col sudore della loro fronte. Inopportuno, perché, privandoli del loro bene, voi rischiate di renderli ostili al nostro nuovo regime. Essi si diranno: “Nel passato nessu-no toccava la nostra terra, nel passato le cose andavano meglio”, e daranno il loro appoggio a coloro che sognano di ristabilire l’antico regime. Persone simili esistono, credetemi, benché nora non si siano messe molto in vista, in attesa di vedere la piega che prenderanno gli avvenimenti.

Secondo me, la migliore cosa da decidere sarebbe questa: le terre private che non superino un certo numero di ettari resteranno intangibili [...].

E per no l’idea di togliere le loro terre, senza compenso, ai grossi pro-prietari terrieri suscita delle obiezioni.

Immaginiamo uno di questi grossi proprietari. Egli possiede molta ter-ra, quindi è un uomo ricco; ma è ricco solo al momento in cui la terra gli vien tolta. Dal momento in cui essa gli vien tolta senza compenso, diventa miserabile. È vero che può avere denaro in banca. In questo caso, non è da compiangere se ha abbastanza denaro; ma se non ne ha molto, la miseria lo aspetta inevitabilmente. E così accadrà della maggior parte dei proprietari terrieri. Allora, ditemi un po’: è nel vostro interesse di creare la miseria in Russia? Non lo credo. E contrario ai vostri interessi, proprio come è contrario agli interessi dello Stato. Conclusione: conviene dare ai proprietari terrieri una certa contropartita. Modesta, certamente: la Rus-sia è troppo povera per versare milioni ai proprietari di immensi domini che i loro padri hanno ricevuto per fatti e gesta che non hanno alcun rapporto col bene del popolo (basta pensare agli innumerevoli amanti di Caterina II); ma un compenso modesto, che permetta agli antichi proprie-tari terrieri di evitare la miseria, è indispensabile [...].

Voi avete vinto. Ora, il vincitore, se ha un cuore da leone e non da lupo si dimostri magnanimo.

Georgij Plechanov, in “Edinstvo” (L’Unità), Maggio 1917. 610

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL POPOLO DEI LAVORATORI E DEGLI SFRUTTATI

Qualche giorno prima dell’apertura dell’Assemblea costituente – il 5 gennaio 1918 – Lenin redasse questo preambolo che intendeva porre in testa alla futura Costituzione dello Stato socialista russo.

La Russia viene dichiarata Repubblica di operai, soldati e contadini. Tutto il potere al centro come alla periferia appartiene ai Soviet.

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La Repubblica sovietica si costituisce sulla base di una libera unione di nazioni libere, che formano una federazione delle repubbliche sovietiche nazionali.

Addossandosi come compito la soppressione di ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, l’abolizione totale della divisione della so-cietà in classi, la repressione spietata della resistenza degli sfruttatori, l’in-staurazione di una organizzazione socialista della società, e la vittoria del socialismo in tutti i paesi.

L’Assemblea costituente dichiara: La proprietà della terra è abolita. Tutta la terra appartiene al popolo la-

voratore. È confermata la legge sovietica sul controllo operaio delle imprese e

sulla costituzione di un Consiglio superiore dell’economia nazionale, che viene considerata come un primo passo versò la consegna totale delle of- cine, delle miniere, dei trasporti e degli altri mezzi di produzione nelle

mani dello Stato operaio e contadino. È confermata la legge sulla consegna delle banche nelle mani dello Stato

operaio e contadino, considerata come una delle condizioni della liberazio-ne delle masse lavoratrici dal giogo del capitale [...].

È istituito, al ne di sopprimere gli elementi parassiti della società, l’ob-bligo del lavoro per tutti.

Al ne di assicurare alle masse lavoratrici la pienezza del loro potere e. di impedire ogni tentativo di restaurazione del potere degli sfruttatori, sono decretati: l’armamento dei lavoratori, la formazione dell’Armata rossa so-cialista degli operai e contadini, e il disarmo totale delle classi possidenti [...].

L’Assemblea costituente si congratula con i Consigli dei commissari del popolo per aver proclamata l’indipendenza della Finlandia, ordinato il ritiro delle truppe russe dalla Persia e concesso all’Armenia il diritto di disporre liberamente della sua sorte [...].

L’Assemblea costituente ritiene che, al momento in cui continua la lotta nale del popolo contro i suoi sfruttatori, costoro non debbono partecipa-

re a nessun organo del potere. Il potere deve appartenere interamente ed esclusivamente alle masse lavoratrici e ai loro rappresentanti plenipoten-ziari, i soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini.

Pur assicurando al potere sovietico e alle leggi promulgate dal Consiglio dei commissari del popolo il proprio appoggio, l’Assemblea costituente giudica che il suo compito si limita a porre le basi per l’edi cazione socia-lista della società. 611

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Diritti sociali 291

Abusi, ineguaglianze, sfruttamento

L’ultimo giudizio Quando verrà il Figlio dell’uomo nella sua gloria, accompagnato da tutti

gli angeli, siederà sul suo trono di gloria. Davanti a lui si raduneranno tutte le genti ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri a sinistra. Allora il re dirà a coloro che sono alla sua destra: “Venite, o benedetti del Padre mio, pren-dete possesso del regno preparato per voi n dalla fondazione del mondo. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, sono stato forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete ri-coperto, sono stato malato e mi avete visitato, sono stato in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? E quando ti abbiamo veduto forestiero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo ricoperto? E quando ti abbiamo veduto ma-lato o in carcere e siamo venuti a trovarti?”. E il re risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che l’avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me”. Allora dirà anche a quelli di sinistra: “Andatevene lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato al diavolo e agli angeli suoi. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, sono stato forestiero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete ricoperto, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Allora anch’essi risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo veduto aver fame o sete, o forestiero, o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?”. Allora risponderà loro: “In verità vi dico: ogni volta che non lo avete fatto a uno di questi, i più piccoli, neppure a me lo avete fatto”. E se ne andranno costoro al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna.

Nuovo Testamento, Vangelo secondo Matteo, XXV. 612

Dio ha imposto come un dovere ai musulmani ricchi di dare una parte di quanto posseggono ai poveri. Se i poveri hanno fame e sono nudi, la colpa di questo è dei ricchi. Dio ne chiederà loro rigorosamente conto e li castigherà duramente.

Hadith (Detti del Profeta). 613

Ascoltate, o voi potenti, il giorno del giudizio nale è vicino. I veri musul-mani sono divenuti rari, e coloro che sono creduti tali sono molto dubbiosi.

Gli studenti in teologia studiano le scienze, ma agiscono in contraddi-zione con quanto viene loro insegnato. I dervisci (monaci musulmani) non

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292 Il diritto di essere un uomo

seguono più la retta via. Il popolo fa il sordo ai saggi consigli. Quali tempi duri stiamo vivendo!

I signori non hanno più generosità né carità: essi fanno le parate montati sui loro destrieri. Ma ciò che essi mangiano è la carne dei poveri; ciò che bevono è sangue.

Gli uomini si considerano nemici gli uni degli altri. Pensano che non vi sarà affatto castigo per il male che commettono. Non pensano che domani ci sarà il Giudizio nale e che i fatti loro saranno in quel momento messi in chiaro.

Yunus Emre, XIII sec., Turchia 614

Vittime

Io mangerò, Tu no (ciò è iniquo). Rialza chi è caduto, non dimenticare chi è morto. Proverbi amarici, Etiopia. 615

Fraternità e mobilità

Che un piatto comune venga collocato dinanzi a tutti coloro che vivono su questa terra ed essi si nutrano anco a anco. Possano essi cambiare casta e fede. Giura, con la mano sulla testa, di fare aderire tutti a questo principio.

Vemana Satakamu (XV sec.), tradizione telugu. 616

Ritorno delle cose

I pesci mangiano le formiche quando le acque salgono; le formiche mangiano i pesci quando queste si abbassano.

Proverbio khmer, Cambogia. 617

Poveri Colui che si sazia mentre il suo vicino ha fame non è un buon musul-

mano.Hadith (Detti del Profeta). 618

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Diritti sociali 293

Ricchi, aiutate i poveri, come essi vi aiutano,come pezzi di stoffa attorno a un corpo nudo.Sapienti, proteggete gli ignoranti, come essi vi proteggono, comedei sampan al soccorso di una nave naufragata.O voi Potenti, vegliate anche sui deboli,0 voi sazi, date da mangiare agli affamati,Voi che siete colmi di beni, pensate ai diseredati.Poema popolare khmer. Cambogia. 619

Colui che umilia pubblicamente il suo vicino è come se ne versasse il sangue.

Talmud, Bava Metzia. 620

Per noi è facile parlare di Dio dopo una buona colazione e in attesa di un pranzo ancora migliore; ma come parlerò di Dio ai milioni di uomini che devono fare a meno di due pasti al giorno? Dio, per loro, non può avere altro aspetto se non quello del pane e del burro.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 621

Guardando la messe Per i contadini pochi mesi senza lavoro. Ma, al quinto mese, essi hanno doppia fatica. Durante la notte, il vento del sud si leva. Il grano copre le colline del suo oro. Spose e ragazze, col paniere sulla spalla, Ragazzi con i bicchieri della bevanda in mano, in la, vanno ai campi per portare il pranzo. Gli uomini validi sulle colline del sud, i piedi cotti dal vapore della terra infuocata, la schiena bruciata dai raggi del sole di fuoco, sono tanto s niti che dimenticano il caldo. Ma trovano ancora troppo corto questo giorno d’estate. Ecco ancora delle donne miserabili dietro i mietitori, con un bimbo in braccio. La loro mano destra raccoglie le spighe cadute, un paniere strappato pende dalla spalla sinistra. Ho udito ciò che dicono tra di loro: chi non soffrirebbe nell’ascoltarle? “I nostri campi di famiglia sono stati venduti per pagare l’imposta;il fascio di spighe dovrà bastare ai ventri scavati”.

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294 Il diritto di essere un uomo

E io, oggi, per quali meriti non ho mai penato nei campi né nei gelseti? Il mio salario uf ciale è di tremila moggi. E alla ne dell’anno ho del grano in avanzo. A questo pensiero l’onta mi sale alla fronte. Per tutto il giorno non posso dimenticarla. Po Kiu-Yi (772-846), Cina. 622

Un mercante russo è colpito dall’ineguaglianza del tenore di vita nelle Indie.

Il paese è estremamente popolato, ma i contadini sono estremamente nudi, mentre i signorotti sono molto potenti ed estremamente fastosi.

Atanasij Nikitin (1466-1472), Viaggio al di là di tre mari, Rus-sia. 623

Il raddrizzatore di torti e la gerarchia socialeDon Chisciotte non era andato molto innanzi, quando gli parve che alla

sua destra, dal folto di un bosco, uscissero delle grida soffocate, come di chi si lamentasse; e appena le udì disse: “Rendo grazie al cielo per il favore che mi fa, poiché mi offre così presto l’occasione di poter compiere quello che devo alla mia professione e di raccogliere il frutto dei miei buoni de-sideri. Senza dubbio queste grida sono di qualche bisognoso, o bisognosa, che necessita del mio favore e del mio aiuto.” E volgendo le briglie in-camminò Ronzinante verso il luogo da cui gli pareva che uscissero quelle grida. Fatti pochi passi nel bosco vide una cavalla legata a una quercia e un ragazzo legato a un’altra quercia, spogliato dalla cintura in su, dell’età di circa quindici anni; era lui che gridava, e non senza motivo, perché un con-tadino grande e grosso lo stava picchiando di santa ragione con la frusta, e accompagnava ogni frustata con un rimprovero e un consiglio, dicendo: “La lingua a casa e gli occhi all’erta”.

E il ragazzo gli rispondeva: “Non lo farò più, signore, per la passione di Dio, non lo farò più! d’ora innanzi prometto di accudire meglio il gregge”. Don Chisciotte vedendo quel che avveniva disse con voce adirata: “Scorte-se cavaliere, è sconveniente prendervela con chi non può difendersi. Mon-tate sul vostro cavallo e prendete la vostra lancia (poiché aveva anche una lancia appoggiata alla quercia dove era legata la cavalla); vi farò veder io che è da codardi quel che state facendo”.

Il contadino, che si vide venir addosso quella gura armata di tutto pun-to, afferrando la lancia e tenendola contro il viso, si vide già morto, e con buone parole rispose: “Signor cavaliere, questo ragazzo che sto castigando è un servo mio, che mi serve per custodire un gregge di pecore che pos-

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Diritti sociali 295

siedo da queste parti, ed è tanto sbadato che ogni giorno me ne manca una; e siccome castigo la sua negligenza o vigliaccheria, dice che lo faccio per avarizia, per non pagargli la mesata che gli devo; e, affé di Dio e per l’anima mia, mente”. “Menti, davanti a me, villanzone! – disse Don Chi-sciotte. “Per il sole che ci illumina, sono lì lì per passarvi da parte a parte con questa lancia. Pagatelo subito senza atare; altrimenti, per il Dio che ci governa, vi nisco e vi anniento in questo stesso istante. Slegatelo subito”. Il contadino chinò la testa e senza dir motto slegò il suo servo, al quale Don Chisciotte domandò quanto gli dovesse il padrone.

Quello disse che gli doveva nove mesi, a sette reali al mese. Don Chi-sciotte fece il conto, trovò che ammontava a sessantatré reali, e disse al contadino che li sborsasse sull’atto, se non voleva morire. Il villano im-paurito rispose che, per il frangente in cui si trovava e il giuramento che aveva fatto (e non aveva ancora giurato nulla!) non erano tanti; perché gli si dovevano detrarre e tener conto di tre paia di scarpe che gli aveva dato, e un reale per due salassi che gli avevano fatto quand’era ammalato. Sta bene tutto questo – disse Don Chisciotte – ma le scarpe e i salassi vadano per le sferzate che gli avete dato senza sua colpa; che se egli ha rotto il cuoio delle scarpe che voi avete pagato, voi gli avete rotto la pelle del corpo; e se il barbiere gli ha cavato il sangue quand’era ammalato, voi gliel’avete cavato mentre era sano: cosicché da questo lato, non vi deve nulla.

“Il guaio è, signor cavaliere, che qui non ho denari; venga con me a casa mia, e io glieli pagherò, un reale sull’altro.”

“Andarmene con lui! – disse il ragazzo. – Ma, mi colga il malanno! Nos-signore, nemmeno per sogno; appena mi vedrà solo, mi scorticherà come un San Bartolomeo.”

“Non lo farà – replicò Don Chisciotte – basta che io glielo ordini, perché mi obbedisca; e purché me lo giuri per la legge della cavalleria che ha rice-vuto, io lo lascerò andare libero e garantisco la paga.”

“Badi vossignoria a quel che dice” – disse il ragazzo – che questo mio padrone non è cavaliere, né ha ricevuto l’ordine di nessuna cavalleria; è Giovanni Haldudo, il Ricco, del paese di Quintanar.

“Poco importa – disse Don Chisciotte – ci possono ben essere degli Hal-dudi cavalieri, tanto più che ognuno è glio delle sue opere.”

“È vero – disse Andrea – ma questo mio padrone di che opere è glio, poiché mi nega il mio stipendio e il mio sudore e lavoro?”

“Non lo nego fratello Andrea – rispose il contadino – fatemi il piacere di venire con me; io giuro per tutti gli ordini di cavalleria che ci sono nel mondo, di pagarvi, come ho detto, un reale sull’altro, e per giunta profumati.”

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296 Il diritto di essere un uomo

“Del profumo vi faccio grazia” – disse Don Chisciotte. “Dateglieli in reali, che mi contento di questo, e badate di adempiere il vostro giura-mento; se no, per lo stesso giuramento, vi giuro di ritornare a cercarvi e a castigarvi, e vi devo trovare anche se vi nascondiate più di una lucertola. E se volete sapere chi vi comanda questo, per essere più seriamente obbligato a compierlo, sappiate che io sono il valoroso Don Chisciotte della Mancia, il riparatore di oltraggi e ingiustizie; state con Dio, e non vi passi di mente quel che avete promesso e giurato, sotto la pena che vi ho detto.” E dicendo questo spronò Ronzinante e in breve tempo s’allontanò.

Il contadino lo seguì con gli occhi, e quando vide che aveva passato il bosco e che non lo si vedeva più, si volse al suo garzone Andrea e gli disse:

“Venite qui, glio mio; voglio pagarvi quel che vi debbo, come mi ordi-nò di fare quel riparatore di oltraggi.”

“Questo lo giuro – disse Andrea – e come farà bene Vossignoria a ub-bidire agli ordini di quel buon cavaliere! Possa vivere mille anni! Come è stato valoroso, e come ha giudicato bene! Perbacco, e se lei non mi paga, ritorni e faccia quello che ha detto!”

“Anch’io lo giuro – disse il contadino – ma siccome vi voglio molto bene voglio aumentare il debito per aumentare la paga.” E afferrandolo per il braccio, tornò a legarlo alla quercia, dove gli diede tanti colpi che lo lasciò mezzo morto.

“Chiamate adesso, signor Andrea – diceva il contadino – quel riparato-re di oltraggi; vedrete come non disfà questo; sebbene credo che non sia nito di fare, perché mi vien voglia di scorticarvi vivo, come temevate.”

Ma nalmente lo slegò, e gli diede licenza di andar a cercare il suo giudice perché eseguisse la sentenza che aveva pronunciato. Andrea se ne andò un po’ avvilito, giurando di andare a cercare il valoroso Don Chisciotte della Mancia, e raccontargli per lo e per segno quel ch’era avvenuto, e che doveva pagargliela cara e salata; ma con tutto questo, egli se ne andò piangendo, e il suo padrone se la rideva. Così fu raddrizzato il torto dal valoroso Don Chisciotte.

Miguel de Cervantes (1615-624), Don Chisciotte. 624

Lavoro mal pagato Questi repartimientos (dove gli indiani erano al servizio degli Spagnoli)

o guatequil o inferno, perché così li chiamano gli Indiani, sono stati cre-ati e organizzati, come lo sono oggigiorno, senza ordine e senza mandato espresso dei re cattolici che regnano in Spagna, contrariamente alla legge che l’imperatore Carlo V, di gloriosa memoria, aveva emanata e che ordi-nava che gli Indiani non fossero ridotti in schiavitù e che non servissero gli

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Diritti sociali 297

Spagnoli come schiavi. Contrariamente a questa legge tanto giusta, i vice-ré, senza chiedere l’autorizzazione dei re di Spagna, cedendo agli Spagnoli importuni, hanno preso misure e dato ordini tali che gli Indiani sono liberi di nome, ma non lo sono di fatto e lavorano come schiavi; essi li hanno sottomessi con la costrizione e la forza, non li hanno lasciati godere della loro libertà, hanno assegnato un prezzo al loro lavoro perché essi avessero così il nome di giornalieri, hanno apprezzato il loro lavoro e i loro sforzi secondo questo prezzo, d’altronde ssato molto basso, a un livello che cor-risponde in Spagna a quattro o sei maravedis, poiché, per più di vent’anni, esso non ha superato un quartillo (quarto di reale) per il lavoro di un giorno intero, senza che essi ricevano viveri o alcun altro pagamento in natura; ed ancora essi non prendevano il loro salario no alla ne degli otto giorni, quando terminavano il servizio [...]. In seguito, è stato dato l’ordine di pa-gare un mezzo reale al giorno, e un mezzo reale nella Nuova Spagna non vale neppure quanto un quarto di reale in Spagna; è dunque a un prezzo così vile e senza aver ricevuto il minimo nutrimento che essi hanno lavora-to per più di trent’anni. E siccome il lavoro di un indiano costava così poco, grande era la cupidigia degli Spagnoli; uno spagnolo af ttava venti o trenta indiani, faceva far loro tutto quello che voleva e riteneva di dar loro più di quanto meritavano, versando a ciascuno, ogni otto giorni, un quarto di reale o un mezzo reale per giornata di lavoro; talvolta non dava loro nulla e teneva tutto per sé. Tale è stata, infatti, la disumanità di numerosi spagnoli: essi non hanno valutato per nulla il lavoro e i servizi degli Indiani e non hanno avuto alcuno scrupolo a non versare loro la giusta retribuzione.

Juan Ramirez, Osservazioni sul servizio personale al quale gli Indiani della Nuova Spagna sono costretti e forzati dai viceré che la governano in nome di Sua Maestà. 1595. 625

Gli amministratori nelle miniere facevano ugualmente torto agli India-ni non lasciandoli scendere dalla montagna per andarsi a riposare a casa loro la domenica, perché al lunedì essi dovevano cominciare a lavorare di buon’ora, e avevano un compito da svolgere (una quantità ssa da estrar-re) ogni giorno e di conseguenza venivano pagati secondo il loro lavoro; dovevano, ad esempio, estrarre sei costalillos al giorno, e alla ne della settimana, chi ne aveva estratti soltanto trenta riceveva la paga di cinque giorni e non di sei. È giusto fare la massima attenzione a porre rimedio a questa cosa, e per questo, nel suo decreto reale, Sua Maestà ordina che si misurino e siano diminuite le ore di lavoro degli Indiani.

Alfonso Mesía Venegas, Sul regolamento del servizio personale degli Indiani in Perù. 1603. 626

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Poesia popolare dei cantori “gauchos” che si accompagnano con la chitarra:

Chi divide la nostra vita Deve aver due qualità: Amarezza e voglia matta Di cavalcar puledro non dòmo. Canto il cielo e la mimosa,il cielo ancora e il cielito, E ho la mano pronta A usare il mio pugnale. Meglio andarsene scarni cati Con l’aquila senza crucci Che gemer sotto il basto. Cielito qui, Cielito là, Puoi tenerti il cioccolato.Noi siamo Indiani bennati, Non beviamo che maté. Piange il Re perché non vede D’or miniere, oppur d’argento. Per fargli passare la sua disperazione Consoliamolo con questa canzone: Cielito, dico no, Cielito, dico sì, Manda dunque a Ferdinando i complimenti di Potosì. È nito il tempo in cui degli esseri umani In fondo alla montagna Crepavano come cani. Nel nome del cielo, i re di Spagna Ci battezzavano cristianamente, e ci rubavano tutto il nostro denaro...

Bartolomé Hidalgo, soldato e poeta gaucho (1788-1823), Cielito de Ca-sa-Flores (attribuito a) Uruguay. 627

Canto popolare ungherese Nessuno più sfortunato del contadino Perché la sua miseria è immensa più del mare È in piedi notte e giorno, non ha tregua o riposo.

Per tutta la giornata invano lavora e pena Paga le tasse ma in cambio manco un grazie. Se giudicato colpevole, va in cella senza pane né acqua.

In casa sua, impunemente fan bisboccia i soldatacci. Presto, senza maledirli, bisogna servir loro da mangiare Altrimenti quei vanesi ti prendono a calci.

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Diritti sociali 299

Il giudice e le sue tasse, il padrone e le pellicce, il mercante e il suo vino, Sulla tua casa e sui tuoi beni, si fan pagare in contanti: Tutto per loro è preda, anche la tua camicia.

Verso la metà del XVIII sec. 628

Miseria dei contadini TIBORG I eri Meranesi montano a bell’agio focosi destrieri: ieri un balzano, oggi un grigio, domani un mille ori; noi, se vogliamo che cresca il grano dobbiamo porre il basto su moglie e glioli. Per loro le scorpacciate non hanno mai ne. Che forse i loro corpi n nelle minute pieghe siano provvisti di stomaco? Ci sarebbe quasi da crederlo. Dai nostri camini fuggirono le cicogne visto che noi mangiamo per no i ri uti. Dei nostri poderi fanno senza vergogna lor terra di caccia e a noi ri utano per sempre l’accesso. Ah! sfortuna a noi se per rallegrare una donna ammalata o un povero colpito dal vaiolo qualche piccione cade sotto i nostri colpi. Presto alla berlina noi siamo inchiodati. II ladro di mille e mille persone giudica chi per bisogno è ladro di un modesto soldo. BÁNK È vero tutto questo!

TIBORG

Non esiste luogo santo, monastero o chiesa, da cui non salga briosa aria di auto. La musica s’en va sin lungi e tanto forte che i pellegrini danzano di fuori. Ah! Se solo da un mantello decente Noi fossimo coperti per pregare dinanzi alla statua del nostro amabile e santissimo patrono!

BÁNK Il sangue tuo ribolle!

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300 Il diritto di essere un uomo

TIBORG

Ci vien talvolta voglia d’un lamento?Dobbiamo prima di tutto apprender la scritturapoiché noi contadini, più diritto non abbiamodinanzi a lui, signor, di presentarci:lo zoccolo del povero avrebbe presto il tortodi guastargli il bel pavimento di legno!

Jozsef Katona, Bánk Bán (Il paladino Bánk). Atto III, 1791-1830 629

Disuguaglianza davanti alla coscrizioneDa noi, poveri coscritti, son legati:Dietro la schiena hanno le mani avvinte,Fino a Kassa sotto scorta d’armatiI nostri poveri gli son menati.

Torna a casa tua, buffone,Alleva d’altri gliPer far dei bei soldati.Pazienza, castigherà il SignoreChi con la forza strappaAl povero il glio suo solo.

Canzone popolare ungherese, inizio del XIX sec. 630

Lo stranieroUno straniero non può neppure pelare una faraona.Lo straniero non ha diritti politici. È soltanto un ospite,non deve interferire negli affari dei clan e delle famiglie.

Proverbio mongo, Congo 631

Esilio e povertàVerso quale paese fuggire? Dove fuggire, dove andare?Io vengo allontanato dalla mia famiglia e dalla mia tribù;Né il villaggio, né i cattivi capi del paese mi sono favorevoli:Come posso, Signore, assicurarmi il tuo favore?Io lo so, o saggio, perché sono impotente:Perché il mio gregge è piccolo e perché ho pochi uomini.Ti rivolgo il mio lamento: prendilo in considerazione, Signore,Concedendomi l’appoggio che l’amico darebbe all’amico.Insegna, Tu che sei Giustizia, il possesso del Buon Pensiero,Quando, o Saggio, verranno avanti i voleri dei salvatori futuri,Albe del giorno in cui, per sentenze ef caci,Il mondo manterrà la Giustizia?

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Diritti sociali 301

A chi si verrà in aiuto, essendo il Buon Pensiero?– A me, perché io sono stato eletto da te, o Signore, per la rivelazione.

Avesta, Gâthâs di Zarathustra, anteriori al VI sec. a.C., Persia. 632

L’EMIGRATO Mio Dio onnipotente, grande è il tuo nome! Dà una patria all’esiliato, ma non la malattia! Perché quando si è malati occorre un letto, e dei cuscini, occorrono madri e sorelle, fratelli e cugini. [...]Che io non abbia per quaderno il cielo e per inchiostro il mare per scriver le mie pene e i miei lamenti che han visto mai i miei occhi, che han visto mai, disgraziati! Come vien sepolto lo straniero, com’è posto in terra, senza incenso, né cero, senza prete e senza canti!

Canzone popolare greca. 633

LA MORTE DELL’EMIGRATO Insultami, madre, e scacciami, perché me ne voglio andare. Andar con le galere, andar con le pesanti navi; starai degli anni senza vedermi, dei mesi ad aspettarmi; verrà il giorno di San Giorgio, prima festa dell’anno, tu andrai, o madre, in chiesa a far il segno della Croce, vedrai i giovanotti, le ragazze e i bimbi, vedrai il mio posto vuoto e il mio stallo vuoto quando usciranno di chiesa, tu andrai all’incrocio...

C’erano là dei viaggiatori, ci son dei viaggiatori. “Buongiorno, viaggiatori!” – Buongiorno, o madre in lutto! – Avete visto mio glio, il mio gliolo amato? – Dacci qualche segno, forse l’abbiam visto. – Aveva un neo sulla guancia, un altro neo sotto l’ascella, e in mezzo al petto il ritratto d’una fanciulla. – L’altra sera l’abbiamo visto su un’ara marmorea, neri uccelli lo divoravano e bianchi lo attorniavano, e un uccello, un uccello d’oro, a piangere s’è messo.”“Mangia anche tu, bell’uccello, le valenti spalle, per aver ali lunghe un braccio, le piume d’una spanna, e scriviti sull’ala tre parole amare. Portane una a mia madre, un’altra a mia sorella, la terza, la più amara, alla

mia amata.” Mia madre legga e pianga mia sorella, legga mia sorella e pianga la mia bella, legga la bella e pianga il mondo intero!”.

Canzone popolare greca. 634

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302 Il diritto di essere un uomo

IL SIGNORE E IL POVERO

Un tempo, vicino alla casa di un grande signore, abitava un pover’uomo, do-tato di una grande perseveranza, che lavorava duro e cercava di condurre i suoi affari seguendo l’esempio del suo illustre vicino. Egli non tardò ad accumulare una considerevole fortuna.

Venuto a sapere questo, il signore lo fece chiamare e gli disse: “Amico mio, tu devi darmi tutta la tua ricchezza, che mi appartiene di diritto, poiché tu l’hai acquistata prendendo esempio da me”.

Il nostro amico, indignato per questa pretesa, protestò energicamente, per-ché non voleva assolutamente cedere il frutto del suo duro lavoro.

La discussione divenne avvelenata, e ben presto il caso fu sottoposto al giu-dizio del Re, che fece chiamare i due antagonisti. Il signore prese per primo la parola:

– Maestà! La fortuna di quest’uomo mi spetterebbe, perché, abitando egli presso di me, ha preso esempio da tutte le mie azioni e da tutti i miei gesti e ha così ricalcato, senza vergogna, i suoi affari sui miei.

– Io ho lavorato da solo, a prezzo di molti sacri ci – rispose l’uomo. – Nes-suno mi ha mai aiutato nei miei affari. Perché vuole egli ora ingiustamente appropriarsi della mia fortuna?

Il Re, volendo tagliar corto alla discussione, domandò ai due uomini se ave-vano dei gli. L’uno rispose che aveva una glia e l’altro un glio.

– Sta bene così – proseguì il Re –, sposate i vostri gli e in questo modo non avrete più necessità di dividere le vostre fortune. Vi chiedo anche che, per l’avvenire, non facciate più alcuna distinzione tra ricco e povero. Un uomo vale l’altro”.

Racconto khmer, Cambogia. 635

IL NEGRO La legge è fatta per tutti, ma domina il povero, solo. La legge è una tela di ragno – nella mia ignoranza la vedo. – Il ricco non la teme, i capi mai la temono, i grossi animali la spezzano, solo i piccoli vi restano presi. La legge è come una pioggia, non cade, ahimè, mai uguale. Si lamenta chi l’ha sulla schiena. Ma, è semplice e chiaro, la legge è come il coltello, non ferisce colui che l’adopera.

José Hernández, La vuelta de Martín Fierro, 1879, Argentina. 636

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Diritti sociali 303

– Vengo a supplicarti, signore, di non strapparmi le mie terre. Sono mie. Io le ho seminate [...].

– Tu, Pedro Quispe, non sei proprietario di queste terre. Dove sono i tuoi titoli di proprietà? In altre parole, dove sono i tuoi documenti?

Ricardo Jaime Freyre (1868-1933), Bolivia. 637

Intellettuali Si credono intellettuali ma danno del tu ai loro domestici, trattano i con-

tadini come bestie [...]. E tutti quanti che aspetto grave, che espressione se-vera! Non trattano che questioni importanti [...], mentre, sotto il loro naso, gli operai sono nutriti in modo abominevole e vanno a letto senza cuscino, trenta, quaranta in una stanza; dappertutto è pieno di pulci, c’è fetore, umi-dità, e quale sporcizia morale! È chiaro che tutte quelle belle frasi servono solo a ingannare tutti.

Anton echov, Il giardino dei ciliegi, 1904. 638

Tirannia domestica Hanno tracciato un ampio corso alberato e non vi passeggiano [...]. I

poveri, signore, non hanno il tempo di passeggiare: il loro lavoro li assilla giorno e notte; essi dormono solo tre ore su ventiquattro. Ma i ricchi, loro, che cosa fanno? [...]. Già da molto tempo hanno messo il catenaccio alle loro porte e sguinzagliano i cani. Credete che si occupino dei loro affari, e che recitino le loro preghiere? No, signore! Non è per timore dei ladri che si chiudono dentro, è perché non si veda come torturano la loro famiglia, come la tiranneggiano. E quante lacrime che nessuno vede colano dietro quei ca-tenacci! [...]. Dietro quei catenacci, signore, quale scura corruzione, quale ubriachezza! ma tutto è ben nascosto: nessuno vede e sa nulla, eccetto Dio [...]. La famiglia, vi dicono, è cosa segreta e sacra. Come se non conoscessi-mo i loro segreti! Questi segreti, signore, non divertono che il capo famiglia; quanto agli altri, possono versare tutte le lacrime del loro corpo!

Voi parlate di un segreto! E chi non lo conosce? Spogliare gli orfani, i parenti lontani, i nipoti, e torturare la famiglia, senza pietà, perché nessuno osi aprir bocca su ciò che accade in casa.

Aleksandr Ostrovskij, La tempesta, 1860, Russia. 639

Proletariato Man mano che si ingrandisce la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche

il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo a condizione di trovare del lavoro e che ne trovano solo se il loro lavoro accresce il capitale. Questi operai, costretti a vendersi, giorno per giorno, sono una mercanzia, un

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304 Il diritto di essere un uomo

articolo di commercio come un altro; essi sono esposti, di conseguenza, a tutte le vicissitudini della concorrenza, a tutte le uttuazioni del mercato.

Lo sviluppo della meccanizzazione e la divisione del lavoro, facendo perdere al lavoro dell’operaio ogni carattere di autonomia, gli hanno fatto perdere ogni attrattiva. Il produttore diventa un semplice accessorio della macchina e si esige da lui solo l’operazione più semplice, la più monotona, quella che s’impara più in fretta. Di conseguenza, il costo dell’operaio si riduce, pressappoco, a ciò che gli occorre per mantenersi e per perpetuare la sua discendenza. Ora, il prezzo del lavoro, come quello di ogni merce, è eguale al suo costo di produzione. Dunque, più il lavoro diventa ripugnan-te, più i salari si abbassano. E per di più, la somma di fatica aumenta con lo sviluppo dell’impiego delle macchine e della divisione del lavoro, sia per l’aumento del lavoro richiesto in un dato tempo, l’accelerazione del movimento delle macchine, ecc.

L’industria moderna ha fatto del piccolo laboratorio del maestro arti-giano patriarcale la grande fabbrica del capitalismo industriale. Masse di operai, stipate nella fabbrica, sono organizzate militarmente. Semplici sol-dati dell’industria, essi vengono posti sotto la sorveglianza di una gerarchia completa di sottuf ciali o di uf ciali. Essi non sono soltanto gli schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ma anche, ogni giorno, a tutte le ore, gli schiavi della macchina, del capo reparto e soprattutto del bor-ghese che è lui stesso padrone-lavoratore. Più questo dispotismo procla-ma apertamente che il pro tto è il suo unico scopo, più diventa meschino, odioso, esasperante.

Meno il lavoro esige abilità e forza, cioè più l’industria moderna progre-disce, più il lavoro degli uomini è soppiantato da quello di donne e ragazzi. La distinzione di età e di sesso non ha più importanza sociale per la classe operaia. Vi sono solo più strumenti di lavoro, il cui costo varia secondo l’e-tà e il sesso. Una volta che l’operaio ha subito lo sfruttamento del padrone e che gli si è stabilito il suo salario, egli diventa preda di altri membri della borghesia: il padrone di casa, il negoziante al minuto, coloro che impresta-no denaro su pegno, ecc.

Piccoli industriali, negozianti, persone che vivono di reddito, artigiani e contadini, tutto il blocco inferiore delle classi medie di un tempo, cadono nel proletariato; da un lato perché gli scarsi capitali di cui dispongono non permettendo loro di usare i procedimenti della grande industria, essi soc-combono nella concorrenza coi grandi capitalisti; dall’altra perché la loro abilità tecnica è trascurata. Per questo il proletariato viene reclutato in tutte le classi della popolazione.

K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, 1848. 640

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Diritti sociali 305

La fabbrica La schiavitù in cui la borghesia ha incatenato il proletariato non viene

alla luce in nessun posto più chiaramente che nel sistema della fabbrica. Qui ogni libertà cessa, di diritto come di fatto. L’operaio deve essere in fabbrica alle cinque e mezza; se arriva un minuto o due in ritardo, è punito; con dieci minuti di ritardo, non è neppure più ammesso no dopo la cola-zione e perde un quarto della sua paga giornaliera (benché abbia perduto solo due ore e mezza su dodici). Deve mangiare, bere e dormire a comando. Non dispone per il soddisfacimento delle sue necessità più urgenti che del tempo strettamente necessario. Che la sua abitazione sia a mezz’ora o ad un’ora intera di distanza dalla fabbrica, questo non riguarda il padrone. La campana dispotica lo fa balzare dal letto, gli tronca la colazione e il pranzo.

E quale tipo di esistenza conduce, una volta in fabbrica! Qui il padrone è legislatore assoluto: emana dei regolamenti di fabbrica a suo piacimento; cambia o aggiunge al proprio codice ciò che gli piace [...].

Qualcuno mi dirà che tali regole sono necessarie per garantire in una gran-de fabbrica ben ordinata i collegamenti necessari tra le diverse operazioni; mi dirà che una disciplina così stretta non è meno necessaria in fabbrica che nell’esercito. Sta bene, è possibile; ma che cosa avviene di un ordine sociale che non può sussistere senza questa ignominiosa tirannia? Una della due: o il ne giusti ca i mezzi, oppure l’ingiustizia dei mezzi rivela l’ingiustizia dello

scopo. Chiunque è stato soldato sa che cosa vuol dire vivere, anche per poco tempo, sotto una disciplina militare; ebbene, ecco degli operai condannati, dall’età di nove anni no alla morte, a vivere nel terrore morale e sico; schiavi più miserabili dei Negri d’America, perché sono sorvegliati più da vicino: e si chiede ancora che vivano, pensino e sentano da uomini!

Friedrich Engels, La situazione delle classi lavoratrici in Inghilterra, 1845. 641

Gettando alle ortiche la divisione dei poteri, così esaltata dalla borghesia e il sistema rappresentativo di cui essa va matta, il capitalismo – nel suo codice di fabbrica – manifesta, quale legislatore privato e come gli pare e piace, il suo potere autocratico sugli operai. Ma questo codice è solo la caricatura della regolamentazione sociale com’è richiesta dalla cooperazione su vasta scala e dall’uso di mezzi comuni di lavoro, soprattutto delle macchine. Qui, la frusta del guardiano di schiavi è sostituita dal libro delle punizioni del capo reparto. Tutte queste punizioni si traducono naturalmente in multe e trattenute sul sa-lario, e la mente scaltra dei Licurghi di fabbrica fa in modo che essi traggano ancor maggior pro tto dalla violazione che dall’osservanza delle loro leggi.

Karl Marx, II capitale, 1867. 642

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306 Il diritto di essere un uomo

IL MINATORE Io scavo, sotto terra io scavo. Frugo tra le pietre che scintillano come pelle di serpente. Io scavo la terra – sotto Polska Ostrava.

La mia lampada si spegne, i capelli molli, bagnati di sudore, mi cadono sulla fronte, l’occhio mi s’inietta di bile, il mio cranio e le mie vene fumano, da sotto le mie unghie il sangue rosso stilla, io scavo, sotto terra io scavo.

Nella galleria batto col mio grosso martello a Salmovec, io scavo, a Rychwald io scavo, a Petrvald io scavo. Vicino a Gudula, mia moglie gela e singhiozza, sulle sue ginocchia i miei gli affamati piangono, io scavo, sotto terra io scavo. Un fascio di scintille esce dai miei occhi, a Dombrowa, io scavo, a Orlova io scavo, a Poremba io scavo, al di sotto di Lazy io scavo.

Sulla mia testa risuonano colpi di zoccoli, il conte attraversa il villaggio, la contessa con le sue piccole mani guida i cavalli e ride col suo roseo viso!

Io scavo, alzo la picozza, mia moglie, livida, va al castello a chiedere del pane perché il latte si è prosciugato nel suo seno. … … …Perché è andata al castello a pregare e mendicare? Forse che il grano cresce nei campi del padrone per la moglie del minatore? Io scavo a Hrušov e a Michalkowice.

Che cosa diverranno i miei gli, che cosa diverranno le mie glie quando un giorno mi trarranno – morto – dal pozzo? Mio glio continuerà a scavare, a scavare sempre, scavare a Karvina; e le glie: che diventeranno le glie dei minatori? Se un giorno gettassi nel pozzo la mia lampada maledetta, se levassi la nuca incurvata, se serrassi il pugno, se, in un ampio gesto dalla terra no al cielo, io levassi il mio mantello,

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Diritti sociali 307

se aprissi i miei occhi scintillanti sotto il sole di Dio?

Petr Bezru , Slezské písn (“Canti della Slesia”), 1920. 643

La madre Ella parlò loro ancora di ciò che era nuovo per lei e le sembrava di

inestimabile importanza. Raccontò loro la sua povera esistenza piena di umiliazioni e di rassegnata sofferenza [...]. Nicola e So a l’ascoltava-no, in silenzio, attentamente; erano schiacciati dal signi cato profondo di questa storia di un essere umano che era stato trattato come una be-stia e che, per lungo tempo, non aveva compreso l’ingiustizia della sua situazione, non aveva mormorato. Sembrava loro che migliaia di vite parlassero per bocca della madre; tutto era banale e oscuro in questa esistenza, ma vi era sulla terra una quantità innumerevole di persone che conducevano questo genere di vita [...]. Così, ingrandendosi senza posa sotto i loro occhi, la storia della madre assumeva l’importanza di un simbolo.

Maksim Gorkij, La madre, 1906, Russia. 644

Il rispetto contro la fame Il fatto che un essere umano possegga un destino eterno, impone un

solo obbligo: il rispetto. L’obbligo non è adempiuto se il rispetto non è effettivamente espresso, in modo reale e non ttizio; e può esserlo solo con l’intermediario delle necessità terrene dell’uomo.

La coscienza umana non ha mai cambiato su questo punto. Migliaia di anni fa, gli Egiziani ritenevano che un’anima non può essere giusti cata dopo la morte, se non può dire: “Non ho permesso che nessuno soffrisse la fame”. Tutti i cristiani sanno di essere esposti a sentirsi dire un giorno da Cristo in persona: “Ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare”. Tutti si raf gurano il progresso innanzi tutto come il passaggio a uno stato della società umana in cui la gente non soffrirà per la fame. Se si pone la questione in termini generali a chiunque, nessuno pensa che un uomo sia innocente se, avendo nutrimento in abbondanza e trovando sulla propria soglia qualcuno per tre quarti morto di fame, passa senza dargli nulla.

È dunque un obbligo verso l’essere umano quello di non lasciargli soffrire la fame quando si ha l’occasione di soccorrerlo. Poiché quest’ob-bligo è il più evidente, deve servire di modello per redigere l’elenco dei doveri eterni verso ogni essere umano.

Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia. 645

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308 Il diritto di essere un uomo

Le vittime, i loro lamenti

IL VINO E L’ACQUA

Disse un giorno il vino all’acqua con disprezzo:– Io disseto i principi e tu gli sciocchi! – Se i principi ti bevono, diss’ella dolcemente, – è perché gli sciocchi han dato loro il denaro!

Ignacy Krasicki, Favole, 1779, Polonia. 646

IL DOMESTICO JERNEJ E IL SUO DIRITTO

“La legge degli uomini e anche il comandamento di Dio insegnano al servo l’obbedienza verso il padrone. Ma esiste anche una legge, che non è scritta in nessun posto, ma che è dovunque rispettata; esiste un comanda-mento del Cristo che ingiunge al padrone di non cacciare il proprio servo quando questi è giunto al termine del suo servizio ed è diventato vecchio e debole. Per questo, Jernej, vallo a trovare e spiegagli questo: egli avrà pietà di te!”.

Ma Jernej si adirò e gridò: “Io non busso alla porta della carità, bensì a quella della giustizia, perché

essa si apra in tutta la sua ampiezza! Non è né un mendicante né un viag-giatore, colui che è stato padrone del focolare per quarant’anni! Non resta senza casa chi l’ha costruita con le sue mani! Non deve mendicare il pane colui che ha coltivato vasti campi. Se sei stato tu a lavorare, allora è opera tua: ecco la legge! Io chiederò giustizia ed essa mi sarà resa. Se non me la renderete voi stessi, o giudici ottusi ed iniqui, ebbene, il mondo è grande e vi sono molti giudici al di sopra di voi e, al di sopra di tutti, vi è Dio”.

Ivan Cankar (1876-1918), poeta sloveno. 647

Condizione operaiaDopo la rivoluzione del 1905

Ah, i giorni, i giorni sono passati,I diseredati avuta han la loro festa,Si sono sollevati, sis ono glori cati, E sono partiti per la Siberia.

Addio, uf cio principale,Addio fabbrica di Zlatooust,Ci mandano ai lavori forzati,Noi che eravamo per la libertà,Noi che eravamo per il popolo.

astuški. Poesia popolare russa. 648

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Diritti sociali 309

Condizione della donnaLa fanciulla piangeva amaramente,La bella aveva proprio un gran dolore;Forse piangea sua libertà perduta?Piangea la bionda treccia, ahimè, caduta?

Cerca il padre di calmarla,E la madre ragionarla…In prigione non ti mandiamo, Solo, noi ti maritiamo!

Il fratello la consiglia:Vedi, cara sorellina,Porta l’oro e non usarlo,Sopporta il tuo dolore e non parlarne.

Caro fratello mio, mio bel sole,Quando si porta l’oro, al ne lo si usa,Quando si ha un dolore, se ne parla.

astuški. Poesia popolare russa. 649

La sposa ripudiataSenza ragione noi fummo uniti,Senza ragione or ci separiamo.Un tempo, due anitre mandarine,Oggi due nuvle, spinte all’ovest e all’est.

Fluttuano le nubi con il vento, Ma il mio cuore non somiglia loro per nulla. Il tuo, incostante, M’abbandona com’erba appassita.

Saluto ancora una volta i suoi genitori, Voltandomi indietro senza posa. M’addolorano le tracce dei miei passi Sul sentiero per quale ero venuta.

Lascio due perle del color di luna, La nuova sposa farà degli orecchini. Non l’odio se 1’amor tuo m’ha rubato, E voglio che le perle vi restino vicino.

Il mio specchio starà sempre nel forziere Con la polvere della vostra casa.

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310 Il diritto di essere un uomo

Non avrò mai il coraggio di levarlePer suo mezzo sarò sempre vicina ai ricordi di un tempo.

Nulla è ormai più la mia vita. Come dire tutto quel che ho nel cuore? Potessi darti l’erba dai ri essi d’oro Perché i tuoi giorni non niscano mai!

Chao Chih-hsin, XVII sec., Cina. 650 I poveri vicini al principeFinché il tempo lo permette, mettiamo in pratica questo consiglio

di San Paolo: Alter alterius onera portate (Portate reciprocamente i vostri pesi). Oh ricchi, portate il fardello del povero, soccorrete le sue necessità, aiutatelo a sopportare le af izioni, sotto il cui peso geme: ma sappiate che, scaricando lui, voi lavorate a scaricare voi stessi: quando date a lui, voi diminuite il suo fardello, ed egli diminuisce il vostro: voi portate il bisogno che l’opprime: egli porta l’abbondanza che vi so-vraccarica. Comunicatevi mutuamente i vostri pesi “af nché divengano uguali”: ut at aequalitas, dice San Paolo. Perché, quale ingiustizia, fratelli miei, che i poveri portino tutto il peso e che tutto il peso della miseria vada a cadere sulle loro spalle! Se essi se ne lamentano, e se mormorano contro la Provvidenza divina, Signore, permettetemi di dir-lo, (lo fanno) con una certa parvenza di giustizia: poiché, essendo tutti impastati in una stessa massa, e (non potendo esservi) gran differenza tra fango e fango, perché dovremmo vedere da un lato la gioia, il fa-vore, l’abbondanza e dall’altro la tristezza, la disperazione e l’estrema povertà, e per di più il disprezzo e la schiavitù? [...]. In tutti i regni, in tutti gli imperi, vi sono dei privilegiati, cioè delle persone eminenti che hanno diritti straordinari; e la fonte di questi privilegi è il fatto che essi – per nascita o per ragioni di lavoro – hanno a che fare più da vicino con la persona del principe. Fa parte della maestà, dello stato e della grandezza del sovrano, il fatto che lo splendore che irradia dalla sua corona si ri etta in qualche modo su coloro che lo avvicinano. Poiché noi sappiamo dalle sacre Letture che la Chiesa è un regno così ben ordinato – non dubitatene fratelli miei – che ha anch’essa i suoi privile-giati. E donde prenderanno questi privilegi se non dalla dimestichezza col suo sovrano, cioè con Gesù Cristo? Perché, se bisogna essere uniti col Salvatore, o Cristiani, non cerchiamo tra i ricchi i privilegi della santa Chiesa. La corona del nostro Monarca è una corona di spine: lo splendore che ne irradia sono le af izioni e le sofferenze. È nei poveri,

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Diritti sociali 311

in coloro che soffrono, che risiede la maestà di questo regno spirituale. Gesù, essendo povero e indigente egli stesso, faceva amicizia con i suoi simili e diffondeva i suoi favori tra i compagni di sventura.

Non si disprezzi più la povertà, e non la si consideri più come plebea. È vero che era della stirpe del popolo; ma, avendola il Re della gloria sposa-ta, l’ha resa nobile con quest’alleanza, e in seguito (a ciò) Egli accorda ai poveri tutti i privilegi del suo impero. Egli promette il regno ai poveri, la consolazione a coloro che piangono, il nutrimento a quelli che hanno fame, la gioia eterna a coloro che soffrono. Se tutti i diritti, se tutte le grazie, se tutti i privilegi del Vangelo sono per i poveri di Gesù Cristo, o ricchi, che cosa rimane per voi e quale parte avrete nel regno?

Jacques Bénigne Bossuet, Discorso sull’eminente dignità dei poveri nella Chiesa, 1659. 651

Potenza del denaro La ricchezza fa aprire anche le porte dell’Inferno. Come il vento disperde le nubi nere, così col denaro si arriva a conqui-

stare il popolo. Proverbio turco, XI sec., Turkestan orientale. 652

Ingiustizia socialeIl popolo è una coda di montone ben grassa, non hai che da deliziartene. Come potrebbe l’asino af ancarsi al cavallo lungo il cammino? Come il

povero potrebbe essere trattato da fratello da un ricco? Non disturbare chi è sazio; non far lavorare l’affamato. Gli ordini dei Signori fanno piangere sangue ai poveri. Proverbi turchi, XV sec. 653

L’uomo è (felice) non già (nel luogo) dove è nato, ma (nel paese) dove trova da mangiare.

Proverbio turco. 654

Non bisogna permettere a un essere vivente di trarre i suoi mezzi di sus-sistenza da un altro essere vivente.

Editto di Ashoka, Pilastro V, III sec. a.C., tradotto dal pracrito, India. 655

In verità, gli dei non hanno ordinato che la fame sia una specie di pena capitale. Chi mangia da solo deve subire da solo le conseguenze del pec-cato.

Rigveda, X, tradotto dal sanscrito. 656

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Bisogni elementari Devi fare attenzione a ciò che è necessario al corpo, specialmente al

vitto, che è la prima condizione della vita. Non esiste persona al mondo che non debba mangiare e bere. Tradizione nahuatl, Messico. 657

Mancanza di sicurezza Chi tenta di conquistarci? Forse la morte è presente qui? Come si ab-

batterà su di noi questa potenza dominatrice? Forse che regnano qui le malattie, la dissenteria, la tosse, la febbre, la tubercolosi?

… … …Perché bisogna che il popolo sparisca e sia disperso? Tradizione nahuatl, Messico. 658

L’affamato non intende ragione, proprio come chi è sazio non conosce preoccupazioni.

Quando il ricco lavora si dice che è attivo; quando non lavora, lo si chiama modesto; quando parla lo si de nisce eloquente; quando non parla è beneducato. Quando il povero lavora lo si chiama incapace; quando non lavora lo si de nisce pigro; quando parla si dice che è un chiacchierone; quando non parla lo si chiama muto.

A colui che taglia la legna, una parte; a chi non fa che parlarne, due parti. Il contadino riposa durante la stagione della neve; il pastore, solo nella tomba.

Proverbi del Turkmenistan. 659

In previsione dei periodi di carestia In ogni provincia principale vi era un gran numero di depositi pieni di

viveri e di altre cose necessarie e utili per l’approvvigionamento degli uo-mini; in tempo di guerra, ovunque essi inviassero le truppe reali, attinge-vano da questi depositi senza toccare quello che possedevano gli alleati, né prelevare alcunché da quanto essi avevano nei loro villaggi; se non erano in guerra, dividevano fra i poveri e le vedove tutti i viveri di cui dispo-nevano. Questi poveri dovevano essere scelti tra coloro che erano troppo vecchi, storpi, zoppi, paralizzati o malati; le persone in buona salute non ricevevano nulla. In seguito, i granai si riempivano di nuovo coi tributi che tutti erano obbligati a dare, e se per caso si veri cava un anno di grande carestia, essi facevano ugualmente aprire i depositi e prestavano alle pro-vince i viveri necessari; poi, l’anno in cui vi era abbondanza, ognuna di esse restituiva l’equivalente esatto di quanto aveva ricevuto.

Pedro Cieza de Léon, cronista spagnolo del Perù. XVI sec. 660

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Pover’uomo.Io sono un uomo vecchio. E cerco di far giustizia a ciascuno. L’ho fatto per molto tempo,Perciò son diventato un pover’uomo.

Canto popolare del Vallese (Svizzera), 1514. 661

CANZONE GAIA DELLA POVERA GENTE Ecco l’inverno, Venite, poveretti. A lungo voi dormiste. Non avete un mantello. In primavera sonnecchiate, E non vi cruccia affatto Che l’inverno porti affanno. Miserabile è il vostro vestire.

Sta per nevicare, Sarete tristi. Senza camicia Né stivaloni. Avete solo un povero mantello. Il vento sof a duro. Non c’è più speranza. Ecco la tempesta. Un’altra segue. E ci af igge.

Fuor de’ nostri cappucci di stracci, Nulla abbiamo per vestirci. Nulla è seminato. I campi sono spogli. II cuore è triste.Dove sono i covoni? Che cosa faremo Se non cantare? Alla grazia di Dio.

Dio onnipotente, Che solo sa bene A chi donare. Non lamentatevi. Egli colma d’oro E di pane bianco Colui che ama,

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E della sua grazia Per supplemento. [...]In questa osteria Nulla da bere Per noi poveretti. Come cantare Se il bicchiere è vuoto E il cuore è grosso? Che cosa faremo Se non cantare? Alla grazia di Dio.

Dateci un po’ di lavoro E potremo bere e mangiare Tutto ciò che costa tanto, Comprar del pane, Ordinar della birra, Che cosa non avremo Lavorando! Ma noi siam poveri.

Arriva il venerdì, Giorno di festini. Misero pranzo l’acqua fredda E una gru in salsa acida! Mangeremo del pesce, L’anguilla del Danubio. Oh, che delizia! Oh, che festino!

All’indomani, Riprendiamo il lavoro. Domenica, no: Niente lavoro e niente fatica. Sediamoci, Noi miserabili. Il vento cuocerà Il pranzo E la cena.

La bianca nebbia, Ci orna la scodella, La notte poi ci porta Tanta carne in sogno. Ognuno mangerà. Ma se i piatti

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Non son buoni, I cuochi Raccoglieranno quel che si meritano!

Canzone popolare ceca, XIV sec. 662

LA CANZONE DI BALADIZ Quest’estate dell’anno 1946: Stavamo trebbiando i grani, a Baladiz. Sulle terre di Demiralay, tra nuvole di polvere, La morte era là: planava, volteggiando nell’aria, come fanno gli uccelli rapaci.

Là c’è la con sca, che rovina i focolari. Arrivano gli uscieri: gli uni per le tasse, gli altri per i processi verbali. Le anime non ne possono più, gli uomini son stanchi di vivere. Se le cose van così, aguzzeremo i ferri. I contadini han proposto un’intesa amichevole, Il padrone non ha voluto intender nulla. Il Signore non ha più pietà, i suoi contadini non hanno più pazienza. Siamo andati a chiamare i gendarmi, hanno tardato molto a venire: La terra sarà nera, così, intrisa del sangue del padrone.

Demiralay era un signore, potente fra tutti.I suoi cammelli vanno e vengono in multiple carovane. Le sue terre s’estendono vaste e piane, da Sparta no a Baladiz. E il ume d’Aksu le ancheggia da un lato.

La ragione non riesce più a capire le cose del destino. Vi son momenti in cui non serve a nulla esser Bey o Pasha. Una pietra arriva a rompere la (superba) testa, E un glio d’uomo non è immortale: crolla per un nonnulla.

Canzone popolare turca. 663

Canzone di pastori raccolta da maestri di scuola in Perù (originale in lingua quechua)

I

Il Recinto ove si conta il bestiame, dimmi se ti manca un montone, se ti manca un porcellino.

Miserabile maggiordomo, miserabile padrona, quando t’ho chiesto la mia paga, m’hai detto: “T’ho comprato gli stivali”,

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ma io son senza scarpe!

A un anno solamente, la damigella dal mantello di lana e il giovane merino coi loro occhi di cristallo, coi loro occhi di perla, vanno a cercar ori.

Volpe, mia piccola volpe, dagli orecchi come spine, mi derubi e io m’indebito! Condor, mio piccolo condor, dove sono i tuoi sandali di cristallo? Miserabile padrone, io, povera pastorella. La neve mi fa da berretto, La nebbia è il mio mantello, l’“anchu” è il mio nutrimento, io bevo succo dalle spine. È tutto lì quel che tu sai donarmi, miserabile padrone? È tutto lì quel che hai da offrirmi, miserabile padrona?

II

Io soffro qui con le tue bestie, calmando la mia fame con il frutto delle spine,della paglia o del chicarhuay; io mi prendo cura delle tue pecore!

Tu non vieni mai e non ti curi di me.Oggi come ieri io guardo la strada;“È lui quel che vedo, mi dico, è lui certamente” – non sei tu.

Solo l’huarahuay (uccello degli altipiani delle Ande) si avvicina. “È lui, è certamente lui”, e non vedo che ombre allungate; al mio anco non v’è che la mia ombra.

Miserabile padrone, soltanto adesso ti ricordi di me, con la tua cancha (granoturco arrostito) bruciata, col tuo pane secco. E il tuo compare, la volpe, mi ruba le tue pecore,

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mentre tutto incappucciato di neve e avviluppato in un poncho di nebbia, io veglio sulle tue bestie, miserabile padrone. 664

Le vittime L’umorismo nero di Jonathan Swift fa apparire “in negativo” la nozione

di “diritto dell’uomo”.È un triste spettacolo, per coloro che passeggiano per questa grande cit-

tà, o viaggiano nella campagna, il vedere le strade piccole e grandi e la soglia delle capanne ingombre di donne che mendicano, ognuna seguita da tre, quattro o sei bambini, tutti vestiti di cenci, che importunano i pas-santi chiedendo l’elemosina. Queste madri di famiglia, invece di potersi guadagnare onestamente la vita lavorando, sono costrette a passare tutto il loro tempo a passeggiare e mendicare qualcosa per sostentare i loro gli. E questi, quando crescono, diventano ladri per mancanza di occupazione, o lasciano la loro benamata patria e vanno a combattere per il Pretendente di Spagna o a vendersi chi sa dove.

Tutti gli interessati sono d’accordo, penso, che questo numero prodi-gioso di bambini tra le braccia, sulla schiena o sui tacchi delle loro madri e spesso per no dei loro padri, aggrava ancora in modo considerevole la situazione attuale del regno; così, chiunque potesse trovare un modo equo, facile e poco costoso per rendere questi bambini utili alla comunità, merite-rebbe, per questo servizio reso al pubblico, che gli venisse eretta una statua come a colui che ha salvato la nazione.

Ma il mio progetto è ben lungi dal limitarsi ai casi dei gli di mendicanti dichiarati: è di portata ben più ampia e vuole abbracciare tutti i bambini di una certa età, i cui genitori sono effettivamente altrettanto poco capaci di provvedere alle necessità della loro progenie quanto coloro che chiedono insistentemente la nostra carità nelle strade.

… … …Ora vi esporrò dunque le mie idee, e spero che esse non solleveranno la

minima obiezione. Un americano molto illuminato, che conosco a Londra, mi ha assicurato

che un bambino di buona costituzione, se è ben nutrito, all’età di un anno fornisce la carne più delicata, più nutriente e più sana che esista, sia che la si arrostisca alla amma o al forno, sia che la si faccia bollire o cuocere a lento fuoco; e non dubito affatto che la possa anche far friggere o mettere in un ragù.

Propongo dunque umilmente al pubblico che, di questi bambini che ab-biamo in precedenza valutato in numero di 120.000, se ne mettano 20.000

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in disparte come riproduttori, e di essi solamente un quarto di maschi (è più di quanto conserviamo in fatto di montoni, torelli o porci, e io ritengo per parte mia che, siccome questi bambini sono raramente frutto di un ma-trimonio, di cui i nostri selvaggi si preoccupano ben poco) sarà suf ciente un maschio per servire quattro femmine. I 100.000 che restano, potrebbero, all’età di un anno, essere venduti in tutto il regno, alle persone facoltose e quali cate. Non si dovrà mancare di consigliare alle madri di permettere che il loro piccolo succhi dal suo seno abbondante latte durante l’ultimo mese, allo scopo di renderlo grasso e tondo, degno di una buona tavola. Un bambino potrà fare dieci porzioni, se si ricevono amici a pranzo; e se non si avranno invitati, un quarto anteriore o posteriore costituirà un piatto conveniente; condito con un po’ di pepe o di sale, sarà un eccellente lesso, il quarto giorno, soprattutto d’inverno.

… … …Dopo tutto, non sono tanto ostinato sul mio progetto da respingere ogni

proposta che degli scienziati formulassero e che si rivelasse egualmente innocente, economica, facile ed ef cace [...]. Vorrei che i politici cui la mia idea dispiace e che avranno forse la pretesa di ri utarla, cominciassero col domandare ai genitori di questi giovani mortali se non considererebbe-ro oggi una grande fortuna l’essere stati venduti come carne all’età di un anno, nel modo da me preconizzato, evitando così l’interminabile serie di disgrazie che hanno subito da quel momento in poi, schiacciati come sono stati dai proprietari terrieri, incapaci di pagare il loro af tto per mancan-za di denaro o di lavoro, per no senza mezzi di sussistenza, senza casa né vestiti per proteggersi dalle intemperie, con l’ineluttabile prospettiva di trasmettere ai loro discendenti, per l’eternità, delle miserie analoghe o maggiori.

Jonathan Swift, Una modesta proposta per impedire che i gli dei poveri in Irlanda siano a carico dei loro genitori e per renderli utili al pubblico, 1729, Irlanda. 665

Non si compiange un disgraziato se non in quanto si crede ch’egli deb-ba essere compianto. Il sentimento sico dei nostri mali è più limitato di quanto sembri; ma a causa della memoria che ce ne fa sentire la continuità, a causa dell’immaginazione che li estende sull’avvenire, essi ci inducono veramente a compiangerli. Ecco, io penso che sia questa una delle cau-se che ci induriscono maggiormente di fronte ai mali degli animali, e a quelli degli uomini, benché la sensibilità comune dovrebbe identi carsi ugualmente con essi. Non si compiange affatto un cavallo da carrettiere nella sua scuderia, perché non si ritiene che, mangiando il suo eno,

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pensi ai colpi che ha ricevuti e alle fatiche che lo aspettano. E neppu-re si compiange un montone che si vede pascolare, benché si sappia che sarà ben presto sgozzato, perché si ritiene che esso non preveda la propria sorte. Per esteso, ci si indurisce così sulla sorte degli uomini; e i ricchi si consolano del male che fanno ai poveri, supponendoli abba-stanza stupidi da non sentire nulla. In generale, io giudico il prezzo che ciascuno assegna alla felicità dei suoi simili, secondo che egli sembra preoccuparsi di loro. È naturale che si valutino poco le persone che si disprezzano: non stupisce quindi più se i politici parlano del popolo con tanto disdegno, e neppure se la maggior parte dei loso affetta di ritenere l’uomo così cattivo.

È il popolo che compone il genere umano; chi non è popolo è una cosa così piccola che non val la pena di contarlo. L’uomo è lo stesso in tutti gli stati: se è così, gli stati più numerosi meritano il massimo rispetto. Dinanzi a colui che pensa, tutte le distinzioni della civiltà spa-riscono: egli vede le stesse passioni, gli stessi sentimenti nel servo e nell’uomo illustre; essi si distinguono solo per il loro linguaggio, un co-lore più o meno intenso; e se qualche differenza essenziale li distingue, essa è a scapito dei ni più nascosti. Il popolo si mostra come è, e non è gentile: ma bisogna pure che le persone del mondo si mascherino: se si facessero vedere come sono, farebbero orrore.

In tutti gli stati vi è, dicono ancora i nostri saggi, la stessa dose di felicità e di dolore. Massima tanto funesta quanto insostenibile: perché se tutti sono ugualmente felici, che bisogno ho di scomodarmi per chic-chessia? Che ciascuno resti come è: che lo schiavo sia maltrattato, che l’infermo soffra, che lo straccione perisca; non vi è nulla da guadagnare per loro a cambiar condizione. Essi enumerano le pene dei ricchi e mo-strano l’inanità dei piaceri vani: che so sma grossolano! Le pene del ricco non gli derivano affatto dal suo stato, ma solo da lui stesso, che ne abusa. Foss’anche più sfortunato dello stesso povero, non è affatto da compiangere, perché i suoi mali sono tutti opera sua, e non dipende che da lui di essere felice. Ma la pena del miserabile gli proviene dalle cose, dalla durezza della sorte che si accanisce contro di lui. Nessuna abitu-dine gli può togliere la sensazione sica della fatica, dello s nimento, della fame: né l’umorismo, né la saggezza servono a nulla per toglierlo dai guai del suo stato. Che cosa guadagna Epitteto nel prevedere che il suo padrone gli romperà la gamba? Forse che per questo gliela rom-perà meno? Egli ha, oltre alla sua sfortuna, il male della preveggenza. Quand’anche il popolo fosse tanto sensato quanto noi lo supponiamo stupido, che cosa potrebbe fare di diverso da ciò che fa? Studiate le

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persone di questo genere, e vedrete che, con un altro linguaggio, essi hanno altrettanto spirito e maggior buon senso di voi. Rispettate quindi la vostra specie; pensate che essa è composta essenzialmente dalla col-lezione dei popoli; che, se ne fossero tolti i re e tutti i loso , nessuno se ne accorgerebbe, e le cose non andrebbero peggio. In una parola, insegnate al vostro alunno ad amare tutti gli uomini, ed anche quelli che li disprezzano; fate in modo che egli non si ssi a voler stare in una determinata classe, ma che si trovi bene in tutte; parlate davanti a lui del genere umano con tenerezza, per no con pietà, ma mai con disprezzo. Uomo non disonorare per nulla l’uomo.

Jean-Jacques Rousseau, Emilio, 1762. 666

IL SOGNO DI PONGO (domestico indiano) Un ometto si mise in cammino verso la casa del padrone. Poiché era

servo, andava ad iniziare il suo turno di corvée e a servire nella grande residenza (padronale). Era piccolo, sparuto, miserabile; i suoi abiti era-no vecchi. Il grande signore, proprietario della hacienda, si mise a ridere quando l’ometto lo salutò nella veranda della hacienda.

“Sei un essere umano o qualcos’altro?”, gli domandò davanti a tutti i servitori presenti, uomini e donne. Pieno di umiltà, l’indiano non rispose. Terrorizzato, con lo sguardo sso, se ne stava lì in piedi.

“Vediamo, – disse il padrone – saprai almeno lavare i piatti. E anche arriverai bene a tenere una scopa con quelle manine trasparenti. Conduci via quest’aborto”, ordinò al suo intendente.

Inginocchiandosi, l’indiano baciò le mani del padrone e, tutto curvo, seguì l’intendente in cucina.

Nonostante la sua piccolezza, l’ometto era forte come un uomo normale. Tutto quello che gli veniva ordinato di fare lo faceva bene. Ma si leggeva sul suo viso una specie di spavento e il suo aspetto faceva ridere alcuni dei servi e ne impietosiva altri. “Orfano di orfani”, aveva detto nel vederlo la cuoca meticcia, “ glio del vento lunare, deve essere il freddo dei suoi oc-chi; il suo cuore, pura tristezza”.

L’ometto non parlava con nessuno; taceva lavorando e mangiava in si-lenzio. Tutto quel che gli veniva comandato, lo faceva. “Sì, papacito, sì mamacita” e non diceva altro.

Forse a causa della sua aria spaventata, o dei suoi abiti stracciati, forse anche perché non parlava volentieri, l’ometto era particolarmente disprez-zato dal padrone. La sera, quando i servi erario riuniti nella veranda per recitare l’Ave Maria, il padrone lo martirizzava davanti a tutta la servitù e lo scrollava come uno straccio.

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Gli premeva il cranio e l’obbligava ad inginocchiarsi; poi, gli schiaf-feggiava le guance. “Mi sembri un cane. Su abbaia!”, gli diceva. Ma l’ometto non poteva abbaiare. “Mettiti a quattro zampe”, gli ordinava allora. L’indiano obbediva e camminava un po’ a quattro zampe. “Trot-ta di anco, come un cane”, comandava il padrone. L’ometto sapeva correre come corrono i cagnolini degli altipiani delle Ande. Il padrone rideva di cuore; tremava a forza di ridere. “Ritorna!”, gridava al suo servo quando costui aveva trottato no alla ne della lunga veranda. L’indiano faceva un mezzo giro e continuava a correre di anco. Alla ne, era stanco. Alcuni tra gli altri servitori recitavano durante quel

tempo l’Ave Maria; pregavano lentamente, come se il vento sof asse nei loro cuori.

“Ora drizza le orecchie”, comandava il padrone all’ometto già stan-co. “Sei una viscaccia (piccolo roditore dell’Argentina). Fa’ il bello. Metti le mani giunte”.

Come se, nel ventre di sua madre, egli fosse stato segnato dall’in us-so di una viscaccia, l’indiano imitava esattamente l’atteggiamento che assumono questi piccoli animali quando restano immobili sulle rocce, come in preghiera. Ma non era capace di drizzare le orecchie. Alcuni domestici si mettevano a ridere.

Con un leggero colpo di stivale, il padrone faceva allora cadere l’o-metto sull’ammattonato della veranda. “Recitiamo il Padre Nostro”, di-ceva il padrone ai suoi Indiani che attendevano ordini in la.

L’ometto si rialzava con fatica, e non poteva pregare perché non era al suo posto, e là ove si trovava, non avrebbe dovuto esserci nessuno.

Al cadere della notte, i servitori scendevano dalla veranda nel patio e si dirigevano verso i loro dormitori. “Vattene, nanerottolo”, diceva allora il padrone all’ometto. E così, ogni giorno, il padrone obbligava il suo nuovo domestico a umiliarsi di fronte a tutti gli altri; lo obbligava a far nta di ridere o di piangere; lo abbandonava alle canzonature dei suoi eguali, gli Indiani addetti all’hacienda.

Ma... una sera, all’ora dell’Ave Maria, mentre tutti erano riuniti nella veranda, e il padrone cominciava a gettare nere occhiate all’ometto, costui si mise a parlare ben chiaramente. La sua espressione appariva un po’ timorosa.

– Grande signore, padre mio e padron mio, perdonami, ma vorrei parlarti – disse. Il padrone non credeva alle sue orecchie.

– Che? Sei tu che parli o è un altro? – domandò. – Permettimi, padrone, di parlarti. È proprio a te che voglio parlare,

– riprese l’indiano.

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322 Il diritto di essere un uomo

– Parla dunque... se puoi – replicò il padrone. – Padre mio, mio signore, cuor mio, – cominciò l’ometto – ho sognato

stanotte che eravamo morti tutti e due; insieme, eravamo morti. – Con me? Tu? Racconta tutto, indiano, – disse il padrone. – Ebbene! Che cosa dici? – interrogò ancora. – Siccome eravamo morti, eravamo nudi tutti e due insieme; nudi dinan-

zi al nostro grande patrono San Francesco. – E poi? Parla! – ordinò il padrone, mezzo seccato e mezzo curioso. – Vedendoci nudi, insieme, il nostro grande patrono San Francesco ci

esaminò coi suoi occhi che vedono e misurano no a non si sa quale distan-za. Te e me egli esaminava, pesando, io credo, il cuore di ciascheduno, e che cosa eravamo e che cosa siamo. Tu, affrontavi quello sguardo da uomo ricco e potente.

– E tu? – Non posso sapere com’ero, venerato signore. Io non posso sapere

quanto valgo. – Bene. Continua. – Allora, in seguito, il nostro grande patrono San Francesco ha parlato

e ha detto: “Tra tutti gli angeli, il più bello, venga qui. E che quest’angelo incomparabile sia accompagnato da un altro angelo, un piccolino, che sia anch’egli il più bello. E che il piccolo porti una coppa d’oro piena del miele più trasparente”.

– Allora? – interrogò il padrone. I servitori indiani ascoltavano; ascoltavano l’ometto con tutta l’atten-

zione, ma erano inquieti. – Padrone, appena il nostro grande patrono San Francesco ebbe dato quest’ordine, apparve un angelo, brillante come il sole. S’avvicinò al nostro grande patrono, camminando lentamente. Dietro a lui veniva un altro angelo, uno piccolo, bello, che emanava una dolce luce, come quella che emanano i ori: egli teneva fra le mani una coppa d’oro.

– E allora? – domandò ancora una volta il padrone. “Grande angelo – ordinò San Francesco – ricopri questo gentiluomo col miele che sta nella coppa d’oro, che le tue mani divengano leggere come piume passando sul suo corpo”. Allora l’angelo più alto, prendendo il miele nelle sue mani, ne ha ricoperto tutto il tuo corpo, dalla testa ai piedi; e tu ti sei drizzato, tutto solo; contro lo splendore del cielo, il tuo corpo, raggiante di luce, spiccava come se tu fossi stato d’oro, trasparente.

– È così che dovrebbe essere – disse il padrone, poi aggiunse: – E tu? – Mentre tu brillavi nel cielo, il nostro grande patrono San Francesco

ordinò: “Venga ora il più sfortunato tra tutti gli angeli del cielo, il più

A

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Diritti sociali 323

comune. E quest’angelo porti un bidone da benzina pieno di escrementi umani”.

– E allora? – Allora si presentò dinanzi al nostro santo patrono un vecchio angelo

decrepito, dai piedi pieni di calli, che non aveva neppure la forza di te-nere a posto le ali: arrivò stanco con le ali penzoloni, e un grosso bidone tra le mani: “Andiamo, vecchio – ordinò il nostro santo patrono a quel disgraziato – insudicia il corpo di questo ometto con gli escrementi che hai nel tuo bidone; coprilo tutto, non importa come, come potrai. Alla svelta”. Allora, con le sue mani nodose, il vecchio angelo, prendendo gli escrementi dal bidone, me ne impiastricciò tutto il corpo, come si impia-stra di argilla il muro di una casa; e io apparvi, vergognoso e puzzolente, nella luce del cielo...

– Esattamente come dovrebbe accadere – affermò il padrone. – Conti-nua. Oppure la tua storia nisce qui?

– No, padre mio, no, mio padrone. Quando, in questa nuova situazione, noi ci ritrovammo entrambi dinanzi al nostro grande San Francesco, egli ricominciò a esaminarci a lungo, tanto te quanto me. Coi suoi occhi che riempivano il cielo, non so no a quale profondità, egli ci sondò unendo la notte al giorno e l’oblio alla memoria. Poi disse: “Gli angeli hanno fatto tutto ciò che dovevano fare. E ora, leccatevi l’un l’altro! Lentamente, a lun-go!” Il vecchio angelo ringiovanì nello stesso momento; le sue ali ripresero il loro colore nero e tutto il loro vigore. Il nostro santo patrono gli ordinò di vegliare af nché si adempisse la sua volontà.

Racconto popolare della provincia di Cuzco, tradotto dal quechua, Perù. 667

LAMENTO DEL MINATORE Scalino dopo scalino, no a uno “stop”

dove rumore e polvere a poco a poco mi uccidono.

Piccola lampada a carburo,Testimone del mio destinoTu sola conosciLa vita che conduco.

Polvere na di piomboChe a poco a poco mi uccidiEd anche il solfatoChe distrugge la mia camicia:

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324 Il diritto di essere un uomo

Triste sorte la miaD’esser nato minatore!E molto meglio, è preferibile Essere un povero contadino.

FUGA

Ricordi, tu, glia del Cerro,Il nostro paese tanto amato?Prima, tutto era verdeggiante;Oggi, I neri buchi delle gallerie.

Due mulizas della regione delle Ande, cantata in spagnolo, Perù. 668

Lamento della gente del “Cerro de Pasco”Ahimè! Ingresso della miniera di Lourdes,Quante vite tu tieni celate,Quanti cuori donati alle tue rovine!Yanacancha (piccolo villaggio) tutto in rovinaPer le detonazioni di Tacna-Arica (nome di una miniera)E tutti, al suono del mambo,Se ne vanno al cimitero.Perù. 669

SULLA MISERIA

Le notti in cui la pioggia scrosciaSotto le raf che del vento,Le notti in cui i occhi di neveSi mescolano alla pioggia glaciale,Ho disperatamente freddo.Mordicchio un pezzetto di sale,Inghiotto le ultime sorsate di saké, Che bruciano, pur spesso diluite;Tossendo, ansimandoE lisciandomi con la mano la barba grigia,Mi dico, pieno d’orgoglio:“Null’altri che me è degno di stima!” Ma tremo ancora dal freddo. Mi tiro su le coperte di canapa, In lo i miei pochi abiti senza maniche; Ma com’è aspra e gelata la notte! Quanto a quelli più poveri di me, Devono avere genitori gelati e affamati, E mogli e gli che piangono e gemono. Sì, come si riesce a vivere?

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Diritti sociali 325

Si pretende che il cielo e la terra siano vasti, Ma per me son divenuti così esigui! Si pretende che il sole e la luna risplendano, Ma non brillano mai per me. Accade lo stesso per tutti, Oppure avviene per me solo? Per miracolo sono nato uomo, E non più miserabile d’un altro; Ma porto vestiti senza maniche e senza imbottitura, Dei brandelli simili a alghe ondeggianti nel mare. Che ballano sulle mie spalle, E rannicchiato sotto il tetto, Tra muri pericolanti, Io giaccio sulla paglia Sparsa sul nudo terreno, I miei genitori alla testa, La moglie e i gli ai miei piedi, Tutti ammassati gli uni sugli altri Tra il dolore e le lacrime. Nessun fuoco fuma nel focolare, E nel paiolo Un ragno tesse la sua tela. Senza un grano da cuocere, Noi gemiamo come il tordo notturno. Poi, in soprappiù, Ecco venire il capo del villaggio, Che ci trae dal nostro sonno, col bastone in mano, E reclama il suo credito, brontolando. La vita in questo basso mondo Deve dunque essere così vuota di speranza?

Questo mondo degli uomini apporta solo dolore e onta; Ma io non posso fuggirmene lontano: Mi mancano delle ali d’uccello.

Yamanue Okura (660-733), Giappone. 670

Condizione contadina I kulaki si dividono la terra, secondo il numero delle bocche. La buona terra sarà dunque per loro, quella cattiva andrà ai poveracci.

Dov’è quel manifesto mandato dallo zar

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326 Il diritto di essere un uomo

che dava la terra al popolo, le fabbriche agli operai?

I signori hanno fortuna, gratis posseggono la terra, il contadino il suo lembo di terra lo trova al cimitero.

astuški, poesia popolare russa, 671

Il silenzio delle vittime Noi non vediamo e non udiamo quelli che soffrono e tutto ciò che è spa-

ventoso nella vita si svolge da qualche parte, nei corridoi. Tutto è calmo, paci co, e solo le mute statistiche protestano: tanti uomini diventati pazzi, tanti secchi di vodka bevuti, tanti bambini morti di fame... E quest’ordine di cose è apparentemente necessario; apparentemente l’uomo fortunato si sente bene solo perché i disgraziati portano il loro fardello in silenzio; senza questo silenzio, la felicità sarebbe impossibile. È una forma di ipnosi generale.

Bisognerebbe che, dietro la porta di ogni uomo soddisfatto e felice, stes-se qualcuno armato di un piccolo martello, i cui colpi gli ricorderebbero continuamente che gli infelici esistono e che, per felice che sia, la vita gli mostrerà presto o tardi i suoi artigli, la sfortuna si abbatterà su di lui, co-noscerà la malattia, la povertà, il lutto, e nessuno lo vedrà, nessuno l’udrà, proprio come ora egli non vede e non ode nessuno.

Anton echov, Uva spina, 1898. 672

Parlare per coloro che non parlano Nella religione, le cinque cose migliori sono la felicità, la generosità, la

virtù, la diligenza e l’intercessione.Il più fedele è colui che fa alle creature di Ohrmazd ciò che è più van-

taggioso per loro. Il più generoso è colui che fa un regalo a qualcuno dal quale non si

aspetta nulla in cambio in questo mondo: neppure la sua gratitudine o il suo favore.

Il più virtuoso è colui che lotta contro i domini spirituali, qualunque siano, e che, in modo particolare, rimane chiuso a cinque demoni: la cupi-digia, l’invidia, la lussuria, la collera e l’infamia.

Il più diligente è colui che esegue ciò che ha intrapreso, per modo che ha sempre l’intima certezza che, anche se dovesse morire all’istante, non avrebbe bisogno di cambiare nulla a ciò che sta facendo.

Il migliore intercessore è colui che parla in nome di una persona inca-pace di parlare e di esprimere le sue lagnanze personali. Egli non parla

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Diritti sociali 327

che in nome della sua anima, dei poveri e degli af itti e dei sei elementi terrestri.

Dênkart, IX sec., Persia. 673

Sciopero, programmi, leggi sociali

Uno sciopero tra gli operai di una necropoli dell’antico Egitto Anno 29. II mese della stagione Péret, giorno 10. Quel giorno, supe-

rando la cinta della Necropoli, gli operai della squadra dissero: “Abbiamo fame, sono già trascorsi diciotto giorni di questo mese”. E si sedettero die-tro il tempio di Menkhepere. Passarono di là lo scriba della Tomba segre-ta(?), i due capi degli operai, i due delegati e i due funzionari di polizia: li apostrofarono dicendo: “Rientrate!”. Ma essi, tra vive imprecazioni, disse-ro: “Venite qui! Noi abbiamo una questione con il Faraone”. Trascorsero il giorno in quel luogo e la notte nella Necropoli.

Lo scriba della stuoia Hednakht e i padri divini di quel tempio vennero a sentire che cosa avevano da dire. Essi dissero: “Siamo venuti qui perché abbiamo fame e sete. Non abbiamo né vestiti, né unguenti, né pesci, né verdure. Avvertite di questo il Faraone, nostro buon signore, e informate il visir nostro padrone, af nché la nostra sussistenza sia assicurata.” Le razioni del mese precedente furono loro consegnate quello stesso giorno.

Documento degli archivi della XX dinastia, II millennio a.C. 674

Diritti del povero Quando entrerai nella vigna del tuo prossimo, potrai mangiare uva se-

condo il tuo appetito a sazietà [...]. Quando entrerai tra il frumento del tuo prossimo, potrai cogliere spighe con la tua mano.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 23. 675

Non cooperazione Tutti gli uomini hanno ugualmente diritto alle necessità della vita, come

lo hanno gli uccelli e gli animali. E poiché ogni diritto si compone al tempo stesso di un dovere e di un mezzo per resistere agli attacchi diretti contro questo diritto, basta trovare quali sono i doveri che ci incombono e i mezzi di cui disponiamo per assicurare l’elementare uguaglianza fondamentale. Il nostro dovere è di lavorare con le nostre mani e il mezzo che abbiamo per resistere a colui che ci priva del frutto della nostra fatica è quello di non cooperare con lui. E se io riconosco, com’è mio dovere, l’uguaglianza fon-damentale del capitalista e del lavoratore, non devo cercare di distruggere

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328 Il diritto di essere un uomo

il capitalista, devo cercare di convertirlo. Il mio ri uto di cooperare con lui lo illuminerà sul male che compie.

Mahâtma Gandhi (1868-1948). 676

Se tuttavia, nonostante il massimo sforzo, i ricchi non diventano, nella vera accezione del termine, i protettori dei poveri, e che cosa bisogna fare se questi ultimi sono sempre più oppressi e muoiono di fame? Sfor-zandomi di risolvere quest’enigma, ho trovato nella non-cooperazione non violenta e nella disobbedienza civile il mezzo giusto e infallibile per giungervi. I ricchi non possono arricchirsi senza il concorso dei poveri. Se quest’idea penetrasse in mezzo ai poveri e si diffondesse fra loro, essi diventerebbero forti e imparerebbero a liberarsi, servendosi della non-violenza, delle disuguaglianze schiaccianti che li hanno condotti alle so-glie della carestia.

Mahâtma Gandhi (1848-1948). 677

Giustizia sociale a mezzo della legge Poiché la legge è fedele testimonianza di Dio, quando ha lo scopo di

aiutare e di difendere i semplici e la gente povera. Statuti rurali. Comunità degli uomini, Castel del Piano, 1571. Ita-

lia. 678

Le origini della repubblica a Roma: misure politiche prese in favore del popolo di Publicola dopo la caduta dei Tarquini.

Egli permise, a chi lo voleva, di aspirare al consolato e di darsi da fare per ottenere questa carica; ma prima di procurarsi un collega, siccome non sapeva che cosa sarebbe accaduto e temeva che gli avrebbero fatto opposizione per gelosia o per ignoranza, appro ttò del fatto d’essere solo al potere per prendere le più belle e più importanti misure politiche. Co-minciò col completare il senato, che era stato ridotto a un piccolo nume-ro, innanzi tutto dalle crudeltà di Tarquinio, e poi dalla battaglia appena scatenata. Si dice che iscrivesse in tal modo 164 nuovi senatori. In segui-to, promulgò diverse leggi, di cui una, in particolare, aumentò di molto il potere popolare: è quella che dava a un accusato il diritto di appellarsi al popolo contro i consoli. Un’altra legge comminava la pena di morte contro coloro che si fossero impadroniti di una carica senza esservi chia-mati dal popolo. Egli ne fece una terza che fu un conforto per i poveri, liberando i plebei dal pagamento di ogni imposta, il che li rese tutti più disposti a esercitare i mestieri.

Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Publicola. 679

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Diritti sociali 329

Giustizia e violenza, rivoluzione

G. Babeuf (1760-1797) commenta in una lettera a sua moglie i massacri che seguirono la presa della Bastiglia (luglio 1789) e l’esplosione di gioia popolare che li accompagnò.

“Oh, come quella gioia mi faceva male! Ero al tempo stesso soddisfatto e scontento; dicevo: tanto meglio e tanto peggio”. Capisco che il popolo si faccia giustizia, approvo questa giustizia quand’è soddisfatta dall’annien-tamento dei colpevoli, ma potrebbe essa oggigiorno non essere crudele? [...]. I padroni [...] raccolgono e raccoglieranno ciò che hanno seminato.

Francia. 680

Saint-Just (1767-1794), Istituzioni repubblicane:Bisogna che non ci siano né ricchi né poveri [...]. L’opulenza è un’infa-

mia [...]. Bisogna distruggere la mendicità distribuendo i beni nazionali ai poveri [...]. Bisogna che tutti lavorino e si rispettino.

Francia. 681

Analisi (di S. Maréchal, 1750-1803) della “Dottrina di Babeuf (1760-1797), proscritto dall’esecutivo del Direttivo del Direttorio per aver detto la verità”:

1. La natura ha dato a ciascun uomo un diritto uguale al godimento di tutti i beni.

2. Lo scopo della società è (quello) di difendere questa uguaglianza spesso combattuta da chi è forte e da chi è cattivo allo stato di natura, e di aumentare, col concorso di tutti, le gioie comuni.

3. La natura ha imposto a tutti l’obbligo di lavorare. Nessuno mai ha potuto sottrarsi al lavoro senza commettere un crimine.

4. I lavori e i godimenti devono essere comuni a tutti.5. Vi è oppressione quando l’uno si s nisce per il lavoro e manca di

tutto, mentre l’altro nuota nell’abbondanza senza far nulla. 6. Nessuno ha mai potuto, senza delitto, impadronirsi dei beni della terra

o dell’industria.7. In una vera società non debbono esservi né ricchi né poveri.8. I ricchi che non vogliono rinunciare al super uo in favore degli indi-

genti sono i nemici del popolo.9. Nessuno può, accumulandone tutti i mezzi, privare un altro dell’istru-

zione necessaria alla sua fortuna; l’istruzione deve essere comune.10. Lo scopo della Rivoluzione è quello di distruggere l’ineguaglianza e

di ristabilire la felicità di tutti.

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330 Il diritto di essere un uomo

11. La Rivoluzione non è nita perché i ricchi assorbono tutti i beni e comandano in modo esclusivo, mentre i poveri lavorano come veri schiavi, languono nella miseria, e non contano nulla nello Stato.

Francia. 682

S. de Sismondi (gennaio 1835):Ai tempi della massima oppressione feudale, ai tempi della schiavitù, si

sono visti senza dubbio da parte dei padroni degli atti di ferocia che fanno fremere l’umanità; ma almeno qualche motivo aveva eccitato la loro col-lera e la loro crudeltà; e qualche speranza restava all’oppresso di evitare di provocare il suo oppressore [...]. Nella fredda e astratta oppressione della ricchezza non vi è affatto ingiuria, non vi è collera, nessun ministro cono-sciuto, e nessun rapporto da uomo a uomo.

Francia. 683

A. Blanqui, Processo dei quindici, 12 gennaio 1832 Sono accusato di aver detto a trenta milioni di francesi, proletari come

me, che essi avevano il diritto di vivere. Francia. 684

Al contrario, L. de Bonald (1754-1840):Nella società non vi sono diritti, vi sono solo doveri. I diritti dell’uomo

[...] sono segnali di desolazione e di morte, come i colpi di cannone che partono a lunghi intervalli da una nave che sta affondando.

Bonald ha richiesto una “Dichiarazione dei diritti di Dio”Francia. 685

Dupont de Nemours, Quaderni del Balivato di Nemours Articolo I: Ognuno ha diritto di fare liberamente quello che non nuoce

agli altri. Articolo II: Ognuno ha diritto all’aiuto degli altri. Articolo III: Tutti gli uomini hanno diritto di esigere la reciprocità da chi

reclama il loro aiuto se si trova nello stato di potere, di forza e di salute, ed essi sono allora giudici delle condizioni di tale reciprocità.

Articolo IV: Chiunque si trovi in stato di infanzia, impotenza, caducità, infermità, ha diritto ad aiuti gratuiti da parte degli altri uomini, poiché non vi è uno di costoro che non debba pagare, sotto questo aspetto, un debito che dura quanto la sua vita, poiché non esiste nessuno che non debba la vita a una quantità di soccorsi gratuiti che ha ricevuto almeno durante la sua infanzia.

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Diritti sociali 331

Articolo V: Nessuno dev’essere in alcun modo interrotto o disturbato nel suo lavoro da nessun altro uomo, né da nessuna autorità.

Articolo VI: Nessuna autorità può obbligare un uomo a lavorare senza compenso, né per un compenso che gli sembrasse insuf ciente.

Articolo VII: Ognuno deve conservare ciò che possiede e che ha legitti-mamente acquisito col suo lavoro, mediante donazione o per eredità.

Articolo VIII: Ognuno è padrone di stipulare i contratti che ritiene con-venienti e ogni contratto libero è obbligatorio per le due parti se non è contrario ai buoni costumi [...].

Articolo IX: Nessuno deve essere sottoposto ad alcuna violenza, né nel corpo né nei beni.

Francia. 686

Al contrario, Boissy d’Anglas (1795) Se date senza riserva i diritti politici a uomini che non posseggono pro-

prietà e se essi si troveranno sul banco dei legislatori, ecciteranno o permet-teranno di esercitare gli eccitamenti senza temerne le conseguenze.

Francia. 687

Louis Blanc, Catechismo dei socialisti, 1849 Il socialismo ha lo scopo di realizzare tra gli uomini le quattro massime

fondamentali del Vangelo: 1. Amatevi gli uni gli altri. 2. Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. 3. Il primo tra voi deve essere il servo di tutti gli altri. 4. Pace agli uomini di buona volontà. Francia. 688

A. Blanqui a Maillard, 6 giugno 1852: Che cosa deve essere la rivolu-zione?

L’annientamento dell’ordine attuale, fondato sull’uguaglianza e lo sfrut-tamento, la rovina degli oppressori, la liberazione dal giogo dei ricchi.

Sono stati dei borghesi ad innalzare per primi la bandiera del proletaria-to, a formulare le dottrine egualitarie, a diffonderle.

Francia. 689

Enunciazione del programma dei democratici cechi (1848) Noi saremo apertamente ostili a ogni privilegio, qualunque sia. Saremo

a anco del povero contro il ricco, impediremo a quest’ultimo di arricchirsi a prezzo delle sofferenze dei milioni di uomini che conducono ancora in

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332 Il diritto di essere un uomo

questo mondo una vita da bestie. Noi esalteremo il diritto al lavoro, perché la libertà non deve essere derisione della miseria, ma deve, al contrario, diventare la salvezza del miserabile.

Contribuiremo a diffondere l’istruzione tra le classi popolari. Ma non abbiamo l’ingenuità di credere che l’insegnamento basti a rendere felice il popolo; noi vogliamo che esso possa esercitare il diritto imprescindibile che ha di vivere. E se voi proclamate che la povertà è un male necessario, vi grideremo in faccia, egoisti che siete: non è vero! Esistono dei mezzi sia per sopprimerla, sia almeno per attenuarla considerevolmente.

Proclama ceco. 690

I nostri princìpi Per la riforma della Patria!Brasov, 12/24 maggio 1848 1. Soppressione di ogni servizio gratuito e di ogni altra prestazione di

lavoro dovuta dai contadini ai loro padroni. 2. Soppressione di ogni servizio gratuito a vantaggio del principe, delle

prestazioni di lavoro per la costruzione delle strade, e di ogni prestazione non retribuita a vantaggio del potere.

3. Concessione ai contadini del diritto alla proprietà terriera, senza alcu-na contropartita.

4. Abolizione di tutti i privilegi, e, di conseguenza, suddivisione equa delle cariche dello Stato tra tutto il popolo; accesso equo del popolo a tutti i diritti politici e civili.

5. Riconoscimento dei princìpi di libertà, di eguaglianza e di fraternità, in tutto il loro signi cato, come fondamento delle istituzioni del paese.

6. Unione della Moldavia e della Valacchia in un solo Stato rumeno indipendente.

Programma rivoluzionario del 1848 in Moldavia, redatto da Costache Negri e Aleco Russo. 691

LA DOTTRINA SOCIALE DELLE CHIESE

Dichiarazione adottata dalla conferenza generale della chiesa episco-pale metodista

La Chiesa episcopale metodista è favorevole a quanto segue: L’uguaglianza dei diritti e la pienezza della giustizia per tutti gli uomini,

qualunque sia la loro condizione sociale. Il principio della conciliazione e dell’arbitrato nei con itti del lavoro. La protezione dei lavoratori contro le macchine pericolose, le malattie

professionali, le ferite e la mortalità.

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Diritti sociali 333

L’abolizione del lavoro dei bambini. Una regolamentazione delle condizioni di lavoro delle donne che per-

metta di salvaguardare la salute sica e morale della comunità. La soppressione dello sfruttamento dei lavoratori. La riduzione progressiva e ragionevole delle ore di lavoro no al livello

più basso che le condizioni pratiche rendano possibile, con lavoro per tutti. La quantità di svago per tutti senza il quale la vita umana non può raggiun-gere la sua pienezza.

Un giorno di vacanza su sette. Il salario vitale in tutte le industrie. Il salario più alto che ogni industria possa accordare, e una suddivisione

dei prodotti dell’industria più equa possibile. Il riconoscimento della Regola d’Oro e l’accettazione dello spirito di

Cristo come legge suprema della società e rimedio sicuro contro tutti i mali d’ordine sociale.

Stati Uniti d’America, Maggio 1908. 692

Giustizia sociale PRIMO DISCORSO INAUGURALE DI WILSON, DOPO LA SUA ELEZIONE ALLA PRESI-

DENZA DEGLI STATI UNITI (4 MARZO 1913) Alcune cose antiche che ci erano divenute familiari e avevano comincia-

to a penetrare nelle abitudini del nostro pensiero e della nostra vita hanno cambiato aspetto quando le abbiamo recentemente considerate con occhio critico, più vivace e più aperto; esse hanno gettato la maschera e si sono rivelate estranee e funeste. Alcune cose nuove, quando le guardiamo fran-camente in faccia, pronti a capirne la vera natura, sono giunte a rivestire l’apparenza di idee alle quali si crede da lungo tempo e che ci sono familia-ri, la sostanza stessa delle nostre convinzioni (personali). Noi ci sentiamo rinnovati da una percezione nuova della nostra vita.

… … …Ma col bene è venuto il male, e molto oro no è stato corroso. Con la

ricchezza è venuto uno sciupìo imperdonabile. Abbiamo dilapidato una gran parte di quanto avremmo potuto utilizzare e non ci siamo presi la briga di assicurare la conservazione dei bene ci sovrabbondanti della na-tura senza i quali il nostro spirito d’intraprendenza sarebbe stato impo-tente e senza valore. Disprezzando la prudenza, vergognosamente prodi-ghi allo stesso tempo che ammirevolmente ef cienti, ci siamo inorgogliti delle nostre realizzazioni industriali, ma non ci siamo presi la pena, no ad ora, di considerare abbastanza da vicino quanto è costato sul piano umano [...].

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334 Il diritto di essere un uomo

E neppure abbiamo studiato e perfezionato i mezzi coi quali un go-verno può essere posto al servizio dell’umanità, salvaguardando la sa-lute della nazione, la salute dei suoi uomini e dei suoi bambini, proprio come i loro diritti nella lotta per la vita. E questo non è un dovere sentimentale. Per essere solido, un governo deve appoggiarsi sulla giu-stizia, e non sulla pietà. E si tratta proprio di giustizia. Non può esservi uguaglianza né possibilità di miglioramento – elementi essenziali della giustizia nel corpo politico – se gli uomini e le donne e i bambini non sono protetti nella loro vita, nella loro stessa vitalità, dalle conseguenze di questi grandi processi industriali e sociali ch’essi non possono né dominare né piegare, e ai quali essi non possono far fronte con i loro propri mezzi. La società deve far attenzione a non schiacciare, indeboli-re o danneggiare essa stessa i suoi elementi costituenti. Il primo dovere della legge è di preservare l’integrità della società che essa serve. Le leggi sulla salubrità pubblica, quelle che prescrivono la purezza degli alimenti e quelle che determinano le condizioni di lavoro che i privati non sono capaci di ssare da se stessi, fanno parte integrante della giu-stizia e dell’ef cacia giuridica. 693

Riforma agraria Si devono anche far sparire tutte le grandi proprietà che hanno più di

due leghe di terra coltivabile perché l’agricoltura può svilupparsi solo se numerose persone si adoperano separatamente a far frutti care una pic-cola porzione che possono mandare avanti con il loro lavoro solamente; questo non è possibile quando un proprietario solo possiede un’immensa terra incolta, tenendo alle sue dipendenze migliaia di uomini, manovali a giornata o schiavi, che fa lavorare per forza, quando essi potrebbero farlo come proprietari di un piccolo terreno, liberamente, a vantaggio proprio e a quello del popolo.

José Maria Morelos (1765-1815), Messico. 694

Limitazione del diritto di proprietà Noi siamo individualisti, nel senso che poniamo il diritto umano al di

sopra di ogni atto dello Stato e non perché crediamo che tutto ciò che si chiama diritto individuale sia assoluto; al contrario noi pensiamo che, siccome la società non è una nzione ma un organismo reale, sottoposto a leggi più complesse che non l’individuo, la sua azione può, in casi ben determinati, servire come limite a certi diritti umani, per esempio a quello della proprietà; noi crediamo che si possa, sulla base di una maggiore giustizia, regolare parzialmente il problema sociale per mezzo di una le-

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Diritti sociali 335

gislazione che tenda in modo fermo e prudente allo spezzettamento della proprietà fondiaria.

Justo Sierra, XIX sec., Messico. 695

Riforma dello statuto dei funzionari da parte della “Comune” Particolarmente notevole, a questo riguardo, è una delle misure prese

dalla “Comune” e che Marx mette in evidenza: soppressione di tutte le spese di rappresentanza, di tutti i privilegi pecuniari riservati ai funzio-nari, riduzione degli stipendi di tutti i funzionari a livello di “salario di operaio”. È proprio qui che compare col suo maggior rilievo la svolta che si attua dalla democrazia borghese alla democrazia proletaria, dalla democrazia degli oppressori alla democrazia delle classi oppresse, dallo Stato come “forza speciale” destinata a reprimere una determinata classe, alla repressione degli oppressori da parte della forza generale della mag-gioranza del popolo, degli operai e dei contadini. Ed è proprio su questo punto, particolarmente evidente, – sulla questione dello Stato che è forse la più importante fra tutte – che gli insegnamenti di Marx vengono al massimo dimenticati! I commenti di volgarizzazione – e sono innume-revoli – non ne fanno neppur cenno. Si dà per ammesso il tacere questo (particolare) come “una cosa puerile”, che ha fatto il suo tempo, proprio come quei cristiani che, divenuto il loro culto religione di Stato, “hanno dimenticato” la “puerilità” del cristianesimo primitivo col suo spirito de-mocratico rivoluzionario.

Lenin, Lo Stato e la rivoluzione, 1917. 696

Legge VI sull’abolizione delle grandi proprietà e la ripartizione delle terre tra coloro che le coltivano.

Articolo primo [...] conformemente ai princìpi formulati nel suo manife-sto e nella dichiarazione del Governo nazionale provvisorio, come pure per assolvere al suo mandato, l’Assemblea nazionale vuole, con l’abolizione delle grandi proprietà terriere, realizzare il sogno secolare dei contadini ungheresi, perché questi dovranno essere immessi nel possesso delle terre che spettano loro da sempre.

L’abolizione del regime delle grandi proprietà feudali assicurerà la tra-sformazione democratica del paese e la sua evoluzione futura; il possesso da parte dei contadini delle antiche proprietà padronali aprirà la via del progresso politico, sociale, economico e culturale ai contadini ungheresi che da secoli hanno vissuto sotto l’oppressione.

Ungheria, 1945. 697

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LA LIBERTÀ CONCRETA

Uguaglianza e giustizia

L’uguaglianza reale dei diritti dipende dal condono dei debiti Elogio raffrontato di Solone e PublicolaL’odio verso i tiranni fu più forte in Publicola che in Solone. Per-

ché, se qualcuno tentava di usurpare la tirannia, Solone faceva tradurre dinanzi alla giustizia il colpevole colto sul fatto, mentre Publicola per-metteva di ucciderlo senza ch’egli fosse sottoposto a giudizio. Se So-lone si gloriava a buon diritto di aver ri utato il potere assoluto quan-do la situazione gli avrebbe permesso di impadronirsene e i cittadini l’avrebbero accettato senza ripugnanza, non è meno bello da parte di Publicola, rivestito di un’autorità tirannica, di averla democratizzata, e di non aver neppure fatto uso dei poteri che deteneva. È ciò che Solone sembra aver visto per primo quando diceva del popolo:

”Non bisogna, se si vuole ch’esso segua i suoi capi nel modo miglio-re, né opprimerlo, né lasciarlo troppo libero” [...].

Una cosa è propria di Solone: il condono dei debiti; con questo so-prattutto egli affermò la libertà dei cittadini. Effettivamente, non serve a nulla stabilire con delle leggi l’uguaglianza dei diritti, se dei debiti ne privano i poveri: accade che proprio quando sembrano godere maggior-mente la loro libertà, sia giudicando, sia esercitando una magistratura, sia parlando, essi siano in realtà più soggetti agli ordini dei ricchi. Ma ecco ciò che è più importante ancora: mentre l’abolizione dei debiti comporta sempre una sedizione, quella di Solone fu la sola eccezione alla regola. Usandola come un rimedio audace ma ef cace, egli pose felicemente ne al dissenso che divideva allora i cittadini e, con le sue virtù e col suo prestigio, trionfò sulle calunnie che gli attirava questa misura.

Plutarco (45 circa - 125 d.C), Vita di Publicola, Sull’impopolarità. 698

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338 Il diritto di essere un uomo

Diritti legali e diritti reali Scorrendo la storia delle società, avremo l’occasione di far notare

che spesso esiste un largo spazio tra i diritti che la legge riconosce spet-tare ai cittadini e quelli di cui essi godono realmente; tra l’eguaglianza stabilita dalle istituzioni pubbliche e quella che esiste tra gli indivi-dui: avremo fatto notare che questa differenza è stata una delle cause principali della distruzione della libertà nelle antiche repubbliche, delle tempeste che le hanno turbate, delle debolezze che le ha consegnate ai tiranni stranieri.

Queste differenze hanno tre cause principali: l’ineguaglianza della ricchezza; l’ineguaglianza di condizioni tra colui i cui mezzi di sussi-stenza, che egli stesso si è assicurati, si trasmettono alla sua famiglia, e colui per il quale questi mezzi dipendono dalla durata della sua vita, o piuttosto di quella parte della sua vita in cui egli è in grado di lavorare; in ne, la diversità di istruzione.

Sicurezza sociale e assicurazioni Esiste una causa necessaria di ineguaglianza, di dipendenza e per no

di miseria, che minaccia senza posa la classe più numerosa e più attiva delle nostre società.

Dimostreremo che la si può in gran parte distruggere, opponendo il caso a se stesso, assicurando a colui che raggiunge la vecchiaia un aiuto prodotto dai suoi risparmi, ma aumentato di quelli degli individui che, facendo gli stessi sacri ci, muoiono prima del momento di aver bisogno di raccoglierne i frutti; procurando, per effetto di una simile compensa-zione, alle mogli, ai gli, per il momento in cui perdono il loro marito o il loro padre, una risorsa uguale e acquisita al medesimo prezzo, sia per le famiglie af itte da una morte prematura, sia per quelle che conserva-no il loro capo più a lungo; in ne, preparando ai gli che raggiungono l’età di lavorare per conto proprio e di fondare una nuova famiglia, il vantaggio di un capitale necessario allo sviluppo della loro industria, che cresce a spese di coloro che una morte troppo rapida impedisce di giungere a questa meta. Si deve all’applicazione del calcolo alle proba-bilità della vita e agli investimenti di danaro l’idea di questi mezzi già impiegati con successo, benché non siano mai stati usati su così vasta scala, con questa varietà di forme che li renderebbero veramente utili, non solamente ad alcuni individui, ma all’intera massa della società che essi libereranno da questa rovina periodica di un gran numero di fami-glie, sorgente sempre rinascente di corruzione e di miseria.

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La libertà concreta 339

Diritto a una vita migliore e più lunga La perfettibilità o la degenerazione organica delle razze tra i vegetali e tra

gli animali può essere considerata come una delle leggi generali della natura. Questa legge si estende alla specie umana e nessuno, senza dubbio, po-

trà dubitare che i progressi nella medicina conservatrice, l’uso di alimenti o di abitazioni più sane, un modo di vivere che sviluppasse le forze mediante l’esercizio, senza distruggerle con eccessi; che in ne la distruzione delle due cause più attive di degradazione, la miseria e l’eccessiva ricchezza, non debbano prolungare, per gli uomini, la durata media della vita, assicu-rare loro una salute più costante, una costituzione più robusta. Si capisce che i progressi della medicina preventiva, divenuti più ef caci grazie a quelli della ragione e dell’ordine sociale, devono alla lunga far sparire le malattie trasmissibili o contagiose, e quelle malattie generali, che devono la loro origine al clima, agli alimenti, al genere di lavoro. Non sarebbe dif- cile dimostrare che questa speranza deve estendersi a quasi tutte le altre

malattie, di cui è verosimile che si sapranno sempre riconoscere le cause remote [...]. Senza dubbio l’uomo non diventerà immortale, ma la distanza tra il momento in cui comincia a vivere e l’epoca comune in cui, natural-mente, senza malattia, senza incidente, egli provi dif coltà ad esistere, non potrà aumentare senza posa?

Nicolas de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico del progresso dello spirito umano, 1798. 699

Giustizia e libertà La libertà non fondata sulla giustizia non è altro che una parola vuota

che ricopre solo illusioni. Sono proprio i maggiori tiranni del genere uma-no quelli che hanno emesso le più alte grida a gloria della libertà.

Stanislaw Staszìc (1755-1826), Il genere umano, Polonia. 700

L’eguaglianza condizione di giustizia e di libertà DECRETO SULLA SOPPRESSIONE DEGLI ONORI RESI AL PRESIDENTE

Estratto dalla PremessaLa giunta pubblicherebbe invano i princìpi liberali destinati a far apprez-

zare ai popoli il dono inestimabile della libertà, se continuasse a tollerare i procedimenti che, procurando la sventura dell’umanità, i tiranni hanno in-ventato per soffocare i sentimenti naturali [...]. Come paragonare tutto un popolo di schiavi, che conquista col suo sangue delle vittorie da cui i suoi padroni traggono pro tto per accrescere il proprio lusso, moltiplicare le loro carrozze e aumentare il loro seguito, con una città di uomini liberi in cui i magistrati non si distinguono dagli altri se non perché fanno rispettare le

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340 Il diritto di essere un uomo

leggi e arbitrano le divergenze fra i loro concittadini? Tutte le classi dello Stato si rivolgono con ducia ai depositari dell’autorità, perché nella vita sociale essi si sono frequentati con la massima franchezza; il povero spiega i suoi atti senza timidezza perché ha molte volte conversato familiarmente col giudice che l’ascolta; il magistrato non assume in tribunale un aspetto minaccioso nei confronti di uomini che potrebbero poi diffamarlo al club, e tuttavia alla magistratura non manca il rispetto, perché le sue decisioni sono dettate dalla legge, sostenute dalla Costituzione ed eseguite con fermezza indistruttibile da uomini giusti e incorruttibili [...]. La libertà dei popoli non consiste in parole, e neppure deve esistere solo sulla carta. Qualsiasi despota può obbligare i suoi schiavi a cantare inni alla libertà; e questi canti, cantati macchinalmente, sono perfettamente compatibili con le catene e l’oppres-sione di coloro che li intonano. Se ci auguriamo che gli uomini siano liberi, osserviamo religiosamente il dogma sacro dell’uguaglianza [...].

Estratti dal Regolamento I brindisi, gli evviva o le acclamazioni pubbliche in favore di individui

membri della Giunta sono proibiti. Se costoro sono uomini giusti, vivranno nel cuore dei loro concittadini: questi non apprezzano le bocche che sono state profanate dall’elogio dei tiranni.

... Si potrà far un brindisi solo alla patria, ai suoi diritti, alla gloria delle nostre armi e a quanto si riferisce in generale al bene pubblico.... Chiunque pronuncerà un brindisi alla salute di un membro della Giunta sarà esiliato per sei anni.

... A far data da oggi è abolito tutto il cerimoniale che associa la Chiesa alle autorità civili: queste ultime non si recheranno più al tempio per farsi incensare, ma per rendervi il culto all’Essere supremo.

Mariano Moreno, “Gaceta de Buenos Aires”, 1810. 701

Libertà, uguaglianza, associazione, educazione Associazione, progresso, libertà, uguaglianza, fraternità, termini corre-

lativi della grande sintesi sociale e umanitaria; simboli divini del felice divenire dei popoli e dell’umanità. La libertà è irrealizzabile senza ugua-glianza, e l’uguaglianza (lo è del pari) senza l’associazione o il concorso di tutte le forze individuali orientate verso uno scopo unico, inde nito, il progresso continuo: formula fondamentale della loso a del XIX secolo.

Per emancipare le masse ignoranti e aprir loro l’accesso alla sovranità, bisogna educarle. Le masse hanno solo degli istinti; sono più emotive che razionali; vogliono il bene e non sanno dove trovarlo; aspirano alla libertà ma ignorano la via che a essa le condurrebbe [...]. Tuttavia le masse igno-

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La libertà concreta 341

ranti, quantunque private temporaneamente dell’esercizio dei diritti relativi alla sovranità o alla libertà politica, sono nel pieno possesso della loro li-bertà individuale: i loro diritti naturali sono inviolabili come quelli di tutti i membri dell’associazione: esse godono, come chiunque, delle garanzie della libertà civile: la stessa legge civile, penale e costituzionale, emanata dal sovrano, protegge la loro vita, i loro beni, la loro coscienza e la loro li-bertà; in virtù di questa legge, esse vengono giudicate quando commettono un delitto, e condannate o assolte.

Esteban Echeverría (argentino rifugiato in Uruguay), Dottrina socialista dell’associazione di maggio, 1838. 702

Critica dei diritti dell’uomo separato dalla comunità Prima di tutto, constatiamo il fatto che i diritti dell’uomo – i diritti

dell’uomo distinti dai diritti del cittadino – non sono nient’altro che i di-ritti del membro della società borghese, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo diviso dall’uomo e dalla comunità. La costituzione più radicale, quella del 1793, dichiara: “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Art. 2. Questi diritti, ecc. (i diritti naturali e imprescrittibili) sono: l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà”.

In che cosa consiste la libertà? Art. 6. “La libertà è il potere che appartie-ne all’uomo di fare tutto ciò che non lede i diritti altrui”, oppure, secondo la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1791, “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”.

La libertà è dunque il diritto di fare tutto ciò che non nuoce a nessuno. I limiti tra i quali ognuno può muoversi senza nuocere ad altri sono de niti dalla legge come il limite tra due campi è de nito da una palizzata. Si tratta della libertà dell’uomo considerata come una monade isolata e ripiegata su se stessa [...], il diritto dell’uomo non basa affatto la libertà sull’unione dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sulla separazione dell’uomo dall’uo-mo. Rappresenta il diritto a questa separazione, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.

L’applicazione pratica del diritto di libertà è il diritto di proprietà privata. In che cosa consiste il diritto di proprietà privata? Art. 16 (Costituzione del 1793). “Il diritto alla proprietà è il diritto che ap-

partiene a tutti i cittadini di godere e di disporre a loro piacimento dei propri beni, delle loro rendite, del frutto del loro lavoro e della loro industria”.

Il diritto di proprietà privata è dunque il diritto di godere a piacimen-to dei propri beni, senza tenere conto degli altri, indipendentemente dalla società; è il diritto di disporne, il diritto dell’egoismo. Questa libertà in-dividuale, con le sue applicazioni, costituisce il fondamento della società

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342 Il diritto di essere un uomo

borghese. Essa fa vedere a ogni uomo, in un altro uomo, non già la realiz-zazione, ma piuttosto il limite della sua libertà [...].

Restano ancora (da esaminare) gli altri diritti dell’uomo, l’“uguaglian-za”, e la “sicurezza”.

L’“uguaglianza” non viene qui considerata nel suo signi cato politico, è soltanto l’uguaglianza della “libertà” descritta più sopra, cioè il fatto che ogni uomo è considerato come una monade ripiegata su se stessa. La costi-tuzione del 1795 de nisce il concetto di questa uguaglianza, in conformità al suo signi cato: Art. 5 (costituzione del 1795). “L’uguaglianza consiste nel fatto che la legge è la stessa per tutti, sia che protegga sia che punisca”.

E la “sicurezza”? Art. 8 (costituzione del 1793): “La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società a ciascuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e delle sue proprietà”.

La sicurezza è il più elevato concetto sociale della società borghese, il concetto di polizia, l’idea che l’intera società esiste solo per garantire a cia-scuno dei suoi membri la conservazione della propria persona, dei propri diritti e di quanto possiede [...].

Con il concetto di sicurezza, la società borghese non si eleva al di sopra del proprio egoismo. La sicurezza è piuttosto l’assicurazione del suo egoismo.

Nessuno dei pretesi diritti dell’uomo va dunque oltre l’uomo egoista, l’uomo come è nella società borghese, cioè ripiegato su se stesso, sui suoi interessi privati e le sue volontà arbitrarie, come un individuo separato dalla comunità [...]. Il solo legame che unisca gli uomini, è la necessità naturale, il bisogno, la conservazione delle loro proprietà e delle loro persone egoiste.

… … …L’emancipazione umana sarà realizzata solo quando l’uomo individuale

reale avrà assorbito il cittadino astratto, quando – come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti indivi-duali – egli sarà diventato un essere generico e avrà così riconosciuto le sue “proprie forze” come forze sociali e le avrà organizzate egli stesso come tali e per conseguenza, egli non separerà più da sé la forza sociale sotto forma di potere politico.

Karl Marx, La questione ebraica, 1844. 703

Manifesto di una società popolare, 1844 Rivolto a tutte le classi sociali: Lavoratori! Guardatevi intorno, osservate la vostra miseria, e doman-

datevi: Come può accadere che voi, che siete i produttori di tutto ciò che soddi-

sfa ai bisogni degli uomini, e per no rende più gradevole la loro esistenza,

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La libertà concreta 343

di tutte le ricchezze che ricoprono il nostro fecondo paese, sì, per no degli splendori di cui si inorgogliscono coloro che ci opprimono; come può ac-cadere che voi possediate a mala pena abbastanza per venire incontro alle più urgenti necessità della vita, e vi riterrete ben felici se non intervengono crisi industriali o politiche a gettarvi sulla strada senza lavoro?

… … …La Società discute nelle sue riunioni le seguenti riforme: Il suffragio universale, cioè la partecipazione di tutti i cittadini alla desi-

gnazione dei loro rappresentanti; Un’imposta progressiva, sul reddito o la ricchezza, in sostituzione di

tutti gli altri pesi ( scali);L’istruzione pubblica per tutti i bambini della nazione; l’insegnamento

dei diritti e dei doveri sociali; l’insegnamento dei lavori manuali; L’organizzazione del lavoro, o la sicurezza di esistenza per tutti i cittadi-

ni, in cambio del loro lavoro; La soppressione della pena di morte. Società popolare d’Agneessens, fondata a Bruxelles presso lo stabili-

mento De Klok, rue des Sablons. 704

Diritti politici e condizioni economiche

Ruolo del suffragio universale Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della

classe dirigente andrà a “rappresentare”, e prendere a calci il popolo in Parlamento, il popolo, costituito in comuni, dovrebbe servirsi del suffragio universale allo stesso modo in cui qualsiasi datore di lavoro, alla ricerca di operai, di sorveglianti e di contabili per la sua ditta, si serve del pro-prio voto personale. Ed è un fatto ben noto che la società, come gli indivi-dui, sanno generalmente mettere ciascuno al posto giusto, e, se una volta commettono un errore, sanno prontamente correggerlo. D’altra parte, nulla poteva essere più estraneo allo spirito della “Comune” che sostituire il suf-fragio universale con un’investitura gerarchica.

Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871. 705

Libertà, uguaglianza

Io sono un partigiano convinto dell’uguaglianza economica e sociale, perché so che al di fuori di questa uguaglianza, la libertà, la giustizia, la dignità umana, la moralità e il benessere delle nazioni saranno sempre solo delle menzogne [...].

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344 Il diritto di essere un uomo

L’eguaglianza senza libertà è il dispotismo dello Stato, e lo Stato di-spotico non potrebbe esistere un sol giorno senza avere almeno una classe privilegiata che sfrutta: la burocrazia.

Michail Bakunin (1814-1876). 706

Libertà illusoria Facendo in modo che non possano nascere giornali, se non a condizione

di avere delle somme considerevoli nella loro cassa, non vedete che can-cellate con un tratto di penna, per tutto quello che è proletario, la libertà di pensare e di scrivere?

B. de Castellane, Discorso all’Assemblea nazionale, 1871, Francia. 707

L’uguaglianza economica rappresenta la radice e l’uguaglianza politica non è che un ramo. Pertanto anche quando si è adottato il regime costitu-zionale, la sfortuna della maggioranza di un popolo non sussiste per questo meno a lungo di quanto rimane l’ineguaglianza economica [...]. Ma ricor-datevi bene che coloro i quali costituiscono la maggioranza del popolo sono i mezzadri che guidano l’aratro nei campi, o gli operai che sudano sangue e acqua in fabbriche.

Isoo Abe, Manifesto del Partito social-democratico, 1901, Giappone. 708

I diritti politici all’emancipazione del lavoro La “Comune” ha realizzato questa parola d’ordine di tutte le rivoluzioni

borghesi, il governo a buon mercato, abolendo le due grandi fonti di spesa: l’esercito permanente e il “funzionariato” di Stato [...]. Essa forniva alla Re-pubblica la base di istituzioni realmente democratiche. Ma né “il governo a buon mercato”, né la “vera Repubblica” erano il suo ne ultimo; ne rappre-sentavano soltanto i corollari [...]. Ecco il suo vero segreto: era essenzial-mente un governo della classe operaia, il risultato della lotta della classe dei produttori contro la classe dei pro ttatori, la forma politica al ne trovata che permetteva di realizzare l’emancipazione economica del lavoro.

Senza quest’ultima condizione, la Costituzione Comunale sarebbe stata un’impossibilità e una lusinga. La predominanza politica del produttore non può coesistere con l’eternizzazione della sua schiavitù sociale. La “Co-mune” doveva dunque servire come leva per estirpare le basi economiche sulle quali si fonda l’esistenza delle classi, e quindi il predominio di classe. Una volta emancipato il lavoro, ogni uomo diventa un lavoratore e il lavoro produttivo cessa di essere l’attributo di una classe.

Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871. 709

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La libertà concreta 345

II “self-government” dei produttori. Tesi di Kautsky e di Lenin Kautsky:La disciplina del proletariato non è la disciplina militare; non è l’ob-

bedienza passiva a un’istituzione stabilita dall’alto; è la disciplina demo-cratica, la sottomissione volontaria a una direzione eletta e alle decisioni della maggioranza dei compagni. Perché questa disciplina democratica abbia un potere nella fabbrica bisogna che in essa il lavoro sia organizza-to democraticamente, bisogna che la fabbrica democratica abbia sostitu-ito la fabbrica autocratica di oggi. È ovvio che un regime socialista non avrà nulla di più pressante che organizzare democraticamente la produ-zione. Ma se il proletariato vittorioso non avesse n dall’inizio questa intenzione, vi sarebbe condotto dalla necessità di assicurare la continuità della produzione. La disciplina indispensabile potrà essere mantenuta nel lavoro solo introducendo la disciplina sindacale nel processo della pro-duzione.

Tutto questo non potrà essere fatto dappertutto nel medesimo modo: ogni industria ha un suo proprio carattere, che rappresenta un’indicazione per l’organizzazione dei suoi operai. Vi sono delle gestioni che non pos-sono fare a meno di un’organizzazione burocratica, come ad esempio le ferrovie. Ecco quale potrà essere in questo caso l’organizzazione democra-tica: gli operai eleggeranno dei delegati che costituirebbero una specie di Parlamento, il quale avrebbe lo scopo di regolare il lavoro e di sorveglia-re l’amministrazione burocratica. Altre gestioni possono essere af date ai sindacati; altre, in ne, possono essere lasciate in mano alle corporazioni. Vi è dunque nelle industrie una grande varietà nell’organizzazione demo-cratica, e noi non possiamo sperare di veder adottare per tutte un solo e medesimo modello.

La rivoluzione sociale, 1902. 710

Lenin: Per quanto concerne l’organizzazione necessaria, sedicente “burocrati-

ca”, le ferrovie non si distinguono assolutamente in niente da tutte le im-prese della grande industria meccanica in generale, da una qualsiasi fabbri-ca, da un grande magazzino, da un’impresa agricola capitalistica. In tutte queste industrie la tecnica prescrive una disciplina assolutamente rigorosa, la massima precisione nell’esecuzione del lavoro assegnato a ciascuno, sotto pena di arresto di tutta l’industria o di guasto dei meccanismi, o di danneggiamento dell’oggetto fabbricato. In tutte queste imprese, evidente-mente, gli operai “eleggeranno dei delegati che costituiranno una specie di Parlamento”.

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346 Il diritto di essere un uomo

Ma il punto più importante, qui, è che questa “specie di Parlamento” non sarà un Parlamento nel senso delle istituzioni parlamentari bor-ghesi. Il punto importante, qui, è che questa “specie di Parlamento” non si accontenterà di “stabilire il regime del lavoro e di sorvegliare il funzionamento dell’apparato burocratico”, come lo immagina Kautsky, il cui pensiero non va oltre il quadro del parlamentarismo borghese. È certo che in una società socialista una “specie di Parlamento” composto di deputati operai “determinerà il regime del lavoro e sorveglierà il funzionamento dell’apparato”, ma quest’apparato non sarà “burocrati-co”. Gli operai, dopo aver conquistato il potere politico, spezzeranno il vecchio apparato burocratico, lo demoliranno no alle fondamenta, non ne lasceranno pietra su pietra e lo sostituiranno con un nuovo apparato che comprenda questi stessi operai e impiegati. Per impedire a questi ultimi di diventare dei burocrati, si prenderanno subito delle misure mi-nuziosamente studiate da Marx e da Engels: 1) non solo eleggibilità, ma anche revocabilità in ogni momento; 2) stipendio non superiore a quello dell’operaio; 3) adozione immediata di misure af nché tutti possano compiere le funzioni di controllo e di sorveglianza, che tutti divengano per qualche tempo “burocrati”, e che nessuno possa per questo diven-tare “burocrate”.

Kautsky non ha assolutamente capito la differenza tra il parlamentari-smo borghese – che unisce la democrazia (non per il popolo) alla burocra-zia (contro il popolo) – e il democratismo proletario che prenderà imme-diatamente delle misure al ne di tagliare alla radice il burocratismo, e che sarà in grado di farle arrivare alla distruzione completa del burocratismo, e all’instaurarsi totale di una democrazia per il popolo.

Lo Stato e la rivoluzione, 1917. 711

Discorso di Franklin D. Roosevelt sulle “quattro libertà”, 6 gennaio 1941

Noi sappiamo che una pace durevole non può essere acquisita a prezzo della libertà altrui [...].

Non ci lasceremo intimidire dalle minacce di dittatori che dichiarano di considerare come una violazione del diritto internazionale e un atto di guerra, l’aiuto da noi dato alle democrazie che hanno il coraggio di resiste-re alla loro aggressione [...].

L’istituzione di una democrazia sana e robusta non ha nulla di misterio-so. I vantaggi fondamentali che il nostro popolo si aspetta dal proprio si-stema politico ed economico sono semplici. Essi sono: l’uguaglianza delle probabilità per i giovani e per gli altri; del lavoro per coloro che ne sono

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La libertà concreta 347

capaci; la sicurezza per chi ne ha bisogno; la soppressione dei privilegi speciali della minoranza; la salvaguardia delle libertà civili per tutti; il go-dimento dei frutti del progresso scienti co in condizioni di vita più larghe e sempre più elevate.

Questi sono gli elementi semplici e fondamentali che non bisogna mai perdere di vista nel tumulto dell’incredibile complessità del nostro mondo moderno. La forza interiore delle nostre istituzioni politiche ed economi-che dipende, per quanto riguarda la sua durata, dalla misura in cui esse rispondono a queste speranze.

Nei giorni futuri, che ci sforziamo di assicurare, speriamo di vedere un mondo fondato su quattro libertà umane essenziali. La prima è la libertà di parola e di espressione: dovunque nel mondo. La seconda, la libertà per ognuno di venerare Dio come meglio crede: dovunque nel mondo. La terza, la liberazione dalla miseria: che tradotto su scala mondiale signi ca la conclusione di accordi economici che permetteranno a ogni nazione di assicurare ai propri cittadini una vita sana e paci ca: dovunque nel mondo. La quarta, la liberazione dalla paura: che tradotto su scala mondiale signi- ca una riduzione degli armamenti nel mondo intero così spinta ed ef cace

che nessuna nazione sarà ancora in grado di commettere un atto di aggres-sione sica contro uno dei suoi vicini: dovunque nel mondo.

Non si tratta della visione di un millennio lontano, bensì delle basi pre-cise di un mondo realizzabile nel nostro tempo e dalla nostra generazione. Quel mondo è l’antitesi stessa del preteso ordine nuovo della tirannia che i dittatori cercano di creare col fuoco delle bombe.

A quest’ordine nuovo, noi opponiamo un concetto più grande:, l’ordine morale. Una buona società è capace di affrontare arditamente dei progetti di dominio mondiale come anche delle rivoluzioni straniere.

Fin dagli inizi della storia dell’America il cambiamento è la nostra co-stante, e noi viviamo una perpetua rivoluzione paci ca, una rivoluzione che prosegue regolarmente, adattandosi paci camente alle nuove condizio-ni, senza campi di concentramento, senza fosse piene di calce viva. L’ordi-ne mondiale che ci sforziamo di realizzare è la cooperazione di paesi liberi che lavorano insieme in una società amica e civile. La nostra nazione ha messo il suo destino nelle mani, nelle teste e nei cuori dei suoi milioni di uomini e di donne, e ha posto la sua fede nella libertà sotto la guida di Dio. La libertà è la supremazia dei diritti dell’uomo, dappertutto. Il nostro ap-poggio va a coloro che lottano per ottenere questi diritti o per conservarli. La nostra forza sta negli scopi che ci uniscono.

Stati Uniti d’America. 712

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348 Il diritto di essere un uomo

INNO AL GIUDICE

I galeotti vogano sul Mar Rosso tirando a gran fatica la loro galera; i loro ruggiti coprono il frastuono (delle catene), urlano la patria loro, il Perù.

Urlano il paradiso peruviano, gli uccelli, le danze, le loro donne, e le ghirlande di ori d’arancio sotto i baobab ritti verso il cielo.

Banane, ananas, o quanta gioia! Del vino nelle coppe... Ma ecco, non si sa donde e perché dei giudici hanno invaso il Perù!

Hanno oppresso con leggi e ordinanze uccelli, Peruviane e danze. Gli occhi del giudice? Due fondi di bottiglia che rilucono lugubri tra mucchi d’immondizia.

Il pavone radioso, arancio e azzurro, è caduto sotto lo sguardo severo del giudice, e subito la sua coda splendida ha perduto tutti i suoi colori!

Vicino al Perù volteggiavano per la savana degli uccelli graziosi, i colibrì; il giudice ha catturato il povero colibrì, ha tagliato le sue piume e raso la sua peluria.

E non si trovano più in alcun piano dei monti impennacchiati da amma di vulcano:il giudice ha piazzato ovunque dei cartelli: “Pianura per non-fumatori”.

Nel povero Perù anche i miei versi son proibiti con pena di tortura. Il giudice ha detto: “I versi messi in vendita sono pericolosi come l’alcool”.

È scosso l’equatore da rumor di catene. E in Perù non ci son più uccelli, più abitanti... Odiosamente soffocati sotto volumi di leggi ci vivono solo i tristi giudici.

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La libertà concreta 349

No, davvero, ho pietà del Peruviano. Egli non ha meritato questa galera. Il giudice annoia l’uccello e il danzatore, e me, e voi, e il Perù.

Vladimir Majakovskij (1894-1930), Unione Sovietica. 713

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EDUCAZIONE, SCIENZA,CULTURA

Sapere e cultura

Una conoscenza sicura è, nella vita presente, se non una cosa impossi-bile, almeno di un’estrema dif coltà. Per contro, certamente, se le opinioni che vi si riferiscono non hanno formato oggetto di una critica completa-mente approfondita, se si abbandona la partita senza essersi stancati a guar-dare in tutte le direzioni, signi ca che si è di una tempra ben molle!

Platone (390-380 a.C.), Fedone. 714

La vocazione del sapere Considerate la vostra semenza:fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir virtute e canoscenza.

Dante (1265-1321), Inferno. 715

Io veggio ben che già mai non si sazianostro intelletto, se ‘1 ver non lo illustradi fuor dal qual nessun vero si spazia. Posasi in esso come fera in lustra,tosto che giunto l’ha; e giugner pòllo:se non, ciascun disio sarebbe frustra. Nasce per quello, a guisa di rampollo,a piè del vero il dubbio; ed è naturach’al sommo pinge noi di collo in collo.

Dante (1265-1321), Paradiso. 716

Chiunque – sapiente o no – stimi se stesso abbastanza grande da disprez-zare gli altri, rassomiglia a un cieco che tiene un candeliere in mano: egli non vede nulla, ma illumina quelli che lo circondano.

Dhammapada (Versetti sulla legge), tradotto dal pali, India. 717

La differenza tra bianco e nero, tra civile e primitivo, sparisce quando si arriva a intrattenersi con gli abitanti della foresta vergine su questioni

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352 Il diritto di essere un uomo

che concernono i nostri rapporti con noi stessi, con gli uomini, col mondo e con l’eternità.

A. Schweitzer, A l’orée de la forêt vierge, 1929, Francia. 718

Non esiste superiorità di un uomo su un altro. Maestro e discepoloCosì deve quindi essere il cristiano che non si glori ca al di sopra degli

altri uomini. Dio infatti ti ha fatto il dono di essere al di sopra delle bestie [...]. Questo è un dono naturale; tu sarai sempre superiore alle bestie. Ma se pretendi di essere superiore a un altro uomo, lo invidierai quando lo vedrai uguale a te. Devi volere che tutti gli uomini siano uguali a te, e, se tu vinci qualcuno in saggezza, devi augurarti che anche lui diventi saggio. Finché egli è in ritardo è alla tua scuola; nché è ignorante, ha bisogno di te; tu sembri il maestro ed egli l’alunno; tu gli sei dunque superiore, poiché sei il suo maestro; egli è inferiore a te, poiché è il tuo discepolo. Ora, se tu vuoi sempre averlo come discepolo, sarai un maestro invidioso. Se tu sei un maestro invidioso, come potresti essere un maestro? Te ne prego, non insegnargli la tua invidia [...]. L’uomo ha dunque oltrepassato la misura: per eccesso d’avarizia, ha voluto essere al di sopra degli uomini, lui che è stato creato al di sopra delle bestie: e questo è orgoglio.

Sant’Agostino (354-430), Trattato sull’epistola di San Giovanni ai Parti. 719

I Savi e i Profeti d’Israele desiderano la venuta del Messia, non per poter soggiogare il mondo intero od opprimere i pagani, o suscitare l’invidia dei popoli della terra, o mangiare bere e far festa, ma per avere agio di studiare la Torah e la sua sapienza, senza essere oppressi da un’autorità schiacciante e arbitraria.

Maimonide, Mishné Torah, XII sec. 720

Contro l’orgoglio del sapere

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Educazione, scienza, cultura 353

Non gon are il tuo cuore a causa del tuo sapere, non riempirlo d’orgo-glio perché sei una persona saggia; parla con l’ignorante come lo faresti col sapiente. Nessun artista raggiunge la perfezione, e non si possono s-sare limiti all’arte. Una parola opportuna è più nascosta dello smeraldo, e (tuttavia) può darsi che a pronunciarla sia la serva che fa girare il mulino.

Massime di Ptahhotep, III millennio a.C., V dinastia, Antico Egit-to. 721

Accesso ai beni culturali Al capitolo 10 del Latitawistara, il principe Siddihdrtha Gotama è man-

dato a scuola; ma siccome ne sa molto di più del suo maestro, le parti s’invertono: non solo il futuro Budda conosce tutti gli alfabeti indiani, ma arriva per no a usarli in modo che il suo esposto dà un’idea della dottrina ch’egli avrebbe più tardi predicato. Tuttavia, in un racconto giavanese, il futuro Budda-Re è un ragazzo di umili natali, che riesce a compiere gli stu-di accompagnando un compagno di giochi. La storia che segue fa vedere che il maestro non faceva discriminazioni. Il futuro Budda-Re si chiama Angrok, e il nome del suo compagno è Tita. Secondo la concezione popo-lare giavanese prima dell’epoca del suo “risveglio” de nitivo, il futuro Budda è un essere mezzo santo e mezzo demonio.

Contrariamente al giovane Tita, Angrok non era stato a scuola; così vol-le imparare a leggere. Andò dal maestro di Sag ngg ng per diventare suo alunno e suo servo, e gli chiese di essere iniziato ai libri del sapere. Gli furono dunque insegnate le lettere e le combinazioni delle consonanti e delle vocali, come pure il modo con cui le vocali cambiano (nella gramma-tica sanscrita). Imparò pure il signi cato dei cronogrammi, la concordanza dei giorni, dei mesi e degli anni – câka (nei documenti datati), i nomi dei giorni di sei settimane diverse, composte di sei giorni, di cinque giorni, di sette giorni, di tre giorni, di due giorni e di nove giorni – come pure i nomi delle (trenta) settimane (dell’annata agricola giavanese). Angrok divenne così più sapiente di Tita, benché i due ragazzi avessero studiato sui medesimi libri. Ora, il maestro aveva piantato nel suo giardino un certo albero, che ne era l’ornamento più bello e aveva una quantità di frutti quasi maturi. Era tuttavia proibito toccarli; nessuno aveva il diritto di raccoglierli e nessuno osava prenderne anche uno solo. “Bisognerà raccoglierli appena saranno maturi (perché è questo il vostro compito)”, aveva detto il maestro ai suoi alunni. Vedendo i frutti, Angrok ne aveva avuto una gran voglia; gli piacevano molto quei frutti. Sopraggiunta la notte, quando tutti furono ad-dormentati e Angrok ebbe fatto lo stesso, dei pipistrelli sfuggirono costan-temente dal suo corpo attraverso la fontanella, l’uno dopo l’altro; per tutta

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354 Il diritto di essere un uomo

la notte essi mangiarono i frutti del maestro. L’indomani mattina i frutti erano sparsi sul suolo del cortile e gli (alunni)-servi dovettero raccoglierli. Vedendo questo, il maestro fu commosso e domandò ai ragazzi: “Perché i frutti sono così schiacciati?”. Gli (alunni)-servi risposero: “Mio Signore, sono schiacciati perché dei pipistrelli li hanno divorati”. Allora il maestro prese delle spine di canna d’India, ne fece una corona che piazzò attorno all’albero e lo vegliò per tutta la notte.

Ora Angrok dormiva di nuovo nella camera a sud presso il luogo in cui venivano fatte seccare certe erbe che il maestro intrecciava ogni tanto con altre in stuoie per coprire il tetto di paglia. Quando il maestro vide gli in-numerevoli pipistrelli che uscivano dalla fontanella di Angrok e venivano a mangiare i suoi frutti, ne fu contrariato e cercò invano di cacciarli. Poi, arrabbiatosi, cacciò Angrok dalla casa. Era allora circa mezzanotte. Tutto insonnolito, Angrok si alzò, uscì e si riaddormentò fuori su di un mucchio di erbe. Il maestro lo seguì (per punirlo). Ma, all’improvviso, vide una luce che brillava in mezzo al mucchio di erbe: a tutta prima temette che si fosse sviluppato un incendio; poi osservò più da vicino che cosa era che brillava così e si accorse che era Angrok. Gli disse allora di alzarsi e di rientrare a coricarsi in casa vicino agli altri ragazzi. Angrok obbedì e andò a dormire in casa.

L’indomani mattina, il maestro gli disse di prendere quanti frutti voleva. Angrok ne fu felice e rispose: “Ebbene, quando sarò re pagherò questo debito”.

Pararaton (racconto popolare del XVI sec.), Giava. 722

Prometeo incatenato sul Caucaso espone agli oceanidi il motivo del suo supplizio:

PROMETEO: Quanto all’oggetto della vostra domanda, per quale delitto Zeus mi oltraggia così, vi illuminerò. Appena assiso sul trono paterno, sen-za ritardo, egli divise i diversi privilegi fra gli dei e cominciò ad assegnare ognuno in posti del suo impero. Ma agli sfortunati mortali, egli non pensò neppure un momento. Al contrario, ne voleva annientare la razza, allo sco-po di crearne una nuova. A questo progetto, nessuno si opponeva... se non io. Io solo ebbi quest’audacia: ho liberato gli uomini e ho fatto in modo che essi non venissero calati, schiacciati, nell’Ade. Per questo, oggi, piego sotto simili dolori, crudeli da subire, pietosi da vedere. Per aver avuto pietà dei mortali mi son visto ri utare la pietà, ed ecco come sono trattato qui implacabilmente, spettacolo funesto alla (fama) di Zeus.

CORIFEO: Avrebbe un cuore di pietra o di ferro, o Prometeo, chi non si indignasse con te per le tue pene. Per conto mio, non mi sarei certo augu-

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Educazione, scienza, cultura 355

rato di vedere questo spettacolo, e nel vederlo il mio cuore si commuove dolorosamente.

PROMETEO: Sì, io offro agli amici uno spettacolo pietoso. CORIFEO: Senza dubbio sei andato anche più lontano? PROMETEO: SÌ, ho liberato gli uomini dall’ossessione della morte. CORIFEO: Quale rimedio hai dunque tu scoperto per questo male? PROMETEO: ho instillato in loro cieche speranze. CORIFEO: Quale potente conforto hai tu dato, quel giorno, ai mortali! PROMETEO: Ma ho fatto di più: ho fatto loro dono del fuoco. CORIFEO: Che cosa? Il fuoco ammeggiante è oggi nelle mani degli ef-

meri? PROMETEO: E da esso impareranno arti innumerevoli. CORIFEO: E questi sono i danni per i quali Zeus... PROMETEO: ...M’in igge quest’obbrobrio, senza conceder tregua ai miei

mali! CORIFEO: E non è stato ssato alcun termine alla tua prova? PROMETEO: Il termine è condizionato alla sua volontà. CORIFEO: E questo beneplacito da che cosa nascerà? Come sperarlo? Non

vedi che hai commesso un errore? Dove è stato l’errore? Non avrei alcun piacere a dirtelo e tu avresti pena nell’udirlo. Lasciamo questo (argomento) e cerca come puoi liberarti dalla prova.

PROMETEO: È facile, per chi non è in piena miseria, consigliare, rimpro-verare lo sfortunato! Ma tutto questo, io lo sapevo: voluto, voluto è stato il mio errore. Non voglio affatto contestare la parola. Per recare aiuto agli uomini, sono andato io stesso a cercare delle sofferenze. Tuttavia non pen-savo che simili torture mi dovessero disseccare per sempre su queste cime rocciose, e che avrei avuto come destino questo picco deserto e solitario.

Eschilo (525-456 a.C.), Prometeo incatenato. 723

Dalla natura alla cultura Vediamo quindi se ciò che pretendo qui è vero e se è desunto dalla natu-

ra. Io dico che non esiste quasi nessun animale che possa, mentre è giova-ne, mantenere il suo corpo e la sua lingua in uno stato tranquillo, e che non faccia, senza tregua, sforzi per muoversi e gridare. Così si vedono gli uni saltare e scattare, come se non so quale impressione di piacere li portasse a danzare e a folleggiare, mentre gli altri fanno risuonare l’aria di mille grida diverse. Ma nessun animale ha il senso dell’ordine o del disordine di cui è suscettibile il movimento, e che noi chiamiamo misura e armonia; mentre queste stesse divinità che presiedono alle nostre feste ci hanno dato il senso della misura e dell’armonia, insieme a quello del piacere. Questo

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356 Il diritto di essere un uomo

senso regola i nostri movimenti sotto la direzione di quegli dei, e c’insegna a formare tra noi una specie di catena, con l’unione dei nostri canti e delle nostre danze. Di qui il nome di coro, derivato naturalmente dalla parola che signi ca gioia.

Platone (429-347 a.C.), Le leggi. 724

Istruzione per tutti; il maestro

Istruzione universaleNoi desideriamo che possano essere completamente istruiti e accedere

così alla piena umanità non soltanto un uomo, alcuni uomini o molti uomi-ni, ma tutti gli uomini insieme e ciascuno isolatamente, giovani e vecchi, ricchi e poveri, nobili e plebei, uomini e donne, in breve, ogni essere uma-no; perché in de nitiva sia istruito tutto il genere umano, qualunque siano la sua età, il suo stato, il suo sesso, la sua nazionalità [...].

Tre sono di conseguenza le cose che raccomandiamo (se ci ripetiamo è per essere meglio compresi): bisogna condurre (tutti) all’istruzione univer-sale: 1) tutti gli uomini; 2) in tutte le cose; 3) perché essi siano universal-mente istruiti. Tutti gli uomini: cioè tutti i popoli, gli Stati, le famiglie e le persone, senza alcuna eccezione; perché essi sono tutti uomini che hanno la stessa vocazione a una vita secondo le vie indicate da Dio, ma che è disseminata di tranelli e ostruita da diversi ostacoli. Quindi, se possibile, sarà necessario illuminare giudiziosamente tutti gli uomini su ogni genere di follia, perché in avvenire non si odano più i lamenti ben noti dei saggi i quali dicono che, dappertutto vi sono solo dei pazzi.

In tutte le cose: cioè in tutto ciò che può rendere l’uomo saggio e felice. E cioè? Sono le quattro cose che il saggio Salomone raccomanda citando quattro animaletti, i più saggi: 1. Preoccupazione per le cose future, che egli loda presso le formiche [...]; 2. Saggezza nelle cose presenti, che egli fa notare presso i topi delle pira-

midi; 3. Tendenza alla concordia senza costrizioni, che egli vanta tra le cavallette

[...]; 4. Necessità di armonia, di regolarità e di metodo nelle nostre azioni, per-

no quelle indifferenti, come si trova nel lavoro del ragno, per altro inutile [...]. Universalmente, cioè dirigendosi verso la verità, perché ciascuno, una

volta passato alla scuola, sfugga ai tranelli dell’errore e del caso, e segua la via della rettitudine. Perché nel momento attuale, esistono pochi mortali che si appoggino sulla propria base o quella delle cose reali: la maggior par-

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Educazione, scienza, cultura 357

te segue solo il suo stupido istinto, o si lascia guidare dalle opinioni altrui. Siccome però queste opinioni sono in completa divergenza tra loro e con le cose ( niscono per esservi) all’ordine del giorno esitazioni, tentennamenti, squilibri e cadute. Se si cerca un rimedio a questo male, se ne troverà uno solo: non lasciarsi più guidare da un’abitudine o da un’opinione cieca, ma osservare piuttosto le direttive inattaccabili di Dio e delle cose stesse.

Jan Amos Comenius, Pampaedia, XVII sec. 725

Diritto all’educazione Il giorno del Giudizio sarà pesato l’inchiostro dei sapienti e il sangue

dei martiri. L’acquisire il sapere è un dovere che incombe a ogni musulmano come

a ogni musulmana. Dio impone come dovere a una comunità d’istruire i suoi vicini, di spie-

gare loro il diritto, di indicare loro la giusta via e di fare conoscere loro i comandamenti e gli imperativi (divini), e a costoro impone di lasciarsi istruire dai loro vicini, di imparare il diritto, e di trarre pro tto dalle loro lezioni; in mancanza di questo si attireranno un immediato castigo.

Hadith (Detti del Profeta). 726

Istruisci gli umani! Tu sei qui solo per istruirli, e non per dominarli. Corano, Al-Ghachia, 21. 727

L’uomo istruito non possiede un palmo di terra, ma tutto il mondo è suo. Proverbio rumeno. 728

Più si sa, più si è forti. L’uomo chiaroveggente non è colui che vede la montagna, ma colui che

distingue ciò che vi è dietro la montagna. Proverbi russi. 729

La scuola per tutti

Noi abbiamo oggi nella nostra capitale soltanto una scuola, destinata spe-cialmente ai nobili e ai ricchi e non abbiamo scuole per il popolo. Per questo i gli del popolo non sanno dove andare per istruirsi e gli studenti, pieni di ardore e di curiosità, venendo da lontano, si affaticano in questo andare e venire incessante. Io fondo questo istituto e farò istruire tutti i bambini.

Kùkai (regolamento dell’Istituto Shugêi Shuchi In, fondato nell’anno 828 a Kyoto), Giappone. 730

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358 Il diritto di essere un uomo

Onori e favori per le scuole Quest’Inca (Pachacutec) nobilitò e onorò soprattutto di molti privilegi

e di grandi preferenze le Scuole o i Collegi che il Re Inca Roca aveva fon-dato a Cuzco. Aumentò col medesimo sistema il numero degli insegnanti, e volle che i Cacicchi, i Capitani, i loro gli e tutti gli Indiani in generale, di qualsiasi condizione fossero, come pure i guerrieri e il popolo minuto, parlassero la lingua di Cuzco, e che solo coloro che l’avessero saputa po-tessero essere ammessi alle cariche e alle dignità pubbliche e avere i posti di governo.

Blas Valera, citato da Garcilaso de la Vega, inizio del XVII sec, Perù. 731

Risposta a coloro che temono l’istruzione per il popolo Vi sono uomini (so che ne esistono) che diranno: che cosa accadrà quan-

do tutti gli uomini saranno diventati saggi? Si troveranno forse dappertutto l’erudito e l’erudizione? Saranno confuse le condizioni? Chiunque inse-gnerà ad altri quando che sia, oppure giudicherà le religioni e i sistemi di governo? Ecco che cosa risponderò: Le basi di uno Stato o di una religione, la cui sicurezza riposi sull’ignoranza e la servitù dei suoi sudditi o dei suoi adepti, sono necessariamente fragili. Una religione autentica e un vero si-stema di governo (come ne auguriamo al mondo intero) sino delle realtà luminose e la loro sicurezza ha la propria origine nella luce, non nell’oscu-rità. Conviene precisare che noi non chiediamo che tutti gli uomini diven-tino dei sapienti (questo non sarebbe compatibile né con l’estensione dei loro talenti, né col loro ambiente o con le loro condizioni, e non è d’altron-de necessario che sia così). Ciò che noi chiediamo, si è che tutti possano raggiungere la saggezza che conduce alla salvezza.

Jan Amos Comenius, Via lucis, XVII sec. 732

Che nessuno dica: A che scopo rendere sapienti gli artigiani, i conta-dini, gli operai, le donne e le ragazze, come potrebbero utilizzare questa sapienza? Che cosa ne faranno? Rispondo: occupandosi di lavori diversi, avranno pensieri gradevoli; riposandosi, leggeranno la Bibbia e altre opere utili (perché la bellezza del pensiero li attirerà), in ogni momento essi me-diteranno sulle azioni di Dio e su tutto ciò che ne è degno e riguarda i rap-porti ragionevoli tra gli uomini; ovunque, e grazie a tutto, loderanno Iddio, e con gioia si prepareranno all’aldilà. Non sarà forse questo un paradiso di delizie che esisterà quaggiù?

Jan Amos Comenius, Opera didactica omnia (1627-1657). 733

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Educazione, scienza, cultura 359

Per un’istruzione più uguale L’uguaglianza di istruzione che si può sperare di raggiungere, ma che

deve bastare, è quella che esclude ogni dipendenza, sia forzata che volonta-ria [...]. Con una scelta felice, sia delle conoscenze stesse che dei metodi per insegnarle, si può istruire l’intera massa di un popolo su tutto ciò che ogni uomo ha bisogno di sapere per l’economia domestica, per l’amministrazione dei suoi affari, per il libero sviluppo della sua industria e delle sue facoltà, per conoscere i suoi diritti, difenderli e esercitarli, per poterli compiere bene, per giudicare le proprie azioni e quelle degli altri, secondo i propri lumi, e non essere estraneo a nessuno dei sentimenti elevati o delicati che onorano la natura umana; per non dipendere ciecamente da coloro cui è obbligato di af dare la cura dei suoi affari o l’esercizio dei suoi diritti; per essere in condi-zione da sceglierli e sorvegliarli, per non essere più la vittima di quegli errori popolari che tormentano la vita con timori, superstizioni e speranze chimeri-che; per difendersi dai pregiudizi con le sole forze della propria ragione; in- ne, per sfuggire ai giochi di prestigio del ciarlatanismo che tendesse tranelli

alla sua ricchezza, alla sua salute, alla libertà delle sue opinioni e della sua coscienza, col pretesto di arricchirlo, di guarirlo e di salvarlo.

Se l’istruzione è diffusa più omogeneamente, ne deriva una maggio-re uguaglianza nell’industria e quindi nei patrimoni; e l’uguaglianza nel campo del denaro contribuisce necessariamente a quell’istruzione, mentre l’eguaglianza tra i popoli, come quella che si stabilisce per ciascuno, ha ancora, l’una sull’altra, un’in uenza reciproca.

Nicolas de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, 1798. 734

OMAGGIO A GUTENBERG

Quando la notte si stancherà, i sacerdoti delle chimere spariranno, e la luce del giorno non illuminerà più una falsa scienza; quando la spada cadrà dalle rudi mani della violenza e l’assassino non contaminerà più l’era sacra della pace; quando, da diavolo l’uno e da bruto l’altro, il ricco affamatore e il contadino miserabile raggiungeranno l’umanità; quando dall’ovest all’est la luce si diffonderà e il cuore generoso farà più nobile la ragione; quando, riuniti in consiglio, i popoli della Terra d’una stessa voce faranno tremare il rmamento, gridando la sola parola “Giustizia!” che dominerà il fracasso e in ne il cielo manderà quaggiù quest’ambasciatrice tanto attesa, sarà un trionfo degno di te, e vi sarà il tributo dell’omaggio che il tuo nome avrà meritato dal mondo.

Mihály Vörösmarty (1800-1855), poeta romantico ungherese. 735

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360 Il diritto di essere un uomo

Sapere almeno leggere Siccome è impossibile che tutti arrivino a capire tutta la scienza con-

tenuta nei libri, e a conoscere tutte le lingue che vi conducono, ciò che io credo innanzitutto necessario per ciascuno, e a cui miro coi miei consigli è di saper leggere. Che taluni sappiano solo questo, che non sappiano null’al-tro che leggere nella propria lingua, e avranno già progredito in maniera utile [...]. Così, vi sono nazioni cristiane in cui, grazie alla fatica dei dotti, molti bei libri vedono la luce, soprattutto nella lingua del paese; e il popolo stesso ama e stima i libri, con la lettura dei quali si diffonde la saggezza e, in primissimo luogo, quella che riposa in Dio.

Miklós Tótfalusi-Kis (eminente tipografo ungherese votato all’educa-zione del popolo), 1686. 736

Dio concede la scienza a chi la desidera; la fortuna a chi Egli sceglie. Proverbio turco. 737

Vecchi credenti del Vyg, monastero fondato alla ne del XVII sec., apro-no una scuola per tutti i bambini della regione.

La gente vi giunse da diverse località e città [...]. Si insegnava ai bambi-ni dei due sessi a leggere e a scrivere.

Testo russo dell’epoca. 738

Accesso delle donne agli studi Proclama degli alunni del liceo Blanka Teleki dopo la rivoluzione del

marzo 1848:Patrioti! Libertà, Eguaglianza, Fraternità, sono il vostro motto. A parola

data, parola mantenuta. Noi chiediamo: 1. Che le donne possano entrare all’Università; 2. Che non si odano più frasi come “tutti possono parlare, salvo le donne”; 3. Che vi siano scuole in tutta l’Ungheria, n nel più piccolo villaggio, e

che tutti i genitori possano mandarvi i loro gli; 4. Che i maestri nei villaggi abbiano uno stipendio conveniente, che

permetta loro di condurre a buon ne il proprio lavoro. Ungheria. 739

I maestri Qualcuno domandò: “Come può essere favorito il bene nel mondo?”. Io risposi: “Dai maestri”. – Come sarebbe a dire. – Io risposi: “Nella natura umana non vi è altro che la forza, la debolez-

za, il bene, il male e il ‘Giusto mezzo’”.

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Educazione, scienza, cultura 361

Progetto di macchina che permette di leggere più libri alla volta(XVII se., Italia).

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362 Il diritto di essere un uomo

Il mio interlocutore non comprese. Io spiegai: “La virtù, la dirittura, il rigore, la costanza nell’azione sono esempi di una forza che è buona, e il furore, la meschinità di spirito, e la violenza sono esempi di una forza che è cattiva. La gentilezza, la dolcezza e l’umiltà sono esempi di una debolezza che è buona, e la mollezza, l’indecisione e la perversità sono esempi di una debolezza che è cattiva. Solo il ‘Giusto mezzo’ genera l’armonia. Il ‘Giusto mezzo’ è il principio della regolarità, la legge morale universalmente rico-nosciuta, e ciò cui il saggio si dedica. Di conseguenza, il saggio istituisce l’educazione per permettere alla gente di trasformare da sé ciò che ha di mal-vagio, per giungere al ‘Giusto mezzo’ e rimanervi. Coloro che sono i primi a essere illuminati devono quindi istruire chi raggiunge più lentamente la luce, e ignorandola, deve chiedere l’aiuto di coloro che la comprendono. Questa è la base della via dei maestri. Grazie a essa i buoni saranno numerosi”.

Ciu Tun-i, Interpretazione del Libro delle mutazioni, 1017-1073, Cina. 740

Gli stregoni, i medici, i musicisti e diversi artigiani non si vergognano di studiare con maestri. Ora, nella famiglia dei funzionari letterati, se parlate di un maestro e di un alunno, tutti si avvicinano e si mettono a ridere. Se do-mandate loro perché ridono, rispondono: “Questi due uomini hanno pressap-poco la stessa età; devono dunque capire la via tanto l’uno che l’altro”. E v’è di più: se il maestro appartiene a un rango sociale inferiore a quello dell’alun-no, riteniamo vergognoso studiare con lui; mentre, se è un alto funzionario, colui che studia con lui, può essere sospettato di volersi conquistare il suo favore. Ahimè, è evidente che in queste condizioni, l’insegnamento della Via non potrà mai essere ristabilito. Gli stregoni, i medici, i musicisti e gli arti-giani non sono considerati uguali agli uomini di qualità, e tuttavia gli attuali uomini di qualità non possono eguagliarli in sapere. Non è strano questo?

Han Yu (768-824), Cina. 741

Non aspirando a possedere le vaste risaie e gli immensi stagni, tra tutti i suoi pretendenti ella apprezza solo il letterato che sa maneggiare il pen-nello e lo scrittoio.

Proverbio del Vietnam. 742

Alcuni tra i più saggi dei saggi d’Israele erano anche falegnami, porta-tori d’acqua, e nonostante questo trovavano il tempo di studiare la Torah giorno e notte.

È proibito insegnare oralmente la Torah per denaro. È stato detto (da Mosè): “Fate attenzione perché io vi ho insegnato le leggi e le ordinanze

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Educazione, scienza, cultura 363

conformemente ai comandamenti del Signore [...]. Io le ho imparate senza pagare, e ve le insegno allo stesso modo, e così farete voi per sempre”.

Maimonide, Mishné Torah, XII sec. 743

Il maestro deve farsi amare piuttosto che temere Ho già, a più riprese, formulato l’augurio che questa dolce natura pos-

sa trovarsi presso i maestri: se l’ho fatto, non è a caso o senza una buona ragione, e voglio ora spiegare perché, a mio parere, per allevare e istruire come si conviene un bambino, bisogna farsi amare piuttosto che temere, agire con dolcezza piuttosto che con violenza [...].

Sono completamente d’accordo con tutti i buoni maestri sugli scopi da raggiungere: dare ai bambini una solida istruzione e fare loro acquisire le maniere migliori; rimediare come si conviene a tutti i loro difetti; sradicare ogni loro vizio; ma, per quanto concerne i mezzi da usare per raggiungere questo scopo, il mio parere differisce un poco dal loro. Vi sono, infatti, dei maestri dalla mente così ottusa (ne ho incontrati alcuni e ne conosco molti altri per sentito dire) che, quando hanno a che fare con un alunno poco dotato, lo spezzano invece di farlo diventare più docile, lo abbrutiscono in-vece di migliorarlo. E accade anche che un maestro sia molto più incline a battere i suoi alunni quando un avvenimento qualsiasi l’ha messo di cattivo umore; mentre dovrebbe (egli stesso) essere punito per la sua sciocchezza, egli gode nel colpire questo o quell’alunno, e senza un vero motivo, senza che quest’alunno abbia fatto nulla per meritare d’essere picchiato. Direte, che si tratta in questo caso, di maestri stupidi e ve ne sono pochi. Che simili maestri siano stupidi, ne convengo, ma sfortunatamente ne esistono troppi di questo genere. Inoltre, anche i maestri che fanno l’uso più saggio dei castighi corporali, picchiano i loro alunni per cose che dipendono dalla loro natura almeno così frequentemente che dai loro difetti. Spesso anche, un alunno viene trattato tanto più severamente quanto migliore è la sua indole. Infatti, prendiamo due alunni, dei quali l’uno impara rapidamente le sue lezioni, mentre l’altro, di mente meno vivace, va più lentamente: il primo è sempre complimentato; il secondo è generalmente punito; ora, un buon maestro dovrebbe tener conto delle disposizioni naturali dell’uno e dell’altro, e dare minore importanza a ciò che uno è capace di fare in questo momento che a ciò che verosimilmente sarà capace di fare nell’avvenire. Infatti, io so – non soltanto per averlo letto nei libri nel corso dei miei stu-di, ma anche per esperienza personale – che le persone che, da vecchi, si annoverano tra i più saggi, più istruiti e migliori, non sono, salvo eccezioni, quelli che nella loro giovinezza erano classi cati fra i più vivaci di spirito.

Roger Ascham (eminente maestro del XVI sec.), Il maestro di scuola. Inghilterra. 744

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364 Il diritto di essere un uomo

Violenza Uno di loro (uno dei miei alunni) era violento, indisciplinato, bugiardo

e litigioso. In una certa occasione, si scatenò con furore. Io ero esasperato. Non punivo mai i miei alunni, ma quella volta ero molto irritato. Cercai di farlo ragionare, ma egli si dimostrò insensibile alle mie parole e tentò per- no di respingermi. Alla ne, raccolsi una riga che avevo a portata di mano

e gli diedi un colpo sul braccio. Tremavo nel colpirlo; e credo ch’egli se ne sia accorto. Era un’esperienza completamente nuova per tutti loro. Il ragaz-zo si mise a urlare e mi supplicò di perdonarlo. Se gridava, non è perché il colpo gli avesse fatto male; avrebbe potuto, se avesse voluto, rendermi la pariglia perché era un ragazzo robusto di diciassette anni, solidamente co-struito. Ma egli capì quanto io soffrivo per essere stato ridotto (a ricorrere) a simili estremi. Dopo quest’incidente non mi disobbedì mai più. Mi pento ancora adesso di quest’atto di violenza. Temo di avergli mostrato, quel giorno, non lo spirito, ma il bruto che è in me.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 745

DEL SALARIO E DELLE RENDITE ANNUALI DEL MAESTRO E DEI SUOI DOVERI Vedendo i detti saggi che per nessun motivo e in nessuna occasione

sarebbe mai stato possibile in avvenire, avvalersi in modo conveniente e lecito delle rendite della loro Comunità per spenderle a bene cio suo e dei suoi membri per ni utili come quello sul quale è stato stabilito e deciso, che la detta Comunità, ad esclusione di ogni altra ragione o eccezione, debba, ogni anno, togliere dalla detta rendita della Foresta di Gravellona, o dalle sue altre dette rendite Lire duecento e otto denari al ne di poter assumere e rimunerare un Maestro di scuola, e altro che sarà

deliberato dal Consiglio e approvato dal Magistrato dei Magni ci Signori di Siena. E così hanno fatto i detti Saggi af nché delle rendite e dei pro- tti di questa Comunità si debba fare uso utile e bene co in pubblico e,

in particolare, allo scopo di bene istruire i gli di tutti, di allevarli bene e di insegnare loro le buone virtù, tanto della grammatica che dell’aritme-tica e della lingua volgare e cristiana. Il quale Maestro sia degno del suo compito e diligente nell’insegnamento ai detti bambini, e non esca dalla scuola il giorno in cui dovrà insegnare. E che egli insegni per un anno, e, se mancherà un solo giorno, lo debba recuperare. E gli sia data, oltre al detto salario, la casa pagata per il tempo in cui insegna, ed essa sia for-nita di tavoli e di banchi per i detti ragazzi af nché essi possano restarvi e scrivere e conservarvi i libri di lettura, e che, similmente, non manchi nessuna comodità necessaria alla vita quotidiana, come vasi sia di ter-raglia che di vetro o di legno. E sia inteso che questo è quanto bisogna

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Educazione, scienza, cultura 365

sempre dare, quando il Maestro sarà uno straniero; e, se non è straniero, se ha già preso qui dimora, gli sia dato solamente il salario o di più, come vorrà il Consiglio, e la casa pagata, e tale che egli vi possa insegnare e nient’altro. E non si venga meno (a questa norma).

Statuti rurali, Comunità degli uomini di Castel del Piano, 1571, Ita-lia. 746

Il sapere è l’eredità più preziosa Non lo si può portar via dal luogo in cui è in deposito; non può essere

distrutto dal fuoco; i più grandi re non potrebbero privarne quelli che sono incorsi nella loro collera; è (dunque) la sapienza che ognuno dovrebbe la-sciare in eredità ai propri gli. Non esiste altra vera ricchezza.

Naladyar, Circa III e IV secolo, epoca tangam, tradizione tamil. 747

La cultura intellettuale che ci ha istruiti per l’azione e ha addolcito i no-stri rapporti, che ha distinto le disgrazie provocate dall’ignoranza da quelle che provengono dalla necessità, che ci ha insegnato a evitare gli uni e a sopportare generosamente gli altri, è stata rivelata dalla nostra città.

Isocrate (436-338 a.C.), Panegirico, Atene. 748

Tendenze dittatoriali contrarie al progressoSermone pronunciato il 25 marzo 1831 (anniversario della Costituzio-

ne) dinanzi all’imperatore Pedro I, che abdicò l’anno seguente: Evidentemente le teorie dell’antico regime non erano più suf cienti a

facilitare il progresso intellettuale. Il monopolio ingiurioso di alcuni uomi-ni, la divisione ancora più ingiuriosa delle caste, che riduceva a diventare paria abbietti la parte più utile della società; l’odiosa disuguaglianza dei diritti non poteva più essere mantenuta sotto l’immenso fascio luminoso che allargava le vie della cultura. Fu giocoforza cedere a quest’urto vio-lento che doveva cambiare il centro di gravità politico, e consolidare le istituzioni civili su basi più valide, determinando le frontiere dell’autorità e i limiti dell’obbedienza.

Alverne Francisco de Monte, Brasile. 749

L’educazione è tutto L’uomo primitivo non è per natura né buono né cattivo; è semplicemente

un automa, la cui molla può essere messa in movimento con l’esempio, l’educazione e la bontà. Se Catone avesse visto la luce in mezzo ai satrapi della Persia, sarebbe morto sconosciuto, tra la folla dei vili schiavi. Se Newton fosse nato tra gli Indiani guaranì, non sarebbe stato null’altro che

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366 Il diritto di essere un uomo

un bipede nato povero; ma un Guaranì allevato da Newton avrebbe forse occupato il suo posto.

José Bonifacio de Andrada, Note per la Civilizzazione degli Indiani sel-vaggi dell’Impero del Brasile, 1823. 750

Disuguaglianza dell’intelligenza Non si può eliminare la disuguaglianza d’intelligenza, di luce, tra gli

individui della specie umana: è una conseguenza della natura e, al tempo stesso, dovuta allo stato della società; sarebbe nocivo frenare gli sforzi de-gli uomini superiori: ma (ed è il ne che ci si deve proporre nella società) è possibile fare in modo che – essendo tutti gli uomini istruiti su quanto devono sapere, preservati dagli errori a mezzo dell’educazione, al sicuro dai giochi di prestigio delle ciarlatanerie di ogni genere – la superiorità di cognizioni o del talento sia un vantaggio per coloro che la possiedono, sen-za che essi possano trovare in questa superiorità il mezzo di tenere gli altri sottomessi o di renderli vittime della loro abilità. Soprattutto facilitando l’istruzione con la semplicità e la linearità dei metodi, facendo nascere e forti cando l’abitudine di ricevere e di adottare nozioni chiare; si può rag-giungere questo scopo. L’assennatezza sarà allora suf ciente perché gli uo-mini non abbiano alcun vantaggio sensibile gli uni sugli altri nelle funzioni comuni della vita; poiché l’assennatezza, tra tutte le qualità, è quella che in uisce di più sui dettagli della condotta e quella che la natura ha diffuso più universalmente e più egualmente.

Nicolas de Condorcet, Vita di Turgot, 1786. 751

Istruzione contro oppressione Una volta aboliti l’esercito e la polizia, strumenti materiali del potere

dell’antico governo, la “Comune” assegnò a se stessa il compito di polveriz-zare lo strumento spirituale dell’oppressione, il potere dei preti; essa decretò la separazione della Chiesa dallo Stato [...]. La totalità degli istituti d’istru-zione fu aperta al popolo gratuitamente, e, al tempo stesso, furono liberati da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così, non soltanto l’istruzione veniva resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa veniva liberata dalle ca-tene di cui i pregiudizi di classe e il potere del governo l’avevano caricata.

Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871. 752

Formazione polivalente del lavoratore La grande industria impone la necessità di riconoscere la varietà del

lavoro e, di conseguenza, il maggior sviluppo possibile delle diverse attitu-dini del lavoratore quale legge della produzione moderna, e bisogna a ogni

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Educazione, scienza, cultura 367

costo che le circostanze si adattino al normale funzionamento di questa legge. È una questione di vita o di morte. Sì, la grande industria obbliga la società, sotto pena di morte, a sostituire all’individuo “frazionato” (nel lavoro), quello che deve subire le dif coltà derivanti dal frazionamento, con l’individuo integrale, che sappia tener testa alle esigenze più diverse dal lavoro e dia, in funzioni alternate, libero sfogo alla diversità delle sue capacità naturali o acquisite.

La borghesia, che, creando per i suoi gli le scuole politecniche, agronomiche, ecc., non faceva tuttavia altro che obbedire alle tenden-ze intime della produzione moderna, ha dato ai proletari solo l’ombra dell’insegnamento professionale. Ma se la legislazione di fabbrica, prima concessione strappata con era lotta al capitale, s’è vista costringere a combinare l’istruzione elementare, per quanto miserabile essa sia, col lavoro industriale, la conquista inevitabile del potere politico da parte della classe operaia introdurrà l’insegnamento della tecnologia, pratica e teorica, nelle scuole del popolo. È fuor di dubbio che simili fermenti di trasformazione avranno, come termine nale, la soppressione dell’antica divisione del lavoro [...].

Ne sutor ultra crepidam! Ciabattino, non andar oltre la tua ciabatta! Questo nec plus ultra della saggezza del mestiere e della manifattura, di-venta demenza e maledizione il giorno in cui l’orologiaio Watt scopre la macchina a vapore, il barbiere Arkwright il telaio continuo (per tessitura) e l’ore ce Fulton il battello a vapore.

Karl Marx, Il Capitale, 1867. 753

Macchina e umanità L’era delle macchine: lo scopo importa meno della velocità. Karel apek (1890-1938), scrittore ceco. 754

Quel che disapprovo è il “fanatismo” per le macchine, non le macchine in sé. Ci entusiasmiamo per le macchine che economizzano la mano d’opera; lo fanno no al giorno in cui migliaia di uomini si trovano senza lavoro e vengono buttati in strada per morirvi di fame. Io voglio risparmiare il tempo e la pena, non di una frazione dell’umanità, ma dell’umanità intera; auguro la concentrazione delle ricchezze, non tra le mani di un piccolo numero (di per-sone), ma tra le mani di tutti. Oggi le macchine aiutano semplicemente alcuni uomini a sfruttarne milioni d’altri. La forza che sta dietro a tutto questo non è il desiderio lantropico di economizzare il lavoro degli uomini, è l’attrattiva del guadagno. Contro questo stato di cose io lotto con tutte le mie forze.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 755

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368 Il diritto di essere un uomo

Zu-Kong domandò: “Se dappertutto qualcuno distribuisse i bene ci fra il popolo e sapesse così soccorrere la moltitudine, che cosa pensereste di costui? Si potrebbe dire che possiede la virtù d’umanità (che consiste nell’amare gli uomini)?”.

Il maestro rispose: “Costui non possiede soltanto la virtù d’umanità, ma per no, necessariamente, la santità. Yao e Chuen stessi avevano dif coltà a giungervi. Colui che possiede la virtù d’umanità vuole rinfrancare se stesso e in seguito gli altri uomini; egli vuole capire se stesso e, in seguito, fare in modo che essi comprendano se stessi. Saper partire da esempi molto vicini (per estendersi lontano), ecco l’arte richiesta dalla virtù d’umanità”.

Confucio (551-479 a.C.), Conversazioni, Cina. 756

È lui (il maestro) che (dà) la vita (al bambino) dal punto di vista dell’i-struzione. È la nascita migliore: la madre e il padre danno la vita solo al suo corpo.

Apastamba-Dharmasûtra, I, V-VI sec. a.C., tradotto dal sanscrito. 757

Vera nobiltà del discepoloPoi andò a trovare Gotama, glio di Haridrumat e disse: “Io voglio con-

durre, sotto la tua guida, la vita di colui che cerca la conoscenza sacra, o venerato maestro; posso io diventare uno dei tuoi discepoli, o venerato ma-estro?”. Egli (Gotama) gli domandò: “Dimmi, di che famiglia sei?”. Egli rispose: “Non so, signore, di quale famiglia sono. L’ho domandato a mia madre; ella mi ha risposto: “Ti ho avuto quand’ero giovane e andavo un po’ dappertutto a lavorare come domestica. Non so quindi di che famiglia tu sia. Ma io mi chiamo Jabala e tu Satyakâma”. “Signore, io sono quindi Satyakâma Jabala”. Egli (Gotama) gli disse allora: “Solo un vero bramino poteva parlare così (tanto francamente). Portami di che mantenere il fuoco, io ti inizierò. Tu non ti sei allontanato dalla verità”.

Chândogya-Upanishad (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 758

Falsa e vera superioritàPoiché esistono, in queste quattro classi, o Vâsettha, allo stesso tempo e

difetti e qualità, (rispettivamente) disprezzati e ammirati dai saggi, mentre i bramini pretendono che: “La classe dei bramini è la migliore, le altre sono inferiori; solo la classe dei bramini è luce, le altre sono tenebre; solo i bramini sono di razza pura, al contrario dei non-bramini; solo i bramini sono i gli legittimi di Brahma, nati dalla sua bocca, rampolli di Brahma, creati da Brahma ed eredi di Brahma”, questa pretesa è respinta dai saggi. Perché? Perché, o Vâsettha, chiunque, appartenendo all’una o all’altra di

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Educazione, scienza, cultura 369

queste quattro classi, divenga un Bhiksu, un Arhant, un essere le cui tare sono state cancellate, che ha vissuto la vita, che ha fatto tutto ciò che vale la pena di essere fatto, che ha portato il fardello, che ha guadagnato la sua salvezza, che non è più obbligato a rinascere e che si è riscattato a causa della sua conoscenza perfetta, costui è proclamato il primo di tutti.

Dîghanikâya, IV (III sec. a.C.), tradotto dal pali. 759

Parlerò [...] della riunione dei sapienti del globo in una repubblica uni-versale delle scienze, la sola il cui progetto e la cui utilità non siano una puerile illusione.

Nicolas de Condorcet, L’Atlantide, 1794. 760

Il sapere e il nutrimento; il sapere e la medicina;gioia, poesia, libertà

“Sviluppo” a mezzo della scuola Che i cinque meù di terra che circondano la casa del contadino siano

piantati a gelsi, e tutte le persone di più di cinquant’anni potranno essere vestite di seta. Si allevino e si nutrano i volatili, cani e porci, secondo le stagioni, e nessuna persona di più di sette anni mancherà di carne. Con cento meù – se le lasciate la possibilità di coltivarli – una famiglia di otto persone non conoscerà la fame. Che la scuola non sia trascurata e che il popolo vi impari i princìpi della pietà liale e del rispetto fraterno, e non si vedranno più sulle strade degli uomini dai capelli bianchi portare pesanti carichi. Quando i vecchi sono vestiti di seta e mangiano carne, quando la popolazione non soffre né fame né freddo, mai il signore di un simile po-polo ha mancato di diventare re.

Mencius (372-289 a.C.), Cina. 761

Sino alla ne delle Tre Dinastie vi fu una legge. Dopo le Tre Dinastie, non ve n’è più. E perché mai? perché i due imperatori e i tre re, sapendo che gli uomini non possono fare a meno di nutrirsi, hanno dato loro dei campi da coltivare. Sapevano che gli uomini non possono andare senza vestiti, e per conseguenza hanno dato loro delle terre per coltivarvi il gelso e la canapa. Sapevano pure che gli uomini non possono restare senza istru-zione: così aprirono delle scuole, istituirono la cerimonia del matrimonio per impedire la licenza dei costumi, e il servizio militare per lottare contro i disordini. Tale fu la legge no alla ne delle Tre Dinastie: essa non ebbe mai per scopo il pro tto di un solo uomo.

Huang Tsung-hsi, Ming-tai-fang lu (XVII sec.), Cina. 762

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370 Il diritto di essere un uomo

Se si desidera una pace durevole bisogna prendere delle misure allo sco-po di migliorare la sorte delle masse. Bisogna che, nell’insieme del genere umano, la fame e l’oppressione lascino il potere alla prosperità.

Kemal Atatürk, 1937. 763

Se dai un pesce a un uomo, si nutrirà una volta Se gli insegni a pescare, mangerà tutta la vita.

Se i tuoi progetti valgono un anno, semina del grano. Se valgono dieci anni, pianta un albero. Se valgono cent’anni, istruisci il popolo. Seminando una volta grano, raccoglierai una volta. Piantando un albero, raccoglierai dieci volte.Istruendo il popolo, raccoglierai cento volte.

Kuan-Tzu (VII sec. a.C.), Cina. 764

GIURAMENTO DI IPPOCRATE (460-377 a.C.) Divenuto obbligatorio in numerosi paesi, con qualche variante, per tutti

coloro che stanno per intraprendere la professione medica: “Giuro per Apollo medico, per Esculapio, per Igea e Panacea, per tutti

gli dei e tutte le dee, prendendoli quali testimoni, che osserverò, secondo le mie forze e la mia capacità, il giuramento e l’impegno seguente: Consi-dererò il mio maestro di medicina alla stregua degli autori dei miei giorni, dividerò con lui il mio avere, e, se del caso, provvedere alle sue necessi-tà; considererò i suoi gli come fratelli e se essi desiderano imparare la medicina, gliela insegnerò senza compenso né impegno (da parte loro). Trasmetterò i precetti, le lezioni orali e il resto dell’insegnamento ai miei gli, a quelli del mio maestro e ai discepoli legati da un impegno e da un

giuramento secondo la legge medica, ma a nessun altro.“Fisserò il regime degli ammalati a loro vantaggio, secondo le mie forze

e il mio giudizio, e mi asterrò da ogni male e da ogni ingiustizia. Non con-segnerò a nessuno del veleno, se me lo chiedono, né prenderò l’iniziativa di un simile consiglio; e parimenti non consegnerò a nessuna donna un pessario abortivo. Trascorrerò la mia vita ed eserciterò la mia arte nell’in-nocenza e nella purezza. Non praticherò l’operazione della cistotomia. In qualsiasi casa io entri, entrerò per l’utilità degli ammalati, astenendomi da ogni bassa azione, volontaria e corruttrice, e soprattutto dal sedurre donne e ragazzi, liberi o schiavi. Qualunque cosa io veda o senta nella società durante l’esercizio della mia professione e per no al di fuori di essa, tacerò

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Educazione, scienza, cultura 371

quello che non ha mai bisogno di essere divulgato, considerando la discre-zione come un dovere in simili casi.

Se io adempio a questo giuramento, mi sia dato di godere felicemente della vita e della mia professione, sempre onorato dagli uomini; se invece lo violo e mi rendo spergiuro, possa io aver sorte contraria”. 765

L’obbligo del sapere Un medico che ignori le virtù delle piante e, conoscendone solo qual-

cuna, non studia per imparare quelle di tutte, non sa nulla di nulla, o almeno ben poca cosa. Bisogna dunque, per meritare la quali ca che egli si dà, che abbia conoscenza di tutte le erbe, sia nocive che vantaggiose.

Blas Valera, citato da Garcilaso de la Vega (inizio XVII sec.), Perù. 766

Delitto medico e valore disuguale della vita umana Un uomo che prepara pozioni senza essere versato nella medicina o nel-

la pratica degli incantesimi, che ignora tutto dei sintomi delle malattie e che tuttavia chiede denaro al malato, deve essere trattato come un ladro; è un mentitore. Se prescrive una pozione a un servo e se costui non guarisce e nisce per morire, la multa sarà ssata a 4.600. Se prescrive una pozione a

un uomo (importante) e quest’uomo non guarisce e muore, la multa sarà di 10.000. Se prescrive una pozione a un bramino e se il bramino non guarisce e muore, la multa sarà di 20.000.

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 767

Sviluppo medico e agricolo Il re Priyadarsin, il prediletto degli dei, ha istituito ovunque due forme

di assistenza medica, cioè le cure mediche per gli uomini e (quelle) per gli animali. Piante medicinali utili, le une all’uomo, le altre agli animali, sono state importate e piantate dappertutto dove mancavano. Analogamente, sono stati importati tuberi e frutti, e piantati dappertutto dove mancavano. Sono stati piantati degli alberi lungo le strade e scavati dei pozzi a uso degli uomini e degli animali.

Editto di Ashoka, Roccia II (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 768

Lungo le strade ho piantato alberi per offrire ombra agli uomini e agli ani-mali. Sono stati piantati dei manghi. A ogni mezza krosa ho fatto scavare un pozzo; sono state costruite case per riposarvi la notte. Sono state approntate, in diversi luoghi, numerose cisterne per gli uomini e per gli animali.

Editto di Ashoka. Pilastro VII (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 769

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372 Il diritto di essere un uomo

Il saggio domandò allo Spirito della Saggezza: “Qual è il compito degli imprenditori, degli artigiani?”.

Lo Spirito della saggezza rispose: “Ecco il compito degli artigiani. Se si tratta di un lavoro che non conoscono, essi si astengono dall’intrapren-derlo; se si tratta di un lavoro che conoscono bene, lo eseguano con cura e chiedano un giusto compenso. Perché colui che si ostina a compiere un lavoro che non sa fare, lo sciupa e lo rende inutile; se, per giunta, è soddi-sfatto del suo lavoro, questo diventa per lui per no un motivo di peccato”.

Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 770

EducazioneConviene trattar bene la propria moglie e i propri gli, e non trascurare

la loro educazione. Infatti, colui che non tratta bene moglie e gli e trascura la loro educazione, è sempre nell’af izione e il suo cibo ha per lui meno sapore.

Dênkart (IX sec.), Persia. 771

Prosperità “O creatore del mondo dei corpi, o santo!Qual è, in secondo luogo, l’angolo della terra in cui vi è maggior gioia?”.Ahura Mazda rispose:“È là dove un fedele innalza una casa con sacerdote, con bestiame, don-

na, gli e con un bel gregge; e che poi, in questa casa, cresca il bestiame e la virtù; aumentino le provviste (il foraggio), cresca il cane, ingrassi la moglie, cresca il glio, aumenti il fuoco, crescano tutte le cose buone della vita”.

Avesta Vendidad, I sec. d.C. Persia. 772

Grande verità, un ordine morale potentissimo, iniziazione sacri cale, penitenza, Brahma e sacri cio: ecco ciò che sostiene la terra. Possa la terra, padrona del nostro passato e del nostro avvenire, offrirci un vasto spazio! Senza il quale vi sarebbe super popolazione tra gli uomini; possa la terra, segnata da un gran numero di altitudini, di chine e di pianure, e dove crescono piante dalle molteplici virtù, estendersi e fornirci il nostro nutrimento! Essa che contiene il mare e anche i umi e le acque, dove vengono prodotti gli alimenti ed i raccolti, dove si muove tutto ciò che respira e agisce, possa questa terra accordarci per la prima volta e cibo e bevanda!

Atharvaveda, XII (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 773

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Educazione, scienza, cultura 373

Conoscenza immediata attraverso la vita Il personaggio principale della commedia, Adamo, trasformato in Ke-

plero, si risveglia da un sogno in cui ha visto la Rivoluzione francese. ADAMO

Giorno verrà, e io te l’ho già detto, in cui si riderà di tutto questo! L’uomo di Stato che si diceva grande, il pensatore ortodosso di cui era vantata l’infallibilità, saranno dai posteri considerati dei Commedianti. La grandezza vera allora apparterrà al naturale, alla semplicità, che marciano dritto, non fanno salti, se non per superare ostacoli imprevisti, e che non tracciano vie nuove se le vecchie non scompaiono. E, quel giorno, la Scienza, complicata, inestricabile sì da render pazzo chi la vuol penetrare, ogni uomo la capirà senza doverla imparare.… … …Butta nel fuoco queste pergamene ingiallite, questi in-folio coperti di muffa che ci fanno obliar come si marcia, ossia come si pensa, e che diffondono nel nostro tempo gli errori e i vizi dei secoli passati. Buttali al fuoco e poi va a respirare l’aria pura, invece di ricercare in scritti polverosi, tra i muri malsani d’una stanza, che cosa è il canto, come l’uccello è fatto, oppure in che consiste una foresta. La vita è forse secondo te sì lunga Che è possibile no alla tomba Studiarne senza n la teoria? Diciamo addio, tutti e due, alla scuola. La tua giovinezza in ore, in mezzo ai canti, e il sole, ti conducano alla gioia!

Imre Madách (1823-1864), La tragedia dell’uomo, scena IX, Unghe-ria. 774

LA VOCAZIONE DEL POETA Discorso pronunciato per l’84° anniversario della morte del poeta

Aleksandr Sergeevi Puškin Fin dall’infanzia, un nome gioioso rimane nella nostra memoria: è quel-

lo di Puškin. Questo nome, questo suono ero è bastato a riempire molti

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374 Il diritto di essere un uomo

giorni della nostra via. Pesanti sono i nomi degli imperatori, dei grandi ca-pitani, degli inventori di strumenti d’assassinio, dei carne ci e dei martiri della vita. Accanto a essi, c’è questo nome leggero: Puškin.

Puškin ha saputo portare con leggerezza e con allegria il suo solenne far-dello, e nondimeno il ruolo del poeta non è né allegro né facile: è tragico. Puškin ha recitato la sua parte con un ritmo largo, sicuro e libero, come un grande maestro; e tuttavia il nostro cuore si stringe spesso al pensiero di Puškin; la marcia trionfale e gioiosa del poeta che non poteva dar fastidio al mondo esteriore, quella marcia è stata troppo spesso intralciata dall’in-tervento di individui ottusi per i quali una marmitta è più preziosa di Dio.

… … …Che cosa è un poeta? Un uomo che scrive versi? Evidentemente no. Non

si chiama poeta perché scrive dei versi; ma scrive in versi, cioè mette in armonia le parole e i suoni, perché è un glio dell’armonia, un poeta.

Che cosa è l’armonia? L’armonia è l’accordo delle forze universali, l’ordine della vita universale. L’ordine è il Cosmos, opposto al disordine, il caos. Dal caos, insegnavano gli antichi, nacque il Cosmos, la pace. Il Cosmos è parente del caos come le onde regolari del mare lo sono degli sconvolgimenti dell’oceano. Un glio può essere diverso da suo padre in tutto, ad eccezione di un tratto nascosto; ma questo tratto fa sì che il glio rassomigli a suo padre.

Il caos è l’anarchia elementare primitiva; il Cosmos, l’armonia orga-nizzata, la cultura; dal caos nacque il Cosmos; l’elemento contiene in sé i germi della cultura; dall’inorganico è nata l’armonia.

La vita universale è una creazione perpetua di nuove forme. Esse sono cullate dal caos inorganico; si ingrandiscono e vengono selezionate sot-to l’in uenza della cultura; l’armonia dà loro dei contorni; poi questi si smorzano di nuovo nella nebbia dell’inorganico. Il signi cato di questo movimento è incomprensibile; la sua essenza è oscura; noi ci consoliamo all’idea che la nuova forma è migliore dell’antica, ma il vento spegne quel-la debole candela con la quale noi tentiamo di rischiarare la notte universa-le. L’ordine del mondo è spaventoso: è glio del disordine e non coincide necessariamente con le nostre idee sul male e sul bene.

… … …Il poeta è glio dell’armonia, gli viene assegnato un ruolo nella cultura

universale. Gli incombono tre compiti: egli deve per prima cosa liberare i suoni

dall’elemento primitivo inorganico in cui essi si trovano, deve poi metterli in armonia, dar loro una forma; in ne deve introdurre quest’armonia nel mondo esteriore.

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I suoni strappati alla materia elementare e tradotti in armonia esercitano essi stessi un’azione quando vengono introdotti nel mondo. “Le sue parole, sono gli atti del poeta!”.

… … …Nelle profondità insondabili dello spirito, là dove l’uomo cessa di essere

uomo, nelle profondità inaccessibili allo Stato e alla Società creati dalla ci-viltà, battono delle onde sonore, simili alle onde dell’etere che circondano l’universo; là si creano dei ritmi e degli ondeggiamenti simili ai movimenti da cui nascono le montagne, i venti, le correnti del mare, il mondo vegetale e animale.

Questa profondità dello spirito è dissimulata dai fenomeni del mondo esterno. Puškin dice che è inaccessibile al poeta, forse più che a ogni altro; “e tra i vani gli di questo mondo, il più vano è senza dubbio lui”.

Ma il primo compito imposto al poeta dal servizio che egli deve rendere è quello di respingere “le preoccupazioni di un mondo vano” per staccare i rivestimenti esterni, al ne di scoprire la profondità. Questa esigenza lo strappa alla vanità.

Egli sen fugge, rustico e severo, pien di musica l’alma e di tumulto, n sulle rive al ume solitario, in mezzo delle querce al gran sussurro.

Selvaggio, severo, pieno di tumulto, perché la scoperta della profondità spirituale è dif cile quanto il parto. Verso il mare e la foresta, perché sol-tanto là, egli può raccogliere tutte le sue forze e mettersi in comunione col “caos originale”, l’elemento primordiale, che produce le onde sonore.

L’opera misteriosa è compiuta: il velo è sollevato, la profondità scoper-ta, il suono accolto nell’anima. La seconda esigenza di Apollo consiste in questo: il suono tratto dalle profondità ed estraneo al mondo esterno deve essere introdotto nella forma percettibile e solida della parola; i suoni e le parole devono formare un’armonia unica. È un’opera di padronanza. La padronanza tecnica esige l’ispirazione, come anche la comunione col “caos originale”; “l’ispirazione – ha detto Puškin – è lo stato d’animo disposto a ricevere, nel modo più vivo, le impressioni e le idee, e perciò penetrarne il signi cato”. Non è dunque possibile ssare un limite qualsiasi tra la prima e la seconda azione del poeta; l’una è completamente legata all’altra; più si sollevano veli e più intensa la comunione col caos; più dif cile è la nascita del suono e più questo tende ad assumere una forma chiara, e più implaca-bilmente perseguita l’orecchio umano, alla ricerca dell’armonia.

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Viene il momento della terza azione del poeta; i suoni accolti nell’anima armonizzati devono essere introdotti nel mondo. È allora che si produce l’urto tra il poeta e la plebe.

È forse possibile che sia mai stato chiamato plebe il semplice popolo? Solo coloro che sono degni di questo nome hanno potuto applicarlo al po-polo. Puškin raccoglieva canzoni popolari, scriveva in stile popolare; la creatura più vicina a lui era la sua nutrice contadina. Bisogna quindi essere bestie o cattivi per pensare che col termine plebe Puškin abbia voluto desi-gnare il popolo dei semplici. Un lessico di Puškin ce lo chiarirà posto che la cultura russa rinasca.

Col nome di plebe, Puškin indicava gli individui molto simili a quelli che oggi noi condanniamo. Egli univa spesso a questo sostantivo l’epiteto di “mondana”, dando così un nome collettivo a quell’aristocrazia cortigia-na che non aveva nulla nell’anima, se non dei titoli nobili rei. Ma, già per Puškin, la plebe era innanzi tutto la burocrazia. Questa burocrazia è la no-stra plebe, quella di ieri e di oggi; non la nobiltà, né il popolo; non le bestie, né i blocchi di terra, né i lembi di nebbia, né i frammenti di pianeta, né i de-moni, né gli angeli. Se si mette da parte la particella “né”, si può dire di essi una sola cosa: sono delle persone. Non è molto lusinghiero; delle persone, degli affaristi e dei buoni a nulla, la cui profondità spirituale è per sempre ricoperta, sotterrata, colmata dalle “preoccupazioni di un mondo frivolo”.

… … …La plebe, come d’altronde le altre categorie sociali, progredisce solo

molto lentamente. È questa la ragione per cui, nonostante lo sviluppo mo-struoso del cervello umano, che si è veri cato nel corso degli ultimi secoli, non si è riusciti a staccare dallo Stato che un solo organismo, la censura incaricata di mantenere l’ordine di un universo che si esprime in forme di Stato. Essi non hanno potuto così paralizzare altro che la terza funzione del poeta, quella che consiste nell’introdurre l’armonia nel mondo: essi avreb-bero potuto trovare un mezzo per avvelenare le sorgenti stesse dell’armo-nia. Da che cosa sono stati trattenuti? Mancanza d’intuizione, timidezza, coscienza? È impossibile saperlo. Ma, d’altronde, sono forse essi in questo stesso momento alla ricerca di questi mezzi?

… … …In un giorno consacrato alla memoria di Puškin, non staremo a discu-

tere se egli ha distinto bene la libertà che noi chiamiamo personale, dalla libertà che noi chiamiamo politica. Sappiamo che egli chiedeva una libertà “diversa”, “misteriosa”. Per noi, essa è “personale”; ma per il poeta non è soltanto la libertà personale:

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Non rendere conto a nessuno. Servire e piacer solo a se stessi. Dinanzi alle livree, dinanzi alla potenza, Non inchinare né collo né coscienza. Passeggiare ovunque a piacimento, godendo le bellezze divine del creato, le creazioni dell’arte e dell’ispirazione. Annegare in silenzio in teneri trasporti. Ecco la felicità! Ecco i diritti...

Questo egli ha detto alla vigilia della morte. Nella sua giovinezza, Puškin diceva analogamente:

L’amore e la libertà misteriosa ispirano un inno semplice al mio cuore.

Questa libertà misteriosa, questo capriccio [...] non è affatto la libertà privata, ma qualcosa di molto più grande, direttamente legata a quei due primi compiti che Apollo impone al poeta. Tutto ciò che i versi di Puškin enumerano, non è altro che la condizione per la liberazione dell’armonia. Permettendo che lo si disturbasse nella terza funzione, la prova dei cuori da parte dell’armonia, Puškin non poteva lasciarsi controllare nelle altre due: neppure quelle sono personali.

… … …Puškin è morto. Ma “per i bambini, i Poeti non muoiono”, ha detto

Schiller. E neppure Puškin è stato ucciso dalla palla di Dantès. È morto per mancanza d’aria. Con lui è morta la cultura.

È tempo, amica mia! Ci occorre riposo.

Sono i sospiri di Puškin prima della morte, e anche i sospiri della cultura dell’epoca di Puškin.

Questo mondo non ha felicità ma conosce pace e libertà.

La pace e la libertà sono indispensabili al poeta per la liberazione dell’armonia. Ma si possono anche togliere. Non la felicità esterna, ma la felicità creatrice. Non la libertà infantile, la libertà di fare del liberalismo, ma libertà creatrice, la libertà segreta. E il poeta muore perché non può più respirare; la vita ha perso il suo signi cato.

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Gli onesti funzionari, che impediscono al poeta di mettere alla prova il cuore per mezzo dell’armonia, saranno conosciuti per sempre col nome di plebe. Ma avranno dato fastidio al poeta solo nella sua terza funzione. La prova del cuore di Puškin a mezzo della poesia è già avvenuta, senza di loro, in tutta la sua ampiezza.

Ci auguriamo che siano risparmiati da un nome mille volte peggiore quei funzionari che vogliono spingere la poesia in una determinata direzio-ne, attentando alla sua libertà interiore e impedendole di compiere la sua misteriosa missione.

Aleksander Blok, 11 febbraio 1921, Unione Sovietica. 775

Permetti, o Signore, che io scopra oggi, grazie alle mie conoscenze, ciò che ignoravo ieri; perché l’arte non ha ne, e la mente dell’uomo progre-disce sempre più.

Maimonide, Preghiera medica, XII secolo. 776

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SCHIAVITÙ E VIOLENZA

La schiavitù contraria alla natura umana

L’uomo e la forza La forza è ciò che fa, di chiunque le è soggetto, una cosa. Quando viene

esercitata no alla ne, fa dell’uomo una cosa, nel senso più letterale (del termine), poiché ne fa un cadavere. C’era qualcuno, e, un istante più tardi, non c’è più nessuno [...].

Dal potere di trasformare un uomo in cosa facendolo morire, deriva un altro potere, ben diversamente prodigioso, quello di trasformare in cosa un uomo che rimane vivo. E vivo ha un’anima; e tuttavia è una cosa. È ben strana una cosa che ha un’anima; strano stato per l’anima. Chi potrà dire quanto le occorre, in ogni momento, per conformarvisi, per torcersi e piegarsi su se stessa? Essa non è fatta per abitare in una cosa; quando vi è costretta, non esiste più nulla in lei che non soffra violenza [...].

Così la violenza schiaccia ciò che tocca. Essa nisce per apparire al di fuori di colui che la maneggia come di colui che la subisce; allora nasce l’i-dea di un destino sotto il quale i carne ci e le vittime sono ugualmente in-nocenti, i vincitori e i vinti (sono) fratelli nella stessa miseria. Il vinto è una causa di disgrazia per il vincitore, come il vincitore (lo è) per il vinto [...].

Occorre, per rispettare la vita negli altri quando ci si è dovuti mutilare se stessi di ogni aspirazione a vivere, uno sforzo di generosità (così grande) da spezzare il cuore [...]. In mancanza di questa generosità il soldato vincitore è come un agello della natura; posseduto dalla guerra, è divenuto come lo schiavo, una cosa, benché in modo completamente diverso, e le parole non hanno potere su di lui come non ne hanno sulla materia. L’uno e l’altra, al contatto con la materia, ne subiscono l’effetto infallibile, che consiste nel rendere coloro ch’essa tocca o muti o sordi [...].

Tale è la natura della forza. Il potere che essa possiede di trasformare gli uomini in cose è duplice, e si manifesta da due parti; essa pietri ca in modo diverso, ma ugualmente sia le anime di coloro che la subiscono che di coloro che la maneggiano [...].

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380 Il diritto di essere un uomo

Checché ne sia, questo poema (L’Iliade) è una cosa miracolosa. In esso l’amarezza verte sulla sola giusta causa di amarezza, la subordinazione dell’anima umana alla forza, cioè, in n dei conti, alla materia. Questa subordinazione è la stessa per tutti i mortali, benché l’anima la subisca in modo diverso secondo il grado di virtù. Nessuno, nell’Iliade, vi si sot-trae, così come nessuno vi si sottrae sulla terra. Nessuno di coloro che vi soccombono è per questo considerato disprezzabile? Tutto ciò che, all’interno dell’anima e nelle relazioni umane, sfugge all’impero della forza, è amato, ma amato dolorosamente, a causa del pericolo di distru-zione che continuamente incombe. Questo, lo spirito della sola vera epo-pea che abbia l’Occidente [...]. Nulla di ciò che hanno prodotto i popoli d’Europa vale il primo poema conosciuto che sia apparso presso uno di essi. Ritroveranno forse il genio epico quando sapranno credere che nulla è al riparo della sorte, sapranno non ammirare mai la forza, non odiare i nemici e non disprezzare i disgraziati. È molto dubbio che ciò possa accadere presto [...].

Colui che ignora a qual punto la fortuna variabile e la necessità tenga-no alle loro dipendenze ogni anima umana non può considerare simili né amare come se stesso coloro che il caso ha separato da lui con un abisso. La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l’illusione che vi siano in mezzo a loro delle specie distinte che non possono comu-nicare. Non è possibile amare ed essere giusto se non si conosce l’impero della forza e se non si sa rispettarlo.

Simone Weil, L’Iliade o il poema della forza, 1939-1940. 777

Schiavitù e dignità dell’uomo Ecco quel che prescrive l’ordine naturale, ecco l’uomo quale Dio l’ha

creato. Poiché Egli disse: “Ch’egli domini sui pesci del mare, gli uccelli del cielo, e sui rettili che strisciano al suolo” (Gen. I, 26). Egli ha dunque vo-luto che l’essere ragionevole, fatto a Sua immagine, dominasse solo sugli esseri ragionevoli, e non l’uomo sull’uomo, ma l’uomo sulla bestia. Ecco perché i primi giusti erano assegnati quali pastori di pecore piuttosto che come re degli uomini, poiché Dio voleva con questo suggerirci ciò che, da una parte, reclama l’ordine della natura, e dall’altra, esige la sanzione del peccato. È infatti con ragione che si considera la condizione servile come imposta al peccatore. Invero, non troviamo in nessun punto della Sacra Scrittura la parola schiavo prima che il giusto non l’abbia usata per rimpro-verare la colpa di suo glio. (Gen., IX, 25-26). È dunque la colpa che ha meritato questo nome, e non la natura.

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Schiavitù e violenza 381

Quando cesserà il “dovere di comandare” Il vero padre di famiglia (pater familias) ha cura di tutti i membri della

sua casa come ha cura dei suoi gli, allo scopo di onorare e servire Dio, col vivo desiderio di giungere alla casa celeste dove cesserà il dovere di co-mandare a dei mortali, perché non ci sarà più bisogno di vegliare su coloro che godranno ormai dell’immortalità. Nell’attesa, i padri devono sopporta-re maggiormente di comandare che non i servi di obbedire.

Sant’Agostino (354-430), La città di Dio. 778

Noi dobbiamo trattare gli schiavi come noi stessi. Perché essi sono uo-mini (in tutto) proprio come noi. E in verità, siamo tutti uno, sia per la natura, che per la fede e per il giudizio che attendiamo.

Lettera di Isidoro di Pelusio (V sec.), monaco egiziano. 779

In generale, la schiavitù non è che un effetto del peccato. Solo l’avarizia e l’insaziabilità ne sono la fonte.

San Giovanni Crisostomo (circa 354-407), Omelia. 780

LA GENESI ALTO-TEDESCA Cam è stato per suo delitto La prima origine de’ servi. Prima erano tutti uomini Uguali, franchi e gentiluomini.

La Genesi (circa 1065), manoscritto del XVI sec., alto-tedesco. 781

I Giudei chiesero a Samuele di dar loro un re; Samuele rispose loro:Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri

gli per destinarli ai propri carri e ai propri cavalli, perché corrano innanzi al suo carro; per usarli come capi di 1.000, capi di 100 e capi di 50; perché arino la sua aratura e mietano la sua messe; perché fabbri-chino armi da guerra e arnesi per i suoi carri. Prenderà anche le vostre glie come profumiere, cuciniere e panettiere. Prenderà il meglio dei

vostri campi, delle vostre vigne e dei vostri oliveti e li darà ai suoi servi. Sulle vostre sementi e sui redditi delle vostre vigne preleverà le decime e le darà ai suoi servi. Prenderà i vostri schiavi e le vostre schiave, come il meglio del vostro bestiame grosso e i vostri asini, e li adopererà nei suoi lavori. Preleverà la decima dal vostro bestiame minuto e voi stessi diventerete suoi schiavi!

Bibbia ebraica, Primo libro di Samuele, 8. 782

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382 Il diritto di essere un uomo

La schiavitù contraria al cristianesimo È cosa talmente inaudita che bisogna farla conoscere pubblicamente

a tutta la cristianità, che vi è grande ingiustizia quando ci si insuper-bisce davanti a Dio al punto di prendersi la licenza di dire a un altro uomo, che Dio ha tuttavia a così caro prezzo riscattato e redento: Tu mi appartieni. È questo un comportarsi da pagano. Dio stesso lo conferma: i suoi discepoli erano gli uni di elevate condizioni sociali, gli altri po-vera gente, e taluni s’inorgoglivano nel loro cuore. Ma Cristo conobbe il loro cuore e disse: Colui tra voi che vuole innalzarsi al di sopra degli altri sarà servo di voi tutti. È volontà di Dio che noi siamo tutti eguali. Chi è battezzato e crede, sarà salvato; nessuno, nel Regno dei Cieli ha maggior libertà di un altro. Ciascuno dunque sappia ormai quale impor-tanza, bisogna dare a colui che osa dire: Tu mi appartieni. Costui non è un cristiano. E se egli non desiste, per rendere a Dio l’onore che Gli è dovuto, bisogna, come a un pagano, togliergli ciò che possiede (oppure: considerarlo come un pagano) perché egli si oppone a Cristo e i coman-damenti di Dio non hanno potere su di lui.

Riforma dell’imperatore Sigismondo (XV sec.) 783

Sugli indiani: “In molte cose, essi sono superiori ai cristiani, perché vi-vono moralmente meglio e hanno maggior rispetto per la legge della na-tura”.

Manoel da Nobrega, Lettera da Bahia, 1549. 784

Indiani o Negri sono tutti uomini Secondo la sentenza pronunciata dal Supremo Pastore della Chiesa, che

ha giudicato la causa, è detto [...] che essi (gli Indiani) sono veri esempi della razza umana e veri uomini come noi, degni di ricevere i sacramenti della Santa Chiesa, liberi per natura e padroni dei loro beni e delle loro azioni.

S. de Vasconcelos, Cronaca della Compagnia di Gesù dello Stato del Brasile, 1663. 785

Come potrebbe esistere una costituzione liberale e durevole in un paese continuamente abitato da una folla di schiavi e di nemici?

Se i Negri sono uomini come noi, se non costituiscono una specie di animali grossolani, se sentono e pensano come noi, quale quadro di dolore e di miseria presentano all’immaginazione di qualunque uomo sensibile e cristiano?

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Schiavitù e violenza 383

Gli apologeti della schiavitù citano i Greci e i Romani, senza rendersi conto che tra i Greci e i Romani, i princìpi eterni del diritto naturale non erano ancora né ben sviluppati, né ben stabiliti.

José Bonifacio de Andrada, Discorso all’Assemblea Costituente sull’a-bolizione della schiavitù, 1823. 786

Limiti della sottomissione al diritto L’autore, durante il suo viaggio, incontra un vecchio amico giudice che

gli racconta la seguente storia:Un uomo di umile origine, innalzatosi al rango di assessore, diventa

padrone di parecchie centinaia di contadini, ch’egli sfrutta e tiranneggia. uno dei suoi due gli prepara il ratto di una giovane contadina per violarla, il giorno stesso delle sue nozze. Scoppia una rivolta dei contadini contro i padroni: il padre e i due gli vengono uccisi.

(…)“Tutti gli uomini nascono uguali in questo mondo. Tutti hanno un

corpo formato degli stessi elementi, tutti sono dotati di ragione e di volontà. Al di fuori dei suoi rapporti con la società, l’uomo è dunque, nei suoi atti, un essere assolutamente indipendente. Ma egli riduce da se stesso la propria libertà d’azione, accetta di non agire in tutto uni-camente secondo il proprio beneplacito, e si sottomette agli ordini dei suoi simili; in una parola, egli diventa cittadino. Per quale ragione egli domina le sue passioni? Perché colloca al di sopra di sé un’autorità superiore? Perché, pur essendo libero di agire a suo piacimento, si co-stringe a vivere tra i limiti dell’obbedienza? Nel suo interesse, gli dirà la ragione; nel suo interesse gli dirà la coscienza; nel suo interesse gli dirà una saggia legislazione. Di conseguenza, ovunque non è suo in-teresse d’essere cittadino, egli non è cittadino. E chiunque cerchi di privarlo dei vantaggi della cittadinanza è un suo nemico. Contro questo nemico, egli chiede alla legge protezione e soddisfazione. Se la legge non può o non vuole proteggerlo, o se essa è impotente a dargli un aiuto di fronte a un pericolo manifesto e presente, allora il cittadino ricorre alla legge naturale che gli ordina di provvedere da se stesso alla pro-pria difesa, alla sua protezione e al suo benessere. Perché il cittadino, diventando cittadino, non cessa d’essere uomo, e, in quanto tale, ha per obbligo principale di garantire la propria conservazione, la sua difesa e il suo benessere. Con la sua bestiale crudeltà, l’assessore che fu massa-crato dai contadini, aveva violato il loro diritto di cittadini. Quando s’è reso complice della violenza dei suoi gli, quando ha aggiunto l’insulto alla ferita profonda in itta a una coppia di danzati, quando, nel vedere

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i contadini rivoltarsi contro la sua diabolica tirannia, ha cominciato a punirli, la legge che protegge il cittadino è divenuta lettera morta e ha perduto ogni ef cacia; la legge della natura ha allora preso il soprav-vento e la forza del cittadino offeso – questa forza che la legge degli uomini non può togliergli quando egli ha subito un danno – è entrata in gioco, e i contadini che hanno ucciso il vile assessore non sono colpe-voli nei riguardi della legge. Ragionevolmente, il mio cuore non li trova colpevoli; e la morte dell’assessore, benché violenta, è giusta. Non mi si venga a invocare la ragion di Stato o le esigenze dell’ordine pubblico, per condannare gli assassini dell’assessore, vittima della propria per-versità. Un cittadino, qualunque sia lo stato in cui la provvidenza l’ha collocato all’ora della sua nascita, è e rimarrà sempre un uomo; perciò la legge della natura, fonte abbondante di bontà, non si prosciugherà mai in lui, e chiunque osi ferirlo nel suo diritto naturale e inviolabile è un criminale. La sventura colpisca questo criminale se la legge civile non lo punisce! Egli sarà segnato come un paria dai suoi concittadini, e chiunque detiene il potere possa vendicare sulla sua persona il delitto che egli ha commesso!”

“Io tacqui. Il governatore non mi rivolse una sola parola: mi lanciava ogni tanto sguardi minacciosi in cui si leggeva il furore dell’impotenza e il rancore della vendetta. Tutti tacevano, aspettando di vedermi – quale profanatore di tutte le leggi – messo in stato di arresto. Di tanto in tan-to, un mormorio di disapprovazione usciva dalle loro labbra servili; tutti distoglievano gli occhi da me. Chi mi era vicino sembrava colto da spa-vento: impercettibilmente si allontanavano da me come da un appestato. Disgustato di questo spettacolo in cui si mescolavano l’arroganza ed il più abietto servilismo, lasciai quell’assemblea di adulatori.

“Incapace di trovare il mezzo per salvare gli omicidi innocenti, che il mio cuore assolveva, non volevo essere complice né testimonio della loro esecuzione. Chiesi dunque di essere messo in pensione, e, avendolo ot-tenuto, ritorno ora a casa mia per piangere sulla sorte lamentevole della classe contadina, a cercare, frequentando i miei amici, un sollievo alla mia stanchezza”.

Dopo queste parole ci congedammo l’un l’altro e ciascuno se ne partì per la sua strada.

Alesksandr Radiš ev (1789-1790), Viaggio da San Pietroburgo a Mo-sca. 787

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Schiavitù e violenza 385

Schiavitù e sfruttamento; padrone e schiavo

DIO: I gli di Israele sono miei servitori. Bibbia ebraica, Levitico, 25

E il Talmud commenta ... Ma non dei servi per dei servi. Talmud, Kuchin, 22. 788

Limiti della schiavitù Se un tuo fratello, ebreo o ebrea, si vende a te, ti servirà per sei anni,

ma al settimo anno lo manderai via libero da te e, nel lasciarlo andar via libero da te, non lo manderai a mani vuote, ma lo caricherai onorevolmente di doni del tuo bestiame minuto, della tua aia e del tuo pressoio, secondo quanto ti permetterà la benedizione che Jahve tuo Dio ti avrà dato. Ricorda-ti che tu fosti schiavo nella terra di Egitto e che Jahve tuo Dio ti ha liberato; perciò oggi ti prescrivo tale cosa.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 15. 789

Dichiarerete santo l’anno cinquantesimo e proclamerete nella terra la liberazione per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno ritor-nerà al proprio patrimonio, ognuno ritornerà alla propria famiglia.

Bibbia ebraica, Levitico, 25. 790

La riforma di Solone comportava l’abolizione dei debiti e la liberazione dei contadini resi schiavi dai loro. Egli lo annuncia, scrivendo:

Sì, mi sono forse fermato prima di aver raggiunto lo scopo per il quale ho radunato il popolo? Meglio di ogni altro può rendermene testimonianza, dinanzi al tribunale del tempo, la venerabile madre degli abitanti dell’O-limpo, la nera Terra dalla quale ho allora strappato ovunque le pietre di con ne: un tempo schiava, ora essa è libera. Io ho ricondotto ad Atene, nella loro patria fondata dagli dei molta gente venduta più o meno giusta-mente, gli uni – che non parlavano neppure più la lingua attica, tanto ave-vano errato dappertutto – condannati all’esilio dalla tremenda necessità; gli altri che qui stesso subivano una servitù indegna e tremavano dinanzi all’umore dei loro padroni, io li ho resi liberi. Questo ho fatto in forza della legge, unendo la costrizione e la giustizia; ho seguito la mia strada no alla ne come avevo promesso. Ho redatto leggi uguali per il buono e il cattivo, ssando a ciascuno una retta giustizia. Se un’altra persona, un uomo per-

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386 Il diritto di essere un uomo

verso e avido, avesse preso il pungolo, non avrebbe potuto tenere a freno il popolo. Perché, se io avessi voluto ciò che allora piaceva ai nemici del popolo, o ancora ciò che gli avversari auguravano loro, la città sarebbe di-venuta vedova di molti cittadini. Per questo, impiegando il mio vigore, ho volto lo sguardo da tutti i lati, come un lupo in mezzo a una muta di cani.

Solone (640-558 a.C.), Costituzione d’Atene. Citato da Aristotele (384-322 a.C.). 791

Il valore riscatta la schiavitù ’Antara è un celebre guerriero e poeta preislamico; è stato chiamato

l’Achille arabo. ’Antara non era già più bambino quando suo padre lo riconobbe come

glio. Sua madre era una schiava negra di nome Zubaïba. Ora, per gli Ara-bi precedenti l’Islam, il glio nato da una schiava, era anch’egli schiavo. E ’Antara aveva dei fratelli, nati dalla stessa madre, e, di conseguenza, schiavi come lui.

Ecco in quali circostanze il padre di ’Antara lo riconobbe come suo glio. Delle tribù arabe avevano attaccato quella del padre di ’Antara (i

Banu Abs); avevano ucciso alcuni uomini e rubato dei cammelli. La tribù attaccata inseguì gli assalitori e diede battaglia per poter riprendere il suo avere. Sul giorno ’Antara era tra loro. Suo padre gli gridò: “Carica, ’Anta-ra!”, ma ’Antara rispose: “Lo schiavo non è fatto per caricare: è fatto per mungere le cammelle e legare i loro capezzoli dopo la mungitura”. “Carica – gli rispose suo padre – e sarai un uomo libero!”. Allora ‘Antara caricò cantando:

“Io sono ‘Antara il mulatto! Ognuno difende la sua libertà, Sia nera o rossa, Quando suona l’ora del destino.”

Quel giorno ‘Antara si batté valorosamente e suo padre lo riconobbe come suo glio, ed egli entrò di pieno diritto nel lignaggio.

Abu Al-Faradij (X sec.), Kitab Al-Aghâni (racconti di epoca preislami-ca). 792

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Schiavitù e violenza 387

Riscatto Il papa interviene presso un vescovo per la liberazione dei prigionieri di

guerra, ridotti in schiavitù dai Lombardi: Che ci si debba occupare del riscatto dei prigionieri, ce lo insegnano

molto chiaramente la sanzione e dei santi canoni e delle leggi del mondo. Gregorio Magno, papa, Registrum epistularum, VI sec. 793

Il Califfo scrive al governatore dell’Egitto (VII secolo): Come hai potuto ridurre degli esseri umani in schiavitù, mentre le loro

madri li avevano partoriti liberi? ‘Omar Ibn Al-Khattab a ‘Amr Ibn Al-’As. 794

ATTO DI ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITÙ

Quanto alla schiavitù, i nostri signori hanno considerato innanzitutto che noi siamo tutti gli di Dio e che dobbiamo vivere come fratelli. Per questo è stato deciso che noi libereremo i nostri servi dalla schiavitù e li dispense-remo dai doveri che derivano da essa.

18 maggio 1525, Zurigo. 795

Comuni medioevali Franchigie di Strasburgo, verso il 1130 Seguendo l’esempio delle altre città, Strasburgo è onorata del diritto (di

pace) per modo che ogni uomo, sia straniero che indigeno, vi trova, in ogni momento e da parte di tutti, (i bene ci) della pace. 796

(Il termine “pace” signi ca qui: l’ordine pubblico e la sua garanzia da parte dell’autorità, l’insieme delle misure di polizia e la protezione delle leggi). La “pace” libera i servi dopo un anno e un giorno di residenza, come dice il proverbio tedesco:

Stadtlut macht frei nach Jahr und Tag. (L’aria della città rende liberi dopo un anno e un giorno.) 797

Contro la schiavitù Fin dall’inizio la natura ha creato tutti gli uomini liberi; fu solo in segui-

to che la legge delle nazioni (jus gentium) che ha costretto alcuni di loro alla schiavitù, ma sarebbe buono e gradito a Dio che si restituissero alla loro antica libertà.

Robert Mascall (vescovo di Herford dal 1404 al 1416), Inghilter-ra. 798

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388 Il diritto di essere un uomo

Discorso messo in bocca al capo d’una sommossa contadina: Essi trattano i loro servi come si possono trattare le bestie che si possie-

dono. E che importa loro! Essi non hanno altra cura che (quella) di riempire

le loro tasche! I ori della primavera, i grani dell’estate, i frutti dell’autunno, Le nebbie d’inverno, le sabbie che il vento strappa alle rocce, Gli astri del cielo, ah! ne farete il conto più in fretta Di quanto io non potrei nominare i peccati di cui non hanno più vergo-

gna. E, durante questo tempo, noi rimaniamo legati indissolubilmente alle

catene dello schiavo, Senza poter ricorrere ad altro che a stringere i denti sotto il medesimo

giogo. Ma poiché la sorte si unisce oggi al nostro sdegno, Contro i tiranni andiamo! Affrettiamoci! Spezziamo le nostre pastoie! Amici, fate che io possa condurre a buon ne questa lotta. Stephanus Taurinus, Stauromachia, 1519. Ungheria. 799

Parlare di conquista, e ridurre un popolo sotto il suo giogo e la sua schia-vitù; un Turco non terrebbe peggior linguaggio, e tuttavia è di esso che si servono – nella loro ignoranza e nella loro cecità – quelli del Consiglio, che non si rendono conto che queste parole non sono degne di nessun re cristiano, e soprattutto non del nostro grande re di Castiglia. Essi non solo non vedono la differenza che esiste tra gli infedeli, nemici della nostra fede, che ci attaccano e usurpano le nostre terre e gli Indiani che vivevano paci camente sulle loro terre e che non dovevano nulla ai cristiani né ai re di Castiglia. Simili parole sono state a lungo usate nel Consiglio delle Indie, nché è durata la sua cecità, no a che il chierico Bartolomeo de Las Casas, dopo molti anni, ha fatto loro conoscere il loro errore.

Bartolomé de Las Casas, Historia de Las Indias. 800

Poiché gli Spagnoli li opprimevano, li derubavano, li uccidevano, essi cercavano con ogni mezzo di difendersi. Era quello proprio un così grave delitto, quando si riconosce per no alle bestie feroci il diritto di difendere la loro esistenza?

… … …In verità, io vi dico, gli infedeli hanno il diritto di ricoprire tutte le cari-

che, le funzioni, le giurisdizioni regali nei loro regni e nelle loro Provincie: è un loro diritto, è una legge naturale, per loro come per i cristiani; tra loro

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Schiavitù e violenza 389

non vi deve essere alcuna differenza. Prova ne è che infedeli e fedeli, senza differenza, sono animali ragionevoli; spetta loro di vivere naturalmente in società e di avere consulte, regni, villaggi è città, e di conseguenza d’avere governatori e re; lo sceglierli ed eleggerli è una legge di un diritto naturale.

… … …La ripartizione delle terre e delle proprietà che gli Spagnoli hanno im-

posto agli Indiani [...] è sempre in vigore presso questi popoli dolci, umili, paci ci, incapaci di offendere chicchessia, presso questi cittadini liberi, presso questi indigeni di grandi e numerosi regni che avevano i loro re e si-gnori per regnare e governare. Questi stranieri li hanno sottomessi a prezzo di guerre sanguinose, ingiuste e illegittime, questi stranieri più forti e me-glio armati di loro, privi di cavalli, armi bianche, artiglieria e materiale per difendersi; essi li hanno divisi e sparpagliati senza considerazione sociale, re, sudditi, vassalli; li hanno ridotti nella più dura schiavitù notte e giorno, e no alla morte essi dovranno. lavorare; si trovano nell’impossibilità di esplicare il loro ingegno e a maggior ragione di praticare la fede cristiana.

Bartolomé de Las Casas (1474-1566). 801

I Frati Domenicani e il loro vicario, fra Pedro de Cordoba, hanno man-dato nell’isola Hispaniola il loro miglior predicatore, Montesinos, per rim-proverare ai conquistatori la loro condotta nei confronti degli Indiani; il frate Bartolomeo de Las Casas, era presente e riferisce in questi termini le sue parole:

Sono venuto qui, io che sono la voce del Cristo, nel deserto di quest’i-sola, e per questa ragione conviene che voi ascoltiate questa voce non con orecchio distratto, ma con tutto il vostro cuore e tutta la vostra anima; que-sta voce sarà la più nuova che voi abbiate mai udito, la più aspra e la più dura che voi abbiate mai pensato di udire [...]. Questa voce vi dice che siete tutti in stato di peccato mortale, e che in questo stato voi vivete e morite a causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nei confronti di questo popolo innocente. Dite, con quale diritto e secondo quale giustizia tenete voi questi Indiani in una così crudele e orribile schiavitù? Con quale au-torità avete scatenato delle guerre così detestabili contro questa gente, che viveva tranquillamente e paci camente nelle sue case e nelle sue terre? [...]. Come potete mantenerli così nell’oppressione e nello s nimento, sen-za dar loro da mangiare né curare le loro malattie, che sono dovute al lavo-ro eccessivo con cui li opprimete e di cui essi muoiono nelle vostre mani? O piuttosto, siete voi che li uccidete per poi spogliarli e impadronirvi ogni giorno del loro oro. Che cura vi prendete della loro istruzione? [...]. Quelle genti, non sono forse degli uomini? Non hanno essi delle anime dotate di

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390 Il diritto di essere un uomo

ragione? Non siete voi forse tenuti ad amarli come voi stessi? […]. Siate sicuri che, nello stato in cui vi trovate, voi non potete salvarvi più dei Mori o dei Turchi, che non hanno, e non vogliono avere, la fede in Gesù Cristo.

Antón de Montesinos, Sermone, 1510 o 1511. 802

Diritto di contrarre liberamente matrimonioÈ nostra volontà che gli Indiani e le Indiane siano – come devono esser-

lo – completamente liberi di sposarsi con chi desiderano, tanto con Indiani come con nativi dei reami che ci appartengono o con Spagnoli nati nelle Indie, e non vi si ponga alcun impedimento. E Noi ordiniamo che nessuno delle nostre disposizioni passate o quelle che saranno emanate in nostro nome possa impedire o impedisca i matrimoni tra Indiane o Indiani e Spa-gnoli o Spagnole.

Decreto promulgato da Ferdinando V e dalla regina Giovanna nel 1514, come pure da Filippo II nel 1556. 803

BOLLA DI PAPA PAOLO III, 1537 A tutti i fedeli cristiani che leggeranno la presente (lettera) noi rivolgia-

mo il nostro saluto e la nostra benedizione apostolica. È noto che, quando ha assegnato ai predicatori il compito di predicare

la fede, la Verità stessa che non può né ingannarsi né ingannare, ha detto: Andate e insegnate a tutte le genti. Ha detto tutte, senza alcuna distinzione, perché tutte sono atte a ricevere l’insegnamento della fede. Vedendo ciò, il nemico invidioso del genere umano, che si oppone sempre alle azioni degli uomini per farle fallire, ha immaginato un mezzo n qui sconosciuto per impedire che la parola di Dio fosse predicata alle genti per la loro salvezza: ha spinto alcuni dei suoi subordinati, mossi dal desiderio di saziare la loro cupidigia, a opprimere come bestie brute, assoggettate al loro potere, gli Indiani occidentali e meridionali, come pure altri popoli la cui esistenza è giunta di recente a nostra conoscenza, sotto il pretesto che ignoravano la fede cattolica. Di conseguenza, noi che esercitiamo sulla terra, benché indegni, le funzioni di Vicario di Nostro Signore e che non risparmiamo alcun sforzo per condurre al suo ovile quelle tra le pecore del suo greg-ge, af date alla nostra sorveglianza, che si trovano fuori di questo ovile, constatando che questi stessi Indiani, nella loro qualità di veri uomini, non soltanto sono atti ad accedere alla fede cristiana, ma ancora, come è stato portato a nostra conoscenza, si precipitano verso questa fede, e volendo apportare loro i rimedi appropriati – in virtù della nostra autorità apostoli-ca – nonostante le nostre lettere precedenti ed ogni disposizione contraria, decretiamo e proclamiamo quanto segue:

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Schiavitù e violenza 391

I detti Indiani della cui esistenza i cristiani saranno in seguito informati, anche se sono fuori della fede, non sono, e non devono essere privati della loro libertà e del possesso dei loro beni; al contrario, essi possono liberamen-te e lecitamente usare e godere di tale libertà e possesso, e non devono essere ridotti in schiavitù; tutto ciò che potrà allontanarsi da questo principio sarà considerato come nullo e non avvenuto e bisognerà incitare questi Indiani, come pure gli altri popoli, ad abbracciare la detta fede cristiana predicando loro la parola di Dio e dando loro l’esempio di una vita virtuosa.

Dato in Roma, l’anno MDXXXVII, il IV giorno delle none di giugno, anno terzo del nostro ponti cato. 804

DECRETI DELL’IMPERATORE CARLO QUINTO Conformemente alle disposizioni relative alla libertà degli Indiani: noi

vogliamo e ordiniamo che nessun “adelantado”, governatore, capitano o alcalde, e nessun’altra persona, qualunque sia il suo stato, il suo rango, il suo uf cio o la sua qualità, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, per no se questa guerra è giusta e sia stata ordinata da Noi o da qualcuno cui Noi abbiamo conferito tale potere, osi mettere in prigione degli Indiani originari delle nostre Indie, isole o terre ferme dal mare Oceano, scoperte o da scoprire, o ridurli in schiavitù – anche se sono nativi di isole o di terre alle quali Noi, o qualcuno cui Noi abbiamo conferito o conferiremo questo potere, abbiamo dichiarato che è permesso fare giustamente la guerra – oppure ucciderli, farli prigionieri o tenerli in cattività, salvo nei casi o nei paesi in cui ciò sarà permesso e previsto dalle leggi che gurano nel pre-sente Titolo, perché Noi revochiamo e sospendiamo tutte le autorizzazioni e dichiarazioni precedenti che non siano riportate nelle presenti leggi, e tutte quelle che potrebbero essere date o fatte da altri all’infuori di Noi e senza espressa menzione della presente legge, per tutto ciò che concerne la messa in prigione e in schiavitù degli Indiani durante una guerra, anche se questa guerra è giusta ed essi l’abbiano provocata o la provochino, e al riscatto di quelli che altri Indiani avessero fatti prigionieri nel corso delle guerre che essi si fanno tra loro. Noi decidiamo ugualmente che, sia in tempo di guerra che in tempo di pace, nessuno potrà prendere, catturare, far lavorare, vendere o scambiare un Indiano come schiavo, né considerarlo tale col pretesto che l’ha fatto prigioniero durante una guerra giusta, o che l’ha acquistato, riscattato o barattato mediante scambio, oppure sotto qual-siasi altro pretesto o per qualunque altra ragione, anche se questo Indiano fa parte di coloro che gli indigeni stessi hanno considerato, considerano o potranno considerare presso di loro come schiavi; nel caso in cui si scopris-se che una persona ha messo un Indiano in prigione o l’ha fatto schiavo,

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392 Il diritto di essere un uomo

questa persona sarà condannata alla con sca di tutti i suoi beni che verran-no aggiudicati al nostro Tesoro, e l’Indiano sarà in seguito reso e restituito alle sue terre e al suo paese, nel pieno godimento della sua libertà naturale, a spese della persona che l’avesse così preso prigioniero o reso schiavo. E noi ordiniamo ai nostri giudici di dar prova di particolare diligenza nelle loro inchieste e di castigare i colpevoli col massimo rigore in conformità alla presente legge, sotto pena di essere privati delle loro cariche e di dover versare centomila maravedì al nostro Tesoro se contravvenissero alla legge o si dimostrassero negligenti nel farla applicare.

Decreti promulgati tra il 1526 e il 1548. 805

Uomini liberi Tutti questi Indiani che vivono in quelli che si chiamano “repartimien-

tos” sono uomini liberi e sui juris, in virtù tanto del diritto naturale, quod omnes homines facit liberos, quanto delle dichiarazioni apostoliche fatte da Paolo III nel 1537, e da altri sovrani ponte ci che hanno affermato che quegli Indiani sono persone libere prima di aver ricevuto il battesimo, e a maggior ragione dopo averlo ricevuto; che non possono essere privati della loro libertà e devono al contrario goderne allo stesso titolo che gli Spagnoli e tutti gli uomini liberi in tutte le nazioni cristiane. E analogamente per i decreti dei Re cattolici, a partire da Re Ferdinando e dalla Regina Isabella, di gloriosa memoria, no al Re Filippo, nostro sovrano, che regna oggi; i quali hanno tutti voluto o vogliono che gli Indiani siano trattati e governati come dei vassalli liberi e non come schiavi.

Juan Ramírez (XVI sec.), Sul servizio personale e la distribuzione degli Indiani. 806

Proibizione di far subire agli indigeni trattamenti crudeli, inumani e degradanti

DECRETO DI FILIPPO II Noi ordiniamo che gli Spagnoli che ingiuriano, offendono o maltrattano

gli Indiani siano castigati con maggior rigore che se commettessero questi delitti contro degli Spagnoli e dichiariamo che si tratta di delitti contro l’ordine pubblico.

19 dicembre 1593. 807

L’istituzione della servitù perpetua, soppressa in Ungheria nel XV sec, fu ristabilita dopo la “Guerra dei contadini” nel 1514

I contadini che abitano in qualunque luogo di questo paese [...] perdono la libertà di residenza, come punizione della loro infedeltà. Essi dipende-

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Schiavitù e violenza 393

ranno perpetuamente dai loro signori in qualità di contadini-servi, e questo per far comprendere alle generazioni future l’enormità del delitto perpetra-to da colui che si rivolta contro il suo signore.

Leggi ungheresi, 1514. 808

Contro la schiavitù Sta scritto nelle Epistole: “Tutta la legge è contenuta in questa parola:

Amerai il tuo prossimo come te stesso [...]”. Ora, noi tratteniamo presso di noi dei servitori del Cristo. E Cristo chiama tutti gli uomini fratelli: ora, tra di noi vi sono dei servi, gli uni fuggiaschi restituiti, altri per attribuzione, altri per atto di asservimento assoluto. Quanto a me, io ringrazio il mio Dio: tutto ciò che avevo come atti di asservimento, li ho strappati, e gli uomini che restano con me li tengo col loro pieno consenso: chi si trova bene, rimane; gli altri se ne vanno dove vogliono.

Matvej Baškin, bojaro condannato come eretico e incarcerato a vita a Volokolamsk nel 1554, Principato di Moscovia. 809

Un pubblicista russo del XVI sec. Mette sulla bocca del sultano Mao-metto II, il conquistatore di Costantinopoli, le proprie idee politiche, per farle comprendere a Ivan il Terribile:

Così parlò il sultano Maometto: “In un regno in cui gli uomini sono asserviti, essi non sono valorosi e mancano di slancio nel combattere il nemico. Perché l’uomo asservito non teme l’onta e non cerca la gloria. Sia forte o meno, egli dice a se stesso: ‘In ogni modo io sono uno schiavo, e non riceverò mai altro nome’”.

Ivan Peresvetov, Storia del sultano Maometto, circa 1547. 810

Passione per l’oro Essi offrirono agli Spagnoli degli ori ammi d’oro – degli ori ammi in

piume di quetzal e delle collane d’oro. Dinanzi a questi regali, i loro visi si illuminano, la loro gioia è immensa, gli Spagnoli sono al settimo cielo. Come scimmie prendono l’oro a piene mani e il piacere li travolge. Un sangue nuovo scorre nelle loro vene e in amma il loro cuore.

Una sete insaziabile, certamente li soffoca. Gon di desiderio, questa fame li divora. Come porci affamati, si buttano su quest’oro.

E afferrano avidamente gli ori ammi d’oro, li agitano da destra a sini-stra, esaminano un lato e poi l’altro; si comportano da barbari; tutto ciò che proferiscono è barbaro.

Bernardino de Sahagún (XVI sec.), Messico. 811

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394 Il diritto di essere un uomo

Gli intrusi portano sfortuna Solo per la follia dei tempi, solo per la follia dei preti, è entrata in noi

la tristezza, è entrato in noi il “cristianesimo”. Sì, i “cristianissimi” sono venuti col vero Dio; allora cominciò per noi il tempo della miseria, il tempo della “elemosina”, fonte dei nostri odi segreti, il tempo delle lotte con le armi da fuoco, il tempo delle risse, delle spogliazioni, della schiavitù per debiti, della morte per debiti, il tempo delle lotte perpetue, il tempo della sofferenza [...].

Prima della venuta dei Bianchi Veniva loro misurato il tempo in cui potevano contemplare la rete delle

stelle; là vegliavano su di loro gli dei, che li guardavano dalla loro prigione di Stelle. Allora, tutto era buono, ed essi furono abbattuti.

Vi era in loro la saggezza. Non conoscevano il peccato. Non avevano una santa devozione. Vivevano in buona salute. Non conoscevano la ma-lattia, non soffrivano nelle membra, non conoscevano le febbri, il vaiolo, le ussioni, il dolore alle viscere, la consunzione. Allora stavano bene.

Quando giunsero i Bianchi Non fu più lo stesso quando giunsero i Bianchi. Insegnarono loro la pau-

ra e fecero appassire i loro ori. Per far vivere il loro ore saccheggiarono e calpestarono il ore degli altri [...].

Non avevano né grandi conoscenze, né lingua sacra, né Sapere divino, questi rappresentanti degli Dei che giunsero qui. Castrare il sole! ecco che cosa hanno fatto gli stranieri! E qui, dispersi in questo popolo, sono rimasti i gli dei loro gli, che hanno subito la loro amarezza [...].

Schiave sono le parole, schiavi gli alberi, schiave le pietre, schiavi gli uomini, quando essi arrivano.

Chilam Balam de Chumayel (Libro sacro dei Maya), America centra-le. 812

Desidero che gli Indiani nei loro villaggi si governino da sé per vegliare sui propri interessi come noi vegliamo sui nostri. Essi faranno così l’e-sperienza della felicità esercitando responsabilità e usciranno dall’annien-tamento in cui li ha fatti piombare la disgrazia. Noi dobbiamo ricordarci che essi hanno dei diritti essenziali e che sarebbe per noi una vergognosa degradazione mantenerli nell’esclusione di cui hanno sofferto no a ora per il solo fatto di essere Indiani.

José Artigas, Dichiarazione del 3 maggio 1815 in Argentina. 813

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Schiavitù e violenza 395

La schiavitù è la negazione di ogni legge. La legge che la codi casse, sa-rebbe sacrilega. Quale diritto invocare per mantenerla? Considerate questo crimine sotto tutti i suoi aspetti: io non penso che vi sia un solo Boliviano tanto depravato da pretendere di legittimare il più grave attentato alla di-gnità dell’uomo. Un uomo, proprietario di un uomo! Un uomo, oggetto! Un’immagine di Dio, posta sotto il giogo come una bestia! Ci dicano un po’ dove sono i titoli di questi usurpatori dell’uomo?

Simon Bolivar, Discorsi in Bolivia, 1826. 814

Sfruttamento Coi suoi innumerevoli eccessi, questa maledetta spartizione, piena di di-

fetti ci ha posti in una situazione deplorevole, non ci resta che morire. Qui, all’inizio, perché gli articoli di Castiglia e della sua terra venivano a mancare nelle nostre regioni e non procuravano vantaggi suf cienti, Sua Maestà ha consentito ai governatori uno stock di questi articoli che avevano nome tariffa, per ogni metropoli, e di cui appro ttavano gli indigeni, che li comperavano volentieri perché gli articoli necessari erano meglio niti e al prezzo praticato in loco. Poiché vi erano delle differenze, furono uni cati i prezzi, af nché non fosse possibile frodare sulle alcabalas reali. Non vi fu aumento dei prezzi no ad ora, perché noi avevamo dei prodotti molto a buon mercato. Quando

gli oggetti di Castiglia sono arrivati a montagne, l’oggetto più corrente, che valeva due o tre pesos, ce lo fanno pagare dieci o dodici, con la forza [...]. Per noi, che abbiamo un certo rango sociale, fanno fuori ogni sorta di ricchezze, velluti, calze di seta, pizzi, bbie da cintura, tele di Rouen piuttosto che d’O-lonne e di Cambrai, come (se) noi, Indiani, volessimo adottare queste mode spagnole, e questo a prezzi esorbitanti, che superano quelli che noi siamo in grado di pagare. In ne, se ci avessero lasciato il tempo e la possibilità di por-tare a termine la ripartizione, questo carico sarebbe stato sopportabile, poiché, dopo la ripartizione, essi ci avrebbero preso in carico, noi, le nostri mogli, i nostri gli e le nostre greggi, privandoci della libertà di agire. Ma agendo in tal modo essi ci costringono ad abbandonare case, famiglie, mogli e gli.

José Gabriel Tupac Amaru, capo inca di una rivolta peruviana. Lettera al “visitador general”, 1781, Areche. 815

Giusti cazione dello sfruttamento Ma questo diritto (di proprietà) è meno sviluppato presso di loro che negli

altri paesi; non è quindi necessario, per privarneli, di trovare motivi tanto gravi come per toglierlo agli altri popoli; infatti, essi giudicano la loro vita e la loro libertà, come d’altronde la vita e la libertà altrui, cosa di poca importanza.

Domingo Muriel, gesuita spagnolo, professore all’Università di Cordo-ba nel Tucumán, 1791, Argentina. 816

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396 Il diritto di essere un uomo

UN INCONTRO A SURINAM Avvicinandosi alla città, essi incontrarono un negro steso per terra, che

non aveva più la metà dei suoi abiti, e cioè un paio di calzoni di tela blu; mancavano a questo pover’uomo la gamba sinistra e la mano destra. “Oh, Dio mio! – gli disse Candido in olandese – che fai qui, amico mio, e nello stato orribile in cui ti vedo?”. “Aspetto il mio padrone, il signor Vander-dendur, il famoso negoziante”, rispose il negro. “È questo il signor Van-derdendur – gli disse Candido – che t’ha trattato in questo modo?”. “Sì, signore – disse il negro – è l’usanza. Ci hanno dato un paio di pantaloni di tela per tutto vestito, due volte l’anno. Quando lavoriamo negli zuccheri ci e la macina ci prende le dita, ci tagliano la mano; quando vogliamo fuggire, ci tagliano la gamba: io mi sono trovato nei due casi. È a questo prezzo che voi mangiate zucchero in Europa. Tuttavia, quando mia madre mi vendette per dieci scudi patagoni sulla costa di Guinea, mi diceva: “Mio caro glio, benedici i nostri feticci, adorali sempre, essi ti faranno vivere felice; tu hai l’onore di essere schiavo dei nostri signori i Bianchi, e con questo tu fai la fortuna di tuo padre e di tua madre”. Ahimè! non so se io ho fatto la loro fortuna, ma essi non hanno certo fatto la mia. I cani, le scimmie e i pap-pagalli sono mille volte meno disgraziati di noi. I feticci olandesi che mi hanno convertito mi dicono tutte le domeniche che noi siamo tutti cugini nati da fratelli germani. Ora, voi converrete con me che non si può trattare coi parenti in modo più orribile”.

“O Pangloss! – gridò Candido, – tu non hai indovinato quest’abominio. È una realtà, e bisognerà che io alla ne rinunci al tuo ottimismo”. “Che cosa signi ca ottimismo?”, disse Cacambo. “Ahimè! – disse Candido – è la rabbia di dover sostenere che tutto va bene quando si sta male”. E versò lacrime guardando il suo negro, e piangendo entrò in Surinam.

Voltaire, Candido, 1759. 817

Sulla schiavitùLo schiavo, naturalmente, è sempre colpevole. Uno schiavo che mangia montone piange. Se uno schiavo si comporta bene, gli è rimesso il suo prezzo d’acquisto. La saggezza dello schiavo è nella testa del suo padrone. Se uno schiavo si comporta male, la colpa è del suo padrone. Uno schiavo è come la farina: con un po’ di liquido si gon a.

Proverbi akan, Ghana. 818

Uccidilo, è un selvaggio (oppure altrove: uno schiavo) non ha parentela. Proverbio yombe, Congo. 819

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Schiavitù e violenza 397

Non è la sola Polonia a commettere l’ingiustizia. Mosca, la Boemia, alcune province francesi e spagnole, soggiogano sempre i popoli con la stessa violenza. Le isole francesi, le colonie inglesi e olandesi trattano più crudelmente ancora i negri, questi disgraziati cittadini dei due continenti i cui prodotti, innaf ati di lacrime, arrecano agli Europei ricchi il piacere e il conforto. Ma si può forse giusti care la violazione del diritto naturale con l’ingiustizia degli altri e gli antichi pregiudizi? Si possono calmare i rimorsi quando la natura umana soffre un’ingiustizia così evidente? [...]. O loso ! Voi che incalzate il fanatismo, voi che fustigate le diverse crudeltà

causate da un entusiasmo falso o passeggero! Perché non vi opponete alla schiavitù legale degli uomini, vostri uguali? Perché non protestate contro questa grande ingiustizia che l’uomo, con l’aiuto della legge, in igge a un altro uomo? [...] bianco o schiavo nero, oppresso dalla legge ingiusta o piangente in catene, egli è uomo e non si distingue in nulla da noi. In Eu-ropa o su un altro continente, è cittadino della Terra e può sempre rivolgere a chiunque queste parole di Terenzio: Homo sum, humani nihi me alienum puto. O tu, che vuoi ridurmi in schiavitù! Guardami, guarda te stesso, vedi se la natura mi ha voluto diverso. Homo sum. O tu che difendi la libertà, confronta i miei sentimenti con i tuoi, misurali su te stesso e fa che si risvegli la vergogna in fondo al tuo cuore, perché tu vorresti avermi per schiavo, tu, che vivi su questa terra, sotto questo governo, tu che non cessi di assicurarti la libertà per te stesso!

Hugo Kollataj, La legge politica della naziona polacca (1790). 820

Il commercio degli schiavi Da molto tempo siamo usciti dall’era della barbarie; abbiamo quasi di-

menticato che un tempo fummo barbari. Siamo giunti ora a una situazione che presenta un contrasto che colpisce con tutti i tratti per i quali un Ro-mano avrebbe potuto caratterizzarci e con i quali noi caratterizziamo oggi l’Africa. A dire la verità, manca una cosa per completare il contrasto e per liberarci completamente dall’accusa di agire ancora come barbari: perché noi continuiamo, alla nostra epoca, a praticare un commercio barbaro di schiavi, a dispetto di tutte le nostre grandi e indiscutibili pretese di civiltà.

... Noi viviamo sotto un regime politico che la nostra felice esperienza ci porta a considerare come il migliore e il più saggio che mai sia stato concepi-to, un regime che è diventato oggetto di ammirazione nel mondo. Noi avrem-mo dovuto essere privati per sempre di tutti questi bene ci, se vi fosse stata la minima parte di verità nei princìpi che alcuni non hanno esitato a stabilire come applicabili al caso dell’Africa. Se questi princìpi fossero stati veri, noi stessi avremmo languito no ad oggi in quello stato miserevole di ignoranza,

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di grossolanità e di decadimento in cui i nostri antenati erano immersi, come dimostra la storia. Se altre nazioni avessero adottato questi princìpi nel modo di comportarsi nei nostri confronti, se altre nazioni avessero applicato alla Gran Bretagna il ragionamento che alcuni senatori di quest’isola applicano ora all’Africa, avrebbero potuto passare dei secoli senza che fosse possibile per noi emergere dalla barbarie, e noi, che godiamo dei bene ci della civiltà britannica, delle leggi britanniche e della libertà britannica, noi potremmo, a quest’ora, non essere di molto superiori in fatto di morale, di sapere o di raf natezza ai rudi abitanti delle coste di Guinea.

... Sono certo che noi non continueremo più questo commercio, che an-nulla ogni progresso in questo vasto continente, e che noi non penseremo di accordare un favore troppo grande rendendo ai suoi abitanti la dignità di esseri umani. Sono sicuro che non ci considereremo troppo generosi se, abolendo il commercio degli schiavi, diamo a queste regioni la stessa possibilità di accedere alla civiltà che hanno altre parti del mondo, e che offriremo ora all’Africa l’occasione, la speranza, la prospettiva di godere dei bene ci che noi stessi, grazie ad una felice distribuzione della divina provvidenza abbiamo avuto la fortuna di gustare molto più presto.

William Pitt, Discorso pronunciato alla Camera dei Comuni il 2 aprile 1792, Gran Bretagna. 821

TESTAMENTO, 5 MAGGIO 1798 Io sottoscritto, Tadeusz Ko ciuszko, sul punto di lasciare l’America, de-

cido e dichiaro con le presenti (disposizioni) che, salvo il caso in cui io ne prendessi altre relative ai miei beni negli Stati Uniti, autorizzo il mio amico Thomas Jefferson a utilizzare la totalità dei detti beni per riscattare dei negri, tra i suoi o quelli di qualunque altra persona, e ad affrancarli in nome mio; a insegnare loro un mestiere o a dispensare a essi un’altra forma di istruzione; a far dare loro, in vista della loro nuova condizione, la forma-zione morale che permetterà loro di diventare buoni padri e buone madri di famiglia, mariti e spose, e a istruirli sui loro doveri civici, insegnando loro a difendere la propria libertà, il proprio paese e il buon ordine della società, e tutto ciò che potrà renderli felici ed utili: nomino il detto Thomas Jefferson esecutore di queste disposizioni.

Tadeusz Ko ciuszko, Polonia. 822

Mozione presentata dal sacerdote e dottore José Siméon Cañas y Villa-corta all’Assemblea costituente delle Province unite dell’America centra-le, nel 1823, per chiedere l’abolizione della schiavitù:

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Schiavitù e violenza 399

Mi sono trascinato n qui, e se fossi in agonia, agonizzando sarei ve-nuto a fare una proposta per il bene dell’umanità abbandonata. Con tutta l’energia di cui un deputato deve dar prova negli affari che interessano la Patria, chiedo che, prima di ogni altra cosa e n dalla seduta odierna, noi dichiariamo cittadini liberi i nostri fratelli schiavi, senza danno del dirit-to di proprietà che possono legalmente giusti care i padroni che li hanno comperati, e beninteso che la creazione di un fondo di indennizzo per i proprietari sarà messa immediatamente in discussione.

Questo è l’ordine che la giustizia ci comanda di osservare; una legge che mi sembrerebbe naturale, perché è estremamente giusta, esige che colui che è stato spogliato sia, prima di tutto, ristabilito nel pieno posses-so dei suoi beni; e siccome non esiste un bene paragonabile alla libertà, né un bene la cui proprietà sia più intima, mi pare che in tutta giustizia, i nostri fratelli devono ricuperarne immediatamente il pieno uso. Nessuno ignora infatti ch’essi sono stati brutalmente spogliati del dono inestimabi-le della libertà e gemono nella servitù, aspirando che una mano bene ca spezzi il peso della disciplina e i ferri della loro schiavitù. Nulla è più vantaggioso per i nostri fratelli che l’immediata proclamazione della loro libertà, causa tanto chiara e tanto giusta che essa dovrebbe formare l’og-getto di una decisione senza discussione e per acclamazione. La Nazio-ne intera si è dichiarata libera; gli individui che la compongono devono esserlo ugualmente. Questo decreto sarà quello che perpetuerà il ricordo della giustizia dell’Assemblea nel cuore di questi disgraziati che, di ge-nerazione in generazione, benediranno i loro liberatori. E di più: perché nessuno pensi che io cerchi di danneggiare i proprietari e benché io sia povero e vestito di stracci, perché il Tesoro non mi paga né le mie rendite né i miei emolumenti, io cedo con gioia tutto ciò che le casse centrali mi devono per una ragione o per l’altra, per dare inizio ai fondi d’indennizzo di cui ho in precedenza parlato. 823

Lettera indirizzata al sultano Mulay Ismail dal celebre scienziato Abul Fadi Djessus a proposito dell’armata degli Abid (schiavi), XVII sec.:

Ora noi apprendiamo che il Principe dei Credenti (che Dio lo guidi sulla buona strada) si propone di recuperare gli Haratini (antichi schiavi) e di raggrupparli allo scopo di accrescere il potenziale del suo eserci-to, che costituisce, in realtà, il pilastro della religione e la salvaguardia dell’Islam.

Noi non ignoriamo che voi non siete per nulla spinti da un vile desiderio di asservire gli uomini. Tuttavia, l’azione che intraprendete mi pare in con-traddizione agrante con l’equità e non conforme alla prescrizione della

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400 Il diritto di essere un uomo

sharia (il diritto musulmano). Infatti, come mai vi permettete di compiere una simile azione, mentre Dio ha espresso più di una volta la propria volon-tà di autorizzarla soltanto secondo certe precise regole? È importante far notare che il potenziale dell’esercito non dipende necessariamente dall’a-dozione di una politica di asservimento. Dipende solo da Vostra Maestà di moltiplicare il numero dei propri eserciti senza per questo fare appello a dei pretesi schiavi [...].

Fa parte del dovere di ogni uomo cosciente e avveduto l’impedire atti gravi che consistono nel servire ostentatamente degli uomini liberi in modo illegale, e lo svelare il carattere illecito del ricorso a simili metodi. In tali circostanze, mantenere il silenzio o dimostrare una certa tolleranza, espor-rebbe gli assenti alla collera divina.

Sire! Se è così, mi sia permesso (e faccia Iddio che i suoi ordini siano eseguiti e che la sua volontà trion su coloro che si allontanano dalla retta via) di ricordarvi che atti di questo genere costituiscono una vera operazione schiavista. Ognuno sa che le persone che si rivendi-cano oggi per farne degli schiavi, sono, come il resto della comunità musulmana, degli uomini interamente liberi: la loro libertà è evidente e non si può in alcun modo metterla in causa. Segnaliamo anche in questa occasione che ogni ammissione da parte di questi pretesi schiavi o ogni testimonianza che tendesse a stabilire che non sono uomini liberi, risul-tano alla luce dei fatti come derivanti sicuramente da una costrizione. Conviene osservare a questo proposito che, ri utando di sottomettersi a questa politica, molte persone si sono esposte alla vendetta, alla tortura, a dei misfatti che hanno condotto alla spogliazione dei loro beni. Se tale è stato il comportamento dei responsabili, l’ammissione e la testimo-nianza perdono per questo stesso ogni valore. È importante ricordare che i più grandi giuristi dell’Islam sono tutti d’accordo nell’affermare che le confessioni e le testimonianze ottenute sotto costrizione sono sprovviste di ogni valore legale: secondo l’Imam Malik (grande giuri-sta musulmano) chiunque si sposa e divorzia sotto costrizione, oppure in linea generale agisce contro la propria volontà, non è tenuto a tener fede ai suoi obblighi. Ibn Arafa (discepolo di Malik) ha fatto, a questo proposito delle osservazioni identiche, facendo notare d’altronde che il riconoscimento riguardo alla schiavitù, per no supponendo che sia stato ottenuto senza ricorrere alla costrizione, non riveste alcun valore legale perché si presume sia stato ottenuto con la minaccia. La libertà fa parte dei diritti concessi solo da Dio: dal che risulta che non spetta all’uomo di alienare la propria libertà.

Africa del Nord. 824

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Schiavitù e violenza 401

Primo documento uf ciale sull’abolizione della schiavitù in Etiopia Sua Maestà la Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Im-

peratrice delle Indie e Sua Maestà Giovanni per grazia di Dio Imperatore d’Etiopia, allo scopo di impedire il commercio degli schiavi e di porre a esso completamente ne, si sono degnati concludere un trattato a questo proposito: questo trattato sarà valido tanto in ciò che li concerne personal-mente, quanto per i loro successori.

… … …Art. I. Sua Maestà l’Imperatore è d’accordo di proibire e di far in modo che

abbiano ne sul suo territorio l’acquisto e la vendita di schiavi, e questo servendosi di tutti i suoi mezzi.

Art. II. Sua Maestà l’Imperatore è d’accordo di proibire e impedire con tutti i

mezzi a sua disposizione l’ingresso sul suo territorio di schiavi comprati al di fuori, come pure l’uscita verso l’estero di schiavi venduti nel suo paese.

Art. III. Sua Maestà l’Imperatore prende l’impegno di usare tutti i mezzi di cui

dispone per proteggere gli schiavi liberati, e fare in modo che siano seve-ramente puniti coloro che tentassero di maltrattarli o di ricondurli nuova-mente in schiavitù.

Art. IV. Dato che Sua Maestà la Regina d’Inghilterra bene cia di trattati che au-

torizzano i comandanti delle navi di Sua Maestà la Regina a impadronirsi dei navigli di tutti gli altri paesi, che avessero imbarcato e trasportassero schiavi, per mare, Ella prende l’impegno di dare gli ordini necessari perché i comandanti delle navi di Sua Maestà, quando scopriranno sui navigli di cui si saranno impadroniti dei sudditi di Sua Maestà l’Imperatore prigio-nieri in qualità di schiavi, rendano a costoro la libertà e rimandino i detti sudditi sul territorio di Sua Maestà l’Imperatore.

Trattato rmato ad Adua tra la regina Vittoria e il re Giovanni il 3 giugno 1884. 825

Vendita di schiavi In nome del re, della legge e della giustizia. Si fa sapere a tutti coloro cui interesserà, che domenica 26 corrente, sul-

la piazza del mercato del borgo dello Spirito Santo, all’uscita della messa, si procederà alla vendita all’incanto pubblico di:

La schiava Susanna, negra, di circa quarant’anni, con i suoi sei gli, in età di tredici, undici, otto, sette, sei e tre anni. Tutti provenienti da un sequestro. Pagamento per contanti.

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402 Il diritto di essere un uomo

L’usciere del fondo: J. Chatenay In nome del re, ecc., lo stesso giorno, luogo ed ora, saranno venduti diversi oggetti, quali sedie, tavoli, ecc. che provengono da un sequestro. Pagamento per contanti.

L’usciere del fondo: J. Chatenay (…)Giornale uf ciale della Martinica del 22 giugno 1840 Avviso citato in Schiavitù e colonizzazione di Victor Schoelcher. 826

Rinunciare alla propria libertà signi ca rinunciare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità, per no ai propri doveri. Non vi è nessun ri-sarcimento possibile per chi rinuncia a tutto. Una simile rinuncia è incom-patibile con la natura dell’uomo, e, togliere ogni libertà alla sua volontà, signi ca togliere ogni moralità alle sue azioni.

Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale. 1762. 827

IL NEGRO Si dice che del mio colore ha fatto Iddio il primo uomo.Ma il Bianco orgoglioso per no quando mi invita oblia nanco il nome mio e io son per lui soltanto il negro.

Dice il Bianco che il diavolo è nero, e il Negro lo descrive bianco.Col viso bianco o scuro io non sono né pro, né contro; Dio ha creato degli uomini non ha fatto due gruppi distinti.

José Hernández, La vuelta de Martín Fierro, 1879, Argentina. 828

PROCLAMAZIONE DELL’EMANCIPAZIONE DA PARTE DI LINCOLN, PRESIDENTE DE-GLI STATI UNITI (1° GENNAIO 1863)

E in virtù del potere che mi è così conferito, e allo scopo qui sopra men-zionato, io ordino e dichiaro che tutte le persone tenute in schiavitù negli Stati e nelle parti degli Stati più sopra enumerati sono e saranno d’ora in poi libere e che il potere esecutivo degli Stati Uniti, ivi comprese le autorità militari e marittime del detto governo, riconosceranno e manterranno la libertà delle dette persone.

E con le presenti (dichiarazioni) ingiungo alle persone, così dichiarate libere, di astenersi da ogni violenza, salvo in caso di legittima difesa, e raccomando loro, ogni volta che ne avranno la possibilità, di lavorare leal-mente per un salario ragionevole.

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Schiavitù e violenza 403

E dichiaro e proclamo inoltre che quelle tra queste persone che sono quali cate a questo scopo, saranno accolte nei ranghi delle forze armate degli Stati Uniti d’America, nelle guarnigioni, nei forti, negli impieghi, ecc., come pure sulle navi di ogni sorta appartenenti alle dette forze armate.

E su quest’atto, che io credo sinceramente un atto di giustizia, legit-timato dalla costituzione in virtù di necessità militari, chiedo il giudizio ponderato dell’umanità e il benevolo favore di Dio onnipotente. 829

Abraham Lincoln, rieletto alla Presidenza degli Stati Uniti, parla della guerra civile, il 4 marzo 1865:

Un ottavo della popolazione era composto di schiavi di colore che non erano suddivisi su tutto il territorio dell’Unione, ma si trovavano soprat-tutto nella sua parte meridionale. Questi schiavi costituivano un capitale speciale e molto importante. Ognuno sapeva che questo capitale era, in re-altà all’origine della guerra. Per rinforzarlo, perpetuarlo ed estenderlo, gli insorti erano pronti a scompaginare l’Unione, se occorreva con la guerra, mentre il governo non reclamava altro diritto se non quello di limitare l’e-stensione territoriale della schiavitù. Nessuna delle due parti pensava che la guerra avrebbe avuto le dimensioni e la durata che ha già raggiunte. Nessu-no dei due prevedeva che la causa del con itto avrebbe potuto sparire con o addirittura prima della ne del con itto stesso. Ciascuna dava per certo un trionfo più facile, e non si attendeva uno sconvolgimento così radicale. Leggono entrambe la stessa Bibbia e pregano lo stesso Dio, e ognuna di esse invoca il Suo aiuto contro l’altra. Può sembrare strano che degli uomi-ni osino chiedere l’assistenza di un Dio giusto per strappare il pane a coloro che l’hanno guadagnato col sudore della fronte; ma non giudichiamo se non vogliamo essere giudicati. 830

Protezione dello schiavo fuggiasco Non consegnerai al padrone uno schiavo che sia fuggito da lui per sal-

varsi presso di te. Abiterà con te, insieme con i tuoi, nel luogo che avrà scelto, in una delle tue città dove si troverà bene: non devi opprimerlo.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 23. 831

“Huckleberry Finn” è stato scritto dopo il 1870 e pubblicato nel 1885, ma l’autore vi descrive la vita lungo il Mississippi verso la metà del XIX sec.

Si passò quasi tutta la giornata a dormire; la sera si partì, a poca distanza da un’altra zattera, incredibilmente lunga, che avanzava lentamente come una processione [...].

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404 Il diritto di essere un uomo

Scarrocciando a l d’acqua si giunse ben presto a una grande ansa; la notte diventava tempestosa e calda [...]. Si parlava di Cairo e ci si doman-dava se saremmo stati capaci di riconoscere la città [...].

Jim diceva che era tutto tremante e febbricitante nel sentirsi così vici-no alla libertà. E posso assicurarvi che, anch’io, ero tremante e febbrici-tante nell’udirlo, perché l’idea ch’egli era quasi libero mi girava e rigira-va in testa. E per colpa di chi? Mia, senza alcun dubbio. Non arrivavo a calmare i miei rimorsi di coscienza e questo mi turbava al punto che non dormivo più: avevo la smania di muovermi. Non avevo subito capito che era opera mia. Ma stavolta c’eravamo: era come un fuoco che mi brucia-va sempre più, senza che io riuscissi a spegnerlo; tentavo di convincermi che non ero colpevole e che Jim era fuggito da solo dalla casa della sua padrona, ma non c’era nulla da fare; la mia coscienza riprendeva ogni volta il sopravvento e ripeteva: “ma tu sapevi pure che egli fuggiva per guadagnarsi la libertà; e avresti potuto scendere subito a terra per denun-ciarlo”. Era proprio così, e io non me ne davo pace. E questo mi turbava! La mia coscienza mi diceva: “Che cosa ti aveva fatto quella povera Miss Watson perché tu permettessi al suo negro di evadere sotto i tuoi occhi, senza dire una parola? Che cosa ti aveva dunque fatto quella povera don-na, perché tu la trattassi in quel modo? Ricordati: ella ha tentato di inse-gnarti la Bibbia e le belle maniere, è stata con te più buona possibile; non ha fatto altro”. Avevo una tale vergogna di me che avevo quasi voglia di distruggermi. Andavo e venivo sulla zattera bombardandomi di ingiurie, e Jim andava e veniva al mio anco [...].

Jim parlava da solo, anche lui, mentre io sciorinavo delle sciocchezze. Appena sarebbe giunto in uno Stato libero, diceva, aveva intenzione di mettere da parte del denaro, di non spendere un soldo e, quando fosse sta-to abbastanza ricco, avrebbe riscattato sua moglie che era schiava in una fattoria vicina alla casa di Miss Watson; in seguito avrebbero lavorato en-trambi per riscattare i loro due gli, e, se il loro padrone non avesse voluto venderli, li avrebbero fatti rubare da un abolizionista.

Mi si gelava il sangue nell’udirlo [...]. Quel negro che insomma io avevo aiutato a fuggire mi diceva tranquillamente che avrebbe rubato i suoi gli! Dei ragazzi che appartenevano ad un uomo che non conoscevo neppure e che non mi aveva mai fatto nulla.

Mi rincresceva udire Jim parlare in tal modo: l’avrei creduto più degno della mia stima, e la mia coscienza non cessava di farmi soffrire mille mor-ti, talmente e così insistentemente che nii per rispondergli: “Fermati un po’: nulla è perduto. Alla prossima luce scenderò a terra e ti denuncerò”. Subito, mi sentii più a mio agio e contento e leggero come una piuma. I

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Schiavitù e violenza 405

miei fastidi erano spariti come per incanto. Mi sono messo a spiare la luce canticchiando piano piano [...].

Compare una luce. Huck prende il canotto, Jim aspetta sulla zattera. Mentre Huck si allontana, Jim gli esprime di nuovo la propria gratitudine; Huck è il suo migliore amico, il suo solo amico, ora. Turbato, Huck viene assalito da pensieri:

Io che lavo, con la fretta di denunciarlo, ne ebbi le braccia stroncate all’udirlo. Rallentai la mia andatura, senza sapere più se avevo ragione o torto [...]. Arriva allora una barca, montata da due uomini armati di fucili. Si fermano: Huck anche. Cinque negri sono fuggiti stasera da una pianta-gione; gli uomini interrogano Huck per sapere chi è l’uomo che egli dice di aver lasciato sulla sua zattera: è bianco o nero?

Huck esita, poi mente: è suo padre, che è ammalato. Sentendo la sua esitazione, i due uomini diventano sospettosi. Ma Huck si riprende e arriva a stornare i loro sospetti: “Tuo padre ha il vaiolo, e tu lo sai benissimo. Per-ché non ce l’hai detto subito? Vuoi che lo prendano tutti?”. Per timore del contagio, i due uomini fuggono senza avvicinarsi alla zattera.

... (Huck): Tornai a bordo della zattera, vergognoso e non ero perché sapevo benissimo di aver agito male, e vedevo che, nonostante i miei sforzi, non sarei riuscito a fare quel che avrei dovuto. Chi non comincia di buon’ora, non ha alcuna probabilità in suo favore; quando arriva il mo-mento, nulla lo sostiene, nulla lo aiuta, ed è fregato. Poi mi sono messo a ri ettere. Mi dicevo: “Aspetta un po’, se tu avessi fatto il tuo dovere denunciando Jim saresti più ero di quello che sei? No, certamente no. Saresti imbestialito, forse imbestialito come ora. Ma allora perché sce-gliere di compiere le azioni buone, che dif cilmente riescono, mentre quelle cattive al contrario non incontrano dif coltà, dal momento che il risultato è eguale? Ebbene, ora, tanto peggio per tutto questo, farò sempre a modo mio”.

Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, Stati Uniti. 832

DerisioneUNO SCHIAVO: Obbedire è condividere il potere del proprio padrone. UN AFFRANCATO: Che meraviglia sentirsi uno di Noi. UN DITTATORE: Ho rubato loro la libertà, ma in compenso ho dato loro

ducia in se stessi. Karel apek (1890-1938), scrittore ceco. 833

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L’uomo contro la schiavitùMeglio la prigione e le catene che una libertà da schiavi. Julius Grégr (1831-1896), scrittore boemo. 834

La schiavitù contro l’uomo Lo schiavo è servile, mentre il padrone è orgoglioso. Quello guasta la

sua vita passivamente, se posso esprimermi così, e questo fa la stessa cosa attivamente. Essi hanno in comune la volontà di impedire lo sviluppo, nell’uomo, di una vita degna.

Sakae sugi (1885-1923), Giappone. 835

Come vi son uomini-jena e pantere, io sarò un uomo-ebreoun uomo-afro un uomo-indù di Calcuttaun uomo di Harlem che non vota l’uomo-carestia, l’uomo-insulto, l’uomo-tortura che si potrà in qualunque momento catturare; riempirlo di colpi, ucciderlo – perfettamente ucciderlo – senza dover rendere conto a nessuno, senza dover delle scuse presentare a nessuno.

Un uomo ebreo un uomo pogrom un cucciolo un mendicante.

Aimé Césaire, Cahier d’un retour au pays natal, 1947, Martinica. 836

Non vi è soluzione a questo problema nché non si dà il primato all’uo-mo indigeno, vittima di quel cozzo di due mondi che è la colonizzazione, n che non ci si rassegna a riconoscergli un maggior valore che alla canna

da zucchero o al caffè, o al grasso d’arachidi o al caucciù. Aimé Césaire, L’abolizione della schiavitù, 1948, Martinica. 837

Oppressione e liberazione; sottomissione e rivolta

La pazienza degli oppressi Tra le virtù più ammirevoli e più rare degli Indiani, citerò la pazienza,

per due motivi principali: in primo luogo perché vivono nella miseria e

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Schiavitù e violenza 407

sono oppressi da lavori faticosi, e in secondo luogo perché essa (miseria) è molto profonda e molto intensa senza che essi emettano mai il minimo sospiro, gemito o lamento [...].

Infatti, qualunque sia il numerò e la gravità dei mali che vengono loro fatti subire, accade ben raramente che, spinti da collera o da furore, essi cerchino di vendicarsi o di ottenere riparazione, e non sognano neppure di andarsi a lamentare coi loro superiori o uomini di tutt’altra condizione, im-pietositi dalle loro sofferenze, animati da un sentimento di equità, o deside-rosi di servire Vostra Maestà e di assicurare la conservazione degli Indiani, oppure ancora preoccupati di difendere i loro stessi interessi e spinti dalle loro passioni, che li convincano a lamentarsi.

Juan de Palafox y Mendoza, Libro de las virtudes del indio (XVII sec.). 838

Liberazione interiore Quando tutti i desideri che abitano nel cuore dell’uomo sono allontanati,

il mortale diventa immortale e (per no) accede al Brahma (cioè allo stato di liberazione).

Katha-Upanishad II (V sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 839

Qualunque piacere la carne procuri in questo mondo e qualunque sia il grande piacere che si gusta in cielo, l’uno e l’altro non valgono la sedicesima parte del piacere che risulta dalla soppressione di ogni desiderio.

Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 840

Possa la regione media accordarci di essere liberati dalla paura; possano il cielo e la terra (accordarci) di essere liberati dalla paura. Ci sia dato di essere liberati dalla paura di ciò che sta dietro di noi, dinanzi a noi, sopra di noi e sotto di noi. Ci sia dato di non avere alcuna paura dell’amico e del nemico, di ciò che è noto e di ciò che è lontano. Ci sia dato di non aver alcuna paura, né notte né giorno. Possano tutti i punti dell’orizzonte essermi benevoli!

Atharvaveda, XIX (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 841

Tutti gli uomini aspirano allo stato di liberazione Aspirando alla felicità in nita e alla sparizione di ogni tristezza, tutti gli

uomini quaggiù desiderano essere liberati di tutti gli oggetti. Vârttikâsâra, II, ( ne dell’VIII sec.), tradotto dal sanscrito. 842

Il desiderio di mangiare buoni pranzi, di vestire begli abiti, di abitare in una bella casa, di arricchirci, di essere rispettati da tutti e di godere di lunga

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408 Il diritto di essere un uomo

vita, è proprio del cuore umano e della nostra natura. Ma numerosi sono coloro che, considerandolo come vizioso e pensando che sia bene non de-siderare, fanno nta di non invidiare e di non chiedere nulla. Ecco sempre l’irritante ipocrisia del confucianesimo.

Norinaga Motoori (1731-1801), Il paniere di bambù (raccolta di pensie-ri), Giappone. 843

GRATIS Noi viviamo gratis, senza pagare un soldo: L’aria è gratis, le nuvole gratis, valli e colline, tutto gratis; Pioggia e fango, gratis; L’esterno delle auto, Le porte dei cinema, Le vetrine, gratis; Se non il pane e il formaggio, L’acqua salmastra è gratis; Cadon teste per darci libertà, Ma la schiavitù è gratis. Noi viviamo veramente gratis, senza pagare un soldo.

Orhan Veli, 1948, Turchia. 844

Necessità, talvolta, della violenza Una persona che ne uccide altre per difendersi, in occasione di un con-

itto relativo ai debiti sacri cali, oppure per proteggere delle donne e dei Bramini (da atti di violenza) non è colpevole nei confronti della legge. Ciascuno deve, senza esitazione uccidere un forsennato che cerchi di at-taccarlo, anche se è il suo padrone, un bambino, un vecchio o un sapiente Bramino.

Manusmriti VIII (II sec. a.C, 1 sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 845

RivoltaLo schiavo, in fondo, è un nemico del suo padrone, come il cane che,

talvolta, si comporta come un lupo. Proverbio turco citato nell’XI sec., Turkestan orientale. 846

La pietra lanciata dal popolo va lontano. Proverbio turco, citato nel XV sec. 847

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IL DIRITTO CONTRO LA FORZA

Il diritto contro la forza e l’arbitrio

Ora racconterò una storia ai re, per quanto saggi essi siano. Ecco ciò che lo sparviero disse all’usignolo dal collo macchiato, mentre lo porta-va lassù, in mezzo alle nuvole, tra le sue grin e di rapitore. L’usignolo gemeva pietosamente, tra tto dagli artigli adunchi; e lo sparviero bru-talmente gli disse: “Miserabile perché gridi? Tu appartieni a esseri ben più forti di te. Andrai dove ti porterò, per quanto buon cantore tu sia, e di te, a mio piacere, farò il mio pasto o ti renderò la libertà. È stupido colui che resiste a chi è più forte di lui: non ottiene la vittoria e all’onta aggiunge la sofferenza”. Così disse il rapido sparviero, che plana ad ali spiegate.

M a tu, o Perseo, ascolta la Giustizia. Non permettere che in te cresca l’orgoglio. Esso è cosa malvagia per i poveri: i grandi stessi fanno fati-ca a portarlo, e il suo peso li schiaccia, il giorno in cui vanno incontro al disastro. È ben preferibile la strada che, passando dall’altra parte, conduce alle opere di Giustizia [...].

Quanto a te, o Perseo, mettiti in mente questo consiglio; ascolta la Giustizia, dimentica per sempre la violenza. Questa è la legge che il glio di Crono ha prescritto agli uomini: che i pesci, gli animali, gli

uccelli alati si divorino, poiché non esiste fra loro la Giustizia, ma agli uomini, Zeus ha fatto dono della Giustizia che è di gran lunga il più importante dei beni. A colui che scientemente si pronuncia secondo la Giustizia, Zeus dall’ampio sguardo dona la prosperità; ma colui che, per deliberato proposito, appoggia con un giuramento delle dichiara-zioni menzognere; e con ciò, ferendo la Giustizia, commette un delitto inespiabile, vedrà la sua posterità diminuire nell’avvenire, mentre la posterità dell’uomo fedele al suo giuramento, nell’avvenire crescerà.

Esiodo (VIII sec. a.C.), Le opere e i giorni, Grecia. 848

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410 Il diritto di essere un uomo

L’autorità della legge naturale DIALOGO TRA LO SPARTANO E LO STRANIERO

“Quali e quanti sono i titoli per comandare e per obbedire, sia nella città, sia nelle case, grandi e piccole? Il primo non è forse quello di padre e di madre? E in generale la condizione di genitori non è dapper-tutto un giusto titolo di autorità nei confronti dei discendenti?

– Assolutamente. – La legge che segue la precedente è che i nobili comandino ai tan-

gheri; dopo quella ne viene ancora una terza, e cioè che i più anziani devono comandare e i più giovani sottomettersi.

– Evidentemente. – Una quarta, a sua volta: che gli schiavi obbediscano e che i padroni

comandino. – È ovvio. – Secondo la quinta, immagino, il più forte comanda, il più debole

obbedisce. – Hai nominato un’autorità che obbliga molto! – Certo, ed è la più diffusa fra tutti gli esseri viventi: la legge di natu-

ra, come la chiamava un tempo Pindaro di Tebe. Ma pare che la regola più importante sarebbe la sesta, la quale vuole che l’ignorante segua e il saggio guidi e comandi. Ora, in questo caso, o molto avveduto Pindaro, non dirò certamente che è contro natura, anzi è molto naturale, l’auto-rità che la legge esercita su dei sudditi consenzienti e non costretti”.

Platone (429-347 a.C.), Le leggi. 849

Sia resa giustizia al tuo nemico. Iscrizione babilonese, verso il 700 a.C. 850

Regno della forza, manifesto Che cosa accade quando la forza detta legge? La risposta è semplice:

logicamente, i grandi attaccano i piccoli, i forti spogliano i deboli, la maggioranza maltratta la minoranza, gli scaltri ingannano i semplici, i nobili disprezzano i plebei, i ricchi disdegnano i poveri e i giovani si beffano dei vecchi.

Scuola di Mo-Tzu (V sec. a.C.), Cina. 851

Regno dello spirito, invisibileDue fratelli litigano tra loro; uno dei due si pente e risveglia l’amore

che dormiva in lui. I due fratelli ricominciano a vivere in pace; nessuno ha notato nulla. Ma se i due fratelli, in seguito all’intervento di avvocati o per

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Il diritto contro la forza 411

qualche altra ragione, prendono le armi o adiscono alla giustizia – il che è un altro modo di ricorrere alla forza brutale – i loro atti saranno immedia-tamente segnalati sulla stampa, formeranno oggetto delle conversazioni dei loro vicini e forse s’iscriveranno nella storia. Ciò che è vero per le famiglie e per le comunità è anche vero per le nazioni. Non abbiamo alcun motivo per pensare che vi sia una legge per le famiglie e un’altra per le nazioni. La storia registra i fatti che interrompono il corso naturale delle cose. Poiché la forza dello spirito è naturale, la storia non ne dice nulla.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 852

La nervatura si trova tra le due parti della (foglia) della palma, i muretti di terra tra i campi per separarli, e la giustizia tra le persone irritate per fre-narle. La giustizia non può attendere, il diritto non può piegarsi.

Proverbi malgasci. 853

Forza e dirittoÈ fatalità legata al destino di ogni uomo, che questi si trovi coinvolto in

rapporti di forze che lo fanno vivere. Tale è la colpa inevitabile di tutti, la colpevolezza della condizione umana. Si cercherà di scon ggerla lottando per l’avvento della forza che realizza il diritto, i diritti dell’uomo. Quando si trascura di lavorare, per quanto sta in noi, all’elaborazione delle strutture secondo le quali si stabiliscono i rapporti di forza, alla lotta per la forza messa al servizio del diritto, si commette un grave errore politico, che è allo stesso tempo un errore morale. La colpevolezza politica diventa una colpevolezza morale quando la forza sopprime la ragion d’essere della for-za, (in quanto) realizzazione del diritto, etica e purezza del popolo. Perché, quando la forza non si frena da se stessa, sorge il regno della violenza e del terrore, e alla ne la distruzione della vita e dell’anima.

Quando gli uomini si mettono d’accordo tra loro, la decisione spetta alla forza. Ogni ordine costituzionale tende a padroneggiare questa forza; essa sussiste tuttavia: all’interno, nella misura in cui il diritto è imposto dalla forza; all’esterno, sotto forma di guerra. Questi fatti, nelle opere paci che, furono quasi dimenticati [...].

Il ricorso alla violenza chiama la violenza. Spetta al vincitore di de-cidere della sorte del vinto. Qui regna il vae victis. Non resta al vinto che una scelta sola: morire, oppure agire e soffrire a piacimento del vincitore [...].

Il diritto, è rappresentato dal nobile pensiero di quegli uomini che vogliono dare una base alla loro vita; esso deve, certamente, essere garantito dalla forza, ma non esserne determinato. Quando gli uomini

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412 Il diritto di essere un uomo

diventano coscienti della loro qualità di uomini, quando riconoscono la persona umana come tale, essi ricorrono ai diritti dell’uomo, e si ap-poggiano su un diritto naturale al quale tutti possono ricorrere, vincitori e vinti.

Appena nasce l’idea del diritto, diventa possibile negoziare, al ne di scoprire il vero diritto con la discussione e una procedura metodica.

Nel caso di una vittoria totale, la parte del diritto che regola i rapporti da vincitore a vinto, come pure quella che spetta a quest’ultimo, è sem-pre stata n qui molto limitata, ovunque una volontà politica determi-nasse il corso degli avvenimenti. Questi diventano allora il fondamento di un diritto positivo, un diritto di fatto; essi non si giusti cano più secondo il diritto [...].

Rimane possibile, per no a colui che è punito o riconosciuto respon-sabile, ammettere la validità del diritto. Il criminale può sentire il fatto d’essere punito come un onore e una riabilitazione. Chi è politicamente responsabile può riconoscere che ciò che egli deve ormai addossarsi, se vuol vivere, gli è imposto da una fermata del destino.

La clemenza è l’atto che limita gli effetti del diritto puro e della forza distruttrice. Esiste un certo senso umano che permette di percepire una verità più alta di quella della logica rigida delle cause e degli effetti, tanto nel campo del diritto, quanto in quello della forza.

a) Nonostante il diritto, la pietà tende a instaurare il dominio di una giustizia non legalizzata, perché ogni legislazione umana, quand’è ap-plicata, si trova (ad essere) carica di imperfezione e di ingiustizia.

b) Benché possa servirsi della forza, il vincitore usa clemenza, sia per un senso pratico – perché i vinti possono essergli utili – sia per magnanimità, perché il fatto di lasciar liberi i vinti esalta il concetto ch’egli ha della sua potenza e della sua moderazione, oppure perché nella sua coscienza egli si sottomette alle esigenze di un diritto naturale valido per tutti gli uomini, e secondo il quale il vinto (d’altronde non più del criminale) non può essere privato di tutti i suoi diritti.

Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania. 854

Disuguaglianza dei mezzi e reciprocità Esistono, è vero, grandi disuguaglianze di mezzi tra gli uomini. La

natura crea dei forti e dei deboli; essa dispensa agli uni un’intelligenza che ri uta agli altri. Ne consegue che esisterà tra loro una disuguaglian-za di lavoro, disuguaglianza di prodotto, disuguaglianza di consumo o di godimento; ma non ne segue che vi possa essere disuguaglianza di diritti.

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Il diritto contro la forza 413

Poiché tutti hanno un diritto che deriva dalla medesima origine, ne segue che colui che intaccasse il diritto di un altro, oltrepasserebbe i limiti del proprio diritto; ne segue che il diritto di ognuno deve essere rispettato da ogni altra persona, e che questo diritto e questo dovere non possono non essere reciproci. Dunque il diritto del debole sul forte è lo stesso di quello del forte sul debole. Quando il forte arriva a opprimere il debole, produce un effetto senza produrre un obbligo. Lungi dall’imporre un nuovo dovere al debole, egli ravviva in lui il dovere naturale e imperituro di respingere l’oppressione.

È dunque una verità eterna – che gli uomini non amano sentirsi ripetere – (quella che afferma) che l’atto col quale il forte tiene il debole sotto il proprio dominio non può mai trasformarsi in un diritto, mentre l’atto col quale il debole si sottrae al giogo del forte è sempre un diritto, cosa che rappresenta un dovere sempre incalzante verso se stesso.

... lo stato sociale non stabilisce una disuguaglianza di diritti a anco della disuguaglianza naturale dei mezzi; al contrario, esso protegge l’e-guaglianza dei diritti contro l’in uenza naturale, ma nociva, della disu-guaglianza dei mezzi. La legge sociale non è punto fatta per indebolire il debole e rafforzare il forte; al contrario, essa si occupa di mettere il debole al riparo alle imprese del forte; e coprendo con la sua autorità tutelare l’u-niversalità dei cittadini, essa garantisce a tutti la pienezza dei loro diritti.

Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789. 855

Moderazione e rispetto del prossimo. Contro la violenza In questo mondo dove noi andiamo non si manda mai l’enwe a sotterrare

l’adaka (L’enwe e l’adaka sono due specie di scimmie). Quando degli unilingue di lingue diverse si incontrano non si uccidono

l’un l’altro. Se l’erba non vuole essere sradicata, non vi spuntino dei funghi. Colui che non vuole essere insultato, non lanci ingiurie. Proverbi ibo, Nigeria 856

Io vi lascio, ma dove restate, Resistete, maturate, Uccidete il leone, uccidete il leopardo, Prosperate, crescete e rimanete in vita. Ruggisce il leone, il leopardo ha l’abito maculato, Ma voi, siate padroni dei vostri cuori; Ciascuno rispetti suo fratello, Non lasciate invadere i vostri cuori dalla passione; Se qualcuno s’appassiona, attira su di sé le sventure.

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414 Il diritto di essere un uomo

Dove abitate, moderate le danze, Moderate i tamburi (ngoma). Non è col denaro e l’avidità di lucro che vivono gli uomini. La minaccia è proibita, Il coltello è proibito, I colpi sono proibiti, Ma entrate nel bosco, Attaccate la selvaggina, ammazzatela. Tuttavia, senza l’ardore che eccita le liti, Comportatevi bene, Moltiplicatevi felici, Il villaggio è appena ricostruito, Sono venuto a paci carlo, Metto in pace gli uomini, Metto in pace le donne, Metto in pace i parenti alleati,Restino in vita, siano prosperi e in pace, Abbiano dei gli facendo così rivivere i loro antenati! Questo io voglio, lo voglio, oh, oh, oh!

Tradizione bakongo, Congo. 857

Diritti altrui Attentare ai diritti altrui per far trionfare i propri, signi ca andare incon-

tro alla delusione. Proverbio akan, Ghana. 858

Giustizia e non violenza Il povero si difende; il giudice ascolta. (Non si deve farsi giustizia da sé; tutti hanno diritto ad aver giustizia) Proverbio amarico, Etiopia. 859

Nessuna punizione prima dell’azione legale Prima giudica; impicca solo dopo. Proverbio rumeno. 860

Il grande principe di Kiev Svjatopolk aveva fatto accecare suo cugino Vasilko (1097).

Vladimir (Monomaco) e David inviarono i loro messaggeri a dire a Svjatopolk: “Perché hai commesso questa azione malvagia, inaudita in terra russa? È contro di noi che tu hai lanciato il pugnale! Perché hai accecato tuo fratello? Se tu avevi da fare qualche lagnanza contro di lui, bisognava accusarlo dinanzi a noi. Allora, dopo averlo confuso, avresti

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Il diritto contro la forza 415

agito contro di lui. Ebbene, ora di’ qual è la sua colpa, per la quale l’hai trattato così”.

Annali russi, Rus’ di Kiev. 861

Contro i massacri Quando Ivan il Terribile, nel 1570, venne a Novgorod per reprimere nel

sangue una rivolta, un sant’uomo, folle in Cristo, si presentò a lui: ... egli presentò allo zar un bicchiere pieno di sangue e un pezzo di carne

cruda, e lo invitò a bere quel sangue e a mangiare quel pezzo di carne. Lo zar ne ebbe disgusto domandandosi dove quel sant’uomo volesse arrivare. Allora il beato gli disse: “Questo è un bicchiere pieno del sangue che è stato versato per ordine tuo”. E lo ricondusse [...] alla luce del giorno [...]. Allora lo zar fece segno col fazzoletto ai suoi reggimenti di cessare di mas-sacrare la gente.

Manoscritto russo del XVIII secolo. 862

Variante di questo stesso racconto in un testo inglese più antico Il 18 febbraio 1570 Ivan il Terribile entrò in Pskov, minacciando di trat-

tare questa città come aveva trattato Novgorod. Mandò tuttavia a portare un regalo a un sant’uomo, Nikolaj, folle in Cristo. Questi lo ringraziò e gli inviò, a sua volta, un pezzo di carne cruda. Si era di Quaresima. Lo zar gli fece dire che si stupiva che un buon cristiano gli offrisse della carne duran-te la Quaresima. “Pensa forse Ivan, – replicò il santo – che mangiare un po’ di carne di animale in Quaresima sia peccato mentre non vi è peccato nel mangiare altrettanta carne umana quanta egli ne ha già mangiata?”. Il folle in Cristo salvò così la vita a una gran folla di gente.

Giles Fletcher, Sullo stato russo, 1591, Inghilterra. 863

Denunce, diffamazione, prigione, tortura, pena di morte, violenza, vendetta

Accuse segrete Le denunce anonime sono un chiaro abuso, ma consacrato dall’uso e

reso necessario in molte nazioni a causa della debolezza del loro sistema politico. Un tal costume rende gli uomini falsi e coperti: chiunque può sospettare di vedere nell’altro un delatore, un nemico. Gli uomini allora si avvezzano a mascherare i propri sentimenti, e, coll’uso di nasconderli agli altri, arrivano nalmente a nasconderli a sé medesimi. Infelici gli uomini quando son giunti a questo segno: senza princìpi chiari e immobili che li

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416 Il diritto di essere un uomo

guidino, errano smarriti e uttuanti nel vasto mare delle opinioni; sempre occupati a salvarsi dai mostri che li minacciano; passano il momento pre-sente sempre amareggiato dalla incertezza del futuro; privi dei durevoli piaceri della tranquillità e sicurezza, appena alcuni pochi di essi sparsi qua e là nella trista loro vita, con fretta e con disordine divorati, li consolano d’esser vissuti...

Chi può difendersi dalla calunnia quand’essa è armata dal più forte scu-do della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quello ove chi regge sospetta in ogni suo suddito un nemico ed è costretto per il pubblico riposo di toglierlo a ciascuno?

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 864

Contro la diffamazione Nulla è più pernicioso per la libertà che la licenza; e nulla è più dannoso

alla libera discussione delle azioni e degli affari pubblici, che gli attentati sregolati alla riputazione di un individuo.

Poiché godiamo solo da poco tempo dei diritti e delle garanzie di un governo popolare, non sorprende che ci allontaniamo dalla retta via nella sua applicazione e nel suo esercizio e che, non arrivando a ssare la linea di demarcazione tra ciò che le leggi devono permettere e ciò che devono proibire, noi pensiamo che se ne restringa e se ne limiti l’uso, quando in-vece non si fa che reprimere l’abuso. Ma in tutti i campi le leggi sono forse qualcosa di diverso degli intralci alle inclinazioni più naturali, ai diritti più incontestabili che si tratta di orientare verso il benessere generale? E la buona reputazione sarebbe forse una proprietà meno sacra di quella dei beni materiali? I colpi inferti alla reputazione producono delle ferite meno dolorose? Il legislatore è dunque tenuto a prevenire e riparare questa specie di pregiudizio con cure non minori che gli altri; e, se lasciasse la reputazio-ne e la rispettabilità sociale dei cittadini esposte agli oltraggi della maldi-cenza, fallirebbe la sua missione, proprio come se lasciasse la loro vita e i loro beni alla mercé dei ladri e degli assassini [...].

Perché vi sia diffamazione non è necessario vi sia delitto. È suf ciente che vengano attribuiti a una persona un atto o un’omissione che, anche se non è criminale per natura, tenda a rendere questa persona odiosa o meno degna di ducia nei rapporti sociali. Vi è diffamazione ogni volta che la tendenza naturale delle parole, dei segni o delle gure usati è quella di suscitare l’av-versione, la derisione o il disprezzo del pubblico verso un individuo.

Beninteso, la discussione di tutti gli atti compiuti dagli impiegati dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni è libera, esattamente come l’esame rigoroso della loro condotta pubblica, la critica dei loro scritti e, in genera-

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Il diritto contro la forza 417

le, delle produzioni letterarie di ogni genere. Ma i fatti citati devono essere veritieri; se non sono provati vi è diffamazione.

Andrés Bello, El Araucano, 1833, Cile. 865

“NEMINEM CAPTIVABIMUS” Noi (il Re) promettiamo e giuriamo di non mai incarcerare o far incar-

cerare nessun nobile; di non punirlo in alcun modo, qualunque sia il suo delitto o la sua colpa, a meno che egli non sia stato prima giustamente condannato dai tribunali e consegnato nelle nostre mani dai giudici della sua provincia, a eccezione di coloro che commettessero un delitto di diritto comune, quale un assassinio, un furto o il brigantaggio.

Costituzione del re Ladislao Jagellone, 1430, Polonia. 866

Contro la prigione e la tortura È un’invenzione pericolosa quella della tortura e pare che sia piuttosto

un saggio di pazienza che non di verità. Colui che può sopportarla na-sconde la verità, e anche colui che non la può sopportare. Infatti, perché il dolore dovrebbe farmi confessare ciò che è, piuttosto che forzarmi a dire ciò che non è? E, al contrario, se colui che non ha commesso ciò di cui lo si accusa, ha abbastanza pazienza per sopportare questi tormenti, perché non l’avrà colui che l’ha commesso, dal momento che gli è proposta una ricompensa bella come la vita? Io penso che il fondamento di questa in-venzione è appoggiato sulla considerazione dello sforzo compiuto dalla coscienza. Perché il colpevole ha l’impressione che essa aiuti la tortura per fargli confessare la sua colpa e che lo indebolisca; e, dall’altra parte, che essa rafforzi l’innocente contro la tortura. A dire il vero, è questo un mezzo pieno d’incertezza e di pericolo.

Che cosa non diremo, che cosa non faremo per sfuggire a così gravi dolori? [...]. Ne consegue che colui che il giudice ha torturato per non farlo morire innocente, lo fa morire innocente e torturato. Mille e mille hanno riempito la loro testa di false confessioni.

Ma in n dei conti si dice che è il male minore che l’umana debolezza abbia potuto inventare.

Tuttavia molto disumanamente, e molto inutilmente, a mio parere! Mol-te nazioni, meno barbare in questo che non la greca e la romana, alle quali si appellano, giudicano orribile e crudele tormentare e dilaniare un uomo per una colpa sulla quale siete ancora in dubbio. Che cosa ne può egli della vostra ignoranza? Non siete forse ingiusti, voi, che per non ucciderlo senza motivo, gli fate peggio che ucciderlo. A testimoniare che le cose stanno così: vedete quante volte egli preferisce morire senza motivo che passare

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418 Il diritto di essere un uomo

attraverso questa prova più penosa del supplizio e che spesso, per la sua asprezza, supera il supplizio e lo uccide.

Michel de Montaigne (1580-1588), Saggi. 867

IL PRIGIONIERO Dietro le inferriate dell’umida mia cella, Vedo una giovane aquila, allevata in cattività, Compagna di sfortuna. Essa sbrana, sbattendo l’ali, Un pezzo di carne insanguinata. Poi si ferma e mi guarda, Come se avesse il mio stesso pensiero; Mi chiama con lo sguardo, mi chiama col suo grido, Cerca di dirmi: Siam fratelli, partiamo! Noi siam fatti per essere liberi. È l’ora!

Fuggiamo là dove, dietro le nubi, biancheggi una cresta montagnosa, Là dove si stende l’azzurra immensità dei mari, Là dove c’è nulla più del vento... e me!

Aleksandr Puškin (1799-1837), Russia. 868

Se un ladro o un brigante è catturato e nega ciò che gli viene imputato, voi affermate che il giudice gli deve riempir la testa di colpi e tra ggergli le costole con punte di ferro, nché egli dica la verità. Questo non l’ammet-tono né la legge divina né la legge umana: la confessione non deve essere forzata, ma spontanea; non bisogna che sia estorta, ma volontaria; in ne, se accadrà che, dopo aver in itto questi tormenti, voi non scopriate asso-lutamente nulla di quanto veniva addossato all’imputato, non arrossirete dunque – almeno in quel momento – e non riconoscerete quanto empio fu il vostro giudizio? Analogamente, se l’imputato, non potendo sopportare simili torture, confessa dei delitti che non ha commesso, chi (dunque) avrà – lo domando a voi – la responsabilità di cotale empietà, se non colui che l’ha costretto a una simile confessione menzognera? E più ancora: se qual-cuno profferisce con le labbra ciò che non ha in mente, egli non confessa, ma parla. Rinunciate dunque a queste cose e maledite dal profondo del cuore ciò che, no ad ora, avete avuto la follia di praticare; infatti, quale frutto avete tratto da ciò di cui ora arrossite?

Nicola I papa, ai bulgari, 13 novembre 866. 869

Le norme diverse (da queste) e le penalità severe vanno soppresse in-teramente. Noi stabiliamo innanzitutto (prima di punire) delle leggi e del-le ordinanze nel desiderio che gli uomini non abbiano più l’intenzione di

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Il diritto contro la forza 419

commettere delle infrazioni e che il paese abbia dei castighi regolari, se-condo il principio di punire senza collera. Speriamo che non siano lontani i tempi in cui (i castighi) saranno stabiliti ma non applicati. Che i diecimila paesi e i cento signori siano informati delle Nostre intenzioni. Fin dalle dinastie precedenti, s’era stabilita tra le autorità la tradizione d’impiegare sempre dei metodi extralegali nell’interrogatorio (degli imputati). Talvolta ci si è serviti di strumenti (di tortura per estorcere delle confessioni); si è ricorsi ai grossi manganelli, alle bastonate (dei prigionieri), al raggio delle ruote, alle percosse con delle sbarre (varie specie di torture). Sotto i colpi di questa gamma di pene atroci, molti (degli accusati) si rassegnarono a del-le false (confessioni). Persino se (gli accusati) erano deferiti alla giustizia secondo il testo (della legge), sono sempre esistite (leggi) violate e degli eccessi, per modo che nessuno poté giusti carsi. Ora tutti i metodi crudeli sono stati interamente aboliti.

Trattato giuridico del Suei-chu. Annali dei Suei, (590-617), Cina. 870

Lettera all’arciduca per la difesa di un servo accusato di un furto di rame e al quale è stata applicata la tortura

Come se fosse proprio compito della giustizia quello di strappare la ve-rità con la tortura, in mancanza di pezze giusti cative, di prove, di testi-moni e di argomenti. Perché la tortura è per sua natura tale da costringere facilmente per no il più innocente degli uomini alla confessione della sua colpevolezza [...]. Essere persecutore e giudice in una stessa questione è [...] contrario alla legge stessa.

Bálint Balassa, 1587, Ungheria. 871

Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare un delitto, o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so quale meta sica e incomprensibile spiegazione d’infamia, o nalmente per altri delitti di cui potrebbe essere reo, ma dei quali non è accusato.

Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata. Qual è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà a un giudice di dare una pena a un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o è incerto; se è certo non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, e inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, non devesi tormentare un innocente,

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perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati. Ma io aggiungo di più, ch’è un voler confondere tutti i rapporti l’esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore e accusato, che il dolore divenga il crogiuolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle bre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 872

La fustigazione Ho interrogato a lungo i miei compagni a proposito della sofferenza che

causa la fustigazione. Volevo rendermi conto della sua intensità e sapere a che cosa poteva paragonarsi. Non so davvero quale motivo mi spingesse, ma se ben ricordo, non si trattava affatto di una pura curiosità. Lo ripeto, l’emozione e lo spavento mi stringevano il cuore. Ma ebbi un bell’inter-rogare, non ottenni mai risposte soddisfacenti. Brucia come il fuoco, mi si rispondeva sempre. “Brucia, ecco tutto!”. Nei primi tempi, quando mi fui avvicinato a M-cki, lo interrogai a questo proposito. “Fa orribilmente male – mi rispose – si prova un’impressione di bruciore, come se la schie-na arrostisse su un fuoco d’inferno”. Così si esprimevano tutti, in modo unanime. Ricordo di aver fatto una strana osservazione, di cui d’altronde non garantisco l’esattezza, ma che l’opinione generale dei forzati conferma con certezza, cioè che una dura agellazione a colpi di verga costituisce il più terribile dei supplizi in uso presso di noi. A prima vista ciò sembra impossibile, e tuttavia cinquecento colpi, anche solo quattrocento bastano a uccidere un uomo; oltre i cinquecento, la morte è, per così dire, certa; l’individuo più robusto non può sopportare in una sola volta mille colpi di verga. Invece con le bacchette si sopportano cinquecento colpi senza pericolo di vita; un uomo di media costituzione può sopportare mille colpi, per no duemila se ha una salute molto buona. Tutti i forzati trovavano le verghe in nitamente più dolorose delle bacchette. “Le verghe sono più cocenti, fanno più male”, dicevano. È evidente che esse torturano molto di più, perché agiscono maggiormente sui nervi, che irritano e scuotono all’e-stremo, che sovreccitano oltre misura. Non so se ne esistono ancora, ma un tempo esistevano dei gentiluomini che si dilettavano a fustigare le loro vittime; lo provano il marchese de Sade e la Brinvilliers. Questa sensazione provocava in loro, io credo, una specie di smarrimento estatico che sa, al tempo stesso, di perversione e di delizia. Vi sono persone che, come le tigri, leccano avidamente il sangue ch’esse hanno sparso. Colui che ha esercita-to, anche una sola volta, un potere illimitato sul corpo, il sangue, l’anima del proprio simile, sul corpo di colui che gli è fratello secondo la legge di

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Il diritto contro la forza 421

Cristo, colui che ha goduto della facoltà di avvilire al massimo grado un altro essere fatto ad immagine di Dio, costui diventa incapace di dominare le proprie sensazioni. La tirannia è un’abitudine dotata di estensibilità, può svilupparsi, divenire alla lunga una malattia. Io sostengo che il migliore degli uomini può, grazie all’abitudine, indurirsi no a diventare una bestia feroce. Il sangue e il potere inebriano, provocano la brutalità e la perver-sione, tanto che l’anima e la mente divengono accessibili ai godimenti più anormali. L’uomo e il cittadino si eclissano per sempre nel tiranno; e il ritorno alla coscienza umana, al pentimento, alla risurrezione diventano per lui quasi impossibili. Aggiungiamo che il potere illimitato del godimento ha una seduzione perniciosa, che agisce per contagio su tutta la società. La società che guarda con indifferenza simili modi di agire, è già contaminata no al midollo. In breve, il diritto di punizione corporale che un uomo

esercita su di un altro è una delle piaghe della società; è un mezzo sicuro per soffocare ogni germe di civismo e di provocare la sua decomposizione.

Fëdor Dostoevskij, Ricordi della casa dei morti, 1861. 873

L’uomo sotto al ladro L’uomo-ladro è (un) uomo. Ma se vi sono molti ladri, non è che vi

siano molti uomini. Se non vi è un ladro, non è che non vi sia uomo. Come si può dimostrare tutto questo? Detestare (il fatto) che vi siano molti ladri, non è detestare che vi

siano molti uomini. Augurare che non esista nessun ladro, non è augu-rare che non vi siano uomini. I nostri contemporanei sono d’accordo nell’approvare tutte le proposizioni precedenti.

Se queste sono valide, si può concludere così: Benché l’uomo-ladro sia (un uomo), qualcuno ama (un ladro). Non

vuol dire che ami (un) uomo. Se egli non ama (un) ladro, non vuol dire che non ami (un) uomo. Se uccide (un) ladro, non è che uccida (un) uomo.

Mo-Tzu, Mozi, V sec. a.C., Cina. 874

Contro la pena di morte Satyavat dice: “La radice (stessa) (dell’esistenza) (cioè dell’essere

umano) non dovrebbe essere sterminata; questo sterminio non costitui-sce affatto il dharma eterno. In verità, la vera espiazione (di una colpa) può realizzarsi senza condanna a morte.

Mahâbhârata, XII (II sec. d.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 875

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Il re che punisce con la morte i criminali rassomiglia a colui che strappa le erbe cattive da un campo di grano ancora verde.

Tirukkural, I sec. d.C., isole Mauritius, tradotto dal tamil. 876

Un sinedrio (tribunale) che uccide una volta in sette anni, merita il nome di assassino; il rabbi Eleazaro, glio di Azaria dice: una volta in settant’anni; il rabbi Taefone e il rabbi Akiba, dicono: se noi fossimo nel sinedrio, nessuno mai sarebbe condannato a morte.

Talmud, Makkoth 7. 877

Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho di-mostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere.

Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia. 878

ARTICOLO UOMO

Occorrono vent’anni per condurre l’uomo dallo stato di pianta in cui è nel ventre di sua madre, e dallo stato di puro animale, che è proprio della sua prima infanzia, no a quello in cui la maturità della ragione comincia a sorgere. Son occorsi trenta secoli per conoscere un po’ la sua struttura. Occorrerà l’eternità per conoscere qualcosa della sua anima. E non occorre che un istante per ucciderlo.

Voltaire, Dizionario loso co, 1764. 879

Il ricorso frequente alla pena di morte non ha mai reso gli uomini mi-gliori.

Caterina II di Russia, 1766. 880

Le segrete Nel 1783 andavo con due amici verso il bastione di Vincennes. Non

v’erano più prigionieri. Visitai tutte le prigioni, no alla nera e spaventosa segreta che sta sotto la torre e il cui ricordo mi fa rabbrividire ancora al momento in cui scrivo queste note. Tra gli altri aneddoti che ci raccontò il secondino che ci mostrava quest’orribile casa, eccone uno che merita di essere conosciuto.

Un uomo venne rinchiuso in una delle prigioni della torre. Poiché egli sopportava con impazienza la sua disgrazia, emetteva delle grida e si dimostrava irritato contro gli autori della sua cattività, fu deci-so, per ricondurlo alla ragione, di trasferirlo in questa segreta. E quivi

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egli trascorse circa due anni. Divenne pazzo. La corte diede ordine di portarlo a Bicêtre; ma, poiché era impossibile avvicinarlo, si pensò di lanciargli contro un grosso mastino, che subito lo atterrò e facilitò così il modo di impadronirsi di lui. Il brav’uomo che ci raccontava questa storiella ne rideva molto e non la smetteva di fare lo spiritoso; ammira-va soprattutto l’idea del mastino e sembrava ci pregasse di notare come lo stratagemma era ingegnoso. Ho saputo in seguito che il disgraziato che aveva perduto la ragione in quella segreta aveva patito questo trat-tamento spaventoso solo per non aver seguito l’esempio di tanta gente onesta di prestarsi ai disordini di sua moglie con un piedi-piatti che era allora ministro.

… … …Fréret fu imprigionato alla Bastiglia per aver presentato un eccellente

memoriale. Il Guardasigilli venne a interrogarlo, egli rispose, poi disse: “Mi pare che siate soddisfatto delle mie risposte alle vostre domande; me ne permettereste una anche a me?”. “Quale sarebbe?”. “Perché sono qui?”. “Siete molto curioso, signore”, disse (il guardasigilli) voltandogli la schie-na. Qualcuno diceva al signor de la Tour che era molto crudele mettere alla Bastiglia gli uomini saggi che scrivono la verità: “Eh! Signore – rispose egli – che cosa volete che se ne faccia?”.

André Chénier (1762-1794), Apologia, Francia. 881

SULLA MORTE Entrate dunque amici, e qui sedete. Siate benvenuti, voi mi portate gioia. Lo so; per la nestra siete entrati nella mia cella mentre io dormivo. Non rovesciaste la bottiglia dal ne collo né la scatola rossa dei rimedi. Il chiarore delle stelle sul viso, eccovi, la mano nella mano, al mio capezzale. Siate i benvenuti, voi mi portate gioia.

Hachim, glio di Osman, Perché mi guardi con un’aria strana? Hachim, glio di Osman, Com’è strano, non eri, fratello mio, forse tu, morto, a Istambul al porto, caricando carbone su un cargo straniero? Eri caduto col secchio in fondo alla cala, il verricello del cargo t’aveva tirato fuori e prima di andare a riposare davvero, il tuo sangue rosso t’aveva lavato il nero capo. Chissà quanto hai sofferto!

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Non stare in piedi, siediti. Io ti credevo morto. Per la nestra entrasti nella mia cella col chiarore delle stelle sul tuo viso. Tu sei il benvenuto, tu che mi rechi gioia.

Yakup, del villaggio di Kayalar, Salute, vecchio amico, ma dunque tu pure non eri morto? Non eri andato al cimitero spoglio, lasciando ai gli sia la malaria che la fame? Faceva un caldo terribile quel giorno. Allora, non eri morto, dunque, anche tu?

E voi, Ahmet Dzemil, lo scrivano? Ho visto coi miei stessi occhi la vostra bara scendere sotto terra. E per no io credo ricordare che la vostra bara era per voi un po’ corta. Lasciate stare, Ahmet, Djemil, Vedo che avete sempre la vostra vecchia abitudine. È una bottiglia di medicina, non del raki. Ne bevevate tanta per poter raccogliere cinquanta piastre al giorno e dimenticare il mondo nella nostra solitudine.

Vi credevo morti, amici miei, e siete al mio capezzale, la mano nella mano. Sedete, amici miei, sedete, voi siete i benvenuti, voi mi portate gioia.

La morte è giusta, dice un poeta persiano, colpisce con eguale maestà il povero e lo scià. Hachim, perché stupirti? Non hai mai udito, fratello mio, parlare di uno scià, morto nella cala d’un battello, con un secchio? La morte è giusta, dice un poeta persiano.

Yakup, quanto sei bello quando ridi, vecchio mio, non t’ho mai visto ridere così da vivo... Ma aspettate che nisca, la morte è giusta, dice un poeta persiano.

Lascia la tua bottiglia, Ahmed Djemil. Ve la prendete invano, so quel che volete dire:

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perché la morte sia giusta bisogna che sia giusta la vita.

Un poeta persiano... Perché, amici miei, perché mi lasciate solo? Perché questa collera! Dove andate?

Nazim Hikmet, 1946, Turchia. 882

IL VERDETTO

E la parola di pietra cadde sul mio seno ancor vivente. Non è nulla. Vi ero preparata. In qualche modo mi adatterò.

Oggi ho molto da fare; bisogna ch’io uccida la mia memoria no alla ne, Bisogna che l’anima divenga come pietra. Rivivere, bisogna ch’io l’impari.

Se no... Il caldo sussurrar dell’estate È come una festa dietro la mia nestra. Da molto tempo presentivo Questo giorno sì chiaro e la magion deserta. Estate 1939

Anna Achmatova, Unione Sovietica. 883

Legge contro gli atti di violenza Se un individuo colpisce una persona con un’ascia o un coltello, e se

questa viene gravemente ferita, l’aggressore deve versare un’indennità alla vittima, per l’acquisto delle medicine, no a completa guarigione. Inoltre, deve pagare al re una multa di 20.000. Questo si applica anche a tutti coloro che si sono resi complici dell’aggressore, aiutandolo o incitandolo a compiere l’aggressione. La multa sarà pagata al re.

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 884

Riscatto Un colpevole che viene condotto al luogo dell’esecuzione e vuole

salva la vita, deve pagare un riscatto di 8.000; questo si chiama “com-perare un pezzo di giungla”. Se uno schiavo è fuggito e non ha com-messo altri delitti, e se viene ritrovato, mentre nell’intervallo ha sposato una donna che non ha debiti, oppure una donna nobile, nel luogo in cui si è rifugiato, in modo che è diventato ricco per pura fortuna, sposando

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(una donna ricca), questo schiavo può pagare al suo padrone, a titolo di riscatto per se stesso e per i propri gli, una indennità ragionevole. Se il riscatto proposto dallo schiavo per se stesso e per i propri gli è ragionevole, il padrone dovrà accontentarsene.

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 885

Prigionieri di guerra I prigionieri di guerra (cioè le donne catturate nel corso di una guer-

ra, poiché i soldati nemici venivano uccisi) possono riscattare la propria libertà pagando 8.000. Questo si chiama “comperare la propria vita”. Tali erano le leggi relative ai prigionieri di guerra all’epoca del Dwâpa-ra (età del bronzo, prima della ne del IV millennio a.C).

Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava. 886

Contro la vendetta e la violenzaNon si lava il sangue col sangue. Proverbio turco, citato nell’XI sec., Turkestan orientale. 887

Non versare del sangue (per dirimere un litigio); regolalo secondo la legge.

Proverbio turco. 888

Due dervisci si adattano bene su di un solo materasso; due padiscià non possono dividersi la super cie della terra.

Proverbio turcomanno. 889

Interpretazione data dal Talmud alle parole della Bibbia che con-dannano la vendetta e il rancore:

Che cosa è la vendetta e che cosa è il rancore? Uno aveva detto all’al-tro: “prestami la tua sega” e costui rispose: “no”; l’indomani, l’altro disse al primo: “prestami la tua scure”, e questi si affrettò a rispondere: “non ti presto nulla, come tu non hai prestato nulla a me”; ecco che cos’è una vendetta. E che cos’è il rancore? Uno aveva detto all’altro: “prestami la tua scure”, e costui aveva risposto: “no”; l’indomani, l’al-tro disse al primo: “prestami la sega”, e costui rispose: “prendila, io non sono come te, che, non prest”; ecco che cos’è il rancore.

Talmud, Yoma, 23. 890

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La buona vendetta

Anche se un nemico che merita d’essere ucciso cade nelle tue mani, non fargli alcun male. Aiutalo meglio che puoi, poi lascialo andare. È abbastanza: perché per lui è la morte!

Vemana Satakamu (XV sec. d.C.), traduzione telegu. 891

Contro la guerra: il diritto deve valere anche nella guerra

Tale è il grande rimorso (di Priyadarsin), il benamato dagli dei, il con-quistatore di Ralinga. Questa non può essere considerata come una vera conquista, poiché è stata accompagnata dall’assassinio, dalla morte e dalla prigionia del popolo. Tale è il sentimento profondo di pena e di rincresci-mento del benamato dagli dei [...].

(La guerra) arreca (a persone pie e innocenti) la violenza, la morte e la deportazione di cari parenti. Gli amici, i compagni degni di stima ed i pa-renti che continuano ad avere lo stesso affetto per coloro che sono colpiti dalla guerra, subiscono anch’essi una calamità che è una violenza fatta alla loro persona. È questa la sorte di tutti gli uomini, che il benamato dagli dei giudica deplorevole.

Editto di Ashoka, roccia XIII (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 892

Ristabilimento della pace Allora io continuai: Non è certo un buon affare quello che voi state fa-

cendo! Non dovreste forse camminare nel timore del nostro Dio per evitare lo scherno dei popoli che ci sono nemici? Ora, anch’io, i miei fratelli e i miei giovani abbiamo prestato loro denaro e grano; ebbene noi rimettiamo completamente questo debito! Restituite anche voi a loro, oggi, i loro cam-pi, le vigne, gli oliveti, le case e l’interesse del denaro, del grano, del mosto e dell’olio, che avete prestato loro. Quelli risposero: Restituiremo e non chiederemo nulla a loro; faremo come tu dici!

Bibbia ebraica, Neemia, 5. 893

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428 Il diritto di essere un uomo

Contro i pretesti per far la guerra Si arrossisce nel ricordare per quali motivi vergognosi o futili i principi

cristiani fanno prendere le armi ai popoli. Uno di essi ha dimostrato o simu-lato qualche diritto antiquato, come se fosse molto importante che lo Stato sia governato dal principe tale o dal tal altro, purché gli interessi pubblici siano ben amministrati. Un altro prende a pretesto un punto omesso in un trattato di cento capitoli. Questi è risentito contro quello a proposito di una danzata ri utata o rapita, o per qualche scherzo un po’ troppo libero; e

il colmo dell’infamia è che vi sono dei principi, i quali, sentendo che la loro autorità, in seguito a una pace troppo lunga e alla concordia dei loro sudditi, si af evolisce, si intendono in segreto, in modo diabolico, con al-tri principi, che – trovato il pretesto – provocano la guerra, allo scopo di dividere tutto con la discordia di coloro che vivevano strettamente uniti, e di spogliare il disgraziato popolo, grazie a quell’autorità senza freno che causa la guerra.

Erasmo da Rotterdam, Querela pacis, 1515. 894

Uccidere? Perché mi uccidete? Non abitate voi forse dall’altra parte dell’acqua?

Amico mio, se voi abitaste da questa parte, io sarei un assassino, sarebbe ingiusto uccidervi in quel modo; ma poiché voi abitate dall’altra parte, io sono un valoroso e questo è giusto.

Blaise Pascal (1623-1662), Pensées. 895

Contro ogni guerra Noi condanniamo espressamente tutte le guerre e i con itti esterni e i

combattimenti con armi materiali, a qualsiasi scopo o sotto qualsiasi pre-testo (vengano scatenati) così rendiamo testimonianza dinanzi al mondo intero.

Dichiarazione dei Quaccheri al re Carlo II, 1660, Inghilterra. 896

Come riformare il governo del mondo Gli scopi ultimi della società sono la pace e la sicurezza generale, e il

benessere della popolazione dovrebbe essere la legge suprema di ogni repubblica o di qualsiasi regno. Bisogna quindi sopprimere tutto ciò che può, in un modo o in un altro, turbare la società umana, renderne il funzionamento più dif cile o più complesso, o spezzare i legami da cui dipende la sicurezza generale e quella pubblica. A questo proposito, le cause essenziali del male sono le seguenti: le guerre, poiché non vi è salvezza nella guerra.

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Il diritto contro la forza 429

E così pure, al ne di evitare che le ostilità e le guerre rischino di riac-cendersi, bisogna distruggere le armi, come ha comandato Iddio (Isaia, 2, 4). E noi sopprimeremo anche i conciliaboli animati da spirito sanguina-rio, che approdano solo a minacce di distruzione col ferro e col fuoco e all’annientamento degli Stati. Si pone però allora una domanda: come si impiegheranno i fucili e i cannoni? Ecco la mia risposta: i fucili saranno usati contro le bestie feroci e i cannoni verranno fusi per fare, col loro me-tallo, delle campane che chiameranno gli uomini a riunirsi, oppure degli strumenti musicali e il tutto verrà utilizzato per glori care il Signore [...].

Il regno della verità e della giustizia dovrà essere garantito dalla legge, e non dalle armi – siano esse armi d’acciaio o le armi dell’invettiva e del furore – e la pace dovrà essere mantenuta dappertutto.

Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio catholica, XVII sec. 897

Federazione per la paceL’idea del diritto delle genti, compresa come un diritto alla guerra, è

propriamente inconcepibile (poiché rappresenterebbe il diritto di deci-dere ciò che è giusto, non secondo leggi esterne, universalmente vali-de e limitanti la libertà di ciascun individuo, ma con la forza, secondo massime particolari). Tranne che si voglia intendere con questo che è assolutamente giusto che uomini in simili disposizioni (di spirito) si di-struggano l’un l’altro e trovino la pace esterna nella grande tomba che li ricopre con tutti gli orrori della violenza. Agli occhi della ragione, non vi è, per Stati che intrattengono relazioni reciproche, altro mezzo per uscire dall’assenza di legalità, fonte di guerre dichiarate, se non di rinunciare, come gli individui, alla loro libertà selvaggia (anarchica), per accettare la costrizione pubblica delle leggi e formare così uno “Stato delle nazioni” (civitas gentium) che crescerebbero senza posa liberamente e si estende-rebbero alla ne a tutti i popoli della terra. Ma siccome, secondo l’idea che si son fatti del diritto delle genti, non vogliono affatto saperne di que-sto sistema, e respingono in ipotesi ciò che è giusto in tesi, in mancanza dell’idea positiva di una “repubblica mondiale” (se non si vuole perdere tutto) rimane solo il succedaneo “negativo” di una “alleanza” permanente (che si allarga continuamente) la quale possa preservare dalla guerra e contenere il torrente di queste disposizioni ostili e opposte al diritto; il pericolo del loro scatenarsi sussiste tuttavia. (Furor impius intus fremit horridus ore cruento, Virgilio).

Immanuel Kant, La pace eterna, 1795. 898

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430 Il diritto di essere un uomo

Si dice che la guerra incivilisce; è vero ch’essa conduce le nostre anime a sentimenti e atti eroici, al disprezzo del pericolo e della morte, al distacco dai beni terreni, che possono essere saccheggiati da un giorno all’altro, e a una simpatia profonda per tutto ciò che ha viso umano e a cui si avvicina un comune pericolo o comuni sofferenze; ma non cercate di vedere in ciò una qualsiasi lode per la vostra passione guerresca e la vostra sete di sangue, né quale umile preghiera che l’umanità sofferente vi rivolgerebbe perché non cessiate di precipitarla in nuove prove sanguinose. Le sole anime che la guerra innalza all’eroismo sono quelle che erano già forti di per se stesse; alle anime rozze essa ispira entusiasmo solo per saccheggiare e opprimere il debole disarmato; essa ha generato degli eroi e dei ladri, ma quali sono stati in maggior numero?

Johann Gottlieb Fichte, 1793. 899

Nel Vecchio Mondo, alcuni loso eloquenti, e soprattutto Voltaire, sono sorti contro l’ingiustizia, l’assurdità della guerra; ma, a mala pena essi sono riusciti soltanto ad addolcirvi, sotto qualche aspetto, il furore marzia-le. Questa folla immensa di uomini che non può aspettarsi gloria e successo altro che dal massacro, ha insultato il loro zelo, e nei libri, nei campi e nelle corti, veniva ripetuto che non vi era più patriottismo, né virtù dopo che un’abominevole loso a aveva voluto risparmiare il sangue umano.

Nicolas de Condorcet, L’Atlantide, 1794. 900

PREGHIERA DEI “FIORI POLACCHI” (1943) Apri a noi la Polonia, come apri, con la tua Folgore il cielo in tempesta.

Permettici di ripulire la nostra casa familiare, sia delle nostre ceneri e delle nostre sacre rovine, che delle nostre colpe e dei nostri maledetti peccati. Che la nostra casa, risorta dal cimitero, sia povera, ma pura...

Arma i superbi di umiltà e forti ca gli umili con una collera orgogliosa. Insegnaci che non vi può essere, sotto il tuo cielo, “né greco né ebreo” [...].

Colpisci il vanitoso che prende le armi in nome della propria gloria e non permettere più che sulla spada infame rimane la croce del tuo martirio [...]. Ma, prima di tutto, restituisci alle nostre parole, s gurate dai menti-tori, la loro unica verità: af nché la legge signi chi la legge, e la giustizia la giustizia.

Julian Tuwin, Polonia. 901

Misericordia Per quanto grande v’abbiano fatto i pagani tortoa voi tocca lasciar loro il frutto

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Il diritto contro la forza 431

di cose che persino Dio ebbe a pietà verso coloro che uccisero il Suo corpo. Se Dio laggiù vi rende vincitori, abbiate pietà nei vostri combattimenti.

Wolfram von Eschenbach (XIII sec.), Willehalm, alto medio tede-sco. 902

Leggi della guerra Vi sono leggi della guerra che non bisogna conservare meno religiosa-

mente di quelle della pace. Per no quando si è in guerra, rimane un certo diritto delle genti che è il fondamento dell’umanità stessa: è un legame sacro e inviolabile tra i popoli, che nessuna guerra può spezzare.

Fénelon (1651-1715). 903

Il diritto delle genti Appena gli uomini sono (raggruppati) in società, perdono la sensazio-

ne della loro debolezza; l’uguaglianza che era tra loro, cessa, e comincia lo stato di guerra.

Ogni singola società arriva a sentire la propria forza: il che determina uno stato di guerra tra nazione e nazione. I privati in ogni società comin-ciano a rendersi conto della loro forza; e cercano di volgere in loro favore i principali vantaggi di questa società: il che provoca tra loro uno stato di guerra.

Queste due specie di stato di guerra creeranno le leggi tra gli uomini? Considerati come abitanti di un così grande pianeta, in cui è necessario vi siano diversi popoli, essi hanno delle leggi secondo il rapporto che questi popoli hanno tra loro: questo è il diritto delle genti. Considerati come vi-venti in una società che deve essere conservata, essi hanno delle leggi nel rapporto che hanno coloro che governano con quelli che sono governati: questo è il diritto politico. Ne hanno ancora nel rapporto di tutti i cittadini tra loro: ed è il diritto civile.

Il diritto delle genti è naturalmente basato sul principio, che le diverse nazioni devono farsi, in tempo di pace, il massimo bene, e, durante la guerra, il minor male possibile, senza nuocere ai loro veri interessi.

Lo scopo della guerra, è la vittoria; quello della vittoria, la conquista; quello della conquista, la conservazione. Da questo principio e da quel-lo precedente devono derivare tutte le leggi che formano il diritto delle genti.

Tutte le nazioni hanno un diritto delle genti; per no gli Irochesi, che mangiano i loro prigionieri, ne hanno uno. Essi mandano e ricevono am-

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432 Il diritto di essere un uomo

basciate; conoscono diritti della guerra e della pace; il male è che questo diritto delle genti non è basato su princìpi veri.

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748. 904

Creazione della Croce Rossa Vi è dunque un appello da rivolgere, una supplica da presentare agli

uomini di tutti gli Stati e di ogni rango; sia ai potenti di questo mondo, che ai più modesti artigiani, poiché tutti possono, in un modo o in un altro, ciascuno nella propria sfera e secondo le proprie forze, concorrere in qualche misura a quest’opera buona. Un appello di questo genere, e rivolto alle donne come agli uomini, alla principessa seduta su un trono come all’umile serva orfana e devota, o alla povera vedova isolata sulla terra, che desidera consacrare le sue ultime forze a sollevare le sofferenze del suo prossimo; si rivolge al generale o al maresciallo di campo, come al lantropo e allo scrittore che può, dal fondo del suo studio, sviluppare con talento con le sue pubblicazioni una questione che abbraccia l’uma-nità intera e in un senso più ristretto ogni popolo, ogni contrada, per no ogni famiglia, perché nessuno può dire d’essere al riparo dai rischi della guerra.

... È tanto importante mettersi d’accordo e adottare in precedenza delle misure, perché all’inizio delle ostilità, i belligeranti sono già mal disposti gli uni contro gli altri, e trattano solo più le questioni dall’unico punto di vista del proprio vantaggio [...].

In ne, in un’epoca in cui si parla tanto di progresso e di civiltà, e poiché le guerre non possono essere sempre evitate, non è forse urgente insistere perché si cerchi di prevenire, o almeno di addolcire gli orrori di esse, non soltanto sui campi di battaglia, ma anche e soprattutto negli ospedali, durante quelle settimane così lunghe e così dolorose per i di-sgraziati feriti?

Henri Dunant, Ricordo di Solferino, 1862, Svizzera. 905

CONVENZIONE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA SORTE DEI MILITARI FERITI NEGLI ESERCITI IN GUERRA

La Confederazione svizzera, Sua Altezza Reale il Gran Duca di Bade, Sua Maestà il Re dei Belgi, Sua Maestà il Re di Danimarca, Sua Maestà la Regina di Spagna, Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi, Sua Altezza Reale il Gran Duca di Hesse, Sua Maestà il Re d’Italia, Sua Maestà il Re dei Paesi Bassi, Sua Maestà il Re del Portogallo e delle Algarve, Sua Maestà il Re di Prussia, Sua Maestà il Re del Württemberg, animati per quanto dipende da loro, di sopprimere i mali inseparabili dalla guerra, i

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Il diritto contro la forza 433

rigori inutili e di migliorare la sorte dei militari feriti sui campi di bat-taglia, hanno deciso di concludere una convenzione a questo scopo [...].

Art. 1.Le ambulanze e gli ospedali militari saranno riconosciuti neutrali e,

come tali, protetti e rispettati dai belligeranti, nché vi si troveranno dei malati o dei feriti.

La neutralità cesserebbe se queste ambulanze o questi ospedali fos-sero occupati da una forza militare.

Art. 2. Il personale degli ospedali e delle ambulanze, cioè l’intendenza, il

Servizio di sanità, di amministrazione, di trasporto dei feriti, come pure il cappellano, parteciperà al bene cio della neutralità quando sarà in servizio e nché rimarranno dei feriti da raccogliere o da soccorrere.

Art. 3. Le persone designate nell’articolo precedente potranno anche dopo

l’occupazione da parte del nemico, continuare a svolgere le loro man-sioni nell’ospedale o nell’ambulanza in cui lavorano, oppure ritirarsi per raggiungere il corpo al quale appartengono.

In queste circostanze, quando queste persone cesseranno le loro fun-zioni, saranno consegnate agli avamposti nemici a cura dell’esercito occupante.

Art. 4. Poiché il materiale degli ospedali militari resta soggetto alle leggi

della guerra, le persone addette a questi ospedali non potranno, riti-randosi, portar via altro che gli oggetti che saranno di loro proprietà privata.

Nelle medesime circostanze, invece, l’ambulanza conserverà il suo materiale.

Art. 5. Gli abitanti del paese che recheranno soccorso ai feriti saranno ri-

spettati e resteranno liberi. I generali delle Potenze belligeranti avranno l’incarico di avvertire gli abitanti dell’appello che vien fatto alla loro umanità e della neutralità che ne consegue.

Ogni ferito raccolto e curato in una casa servirà a essa di salvaguar-dia. L’abitante che avrà raccolto in casa sua dei feriti sarà dispensato dall’alloggiare truppe, come pure da una parte dei contributi di guerra che venissero imposti.

Art. 6. I militari feriti o malati saranno raccolti e curati, a qualsiasi nazione

appartengano.

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434 Il diritto di essere un uomo

I comandanti in capo avranno la facoltà di consegnare immediatamen-te agli avamposti nemici i militari nemici feriti durante il combattimento, quando le circostanze lo permetteranno e dietro consenso delle due parti.

Saranno rimandati ai loro paesi coloro che, dopo la guarigione, saranno riconosciuti inabili al servizio.

Gli altri potranno essere egualmente rimandati, a condizione che non riprendano le armi per la durata della guerra.

Le evacuazioni, insieme al personale che le dirige, saranno coperte da neutralità assoluta.

Art. 7. Una bandiera distintiva e uniforme sarà adottata per gli ospedali, le am-

bulanze e le evacuazioni. Essa dovrà essere accompagnata, in ogni circo-stanza, dalla bandiera nazionale.

Per il personale neutralizzato sarà parimenti ammesso un bracciale, ma la consegna di esso sarà lasciata all’autorità militare.

La bandiera e il bracciale porteranno una croce rossa in campo bianco. Art. 8. I dettagli di esecuzione della presente convenzione saranno regolati dai

comandanti in capo degli eserciti belligeranti, seguendo le istruzioni dei loro rispettivi governi, e in conformità ai princìpi generali enunciati in que-sta convenzione.

Art. 9. Le Alte Potenze rmatarie sono obbligate a comunicare la presente con-

venzione ai governi che non hanno potuto inviare dei plenipotenziari alla Conferenza internazionale di Ginevra, invitandoli ad acconsentirvi; a que-sto scopo, si lascia aperto il protocollo.

Art. 10. La presente convenzione verrà rati cata, e le rati che saranno scambiate

a Berna, entro quattro mesi, o prima se possibile. In fede di ciò, i rispettivi plenipotenziari l’hanno rmata e vi hanno ap-

posto il sigillo dei loro stemmi. Dato a Ginevra, il ventiduesimo giorno del mese di agosto dell’anno

mille ottocento sessantaquattro. Convenzione istitutiva della Croce Rossa Internazionale 906

Su questa terra avrò vissuto un tempo in cui l’uomo tanto in basso era caduto, che da sé uccideva con gioia, senza aver bisogno d’ordini. Sue credenze erano soltanto falsità ed errori, e la sua vita, un tessuto d’angosce e di terrori.

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Il diritto contro la forza 435

Avrò vissuto su questa terra un tempo che riteneva la delazione meritoria, i cui eroi erano assassini, briganti, traditori. Chi s’asteneva, per caso, dal plaudire, come un appestato si faceva odiare. … … …Avrò vissuto su questa terra un tempo in cui il glio malediceva sua madre. Allora la donna incinta era felice d’abortire e il vivo trovava invidiabili i defunti mentre il veleno bolliva sul suo tavolo.… … …Avrò vissuto su questa terra un tempo in cui, muto, il poeta attendeva che la tua voce risuonasse di nuovo a fulminar il giusto l’anatema – e nessun altri ne era capace – o Isaia, maestro nel Verbo temibile!

Miklós Radnóti (1909-1944), poeta ungherese. Deportato in Serbia il suo cadavere fu scoperto nel 1947 in una fossa comune. Nella sua tasca si trovarono delle poesie manoscritte. 907

LETTERA A UN AMICO TEDESCO, 1943 Voglio dirti subito quale specie di grandezza ci mette in moto. Ma

signi ca dirti qual è il coraggio che noi applaudiamo e che a voi manca. Perché è una piccola cosa saper correre al fuoco quando ci si prepara da sempre e quando la corsa è per voi più naturale che il pensiero. È cosa grande invece avanzare verso la tortura e verso la morte, quando si sa, per prova certa, che l’odio e la violenza sono di per sé cose vane. È molto battersi disprezzando la guerra, accettare di perdere tutto conservando il gusto della felicità, correre alla distruzione spinti dall’idea di una civiltà superiore [...].

Noi abbiamo dovuto vincere il nostro gusto dell’uomo, l’idea che ci facevamo di un destino paci co, quella convinzione profonda che ave-vamo che nessuna vittoria paga, mentre ogni mutilazione dell’uomo è irreversibile. Abbiamo dovuto rinunciare, nel medesimo tempo, alla no-stra scienza e alla nostra speranza, ai motivi che avevamo per amare e all’odio che avevamo per ogni guerra. Per dirtelo con una parola che io penso capirai, poiché viene da me, la persona cui tu amavi stringere la mano, noi abbiamo dovuto far tacere la nostra passione per l’amicizia.

Albert Camus, Francia. 908

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436 Il diritto di essere un uomo

LA CITTADELLA DI KAO-YEU Cittadella di Kao-Yeu. Com’è lungo il tuo bastione!Sul bastione han seminato il grano, ai suoi piedi han piantato dei gelsi. Un tempo eri più solido del ferro; sei divenuto un campo che si lavora e si pianta. Il mio unico augurio è che, per mille e diecimila anni, Tutto l’orizzonte dei quattro mari sia per noi la frontiera! Come sono ombrosi i gelsi, E vasti i campi di grano... Che non vi siano mai più né bastioni né fossati!

Kie Hi-sseu (1274-1344), Cina. 909

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IDENTITÀ NAZIONALE E INDIPENDENZA

Uguaglianza tra le nazioni e i popoli;diritto di ciascuno all’esistenza

Quando furono giunti a Sparta venne convocata un’assemblea, in cui venne fatta l’opposizione più violenta da parte dei Corinti e dei Tebani, seguiti da molti altri Greci: non bisognava – dicevano – trattare con gli Ate-niesi, ma annientarli. Ma i Lacedemoni ri utarono di ridurre in schiavitù una città greca che aveva fatto cose belle e grandi nei pericoli estremi che altre volte avevano minacciato la Grecia e si decisero così a fare la pace.

Senofonte (circa 384 a.C.), Elleniche. 910

Gli Scozzesi proclamano il loro diritto alla libertà politica È impossibile a chiunque non ne sia stato personalmente testimone, de-

scrivere o per no concepire in tutta la loro ampiezza, le sevizie, la crudeltà e la violenza, i furti e gl’incendi, gli imprigionamenti di prelati, i massacri, saccheggi e le distruzioni col fuoco commessi contro sante persone o co-munità religiose, e tutte le altre cose abominevoli di cui questo re si è reso colpevole verso il nostro popolo, senza alcun riguardo per il sesso, l’età, la qualità o la religione.

Ma è in ne piaciuto a Dio, che solo può cicatrizzare le ferite, di liberarci di queste innumerevoli calamità con l’intromissione del nostro serenissimo principe, il re e signore Roberto, il quale, per strappare dalle mani del nemico il suo popolo nel tempo stesso che la sua legittima eredità, non ha esitato – quale un novello Giosuè o un novello Maccabeo – ad affrontare ogni sorta di pene e di fatiche, di dif coltà e di rischi. Se egli è oggi il nostro re e il nostro principe lo deve alla Divina Provvidenza, al diritto di successione ssato dalle leggi e dalle usanze del regno (che noi difenderemo no alla morte) e al consenso legittimo dell’intero popolo. Noi abbiamo verso di lui un debito di riconoscenza e siamo risoluti a obbedirgli in tutto, sia per i suoi diritti e i suoi meriti personali, sia per il fatto che è stato lui a rendere la sicurezza al nostro popolo, facendosi difensore della sua libertà. Ma se questo principe rinun-

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438 Il diritto di essere un uomo

ciasse un giorno ai princìpi ai quali no a ora si è così nobilmente ispirato, se egli accettasse che il nostro regno venisse a essere sottomesso al re o al popolo d’Inghilterra, noi decideremmo subito di scacciarlo, considerandolo, da quel momento, come nostro nemico e come disprezzatore dei nostri e dei suoi diritti, e ci daremmo un altro re, il quale fosse disposto a difendere le nostre libertà: perché, se anche non fossimo più di un centinaio di superstiti, non accetteremmo mai di sottometterci al dominio degli Inglesi. Infatti, non è per la gloria che noi lavoriamo e lottiamo: e neppure per la ricchezza e per l’onore; è soltanto per la libertà, per questa libertà che un uomo di cuore accetta di perdere unicamente con la vita.

Lettera al Papa, 1320, Scozia. 911

Dignità umana Tutti gli esseri umani sono degli uomini: tutti possiedono intelletto e

volontà, i cinque sensi esterni e i quattro sensi interni, e sono spinti a soddi-sfarli; tutti amano il bene, godono il buono e il bello, riprovano ed aborrono il male.

Non vi sono, e non vi possono essere, delle nazioni, per feroci e depra-vate che siano, che non possano essere convertite a tutte le virtù politiche e a tutta l’umanità dell’uomo civile, politico e ragionevole.

Bartolomé de las Casas, Historia de las Indias, 1547. 912

Ogni paese è (per i suoi abitanti) tanto sacro quanto gli altri. Proverbio turco, citato nel XV sec. 913

Noi non siamo superiori ai popoli cosiddetti barbari, né per coraggio, né per umanità, né in salute, né nei piaceri; e pertanto, non essendo né più virtuosi, né più felici, non tralasciamo affatto di crederci molto più saggi. L’enorme differenza che notiamo tra i selvaggi e noi, consiste nel fatto che noi siamo un po’ meno ignoranti.

Vauvenargues, Ré exions et maximes, 1746. 914

Società universale L’Assemblea nazionale dichiara solennemente: 1. Che considera l’universalità del genere umano come costituente una

sola e medesima società, il cui scopo è la pace e la felicità di tutti e di ognu-no dei suoi membri;

2. Che in questa grande società generale, i popoli e gli Stati considerati come individui godono dei medesimi diritti naturali e sono sottomessi alle stesse regole di giustizia degli individui di società parziali e secondarie;

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Identità nazionale e indipendenza 439

3. Che, di conseguenza, nessun popolo ha il diritto di invadere la pro-prietà di un altro popolo, né di privarlo della sua libertà e dei suoi van-taggi naturali;

4. Che ogni guerra intrapresa per un motivo diverso e per uno scopo diverso da quello della difesa di un diritto giusto è un atto di oppressione, che spetta a tutta la grande società di reprimere, perché l’invasione di uno Stato da parte di un altro Stato tende a minacciare la libertà e la sicurezza di tutti. Per questi motivi, l’Assemblea nazionale ha decretato e decreta quali articoli della Costituzione francese che, da questo momento, la nazione francese proibisce a se stessa di intraprendere alcuna guerra che tenda ad aumentare il suo attuale territorio.

Volney, Moniteur, IV, 1790, Francia. 915

Nel secolo XIII i cantoni svizzeri si rivoltano contro la dominazione dell’Austria, rappresentata dal balivo Gessler

Un angolo del bosco selvaggio e rinchiuso. Dalle rocce scorrono giù ruscelli. Berta in abito da caccia, subito dopo Rudenz.

BERTA: Siete sicuro che la caccia non ci segua? RUDENZ: La caccia è laggiù... Adesso o mai! Io devo afferrare l’attimo

prezioso, devo veder risolto il mio avvenire, anche se dovesse per sempre separarmi da voi. Ma non fate d’un tratto così austeri i vostri sguardi be-nigni... Chi son io che innalzo sino a voi il desiderio audace? La fama non mi ha ancora toccato, e non posso mettermi in rango con i cavalieri che, celebri per le loro vittorie e magni ci, aspirano alla vostra mano... Io non ho che il mio cuore pieno di fedeltà, pieno d’amore...

BERTA: (severa) come potete parlare d’amore e di fedeltà voi che siete infedele ai vostri primi doveri? (Rudenz fa un passo indietro). Voi, lo schia-vo dell’Austria, che si vende allo straniero, all’oppressore della sua patria?

RUDENZ: D a voi, signora, questo rimprovero? E che altri cerco io da quella parte se non voi!

BERTA: Me pensate di trovare dalla parte del tradimento? Piuttosto accor-derei la mano a Gessler, all’oppressore, che allo svizzero dimentico della propria origine e pronto a farsi di lui strumento!

RUDENZ: Dio, che odo mai? BERTA: Vi stupisce? E chi mai più che la sua gente deve stare a cuore a

un galantuomo? Per un cuore generoso qual più bel dovere che tutelare i diritti degli oppressi? Io per il vostro popolo ho l’anima che sanguina, soffro con esso, poiché io debbo amarla questa gente così modesta e tuttavia così gagliarda; ogni giorno apprendo a stimarla di più. Voi invece, che nascita e dovere di cavalleria le diedero per naturai difensore, e la abbandonate e, fedi-

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440 Il diritto di essere un uomo

frago, passate al nemico e forgiate le catene per il vostro paese, voi mi offen-dete e mi addolorate, e devo fare un grande sforzo su di me per non odiarvi.

RUDENZ: Ma non è il bene del mio popolo ch’io voglio? Sotto il potente scettro dell’Austria, la pace...

BERTA: Dunque volete dargli la servitù! Volete scacciare la libertà dell’ul-timo presidio che le è rimasto in terra... Ma il popolo intuisce meglio il suo vero bene, e l’apparenza non turba il suo senso sicuro. A voi han gettato addosso una rete...

RUDENZ: Berta! Voi mi odiate, mi disprezzate! BERTA: Sarebbe meglio per me... Ma veder sprezzato e spregevole colui

che si vorrebbe amare... Friedrich Schiller, Guglielmo Tell, Atto III, scena II, 1804 (traduzione di

Barbara Allason). 916

Concessione di franchigie in Ucraina Noi, grande sovrano, cesarea Maestà, al nostro suddito Bogdan Hmelni-

ckij, atamano dell’Armata dei Cosacchi zaporogi, e a tutta la nostra Armata zaporoga, concediamo quanto segue: essi saranno sotto l’alta protezione della nostra cesarea Maestà coi loro diritti e privilegi precedenti, quali sono stati loro dati dai re di Polonia e dai granduchi di Lituania, e proibiamo che questi diritti e privilegi vengano comunque lesi, e vogliamo che essi siano giudicati dai loro anziani secondo le loro precedenti leggi [...]. E se per volontà di Dio la morte colpisce l’atamano, noi vogliamo che l’Armata zaporoga elegga essa stessa tra i suoi membri il proprio atamano, secondo la sua tradizione [...]. Analogamente, noi proibiamo che siano loro tolti i beni e le terre dei Cosacchi che essi detengono per il loro sostentamento e ciò anche per le loro vedove o gli dopo di loro.

Carta consecutiva al trattato di Perejaslav, 1654. 917

Nazionalità Oggi è evidente per ogni rumeno di mente e di cuore che la libertà delle

nazionalità non deriverebbe dalle corti imperiali, né dalla pietà degli op-pressori e dei despoti, ma unicamente da una stretta unione di tutti i rumeni e da una sollevazione di tutti, in segno di solidarietà con tutti i popoli op-pressi. Testo ripristinato perché mancante nella traduzione italiana.

Discorso di Nicolae Balcescu, maggio 1851 918

Che una piccola potenza, nei suoi rapporti con una grande, eserciti la sua forza apparente, che peraltro è meno di un decimillesimo di quella dell’al-tra, è come lanciare un uovo contro una roccia. L’altra si vanta della propria avanzata civiltà: è quindi incredibile che non abbia una morale, che è l’es-

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Identità nazionale e indipendenza 441

senziale della civiltà. Perché allora noi, piccola potenza, non ci armiamo della nostra morale, forza invisibile, che l’altra non può tradurre in pratica, per no se lo volesse dal fondo del suo cuore? Se costruissimo l’esercito e la otta con la libertà, la fortezza con l’eguaglianza, la spada e il cannone con la fraternità, non esisterebbe paese che potrebbe uguagliarci.

Chômin Nakae (1847-1901), Dialogo di tre ubriaconi sulla politica del-lo Stato, Giappone. 919

La rivolta dei Polacchi che stava per scoppiare nel 1863 in un’insurre-zione armata, ribolliva già nel 1861. L’8 aprile una grande manifestazione patriottica, diretta contro l’occupante, ebbe luogo nelle vie di Varsavia, con la partecipazione di numerosissimi ebrei. Poiché il sacerdote polacco, il quale portava una croce, in testa al corteo, era stato ucciso con un colpo di sciabola da un cosacco, un liceale ebreo di diciassette anni raccolse la croce e continuò a portarla.

EBREI POLACCHI (1861)

I

Oh, tu sei per l’Europa, seria nazione ebrea, un monumento, spezzato qua e là in Oriente, le cui briciole, disperse in tutti i luoghi, recano ognuna l’eterno gerogli co! L’uomo del Nord, nei suoi boschi di pini, quando t’ha incontrata, non può che presentire il ri esso del sole della tua patria che, nell’azzurro, come Mosè nelle acque del Nilo, s’è bagnata; e ha detto: “Grande colui che, portato in alto, è crollato; e come voi, si tace”.

II

Noi, gli del Nord, dal fulvo crine, noi, nuvole nevose d’una nevosa storia, senza passar dalla lettera e senza lasciar la terra, vediamo direttamente i campi alti del cielo: come i gli d’Agar, secondo la loro origine, e i gli di Sara, in grazia ai nostri padri, Prima degli altri, e assai diversamente, vi abbiamo riconosciuti; e non per la fatica; quando il nobile ha diviso le sue armi Con voi – vi ha posto la Croce che non mente.

III

Solo disordine par che sia la storia, ma essa è forza immensa e armonia.

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442 Il diritto di essere un uomo

Perché è come un contratto che un arcangelo lassù custodisce. Ed ecco: sui marciapiedi di Varsavia, l’ebreo sale con lo stesso cuore d’un Polacco, mentre le più ricche nazioni della terra gli offrono queste croci, per cui non si agonizza, ma chi s’arricchisce, ha preferito colpire col braccio disarmato di David.

Cyprian Kamil Norwid, Polonia. 920

Estratto dai Quattordici Punti del presidente Wilson, 8 gennaio 1918 Un principio evidente domina tutto il programma che ho abbozzato. È il

principio che garantisce la giustizia a tutti i popoli e a tutte le nazioni, che proclama il loro diritto a vivere su un piede di eguaglianza, nella libertà e la sicurezza, a anco delle altre nazioni; siano essi forti o deboli. Se questo principio non diventa la sua base, l’edi cio della giustizia internazionale crollerà da tutte le parti.

Wilson, Stati Uniti d’America. 921

Tradizioni minacciate o distrutte; diritto alla lingua, schiavitù dei vinti, legittima difesa

Fondamenta minacciate Dovremo noi forse respingere gli insegnamenti e le tradizioni dei nostri

antenati? [...]. Tutto ciò è nei nostri cuori; con questo si vive e si nasce; n dall’infanzia

è ciò che ci nutre, è il nostro insegnamento. È la trama del nostro giudizio, è la base della nostra preghiera.

Tradizione Nahuatl, Messico. 922

Perdita d’identità È un delitto contro la ragione il distruggere gli dei che si adorano; questo

non è mai avvenuto per volontà dei fedeli. Nessuno abbandona con pieno consenso il Dio venerato da sempre, o respinge le credenze di cui è stato permeato n dal seno materno e che gli antenati hanno venerato.

Bartolomé de las Casas, Historia de las Indias, 1547. 923

Le usanze contadine prevalgono sui decreti reali. Proverbio del Vietnam. 924

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Identità nazionale e indipendenza 443

Risposte dei saggi aztechi ai dodici missionari (1524) E ora, forse distruggeremo I nostri antichi sistemi di vita? Quelli dei Ciciméchi, dei Toltechi, degli Acoluasi, Dei Tepanechi? Noi sappiamo chi dispensa la vita; chi perpetua la specie; chi permette la procreazione; chi rende possibile la crescita; conosciamo la forma delle invocazioni, sappiamo come bisogna pregare. Ascoltateci, Signori, non fate nulla al nostro popolo che chiami su di lui la maledizione, che possa provocare la sua perdita... Con calma e bontà, considerate, Signori, che cosa sarà meglio, noi non possiamo vivere tranquilli, e tuttavia noi non siamo certo dei credenti; ciò che voi predicate non è per noi la verità, anche se questo vi offende. Voi siete, Signori, quelli che dirigono, Quelli che sostengono, quelli che si donanoal mondo intero. Non basta dunque che noi abbiamo già tutto perduto, che il nostro modo di vivere ci sia stato tolto, che sia stato distrutto? Se noi restassimo in questo luogo, Potremmo essere presi prigionieri. Fate di noi ciò che vi piacerà. E tutto quello che rispondiamo Tutto quello che replichiamo alla vostra voce, alle vostre parole, a voi che siete i nostri padroni!

Tradizione Azteca, Libro dei colloqui, Messico. 925

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444 Il diritto di essere un uomo

Bisogna conservare vivo il ricordo del passato

Brillerà il sole? L’alba verrà? Come si muoveranno gli uomini? Come si comporteranno? Perché sono partiti, hanno portato via L’inchiostro rosso e l’inchiostro nero, i libri dipinti. Come sopravviverà il popolo? Come resisteranno i campi e la città? Come potremo conoscere la stabilità? Chi governerà? Chi guiderà i nostri passi? Chi ci indicherà la via? Quale sarà la nostra regola? Quale la nostra misura? Chi sarà il nostro modello? Donde dovremo partire? Chi sarà la nostra accola? Chi la nostra luce? … … …Poi hanno inventato l’arte di contare i giorni, Gli annali e la misura degli anni, Il libro dei sogni; Essi lo conservano come era stato tenuto E come fu continuato, Finché esistette il regno dei Toltechi, Il regno dei Tepanechi, Il regno dei Messicani, E tutti i regni dei Cicimechi.

Poema epico di origine tolteca (X sec.), Messico. 926

Rispetto degli uomini e diversi popoli e loro usanze Ri utatevi assolutamente di seminare nei loro territori i germi di al-

cun partito, spagnolo, francese, turco, persiano o altro [...]. Non datevi da fare, non avanzate nessuna argomentazione per convincere i popoli a cambiare i loro riti, i loro usi e i loro costumi, a meno che questi non siano in evidente contrasto con la religione e la morale. È assurdo trasportare presso i cinesi la Francia, la Spagna, l’Italia o qualche altro paese d’Europa. Non introducete presso di loro i nostri paesi, ma la fede [...]. Sembra scritto nella natura degli uomini (la necessità) di amare, di mettere al di sopra di ogni cosa al mondo le tradizioni del loro paese e questo stesso paese. Pertanto non esiste causa più potente di allontana-mento e di odio, che apportare dei cambiamenti alle usanze proprie di una nazione [...]. Che cosa accadrà se, dopo averle abrogate, voi cerca-ste di mettere al loro posto i costumi del vostro paese, introdotti dal di fuori? Non abbinate mai le usanze di quei popoli e quelle dell’Europa.

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Identità nazionale e indipendenza 445

Al contrario, affrettatevi voi ad abituarvi alle loro. Ammirate e lodate tutto ciò che merita lode.

Istruzione ad uso dei vicari apostolici in partenza per i reami cinesi del Tonkino e della Cambogia, 1659. 927

Difesa della lingua autoctona Primo poema ungherese, scritto in distici, che serviva come prefazione

alla traduzione del Nuovo Testamento: Ecco il libro attraverso il quale Egli ora ti parla. Egli invita tutti a fare professione di fede; che nessuno si allontani da

esso, colui che una volta parlava in ebraico, in greco e in ne in latinoti parla qui in ungherese: a ciascun popolo nella sua lingua, af nché ognuno osservi la legge del Signore e adori il suo nome. János Sylvester, 1541. 928

Una lingua unica collega i popoli Tra i principali regolamenti stabiliti dagli Incas, e che essi inventarono

per il buon governo del loro impero, trovo molto importante la cura che essi ebbero af nché tutti i loro sudditi imparassero la lingua della Cor-te, che è quella che essi chiamano oggi la lingua generale, istituendo a questo scopo dei professori espressamente tratti dal numero degli Incas privilegiati. È necessario sapere a questo proposito che gli Incas avevano un’altra lingua particolare, che parlavano tra loro, e che gli altri Indiani non capivano, e che per no non era loro lecito di imparare, perché essi consideravano questa lingua come divina. Ma poi mi hanno scritto dal Perù che l’uso di questa lingua è completamente perduto, a causa della rivoluzione che è stata fatta in quell’impero. Vi erano due motivi princi-pali che obbligavano quei re a far imparare quella lingua generale ai loro sudditi. Il primo è che non era possibile che essi avessero quel numero di interpreti che era necessario avere per rispondere a una così grande diver-sità di lingue e di genti, che si trovavano distribuiti nel loro vasto impero. Ecco perché gli Incas volevano che i propri sudditi s’intendessero tra loro e parlassero “bocca a bocca” e non con l’intermediario di un terzo, af nché i loro affari andassero meglio. Aggiungiamo che una sola parola che essi avessero udito dal loro principe li confortava molto di più di tutte quelle che potevano essere state loro dette da questi interpreti o dai suoi ministri. Il secondo motivo era (il desiderio) che le nazioni straniere che si tradivano e che si facevano una guerra crudele perché non si capivano,

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comunicassero (tra loro) in avvenire, e che, avendo il mezzo di parlare insieme, si amassero reciprocamente, spogliandosi di umore brutale e fe-roce che le faceva vivere in disaccordo. Tuttavia, con questa giudiziosa invenzione, gli Incas addomesticarono e unirono in strettissima amicizia un grandissimo numero di popoli, tutti diversi per costumi, abitudini e idolatria, ed era una meraviglia vedere come, avendoli sottomessi al loro impero, essi vivessero tra loro come fratelli, per il fatto che sapevano parlare una stessa lingua. Questo permise nondimeno agli abitanti di di-verse province, che non dipendevano dal dominio degli Incas, di imitarli, e, sull’esempio dei loro sudditi, essi impararono poi la lingua generale di Cuzco. La qual cosa riuscì loro tanto bene che, anziché nemici come erano prima, essi vissero d’allora in poi in perfetta alleanza.

Garcilaso de la Vega (l’Inca), Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608-1609. 929

Minoranze LEGGE VIII DEL 1849 SULLE MINORANZE NAZIONALI IN UNGHERIA

Data la pluralità delle lingue e l’esistenza di chiese greche nel paese, l’Assemblea nazionale, per rassicurare quelli tra i cittadini dell’Ungheria che non sono di espressione ungherese, e nell’attesa che vengano prese misure più dettagliate a questo proposito, in conformità con le disposizioni della costituzione che sarà votata, dichiara:

1. Le disposizioni seguenti hanno lo scopo di garantire il libero sviluppo nazionale di tutti i gruppi etnici che risiedono in territorio ungherese.

2. Dato che l’ungherese viene usato come lingua diplomatica nella legislazione, l’amministrazione pubblica, l’amministrazione della giu-stizia e l’esercito, l’uso delle altre lingue parlate in Ungheria è regolato come segue.

3. Nelle deliberazioni comunali ciascuno è libero di usare sia l’un-gherese sia la sua lingua materna; il verbale sarà compilato, a scelta, in una delle lingue parlate in comune.

4. Nelle deliberazioni dei municipi, tutte le persone autorizzate a prendere la parola potranno esporre le loro opinioni sia in ungherese che nella loro lingua materna.

Se in un municipio il numero (dei membri) di un gruppo nazionale è superiore alla metà della popolazione, il verbale verrà compilato, a richiesta, anche nella lingua di quel gruppo etnico [...].

14. L’impiego di taluno a un posto o a una funzione sarà stabilito in considerazione dei suoi meriti e delle sue capacità, senza badare alla sua lingua né alla sua religione. 930

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Identità nazionale e indipendenza 447

Sacrilegio attuale, speranza di una giustizia futura IL MITO DI INKARRI (presso un popolo monolingue quechua)Inkarri ha creato tutto ciò che esiste al mondo. È il primo dio. Le

Wamanis (montagne) sono i secondi dei. Le Wamanis vegliano sull’uomo e sul bestiame; è da loro che sprizza

la vena d’acqua che rende la vita possibile. Inkarrì era glio del sole e di una donna selvaggia. Mentre egli creava tutto ciò che esiste, attaccò il sole alla più alta

cima del mondo Asqonta, perché la giornata fosse abbastanza lunga; poi, rinchiuse il vento nella seconda cima di quel monte.

Dopo aver prodotto tutto ciò che esiste, e creato l’uomo, egli diede all’umanità delle buone regole di vita. Gli aukis, sacerdoti delle Wama-nis, cantano sempre inni in cui è detto che non bisogna aver odio nel cuore e che bisogna respingere la pigrizia.

Quando intraprese la fondazione della città in cui doveva risiedere, Inkarrì lanciò in aria una sbarretta d’oro: dove sarebbe caduta, là sareb-be sorta la sua città. Essa ricadde a Cuzco. Non sappiamo dove è tale luogo.

Inkarrì venne fatto prigioniero dal re spagnolo, che lo torturò moltis-simo, poi gli fece mozzare la testa.

La testa di Inkarrì non morì. Essa è sottoterra a Cuzco, ma siccome que-sta testa vive, il corpo di Inkarrì si ricostituisce a poco a poco, proprio sotto terra, per non essere scoperto.

Nell’attesa, siccome Inkarrì è scomparso, le sue leggi sono state dimen-ticate e non sono più applicate.

Ma, quando il corpo di Inkarrì sarà completamente ricomposto, egli ri-tornerà verso di noi e sarà lui a pronunciare il giudizio nale.

Come prova dell’esistenza di Inkarrì, gli uccelli della costa cantano “Andate a Cuzco! A Cuzco il re”.

Leggenda quechua raccolta a Puquio, Perù. 931

Conquista I Maya deplorano le conseguenze della conquista:

Gli stranieri han tutto cambiato Quando sono arrivati qui. Hanno portato cose vergognose quando sono venuti tra noi... E noi più non abbiamo conosciuto giorni felici. Per questo soffriamo. Non ci sono più giorni felici per noi.

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448 Il diritto di essere un uomo

Non ci son più decisioni giuste. E in ne siamo divenuti ciechi, a nostra onta. Ma tutto sarà rivelato!

Chilam Balam de Chumayel (Libro sacro dei Maya), America cen-trale. 932

“Assenti dall’universo” Un Americano del Sud scrive, al momento della rivoluzione per l’indi-

pendenza, a un abitante della Giamaica:Noi eravamo umiliati da un regime che non solo ci privava dei nostri

legittimi diritti, ma ci manteneva in una specie di infanzia permanente circa gli atti della vita pubblica. Se almeno avessimo avuto un’amministrazione tutta nostra per gestire i nostri affari interni, noi saremmo al corrente degli affari pubblici e della loro competenza, e godremmo così della considera-zione personale, che impone automaticamente al popolo un certo rispetto, che è tanto importante rispettare nelle rivoluzioni. Ecco perché ho detto che eravamo privati per no della tirannia attiva, poiché non ci era permes-so esercitarla.

Gli Americani, nel sistema spagnolo che è in vigore e che s’impone forse con maggior forza che mai, non hanno altro compito nella società che quello d’essere schiavi adatti per il loro lavoro, o tutt’al più quello di semplici consumatori; per no questo ruolo è d’altronde limitato da restrizioni urtanti, quale la proibizione di coltivare i frutti europei, il mo-nopolio esercitato dal re su alcuni prodotti, gli ostacoli opposti alle fab-briche che la metropoli non possiede, i privilegi esclusivi del commercio, per no di quello degli articoli di prima necessità, gli intralci frapposti tra le province americane per impedire loro di consultarsi, di intendersi e di commerciare. In ne, voi volete sapere quale era il nostro destino: i campi per coltivare la cocciniglia, l’indaco, il caffè, la canna da zucchero, il cacao e il cotone, le pianure deserte per allevare le greggi, i deserti per cacciare le bestie feroci, le viscere della terra per estrarre l’oro che non può saziare quell’avara nazione.

Nessun’altra società civile offre un esempio di condizione così negativa come la nostra, per quanto mi ricordo della storia e della politica di tutte le nazioni. Pretendere che un paese così felicemente costituito, così esteso, ricco e popolato, sia puramente passivo, non è forse un oltraggio a una violazione dei diritti dell’uomo?

Noi eravamo, come ho detto ora, isolati, e come assenti dall’universo per quanto concerne la scienza del governo e dell’amministrazione dello

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Identità nazionale e indipendenza 449

Stato. Non vi sono mai stati fra noi né viceré, né governatori, salvo che per motivi assolutamente eccezionali; raramente arcivescovi e vescovi; mai diplomatici; tra i militari, solo nei gradi subalterni; alcuni nobili, ma senza privilegi autentici; non siamo stati in ne né magistrati, né nanzieri, e per no quasi mai commercianti: e tutto questo in contrasto diretto con le nostre istituzioni.

Simon Bolivar, 1815. 933

È legittimo ridurre i vinti in schiavitù?Argomentazioni di Aristotele 1. Esistono schiavi e padroni per nascita. 2. Ma la differenza non è affatto facile da vedersi. 3. Esistono anche schiavi, che sono tali a causa di violenza. 4. Quando gli schiavi sono tali a causa di violenza, non è più possibile

un giusto rapporto. Così, infatti, la natura vuole essa stessa far risaltare una differenza

tra i corpi degli uomini liberi, e quelli degli schiavi: gli uni sono forti per i compiti necessari, gli altri, diritti di statura e non adatti a simili attività, ma piuttosto alla vita politica (che è divisa tra le occupazioni della guerra e quelle della pace). Tuttavia, si veri ca spesso il contrario; alcuni hanno dell’uomo libero solo il corpo, altri solo l’anima, perché è di tutta evidenza che se il corpo bastasse a distinguere gli uomini liberi, come accade per le statue degli dei, tutti sarebbero d’accordo che il resto degli uomini meriterebbe d’essere loro asservito. E se questo che si dice del corpo è vero, sarà molto più giusto ancora fare questa distin-zione per quanto riguarda l’anima; ma non è altrettanto facile vedere la bellezza dell’anima quanto quella del corpo.

È quindi evidente che, secondo la natura delle persone, ne esistono alcune libere, altre schiave, e che per costoro la condizione di schiavi è, al tempo stesso, vantaggiosa e giusta. Che abbiano ugualmente ragione, in un certo modo, coloro che pretendono il contrario non è dif cile da vedere; perché le parole schiavitù e schiavo sono prese in due signi -cati diversi. Esiste infatti una specie di schiavitù e di schiavo in virtù di una legge; questa legge è una specie di opinione comune, secondo la quale, chi è vinto, in guerra appartiene al vincitore.

Precisamente a proposito di questo punto del diritto, molti giuristi intentano, come (farebbero) contro un oratore politico, un’azione di il-legalità; essi trovano strano che un uomo, per il fatto che può esercitare una costrizione, e possiede la superiorità della forza, possa fare della vittima della sua costrizione, il proprio schiavo e il proprio suddito.

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450 Il diritto di essere un uomo

Alcuni sono di questo, parere; altri – per no (alcuni) tra i più saggi – condividono l’opinione precedente. La ragione di questa divergenza di vedute, e ciò che provoca un rovesciamento delle argomentazioni, è che, in un certo senso, la virtù – quando ne trova i mezzi – ha proprio questo potere di costringere, e che il partito vincitore ci guadagna sem-pre qualcosa; così, si crede che la costrizione non sia senza virtù, e che la contestazione verta soltanto sul punto del diritto. Per questo, gli uni credono che il diritto risieda nella mutua benevolenza, gli altri che il diritto sia precisamente questo dominio del più forte, e di fatto, se si mettono in opposizione queste tesi isolatamente, gli altri argomenti, secondo i quali la superiorità nell’ordine della virtù non crea un diritto a comandare e a regnare da padrone, non hanno alcuna forza né valore persuasivo.

D’altra parte, vi è gente che – attaccandosi tenacemente – pensa a una certa concezione del diritto (ora la legge è uno stato di diritto), am-mette che la schiavitù che risulta da una guerra è contro al diritto, ma al tempo stesso, lo nega; perché l’origine delle guerre può non essere giusta, e non si potrebbe – a nessun titolo – chiamare schiavo colui che non merita d’essere servo; altrimenti accadrà agli uomini ritenuti più nobili d’essere schiavi e gli di schiavi, se capita loro d’essere venduti dopo essere stati catturati. E anche, essi ri utano a quelli il nome di schiavi e lo riservano ai Barbari. E per dire il vero, quando si esprimono così, la loro inchiesta non mira ad altro che a questa nozione di schiavo per nascita, di cui abbiamo parlato all’inizio. Infatti, è veramente ne-cessario ammettere che alcuni uomini sono dappertutto schiavi, e che altri non lo sono in nessun posto. Lo stesso principio vale per la nobiltà: i Greci si considerano nobili, non solamente a casa loro, ma ovunque, mentre i Barbari lo sarebbero solo nel loro paese. Vi sarebbe così una forma assoluta di nobiltà e di libertà, e un’altra, semplicemente relativa. È quanto dice l’Elena di Teodote:

Dalla sorgente degli dei, dai due lignaggi uscita, chi dunque oserebbe chiamarmi col nome di schiava? Esprimersi così, vuol dire distinguere solo a mezzo della virtù e del

vizio lo schiavo e l’uomo libero, la nascita nobile e quella umile: si-gni ca pretendere che, proprio come un uomo nasce da un uomo e un animale da un animale, così anche un uomo dabbene nasce da gente dabbene. Ora, spesso la natura vuole agire in questa direzione, ma non ne ha il potere. È dunque chiaro che questa divergenza di vedute ha una qualche ragion d’essere, e che non esistono da un lato gli schiavi per nascita e dall’altro gli uomini liberi. È chiaro anche che vi sono dei casi

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Identità nazionale e indipendenza 451

in cui questa distinzione esiste realmente, e che allora è vantaggioso e giusto per l’uno essere schiavo e per l’altro essere padrone, e che l’uno deve obbedire, e l’altro esercitare l’autorità che per lui è naturale eser-citare, e quindi essere padrone. Ma un cattivo uso dell’autorità è nocivo a entrambi. La parte e il tutto, come avviene per il corpo e l’anima, hanno uguale interesse: ora lo schiavo è come una parte del padrone; è come una parte viva del suo corpo, ma separata; vi è anche una comu-nanza di interessi e un’amicizia reciproca tra padrone e schiavo, che sono ciò che per natura hanno meritato di essere. Quando i rapporti sono determinati non in questo modo, ma dalla legge e dalla violenza, avviene completamente il contrario.

Aristotele (384-322 a.C.), Politica. 934

Astuzia e legittima difesa I GATTI E I TOPI

Si narra che la tribù dei Gatti tenne un giorno una riunione per prepa-rare un attacco decisivo contro la tribù dei Topi. La riunione era presie-duta dal re dei Gatti. Quando furono tutti presenti, il re prese la parola e disse: “Membri della tribù dei Gatti, vi saluto. Noi siamo qui oggi riuniti in assemblea perché, come tutti sapete, l’annata è stata prospera per i Topi. La sorte è stata loro favorevole: essi si sono moltiplicati e sono ingrassati. Noi, per contro, abbiamo sofferto la carestia: siamo tutti magri e deboli. Per questo, o membri della tribù, dobbiamo cercare un mezzo per acchiappare tutti i topi al ne di rifocillarci con la loro carne saporita. Come ci riusciremo?”.

Un vecchio gatto, pieno di saggezza, prese allora la parola: “Viva il re! Vorrei fare una proposta. Noi dovremmo con l’astuzia

condurre la tribù dei Topi a concludere solennemente un trattato di pace con noi. Organizzeremo una conferenza che riunisca le due tribù in una pianura senza alberi, in cui i topi non possano trovare alcun rifugio: ci sarà allora facile acchiapparli tutti”.

Il consiglio del vecchio gatto, pieno di saggezza, fu accolto con en-tusiasmo. Il re dei Gatti riprese la parola: “O vegliardo – disse – lunga vita alla tua saggezza! Ci hai dato un eccellente consiglio. Vado all’i-stante a informare il re dei Topi di questa offerta di pace, e cercherò di ottenere il suo consenso. Vi farò conoscere il risultato dei miei passi”. Tutti i gatti l’acclamarono: “Viva il re!”, e la seduta fu tolta.

Il re dei Gatti si recò allora dal re dei Topi. Siccome le due tribù non si amavano troppo, e (per di più) non potevano concedersi una recipro-ca ducia, essi dovettero parlare restando a distanza.

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452 Il diritto di essere un uomo

Il re dei Gatti tenne questo linguaggio: “O re dei Topi, simbolo di libertà, saggio tra i saggi, possa tu vivere a lungo! La pace sia con te! Come stai?”.

Il re dei Topi uscì e disse: “O Re dei Gatti, albero la cui ombra abbraccia ogni cosa, giudice del mondo, rifugio contro il male, la pace sia con te. Come stai?

Il re dei Gatti parlò senza circonlocuzioni: “Ti porto la pace. Vengo in nome della tribù dei Gatti, a fare, a te ed ai tuoi sudditi, una proposta. Come sai, la tribù dei Gatti e la tribù dei Topi sono sempre state nemiche tra loro. Questa ostilità è stata nefasta, per gli uni e per gli altri. In se-guito ai continui massacri di cui siete stati vittime, la vostra popolazione è diminuita. Noi abbiamo, per parte nostra, sofferto in questa lotta. Vi abbiamo inseguiti tra i cespugli, e le spine ci hanno lacerato gli occhi, in modo che siamo tutti mezzi ciechi. Per questo riteniamo che la pace sarebbe per noi la cosa migliore. Vi proponiamo quindi uf cialmente di tenere una riunione comune nella piana di Dirindiir. Noi ci impegneremo solennemente a mantenere la pace, e diventeremo dei veri fratelli. Pro-poniamo che questa riunione abbia luogo il giorno dopo il plenilunio a metà mattinata”.

Il re dei Topi rispose: “Viva il re! Prendiamo atto di questa proposta. Accettiamo la data che tu hai scelto. Speriamo che questa conferenza sia quella della pace”.

Il re dei Gatti prese allora congedo. Quando Sua Maestà si fu allontana-ta, il re dei Topi convocò i suoi sudditi e disse loro: “Il re dei Gatti è venuto a trovarci. Mi ha parlato di pace e mi ha proposto di concludere un trattato di pace con la sua tribù. Ho accettato la sua offerta. La riunione sarà tenuta nella radura di Dirindiir. Non posso mancare alla mia parola: sapete che non sarebbe nobile agire così. Noi incontreremo quindi la tribù dei Gatti. Tuttavia non possiamo darci di essa! L’esperienza ce l’ha dimostrato. Che cosa ci converrà fare?”

Allora un vecchio topo pieno di saggezza prese la parola: “Propongo che la vigilia della riunione, ognuno di noi scavi un profondo buco a Dirindiir. Il giorno stabilito, noi andremo tutti sul posto di buon mattino e trasporte-remo lontano la terra estratta dal suolo allo scopo di non suscitare sospetti. Poi, ognuno di noi si siederà sull’orlo del proprio buco. Se la tribù dei Gatti viene a noi con intenzioni paci che, tutto andrà per il meglio. Se invece, come bisogna aspettarsi, ci attacca, ogni topo dovrà allora battere imme-diatamente in ritirata all’interno del proprio buco”.

Questo consiglio fu accettato e i membri della tribù si dispersero. Tutti i Topi andarono nella radura; ognuno scavò il proprio buco, ma camuffò l’ingresso, e spianò la terra tutt’attorno.

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Identità nazionale e indipendenza 453

Giunse il giorno della riunione. I Topi si recarono di buon mattino nella piana di Dirindiir, e ognuno di loro si sedette sull’orlo del proprio buco. A metà della mattinata, i Gatti si presentarono, pregustando il banchetto. Quando furono abbastanza vicini per essere uditi, il re dei Gatti girò attor-no lo sguardo sui suoi sudditi e li pregò di sedersi per non risvegliare la dif denza della tribù dei Topi. Poi si rivolse in questi termini al re dei Topi: “Grande re dei Topi, sono presenti tutti i tuoi sudditi?”.

Il re dei Topi rispose: “Sì, siamo tutti qui. Anche i tuoi sudditi?”. Il re dei Gatti rispose affermativamente, poi aggiunse: “O re, vado a

dare alcune istruzioni ai miei sudditi. Per favore, pazienta un istante”. E si volse per ispezionare i suoi sudditi. Constatato che erano pronti per l’as-salto, si volse ancora una volta verso la tribù dei Topi. Vide che erano tutti grassi e che l’annata era stata buona per loro. La carne abbondante del re dei Topi testimoniava della prosperità della sua razza. Decise di attaccarlo personalmente. Lanciò il grido di guerra dei Gatti ed esortò il suo esercito: “Acchiappateli tutti! Non ne sfugga uno!”.

Quando il re dei Topi lo vide caricare, si alzò sulle sue minuscole zampe posteriori e gridò ai suoi sudditi: “Nei vostri buchi, alla svelta!”. Ed essi disparvero in un batter d’occhi.

Fu così che la tribù dei Gatti non solo non ebbe quel giorno un suc-culento banchetto, ma – cosa ancor più grave – si disonorò per non aver mantenuto una solenne promessa. I Gatti avevano dimenticato il proverbio somalo “Tab hayow lagaa tab hayee” (Tu che ti credi furbo, sappi che tro-verai sempre qualcuno più furbo di te).

Racconto somalo. 935

Arbitrato e diritto delle genti

La pace attraverso il diritto Il generale San Martín, liberatore sud-americano, al viceré di Lima: Eccellenza, dopo che le truppe poste sotto il mio comando hanno distrutto, il 5 di que-

sto mese, il potente esercito che Vostra Eccellenza ha mandato alla conquista del Cile, e dopo che sono state esaurite le risorse della nostra capitale durante la resistenza opposta alle armi trionfanti della patria, sembrava prudente la-sciare che la ragione si sostituisse alle passioni, e richiamare sulla sorte delle popolazioni l’attenzione esclusiva di coloro che ne hanno l’incarico. Per una fatalità incomprensibile, la guerra dopo il 25 maggio 1810 è stata la sola via d’uscita ai disaccordi tra Spagnoli e gli Americani, che hanno rivendicato i

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454 Il diritto di essere un uomo

loro diritti: tutti sono rimasti sordi ai nostri appelli di pace e si sono ostinati a trascurare i mezzi per giungere a un regolamento ragionevole.

Vostra Eccellenza non ignora che la guerra è un agello devastatore che, al grado che ha raggiunto in America, l’ha condotta alla rovina e che la for-tuna delle armi ha già fatto pendere la decisione in favore delle rivendica-zioni della parte meridionale del Nuovo Mondo. Vostra Eccellenza ha an-che potuto vedere, nel corso dei sette anni appena trascorsi, che le Province unite e il Cile non si augurano altro che una costituzione liberale e una moderata libertà, e che gli abitanti del vice-reame di Lima, il cui sangue è stato sparso in una lotta fratricida, partecipano al loro destino politicò e s’innalzano dall’umiliazione coloniale alla dignità di due nazioni limitrofe.

Nessuna di queste aspirazioni è certamente contraria all’amicizia e alla protezione della metropoli spagnola né al mantenimento di relazioni con essa; nessuna di esse, che non sia l’eco fedele, nel nostro secolo, dell’A-merica, signi cherebbe voler asservire la natura. Che Vostra Eccellenza esamini con imparzialità il risultato degli sforzi compiuti durante tanti anni dal Governo spagnolo, e, senza fermarsi ai trion ef meri dell’esercito reale, scoprirà la sua impotenza dinanzi allo spirito di libertà.

... Convochi gli abitanti di quella illustre città: spieghi loro, in buona fede, ciò che desiderano i Governi del Cile e delle Province unite, li ascolti esporre pubblicamente i loro diritti; che il popolo decida, sotto gli auspici di Vostra Eccellenza, la forma di governo che risponde ai suoi interessi, e parimenti sia permesso alle altre province, sottomesse con la forza, di esprimersi in tutta libertà; le loro deliberazioni spontanee saranno la legge suprema alla quale io sottoporrò i miei ulteriori atti secondo le istruzioni del mio governo.

... Quando Vostra Eccellenza esaminerà le misure di progresso che io preconizzo, credo che renderà giustizia ai miei sentimenti: aspiro solo al bene dei miei sudditi; cerco di porre ne alla guerra; i miei passi tendono unicamente a questo scopo e sono fermamente deciso, se essi non avranno un seguito, di andare no al sacri cio per la libertà, la sicurezza e la dignità della patria.

Lettera inviata in data 11 aprile 1818. 936

La pace e l’ordine internazionale La pace è mantenuta mediante la giustizia, che è il frutto del governo,

perché il governo deriva dalla società e la società dal consenso. Se i principi sovrani d’Europa, che rappresentano la società o lo stato

di indipendenza umana che esisteva prima degli obblighi della società, si mettessero d’accordo, per la ragione che ha incitato primitivamente

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Identità nazionale e indipendenza 455

gli uomini a organizzarsi in società, cioè l’amore della pace e dell’or-dine, di riunirsi tramite loro rappresentanti designati in una dieta, in un parlamento o in Stati generali, al ne di stabilire le regole di giustizia che i principi sovrani dovrebbero osservare l’uno nei confronti dell’al-tro [...], e se essi si riunissero in tal modo ogni anno o a intervalli di due o tre anni al massimo, oppure ogni volta che ciò sembrasse loro necessario, e quest’assemblea fosse chiamata Dieta, Parlamento, o Sta-to sovrano o imperiale d’Europa [...] la loro prima seduta dovrebbe essere tenuta, per quanto possibile, in un luogo centrale; in seguito, essi sserebbero, di comune accordo, il luogo della loro riunione [...]. Dinanzi a quest’assemblea sovrana dovrebbero essere presentati tutti i disaccordi tra un sovrano e l’altro, che non avessero potuto essere regolati dalle ambasciate interessate, prima dell’inizio della sessione; nel caso in cui una di queste potenze sovrane, che sostituiscono questi Stati imperiali, ri utasse di sottoporre loro le sue rivendicazioni o le sue pretese, oppure di accettare e di eseguire il loro giudizio, e cercasse di ottenere soddisfazione con le armi, o differisse l’applicazione delle loro risoluzioni al di là del limite in questo ssato, tutte le altre potenze sovrane, unite in una sola forza, la costringerebbero a sottoporre loro la sua contesa, e a eseguire la sentenza, mentre la parte lesa verrebbe indennizzata e le spese sarebbero versate alle potenze che avranno im-posto la loro giurisdizione.

William Penn, Essay towards the present and future peace of Europe (Saggio sulla pace presente e futura d’Europa), 1692, Inghilterra. 937

Necessità dell’arbitrato Se la città e i numerosi principi, non riconoscendo al mondo nessuno

superiore (ad essi) per esercitare la giustizia su di loro secondo le leggi e le usanze locali, desiderano aprire dei con itti, dinanzi a chi devono essi difendersi? Si può rispondere che il Concilio deve stabilire che verreb-bero designati degli arbitri ecclesiastici o altri: uomini prudenti, esperti e fedeli, i quali, dopo aver prestato giuramento (eleggerebbero) tre giudici tra i prelati ed altri tre per ognuna delle parti, uomini agiati e di condizio-ne tale che sia probabile non possano venir corrotti né per amore, né per odio, né per paura, né per cupidigia, né in altro modo; essi si riunirebbero in una località appropriata, e, avendo giurato nel modo più rigoroso, dopo aver ascoltato prima della loro riunione le lagnanze sommarie e chiare di ciascuna delle parti, riceverebbero – eliminando innanzi tutto ciò che fosse super uo e inadatto – le prove e gli strumenti che essi esamine-rebbero coscienziosamente [...]. Se una delle parti non è contenta della

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456 Il diritto di essere un uomo

sentenza, i giudici stessi devono rinviare il processo, accompagnato dalle sentenze, innanzi al seggio apostolico, af nché esse siano corrette e cam-biate dal Sovrano Ponte ce, se questo è giusto; se non lo è, esse devono essere confermate e registrate negli archivi della Chiesa “ad perpetuam memoriam”.

Pierre Dubois, La riconquista della Terra Santa, 1306, Francia. 938

Assistenza reciproca e arbitrato PATTO DEL 1° AGOSTO 1291 (origine della Confederazione svizzera) Nel nome del Signore, amen. È cosa onesta e vantaggiosa per il bene

pubblico consolidare i trattati in uno stato di pace e di tranquillità. Sia dunque noto a tutti che gli uomini della valle di Uri, la municipalità della valle di Schwytz e le municipalità della valle inferiore di Unterwald, in considerazione della malizia dei tempi e al ne di difendersi e di mantener-si con maggior ef cacia, hanno preso in buona fede l’impegno di assistersi reciprocamente con tutte le loro forze, soccorsi e buoni uf ci, tanto all’in-terno che all’esterno del paese, verso e contro chiunque tentasse di fare loro violenza, di inquietarli o molestarli nelle loro persone e nei loro beni. E per ogni evento, ciascuna delle dette comunità promette all’altra di venire in suo aiuto in caso di bisogno, di difenderla, a proprie spese, contro le azioni dei suoi nemici e di vendicare la sua contesa prestando un giuramento sen-za inganno né frode, e rinnovando col presente atto l’antica Confederazio-ne; il tutto, senza pregiudizio dei servigi che ciascuno, secondo la propria condizione, deve rendere al suo signore.

E noi stabiliamo e ordiniamo, con unanime accordo, che non riconosce-remo nelle suddette valli nessun giudice che avesse acquistato la propria carica a prezzo di denaro o in qualche altro modo, oppure che non fosse indigeno o abitante di queste contrade. Se si veri casse qualche discordia tra i confederati, i più prudenti interverranno in arbitrato per sedare le con-tese, secondo quanto sembrerà loro conveniente, e se l’uno o l’altro dei partiti disprezzasse la loro sentenza, gli altri confederati si dichiarerebbero contro di lui.

... E se uno dei confederati reca danno alla proprietà di altri o per furto o in qualsiasi altro modo, i beni che il colpevole eventualmente possedesse nelle valli serviranno, come è giusto, a indennizzare il danneggiato [,..]. In caso di guerra o di discordia tra confederati, se una delle parti ri uta di accettare un giudizio o una transazione, i confederati dovranno associarsi alla causa dell’altra parte. Tutto quanto sopra, stabilito per l’utilità comune, deve, se piacerà a Dio, durare in perpetuo. 939

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Identità nazionale e indipendenza 457

Arbitrato Prima di iniziare una guerra (...i principi dovrebbero) adire l’arbi-

trato dei Potentati e dei Signori sovrani: facendo così essi guadagne-rebbero l’amicizia dei propri simili, per valersene contro i loro nemici, nel caso essi non volessero sottomettersi al giudizio di un terzo. Ora se un Principe avesse ricevuto un giudice il quale avesse voluto impe-riosamente ingerirsi per dirimere le divergenze, ciò avrebbe veramente aumentato il suo prestigio; ma l’accettare volontariamente gli arbitri è cosa già praticata e che si pratica ancora nelle Monarchie... e a tal ne servirebbero molto le assemblee generali di cui parleremo in seguito [...]. Come è mai possibile, dirà taluno, di fare in modo che si accordino dei popoli che sono talmente separati per volontà ed affezione, quali i Turchi e i Persiani, i Francesi e gli Spagnoli, i Cinesi e i Tartari, i Cristiani e gli Ebrei o Maomettani? Io dico che queste inimicizie sono soltanto politiche, e non possono ostacolare la connessione che deve esistere tra gli uomini. La distanza dei luoghi, la separazione dei domi-cili non diminuisce punto l’af nità del sangue. Essa non può neppure ostacolare la rassomiglianza dell’indole, vero fondamento di amicizia e di società umana. Perché io che sono Francese dovrei voler male a un Inglese, uno Spagnolo o un Indiano? Io non lo posso, quando considero che sono uomini come me, che io sono soggetto come loro all’errore e al peccato e che tutte le nazioni sono associate da un legame naturale e conseguentemente indissolubile.

Emeric Crucé, Le nouveau Cynée, ou Discours d’Estat représentant les occasions et moyens d’establir une paix généralle et la liberté du commer-ce par tout le monde, 1623, Francia. 940

Discorsi dei cittadini di Platea nel corso del loro processo dinanzi ai giudici lacedemoni tendenti a giusti care la loro condotta durante la guer-ra del Peloponneso:

I Tebani hanno commesso verso di noi un grande numero di ingiustizie e conoscete l’ultima che causò le nostre presenti disgrazie; essi s’impadro-nirono della nostra città in pieno periodo di pace, e, per di più, in giorno festivo!

È quindi con ragione che noi li abbiamo puniti secondo quella legge universale che consacra il diritto di respingere l’aggressore.

Tucidide, Storia della guerra del Poloponneso. V sec. a.C. 941

Essi regoleranno le loro questioni mediante arbitrato su di un piede di perfetta eguaglianza, seguendo gli usi stabiliti. Le altre città del Pelopon-

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458 Il diritto di essere un uomo

neso che non fanno parte del trattato potranno aderire al trattato di pace e di alleanza, pur rimanendo autonome e conservando l’intera disponibilità di se stesse e del loro territorio, a condizione di regolare le loro controver-sie con un arbitrato su di un piede di perfetta eguaglianza, secondo gli usi stabiliti.

Tucidide (V sec. a.C.), Storia della guerra del Peloponneso. 942

Libera opzione delle persone Si stava per iniziare il combattimento ma alcuni Corinti che si trovavano

sul posto intervennero e, presi arbitri dalle due parti, le misero d’accordo e delimitarono i loro territori, essendosi convenuto che i Tebani lascerebbero piena libertà a coloro tra i Beoti che non avessero voluto far parte della società beota.

Erodoto (V sec. a.C.), Storia. 943

Diritto delle genti Tutti i popoli civili sono governati in parte dal diritto comune a tutti gli

uomini e in parte dal diritto loro proprio. Poiché, quando una nazione si dà delle leggi particolari, il loro insieme forma un diritto che è proprio di que-sta nazione; è ciò che si chiama il diritto civile. Ma il diritto che i lumi della ragione hanno stabilito presso tutti gli uomini viene osservato egualmente dappertutto e lo si chiama diritto delle genti perché obbliga tutte le nazioni.

Istituzioni di diritto di Gaio (150 d.C.), Roma. 944

Poiché le Leggi di ogni Stato sono riferite al suo vantaggio particolare; il consenso di tutti gli Stati, o almeno del maggior numero possibile, ha potuto provocare tra loro alcune leggi comuni. E sembra effettivamente che siano state stabilite Leggi tali, da tendere all’utilità, non di questo o di quell’altro Corpo in particolare, ma del vasto raggruppamento di tutti questi Corpi. È quello che vien chiamato Diritto delle Genti, quando lo di-stingue dal Diritto Naturale. Carneade non conosceva affatto questa specie di Diritto, poiché riduceva tutto ciò che si chiama Diritto al Diritto Natura-le, e al Diritto particolare di ogni Stato. Voleva tuttavia trattare del Diritto che ha luogo tra i Popoli; perché egli parla in seguito della Guerra e delle Conquiste: pertanto non doveva certamente omettere il Diritto delle Genti.

È anche senza ragione che egli tratta la giustizia di follia. Perché, sic-come, secondo la sua personale confessione, un Cittadino che si conforma alle Leggi del suo Paese, non agisce in questo da pazzo, benché egli debba, in considerazione di queste Leggi, astenersi da certe cose che sarebbero vantaggiose a lui in particolare: analogamente, non sapremmo ragionevol-

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Identità nazionale e indipendenza 459

mente considerare insensato un Popolo che non è tanto attaccato al suo interesse particolare da calpestare, a causa di questo, le Leggi comuni degli Stati e delle Nazioni. Il caso è precisamente lo stesso. Un cittadino che per il suo tornaconto presente viola il diritto del suo paese, scalza con questo le fondamenta del suo interesse perpetuo, e nello stesso tempo di quello dei suoi discendenti. Un popolo che infrange il Diritto della Natura e delle Genti rovescia così il bastione della propria tranquillità per l’avvenire. Ma quand’anche non ci si ripromettesse alcuna utilità dall’osservare le Regole del Diritto, sarebbe sempre saggio, e per nulla folle, di seguire ciò cui la nostra natura ci porta (a seguire).

Hugo Grotius, II diritto della guerra e della pace, 1624, Olanda. 945

La guerra presso le formiche: Sì, certamente noi ci battiamo, ma in nome di tutte le formiche. Karel apek (1890-1938), scrittore ceco. 946

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UNIVERSALITÀ

L’uomo, origini e condizioni comuni

L’uomo è cittadino del mondo e glio di Dio Se quanto dicono i loso circa la parentela di Dio con gli uomini è

esatto, che cosa rimane ancora all’uomo, se non il ripetere la parola di Socrate, quando gli veniva domandato di che paese era? Egli non diceva mai di essere di Atene, o di Corinto, ma “del mondo”. Perché infatti dire che sei di Atene, e non piuttosto di quel piccolo angolo della città in cui il tuo povero corpo è stato gettato al momento della tua nascita? Non è forse chiaro che il tuo nome di Ateniese o di Corinzio tu lo trai da un luogo più vasto, che comprende non soltanto quell’angolo, ma la tua intera casa e generalmente tutto lo spazio in cui sono stati generati i tuoi avi sino a te? Quindi, colui che prende coscienza del governo del mondo, che sa che la più grande, la più importante, la più vasta delle famiglie costituisce l’insieme degli uomini di Dio, che Dio ha gettato i suoi semi non soltanto in mio padre e nel mio avo, ma in tutto ciò che nasce e cresce sulla terra, e principalmente negli esseri ragionevoli, perché, essendo essi in relazione con Dio tramite la ragione, sono i soli, per natura, a partecipare a una vita comune con Lui, perché un uomo simile non potrebbe dire: io sono del mondo, sono glio di Dio? Perché non temerebbe egli nulla di quanto accade tra gli uomini? È suf ciente essere parente di Cesare o di un personaggio potente di Roma per vivere in completa sicurezza, stimato, e senz’aver nulla da temere; e il fatto di aver Dio per creatore, per padre e per protettore, non ci sottrarrebbe alla pena ed al timore! “Dove troverò da mangiare – si dice – io che non ho nulla?”. “E gli schiavi fuggiaschi, su che cosa contano, lasciando i loro padroni? Sui loro campi, sulla loro argenteria? Su nient’altro che su se stessi. E tuttavia non manca loro di che vivere. Bisognerà dunque che il losofo, viaggiando attraverso il mondo, faccia assegnamento e si appoggi su altri? Non spetta forse a lui di vigilare su se stesso? Sarà egli più vile e più debole delle bestie prive di ragione, che bastano a se

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462 Il diritto di essere un uomo

stesse, e non mancano né del nutrimento adatto a ciascuna, né dei mezzi per vivere che rispondono alla loro natura?”.

Epitteto (I sec. d.C.), Colloqui. 947

Coloro che sono di buona famiglia, li rispettiamo e li onoriamo; quelli che provengono da una casa meschina, non li rispettiamo e non li onoria-mo; con questo noi ci comportiamo come dei Barbari gli uni nei confronti degli altri. Il fatto è che, per natura, noi siamo tutti e in tutto identici per nascita, Greci e Barbari; e si può constatare che le cose necessarie per ne-cessità naturale sono comuni a tutti gli uomini [...]. Nessuno di noi è stato distinto all’origine come Barbaro o come Greco: noi tutti respiriamo l’aria con la bocca e le narici.

Antifonte (V sec. a.C.), Grecia. 948

Tse-lu interrogò il Maestro a proposito dell’uomo colto. Il Maestro rispose: “Un uomo colto si perfeziona col rispetto”.(Ci si può perfezionare solo col rispetto di se stesso e scatenando un’ac-

canita lotta contro le proprie passioni.)– Solo questo? – riprese Tse-lu. – Egli perfeziona se stesso af nché gli altri uomini siano in pace, – disse

il Maestro. – Solo questo? – domandò Tse-lu. – Egli perfeziona se stesso perché tutta la gente del popolo sia in pace.

Questo è quanto Yao e Ciu-En facevano fatica a raggiungere, – concluse il Maestro.

(Yao e Ciu-En erano due santi re della più remota antichità cinese) Confucio (551-479 a.C.), Discorsi, Cina. 949

Unità d’origine Allora Jahve Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e sof ò nelle

sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente. Bibbia ebraica, Genesi, 2. 950

Ambrogio, vescovo di Milano, all’imperatore Teodosio, dopo il massa-cro di Tessalonica:

“Senza dubbio è la potenza imperiale che ti impedisce di conoscere la tua colpa, e la tua potenza sovrana oscura la tua ragione. Devi tuttavia pen-sare quanto è fragile e passeggera la natura umana, e che noi tutti dobbiamo tornare alla polvere da cui siamo usciti”.

Secondo Teodoreto, vescovo di Cyr, Storia della Chiesa, (circa 450). 951

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Universalità 463

Tutti gli uomini sono come un uomo solo nella misura in cui si incontra-no nella natura che essi hanno ricevuto dai progenitori.

San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica. 952

La Bibbia racconta come il faraone insegue gli Ebrei n nel deserto; essi sono spinti verso il mare. Dio apre il mare, fa passare gli Ebrei e anne-ga gli Egiziani nei utti. Mosè intona un inno a Dio. Il Talmud vi aggiunge queste parole:

Nel momento in cui Mosè intonò il suo inno, gli angeli si misero anch’essi a cantare; ma l’Altissimo, – sia benedetto il Suo Nome – disse loro: “Le opere della mia mano annegano nel mare, e voi volete cantare dinanzi a me?”.

Talmud, Sanhedrin, 39. 953

Tu unisci tra loro i cittadini, i popoli – che dico? l’intero genere umano, mediante la credenza nella comunanza della nostra origine, per modo che, non contenti di associarsi, gli uomini divengano, per così dire, dei fratelli.

Sant’Agostino (IV sec.), Inno alla Chiesa. 954

Vi era in Gesù Cristo l’uomo intero. Pertanto il suo corpo, strumento del Verbo, ha compiuto in se stesso tutto il mistero della nostra redenzione.

Parlando della città, Gesù indica la carne che aveva assunto: come una città è composta da una moltitudine e varietà di abitanti, allo stesso modo – per mezzo di questo corpo che ha assunto – è contenuto tutto il genere uma-no. Con questa specie di riunione in Lui di tutti gli uomini, Egli è come una città, e noi, mediante la nostra unione alla Sua carne, ne siamo gli abitanti.

Ilario di Poitiers vescovo (IV sec.), Commento al Vangelo di San Mat-teo. 955

Il rabbino Meir disse: “La polvere con cui è stato fatto il primo uomo è stata raccolta in tutti gli angoli del mondo”.

Talmud, Babli. 956

Dignità naturale di ogni uomo Quando la Sacra Scrittura dice “Dio creò l’uomo”, con questa formula

indeterminata egli si riferisce a tutta l’umanità. Infatti, in questa creazione Adamo non è nominato, come farà in seguito la storia: il nome dato all’uomo creato non è “il signor X”, oppure “il signor Y”, ma quello dell’uomo univer-sale. Quindi, con la designazione universale della natura, noi siamo condotti a supporre qualcosa di questo genere: mediante la prescienza e la potenza divina, è tutta l’umanità che viene abbracciata in questa prima istituzione.

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464 Il diritto di essere un uomo

Invero, necessariamente, nulla è per Dio indeterminato negli esseri che hanno derivato da Lui la loro origine, ma ciascuno ha i suoi limiti e la sua misura, circoscritti dalla saggezza del suo autore. Come quel determinato uomo in particolare viene delimitato dalla grandezza del suo corpo e la sua esistenza è misurata dalla grandezza che risponde esattamente alla super cie del suo corpo; analogamente io penso che l’insieme dell’umanità è contenuto come in un solo corpo, grazie alla “potenza presciente” che Dio ha su tutte le cose. È quanto vuol dire la Sacra Scrittura, quando dice che “Dio creò l’uo-mo e lo fece ad immagine di Dio”. Poiché non è in una parte della natura che si trova l’immagine: non più di quanto la bellezza risiede in una qualità par-ticolare di un essere, ma è su tutta la razza che si estende ugualmente questa proprietà dell’immagine. Lo dimostra il fatto che lo spirito abita similmente in tutti e che tutti possono esercitare il loro pensiero, le loro decisioni o quelle altre attività mediante le quali la natura divina viene rappresentata presso co-lui che è fatto a Sua immagine. Non vi è differenza tra l’uomo che è apparso al momento della prima apparizione del mondo e quello che nascerà quando tutto nirà: tutti recano ugualmente l’immagine divina.

Per questo, un solo uomo ha servito a designare l’insieme, perché – per la potenza di Dio – non esiste né passato né futuro, ma sia ciò che deve accadere che quanto è passato sono ugualmente sottomessi alla sua atti-vità che abbraccia il tutto. Anche tutta la natura, che si estende dall’inizio no alla ne, costituisce un’immagine unica di colui che è. La distinzione

dell’umanità in uomo e donna, secondo me, è stata fatta per la ragione dirò, aggiunta in soprappiù dopo il momento della modellazione primitiva.

Gregorio di Nicea vescovo (IV sec.), La creazione dell’uomo, Asia Mi-nore. 957

I Gentili che si allineano tra i giusti sono dei sacerdoti di Dio. Ne prendo a testimoni il cielo e la terra: ognuno – Ebreo o Gentile, uomo o donna, ser-vo o serva – può agire in modo tale che lo Spirito Divino si poserà su di lui.

Midrash Yalkut. 958

Unità degli uomini nel Cristo Poiché quanti foste battezzati nel Cristo, avete rivestito il Cristo: non

conta più l’essere giudeo o greco, né l’essere schiavo o libero, né l’essere uomo o donna; poiché voi tutti siete un essere in Cristo Gesù.

Nuovo Testamento, San Paolo, Epistola ai Galati, III. 959

Il Verbo ha abitato in tutti mediante uno solo Ma Giovanni afferma utilmente che “il Verbo ha abitato in noi”, per sve-

larci un altro profondo mistero, cioè che tutti noi eravamo nel Cristo e che

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Universalità 465

in Lui è ritornata alla vita la persona comune dell’umanità. Poiché Egli è chiamato “l’ultimo Adamo” per il fatto che ha arricchito la comunità della natura di ogni felicità e gloria, allo stesso modo che il primo Adamo aveva fatto per la corruzione e la vergogna” [...].

Nel Cristo dunque è veramente liberata la razza schiava, che viene innalzata all’unione mistica con colui che porta la forma di schiavo, (ed essa è liberata) in noi a causa dell’imitazione di colui che è Unico, grazie alla parentela secondo la carne. Per quale altro motivo avrebbe egli preso (origine) dal seme di Abramo, e non da quello degli angeli, se non per poter “assimilarsi in tutto ai suoi fratelli” ed essere veramente uomo? Oppure non è forse evidente agli occhi di tutti che Egli si è abbassato alla condizione di schiavo senza trarne alcun pro tto per sé, ma solo per farci dono di se stesso, al ne di arricchirci della sua povertà, innalzati a causa della nostra rassomiglianza con lui, al suo bene personale ed eccellente, af nché apparissimo, attraverso la fede, al tempo stesso, dei e gli di Dio?

Cirillo di Alessandria (V sec.), Commento di Giovanni. 960

Tutti gli esseri umani formano un solo corpo e una sola comunità. Guglielmo di Ockham (circa 1280-1349), Inghilterra. 961

Unità dell’umanità Non vi sono differenze tra le varie classi di uomini. Il mondo intero è di

origine divina. Mahâbhârata, tradizione indi. 962

Che tutti possano bere e mangiare in comune. Rigveda, tradizione indi. 963

Costui è dei nostri, oppure non lo è. Tale è il punto di vista delle mentali-tà meschine. Le grandi anime, invece, hanno in verità, per famiglia l’intera terra.

Subhâsita-Ratnabhândâgâra, tradotto dal sanscrito. 964

Ogni paese è la mia patria, ogni uomo è mio fratello. Tradizione dell’epoca sangam, tradotto dal tamil. 965

Non esiste che una sola casta: l’umanità.Pampa (IX sec.), tradotto dal canara, India. 966

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466 Il diritto di essere un uomo

Se Dio avesse aizzato gli uomini gli uni contro gli altri, sarebbero crol-lati i monasteri, le chiese, le moschee e quei luoghi di preghiere in cui il nome di Dio è così spesso invocato.

Corano, Al-Hadj, 40. 967

A chiunque reca danno a un non-musulmano io dichiaro guerra. Hadith (Detti del Profeta). 968

O uomini, temete il vostro Signore che vi ha creati a partire da una sola (e medesima) anima.

Corano, An-Nissa’, 1. 969

Tutti gli uomini sono eguali come lo sono i denti del pettine. Nessun Arabo può pretendere di essere superiore a uno straniero (non arabo) se non per la sua pietà. Non è dei nostri colui che predica il razzismo.

Hadith (Detti del Profeta). 970

Tutti gli uomini sono fatti della medesima pasta. Proverbio rumeno. 971

Ben Azzai diceva: “Non disprezzate nessuno e non respingete nulla, poi-ché per tutti gli uomini un giorno suona l’ora e ogni cosa ha il suo posto nel mondo”.

Talmud, Avot, 4. 972

Se Dio lo avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola nazione; la vostra divisione è sopraggiunta per mettervi alla prova; gareggiate nelle buone azioni e tutti voi farete ritorno a Dio, che vi illuminerà su quanto (ora) vi divide.

Corano, Al-Maïda, 53. 973

L’uomoIo vi annuncio qui questa dottrina segreta: nulla, in verità, è più eccel-

lente dell’umanità. Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 974

Tra gli esseri, i migliori sono i viventi; tra i viventi, i migliori sono quelli che possiedono l’intelligenza; e tra quelli che possiedono l’intelligenza, gli esseri umani.

Manusmriti, I. II sec. a.C, I sec. d.C., tradotto dal sanscrito. 975

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Universalità 467

Tutti gli esseri desiderano nascere in quanto uomini, sempre e ovunque. Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 976

La vita umana è in verità dif cile da raggiungere. Uttaràdhyàyana-Sûtra, X (III sec. a.C. - VI sec. d.C.), tradotto dal

praerilo. 977

In un uomo, in verità, comincia l’embrione. Il seme dell’uomo è fatto del vigore accumulato, che proviene da tutte le sue membra. Pertanto, in noi stessi portiamo noi stessi. Quando l’uomo emette questo seme in una donna, egli genera il se stesso di cui rappresenta la prima nascita. Questo se stesso costituisce solo più una unità con la donna, diventa una delle sue membra. Non le fa quindi male. Essa nutre questo se stesso dell’uomo che è entrato in lei. Ella, la nutrice, ha diritto al nutrimento. È lui, l’uomo, che la donna porta come embrione. È lui che nutre il bambino n dalla sua na-scita. Nutrendo il bambino a partire dalla sua nascita, egli nutre (in realtà) se stesso, af nché questo mondo si perpetui, perché è in questo modo che il mondo si perpetua. È la seconda nascita del sé.

Aitareya Upanishad, II (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 978

(Il sof o vitale) si muove nelle divinità (cioè gli organi dei sensi) quale embrione. Essendosi diffuso (una volta) giunto all’esistenza, esso nasce, in verità, una seconda volta. Egli è ciò che è stato, ciò che diverrà e ciò che sarà. Egli, il padre, risiede nel glio coi suoi poteri. Lui, che è il signore di tutte le cose nate e di tutte le cose che si muovono – a te, quale sei, arciere rapido tra tutti, o sof o vitale – sia reso omaggio!

Atharvaveda (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito. 979

Un popolo non è diverso da un altro, se non per i suoi usi e costumi. Proverbio turco citato nel XV sec. 980

L’uomo è più duro del ferro, più solido della pietra, e più fragile della rosa.

Gli animali (si riconoscono tra loro) utandosi; gli uomini (si intendono) scambiando delle parole.

Proverbi turchi. 981

Per coloro che amano di vero amore Dio-Verità, gli abitanti del mondo intero sono come veri fratelli.

Il mio peccato? Eccolo: ho detto che i settantadue popoli diversi, costi-tuiscono, tutti, una sola verità.

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468 Il diritto di essere un uomo

Chi sente (il profumo) dell’amore non ha più bisogno né di religione, né di patria. Chi considera il proprio essere come un nulla, può forse distin-guere tra le religioni e le sette?

Ho trovato colui che cercavo, palese nell’anima dell’uomo. Egli non cessa di desiderare di liberarsi e di sfuggire dal corpo nel quale è rinchiuso.

È lui che ha legato il talismano; lui che parla in tutte le lingue; lui che né il cielo né la terra possono contenere, ed è venuto ad abitare nell’anima dell’uomo.

È lui che ha fatto costruire delle case di carità per i poveri, delle ville e dei palazzi; lui che, con una maschera nera sul volto, si affacenda dinanzi al fornello di un bagno pubblico.

O Yunus, le tue parole hanno un signi cato profondo per coloro che sanno decifrarle; esse dureranno dopo di te: verranno tempi in cui saranno ancora pronunciate.

Yunus Emre, poeta popolare del XIII sec., Turchia. 982

Tutti gli uomini sono una stessa cosa davanti a Dio: Tartari e Germani e gli altri popoli [...]. Se qualcuno è dotato come noi di ragione, egli è, in spirito, nostro fratello o nostro glio.

Teodosij Kosoj, servo divenuto monaco condannato per eresia nel 1514, Principato di Moscovia. 983

AUGURI DEGLI ANTENATI QUICHÉ Oh Zacol, Bitol, Creatore, Modellatore, Guardaci, ascoltaci! Non lasciarci, non abbandonarci. O Signore, che stai nei cieli e sulla terra, Cuore dei cieli, cuore della terra! Dacci dei gli, Dei discendenti, Che il sole ruoti e ci dia la luce. Arrivi l’alba, venga il giorno! Dacci buone strade, Delle strade ben livellate, Che i popoli vivano in pace, Dà loro la prosperità, Dacci una buona vita ed un’esistenza utile! Popol Vuh (Libro sacro dei Quiché), Guatemala. 984

Il senso della vita Esortazione azteca a una ragazzaEccoti, gliola mia, mia preziosa collana, mia acconciatura di piume, mia

opera umana, nata da me. Tu sei il mio sangue, il mio colore, la mia immagine.

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Universalità 469

Ascolta bene e cerca di capire: tu sei viva, tu sei nata; nostro Signo-re, il padrone del Vicino e del Lontano, il creatore dei popoli, l’inventore dell’uomo, ti ha mandata sulla terra.

Ed ora che tu cominci a guardarti d’attorno, bisogna che tu lo sappia: quaggiù non c’è felicità, non c’è piacere. Vi sono soltanto dolori, preoccu-pazioni, fatiche. Qui nascono e crescono la sofferenza e la miseria.

La terra è un luogo di lamenti, l’angolo in cui logoriamo le nostre forze, dove conosciamo a fondo l’amarezza e lo scoraggiamento. Un vento sof a, tagliente come l’ossidiana, quando passa su di noi.

Si dice, con ragione, che siamo bruciati dalla forza del sole e del vento. La terra è il luogo in cui si è sempre sul punto di morire di sete e di fame. È così che accade quaggiù.

Ascoltami bene, bimba mia, glioletta mia: sulla terra non esiste alcun benessere, non vi si trova né felicità, né piacere. Si dice che sulla terra il piacere è sofferenza, e la felicità, dolore.

Gli anziani hanno sempre detto: af nché non passiamo il nostro tempo a gemere, af nché non siamo pieni di tristezza, il Signore ci ha dato il ridere, il sonno, il nutrimento, nostra forza e nostro coraggio, e alla ne l’atto della procreazione!

Ecco ciò che addolcisce la vita sulla terra e il perché noi non gemiamo ininterrottamente. Ma anche in queste condizioni, anche se è vero che noi non troviamo dappertutto altro che sofferenza, e che le cose stanno così sulla terra, nonostante tutto, perché avremmo poi paura? Dobbiamo forse vivere nel timore? Dobbiamo forse vivere tra le lacrime?

Perché – tu lo sai – vi è anche la vita sulla terra, vi sono i signori, vi è l’autorità, vi è la nobiltà, vi sono delle aquile e delle tigri e dei cavalieri. E chi ripete ininterrottamente che le cose stanno così sulla terra? Chi cerca di porre ne alla propria vita? Esistono anche l’ambizione, la lotta, il lavoro. L’uno cerca una moglie, e l’altra cerca un marito!

Tradizione azteca (XV sec.), Messico. 985

Son venuto, amici miei, Vi allaccio collane, Vi orno di piume d’ara; Come un uccello prezioso mi vesto di piume, Mi copro d’oro, Abbraccio l’umanità. Con le piume tremule del Quetzal, In mezzo a ritornelli di canzoni, Mi offro alla comunità. Vi condurrò con me no al palazzo Dove tutti,

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470 Il diritto di essere un uomo

Un giorno, Tutti dovremo recarci, Nell’impero dei morti. Perché la vita non è stata che un prestito.

Canto azteco (XV sec.), Messico. 986

Riuniamo qui gli amici! È il momento di conoscere i nostri volti. Solamente coi ori I nostri canti potranno incantare. Quando saremo partiti per la sua Dimora, Le nostre parole, Vivranno per sempre sulla terra. E partendo lasceremo Le nostre pene e le nostre canzoni. Perché, sappiatelo bene, le nostre canzoni rimarranno. Noi avremo raggiunto la sua Dimora, ma le nostre parole Continueranno a vivere sulla terra.

Canto azteco (XV sec.), Messico. 987

Si viene ad ammirare il pitone, si viene ad ammirare il leopardo; e pitone e leopardo, nessuno di loro che non sia maestoso.

Quando si uccide un pitone, gli uomini vanno a vedere e quando si uccide un leopardo, si va anche ad ammirare; perché entrambi sono ani-mali nobili.

Accade la stessa cosa presso gli uomini; che la donna partorisca una glia o che metta al mondo un glio, fa lo stesso: tutti e due sono esseri

umani. Che un uomo sia ricco o che sia povero, noi dobbiamo fare amicizia con tutti e due; entrambi sono uomini.

Che una sposa sia bella o brutta, ella ti cura, ti prepara il nutrimento [...].… … … Le terraglie per la cottura (dicono): “È il colore che ci fa scegliere”. Tutti questi recipienti hanno subito la medesima cottura, nel medesimo

forno, tuttavia sono diversi tra loro: il colore prende meglio sull’uno che sull’altro e gli acquirenti scelgono gli uni a preferenza degli altri, a causa di questo colore più o meno bello.

Analogamente, per i gli di medesimi genitori: sono diversi e riescono diversamente, nonostante la loro origine comune, a causa delle differenze nella loro condotta, nelle loro qualità e difetti.

Proverbi mongo, Congo. 988

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Universalità 471

Tutti gli uomini sono gli di Dio; nessuno è glio della Terra. Tutti gli uomini hanno una testa, ma le teste sono diverse. Proverbi akan, Ghana. 989

Il fratello si mastica, non s’inghiotte. (Limiti imposti a ogni ostilità tra gli uomini per il fatto che sono fratelli).

Proverbio zerma-sonraï, Africa. 990

Il mondo è una grande cittàTutti gli uomini sono collegati fra loro e partecipano meravigliosamente

alla Repubblica universale.Tutti i regni, imperi, tirannie o repubbliche della terra sono riuniti da

un legame che non è altro se non l’autorità della ragione o del diritto delle genti. Donde risulta che questo mondo è come una grande città, e tutti gli uomini sono, si direbbe, colati in un medesimo diritto, af nché compren-dano che sono tutti del medesimo sangue e sotto la protezione di una mede-sima ragione. Ma perché quest’impero della ragione è sprovvisto di potere di costrizione e non saprebbe riunire in una sola repubblica tutte le nazioni esistenti. Per questo i principi hanno fatto ricorso alle armi e ai trattati.

Jean Bodin, La Repubblica, 1576, Francia. 991

Il genere umano, benché suddiviso in popoli e in reami diversi, non è per questo meno una unità, non solo speci ca, ma anche, per così dire, politica e morale. Questa unità risulta dal precetto naturale dell’amore reciproco e della misericordia, precetto che si estende a tutti, per no agli stranieri, di qualunque condizione siano. Per questo, ogni Stato sovrano, repubblica o regno, benché completo e saldo in sé, è nondimeno al tempo stesso in un certo modo membro di questo universo, in quanto riguarda il genere uma-no. L’esperienza dimostra che nessun Stato potrà mai essere autosuf cien-te al punto da non aver bisogno di nessun appoggio, di associazione e di rapporti reciproci, sia per il suo benessere e per scopi di utilità, sia per una necessità e un bisogno morale. Gli Stati hanno quindi bisogno di un diritto che li diriga e li governi, in questo genere di comunità e di società. Senza dubbio, da questo punto di vista la ragione naturale fa molto, ma non basta a tutto; e così dei diritti speciali hanno potuto introdursi con l’abitudine nelle varie nazioni. Perché, proprio come in uno Stato o in una provincia, l’usanza introduce il diritto, così il diritto delle genti ha potuto introdursi attraverso i costumi in tutto il genere umano.

Francisco Suarez, Trattato sulle leggi e su Dio legislatore ( ne XVI sec.), Spagna. 992

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472 Il diritto di essere un uomo

L’umanità, un solo organismo Conviene considerare l’insieme dell’umanità come un solo organismo

e un popolo come uno delle sue membra. Un dolore che colpisce la punta d’un dito fa soffrire l’intero organismo. Se un (certo) punto del mondo è in preda ad un male, guardiamoci dal dire “Che m’importa?”. Importa invece che noi ci interessiamo a quel male, proprio come lo faremmo se esso si manifestasse in mezzo a noi. Per quanto lontano possa essere il teatro di un incidente, noi non dobbiamo mai dimenticare questo principio.

Kemal Atatürk, 1937. 993

La stessa vita in tutti Non voglio soltanto arrivare alla fraternità o all’identità con gli esseri

cosiddetti umani; voglio identi carmi con tutto ciò che vive, per no con le bestie che strisciano sul suolo. A rischio di urtarvi, voglio identi carmi per no con le bestie che strisciano sul suolo; perché noi pretendiamo di discendere dal medesimo Dio, e, stando così le cose, la vita è, nella sua essenza, unica, sotto qualsiasi forma essa si presenti.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 994

Il mondo intero in ogni uomo È proprio sull’ahimsa (non-violenza) che riposa la ricerca della verità.

Io capisco ogni giorno di più che questa ricerca è vana se non si basa sull’a-himsa. È perfettamente giusto lottare contro un sistema e resistergli, ma lottare contro chi lo ha creato e resistergli, equivale a lottare contro se stessi e resistere a se stessi. Poiché siamo tutti tagliati sul medesimo modello, noi siamo i gli di un solo e medesimo Creatore, e a questo titolo la potenza divina che è in noi è in nita. Disprezzare un solo essere umano, signi ca disprezzare questa potenza divina, e così far torto non soltanto a questo essere umano ma, attraverso lui, al mondo intero.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 995

Fraternità

Legami umani in piena battaglia

L’Acheo Diomede, glio di Tideo, e Glauco il Licio, glio di Ippoloco, l’uno di fronte all’altro si riconoscono e riconoscono i legami di ospitalità che legano le loro famiglie:

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Universalità 473

Allegrossi di Glauco alle parole il marzial Tidide, e l’asta in terra con c-cando, all’eroe dolce rispose:

“Un antico paterno ospite mio, Glauco, in te riconosco. Eneo, già tempo, ne’ suoi palagi accolse il valoroso Bellerofonte, e lui ben venti interi giorni ritenne, e di bei doni entrambi si presentirò. Io dunque sarotti in Argo ed ospite ed amico, tu in Licia a me, se nella Licia avvegna ch’io mai porti i miei passi. Or nella pugna evitiamci l’un l’altro. Assai mi resta di Teucri e d’alleati a cui dar morte, quanti a’ miei teli n’offriranno i numi, od il mio pie ne giungerà. Tu pure troverai fra gli Achivi in chi far prova di tua pro-dezza. Di nostr’armi il cambio mostri intanto a costor che l’uno e l’altro siam ospiti paterni”. Così detto, dal cocchio entrambi dismontàr d’un salto, strinser le destre, e si dièr mutua fede.

Omero (IX sec. a.C.), Iliade, traduzione di Vincenzo Monti. 996

Supplica di Priamo vinto ad Achille vincitore, per ottenere la restituzio-ne del cadavere di Ettore, suo glio:

“Al padre tuo, divino Achille, or pensa, al padre anch’egli, com’io sono, annoso e di vecchiezza su la trista soglia! Ed or forse anche a lui genti vicine premono intorno, né v’è alcun che possa tenergli lungi il danno e la rovina; pur egli, udendo che tu ancor sei vivo, nel cuor si allieta, ed ogni nuovo giorno sempre spera che rèduce da Troia si vedrà innanzi il suo di-letto glio! Miserrimo son io, che tanti gli e sì forti nell’ampia IIIo creai, né alcuno, credo, più me ne rimane! Io cinquanta ne avevo, allor che i gli qui venner degli Achei: ben diciannove dal grembo stesso mi eran nati; agli altri avean data la luce altre mie donne nella mia casa. A molti già di questi sciolse l’impetuoso Are i ginocchi; e quello ch’era l’unico fra tutti e che d’IIIo e di tutti era difesa, quello, l’Ettore mio, tu l’uccidesti mentre per la sua patria ei combatteva! Per lui, per riscattarlo, or alle navi degli Achei son venuto, e immenso prezzo io te ne porto. Ai Numi abbi rispetto, Pelìde, ed abbi a me misericordia, al tuo padre pensando! Io più di lui di pietà sono degno, io che sostenni, come non mai alcuno dei mortali sopra la Terra, di portarmi al labbro la ma n dell’uomo che i miei gli uccise!” Così gli disse; e l’invoglia al pianto per il padre, onde al vecchio ei la ma n prese e da sé dolcemente lo respinse. E, così ricordando, un l’omicida Ettore a calde lagrime piangeva pur abbattuto ai piedi del Pélide; l’altro, Achille, piangeva ora il suo padre e or Patroclo; e dei gemiti sonava tutta la tenda. Ma poi, quando al ne sazio di pianti fu il Pélide Achille e ne fu spenta nel cuor suo la voglia, rapido allora ei balzò su dal seggio e di sua man o sol-levò il vegliardo, e il suo capo canuto e il suo canuto mento commiserava; e rispondendo così gli volse le parole alate:

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474 Il diritto di essere un uomo

“Misero! Grandi mali hai già sofferti tu nel tuo cuore! O come dunque osasti venir qui solo al campo degli Achei e innanzi agli occhi di colui che tanti e valorosi gli ti tra sse? un cuor di ferro hai tu! ma in questo scanno siediti dunque, e, benché sì dolenti, lasciamo il duolo in cuor paci carsi, perché il gelido pianto nulla giova. (…)”

Omero (IX sec. a.C.), Iliade, traduzione di Guido Vitali. 997

Omaggio ai caduti nemici Gli scavi dell’isola di Santa Maria, al largo di Chatham, hanno ripor-

tato alla luce i resti di molti prigionieri di guerra francesi dell’epoca na-poleonica, morti sui pontoni del Madway. Fu creato per loro un piccolo cimitero di una ventina di metri quadrati, circondato da grate, con aiuole di ori e viali di pietrisco. Più tardi venne innalzato un monumento, che reca la seguente iscrizione:

Qui sono raccolti i resti di molti valorosi soldati e marinai, che, dopo esser stati dapprima nemici e in seguito prigionieri in Inghilterra, trovano ora il riposo sulla loro terra, dimenticando per sempre le animosità della guerra e le tristezze della prigionia. A loro non è stato concesso di chiudere gli occhi in mezzo ai loro amati compatrioti. Ma hanno avuto una sepoltura degna di loro, da una nazione che sa amare e rispettare il valore e compatire la sfortuna.

Iscrizione (1869), Inghilterra. 998

Creature di Dio Quei che novella mai non ebbero del battesimo, sgozzarli come bestie è forse peccato? Sì, è un gran peccato, vi assicuro: Anch’essi di Dio son creature, E parlano settanta lingue e due. Wolfram von Eschenbach (XIII sec.), Willehalm, antico alto tede-

sco. 999

Aperto a tutte le in uenzeLa mia vera idea-guida, quella che mi possiede interamente da quando

sono compositore, è quella della fraternità dei popoli, della loro fraternità a dispetto di ogni guerra, di ogni con itto. Ecco l’idea che, nella misura in cui le mie forze me lo permettono, io cerco di servire con le mie opere. Per questo io non disdegno alcun consiglio, sia di origine slovacca, romena, araba o altra. Purché questa sorgente sia pura, fresca e sana.

Béla Bartók, Lettera a Octavian Beu, 1931, Ungheria. 1000

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Universalità 475

Fraternità Noi condanniamo gli odi “nazionali”, che hanno n qui diviso l’umani-

tà, perché sono al tempo stesso assurdi e cattivi: assurdi, non potendo nes-suno scegliere il luogo della propria nascita, e cattivi, poiché le ambizioni nazionali hanno generato con itti e guerre sanguinose che gettarono la ter-ra nella desolazione. La nostra società (la Società dei democratici fraterni) – ugualmente convinta che, in ogni tempo, gli oppressori dei popoli hanno tratto vantaggio dai pregiudizi nazionali di questi (popoli) per condurli a sgozzarsi tra loro, mentre avrebbero dovuto lavorare insieme per il bene comune – ripudia il termine “straniero”, qualunque sia la persona che esso indichi, che lo utilizzi. È nostra convinzione morale che tutti gli uomini, a qualunque paese appartengano, sono membri di una medesima famiglia – l’umanità – e che sono cittadini di una sola grande repubblica, il mondo. In ne, noi riconosciamo che la grande legge morale “Agisci verso tuo fra-tello come vorresti ch’egli agisse verso di te” è la principale salvaguardia della felicità pubblica e privata.

Principi e regole della Società dei democratici fraterni, 1845, In-ghilterra. 1001

Solidarietà Mi sembra che si ha motivo di timore, e, al tempo stesso, di compas-

sione, quando si vede bruciare o cadere la casa del proprio vicino, poiché la società umana è un corpo, di cui tutte le membra vivono di simpatia fra loro, per cui è impossibile che le malattie dell’uno non si comunichino agli altri.

Emeric Crucé, Le nouveau Cynée, ou Discours d’Estat représentant les occasions et moyens d’establir une paix généralle et la liberté du commer-ce par tout le monde, 1623, Francia. 1002

Esigenze della pace Noi tutti sappiamo che se l’opera della pace deve essere preparata

nel pensiero degli uomini e nella coscienza delle nazioni, questo può accadere (soltanto) a condizione che le menti degli individui arrivino a convincersi profondamente dei seguenti princìpi: che una buona po-litica è anzitutto, e prima di ogni cosa, una politica giusta; che ogni popolo deve sforzarsi di capire la psicologia, lo sviluppo e le tradizioni, le necessità materiali e morali, la dignità propria e la vocazione stori-ca degli altri popoli, perché ogni popolo deve considerare non solo il proprio vantaggio, ma anche il bene comune della famiglia delle na-zioni; che questo risveglio della reciproca comprensione e del senso

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476 Il diritto di essere un uomo

della comunità civile, se presuppone – date, ahimè, le abitudini secolari della storia umana – una specie di rivoluzione spirituale, risponde a una necessità di salute pubblica in un mondo che è ormai uno, per la vita e per la morte, pur rimanendo disastrosamente diviso circa gli interessi e le passioni politiche; che il collocare l’interesse nazionale al di sopra di tutto è il mezzo sicuro per perdere tutto; che una comunità di uomini liberi non è concepibile se in essa non si riconosce che la verità è l’e-spressione di ciò che è il diritto, di ciò che è giusto, e non di quanto, a un dato momento, serve meglio l’interesse del gruppo umano; che non è, permesso condannare a morte un innocente perché è diventato per la nazione un peso inutile e costoso o perché ostacola il successo delle im-prese di un qualsiasi gruppo; che la persona umana ha una dignità che il benessere stesso della comunità richiede e deve rispettare, e che essa ha – in quanto persona umana, in quanto persona civica, persona sociale od operaia – dei diritti e degli obblighi fondamentali; che il bene comu-ne supera gli interessi particolari; che il mondo del lavoro ha diritto alle trasformazioni sociali richieste dalla sua raggiunta maggioranza stori-ca: che le masse hanno diritto a partecipare ai beni della cultura e dello spirito; che il dominio delle coscienze è inviolabile; che gli uomini di differenti credenze e di differenti famiglie spirituali devono riconoscere i loro reciproci diritti, quali concittadini nella comunità civile; che lo Stato ha il dovere, anche in vista del bene comune, di rispettare sia la libertà religiosa che quella della ricerca; che l’uguaglianza fondamen-tale degli uomini considera i pregiudizi di razza, di classe o di casta, e le discriminazioni razziali come causa di un’offesa non solo alla natura umana, ma anche alla dignità della persona e costituisce un pericolo determinante per la pace.

Jacques Maritain, Discorso alla seconda sessione della Conferenza ge-nerale dell’UNESCO, 1947, Francia. 1003

L’uomo è un animale socievole Quanto a me, mi dichiaro uomo perché vivo nella comunità, nella socie-

tà degli uomini, occupato in mille cose. Giovanni Pontano (circa 1497), Italia. 1004

Frequentando la gente, si acquista una meravigliosa chiarezza nel giu-dicare gli uomini. Noi siamo tutti rinserrati e ammonticchiati fra noi e non vediamo più in là del nostro naso. Fu domandato a Socrate di dove fosse. Egli non rispose “di Atene”, ma “del mondo”. Egli, che aveva l’immagi-nazione più piana e più ampia, considerava l’universo come sua città, di-

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Universalità 477

stribuiva le sue conoscenze, la sua amicizia e il suo affetto a tutto il genere umano, non come facciamo noi che guardiamo soltanto noi stessi.

Michel de Montaigne (1580-1588), Saggi. 1005

Non perché l’ha detto Socrate, ma perché in verità questo è il modo di pensare, e forse non senza qualche eccesso, ritengo tutti gli uomini miei compatrioti, e abbraccio sia un Polacco che un Francese, posponendo questo legame nazionale a quello universale e comune [...]. La natura ci ha creati liberi e indipendenti; siamo noi che ci imprigioniamo in certe limitazioni, come a esempio, i Re di Persia che si obbligavano a non bere mai altra acqua se non quella del ume Choaspez, rinunciando stupidamente al loro diritto di usare tutte le altre acque, e (con ciò) assetavano – per il loro egoismo – tutto il resto del mondo [...]. Gli Stoici dicono infatti che vi è una così grande colleganza e relazione tra i saggi, che colui che pranza in Francia nutre il suo compagno in Egitto; e chi estende anche soltanto il proprio dito, dovunque sia, (fa sì che) tutti i saggi che sono sulla terra abitabile ne sentono aiuto.

Michel de Montaigne, (1580-1588), Saggi. 1006

Libertà, tirannia, unità Una volta perduta la libertà – che è tuttavia un bene così grande e pia-

cente – tutti i mali si susseguono e gli stessi beni, che dimorano presso di lei, perdono completamente il proprio gusto e il loro sapore, (perché) cor-rotti dalla schiavitù. Credo che gli uomini non desiderino affatto la libertà in se stessa: solo perché, se la desiderassero, l’avrebbero; come se si ri u-tassero di fare questo bell’acquisto soltanto perché è troppo facile.

Povere e miserabili genti, Popoli insensati, Nazioni ostinate nel vostro male, e cieche sul vostro bene, voi vi lasciate rubare sotto i vostri occhi la parte più bella e più appariscente delle vostre rendite, saccheggiare i vo-stri campi, derubare le vostre case e per no spogliarle dei mobili antichi e paterni! Voi vivete in modo tale che potete dire che nulla è vostro. E tutto questo sciupio, questa sventura, questa rovina vi sono causati non dai ne-mici, ma certamente dal nemico, da colui che voi considerate così grande e per il quale andate coraggiosamente alla guerra e per la cui grandezza voi non ri utate affatto di presentare alla morte le vostre persone! Colui che tanto vi domina, non ha che due occhi, due mani, un corpo solo, e non ha altro se non ciò che ha il più piccolo uomo del grande in nito numero delle persone delle vostre città: ciò che egli ha più di voi, è solo il vantaggio che voi gli date di distruggervi. Donde ha egli preso tanti occhi? Di dove vi spia, se voi non glieli date? Come mai egli ha tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I piedi, coi quali egli calpesta le vostre città, donde

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478 Il diritto di essere un uomo

li trae, se non si serve dei vostri? Come può egli avere qualche potere su di voi, se non a mezzo di voi stessi?

Siate decisi a non essere più servi ed eccovi liberi. Non voglio che voi lo cacciate via, ma soltanto che non lo sosteniate più; e, come un grande Colosso, cui hanno scalzato la base, lo vedrete precipitare in basso a causa del suo stesso peso e poi rompersi.

Quindi questa buona madre (Natura) ha dato a tutti, tutta la Terra come dimora, non ci ha sistemati però tutti in una medesima casa; ci ha foggiati tutti di una medesima pasta, af nché ognuno possa mirarsi, e quasi ricono-scersi l’uno nell’altro. Se essa ha fatto in comune a noi tutti questo grande dono della voce e della parola, perché potessimo famigliarizzarci e frater-nizzare meglio, e costituire (mediante) la comune e reciproca dichiarazione dei nostri pensieri, una comunione delle nostre volontà; se essa ha cercato con tutti i mezzi di serrare e stringere più forte il nodo della nostra alleanza e società; se essa ha mostrato in ogni cosa, che non voleva tanto farci tutti uniti quanto tutti uno; non bisogna dubitare che noi siamo tutti naturalmen-te liberi, poiché siamo tutti compagni: e non può venire in mente a nessuno che la Natura abbia posto qualcuno (di noi) in schiavitù, dopo di averci messi tutti in compagnia.

Étienne de La Boétie, De la servitude volontaire ou Contr’un, 1548. Francia. 1007

L’unità attraverso l’eguaglianza Val meglio, glio mio, onorare l’uguaglianza che unisce strettamente gli

amici agli amici, le città alle città, gli alleati agli alleati. L’uguaglianza è per gli uomini una legge di natura.

Euripide (circa 408 a.C.), Le Fenicie, Grecia. 1008

L’unità per l’armonia Che cosa rende possibile la società? I diritti dell’individuo. Che cosa fa

sì che i diritti dell’individuo possano essere esercitati? La giustizia. Quan-do la giustizia e il diritto vanno di pari passo, possono essere esercitati? Quando giustizia e diritto vanno di pari passo, vi è allora l’armonia. E se vi è armonia, vi è unità.

Sun Tzu (544 a.C. - 496 a.C.), La voce del Sovrano, Cina. 1009

Leggi Tutti i paesi hanno delle leggi, ma non vi è una legge che garantisca

l’applicazione delle leggi. Kuan-Tsen (VII sec. a.C.), Cina. 1010

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Universalità 479

L’unità mediante la giustizia Se un Ebreo tenta di uccidere un Gentile che è innocente, tutti gli altri

Ebrei devono unirsi contro di lui per salvare il Gentile. Sefer Hassidim (XII sec.), tradizione ebraica. 1011

L’unità attraverso l’umiltà O Qoraisciti, Dio ha scacciato dalle anime vostre l’orgoglio del pagane-

simo e la gloria che voi traevate dai vostri antenati: gli uomini procedono da Adamo e Adamo dalla polvere.

Ibn Hisham (IX sec.), Africa del Nord. 1012

Solidarietà del lavoro Il mondo intero è lavoro; tutti gli esseri sono compagni di lavoro. Nes-

suno può amare altri senza essere compenetrato di questa convinzione: “Se ci fosse un solo uomo di meno nel mondo, io non potrei compiere il mio lavoro”.

Dênkart (IX sec.), Persia. 1013

Un uomo non può bastare a se stesso; non può neppure compiere da solo le varie operazioni che vanno dalla coltivazione alla latura del cotone. In un momento o in un altro, l’aiuto dei membri della sua famiglia gli è ne-cessario. E se si può accettare l’aiuto di un membro della propria famiglia, perché non (accettare) quello dei vicini? Altrimenti, che signi cato ha il grande proverbio “Il mondo è la mia famiglia?”.

Mahâtma Gandhi (1869-1948). 1014

La cultura per tutti Tocca a noi di desiderare che per no i popoli completamente barbari

possano essere illuminati e liberati dalle tenebre, dovute alla mancanza di istruzione; poiché essi fanno parte del genere umano, e questa parte deve adattarsi all’insieme; d’altronde, l’insieme non è veramente l’insieme, se ne manca una parte. E in ne, perché, se si preferisce la parte al tutto (nel possesso di qualcosa di buono), si darebbe prova, senza alcun dubbio, di scarso intelletto o di poca buona volontà! Di conseguenza, se non si vuol passare per uno spirito limitato o malevolo, bisogna augurare che tutto il mondo vada bene, e non solo se stessi o i propri vicini, oppure solamente il popolo cui apparteniamo. Perché il corpo intero non può stare bene se tutte le membra insieme, e ciascuno isolatamente, non stanno bene; poiché essi sono talmente uniti l’uno all’altro che, appena uno di loro (foss’anche il più piccolo) è malato, tutti gli altri ne risentono, e un mem-

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480 Il diritto di essere un uomo

bro è facilmente contaminato da un altro. Non accade diversamente con la società umana, poiché un uomo comunica facilmente una malattia a un altro uomo, un comune a un altro comune, un popolo a un altro popolo; mentre che se tutti fossero sani, godrebbero tutti del benessere comune. Di conseguenza, colui che non desidera seriamente che tutta l’umanità stia bene, fa torto a tutta l’umanità. Ma uno non è veramente amico di se stesso se, quando sta bene, desidera frequentare gli ammalati; se, essendo saggio o buono o felice, desidera frequentare gli sciocchi, i cattivi, i po-veri; non si può evitarli, escludendo gli altri, se si desidera essere integro, saggio, buono e felice.

Jan Amos Comenius, Pampaedia, XVII sec. 1015

Ogni uomo ha un libro prezioso appeso al collo. Proverbio somalo. 1016

Interesse di uno Stato, interesse della cristianità Poiché uno Stato è solo una parte dell’intero mondo, e, più ancora, poi-

ché una provincia cristiana è solo una parte dell’intera Repubblica, ritengo che, se anche una guerra può essere utile a una provincia o a uno Stato, ma per altro va a detrimento del mondo o della Cristianità, allora la guerra è, per ciò stesso, ingiusta. Se, per esempio, una guerra della Spagna contro la Francia fosse intrapresa per motivi giusti, ed essa fosse sotto altri aspetti utile al regno di Spagna, ma venisse tuttavia condotta con maggior danno e a rischio della Cristianità (se, per esempio, i Turchi occupassero, in questi frangenti, le province dei Cristiani) allora bisognerebbe astenersi da tale guerra.

Francisco de Vitoria, Theologicae relectiones, 1526. Spagna. 1017

Interesse particolare, interesse universale Se io sapessi che esiste una cosa utile alla mia nazione, che fosse rovi-

nosa per un’altra, non la proporrei al mio principe, perché, prima d’essere Francese, sono uomo (oppure perché sono necessariamente uomo), e Fran-cese lo sono solo per combinazione.

Montesquieu (1689-1755). 1018

Il bene generale Io non appartengo a coloro che sono fanatizzati dal loro paese o anco-

ra da una nazione particolare; ma mi adopero per servire l’intero genere umano; poiché considero il Cielo come la Patria e tutti gli uomini di buona volontà come concittadini miei in quel Cielo; e preferisco compiere molto

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Universalità 481

bene fra i Russi che poco tra i Tedeschi e altri (popoli) Europei [...]. Poiché le mie preferenze e il mio interessamento vanno al bene generale.

Gottfried Wilhelm von Leibniz, Lettera a Pietro I, 16 gennaio 1716, Germania. 1019

PreghieraNon è più agli uomini che io mi rivolgo: (ma) a te, Dio di tutti gli

esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi. Se è permesso a creature de-boli, sperdute nell’immensità e impercettibili per il resto dell’universo, di osare chiederti qualcosa, a te che hai tutto donato, a te, i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati guardare con pietà gli errori legati alla nostra natura; che tali errori non siano affatto causa per noi di cala-mità. Tu non ci hai per nulla dato un cuore perché ci odiassimo e delle mani perché ci sgozzassimo. Fa che noi ci aiutiamo reciprocamente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa che le piccole differenze degli abiti che coprono i nostri deboli corpi, di tutti i nostri insuf cienti linguaggi, di tutte le nostre usanze ridicole, di tutte le nostre leggi imperfette, di tutte le nostre opinioni insensate, di tutte le nostre condizioni tanto sproporzionate ai nostri occhi e tanto uguali dinanzi a te, che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati uomini, non siano segnali d’odio e di persecuzione; che coloro che ac-cendono ceri in pieno mezzogiorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono il proprio mantello con una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera: che sia uguale adorarti in gergo formato da una vecchia lingua, o in un gergo più nuovo; che coloro, il cui abito è tinto in rosso o in viola, che dominano su di una particella di un piccolo mucchio del fango di questo mondo, e possiedono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che essi chiamano grandezza e ricchezza, e che gli altri li guardino senza invidia; perché tu sai che non vi è in queste vanità né di che invidiare, né di che inorgoglirsi.

Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano essi orrore della tirannia esercitata sulle anime, allo stesso modo come detestano il brigantaggio che ruba con la forza il frutto del lavoro e della paci ca indu-stria! Se i agelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci, non faccia-moci a brandelli gli uni gli altri nel seno della pace e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente, in mille lingue diverse – dal Siam alla California – la tua bontà che ci ha donato quest’istante.

Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763. 1020

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482 Il diritto di essere un uomo

Proposta di Dichiarazione dei diritti fatta al Club dei Giacobini da Ro-bespierre, il 21 aprile 1793

I. Gli uomini di tutti i paesi sono fratelli e i diversi popoli, quali cittadi-ni del medesimo Stato, devono aiutarsi scambievolmente, secondo le loro possibilità.

II. Chi opprime una nazione si dichiara nemico di tutte. III. Coloro che fanno guerra a un popolo per arrestare i progressi della

libertà e annientare i diritti dell’uomo, devono essere perseguitati da tutti, non come comuni nemici, ma come assassini e briganti ribelli.

IV. I re, gli aristocratici, i tiranni, chiunque siano, sono schiavi che si sono rivoltati contro il sovrano del mondo, che è il genere umano, e contro il legislatore dell’universo, che è la natura.

Moniteur, XVI. 1021

Noi siamo liberi, se un solo ostacolo morale frena la nostra marcia sica su di un solo punto del globo. I Diritti dell’uomo si estendono sulla totalità degli uomini. Una Corporazione che si proclama sovrana, ferisce grave-mente l’umanità e si pone in piena rivolta contro il buon senso e la felicità; taglia i canali della prosperità universale; la sua Costituzione, mancando di base, sarà contraddittoria, ef mera e tentennante.

J.B. de Cloots, Anacharsis (membro della Convenzione francese), Di-scorso, 26 aprile 1793. 1022

IL SOCIALISMO

Gli uomini, anche segnati dal sigillo delle razze, E facendo smor e in diverse lingue, Proclamano: certo noi siam selvaggi – ma tra gli eletti, Bisogna scegliere tra osanna e disperazione. Sì, l’antico Pitone è nell’abisso. Il denaro? Lo vinceremo. L’armonia? – Materiale.

Oh, il lavoro della Storia non è nito, E un masso spinto in alto dalle nostre braccia. Se noi cediamo, schiaccia il nostro petto, Se riposiamo, ci stritola il capo. Oh, il lavoro della Storia non è nito, Questo globo non è ancor temprato al fuoco dello Spirito.

Cyprian Kamil Norwid, 1861, Polonia. 1023

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ORIGINI E FINI

Assoluto morale, diritto naturale

L’umanità in ciascuno deve rappresentare uno scopo Ecco la base di questo principio: la natura ragionevole come scopo in

sé... L’imperativo pratico sarà dunque questo. Agisci in modo tale da trat-tare l’umanità nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sem-pre, al tempo stesso, come uno scopo e mai semplicemente come un mezzo.

Immanuel Kant, Fondamenti della Meta sica dei costumi, 1785. 1024

Misura o assoluto Ma, lungi da questi equilibri meccanicamente raggiunti, sempre provvi-

sori come quello della bilancia in mano alla giustizia antica, a una giustizia quale la nostra, c’è quella dei “diritti dell’uomo”, che non evoca più idee di relazione o di misura, ma, al contrario, di incommensurabilità.

Henri Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, 1932, Francia. 1025

Prestigio dell’uomo Un uomo, ecco un termine pieno di erezza. Maksim Gorkij, I bassifondi, 1902, Russia. 1026

Non esiste verità più grande dell’uomo. Chandidâs (XV sec.), tradotto dal bengali, India. 1027

Peggiore della morte Il saggio domandò allo Spirito di saggezza: “Vivere nel timore e nella

menzogna è peggio della morte?”. Lo Spirito di saggezza rispose: “Vivere nel timore e nella menzogna è

peggio della morte, perché la vita è data all’uomo af nché egli goda dell’e-

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484 Il diritto di essere un uomo

sistenza terrena. Se egli non può goderne e il timore e per no la menzogna sono in lui, la sua vita è giudicata peggiore della morte”.

Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 1028

Diritto naturale A questo proposito è importante – pensano gli Stoici – notare atten-

tamente che è proprio la natura a far sì che i gli siano amati dai geni-tori; è il punto d’inizio da cui procede la società universale del genere umano che noi descriviamo: la forma e le membra del corpo devono per prime farlo comprendere; dimostrano da se stesse che la natura si è pre-occupata della procreazione. Sarebbe però contraddittorio aver voluto la procreazione, trascurando di fare degli esseri procreati un oggetto di affezione; per no tra gli animali si può notare quest’azione della natura, e quando pensiamo alla fatica del parto e dell’educazione dei giovani, ci sembra di udire la voce stessa della natura. Tanto è chiaro che la natura ci ha dato l’avversione per il dolore, altrettanto appare che l’impulso ad amare gli esseri generati da noi proviene dalla natura stessa. Da ciò deriva che, in generale, gli uomini vengono af dati dalla natura gli uni agli altri; per il fatto stesso che è uomo, un uomo non deve essere estraneo agli altri uomini. Vi sono organi corporali che, per natura, esistono di per se stessi: come gli occhi e le orecchie; altri sono ausiliari per gli altri (organi), quali le gambe o le mani. Analogamente, vi sono bestie selvagge che esistono solo per se stesse; ma la pinna, un mollusco bivalve, nella sua vasta conchiglia e il pinnotere (cioè l’inqui-lino della pinna) che esce dalla conchiglia per nuotare, ma vi rientra per avvertire la pinna di un pericolo e si fa rinchiudere in essa, agiscono l’uno per l’altro. E accade così (anche) per le formiche, le api, le ci-cogne. In ognuna di queste specie, esistono atti che sono compiuti per gli altri. Ma il legame tra gli uomini è ben più stretto e la natura ci di-spone a costituire delle riunioni, delle assemblee, delle città. Il mondo, secondo loro, è governato dalla volontà degli dei: è come la città, o la capitale universale degli uomini e degli dei. Ognuno di noi è una parte di questo mondo. È quindi la natura a far sì che noi poniamo l’interesse generale avanti al nostro; allo stesso modo come le leggi antepongono la salvezza di tutti a quella degli individui: allo stesso modo, l’uomo onesto, il saggio che obbedisce alle leggi e conosce il proprio dovere di cittadino, cura l’interesse generale piuttosto di quello di un determinato individuo o addirittura del proprio; il traditore della patria non merita maggior biasimo di colui che sacri ca l’interesse o la salvezza comune alla propria salvezza e al suo interesse personale. Ne risulta che bisogna

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Origini e ni 485

lodare chi affronta la morte per la Repubblica, poiché conviene che la nostra patria ci sia più cara di noi stessi.

Cicerone (106-43 a.C.), De nibus honorum et malorum. 1029

Questa Socialità, che abbiamo ora descritto, a grandi linee, ossia que-sta cura di mantenere la Società in un modo conforme ai lumi del Giudi-zio Umano, è la sorgente del Diritto Naturale, propriamente detto, e che si riduce in generale a questo: Che bisogna astenersi religiosamente dai beni altrui, e restituire ciò che se ne può avere tra le mani, o il guadagno che se ne è ricavato: Che si è obbligati a mantenere ciò che si è promes-so. Che si deve riparare il danno che uno ha causato per propria colpa. E che ogni violazione di queste Regole merita una punizione, anche da parte degli Uomini.

Da questa idea ne nasce un’altra più estesa, che in seguito è stata annes-sa alla parola Diritto. L’Eccellenza dell’Uomo al di sopra del resto degli Animali, consiste non soltanto nei sentimenti di Socialità di cui abbiamo appena parlato, ma anche nel fatto che egli può dare un giusto valore alle cose gradevoli e a quelle sgradevoli, tanto future quanto presenti, e discer-nere ciò che può essere utile o nocivo. Si capisce quindi che non è meno conforme alla Natura Umana il regolarsi, in questo genere di cose, su un Giudizio diritto e sano, per quanto lo permette la debolezza dei lumi del nostro Spirito; il non lasciarsi né scuotere dal timore di un male futuro, né conquistare dalle attrattive di un piacere presente, né lasciarsi trascinare ad atti inconsulti. Pertanto, ciò che è interamente opposto a un simile Giudi-zio, viene considerato, al tempo stesso, contrario al Diritto Naturale, cioè alle leggi della nostra Natura [...].

Tutto ciò che n qui abbiamo detto si veri cherebbe in qualche modo, quand’anche si convenisse – il che non può essere senza un delitto orribi-le – che non esiste affatto un Dio, o che se ve n’è uno, egli non si interessa per nulla agli affari degli uomini. Ma i lumi della Nostra Ragione, e una Tradizione perpetua, diffusa in tutto il mondo, ci convincono fermamente del contrario n dalla nostra infanzia, e noi siamo rassicurati in questo pensiero da una quantità di prove e di miracoli che lo testimoniano da tutti i Secoli. Ora, da ciò consegue che noi dobbiamo obbedire senza riserve a questo Essere Sovrano, come al nostro Creatore, al quale siamo debitori di ciò che siamo, e di tutto quanto abbiamo; tanto più che egli ha manifestato, in diversi modi, la Sua Bontà e la Sua Potenza in nite: don-de, noi abbiamo il dovere di concludere che egli può dare, a coloro che lo obbediscono, delle ricompense grandissime, e per no eterne, poiché egli stesso è eterno; e noi dobbiamo credere che egli lo vuole, soprattutto

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486 Il diritto di essere un uomo

se l’ha espressamente promesso, come noi Cristiani siamo convinti per testimonianze incontestabili.

Ecco dunque un’altra sorgente del Diritto, cioè la libera volontà di Dio, alla quale noi dobbiamo sottometterci, come la nostra Ragione stessa ci detta in modo tale da non lasciarci alcun dubbio al riguardo. Ma il Diritto stesso di Natura, di cui abbiamo parlato più sopra, tanto quello che consiste nel mantenimento della Società, quanto quello che è così chiamato in un senso più esteso; questo Diritto – dico – benché emani dai princìpi intimi dell’Uomo, può tuttavia, e con ragione, essere attribuito a Dio, perché egli ha voluto che vi fossero in noi tali princìpi: ed è in questo senso che Cri-sippo e gli altri Stoici dicono che non bisognerebbe ricercare l’origine del Diritto se non in Jupiter stesso. Sembra anche che la parola latina Jus – che signi ca Diritto – derivi da quella di Jupiter.

Aggiungete a ciò che Dio, mediante le Leggi che ha emanate, ha reso questi princìpi più chiari e più comprensivi, mettendoli alla portata per no di coloro che hanno scarsa perspicacia. Egli ha anche proibito di abbando-narsi a quei movimenti impetuosi che, contro il nostro stesso interesse e anche a danno di quello degli altri, ci stornano dal seguire le Regole della Ragione e della Natura; perché – siccome sono estremamente focosi – bi-sogna tirare loro la briglia e chiuderli entro certi limiti un po’ ristretti.

E ancora, la Sacra Scrittura, oltre i precetti mediante i quali si impegna a nutrire sentimenti di Socialità, contribuisce non poco a inspirarci simili sentimenti, perché ci informa sui primi Genitori del Genere Umano, dai quali tutti gli Uomini hanno avuto origine, perché si può dire a questo proposito ciò che quel Fiorentino, antico giureconsulto, diceva in un altro senso: che la Natura ha stabilito tra noi una specie di parentela; da cui si deduce che un Uomo fa moltissimo male a ordire tranelli a un altro Uomo.

Tra gli Uomini, un Padre e una Madre sono come altrettanti Dei nei confronti dei loro Figli: pertanto questi devono loro un’obbedienza, non in verità senza limiti, ma tanto estesa quanto lo richiede questo rapporto, e anche grande quanto lo permette la dipendenza da un comune Superiore in cui si trovano gli uni e gli altri.

Appartiene al Diritto Naturale che ciascuno mantenga religiosamente le Promesse o le Convenzioni che ha fatto: perché era necessario vi fossero tra gli Uomini alcuni modi per impegnarsi gli uni verso gli altri, e non si saprebbe concepirne altra più conforme alla Natura. È ciò che ha prodotto in seguito le differenti specie di Diritto Civile. Perché coloro che entrano in qualche Comunità e si sottomettono a una o più persone, promettono, o formalmente o per un tacito impegno che la natura stessa delle cose dà mezzo di presumere, promettono – dico – di obbedire a ciò che avrà deciso

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Origini e ni 487

la maggioranza del Corpo, oppure coloro entro le cui mani sarà stato posto il potere di comandare.

Come dice Carneade, e come altri hanno detto dopo di lui, che l’Utilità è come la Madre della Giustizia e dell’Equità; questo – dico io – non è vero, per parlare esattamente. Perché la Madre del Diritto Naturale è la Natura Umana stessa, che ci porterebbe a ricercare la compagnia dei nostri simili, quand’anche non avessimo bisogno di nulla. E la Madre del Diritto Civile è l’obbligo che ognuno si è imposto volontariamente; obbligo che, traendo la sua forza dal Diritto Naturale, dà la possibilità di considerare la Natura quale bisavola, per così dire, del Diritto Civile. Ciò che è esatto è che l’Utilità accompagna il Diritto Naturale: perché l’Autore della Natura ha voluto che ogni persona in particolare fosse debole di per se stessa, e nell’indigenza di parecchie cose necessarie per vivere comodamente, af n-ché noi fossimo tutti disposti a mantenere con maggior ardore la Società.

Hugo Grotius, II diritto e la guerra e la pace, 1624, Olanda. 1030

Nell’universo di Pope, l’amor di sé (self-love) diventa il principio dell’armonia sociale e del rispetto per gli altri.

Così, in un mortale, l’amor proprio sfrenato Verso i beni, i piaceri, senza regola è trascinato; Ma diffuso in tutto, da sé a sua rovina Oppone il freno di un governo saggio. Se il bene che mi piace incanta i miei eguali, Posso averlo da sol contro tanti rivali? Il debole me lo ruba mentre io sonnecchio. Il più forte lo prende anche se son sveglio. Per mantenere tutti un ben di cui siamo gelosi, Bisogna viver tutti sotto leggi comuni, E con voti opposti a mantener l’equilibrio, Limitar sua libertà per conservarsi libero. Allor per no i re, forzati alla bontà, Conobbero dolcezza, conobbero equità. L’amor proprio illuminato prese un volo più saggio, E nel bene di tutti vide il proprio vantaggio.

Allor s’innalza, acceso d’un bel fuoco, Pieno d’amor per l’Uomo e di pietà per Dio, Qualche spirito illustre, qualche anima grande, Coraggioso patriota o poeta sublime, Che, senza far brillare all’uom novello fuoco, Dei dogmi eclissati riaccende la amma; Sveglia nei cuor la fede dell’infanzia;Se non dipinge Dio, ne schizza la gura; Unisce abilmente, con eque leggi,

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488 Il diritto di essere un uomo

Gli interessi rivali del popolo e dei re; Fissa a loro poter limiti certi, Vieta di tirar troppo le redini e di troppo lasciarle; Unisce così bene le sottoposte la tra loro, Che della fortuna degli uni, gli altri son felici; Che al colpo di cui uno geme, gli altri tutti rispondono; Così tanti interessi in un sol s’uniscono; Così da mille colpi risulta, senza sforzo, Dello stato combinato l’armonioso accordo.

Tale è del mondo inter l’ammirevole concerto, Figlio dell’ordine felice, dell’union duratura, Che colma tutti i punti, incatena le la… (…)

Dove il debole e il forte, i piccoli e i grandi, S’accostano per aiutarsi e non per farsi il male, Per forti carsi e non per distruggersi; Ove a far più felici, si è più fortunati; Ove ognuno riceve almeno quel che ha donato; Ove tutti, angeli, uomini, bruti, schiavi, signori e maestri,

Tendono allo stesso centro, al bene di tutti. Che sciocchi chiacchieroni, oppur falsi zelanti Discutano con fragore, né loro vane contese, Delle forme di stato qual è la più sicura, Quali modi di fede son la fede più pura; Lasciateli a odiarsi, per amor di lor scelta In campo religioso, o in quello legale, Tutto ciò che rende migliori, non può essere colpevole.

Tutto ciò che rende felici, non può essere biasimevole. Sei tu ben governato? Non sei vizioso? Va, la tua religione, le tue leggi vengono dal cielo. Sulla fede, la speranza, si dubita, si è divisi. La carità parla ovunque lo stesso linguaggio. Solo l’Uomo è troppo debole; ha bisogno di altri.

Così la vite abbraccia e sostiene il suo palo, Così la nostra terra, a due chine fedele, Gira attorno al sole e anche su se stessa; Così anche l’uomo, da doppia legge guidato, Concorre al bene del mondo, e s’interessa a sé; Così Dio fa servire al suo vasto sistema, L’amore sociale e l’amor di se stessi.

Alexander Pope (1688-1744), Saggio sull’uomo, Inghilterra. 1031

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Origini e ni 489

Completamento di sé Il vero scopo dell’uomo, quello che gli assegna non già il suo caratte-

re mutevole, ma la ragione immutabile, è lo sviluppo maggiore e meglio proporzionato delle sue forze in un tutto. La libertà è la condizione prima e indispensabile di questo sviluppo. Tuttavia, oltre la libertà, il manifestar-si delle forze dell’uomo esige ancora un’altra cosa, strettamente legata, è vero, alla nozione di libertà: la diversità delle situazioni uniformi. Certa-mente questa diversità per un verso è sempre conseguenza della libertà, ma per un altro esige che si tenga anche conto di una specie di assoggettamento che, invece di limitare la libertà dell’uomo, dia a ciò che lo circonda tutte le forme possibili, il che, in de nitiva, è la stessa cosa. Tuttavia, per maggiore chiarezza, è preferibile fare delle distinzioni. L’uom o non può far agire che una sola per volta delle sue forze, o piuttosto l’intero suo essere si attacca a una sola attività per volta. L’uomo sembra dunque votato all’unità di azione, dal momento che la sua energia si indebolisce appena intraprende parecchie cose. Egli sfugge tuttavia a questa limitazione n dal momento in cui tende a unire le forze isolate, spesso esercitate e separatamente; a far agire simultaneamente in ogni stadio della sua vita la scintilla quasi spenta e quella che non è ancora completamente accesa; e a moltiplicare non le cose sulle quali egli agisce, ma, combinandole, le forze che egli mette in opera [...]. Chiunque voglia agire sugli uomini non deve mai perdere di vi-sta l’originalità personale della forza e della formazione. Allo stesso modo con cui questa originalità procede dalla libertà di azione e dalla diversità di colui che agisce, essa sta alla sorgente dell’una e dell’altra. Per no la natura inerte, che avanza col suo passo sempre regolare, seguendo delle leggi immutabili sembrerebbe più personalizzata agli occhi di un uomo la cui originalità si è pienamente sviluppata. Egli si traspone in essa e si può quindi dire, insomma, che ognuno trova tanta pienezza e bellezza al di fuori di lui, quanta ne porta nel suo cuore.

Wilhelm von Humboldt (1767-1835), Germania. 1032

Ricorso a Dio, alla natura

Al di là di ogni giustizia terrestre, il fondo segreto Il Tao è il fondo segreto e comune a tutti gli esseri, il tesoro degli uomini buoni e il rifugio di quelli che non lo sono. Con belle parole si possono comprare degli uomini, con una buona condotta ci si può innalzare al di sopra degli altri. Ma perché respingere gli uomini che non ne sono capaci?

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490 Il diritto di essere un uomo

Così, per esempio, s’incorona il glio del cielo, si insediano i tre duchi, si offrono loro giada e quadrighe; tutto questo non è paragonabile a quello che, senza muoversi, offre il Tao. Perché gli antichi stimavano tanto il Tao? Non è forse grazie a lui che chi cerca trova e ogni colpevole si riscatta? Per questo è tanto stimato nel mondo.

Lao-Tzu, Tao tô-king (VI sec. a.C.), Cina. 1033

L’uomo creato a immagine di Dio Il rabbino Salomone di Karlin domandava: “Qual è l’effetto peggiore

delle cattive inclinazioni?”. Ed egli stesso rispondeva: “Far dimenticare all’uomo che è un glio di Re”.

Or Ganuz (luce nascosta, racconto hassidico (XVIII sec.). 1034

L’uomo è un essere vivente grande e ammirevole, più caro a Dio di tutto il creato, per il quale sono stati fatti il cielo, la terra, il mare e tutto il resto del corpo della creazione; l’uomo, di cui Dio ha tanto amato la salvezza, al punto da non risparmiare per lui il suo unico Figliolo, e che non cessa di colmare di doni e di bene ci, no al punto di farlo sedere alla sua destra [...] è stato creato per ultimo, come l’imperatore, che tutti precedono.

San Giovanni Crisostomo (386), Omelia sull’Hexameron. 1035

Noi leggiamo come l’uomo sia stato fatto a immagine e somiglianza di Dio. E che cosa dice Dio all’uomo? Che abbia potere sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutte le bestie che strisciano sulla terra. Dio ha forse detto: che egli abbia potere sull’uomo? Egli dice: Che egli abbia po-tere, potere conforme alla sua natura. Potere su chi?... Sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Perché questo potere naturale dell’uomo sulle bestie? Perché l’uomo ha il potere dal fatto di essere creato a immagine di Dio. Ora, in che cosa l’uomo è stato creato a immagine di Dio? Nella sua intelligenza, nel suo spirito, nell’uo-mo interiore: per il fatto che comprende la verità giudica di ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, sa da chi è stato creato, può conoscere il suo creatore, lodare il suo creatore.

Sant’Agostino (354-430 d.C.), Trattato sull’epistola di San Giovanni ai Parti. 1036

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Origini e ni 491

Quando Dio creò l’uomo, all’inizio “lo fece a sua immagine e somi-glianza”; e non impresse questa immagine all’esterno, ma all’interno di lui [...]. È questa immagine di cui il Padre diceva al Figlio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. L’arte ce di questa immagine è il Fi-glio di Dio. Arte ce di un tale valore che la sua immagine può certo essere oscurata dalla negligenza, ma non mai distrutta dalla malizia. L’immagine di Dio rimane sempre in noi, anche quando da voi stessi le sovrapponete quella dell’“uomo terrestre”.

Origene di Alessandria (III sec.), Omelia sulla Genesi. 1037

Si racconta che il rabbino Eleazaro ben Shimon avendo incontrato un uomo molto brutto che lo salutò, invece di rispondere al suo saluto, gli gri-dò: “Ehi, animale! La gente che si trova qui è tutta così mal combinata?”. “Non ne so nulla – replicò l’uomo – ma tu dovresti dire a colui che mi ha fatto che ha lavorato molto male”. Il rabbino comprese allora quanto era colpevole e chiese perdono a colui che aveva offeso.

Talmud, Ta’anit, 20. 1038

Protezione divina sugli infelici Lo spirito del Signore Jahve è sopra di me, perché Jahve mi ha unto: mi ha inviato ad annunciare la buona novella ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri.

Bibbia ebraica, Isaia, 61. 1039

Insidia di nascosto come leone dentro alla sua macchia, insidia per depredare il misero; depreda il misero attirandolo nella sua rete, balzando si china, si piega e piomba con tutta la sua forza sui miseri. Dice nel suo cuore: “Dio s’è dimenticato ha nascosto la sua faccia e non guarda più”. Sorgi, Jahve, Dio, leva la tua mano, non dimenticarti dei miseri! Perché l’empio dovrà sprezzare Dio e dire nel suo cuore: “Non vendicherà?” Vedi, proprio tu, l’iniquità e la molestia; considera, per ripagare di tua mano. Su te fa af damento il povero e l’orfano; Tu sei l’aiuto. Spezza il braccio dell’empio e del malvagio,

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492 Il diritto di essere un uomo

punisci la sua empietà, più non ne resti. Jahve regna in eterno e sempre; le genti periscono dalla sua terra.La brama dei miseri tu ascolti, Jahve, al proposito del loro cuore tu porgi il tuo orecchio. Per far giustizia all’orfano e all’oppresso, più non incuterà terrore un mortale sulla terra.

Bibbia ebraica, Salmi, 10. 1040

La giustizia di Dio La giustizia di Dio non è come quella di un uomo, che è giusto soltanto

perché osserva delle leggi fatte dal suo superiore [...]. La giustizia non dipende affatto dalle leggi arbitrarie dei superiori, ma dalle regole eterne della saggezza e della bontà.

Leibniz, Saggio di Teodicea, 1710, Germania. 1041

Eguaglianza dinanzi a Dio Oppure tu varrai più di noi, perché sei una gran dama? Ma Dio ha spie-

gato: su di noi il cielo in modo uguale, la luna e il sole brillano ugualmente per tutti, allo stesso modo, per la volontà dell’Altissimo, la terra e tutte le piante non sono al tuo servizio più che al mio [...]. Quel che occorre è di essere accolta tra le grandi dame del cielo.

Non pensare alla grandezza del tuo rango in quanto nobile dama, ma rinuncia a quest’idea e sputa su di essa: noi siamo tutti servitori dello zar del cielo.

Rimproveralo: “Hai un bell’essere un boiardo, dovrai morire, e anche se ti dessero la frusta, non sarebbe il sangue di Cristo a colare, ma sangue d’uomo”.

Lo zar è il padrone di noi tutti, ma insieme a tutti noi è schiavo di Dio. Non vi è che un cielo, una terra, il grano è di tutti e l’acqua egualmente. Avvakum, arciprete russo (XVII sec.) 1042

Al di là di tutti i riti Come potrò accostarmi a Jahve, inchinarmi al Dio eccelso? Potrò accostarmi con olocausti, con vitelli di un anno? Forse Jahve si compiace di migliaia di capri, di decine di migliaia di rivoli d’olio? Dovrei dare il mio primogenito per il mio peccato, il frutto del mio seno per un peccato della mia anima? Ti è stato detto, o uomo, che cosa sia il bene

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Origini e ni 493

e che cosa esiga da te Jahve: null’altro se non che tu agisca rettamente, ami la bontà e cammini nella purezza con il tuo Dio.

Bibbia ebraica, Michea, 6. 1043

Ogni uomo: universale e unico È stato creato un solo uomo per mostrarci che, se qualcuno ha fatto

perire un solo essere umano, ciò gli sarà conteggiato secondo la Scrittura, come se avesse fatto perire tutto il mondo. E che se qualcuno ha salvato anche un solo essere umano, ciò gli sarà conteggiato, secondo la Scrit-tura, come se avesse salvato un mondo intero. Inoltre, se un solo uomo è stato creato, si è per evitare di seminare la discordia, af nché nessuno possa dire al suo vicino: “Mio padre valeva più del tuo”; e anche perché gli eretici non possano dire: “Esistono numerose divinità nel cielo”. Ana-logamente, se è stato creato un uomo soltanto è per rendere manifesta la grandezza di Dio; perché l’uomo conia numerose monete da un solo stampo ed esse si rassomigliano tutte; ma Dio ha tratto tutti gli uomini dallo stampo di cui si è servito per il primo, e ciò nondimeno nessuno rassomiglia al suo vicino. Ognuno deve dire: “Il mondo è stato creato per amore verso di me”.

Talmud, Sanhedrin, 4. 1044

Religione e diritto La Religione è la giustizia per tutti. Che cosa sarebbe una religione in cui il diritto manifesto (fosse dileggiato)? L’uomo incapace di trascinare la propria anima verso il Bene Trascina dietro di sé tutti i soldati del mondo!

Loda il Signore, prega, fa’ settanta volte, E non sette soltanto, il giro della Ka’aba, Tu non sei più religioso per questo! Ignora la religione colui che, dinanzi ai propri desideri, È incapace di padroneggiarsi.

Il Bene non è il digiuno in cui ci si consuma, Non è la preghiera, né il saio sul corpo, M a sta nello scacciare il Male e strapparsi dal cuore E l’odio e l’invidia. Finché bestie selvagge e greggi temeranno (d’essere sbranati), Il leone non potrà essere scambiato per un asceta.

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494 Il diritto di essere un uomo

Adora Dio, non la sua creatura. La legge asservisce, allorché la ragione libera!

Abul-A’la Al-Maari (XI sec.), Siria. 1045

Il diritto divino che è fondato sulla grazia non sopprime il diritto umano, che deriva dalla ragione naturale.

San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica. 1046

Ogni uomo è legato a ogni altro uomo Tutti gli esseri che fanno parte di una realtà comune tendono a rasso-

migliarsi. Ogni essere di terra tende verso la terra, tutti i liquidi scorro-no, ogni essere aereo fa lo stesso: essi non possono essere impediti che con la violenza. Il fuoco sale, a causa del fuoco elementare; la materia terrestre è disposta ad accendersi a un qualunque fuoco; per poco che sia secca, è in ammabile, perché è meno mescolata a ciò che si oppor-rebbe al suo in ammarsi. Perciò tutti gli esseri che partecipano a una natura intellettuale comune tendono ugualmente e per no di più, a ras-somigliarsi. Perché più un essere è elevato, più è disposto a mescolarsi e confondersi con gli esseri che sono imparentati con lui. Infatti, già tra le bestie si trovano degli sciami, delle greggi, degli allevamenti di gio-vani animali, degli amori; perché già qui vi sono anime, e si trova una unione che va crescendo con la loro superiorità, come non ve n’è tra i vegetali, né tra le pietre o i vari legni. Ma presso gli esseri ragionevoli, si vedono governi, amicizie, famiglie, società, e in guerra, trattati e ar-mistizi. Presso quelli ancora superiori, vi è tra loro una specie di unità, anche quando sono separati nello spazio, ad esempio per gli astri. Così l’ascesa verso la superiorità può creare una simpatia anche tra esseri separati. Vedi quindi che cosa accade ora: solo gli esseri intelligenti non ricordano più che cosa li unisce gli uni agli altri, né il loro accordo; solo presso di loro non si vede più alcuna convergenza. Tuttavia, quan-tunque si sfuggano, restano rinchiusi insieme: perché la natura è forte. Vedrai, osservando bene, ciò che intendo dire: infatti sarebbe più facile trovare della terra che non tocchi alcuna terra, piuttosto che un uomo separato dall’uomo.

Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180 d.C), Pensieri, Roma. 1047

L’uomo è sacro nel seno della natura. Proverbio del Vietnam. 1048

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Origini e ni 495

La giustizia nel passato: l’età d’oro

Le due umanità IL MITO DI ADANEVA Vi furono due umanità: l’attuale e un’altra, più antica.L’umanità antica fu creata dal dio Adaneva. Gli uomini antichi erano

molto forti. Essi facevano avanzare grossi blocchi di pietra a colpi di frusta. Fu così che costruirono dei monumenti di roccia.

Il dio Adaneva rapì con la forza la Vergine della Grazia e ne fece sua moglie. Quando ella si trovò incinta, Adaneva l’abbandonò.

La Vergine della Grazia partorì il nostro attuale dio Tete Mañuco. Tete Mañuco annientò l’umanità antica facendo piovere su di essa una pioggia di fuoco, e sterminò i pochi sopravvissuti (colpendoli) a colpi di tibie. Poi creò l’uomo attuale.

Tete Mañuco divise l’umanità in due categorie: gli Indiani e i Misti (la parola Misti indica non soltanto i Bianchi, ma tutti coloro che apparten-gono alla classe dominante). I Misti avevano, e hanno ancora, il diritto di far lavorare gli Indiani, frustandoli se occorreva. I Misti non sono obbligati a lavorare.

La divisione sociale istituita da Tete Mañuco sarà eterna; perché questo dio non può perire, dal momento che, ogni anno, muore un venerdì per risuscitare il sabato. Ma Tete Mañuco ha creato anche il cielo e la terra.

Tutti vanno all’inferno prima di andare in cielo. Si va all’inferno perché non esiste essere umano che sia esente da peccato. Poi si va in cielo. Il cielo è esattamente simile alla terra, ma in cielo, coloro che sono stati Indiani sulla Terra si trasformano in Misti e fanno lavorare quelli che erano i loro padroni, frustandoli se occorre. Teete Mañuco è seduto tra due alberi, con un grande specchio dietro di lui.

Tradizione quechua, raccolta nella provincia di Carhuaz, Perù. 1049

Età d’oro Un giorno Confucio, dopo aver preso parte al sacri cio d’inverno, andò

a passeggiare no al di là della porta della città. Sospirò tristemente. Egli sospirava per lo Stato di Lu.

Il suo discepolo Yen Ten, che gli era a anco, gli domandò: “Perché sospira, Maestro?”.

Confucio rispose: “Non conoscerò mai completamente la pratica della Grande Via, e gli uomini illustri delle Tre Dinastie. Ed essi tuttavia ispirano la mia ambizione! Quando si praticava la Grande Via, ognuno aveva parte

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496 Il diritto di essere un uomo

eguale nel mondo. Le cariche andavano al merito e alla competenza; gli uomini vivevano nella dirittura e nell’affetto. Invero, consideravano essi i propri genitori come i loro unici parenti e i propri gli come i loro soli gli. Le persone anziane nivano in pace i loro giorni e gli uomini robusti trova-vano l’impiego che conveniva loro; i giovani ricevevano un’educazione, e ci si prendeva cura delle vedove e dei vedovi, degli orfani e dei malati. Gli uomini avevano le loro occupazioni e le donne il loro focolare. Avevano orrore dello sciupio e tuttavia non accumulavano per se stessi i beni; si ribellavano all’idea che la loro energia non fosse completamente utilizzata e tuttavia non la usavano a scopi personali. Non potevano quindi esservi complotti, né ladri, né ribelli, in modo che era inutile chiudere a chiave le porte. Era l’epoca della Grande Unità.

Li-ki (II sec. a.C.), Cina. 1050

Pienezza Se, dopo la caduta dei nostri progenitori, causa di tutti i nostri errori,

prendiamo in considerazione i costumi degli uomini e gli avvenimenti, non troveremo in nessun luogo il mondo universalmente in pace, se non sotto il divino Augusto monarca, quando esisteva una Monarchia perfetta. Che il genere umano fosse allora felice, in mezzo alla tranquillità della pace universale, tutti gli storici, tutti i poeti illustri, e per no il testimone della bontà di Cristo, ne hanno dato testimonianza: in ne Paolo chiamò questo stato molto felice la pienezza dei tempi. (Si può dire che allora) i tempi e i beni temporali realizzarono veramente la loro pienezza, perché nessuna ca-rica utile alla nostra felicità rimase senza titolari. In che modo si comportò il mondo, in quale modo la tunica senza cuciture fu strappata dalle unghie della cupidigia, noi possiamo leggerlo nei testi storici, ci sia dato (però) di non rivederlo! O genere umano, a quali lotte e litigi, da quali naufragi devi essere agitato! Tu sei divenuto un mostro dalle innumerevoli teste, e ti perdi in sforzi contraddittori. Tu sei malato nell’uno e nell’altro dei tuoi intelletti, e anche nella tua sensibilità; non ti preoccupi di nutrire l’intelletto superiore con ragioni inconfutabili; e neppure l’intelletto inferiore con l’e-sperienza; né la sensibilità con la dolcezza della chiamata divina, quando le trombe divine, in nome dello Spirito Santo, annunciano: “Come è buono, come è gradevole vivere con dei fratelli ed essere fusi in uno”.

Dante, De monarchia, 1308. 1051

Il vero compito del genere umano, preso nella sua totalità, è quello di rendere continuamente attuale la pienezza della possibile potenza dell’in-telletto, anzitutto in vista della speculazione, poi, per via di conseguenza,

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Origini e ni 497

nella pratica. Ora le parti e il tutto obbediscono alle stesse leggi; se l’indivi-duo acquista prudenza e saggezza vivendo paci camente e tranquillamente il genere umano in modo analogo si dedica molto liberamente e molto fa-cilmente al proprio compito quando gode del riposo e della pace; e il suo compito è quasi divino secondo la santa parola: tu l’hai collocato poco al di sotto degli angeli; da ciò deriva che la pace universale è il migliore di tutti i mezzi per procurarci la felicità.

Dante, De monarchia, 1308. 1052

Ordini d’altri tempi Egli (l’imperatore Claudio) cercava la pecora ferita, sperduta nel deser-

to arabo; e quando la trovò, se la caricò sulle spalle, e si rallegrava a causa di lei molto di più che per quelle che non erano state perdute; quanto a quella che gli proveniva dal gregge arabo, egli non la rimandava e non la scacciava; ma egli stesso le riuniva in un solo gregge con un solo pastore.

E quando si avvicinava a lui uno qualsiasi di coloro che avevano com-messo dei delitti, non si respingeva come fecero i Moabiti e gli Ammoniti, che avevano agito male nei confronti dei gli di Israele.

E in quel tempo Dio favorì il cielo, e il cielo favorì la terra, e la terra favorì i grani e la vigna, e i grani e la vigna favorirono gli uomini. E vi fu la pace in tutto il gregge e in tutto il popolo, e non vi era né offensore né offeso, e nessuna disputa: il giovane non cercava di litigare col vecchio, né il nobile con l’uomo del popolo.

E vi sono tra i saggi alcune persone che dicono, riferendosi a quell’epo-ca, che questa è l’epoca di cui si tratta nel racconto del primo Sabato ove si dice: “In quei giorni l’Eletto sarà assiso sul suo trono e i segreti della saggezza usciranno dal suo intelletto e dalla sua bocca perché il Dio degli Spiriti gli avrà dato (questo privilegio) e l’avrà glori cato. E in quei gior-ni le montagne balzeranno come giovani vitelli, e le colline come agnelli ingozzati di latte. Non vi saranno più ormai né morte, né lutto, né lamenti, perché l’ordine precedente sarà passato. E nelle radure ove danzavano le ninfe e i demoni, giocheranno i fanciulli; e alle porte della città numerosi saranno i vecchi, tutti col bastone in mano”.

Cronaca dell’imperatore Claudio (1540-1559), Etiopia. 1053

Cavalleria ed età dell’oro Il nostro eroe ricevette dai caprai una buona accoglienza; e Sancio, dopo

aver sistemato meglio che poté per la notte Ronzinante e il suo asino, utò in giro e, dal vapore che emanavano, scoprì certi quarti di capretto che bollivano sul fuoco in una marmitta. Avrebbe voluto vedere, in quello stes-

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498 Il diritto di essere un uomo

so istante, se erano cotti abbastanza e al punto giusto per travasarli dalla marmitta nel suo stomaco; ma i caprai gliene risparmiarono il disturbo: essi li trassero dal fuoco; poi, stese sul terreno alcune pelli di montone, im-bandirono diligentemente la loro rustica tavola e invitarono di buon cuore i due stranieri a condividere le loro provviste. Sei di essi, che si trovava-no nell’ovile, si accoccolarono intorno alle pelli, dopo aver pregato don Chisciotte, con rozze cerimonie, di sedersi su di una tinozza che avevano capovolta perché gli servisse da sedile. Don Chisciotte sedette e Sancio rimase in piedi per servirgli da bere in una coppa che non era di cristallo, ma di corno. Il suo padrone, vedendolo in piedi, gli disse: “Perché tu veda, Sancio, tutto il bene che racchiude in sé la cavalleria errante, e quanto coloro che ne esercitano un qualsiasi ministero sono sempre sul punto di essere onorati e stimati nel mondo, voglio che tu venga a sederti qui, al mio anco, e in compagnia di questa brava gente, e che tu non faccia che uno

con me, che sono il tuo padrone e signore naturale, che tu mangi nel mio piatto e beva nella mia coppa; perché si può dire della cavalleria errante esattamente quello che si dice dell’amore, che essa pone tutto su di un piano di eguaglianza.

– Mille grazie! – rispose Sancio. – ma posso dire a Vostra Grazia che, purché io abbia di che mangiare bene, io me ne sazio, stando in piedi e da solo, altrettanto bene, e forse meglio, che (se fossi) seduto alla pari con un imperatore. E anzi, se bisogna dire tutta la verità, io trovo molto più gusto in quel che mangio nel mio angolino, senza obblighi e senza dover stare all’etichetta, foss’anche pane e cipolla, che i tacchini grassi delle altre tavo-le in cui bisogna masticare adagio, bere a piccoli sorsi, pulirsi le labbra e le dita ogni momento; dove non si può né tossire, né starnutire quando vi vien voglia; né fare alla n ne nessuna delle altre cose che sono permesse dalla solitudine e dalla libertà. Così dunque, mio signore, questi onori che Vostra Grazia vuole rendermi come membro aderente della cavalleria errante, ab-biate la bontà di cambiarli in altre cose, che mi siano più vantaggiose e più comode: perché a questi onori, quantunque li consideri come accettati io rinuncio da adesso no alla ne del mondo.

– Con tutto questo – riprese don Chisciotte – bisogna che tu ti segga, perché chi si umilia, Dio l’innalza, e prendendolo per un braccio, lo fece sedere, a forza, al suo anco. I caprai non capivano per nulla questo gergo da scudieri e cavalieri erranti, e non facevano altro che tacere, mangiare e guardare i loro ospiti, che inghiottivano bocconi grossi come il pugno. Quando il servizio delle carni fu terminato, essi schierarono sulle tovaglie di pelle una grande quantità di ghiande dolci, e contro una mezza forma di formaggio, che era duro come se fosse stato fatto di cemento. Durante que-

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Origini e ni 499

sto tempo il corpo non rimase ozioso, poiché girava in tondo sveltissimo, sia pieno che vuoto, come i vasi di una ruota di bindole, che asciugò ben presto uno degli otri che erano lì bene in vista...

Don Chisciotte, dopo aver completamente soddisfatto il proprio stoma-co, prese in mano un pugno di ghiande, e, osservandole con attenzione, si mise a parlare in questo modo:

“Felice età – disse – e secoli di felicità, quelli ai quali gli antichi diedero il loro nome di età d’oro, non perché questo metallo, tanto stimato in questa nostra età di ferro, potesse essere raccolto senza alcuna fatica in quell’e-poca fortunata, ma perché allora chi viveva ignorava queste due parole, tuo e mio! In quell’età santa tutte le cose erano in comune. Per procurarsi l’ordinario sostentamento della vita nessuno tra gli uomini doveva prender-si altra pena se non quella di stendere la mano, e di raccogliere il proprio nutrimento dai rami delle robuste querce, che li invitavano generosamente a banchettare coi loro frutti e dolci e maturi. Le limpide fontane e i rapidi umi offrivano loro, in generosa abbondanza, acque limpide e deliziose.

Nelle fenditure delle rocce, e nel cavo degli alberi le diligenti api stabi-livano le loro repubbliche, offrendo senza alcun interesse, alla mano del primo venuto, l’abbondante messe del loro dolce lavoro. Le grandi querce da sughero, si spogliavano da sole, e per pura cortesia, dei grossi pezzi di corteccia con cui si cominciavano a coprire le capanne, costruite su robu-ste pala tte e soltanto per salvaguardarsi dall’inclemenza del cielo. Tutto, allora, era pace, amicizia, concordia. L’aguzzo vomere del pesante aratro non osava aprire e straziare le pie viscere della nostra prima madre; perché, senza esservi costretta, essa offriva, su tutti i punti del suo seno spazio-so e fertile, quanto poteva nutrire, soddisfare e rallegrare i gli che essa allora vi portava. Allora anche le semplici e allegre pastorelle andavano di valle in valle, e di collina in collina, a testa nuda, coi capelli a treccia, senza altri indumenti che quelli necessari per coprire ciò che il pudore vuole e volle sempre tener coperto; e i loro ornamenti muliebri non era-no di quelli che si usano adesso, nei quali la seta martirizzata in mille maniere, dà risalto e si arricchisce della porpora di Tiro; si trattava di foglie intrecciate di bardana e di edera, con le quali, forse, esse andava-no in pompa magna e ornate come lo sono oggi le nostre dame di corte con le strane e galanti invenzioni che ha insegnato loro l’odiosa curio-sità. Allora gli amorosi impulsi dell’anima si rivelavano con ingenuità, come essa li sentiva, e non cercavano, per farsi valere, arti ciosi giri di parole. Non esisteva frode, non esisteva menzogna, nessuna malizia, che venissero a mescolarsi alla franchezza, alla buona fede. Solo la giu-stizia faceva udire la sua voce, senza che osasse disturbarla quella del

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500 Il diritto di essere un uomo

favore o dell’interesse, che ora le soffocano e le opprimono. La legge dell’arbitrio non si era ancora impadronita dello spirito del giudice, perché allora non v’erano né cose né persone da giudicare. Le ragazze e l’innocenza marciavano af ancate come ho già detto, senza guida e senza difesa, e senza dover temere che una lingua sfrontata, o dei pro-positi criminali, le insudiciassero con i loro attentati; la loro perdizione nasceva dalla loro sola e personale volontà. E ora, in questi detestabili secoli, nessuna di esse è al sicuro; fosse pure rinchiusa e nascosta in un nuovo labirinto di Creta; perché, attraverso le più piccole fessure, la sollecitazione della galanteria si fa strada; con l’aria penetra la peste amorosa, e tutti i buoni princìpi se ne vanno a rotoli. Proprio per rime-diare a questo male, nel susseguirsi dei tempi e col crescere insieme ad essi della corruzione, è stato, istituito l’ordine dei cavalieri erranti, per difendere le fanciulle, proteggere le vedove, favorire gli orfani e soccorrere gli infelici. Di quest’ordine io sono membro, fratelli miei caprai, e vi ringrazio della buona accoglienza che avete fatto a me e al mio scudiero; perché, sebbene tutti coloro che vivono sulla terra siano tenuti, per la legge naturale, ad assistere i cavalieri erranti, tuttavia, nel vedere che voi, senza conoscere quest’obbligo, mi avete accolto e trattato bene, è giusto che la mia buona volontà risponda per quanto è possibile alla vostra”.

Tutta questa lunga arringa, di cui avrebbe potuto benissimo fare a meno, il nostro cavaliere l’aveva tirata fuori perché le ghiande offerte gli avevano fatto tornare in mente l’età d’oro, e gli diedero la. fantasia di rivolgere questo bel discorso ai caprai, i quali, senza rispondergli una parola, erano rimasti tutti a bocca aperta ad ascoltarlo. Anche Sancio taceva: ma inghiottiva ghiande dolci e faceva frequenti visite al secon-do otre, che avevano appeso a una quercia perché il vino si mantenesse fresco.

Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, 1615. 1054

La giustizia promessa: in un altro mondo, in un’altra vita

II discorso della montagna Nel vedere le folle, Gesù salì sulla montagna e, sedutosi, i suoi di-

scepoli gli si avvicinarono; e aprendo la bocca li ammaestrava dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché ad essi appartiene il regno dei cieli. Beati gli af itti perché saranno consolati.

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Origini e ni 501

Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati gli affamati e gli assetati della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i paci ci, perché saranno chiamati gli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché ad essi appartiene il regno

dei cieli. Beati siete quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno e diranno,

mentendo, ogni male contro di voi per causa mia. Gioite ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nei cieli; così, infatti, perseguita-rono i profeti che vi hanno preceduti”.

Nuovo Testamento, Vangelo secondo Matteo, V. 1055

La legge della coscienza Quando, infatti, i pagani che non hanno la legge compiono, seguendo

natura, ciò che la legge prescrive, essi, pur privi di legge, sono legge a se stessi. Essi mostrano scritta nei loro cuori la realtà della legge, poiché ad essa rendono concorde testimonianza la loro coscienza e quei pensieri che succedendosi a vicenda, ora li accusano, ora li difendono. Lo si vedrà nel giorno in cui Iddio giudicherà le azioni occulte degli uomini, per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio Evangelo.

Nuovo Testamento, San Paolo, Lettera ai Romani, II. 1056

La carità Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho la carità,

sono un bronzo risonante o un cembalo fragoroso. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e se avessi tutta la fede al punto di trasportare le montagne, se non ho la carità, nulla son io. E se distribuissi per sfamare i poveri tutti i miei beni, e se consegnassi al fuoco il mio corpo, se non ho la carità a nulla mi serve.

La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa; la carità non si vanta, non si gon a, nulla fa di sconveniente, non cerca il suo interesse, non si irrita, non tiene conto del male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra del trionfo della verità; scusa tutto, crede tutto, spera tutto, tut-to sopporta. La carità non viene mai meno. Se si tratta di profezie, esse svaniranno; se del dono delle lingue, cesserà; se della scienza, passerà. Poiché possediamo la scienza e abbiamo la profezia in modo imperfetto, ma quando verrà ciò che è perfetto, ciò che è imperfetto sparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino e da bambino pensavo e ragionavo; ma quando son diventato uomo ho smesso ciò che era infantile. Vediamo infat-ti adesso come in uno specchio, in un’ombra; allora invece vedremo faccia

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502 Il diritto di essere un uomo

a faccia. Adesso io conosco imperfettamente: ma allora conoscerò appieno, come sono conosciuto.

Al presente rimangono quindi queste tre cose: la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di esse è la carità.

Nuovo Testamento, San Paolo, prima lettera ai Corinzi, 13. 1057

Condizione dell’uomo in caso di rinascita Anche un Ksatriya, o Vâsettha, che ha condotto una vita malvagia ser-

vendosi del suo corpo (cioè con le sue azioni), che ha condotto una vita cattiva con le parole, coi pensieri, che ha un concetto falso della vita, rina-scerà alla miseria, alla perdizione, alla rovina dopo la decomposizione del suo corpo al momento della morte, in seguito alle azioni che avrà compiuto a causa della sua concezione falsa (della vita). Anche un Bramino... Anche un Vaisya... Anche un Sudra... Anche uno Sramana...

Anche un Ksatriya, o Vâsettha, che ha vissuto corporalmente come uomo dabbene, che ha vissuto come uomo dabbene per quanto riguarda le parole, che ha vissuto come uomo dabbene nei pensieri, che ha un concetto giusto della vita, rinascerà in un mondo di felicità e di luce dopo la decom-posizione del corpo al momento della morte, in seguito a ciò che avrà fatto a causa del suo concetto giusto della vita. Anche un Bramino... Anche un Vaisya... Anche un Sudra... Anche uno Sramana.

Dighanikaya, IV (III sec. a.C.), tradotto dal pali. 1058

Giustizia postuma La parabola del ricco nel secondo racconto di Setné-Khamuas Setné udì dei lamenti... [egli] guardò... [e vide che si trattava di un ric-

co] che veniva trasportato alla necropoli... Guardò [di nuovo] e vide... [un pover’uomo che trasportavano da Mentì al cimitero] e che era avvolto [in una semplice tela]... e [nessuno] camminava dietro [di lui]. Setné disse... [come deve essere preferibile, nell’altro mondo, essere l’uomo ricco]... [se si fa un confronto col povero] che portavano alla necropoli [senza pompa].

[Ma Sa-Osiris (suo glio) rispose: “Possa accadere a te nell’altro mon-do] secondo [ciò che] essi faranno a questo povero uomo nell’altro mondo. [Possa non accaderti quanto sarà fatto all’uomo ricco]”.

Per illustrare il proprio pensiero Sa-Osiris conduce Setné nell’altro mondo. Dopo aver attraversato quattro sale...

Essi entrarono nella quinta sala ed ecco che Setné vide le anime nobili... [e] quelle che erano accusate di violenza, pregare all’ingresso, mentre il cardine della porta della quinta sala era ssato nell’occhio destro di un uomo che pregava e proferiva alte grida...

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Origini e ni 503

Essi entrarono nella settima sala ed ecco che Setné scorse la sagoma di Osiride, il grande dio, assiso su di un trono d’oro no e incoronato con l’Atef...

Ed ecco che Setné scorse un uomo alto, vestito di bianco, e stava vicino al luogo in cui era Osiride. Il posto in cui si trovava era molto in alto.

Setné si meravigliò molto delle cose che vide nell’altro mondo. Sa-Osi-ris uscì precedendolo e gli disse: “Setné, padre mio, non hai visto quell’uo-mo alto, vestito di bisso che stava presso il luogo in cui era Osiride? Quel poveretto che tu hai visto portar via da Mentì, mentre non c’era nessuno che lo seguisse: l’hanno portato nell’altro mondo e hanno pesato le sue cattive e le buone azioni... Hanno trovato le sue buone azioni più numerose delle cattive... E, in presenza di Osiride, è stato ordinato che il corredo fu-nebre di quell’uomo ricco – che tu hai visto portare via da Mentì e che era molto rimpianto – venisse consegnato al pover’uomo che è stato collocato tra gli spiriti nobili, in quanto uomo di Dio...

Quell’uomo di qualità, che tu hai visto, l’hanno condotto nell’altro mon-do, hanno pesato le sue cattive e le sue buone azioni, e hanno trovato che le sue cattive azioni erano più numerose di quelle buone [...].

È quell’uomo che tu hai visto e nel cui occhio destro era ssato il cardi-ne della porta dell’altro mondo. La chiudono e la aprono sul suo occhio, e la sua bocca proferisce alti lamenti”.

Racconto demotico, (circa 500 a.C.), Antico Egitto. 1059

Soccorso divino IN CAMMINO, MOSÈ!

Quando Israele viveva sulla terra d’Egitto, Lascia partire il mio popolo, Oppresso e curvo sotto il giogo, Lascia partire il mio popolo.

In cammino, Mosè! Va in fondo all’Egitto, A dire al Faraone Di lasciar partire il mio popolo.

Queste sono le parole del Signore, disse arditamente Mosè, Lascia partire il mio popolo. Altrimenti colpirò a morte i vostri primogeniti, Lascia partite il mio popolo (Ritornello)

Il nemico non resisterà ai vostri colpi, Lascia partire il mio popolo

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504 Il diritto di essere un uomo

E voi possederete la dolce terra di Canaan Lascia partire il mio popolo. (Ritornello)

Voi non vi perderete nel deserto, Lascia partire il mio popolo Con una luce nel cuore, Lascia partire il mio popolo. (Ritornello)

Negro Spiritual, Stati Uniti d’America. 1060

IL SIGNORE NON HA FORSE LIBERATO DANIELE?Egli ha tratto Daniele dalla fossa dei leoni, E Giona dal ventre della balena, E i bimbi dalla fornace ardente, Allora, perché non tutti gli uomini?

Il Signore non ha forse liberato Da-nu-el, Da-nu-el, Da-nu-el, Il Signore non ha forse liberato Da-nu-el, E perché non tutti gli altri uomini?

Il vento sof a da est, il vento sof a da ovest, Il vento sof a come nel giorno del Giudizio, E tutti quelli che non han mai pregato Saranno ben contenti di pregare quel giorno. (Ritornello)

La luna sol più sarà un ruscello purpureo, Il sole ri uterà di brillare, Tutte le stelle si spegneranno, Io starò col Signore Gesù. (Ritornello)

Negro Spiritual, Stati Uniti d’America. 1061

La giustizia in questo mondo

L’altro mondo oppure questo“Il mio regno non è di questo mondo”, rispose Gesù.Nuovo Testamento, Giovanni, XVIII 1062

Il tuo regno è un regno di tutti i secolie il tuo dominio va di generazione in generazione.Bibbia ebraica, Salmi, 145. 1063

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Origini e ni 505

Consenso al corso delle cose o rivolta Conviene lasciare che le cose seguano il loro corso senza costrizione

o restrizione alcuna. Che l’orecchio oda ciò che vuole, che l’occhio veda quel che vuole, che il naso uti ciò che vuole, che la bocca dica ciò che vuole, che il corpo goda ciò che vuole e che la mente pensi ciò che vuole.

Lieh-Tzu, scuola taoista, IV-III sec. a.C. Cina. 1064

È al toro che converrebbe la barba, ma Dio l’ha data al capro (rivolta contro il Destino o Provvidenza di fronte alla ripartizione ingiusta dei beni materiali o delle qualità intellettuali).

Proverbio sudanese. 1065

Giustizia più tardi Come il mondo terrestre non è fatto per coloro che sono sprovvisti di ric-

chezze, l’altro mondo non è fatto per coloro che sono sprovvisti di bontà. Tutto ciò che è stato ottenuto a prezzo di lacrime (altrui) ti sarà tolto a

prezzo delle tue stesse lacrime; ma ciò che è stato ottenuto con mezzi one-sti, foss’anche perdendoci all’inizio, porterà più tardi dei frutti.

Tirukkural (I sec. d.C.), Isole Mauritius, tradotto dal tamil. 1066

Presenza, giustizia e sollecitudine di Dio in questo mondoPoiché Dio non ama i cattivi ha dato un nome a ciascuna delle sue cre-

ature. È Dio che macina il fufu per il paralitico (il fufu è un alimento degli

Akshanti). Se Dio ti dà una coppa di vino e un malvagio la rovescia, Dio la riempie

di nuovo.Al passero, in mancanza di altri doni, Dio ha dato almeno l’agilità. (Ogni

essere umano ha qualche talento personale). Proverbi akan, Ghana. 1067

Non spostare i con ni antichi e non invadere il campo degli orfani, perché il loro vendicatore è potente e difenderà la loro causa contro di te. Bibbia ebraica, Proverbi, 23. 1068

La luna e il sole, tutti gli esseri ne hanno parte uguale. Proverbio kazako. 1069

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506 Il diritto di essere un uomo

Ogni anima è responsabile solo di ciò che fa; nessuna anima può rispon-dere dei peccati di un’altra. E poi, ritornate a Dio. Egli vi spiega tutte le cose sulle quali non riuscivate a capirvi.

È Lui che ha fatto di voi i suoi rappresentanti sulla terra. E ha posto gli uni al di sopra degli altri per vedere il vostro comportamento in ciò che vi ha donato. E certamente il vostro Signore è rapido nel punire. E generosi sono il Suo perdono e la sua misericordia.

Corano, Al-an’am, 164, 165. 1070

Non esistono legami tra Dio e un essere, se non attraverso l’obbedienza [di questi]. Tutti gli uomini, siano essi potenti o deboli, sono uguali dinanzi a Dio.

Il califfo ‘Omar Ibn Al-Khattab (VII sec. 1073) 1071

Poiché Jahve vostro Dio è il Dio degli dei, è Signore dei signori, è Dio grande forte e terribile che non guarda in faccia e non prende regali, fa giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito.

Bibbia ebraica, Deuteronomio, 10. 1072

Ragione comune Se abbiamo in comune il pensiero, anche la ragione che fa di noi degli

esseri ragionevoli ci è comune; e se è così, la ragione che ordina ciò che si deve fare o no, ci è comune; di conseguenza, anche la legge ci è comune: se le cose stanno così, noi siamo dei cittadini: dunque, prendiamo parte a un governo, e, di conseguenza il mondo si può considerare una città; a quale altro governo comune infatti si potrebbe dire che tutto il genere umano prende parte? Ma da questa città comune derivano per noi il pensiero, la ra-gione, e la legge; altrimenti, di dove verrebbero? Perché, come l’elemento terrestre che è in me, viene dalla terra, l’umidità viene da un altro elemento, il mio respiro ha una determinata fonte, il calore e l’elemento infuocato che sono in me hanno la loro origine particolare (perché nulla deriva dal nulla, e nulla ritorna al nulla) analogamente il pensiero proviene anch’esso da qualche parte.

Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180 d.C.), Pensieri, Roma. 1073

L’equità val meglio della legge Noi vediamo nei contratti e nelle altre transazioni che si fanno ogni

giorno tra gli uomini, che, per la rovina totale di alcuni, l’applicazione rigorosa della legge permette di fare molte cose che l’equità e l’onesta interpretazione proibiscono. Non che la legge sia ingiusta; essa è imper-

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Origini e ni 507

fetta; non che l’equità si opponga alla legge: essa le è superiore, perché impegna la coscienza dell’uomo su cose che sfuggono alla legge. Qual-cuno dirà forse che la virtù dell’equità in materia privata è opposta e contraria alla legge, al silenzio della quale essa supplisce in ogni affare privato di questo genere? Neppure l’equità in materia pubblica è contra-ria alla legge che dirige gli affari pubblici, sebbene l’una autorizzi, in particolari circostanze, ciò che l’altra di solito proibisce in conformità alle regole generali della giustizia. Perché ogni legge buona non è che l’espressione della giusta ragione che, secondo la volontà di Dio, deve giudicare il mondo; ed è impossibile che il giusto si opponga al giusto: ne consegue necessariamente che i princìpi e le regole della giustizia, per quanto generale possa essere il loro enunciato, non prevedono meno ef-fettivamente che se la stipulassero espressamente, una eccezione in tutti i casi particolari in cui la loro applicazione letterale potrebbe recare un danno qualsiasi all’equità.

Richard Hooker, Le leggi della politica ecclesiastica, 1594, Inghil-terra. 1074

Tutti gli uomini sono nati per la giustizia Ma di tutte le idee che costituiscono l’oggetto delle conversazioni dei

dotti, la più importante, certamente, è quella che ci fa chiaramente cono-scere che noi siamo nati per la giustizia, e che il diritto ha il suo fonda-mento non in una convenzione, ma nella natura. Questa verità apparirà evidente se si considerano i legami della società che uniscono gli uomini tra loro. Infatti, non esistono esseri che, paragonati gli uni agli altri, si-ano tanto simili, tanto uguali quanto noi. Se la stranezza dei costumi, la vanità delle opinioni, non deviassero, non piegassero le nostre deboli anime di pecora, nessun uomo sarebbe così simile a se stesso quanto tutti lo sarebbero a tutti. Qualunque cosa si voglia attribuire all’uomo, ciò che si attribuisce si applica a tutti. Questa è la prova che non esistono nel genere umano delle dissomiglianze; altrimenti la stessa de nizione non si estenderebbe a tutti. Infatti, la ragione, che sola ci innalza al di sopra delle bestie, che ci serve a interpretare, a ragionare, a confutare, a discutere, a concludere, è comune a tutti gli uomini; la scienza può essere diversa, la possibilità d’imparare è ugualmente ripartita. La voce è l’in-terprete dello spirito, le parole sono diverse, il loro signi cato non varia. Non esiste uomo, qualunque sia la sua nazionalità, che, avendo la natura per guida, non possa giungere alla virtù [...]. Tristezze, gioie, desideri, timori, tutti questi affetti dell’anima ci sono comuni; e, qualunque sia la diversità delle opinioni, non bisogna da ciò concludere che i popoli che

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508 Il diritto di essere un uomo

onorano come dei il cane e il gatto, abbiano una superstizione che, nella sua forma, differisca da quella degli altri.

Cicerone, De legibus (circa 51 a.C.). 1075

Ho fatto quattro buone azioni all’interno delle porte dell’orizzonte: Ho fatto i quattro venti perché ogni uomo potesse respirare durante la

vita. Tale è questa [prima] azione. Ho fatto la grande piena (del Nilo) perché il povero ne appro tti, come

il ricco. Tale – questa [seconda] azione. Ho fatto ogni uomo uguale al suo prossimo. Non ho ordinato che gli

uomini commettano l’ingiustizia. Sono i loro cuori che sono ingiusti verso di me. Tale è questa [terza] azione.

Ho fatto in modo che i loro cuori cessino di dimenticare l’Occidente (l’al di là) perché le offerte siano presentate agli dei segreti. Tale è questa [quarta] azione.

Iscrizione su di un sarcofago egiziano, XI dinastia ( ne del III mil-lennio a.C.). 1076

L’anziano [principe] che voleva sottolineare l’evidente virtù [di ciascu-no] nell’universo, governava innanzitutto il suo Stato; volendo governare il suo Stato, faceva prima regnare l’accordo nella sua famiglia; volendo far regnare l’accordo nella sua famiglia, perfezionava innanzitutto se stesso; volendo perfezionare se stesso, rendeva prima imparziale il suo spirito; volendo rendere imparziale il suo spirito, rendeva prima sincera la sua in-tenzione; volendo rendere la sua intenzione sincera, si impadroniva prima della propria conoscenza. Il possesso della propria conoscenza si basa sulla conoscenza delle cose.

Scuola confuciana. Il grande studio (V sec. a.C.), Cina. 1077

Papa Gregorio Magno (540?-604) rimprovera un potente personaggio che, incaricato d’una inchiesta sui conti dell’amministrazione bizantina in Sicilia, ha proceduto ad arresti preventivi e per no a torture.

Ma ciò che io so bene e che non ho mai smesso di sapere, è che, se egli ha commesso qualche malversazione a danno del pubblico erario, ci si do-vrebbe attaccare ai suoi beni, non alla sua libertà.

… … …Vi è una differenza tra i re barbari e l’imperatore dei Romani: è che i

re barbari comandano a schiavi, l’imperatore romano a uomini liberi. Per questo voi dovete, in tutti i vostri atti, per prima cosa osservare la giustizia e in seguito rispettare rigorosamente la libertà [...]. Dunque la libertà di

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Origini e ni 509

coloro che vi sono stati af dati a scopo di inchiesta, voi dovete vigilare in modo speciale, come se fosse la vostra; e se voi non volete che i vostri capi attentino alla vostra libertà, salvaguardate e rispettate quella dei vostri sottoposti.

Sarebbe infatti vergognoso che io difendessi ciò che non mi fosse subito apparso come giusto, perché lungi dal far passare la giustizia dopo gli uo-mini, io amo gli uomini a causa della giustizia. 1078

Diversità, unità Grande è la diversità delle cose viventi che in ordine io devo innanzitutto enumerare, o Vasettha (chiamato il Benedetto), per mostrare come la natura le ha divise in specie diverse. Guarda le erbe o gli alberi che non proclamano ma dimostrano che la

natura li ha divisi in specie differenti. Passa agli insetti, dalle farfalle alle formiche, e vedi come la natura li ha divisi in specie differenti. Considera i quadrupedi, piccoli o grossi, e vedi come la natura li ha

divisi in specie differenti. Guarda i lunghi serpenti che vanno strisciando e vedi come la natura li

ha divisi in specie differenti. Guarda in seguito gli uccelli che volano leg-geri nell’aria – tutti dimostrano che la natura li ha divisi in specie differenti.

Ma se tutti presentano così una grande diversità, solo gli uomini, non mostrano che la natura li abbia divisi in specie differenti. Essi non differiscono per i capelli, la testa, le orecchie o gli occhi, né per la bocca o le narici, né per le sopracciglia, le labbra, la gola, le

spalle, il ventre, le natiche, la schiena o il petto, né le parti segrete della donna o dell’uomo, né le mani o i piedi, le dita, le unghie, i polpacci o le cosce, né il colorito, né il suono della voce – nulla fa ve-

dere che la natura abbia diviso gli uomini in specie differenti.Le diversità della natura non si applicano agli esseri umani a parte il

nome, nulla li distingue. L’uomo che alleva delle greggi è un contadino, e non un vero bramino. L’uomo che vive del lavoro delle sue mani è un artigiano, e non un vero

bramino. L’uomo che vive della vendita delle merci è un mercante, e non un vero

bramino. L’uomo che vive af ttando i suoi servigi è un impiegato, e non un vero

bramino.

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510 Il diritto di essere un uomo

L’uomo che vive predando ciò che non gli appartiene è un ladro, e non un vero bramino.

L’uomo che vive della spada e dell’arco del guerriero è un soldato, e non un vero bramino.

L’uomo che vive dei riti sacri cali è un ministro del culto, e non un vero bramino.

L’uomo che regna e comanda a vasti domini è un monarca, e non un vero bramino.

Sutta Nipâta (Le formule, traduzione dal pali), India del Sud e Ceylon. 1079

Visione dell’uomo trionfante Come vede Lenin il mondo nuovo? “Dinanzi a me si svolge un’immagine grandiosa della terra... Tutti

gli uomini sono diventati ragionevoli, ognuno si sente responsabile non solamente di tutto quello che fa egli stesso, ma anche di tutto quanto avviene intorno a lui. In mezzo alle città-giardino si innalzano costru-zioni maestose; dappertutto lavorano per l’uomo le forze della natura, sottomesse e organizzate dalla sua mente, ed egli è divenuto – nal-mente! – il padrone effettivo degli elementi. La sua energia sica non si disperde più in un lavoro grossolano e sporco; si trasforma in energia spirituale e tutta la sua potenza è consacrata allo studio dei problemi fondamentali della vita [...]”.

“Nobilitato dalla tecnica, reso più giudizioso dal punto di vista sociale, il lavoro è divenuto una fonte di gioia per l’uomo, in ne reso realmente libe-ro; la ragione dell’uomo – il principio più prezioso del mondo – è divenuta intrepida [...]”.

Io non credo di aver attribuito a Lenin dei sogni che gli erano estranei, non credo di aver “romanticizzato” quest’uomo; non posso immaginarlo senza quel bel sogno di felicità futura di tutti gli uomini, di una vita lumi-nosa e gioiosa. Più l’uomo è grande e più il suo sogno è ardito.

V. I. Lenin visto da Maksim Gorkij, 1920. 1080

Collettività e anima umana PREMESSA A UNA DICHIARAZIONE DEI DOVERI VERSO L’ESSERE UMANO

Si deve rispetto a un campo di grano, non già per il campo in sé, ma perché rappresenta il nutrimento per gli uomini.

In modo analogo, si deve rispetto a una collettività, qualunque sia – pa-tria, famiglia o qualsiasi altra – non per la comunità stessa, ma in quanto nutrimento di un certo numero di anime umane.

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Origini e ni 511

Quest’obbligo impone infatti degli atteggiamenti, delle azioni diverse secondo le diverse situazioni. Ma, considerato in se stesso, è assolutamente identico per tutti.

In modo particolare, è assolutamente identico per chi sta all’esterno. Il grado di rispetto dovuto alle collettività umane è elevatissimo, per diverse considerazioni.

Innanzitutto, ciascuna è unica, e, se viene distrutta, non è sostituita. Un sacco di grano può sempre essere sostituito da un altro sacco di grano. Il nutrimento che una collettività fornisce all’anima di coloro che ne sono membri non ha equivalente nell’intero universo.

Poi, a causa della sua durata, la collettività penetra già nell’avvenire. Essa contiene del nutrimento, non soltanto per le anime dei viventi, ma anche per quelle di esseri non ancor nati, che verranno al mondo nel corso dei secoli venturi.

In ne, a causa della stessa natura, la collettività ha le sue radici nel pas-sato. Essa costituisce l’unico organo di conservazione per i tesori spirituali accumulati dai morti, l’unico organo di trasmissione per mezzo del quale i morti possano parlare ai vivi. E l’unica cosa terrena che abbia un legame diretto col destino eterno dell’uomo è lo splendore di coloro che hanno saputo acquisire una coscienza completa di questo destino, trasmesso di generazione in generazione.

A causa di tutto ciò, può accadere che l’obbligo nei confronti di una col-lettività in pericolo vada no al sacri cio totale. Ma non ne consegue che la collettività sia al di sopra dell’essere umano. Accade anche che l’obbligo di soccorrere un essere umano in necessità debba arrivare no al sacri cio tota-le, senza che ciò implichi alcuna superiorità da parte di colui che è soccorso.

Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia. 1081

L’uomo lasciato alla sua sola libertà Compito delicato, quello di camminare in punta di piedi su una trave

rosa dai tarli che serve da passerella, non avendo nulla sotto i piedi; am-mucchiare coi propri piedi ciò che costituirà la trave sulla quale si cammi-nerà; non camminare su null’altro se non sulla propria immagine ri essa nell’acqua sotto i propri piedi; coi propri piedi mantenere il mondo, serrare i pugni solo se levati in aria per poter superare questo sforzo.

Franz Kafka, Meditazioni, 1913, Praga. 1082

Il Messia verrà solo quando non sarà più necessario, verrà soltanto un giorno dopo il suo arrivo, non verrà all’ultimo giorno, ma all’ultimissimo.

Franz Kafka, Meditazioni, 1913, Praga. 1083

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ROBERTA DE MONTICELLI

POSTFAZIONE

IL DOPPIO VOLTO DELLA LIBERTÀ

1. La Dichiarazione Universale dei Diritti umani e l’ascolto degli altri

1968. Il mondo studentesco, impegnato a portare la fantasia al pote-re, non se ne accorge: ma si festeggia il ventennale della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, cioè la più profonda e nobile espressione della nostra ragione nel secolo che aveva visto impazzire l’umanità euro-pea. Jeanne Hersch, già professore all’Università di Ginevra, è a Parigi, direttrice della sezione di loso a dell’UNESCO. E impegnerà le risorse di quell’organizzazione in un audace esperimento storico e loso co: chie-dendo ai rappresentanti di tutti i Paesi membri (128 allora) di inviarle testi tratti dalle loro tradizioni e culture, e comunque anteriori al 1948, “in cui si manifestasse, secondo loro, in qualunque forma, un senso dei diritti dell’uomo come tale”. Dai paesi più lontani, dalle epoche più re-mote, arrivavano a Parigi pensieri espressi in una babele di lingue, morte e vive: come delle offerte “con pietà conservate nei veli di parole d’altri tempi e altri luoghi”, come racconta la bella prefazione di René Maheu al libro sorprendente e magni co che avete ora in mano. Un libro che nac-que allora, e che soprattutto oggi, in questa ri-edizione, dovrebbe stare sui banchi delle scuole. Basterebbe un pensiero di questa Antologia ogni giorno a formare una generazione di cittadini italiani, europei e del mon-do, degni di questo nome.

Perché questo libro è un viaggio emozionante attraverso le culture religiose e teologiche dei popoli antichi e moderni, la tragedia classica, le saghe e i miti, le più lontane tradizioni mondiali – ma anche attra-verso gli autori fondamentali del pensiero giuridico e politico occiden-tale, da Platone e Aristotele a Montesquieu, Beccaria e Tocqueville, da Rousseau, Voltaire e Kant no a Simone Weil, Jacques Maritain e Roosevelt. E tanti altri: Gandhi, Las Casas, Bolivar, Cervantes, Césaire, José Martí, Puškin, Tupac Amaru... Un viaggio che fu la base empirica della ri essione di Jeanne Hersch sul fondamento loso co dei diritti

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514 Il diritto di essere un uomo

umani, proseguita no alla sua morte, nell’anno 20001. E quale ne è, in de nitiva, l’esito?

Jeanne Hersch fu colpita dalla Dichiarazione del 1948 almeno quanto Kant lo fu da quella del 1789. Proprio come Kant legge attraverso i Principi dell’89 un aspetto della natura umana, e una speranza per il futuro, “che nessun uomo politico avrebbe mai potuto concepire considerando il corso precedente delle cose”, così Hersch legge nella Dichiarazione del ’48 il culmine di quella che con Bobbio possiamo chiamare “l’età dei diritti”. Vi vede cioè l’evento più straordinario della storia moderna, che aveva bensì proclamato il principio del governo della legge contro l’arbitrio del governo degli uomini e l’aveva in parte attuato all’interno di alcuni singoli stati -– le democrazie moderne – ma ancora non conosceva questo primo inizio di incarnazione normativa di uno dei più splendidi e utopici sogni della nostra ragione: quello di una federazione mondiale di repubbliche, che all’equilibrio delle potenze sostituisse, come voleva l’idea kantiana della “pace perpetua”, un sistema sovranazionale di parlamenti e rappre-sentanze democratiche.

Jeanne Hersch è dunque colpita da un fatto nuovo anche rispetto alla Di-chiarazione dell’89, cioè dalla novità storica assoluta che la Dichiarazione del ’48 rappresenta nel Novecento: “il diritto di avere dei diritti” dovrà d’o-ra in poi essere garantito agli individui indipendentemente dal loro essere cittadini di uno Stato.

È quello che possiamo chiamare il trasloco della ragione pratica: dalle accademie della loso a alle istituzioni internazionali create per sostitu-ire il diritto alla legge del più forte, cioè all’equilibrio delle potenze. Un trasloco necessario, eppure a suo modo miracoloso, dopo la bancarotta subita dalla ragione e dall’etica nel secolo più terribile: due guerre, i totalitarismi, la guerra fredda e le sue tragiche conseguenze. Pensiamo, in particolare, anche alle conseguenze subite dalla nostra Repubblica, ai suoi anni più bui, gli anni delle stragi che non ebbero mai giustizia. Un buio che dura a tutt’oggi, perché – in assenza di ogni risposta alla doman-da di verità sul passato e a quella di trasparenza sul presente – resta da noi più che mai tradita una delle promesse costitutive della democrazia, “il regime del potere visibile”, come l’aveva de nita Norberto Bobbio, che già dagli anni ’80 vedeva in questa promessa non mantenuta di tra-

1 Ri essione in parte oggi a sua volta disponibile anche in italiano a cura di Francesca De Vecchi: J. Hersch (2008) I diritti umani da un punto di vista loso co, Bruno Mondadori, Milano.

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R. De Monticelli -Postfazione 515

sparenza, controllabilità, divisione e indipendenza dei poteri la principale malattia della democrazia italiana.

Ma la grande iniezione di etica e di idealità nei fondamenti stessi della politica, che seguì la cognizione del dolore nel mondo occidentale soprav-vissuto a tanto male, e di cui sono espressione anche le Costituzioni degli Stati rifondati dopo la catastrofe, possiamo veramente de nirla, con parola che sarebbe piaciuta a Jeanne Hersch, l’“incarnazione” della ragione prati-ca. Cioè della miglior espressione della loso a, di quella che cresce dalla lezione di Socrate no alla Modernità nella luce dei Lumi, e poi nel miglior pensiero etico e civile del Novecento, ad onta del tradimento dei chierici che rigettò la funzione critica e l’autonomia morale costitutivi della loso- a stessa (per esempio, con l’incondizionato appoggio a Hitler da parte di loso come Martin Heidegger e giuristi come Carl Schmitt).

La Dichiarazione del ‘48 è in fondo solo il culmine di quella che fu allora una presa di coscienza diffusa nelle opinioni pubbliche di tutti i pa-esi coinvolti nei con itti mondiali: che ci sono vincoli etici universali alla politica; che bisogna farli valere; che senza questi vincoli, l’esercizio del potere, anche e soprattutto quello delle maggioranze, degenera nella sop-pressione stessa delle democrazie, nel crimine e nelle guerre. Questa presa di coscienza, che spazza via le antiche, equivoche dispute sulla presunta legge naturale e sul diritto positivo, risuona nel principio della pari dignità, fonte di pari diritti, di tutti gli esseri umani, che apre la Dichiarazione del ‘48: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. La pari dignità dunque si porta dietro i pari diritti, al punto che le Costituzioni Nazionali accoglieranno nei loro principi proprio le quattro generazioni dei diritti inviolabili dell’uomo: i diritti civili e politici, quelli sociali e quelli culturali. Anzi, alcune Costituzioni, come la nostra, riconosceranno anche i doveri inderogabili delle persone, all’Art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle forma-zioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Di questi diritti e doveri è fondamento proprio la pari dignità, che venne da noi so-lennemente proclamata, ancora qualche mese prima della Dichiarazione Universale, nell’Articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini han-no pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”. Accogliere i diritti umani in Costituzione innova profondamente il diritto interno degli stati, inserendovi un riferimento uni-versalistico a ciò che è dovuto alla persona umana come tale, a prescindere dalla sua appartenenza nazionale o comunitaria, religiosa o altro, e anche

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516 Il diritto di essere un uomo

al suo statuto di cittadino di questo o quello Stato. Per questo un eminente costituzionalista italiano ha parlato, in relazione a questo punto, di un “nuo-vo paradigma politico”, che nasce nel passaggio “dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale dei diritti”2. Ma per la stessa ragione si innova così anche il diritto internazionale, introducendovi norme ispirate all’universa-lismo cosmopolitico, ovvero al rigetto virtuale del principio nazionalistico (le potenze, l’equilibrio, la logica della forza).

E qui si apre la parte più interessante della ri essione che Jeanne Hersch condusse sulla base di questo lavoro di ascolto delle voci del mondo.

2. La lezione profonda dell’Antologia mondiale della libertà

Come risponde dunque Jeanne Hersch alla questione se quella di “diritti umani” sia o no un’idea legata a un particolare ethos, quello “liberale” dell’Occidente?

È chiaro che se ci interroghiamo sull’universalità del concetto di diritti uma-ni nelle diverse culture, si deve rispondere: no, questo concetto non è stato uni-versale… E tuttavia c’è un’esigenza fondamentale che si percepisce ovunque. Qualcosa è dovuto all’essere umano per il solo fatto che è un essere umano… il riconoscimento di una dignità che egli rivendica perché aspira consapevol-mente a un futuro, e perché la sua vita trova in questo un senso di cui è disposto a pagare il prezzo3.

Dunque c’è, un’esigenza universale: ma c’è anche con itto di identità religiose, culturali, etniche. Quello che colpisce Jeanne Hersch, e motiva il suo esperimento storico, è il problema fondamentale delle nostre società multiculturali: come sono possibili insieme giustizia, cioè il riconoscimen-to di ciò che a ciascun essere umano come tale, universalmente e senza di-stinzioni, è dovuto (e che la Dichiarazione come abbiamo visto non lascia nel vago) – e pluralismo, dunque non solo l’esistenza, ma l’approvazione di identità religiose e culturali diverse e contrastanti, al punto che è dal loro con itto che ancora nascono le guerre? Come è possibile pensarle insieme, queste due cose? Perché se non si risponde a questa domanda, se non si mostra che la Dichiarazione risponde a un’esigenza universalmente sen-tita, e non è l’espressione di una soltanto fra le identità culturali in gioco,

2 S. Rodotà (2006), La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, p. 18.

3 J. Hersch (2008), p. 71.

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R. De Monticelli -Postfazione 517

l’ethos liberale delle democrazie occidentali, allora si nirà per svalutarla, e per dar ragione allo scetticismo etico dei realisti politici. Come sta succe-dendo, in parte, ancora oggi. Come è sempre successo con le Dichiarazioni dei diritti.

Rispondere a questa domanda “fondazionale”, loso ca, è altrettanto urgente che rispondere a una domanda apparentemente più concreta: per-ché, pur essendo oggi universalmente riconosciuti, i diritti umani sono uni-versalmente violati? Anzi, secondo Jeanne Hersch non si può rispondere alla seconda domanda senza rispondere anche alla prima.

Che gli esseri umani vivano naturalmente sotto l’impero della forza, è già una risposta alla seconda domanda. Altro che “legge naturale”: in natu-ra, scrive Jeanne Hersch, “tutto mangia tutto”. Ma questa constatazione ci dà anche il primo passo per rispondere alla prima domanda, quella “ loso- ca”. Dal momento in cui fanno esperienza della forza, della sua “neces-

sità” o della sua costrizione gli uomini non si limitano a soffrire come gli altri animali: ma esigono che non li si tratti da animali. Esigono giustizia, vale a dire: esigono che sia loro riconosciuto “il diritto di essere un uomo”. “Essere un uomo: ecco una pretesa ben era!” – dice uno dei testi antichi dell’Antologia mondiale…

Esigono cioè di essere riconosciuti come esseri liberi. È il doppio volto della libertà umana, l’intuizione centrale di Jeanne

Hersch. E la risposta alla questione del fondamento dei diritti umani si trova in questa intuizione. Occorre cercare nella libertà tanto il fondamento dei diritti umani che la causa della loro inef cacia – e allora la si potrà rimuovere. Per vedere subito la direzione del pensiero che prenderemo: la ragione universale non è alternativa alle religioni del mondo, non deve evitarle o umiliarle per imporsi. La via della ragione universale passa per il cuore stesso di ogni religione: ma esige di andare veramente al fondo di questo cuore.

Sembrerebbe allora che siamo ancora senza risposta alla domanda fon-damentale. Perché dovrebbe chi ha nella sua religione un suo ethos rico-noscere i diritti dell’uomo? Quale interna ragione di farlo potrebbe mai avere? Come rivendicare un’esigenza assoluta alla base dei diritti umani, se questa stessa esigenza assoluta può rivolgersi contro i diritti umani?

C’è un ultimo passo da fare. Dopotutto, nora abbiamo losofato. Io credo invece che Jeanne Hersch abbia veramente appreso qualcosa dalla sua inchiesta mondiale sul diritto ad esser trattato da essere umano. Ha visto in fondo a ogni cultura religiosa e teologica quello che Simone Weil – una pensatrice che ha molto contato, benché segretamente, per Jeanne – ha chiamato “il vuoto che orienta”.

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518 Il diritto di essere un uomo

Nel giardino della sede storica dell’UNESCO, a Parigi, c’è un piccolo edi -cio di meditazione, cilindrico e vuoto. A rendere il senso di quello che pro-va chi vi sosti qualche istante non ci sono forse parole più adatte di queste:

tutte le civiltà veramente creatrici hanno saputo… creare un posto vuoto ri-servato al soprannaturale puro… tutto il resto era orientato verso questo vuoto.

Le scrisse Simone Weil nelle sue Ri essioni sulle cause della libertà e dell’oppressione (1937). Questo pensiero del posto vuoto che le grandi civiltà riservano al soprannaturale puro, un vuoto verso cui tutto il resto è orientato, diventa dominante nell’ultimo periodo, in quegli scritti di Lon-dra che vedono orire in pochi mesi una massa di scritti “per una nuova civiltà” – cioè per la rifondazione della nostra dopo l’ultima delle catastro- mondiali, la guerra. E fra questi il capolavoro, forse, di Simone Weil:

L’enracinement, o Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano (1943).

Il prologo a quest’opera, pubblicato separatamente sotto il titolo di Pro-fessione di fede, ha questo incipit:

C’è una realtà collocata fuori dal mondo, vale a dire fuori dello spazio e del tempo, fuori dall’universo mentale dell’uomo, fuori da tutto l’ambito che le facoltà umane possono cogliere.

Che cos’è dunque questo “vuoto” che almeno virtualmente ogni reli-gione riconosce? Scavando nel cuore di ciascuna di esse si trova qualcosa come il nostro “non nominare il nome di Dio invano”: vale a dire, non ap-propriarti del suo nome a ni umani: riconosci che non lo possiedi tu stesso – tanto meno potrai arrogarti di parlare agli altri in nome suo.

La “trascendenza non posseduta” è il nome herschiano del vuoto che orienta.

L’intuizione geniale di Jeanne Hersch sta forse nell’aver visto la poten-zialità anti-idolatrica e quindi al fondo anti-ideologica che ogni cultura teologica – dunque spirituale – porta in sé. Che questa intuizione alimenti la concezione molto profonda che Jeanne Hersch ha della democrazia e del liberalismo politico lo vediamo da quest’altro passo della sua opera:

Questo vuoto che la politica ha per compito di conservare, questo vuoto che dà il loro senso alle Leggi, ai Parlamenti, alla Giustizia, alla sicurezza ma-teriale, allo sviluppo dell’igiene e del benessere, a tutte le misure sociali che diminuiscono i rischi materiali aumentando le responsabilità morali, questo vuoto ha un valore per gli uomini? Questo vuoto, fatto per essere riempito dalla

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R. De Monticelli -Postfazione 519

libertà morale, sarà riempito? Gli uomini vogliono riempirlo? E questa libertà morale stessa…. sapranno… preferirla, per loro stessi e per gli altri, abbastanza per difenderne la possibilità come deve essere difesa, cioè politicamente e ma-terialmente… perdendo il loro tempo ed esponendo il loro corpo, i loro beni e la cosa stessa alla quale ciascuno di loro ha fatto dono della sua propria libertà? Questa è la questione ultima. Si tratta di sapere se questa “vuota” libertà è per l’uomo un fardello troppo pesante4.

Vivere al cospetto dell’assoluto non è parlare a nome dell’assoluto. Que-sta semplice distinzione tornava spesso nelle lezioni e conversazioni di questo spirito illuminato e laico più di ogni altro del suo tempo, e forse del nostro.

Dicembre 2014 Roberta De Monticelli, losofa e scrittrice

4 J. Hersch (,1956), Idéologies et réalité, Plon, Paris, p. 119, trad. nostra.

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BIBLIOGRAFIA*1

La Segreteria dell’UNESCO si è sforzata di ottenere un’autorizzazione esplicita a riprodurre quelli tra gli estratti della presente raccolta che non sono diventati di dominio pubblico, e, grazie alla cortesia di tutti, l’ha ot-tenuta nella quasi totalità dei casi. Le si vorranno perdonare le eventuali omissioni e il fatto che non ha creduto di dover rinunciare a certi estratti di opere di cui non è riuscita a raggiungere l’editore o l’autore. Ringrazia vivamente tutti gli editori e gli autori citati nella presente bibliogra a, che è stata compilata da Pierre A. Martel.

1. Elenco degli autori o, in mancanza di autore, dei titoli di opere da cui i testi sono stati tratti

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* Questa bibliogra a è ripresa dall’edizione del 1971 (SEI, Torino).

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534 Il diritto di essere un uomo

– Trattato comprovante l’impero sovrano e il principato universa-le, in: Obras escogidas (op. cit.)

, vol. V, p. 385 801 [§ 2]

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novembre 1891), in: Obras completas, vol. IV, p. 276 (1963) 323– La edad de oro (1889) 266MARX K. (1818-1883, Germania), Il capitale (1867) 642, 753– Dibattiti sulla libertà di stampa e la pubblicazione delle tratta-

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709, 752

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536 Il diritto di essere un uomo

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– Manifesto del Partito comunista (1848) 640– La questione ebraica (1844) 703– Osservazioni sulla regolamentazione della censura prussiana

(1842), in: Œuvres philosophiques, vol. I, Parigi, 1937 455MASCALL R. (vescovo di Hereford dal 1404 al 1410, Inghilterra) 708MASUHO Z. (1655-1742, Giappone), [Il cammino di Dio] 115MENCIUS [Meng-Tzeu] (372-289 a.C., Cina), Mencius– Libro I, A: 7 e B: 8, in: W.M. Theodore de Bary (a cura di),

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1588), I, 26 e 39; II, 5. 11 e 12; III, 9 e 13 72, 326, 531, 532, 869, 1005, 1008 MONTALVUS Th. (capuccino, XVIII secolo), in: Glossa fundamenta-

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492, 683, 827, 904

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NINOMIYA S. (1787-1856, Giappone), [Lezioni della natura] 560NISHIKAWA J. (1648-1724, Giappone), [Memorie d’un cittadino] 520

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384 a.C.), libro II, 2 910SHAKESPEARE W. (1564-1616, Inghilterra), La tragedia di Macbeth

(1606), atto I, scena VII 344– La vita del re Enrico V (1599), atto IV, scena I 131Shu-Shing, vedi ConfucioSIERRA J. (1848-1912, Messico), cit. in: J. Silva Herzog, El agrari-

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594, 1009SOFOCLE (497/495 - 406 a.C., Antica Grecia), Antigone, versi 332-

375 e 445-470 249SOLONE, vedi Aristotele e PlutarcoSOLÓRZANO PEREIRA de (1575-1654, Spagna), Politica indiana, libro

II, c. XXX, p. 38. Madrid 277SPINOZA B. (1632-1677, Olanda), Tractatus politicus (1670), c. XX 262STASZIC S. (1755-1826, Polonia), [Il genere umano] (1780-1820) 700STOINSKI J. (1590-1654, Polonia), Preghiera 545Storia dei santi (X secolo, Giappone) 517SUAREZ F. (gesuita, 1548-1617, Spagna), Tractatus de legibus ac de

Deo legislatore, II, XIX, 9, 1614, Anversa, in: Chr. Lange, Hi-stoire de l’internationalisme, H. Ascheloug & Co. (W. Nygaard), Christiania [Oslo] 1919 992

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SUGITA G. (1733-1817, Giappone), [Veglia dell’anatomia] 525Sureshvara, vedi VârttikâsaraSutta Nipâta [Le formule] (Scuola di Budda, ssazione del I secolo

a.C., India del Sud e Ceylon, pali), in: Buddha’s teachings, being the Sutta-Nipata or Discourse-collection, ed. bilingue, vol. 37/ pp, 149-151, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.) 1933 529, 1079

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SYLVESTER J. (circa 1504-1551, Ungheria), prefazione alla traduzio-ne in ungherese del Nuovo Testamento (1541) 928

SZÉCHENYI I. (1791-1860, Ungheria), in: [Il credito] 106

TACITO (circa 55-120, Roma), La Germania (98), c. XIX, XX 543 Taittirîga-Upanishad (VII-VI secolo a.C., India, sanscrito vedico),

I. 11.2 26Talmud– Avot, 4 261, 972– Bava Metzia, 58b 620– Keduchin, 22 788 [§ 2]– Makkoth, 7 877– Shabbat, 31 4– Sanhedrin, 4, in: L. Finkelstein (a cura di), The Jews, their history,

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Bibliogra a 543

– Sanhedrin, 39 953, 1044– Ta’anit, 20b 1038– Yoma, in: L. Finkelstein, op. cit 253– Yoma, 23 890Talmud Babli [di Babilonia] 468, 956TÁNCSICS M. (1790-1884, Ungheria), II mio credo politico (articolo,

1845) 497– Lettera a Lajos Kossuth (articolo, 1847) 412– Movimento degli operai (articolo, 1869) 413TAURINUS (XV-XVI secolo, Ungheria), Stauromachia (1519), in:

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TEODORO II, vedi Bibliogra a II, CronacheTEODORETO, vescovo di Ciro (393-460, teologo siro), Storia eccle-

siastica (circa il 450), libro V, c. XVII, in: Patrologie grecque, vol. 82, col. 1232-1233, Migne, Parigi, 1861 951

TERTULLIANO (II secolo, apologista cristiano, Cartagine), Apologe-tica, I e II 352

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TIRUMALAYYA, Peda (XVI secolo, India, telegu), Neeti Seesa Satakamu 19

Tirukkural (I secolo, India - isole Mauritius, tradizione tamil) 22TOMMASO D’AQUINO, San (1225-1274, dottore della Chiesa), Summa

theologica (1269-1272), la, IIae, 81, 1; IIa, IIae, 10, 10; IIa, 475, 478, 952, 1046 TÓTFALUSI-KJS M. (1650-1702, Ungheria), prefazione all’edizione

dei salmi, Amsterdam, 1686 736TUCIDIDE (circa il 465-395 a.C., Antica Grecia), Storia della guerra

del Peloponneso, libro III, 56, 2; libro V, 79 941, 942TUPAC Amaru J. G. (1740-1782, capo inca, Perù), Lettera (1781)

citata in: Boleslao Lewin, La insurreción de Tupac Amaru, pp. 12- 13, Buenos Aires, 1961 815

TUWIM J. (1894-1953, Polonia), [Preghiera dei «Fiori polacchi»] (1943), in: Wiersze Wybrane, I, n. 184, pp. 245-246. Biblioteca Norodowa, Wroclaw, 1964. (Per gentile concessione della signo-ra Stefania Tuwim) 901

TWAIN M. (1835-1910, Stati Uniti), The adventures of Huckleberry Finn (1885) 832

UCHIDA R. (1868-1929, Giappone), Shakai-Hyakumenso [Lo stec-cato demolito], Iwanami Shoten, Tokio, 1954 450

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544 Il diritto di essere un uomo

UCHIMURA K. (1861-1930, Giappone), [Propositi sull’indipenden-za], in: [Opere complete], vol. II, Iwanami Shóten, Tokio, 1933 115

UDDYOTANASURI (VIII secolo, Rajastan, India, pracrito). Kuvala-yamâlâ (779), p. 207 467

Uttarâdhyâyana-Sûtra, canone djaïna (300 a.C. - 526 d.C., India, pracrito), X. 4 977

Vajrasîcî, attribuito a Ashvaghosa (circa 50 a.C.-50 d.C. India, san-scrito), pp. 8-9 506

VALERA, Blas, vedi GarcilasoVangeli, vedi Nuovo TestamentoVARONA E. J. (1849-1933, Cuba), Il clericalismo nell’università, cit.

in: F. Lizaso, El pensamiento vivo de Varona, p. 58, Losada, Bue-nos Aires, 1949 498

Vârttikâsara attribuito a Sureshvara (circa 800 India, sanscrito), II. 41 842VASCONCELOS S. de (gesuita, 1597-1671, America del Sud), Cronaca

della Compagnia di Gesù dello Stato del Brasile (1663) 785Vasishtha-Dharmasûtra (I secolo, India, sanscrito), I. 42; XIX. 9;

XIX. 35 168, 187, 358,VAUVENARGUES L. de Clapiers de (1715-1747, Francia), Ré ections

et maximes (1746) 74, 489, 914VELI O. (1914-1950, Turchia), [Gratis] (1948), in: [Opere comple-

te], Varlík, Istanbul, 1957 844VEMANA (XV secolo, India, tradizione telegu), Vemana Saiakamou 616, 891VINET A. (1797-1847, Svizzera), Philosophie morale et sociale, cit.

in: Recueil du centenaire de la Constitution fédérale, Polygra -scher Verlag, A. G., Zurigo, 1948 63

VIŠENSKIJ I. (XVIII secolo, Ucraina), in; [Opere], pp. 42-43 e 68, Mosca, 1955 604

Vishnusmriti (350-450, India, sanscrito), III. 66-67 355Vita di Juliana Lazarevskaja (morta nel 1604, Russia), scritta dal -

glio, in: N. Gudzij, [Crestomazia della letteratura antico- russa], pp. 353-354, Mosca, 1952 603

Vita di San Basilio (manoscritto russo, XVIII secolo), in: Memorie dell’Istituto archeologico di Mosca, vol. VIII, pp. 82-83, Mosca, 1910. Variante in: G. Fletcher, Of the Russe Common Wealth, Londra, 1591 863

VITORIA F. de (1480-1546, Spagna), Relectiones theologicae tredecim,Venezia, 1526, cit. in: Chr. Lange, Histoire de l’inter-nationalisme, H. Ascheloug & Co. (W. Nygaard), Christiania (Oslo), 1919 1017

VLADIMIR MONOMACO, Gran Principe di Kiev (1053-1125, Russia), Disposizioni per i suoi gli, in: [Cronaca laurentina], Cfr. [Coll. completa degli Annali russi], vol. I. col. 245, 246 79, 81

VOLNEY C. de (1757-1820, Francia), La loi naturelle (1793), c. XI 312

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Bibliogra a 545

– All’Assemblea nazionale, Moniteur (1790), IV, p. 403 915VOLTAIRE, F. M. Arouet de (1694-1778, Francia), Candide (1759),

c. XIX 816– Voce «Egalité»; voce «Homme» in: Dictionnaire philosophique

(1764, rimaneggiato e completato nel 1771) 532, 879– Traité sur la tolérance (1763), c. VI, XXII, XXIII 492, 493, 1020VÖRÖSMARTY M. (1800-1855, Ungheria), [Omaggio a Gutenberg] 735WASHINGTON G. (1732-1799, Stati Uniti) 405– Lettera circolare agli Stati (1783)– Discorso di addio (17 settembre 1796) 408WATANABE K. (1793-1841, Giappone), [Misure da prendere in

caso di carestia] 218WEIL S. (1909-1943, Francia), Cahiers, III (1942), Plon,

Parigi, 1956 340– L’enracinement, prélude à une déclaration des devoirs envers

l’être humain (1942-1943), Gallimard, Parigi, 1949 341– L’Iliade o il poema della forza (1939-1940), in: La source grec-

que, Gallimard, Parigi, 1953 777WENTWORTH P. (XVI secolo, Inghilterra), Dichiarazione alla Came-

ra dei Comuni (1576), in: G.R. Elton, The Tudor Constitution, pp. 263-264 434

WILSON Th. W. (1856-1924, Stati Uniti), Primo discorso inaugurale (4 marzo 1913) 693

– I quattordici punti (8 gennaio 1918) 921

Yâjñavalkyasmriti (250-350, sanscrito), I. 357-360 e II. 2, 4, India 353, 357

ZARATHUSTRA (Zoroastro), vedi AvestaZIMMERMANN J. I., Wilhelm Tell, ein Trauerspiel, Basilea, 1777 280ZIYA PASHA I (1829-1880, turco), cit. in: S. Kurgan, Ziya Pasa.

Varlík, Istanbul, s.d. 386

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546 Il diritto di essere un uomo

II. Elenco delle categorie di testi che non comportano né autore né titolo

AFFARE (i)– Ashby c. White (1704, Inghilterra), Dichiarazione del Lord

Chief Justice Holt, in: Costin e Watson (a cura di), The law and working of the Constitution, vol. I, p. 278 161

– Hampden (1638, Inghilterra), in: Stephenson e Marcham (a cura di), Sources of English constitutional history, pp. 459-460 403

– Plessy c. Ferguson (1896, Stati Uniti), Dichiarazione del giudice J. M. Harlan 419

– Sommersett (1772, Gran Bretagna), citazione dall’Habeas Cor-pus (1679) da parte del Lord Chief Justice Mans eld, in: Un affare di schiavitù 387

– Virginia Occidentale c. Barnett (1943, Stati Uniti), Dichiara-zione del giudice Jackson davanti alla Corte suprema, in: H. S. Commager (a cura di), Documents of American history, VIII ed., 1968, pp. 437-441 500

– Wilkes c. Wood (1763, Gran Bretagna), in: Costin e Watson (a cura di), The law and working of the Constitution, vol. I, p. 295 330

ANNALI, vedi CronacheATTO d’abolizione della schiavitù nel cantone di Zurigo (18 mag gio

1525) 795AVVISO di vendita di schiavi, J. O. de la Martinique (22 giugno 1840),

cit. in: Victor Schoelcher, Esclavage et colonisation, testi scelti eannotati da E. Tersen, p. 43, Parigi, 1949 826

BILL OF RIGHTS (1689, Inghilterra) 236BOLLA Veritas ipsa del papa Paolo III (4° giorno avanti le none di

giugno 1537), in: Annales minorum seu trium ordinum (1516-1540), XVI, terza ed. Firenze 1933 804

CANZONI, CANTI, vedi Poemi o canti popolari ASTUŠKI, vedi poemi o canti popolari

CARTA (e)– consecutiva al trattato di Pereislav, art. 15 (1654), franchigie

concesse dallo zar all’esercito zaporogo (Ucraina), in: [Coll, des chartes et traités d’Etat) vol. III, n. 170 917

– di giustizia di Pskov, art. 40 (1397, Russia), edizione della Com-missione archeogra ca, San Pietroburgo, 1914 382

– di Neuchâtel (1314, Svizzera), franchigie date ai cittadini della città dai conti Ulric 335

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Bibliogra a 547

– Magna Carta, art. 20 e 29 (1215, Inghilterra) 394, 395CODICE (i)– di diritto canonico, Can. 1081, § 1, § 2; can. 1083, § I, § 2, 1°, 2°;

can. 1087, § 1, § 2; can. 2226, § 1, § 2, § 4; can. 2228; can. 2229, § 1, § C § 3, 1°, 2° 3°; can. 2213, § 1,§ 2; can. 572, § 1, 4°; can. 214, § 1 103, 104, 105,

364, 484– di Ammurabi (1730-1685 a.C., Babilonia) 342– Kutâraçâstra (XIV secolo, Giava), in: J. C. G. Jonker,

Kutâramâna-wadharmasastra, Leida, Brill, 1885 98, 122, 767, 884, 885, 886– legislativo nazionale di Magnus Erikson (circa 1350, Svezia),

Giuramento reale 225, 226– di leggi di Hermopolis (epoca tolemaica, Antico Egitto) 346Codice dell’imperatore Giustiniano (553, Impero Romano d’Orien-

te) Libro II, titolo I, Della divisione delle cose e del modo di acquistarne 535

– Costituzione di Gordiano (239, Roma), Sulle “spese di manuten-zione” fatte da un proprietario in mala fede 536

– Istituzioni di diritto di Gaio (150, Roma), De iure naturali, gen-tium et civili; De rebus 944, 534

– Leggi delle XII Tavole (450 a.C., Roma), Titolo VII, De judiciis 350CONCILIO DI NICEA (325) 152CONDIZIONI di pace di István Bocskay, principe di Transilvania

(luglio 1605) 487CONVENZIONE per il miglioramento della sorte dei militari feriti negli

eserciti in guerra [Croce Rossa internazionale] (1864, Ginevra) 906COSTITUZIONE (i)– in diciassette articoli del principe imperiale Shôtoku (604,

Giappone), Art. V, VII, VIII, X, XVII, in: W.M. Theodore de Bary (a cura di), Sources of Japanese tradition, vol. 1, pp. 47-51 362

– di Gordiano, vedi Codice dell’imperatore Giustiniano– Religiose, vedi Regole e costituzioni religiose CRONACA – dell’imperatore Claudio (1540-1559, Etiopia, lingua gheza), in:

Chronique de Galâwdêwos, Parigi, 1895 207, 209, 1053– prima di Novgorod (manoscritto russo, XIV secolo) 274– di Theodoros II (Etiopia, lingua arnarica), in: C. Mondon-Vi-

dailhet, Chronique de Theodorus II (1855-1868), Parigi, 1905 132 – dell’origine e del governo degli Inca (verso il 1575), in: J. T. Me-

dina, La imprenta en Lima, vol. I, p. 204, 214, Santiago (Cile), 1904 215

– russa (XV secolo), in: (Coll. complète des Annales russes vol. 1, col. 262 861

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548 Il diritto di essere un uomo

DECRETO (i)– di Carlo V, re di Spagna e imperatore germanico (1500-1558),

promulgati tra il 1526 e il 1546, cfr. Recopilación de leyes de los Reinos de las Indias, libro VI, titolo 2, legge 1 (Originale 1680), Boix, Madrid, 1841 805

– promulgato da Ferdinando V e dalla regina Giovanna (1514); ripreso da Filippo II (1556), cfr. Recopilación, libro VI, titolo I, legge 2, op. cit. 803

– di Horemheb, frammento (XVIII dinastia, II mill. a.C., Antico Egitto), in: Chronique d’Egypte, vol. 22 (1947), pp. 232-233, Fondation égyptologique Reine Elisabeth, Bruxelles 588

– di Filippo II, re di Spagna (19 dicembre 1593), cfr. Recopila-ción..., op. cit., libro VI, titolo 10, legge 21 807

– reale del 5 aprile 1530 (Spagna), cfr. Cedulario de las provincias de Santa Marta y Cartagena de Indias, vol. I, pp. 50-60, Ma drid, 1913 548

– del 25 maggio 1753 (Russia), cfr. Corpo delle leggi, n. 10100 110DICHIARAZIONE (i)– della Conferenza generale della Chiesa metodista (maggio 1908,

Stati Uniti), in: H. F. Ward, A year book of the Church and social Service in the United States (1916), pp. 197-198 692

– dei diritti dell’uomo e del cittadino (5 ottobre 1789, Francia) 406– d’indipendenza delle colonie americane (4 luglio 1776, redatta

da Th. Jefferson) 404– di intenzioni e risoluzioni di Seneca Falls (19 luglio 1848, Stati

Uniti), in: E. C. Stanton, S. B. Anthony e M. J. Gage, The history of woman suffrage, vol. I, p. 70 e seg. 281

– dei Quaccheri al re Carlo II (1660, Inghilterra) 896– reale (Luigi XV) sul privilegio del re (10 maggio 1728, Francia) 442DIRITTO canonico, vedi CodiceDISCORSI di contadini molokani ( ne del XIX secolo. Russia), in:

[Le sette contemporanee], pp. 69-70, Mosca, 1961 554DOCUMENTO degli archivi (XX dinastia, II mill. a.C., Antico Egit-

to), Sciopero tra gli operai di una necropoli, trascrizione gero-gli ca A. Gardiner, Ramesside administrative documents. 13, in: Journal of Near Eastern studies, vol. X, luglio 1951, University of Chicago Press, Chicago 674

EDITTO (i) – di Ashoka (III secolo a.C., India, pracrito) 462– Ralinga, I 190– Pilastro, IV, V, VII 347, 361, 655, 769– Rocher, II, VI, XII, XIII 180, 466, 768, 892

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Bibliogra a 549

– di Augusto, primo editto (7-6 a.C., Roma), in: F. De Visscher, Les édits d‘Auguste découverts à Cyrène, Les belles lettres, Parigi, 1940 351

– di tolleranza di Giuseppe II d’Austria (ottobre 1781), cfr. G. Franz, Das Toleranzpatent Kaiser Joseph lI, Storia documentata della sua origine e dei suoi risultati (1882) 494

EPITOME, vedi Regole o costituzioni religiose

FAVOLA (e)– e racconti del Burundi, Grossa-Mazza, uomo sincero; La brocca

divenuta regina 77, 78– Racconto somalo, I Gatti e i Topi 935FRANCHIGIE

– di Ginevra, art. 2, 10, 19, 23, 55 (1387, Svizzera), in: A. J. P. Pictet de Sergy, Genève, origine et développement de cette répu-blique, pp. 90-155, Ginevra, 1847 290

– di Strasburgo (circa il 1130) 796

GIURAMENTO DEGLI ELIASTI, conservato nel Discorso contro Timocra-te di Demostene (circa 353 a.C., Antica Grecia), in: N. d’Andria, La démocratie athénienne, son origine, son évolution et sa con-stitution dé nitive au siècle de Périclès, Montchrestien, Parigi, 1935 240, 392

INSEGNAMENTI per il re Merikare (X dinastia, ne del III mill. a.C., Antico Egitto), Coll. dei papiri ieratici, 1115, 1116 A, 1116 B, Eremitaggio imperiale di San Pietroburgo, 1913 589

INVENTARIO del monastero di Henrykóv (XIII secolo, Polonia) 34ISCRIZIONI

– Babilonia (circa il 700 a.C.), Tavoletta 850– Antico Egitto, V dinastia (III mill. a.C.), in: Excavations at

Gîzah, 1930-1931, tav. 61, Governement Press, Bulaq, Il Cairo, 1936 555– V dinastia (III mill. a.C.), Limite n. 42.787, Il Cairo 557– VI dinastia (III mill. a.C.), Citato da B. Grdseloff in Annales du

Service des antiquités de l’Egypte, XLII, p. 38, Il Cairo, 1943 556– Antico Egitto, XI dinastia ( ne del III mill. a.C.), Sarcofago,

trascrizione gerogli ca in: P. Lacau, Sarcophages antérieurs au Nouvel Empire, p. 220, Il Cairo, 1904 1076

– XII dinastia, Tomba d’Amenemhat in: Archeological survey of Egypt, vol. I, tomba n. II, Londra, 1893 163

– Persia, Tomba di Dario (521-486 a.C.), vedi R. G. Kent, Old Per-sian grammar, texts, lexicon, II ed., p. 140, American Oriental Society, New Haven (Conn.), 1953 31

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550 Il diritto di essere un uomo

– Regno Unito (1869), Monumento alla gloria dei prigionieri di guerra francesi dell’epoca napoleonica morti sui pontoni della Medway (isola di Santa Maria, Chatham) 998

ISTITUZIONI DI GAIO, vedi Codice dell’imperatore GiustinianoISTRUZIONE della Sacra Congregatio de Propaganda Fide (Santa

Sede) ad uso dei Vicari apostolici in partenza per i reami cinesi del Tonchino e della Cambogia (1659) 927

– delle XII Tavole, vedi Codice dell’imperatore Giustiniano fon-diarie della dinastia T’ang (618-907, Cina), in: D.C. Twitchett, Financial administration under the T’ang dynasty, p. 126, Cam-bridge Univ. Press, Londra, 1963 538

– ungheresi:– Legge XIV del 1514, art. 3 807– Legge VIII del 1849, Sulle minoranze nazionali, I, 2, 3, 4 e 14 930– Legge VI del 1945, art. 1, Sull’abolizione delle grandi proprietà

e la ripartizione delle terre tra coloro che le coltivano 696 – del Maryland sulla tolleranza (21 aprile 1649), in: W. H. Browne

(a cura di), The archives of Maryland, vol. I, p. 244 e seg. 488– dei Peruviani (1594), cfr. J. de la Espada, Tres relaciones de an-

tigüedades peruanas, p. 204, Madrid, 1879 216– dei regni degli Indi (XVI secolo), in: Recopilación de leyes de

los reinos de las Indias (1680), libro VI, titolo IV, legge 2, Boix, Madrid, 1841 576

LETTERA DEGLI SCOZZESI al papa (1320), in: Dickenson, Donaldson e Milme, A source book of Scottish history, i, 156-157 911

Magna Carta, vedi CarteMANIFESTO della società popolare di Agneessens, fondata a Bruxel-

les nell’Assemblea di Klok, rue des Sablons (1844) 704MITO, vedi TradizioniMULIZAS, vedi Poemi o canti popolari

NEGRO SPIRITUALS, vedi Poemi o canti popolariNova collectio, vedi Regole o costituzioni religiose

ORDINANZA (e)– 29 (1311, Inghilterra), in: Stephenson e Marcham (a cura di),

Sources of English constitutional history, p. 197 397– del 1809 (Svezia), art. 16 e altri 225, 226 389

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Bibliogra a 551

– ai corregidores, del viceré don Melchor de Navarra y Rocaful, duca de la Palata (1685), c. XVIII, in: G. Lohomann Villena, op. cit., appendice VII, pp. 573-594 373

– di Alonso Vazquez de Cisneros riguardante gli indiani di Méri-da nel nuovo regno di Granada (1685), c. XXVI e XXVII, cfr. Anuario de estudios americanos, III, p. 1158 e seg., Siviglia, 1946 573

PACTA et consuetudines legum libertatumque exercitus zaporoiwen-sis (1710, Ucraina), in: [Lectures à la Société d’histoire près 1’Universilé de Moscou], 1847 411

PATTO (i)– del May ower (11 novembre 1620), in: The federal and state

constitutions, parte prima, p. 931 402– primo agosto 1291 (Svizzera) 939PRINCIPI e regole della società dei democratici fraterni (1845), cit. in:

G. D. H. Cole e A. W. Filson, British working class movements; selected documents, 1789-1875, Macmillan, Londra, 1965 1001

POEMA (i) o canto (i) popolare (i)– anglosassone, poema lirico anonimo (XIV secolo) 501– aztechi (XV secolo, Messico), manoscritto Aztec songs, Latin

American Coll., Biblioteca dell’ Università del Texas. Fol. 2r e 27v 986, 987

– ceco, canzone gaia della povera gente (XIV secolo), in: J. Vi-likovsky (a cura di), [Antiche canzoni ceche], pp. 82-85, Melan-trich, Praga, 1940 662

– Daïno, vedi canto lituano– greci, L’emigrato; La morte dell’emigrato 633, 634– islandesi, Stanze di Odino (circa 800-1100), in: W. Kirkconnel,

The North American book of Icelandic verse, pp. 20-21, Louis Carrier e Alan Isles Inc., New York e Montreal, 1930 36

– khmer (Cambogia), poema 619– lituano (daïno), Il lupo, in: A. Landsbergis e C. Mills (a cura di),

The greenlinden, Voyages Press, New York, 1964 1– Mulizas, vedi canti peruviani– Negro spiritual (Stati Uniti), In viaggio, Mosè; Non ha il Signore

liberato Daniele?, in: A. Lomax, The Penguin Book of American folk-songs, Penguin Books, Baltimora (Md.), 1966 1060, 1061

– Peruviani, Mulizas (canti delle Ande peruviane): Lamento del minatore; Lamento della gente della miniera del Cerro de Pasco 668, 669

– quechua (America del Sud):– Canzone del pastore (Perù), in: Folklore americano, n. 1. Lima,

Museo Nazionale della Cultura peruviana, 1953 64– Poesia, in: J. Lara, Poesía popular quechua, La Paz-Cochabam-

ba, Canata, 1954 338– rumeno. Canzone 89

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552 Il diritto di essere un uomo

– russi:– Dubinuška, canto della metà del XIX secolo 574– astuški (strofe popolari) in: [Canzoni del popolo russo], San

Pietroburgo, 1894 649– In: [Poesia orale degli operai russi], Edizioni dell’Accademia

delle Scienze, Mosca, 1965 648, 671 (2a e 3a strofa)– In: [ astuški], Gosizdat, Mosca, 1956 97 (1a strofa)– astuški, vedi Poemi popolari russi– tolteco (X secolo, America del Sud), in Codice Matritense, fol.

192v. Biblioteca dell’Accademia reale di storia, Madrid 926– turchi: – Canzone della mal- maritata; Canzone di Baladiz 95, 663– ungheresi (XVIII e XIX secolo) 628, 630– vallesano (del Vallese). Canto popolare (1514, Svizzera) 661PROCLAMA (i)– degli allievi del liceo Blanka Telehi (Budapest, Ungheria) dopo

la rivoluzione del marzo 1848 739– del programma dei democratici-radicali (1848), cfr. [Les démo-

crates radicaux tchèques], SNPL, Praga,1953 690PROGRAMMA (i) – minimale del Partito operaio social-democratico russo (1903-

1906), Priboi, San-Pietroburgo, 1906 322– rivoluzionario in Moldavia, redatto da Costake Negri e Aleco

Russo (12-24 maggio 1848) 691PROVERBIO (i) – akan (Ghana): 71 [§ 3, 4] 1067– In: C. A. Akro , Twi Msebusem, Twi proverbs, Macmillan, Londra,

1958 70 [§ 6], 174, 175, 328– amatici (Etiopia) 53, 54, 88, 211,

343, 421, 537, 542, 615, 859

– ceco 210– ewe (Togo), in: J. Spieth, Die eive Stämme, p. 629. Berlino, D.

Reimer, 1906 91, 128– haussa (Africa) 380– ibo (Nigeria), in: N. W. Thomas, Anthropological report on the

Ibo-speaking peoples of Nigeria. Part. 6: Proverbi, storie, accenti in Ibo, VIII, p. 114, Harrison, Londra, 1914 856

– jabo (Liberia), in: G. Herzog e Ch, G. Blooah, Jaho proverbs from Liberia, Maxims in the life of a native tribe, XIII, Oxford Univ. Press, Londra, 1936 72

– kazach (Kazakistan) 515, 1069

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Bibliogra a 553

– khmer (Cambogia) 617– malgasci (Madagascar), in: P. de Veyrières e G. de Méritens, Le

livre de la sagesse malgache, Editions maritimes et d’outre-mer, Parigi, 1967 853

– mongo (Congo), in: G. Hulstaert, Proverbes mongo, in: Annales du Musée royal de l’Afrique centrale, Serie Scienze umane, Lin-guistica, vol. XV, Tervuren (Belgio), 1958 208, 338, 524,

602, 632, 990– mongo (Tanzania), in: G. Hulstaert, op. cit. 221, 230– pendjabi (India) 513– peulh (Africa) 50, 231– rumeni 55, 728, 860 971– russi 46, 76, 126, 138, 298, 429, 729 Cfr. [Proverbi del popolo russo] (1853), Mosca, 1957 82, 107, 481– somali:– raccolto da Musa Galaal 232– In: Shire Jaamac Axmed (a cura di), Light of education (Soma-

lia), n. 5, febbraio 1967, p. 4 52, 1016– sonraï (Africa) 51, 524– sudanesi 49, 1065– tedesco (circa il 1130), cfr. Franchigie di Strasburgo, n. 812 797– telegu (India - Isole Mauritius) 511– turchi:– Citati da Güvahi (XVI secolo), in: Pendname [Libro dei Consi-

gli], Ms della Biblioteca Hamidiye, Fonds Lala Ismail, n. 242, Istanbul 206

– Citati da Mahmud de Kashgar (XI secolo, Turchestan orientale), in: F. Birtek, En eski türk savlari, Tiirk Dil Kururum, Ankara, 1964 652, 846, 887

– Citati in una raccolta del XV secolo, in: V. Isbudak (a cura di), Atalarsözü. Türk Dil Kurum, Istanbul, 1936 85, 99, 205,

653, 847, 913, 980 – Citati in una raccolta del XIX secolo, in: M. N. Özön, Türk

Atasözleri, Inkilap, Istanbul, 1952 206, 421 737, 888– turkmeni, citati in: Berkeliev, Nakillar ve atalarsözi, Accademia

delle scienze della Repubblica di Turkmenia, Asgabat, 1961 84, 86, 889,659– vietnamiti 502, 605, 742, 924, 1048– yombe (Congo), in: L. Bittremieux, La société secrète des

Bakhimba au Mayombe, Accademia reale delle scienze d’oltre mare, Bruxelles, 1935. (Memorie, coll. in 8° vol. 5, fasc. 3) 819

– zerma-sonraï (Africa) 379, 381, 990

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554 Il diritto di essere un uomo

PROVVIGIONI di Oxford (1258, Inghilterra), in: Stephenson & Mar-cham (a cura di), Sources of English constitutional history, pp. 143-145 396

RACCONTI

– Antico Egitto ( ne del terzo mill. a.C.), Il contadino eloquente, in: G. Lefebvre, Romans et contes égyptiens, A. Maisonneuve, Parigi, 1949 431

– Antico Egitto (circa il 500 a.C., demotico), La parabola del ricco nel secondo racconto di Setné-Khamoua, secondo: F. L. Grif th, Stories of the high priests of Memphis, pp. 147-157, Oxford, 1900 1059

– fang (Gabon), I tre viaggiatori e la punta d’avorio 378– hassidico (XVIII secolo), Or Ganuz [Luce nascosta], in: M. Bu-

ber, Contes hassidiques, p. 181, Plon, Parigi, 1963 1034– khmer (Cambogia), Il signore e il povero 635– quechua (de Qatqa, provincia di Cuzco, Perù), Il sogno di Pongo 667– dell’assemblea di teologi e di giuristi (1512, Burgos, Spagna),

Cit. in: Bartolomé de Las Casas (domenicano, 1474-1566), Hi-storia de las Indias, libro 3, c. III e VIII, Millares,Messico, 1951, pp. 456 e 457 563, 547

– sulla protezione delle persone ad opera di Ombudsman (1848 e 1887, Svezia) 390

REGOLE o costituzioni RELIGIOSE

– Regola di San Benedetto (529) 401, 432, 522– Regola di San Francesco d’Assisi (1223), c. X 256– Regola dell’Ordine dei Domenicani (1283), art. 469, § III; art. 544 254, 258– Costituzione dei Frati Minori Cappuccini (1536), art. 127 165– Costituzione dell’Ordine dei Certosini– Nova collectio (1582) 157 – Costituzioni dell’Ordine dei Carmelitani scalzi (1636-1637), c.

XII, 1, p. 100 257– Costituzioni della Società di Gesù (1556), parte III, c. I, 23 259 – Epitome [Riassunto delle costituzioni] (1689), art. 785, 5 e 6; art.

22, 3/1; art. 471 255, 433, 466– Statuti dell’Ordine dei Premostratensi (1503), art. 7, § 1 398RESOCONTO d’un processo (XX dinastia, II mill. a.C., Antico Egitto),

in: T. E. Peet, The great tomb robberies of the twentieth Egyptian dynasty, Clarendon Press, Oxford, 1930.

(Per gentile concessione dell’editore) 345RESTITUZIONE del capitano Diego de Agüero (23 marzo 1560, Lima) 549RIFORMA dell’imperatore Sigismondo (1439, Germania), Monumen-

ta Germaniae historica, Staatsschriften des Späteren Mittelal-ters, vol. VI, pp. 86.6 - 88.9; 276.13 - 278.11. H. Roller (a cura di), Stoccarda, A. Hiersemann, 1964 480, 783

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Bibliogra a 555

RISOLUZIONE del partito bolscevico nel campo delle belle lettere (1924, Unione Sovietica) 457

RISOLUZIONE del Kentucky (1798, Stati Uniti) 409

STATUTI

– dell’Ordine dei Premostratensi, vedi Regole o costituzioni re-ligiose rurali della Comunità degli uomini di Castel del Piano (1571, Italia), Fondo statuti rurali, Archivio nazionale di Siena, Preambolo, c. II, osservazione 5a p. 135 678, 746

TESTO RUSSO ( ne del XVII secolo), cit. in Ljubomirov [La comunità del Vyg], p. 65, Mosca, 1924 738

TRADIZIONE (i)– akan (Ghana), in: K. Antubam, Ghanas heritage of culture,

Köhler & Amelang, Lipsia, 1963 70– ashanti (Ghana):– In: K. A. Busta, The position of the chief in the modern political

system in Ashanti, Oxford Univ. Press, Londra, 1951 171– In: R. S. Rattray, Ashanti law and constitution, c. XIX, Londra,

Oxford Univ. Press e International African Institute, 1956 172– azteco (Messico):– Esortazioni alle ragazze. Il senso della vita (XV secolo), Col-

lezione di Huehuetlatolli. Codice orentino, libro VI, fol. 74v, Biblioteca laurenziana, Firenze 985

– Esortazione ai giovanotti. La dignità umana (XV secolo), Ma noscritti Huehuetlatolli. Fol: 116r. Library of Congress, Washington 559

– Ideale dell’educazione (XV secolo), Manoscritti Huehuetlatolli, Library of Congress, Washington 41

– Missione del padre sulla terra (XVI secolo), Codice Matriense del Real Palacio, VI, 2a parte, fol. Madrid, Francisco del Paso y Troncoso, 1906 162

– Qualità richieste dal sommo sacerdote (XV secolo), Codice o-rentino, libro III, fol. 67 197

– Risposte dei saggi aztechi ai dodici missionari (1524), [Libro dei colloqui]. Biblioteca vaticana 925

– bakongo (Congo):– Il lebbroso e la donna avara, in: I. Struyf, Les Bakongo dans

leurs légendes, Accademia reale delle scienze d’oltremare, Bru-xelles, 1936, (Memorie, coll. In 8°, vol. VII, fase, 1) 48

– In: J. Van Wing, Etudes bakongo, Il Bruxelles, Accademia reale delle scienze d’oltremare, 1938 (Memorie, coll. in-8°, vol. IX, fase. 1) 857

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556 Il diritto di essere un uomo

– chagga (Tanzania), in: B. Gutman, Die Stammeslehren der Dsckagga. C. H. Beck, Monaco, 1932-1938 135, 220, 229,

599, 600– ewe (Togo), in: S J. Obianim, Eve Konuwo, Sukubalexexle, Mac-

millan, Londra, 1956 592– guarani (regione centrale dell’America del Sud), in: Literatura

de los Guaranies, pp. 107, 119, Instituto indigenista inter-ameri-cano, Messico, 1965 120

– krobo (Ghana), in: H. Huber, The Krobo. Traditional social and religious life of a West African people, Institut Anthropos, Saint-Augustin-près-Bonn, 1963, (Stadia Instituti Anthropos, 16) 42, 173

– nahuatl (Messico) 657, 658, 922– quechua (America del Sud):– Il mito di Adaneva (provincia di Carhuaz, Perù) 1049– Il mito di Inkarri (Perù), J. R. Pineda e J. M. Arguedas, Mito de

Inkarri, in: Revista del Museo nacional de la cultura peruana, vol. XXV, Lima, 1954 931

– tamil (II secolo a.C. - III secolo d.C., epoca sangam, India) 965 TRATTATO (i)– Trattato giuridico del Suei-chu [Annali della dinastia Suei] (590-

617, Cina), in: E, Balazs, Le traité juridique du Souei-chou, Biblioteca dell’istituto degli studi superiori cinesi, vol. IX, pp. 77-78, Brill, Leida, 1954 870

– rmato a Adua tra la regina Vittoria e il re Giovanni (3 giugno 1884, Etiopia) 825

– di Zurigo (1° maggio 1351, Svizzera), in: Les chartes fédérales de Schwyz, pp. 43-47, Benziger, Einsiedeln, 1938 289

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“Il diritto di essere un uomo è stato realizzato dall’UNESCO in occasione del ventesimo anniversario dell’adozione, da parte delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani. È il risultato di un impegno collettivo, voluto e coordinato dall’UNESCO e realizzato con la collaborazione di molte persone di ogni parte del mondo. Al suo interno, secondo un indice tematico che ancora regge all’usura del tempo, sono raccolti testi e documenti – dalle semplici frasi ai passi più famosi di opere capitali – delle più diverse culture riguardanti la dignità umana, i diritti della persona, i limiti ai poteri pubblici e le loro responsabilità. Per un verso il riconoscimento dei diritti è sempre incompleto: la vita e la storia umana fanno emergere sempre nuovi bisogni che attendono di essere riconosciuti dalle istituzioni. Per altro verso, il riconoscimento di un diritto non è garanzia della sua effettività, né della sua permanenza nel tempo. La lotta per i diritti, quella sì, è per sempre: giorno dopo giorno, storia dopo storia.”

Luigi Manconi Presidente Commissione straordinaria dei diritti umani del Senato Bambinisenzasbarre Onlus difende il diritto di essere bambini. È impegnata nella cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori, nella tutela del diritto del bambino alla continuità del legame affettivo e nella sensibilizzazione della rete istituzionale e della società civile. Membro della direzione della rete europea Children of Prisoners Europe (ex Eurochips) con sede a Parigi. È presente in Italia da oltre 10 anni, con attività di formazione e di ricerca in collaborazione con le Università e il Ministero di Giustizia. È attiva in rete sul territorio nazionale con il modello di accoglienza Spazio Giallo. Opera direttamente a Milano e in Lombardia. Bambinisenzasbarre fa riferimento al sistema formativo dell’Ecole Relais-Enfants Parents di Parigi, guidato dal professor Alain Bouregba. Il 21 marzo 2014 ha firmato con il Ministro della Giustizia, il Garante nazionale dell’Infanzia e dell’adolescenza, il Protocollo d’intesa, la prima Carta per i figli di genitori detenuti in Italia e in Europa. www.bambinisenzasbarre.org