Antologia di brevi testi rari - Ugo Becciani · gliabechiano, e il "Libro de la Cocina",...

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UGO GABRIELE BECCIANI Antologia di brevi testi rari. 2013

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UGO GABRIELE BECCIANI

Antologia di brevi testi rari.

2013

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In copertina: illustrazione del frontespizio di “Novemilanovecentonovantanove malizie delle donne”.

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INTRODUZIONE. Numerosi studiosi, nell'arco dei secoli, fecero un lavoro di ricerca bi-bliotecaria oscuro, che tuttavia consentì di far conoscere ai posteri opere letterarie che altrimenti sarebbero rimaste nascoste a buona parte dei lettori. Nella seconda metà dell'Ottocento merita, a parer mio, una particolare menzione la “Regia Commissione pe' testi di lingua nelle province dell'Emilia Romagna”. I molti membri di tale organismo, composto di filologi, letterati, scrittori, scienziati, artisti, ecc., portarono alla luce una miriade di testi sconosciuti giacenti nelle nostre vetuste bibliote-che. Per i tipi di Gaetano Romagnoli di Bologna furono editi, sotto i titoli di "Scelta di curiosità letterarie inedite o rare", "Miscellanea di opuscoli inediti o rari", "Collezione di opere inedite o rare", vari opuscoli ripor-tanti tali lavori di prosa, poesia, storia, filosofia, medicina, farmacolo-gia, cucina, ecc., con relativo dotto commento. Particolare merito va dato al filologo Francesco Zambrini, il quale curò numerosi numeri della rivista pubblicati. Di questo studioso non sfuggirono alla mia ricerca il "Codice di medi-cina di Maestro Gregorio medico-fisico", scoperto in un codice Ma-gliabechiano, e il "Libro de la Cocina", manoscritto presente nella rac-colta miscellanea n. 158 della Regia Biblioteca dell'Università di Bolo-gna (entrambi del XIV secolo ed editi entrambi dal Romagnoli nel 1865). Del libro di cucina pubblicai nel 2010 il commento del testo. In questo opuscoletto ho voluto raccogliere alcuni brani che si trovano nel volume, sempre a cura dello Zambrini, "Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV", 1866. I saggi riguardano in particolare la medicina ed il costume: "Trattatello delle virtù del ramerino", "Esperimenti di Maestro Niccolao di Costan-tinopoli", "Come si deve vivere in tempo di pestilentia secondo il Mae-stro Giovanni de' Dondoli di Oriolo", "Trattatello di fisionomia", riferibile ad Ippocrate, secondo ciò che si conosce dal "Trattato di medicina del

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Maestro Aldobrandino da Siena", "Ricetta di Maestro Mingo da Faen-za", che fu edito assieme ad un saggio del trecentista Tommaso del Garbo, "Sedici cose son quelle che inducono ad amare il matrimonio". In contrapposizione a quest'ultimo, proporrò infine un poemetto ano-nimo "Novemilanovecentonovantanove malizie delle donne", edito in Napoli presumibilmente fra l'Ottocento e il Novecento, che è un vero e proprio inno alla misoginia.

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VIRTÙ DEL ROSMARINO. Questo breve trattato è un'appendice che si trova in calce al "Trattato di medicina di Maestro Aldobrandino da Siena" (XIII secolo) in alcuni codici che riportano il volgarizzamento da parte di Sere Zucchero Bencivenni, cod. Palatino 174 e 176, codice Magliabechiano II.84 (ini-zio XIV secolo). Secondo F. Zambrini: "Questo trattatello, poche cose cambiate, trova-si pure nel cod. Ricc. n. 2350, ma ivi preceduto da altro Trattato del ramerino, assai più lungo, contenente 68 virtù; vi sono però diverse lacune". La breve opera fu citata anche dall'Accademia della Crusca, con l'ab-breviazione M. Aldobr. P. N. alle voci debilitade e menagione del vo-cabolario. Queste considerazioni ci indicano, comunque, in quanta considera-zione fosse ritenuto questo arbusto nella medicina di un tempo. Il testo che si riporta è quello del cod. Pal. 174.

QUI COMINCIANO LE VIRTUDI CHE DIO DIMOSTRA

DEL RAMERINO, E SONO XXVI.

Per conto delle quali noi avemo intendimento di trattare in que-

sto trattato secondamente che uno monaco d'Inghilterra le re-

coe1, scritte in India all'abate suo dell'ordine Cestella

2.

1 Raccolse. 2 La Congregazione Cistercense Sancti Bernardi seu Cestella, di Ca-

stiglia (da cui deriva Cestella), fondata nel 1425 dal monaco Martino

di Vargas dell'abbazia di Piedra (Aragona), sviluppatasi in Italia a

partire dal 1497. Da allora, molte località in cui erano sorti i nuovi

monasteri furono chiamate Cestella o Cestello, come, ad esempio, il

monastero di Cestello in Pinti, dove fu commissionata (1489), da par-

te di San Benedetto Guardi, al Botticelli, un'Annunciazione, poi detta

di Cestello; il quartiere d'Oltrarno di San Frediano è detto anche San

Frediano in Cestello. Le precedenti date sposterebbero però il mano-

scritto al XV secolo, a meno che non si tratti di un testo riportato.

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1. Se alcuno avesse deboli e infermi i piedi: tolli la radice del

ramerino, e fallo bollire in fortissimo aceto; e del detto aceto ti

lavi i piedi spessamente e fara'li forti e sani.

2. Se alcuno sentisse di re(u)ma e di catarro: togli delle cortec-

cie del ramerino, e fanne fummo; e quello fummo ricevi nelle

nari del naso, e' restringe la re(uma) e 'l catarro.

3. Se alcuno avesse infermi li suoi denti, o avessevi dentro al-

cuno vermine, tolga il ramerino, e ardalo, e facciane carboni, e

mettali in panno lino verde3, e stropiccia li denti: il vermine uc-

cide, e conferma e guarda i denti in sanitade.

4. Se alcuno userae stufa4 di ramerino si 'l manterrà giovane, e

conforteragli tutte le sue membra.

5. Se alcuno userà di mangiare il ramerino, nel suo corpo non si

concrierae5 alcuna malvagia infermitade e conserverallo in sa-

nità, e manterrallo molto fresco.

6. Se porrai del ramerino nella tua casa, non temerai che ti pos-

sa nuocere serpente, né serpe, né scorpione, né altro velenoso

animale.

3 Non si vede l'utilità di un panno verde, a meno che non ci si riferi-

sca ad una precedente immersione in un succo di erba o di foglie fre-

sche: si sa che la clorofilla ha un potere antibatterico importante per i

denti. 4 La stufa era un trattamento sanitario che abbinava il potere di far

sudare del caldo umido con quello diaforetico di alcuni oli essenziali,

o farmaci. Questi erano somministrati per bocca, oppure convogliati

con il vapore acqueo in una sorta di larga veste che avvolgeva il cor-

po del malato, testa esclusa. L'effetto depurativo si otteneva perché,

al pari delle moderne saune, erano espulse le tossine col sudore. 5 Il raro verbo latino concreare, stava ad indicare una formazione in

relazione allo spazio e al tempo; da esso deriva la nostra parola 'con-

crezione'.

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7. Se alcuno farà bottaccio6 di ramerino, e userae di bere del

vino ch'entro vi starà, si à virtude di non lasciare concriare apo-

stema7 dentro dal corpo dell'uomo.

8. Se alcuno porrà del ramerino nel suo orto, o giardino, o vi-

gna: l'orto, e 'l giardino, o vigna ne crescerà in grande abbon-

danza; e giova alla vista, quando il vedrai.

9. Se serpe o serpente fosse in alcun luogo, e tu torrai del rame-

rino, e fara'ne fuoco, sicché 'l fumo entri in quel buco, se n'u-

scirà fuori o vi morrà.

10. Se alcuna corruzione d'alito avesse l'uomo, overo che

chiamare non potesse8, faccia bracia di ramerino, e 'n quella

bracia ardavi dentro del pane, e di quello pane arrostito usi di

mangiare.

11. Se vuoi mantenere la tua faccia bella e chiara, tolli del ra-

merino, e fae bollire le sue foglie in vino bianco puro, e lavite-

ne il visaggio, e beane se vuoli, e manterratti la bellissima fac-

cia, e faratti un bel colore9.

6 Una botte di piccole dimensioni, e vecchia, che si impiegava, so-

prattutto per fare l'aceto o, come in questo caso, un infuso di rosma-

rino nel vino. 7 Forma arcaica di postema, ascesso. Il vocabolo, di derivazione gre-

ca, stava ad indicare 'ciò che se ne va dal corpo'. 8 Che fosse affetto da raucedine. 9 Questa è la formulazione base dell'acqua della regina Isabella

d'Ungheria.

"Io donna Isabella, regina d'Ungheria, di anni 72, inferma nelle membra e

affetta di gotta, ho adoperato per un anno intero la presente ricetta, donata-

mi da un eremita mai da me conosciuto, la quale produsse su di me un così

salutare effetto che sono guarita ed ho riacquistato le forze, fino al punto di

sembrare bella a qualcuno: il re di Polonia mi voleva sposare, ma io rifiutai

per amore di Gesù Cristo... Prendete l'acqua distillata quattro volte, 30 on-

ce, 20 once di fiori di rosmarino, ponete tutto in un vaso ben chiuso, per lo

spazio di 50 ore; poi distillate con un alambicco a bagno maria. Prendete

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12. Se metterai le foglie del ramerino sotto il letto, si à virtù di

non lasciare sognare niuno reo sogno.

13. Se alcuno avesse cancera10

, tolga le foglie del ramerino, e

pestile, e pongavele su; e' àe virtude d'ucciderla.

14. Se alcuno metterae le foglie del ramerino nella botte, sì

guarda e serva il vino da ogni acierbitade, e da ogni mal sapore.

15. Se avessi debolitade per disordinato sudore, togli le foglie

del ramerino, e falle bollire in acqua, e di quell'acqua ti lava il

capo: e se avrai tossa, sì te ne liberrae.

16. Se avessi perduto la vollia del mangiare, tolli le foglie del

ramerino, e falle bollire in acqua di fonte, e di quell'acqua tem-

pera il vino, e fanne suppa.

17. Se alcuno sentisse di pazzia, tolla le foglie del ramerino,

grande quantità, e facciale bollire in acqua, e in quell'acqua si

bagni, e guarranne.

18. Se [alcuno] per andare, o per caldezza, o vero per movi-

mento di stomaco, o per movimento di collera, o vero per altro

una volta la settimana una dramma di questa pozione con qualche altro li-

quore o bevanda... Lavate con esso il viso ogni mattina e stropicciate con es-

sa la membra malate. Questo rimedio rinnova le forze, solleva lo spirito, pu-

lisce le midolla, dà nuova lena, restituisce la vista e la conserva per lungo

tempo; è eccellente per lo stomaco ed il petto." (Cfr. G. De Vito France-

schi: "Le virtù medicinali del rosmarino". Milano, 1983).

La succitata ricetta non è l'unica pervenuta di quello che fu conside-

rato un farmaco importante; si trovano formulazioni unguentacee, in

alcool diluito e, più spesso in aceto (vedi anche la nota 15). 10 La forma femminile è poco comune. Nella lessicografia dell'Acca-

demia della Crusca non si trova, mentre è comune il cancer latino,

italianizzato in canchero: "tumore, o ulcere, cagionato da collera ne-

ra; ha intorno le vene stese a guisa delle gambe del granchio, e va

rodendo...".

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modo, disordinatamente avesse sete, bolla le foglie del rameri-

no in acqua, e beane con sugo di melagrane11

.

19. Se alcuno torràe i fiori del ramerino, e leghili in panno lino,

e facciali bollire in acqua, tanto che l'acqua torni a mezzo, e usi

di bere della detta acqua, si vale a ogni infermitade ch'avesse

dentro dal corpo.

20. Se alcuno torrà li fiori del ramerino, e seccagli e fanne pol-

vere, e quella porti al braccio diritto, si à virtude di mantenere

l'uomo allegro e giocondo.

21. Se alcuno torrà li fiori del ramerino, e mangeragli col mele,

o col pane di segale, o con altro pane, non si leverae contro [...]

niuna mala bestia12

.

22. Se [alcuno] avesse menagione disordinatamente, per solu-

zione13

, faccia bollire i fiori del ramerino con forte aceto, poi li

lega in sul corpo dello 'nfermo e restringerae.

23. Se ad alcuno enfiasse le coscie per gotte, bolla i fiori del

ramerino in acqua, poi li lega in su le coscie con panno lino.

24. Se alcuno metterà i fiori del ramerino fra i panni, o tra il

grano, o tra carte, o tra i libri, sì li guarda e rende sicuri da ti-

gnuole e da' vermini.

25. Se alcuno sentisse di tosco, o di veleno, o vero ambascia14

,

si bolla i fiori del ramerino, e usi di bere di quella dicozione

tiepida.

11 Anche la melagrana era considerata, in medicina, un toccasana, in

modo particolare per l'alto contenuto di sostanze tanniche astringenti. 12 Un preventivo contro i morsi di volpi, cani rabbiosi, ecc. che cer-

tamente non era di grande efficacia. 13 Condizione corporale 'disordinata', accompagnata da diarrea. Da

menagione deriva il vocabolo francese menage, che anche noi ab-

biamo adottato. 14 Tosco è una forma dialettale di tossico. Ambascia, l'oppressione

spirituale ma anche fisica, accompagnata da difficoltà respiratorie. "E

però leva su, vinci l'ambascia" (Dante Alighieri); il termine deriva dal

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26. Se alcuno sentisse di tisico, si bolla i fiori del ramerino co'

latte di capra, e usi della predetta dicozione, perciò che molto è

di grande efficacia a coloro se sentono di tisico.

Qui finiscono le nobili e le mirabili proprietadi e sante virtudi

del ramerino15

.

latino medievale ambactia, da cui ambactus, un servo stipendiato,

non schiavo, figura che si trovava presso il popolo dei Galli: il senso

dispregiativo fu esteso per indicare un servitore ‘pesante’. 15 Le proprietà che si attribuivano al ramerino erano, come si è visto,

molteplici, e molteplici furono le formulazioni farmaceutiche in au-

ge, come il balsamo di frate Tranquillo, per i reumatismi, i manuschristi,

come quello citato da G. Donzelli nel "Teatro farmaceutico e spargi-

rico", dove l'autore afferma che "conforta il cerebro humido, giova al

cuore e corrobora le membra nervose", o la popolare acqua di S. Gio-

vanni, preconizzata come panacea universale, e così detta perché

preparata assieme a molte altre erbe (fra cui l'iperico, detto erba di S.

Giovanni) la notte del 24 giugno, una vigilia considerata apotropaica.

Ma la preparazione che raggiunse la maggior fama, assieme all'acqua

della Regina vista precedentemente, è, senza dubbio l'aceto dei 4 ladri;

secondo la leggenda, questo farmaco era usato, per inalazione, da

quattro sciacalli che depredavano le case degli appestati, durante l'e-

pidemia del 1630, per difendersi dal morbo: catturati, si dice che eb-

bero salva la vita in cambio della preziosa formula.

Ancora nella prima metà del Novecento erano in uso una mistura

per frizioni generali stimolanti, e una tintura composta per la cura

dell'alopecia (entrambe di O. Martin), un'acqua vulneraria ed un bal-

samo nervino (entrambi dalla Farmacopea Elvetica).

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SCHEDA DEL ROSMARINO SECONDO CASTOR DU-

RANTE DA GUALDO (da "Il tesoro della Sanità", 1588).

Qualità. È caldo & secco nel secondo grado. I fiori sono

mollificativi, digestivi, incisivi, astersivi, resolutivi, aperi-

tivi, & corroborativi.

Scelta. Il megliore è il tenero , & fiorito.

Giovamenti. Riscalda lo stomaco, ferma i flussi, giova a

gli asmatici preso col mele, & alla tosse, è cordiale, & de i

suoi fiori se ne fa col zuccaro conserva, per confortar lo

stomaco, il cuore, & la matrice.

Nocumenti. Con la sua agrimonia esaspera l'arterie.

Mangiato con m(i)ele gli si toglie ogni nocumento.

La Quaresima i rametti fioriti, & teneri del rosmarino si

bagnano, & aspersi di farina e zuccaro, si friggono nella

padella con olio dolce, & son molto soavi al gusto e grati

allo stomaco, & fritto il rosmarino insieme col pesce, lo

rende più sano.

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SCHEDA TECNICA DEL ROSMARINO SECONDO LE

MODERNE ACCEZIONI FARMACOLOGICHE.

Rosmarinus off. - Labiate, var. latifolius e angustifolius.

Sinonimi popolari e nomi stranieri: rosmarino coronario,

erba delle corone, rosa marina, ramerino, tresmarino, ro-

se marine, encensier herbe aux courones, roumanieou,

romarin, rosemary.

Habitat: bacino del Mediterraneo.

Principi attivi: nell'olio essenziale, sono presenti borneo-

lo, acetato e valerianato di bornile, pinene, canfene, can-

fora, un glucoside, una saponina acida, una sostanza

amara, poco tannino.

Proprietà terapeutiche: stomachico, stimolante ed anti-

spasmodico. Giova nella dispepsia atonica, nelle gastral-

gie e negli stati di languore. All'esterno si impiega in ba-

gni aromatici, linimenti stimolanti e contro il pidocchio

del pube.

Forme farmaceutiche e posologia: infuso 1-2%; essenza,

IV -VI gocce in acqua, per os. o in soluzione alcoolica per

frizioni. Entra nella composizione dell'alcolato aromatico

composto; fa parte delle specie aromatiche.

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ESPERIMENTI DI MAESTRO NICCOLAO DA COSTANTINOPOLI1.

Gli Accademici della Crusca riportarono nel loro Vocabolario brani di questo "Libro di medicina", inserito nella Biblioteca Laurenziana come codice 88. Red. 186, in una miscellanea riferibile a Francesco Redi (XVII secolo), ma numerosi vocaboli errati o poco intellegibili, fanno dubitare di questa attribuzione e ci indicano una stesura assai più an-tica. Ciò è confermato dal fatto che l'autore cui ci si riferisce è senza dub-bio Nicola Merepso, se si confronta il testo con il suo "De compositio-ne medicamentorum", un ricettario redatto sulla falsariga dell' "Antido-tarium" del medico Nicola della Scuola Salernitana, come elemento di raccordo fra le cognizioni mediche del XII secolo e quelle più avanza-te della Scuola Medica di Reggio Calabria. Queste cognizioni egli aveva affinate nella lunga permanenza nell'Oriente Bizantino, a Nicea e Costantinopoli, e ad Alessandria, città da cui proveniva. Tuttavia, poiché il nostro codice è un manualetto di poche pagine, sin-tesi di una vera e propria farmacopea, intercalato anche con brani di provenienza da opere alchemiche, da credenze popolari, da preghiere cattoliche, e con frequenti refusi, tutte cose che non si possono certo riferire al grande Niccolò di Alessandria, probabilmente ci troviamo di fronte ad una raccolta di secreti che ebbe come fonte principale il succitato eminente medico - speziale.

1 Nicola o Niccolò Merepso (o Mirepso), bollitore di mirra e apoteca-

rio del XIII secolo, abitante ad Alessandria d'Egitto, anche se è consi-

derato, a tutti gli effetti, un appartenente alla Scuola Medica di Bi-

sanzio. La sua farmacopea conteneva più di 2500 formule, e divenne

uno dei testi guida per gli speziali fino al XVII secolo.

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INCIPIT EXPERIMENTA MAGISTRI

NICHOLAI DE COSTANTINOPOLI.

A curare ogni febra: dà a l'omo l'occhio ritto del montone, e a

la femina dà l'occhio manco, e gueriscono.

Acciò che la femina ingravidi, fà questa medicina provata: pi-

glia gli coglioni e lo cuore del porco d'uno anno, o vero di due,

e sia de la prima genitura de la troia, e secca questo cuore [e]

questi coglioni, e polvere ne fà: e dà questi coglioni a bere [col

vino] a l'omo e a la femina, e usino insieme, e avrà a 'ngenera-

re. Item, quel medesimo fanno, se 'l porco è salvatico e giova-

ne, stemperati col vino buono e caldo, dato loro a bere il detto

vino. Item ad ingravidare, medicina forte provata: piglia lo ve-

sco2 del rovo e pestalo, e dallo a bere col vino, cessante me-

struale.

Item, acciò che la femina non pec(c)hi se non col marito: quan-

do l'omo si pone co' la femina ungasi lo membro suo col suc-

chio dell'isopo verde; e parralle sì dolze, che non vorrà usare

con alcun omo, se non co' lui; questo facea Alessandro3. Item,

quel medesimo fa il succhio de la niepeta4.

2 Fragaria vesca è la fragola, e Rubus ideus il lampone, ma si preferi-

sce intendere vischio (come si trova anche nel Tommaseo) ed allora

si tratterebbe del Rubus chamaemorus, il rovo senza spine, spesso

parassitato dal vischio. 3 Famoso medico greco del VI secolo, autore di numerose opere, fra

cui ricordiamo "Practica Alexandri yatros greci". I suoi testi furono

pubblicati per più di un millennio. L'opera citata, ad esempio la ri-

troviamo riportata in "Therapeutica", lib. III. Per F. Fradin. Lugduni,

1504. Le sue ricette si ritrovano ancora in farmacopee del Settecento. 4 Nepitella. Nepeta cataria - Labiate, detta popolarmente anche men-

tuccia, empitella. Si usa ancor oggi in cucina per aromatizzare i fun-

ghi in umido.

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Item, a li dolori dentro del corpo: pesta l'erbaggine5 e dagli a

bere lo succhio, e sana tutte le 'nteriora.

Item a la morsura de lo scorpione la radice de la piantagine, pe-

stata e legata in su la morsura, maravigliosamente vi fa prode6.

Item se serpente, o vero altro verme entra a l'omo nel ventre,

dagli a bere longhoste7 col vino, e guarirà.

Item, oleum fraxini, posto in de la boca de la fistola forte, bene

la sana.

Item la brionia cotta, tota die, in dell'acqua, e posta sulla ferita,

se v'è ferro o sia brotto8, o sia spina, sinne la cava fuori e trage-

la9 a di sé.

Item, medicina provata a la rogna: cuoci bene la radice degli

anfodigli10

nell'acqua, e mondale da la pelle di fuori, e poscia

con la sugna del porco vieta ungine; e sana ogni rogna.

Item la pimpinella11

pesta col sale: sana lo cancro e cura e uc-

cidelo.

5 Per erbaggine ed erbaggio s'intendeva qualunque erba commestibi-

le. Il termine si trova anche nel "Trattato della cura degli" occhi di

Pietro Spano: "A fistola de la lacrimaia tolle lo sugo de la erbaggine,

et meschia [con] detta [acqua], ponendola con bambage: sana tosto".

Probabilmente, in entrambi i casi, si fa riferimento alla melissa, che

ha azione antispastica sull’apparato digerente e antinfiammatoria

per gli occhi. 6 Crea una barriera, una sponda al diffondersi del veleno. 7 Palinurus elephas, un crostaceo detto anche aragosta della Mauri-

tania o americana. 8 Brutto, intendendo pus, marcia. 9 Così la cava da questa, e la trae a sé. 10 Asfodelo, pianta delle Liliacee (Asphodelus ramosus), detta anche

porraccio. Era considerata dagli antichi Greci l'erba dei morti. 11 Altro nome volgare della salvastrella (Sanguisorba minor - Rosa-

cee). "Mangio teco radicchio e pimpinella" (G. Pascoli).

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Item, a li fici12

che appaiono per li membri, ponvi sopra la pol-

vere dell'alce13

, e sanali.

Item, se saetta, o vero quadrello, o troncone14

entrano in de la

carne de l'omo, pesta le radici de lo polipodio15

nel mortaio col

vino vieto, e pollo in su la bocca della ferita, e legalovi suso; e'

cavane fuori cheunque v'è.

Item, a fare li capelli lunghi e crespi: togli li nervi de la pianta-

gine e seccali in umbra, e fanne polvere, e distemperagli col

butiro, e fà bollire; e se vuoli che sieno forte lunghi, mettivi a

bollire un poco d'aceto, e ugni poscia lo capo. Item, se vuoli

che li capelli vegnano insino a li piedi, cuoci, in una pignatta

nuova, la radice del bene vischio16

, e le foglie de' trefogli, e le

12 Erano detti fichi le escrescenze del glande note anche come 'creste

di gallo'. Da ciò, si chiamarono fichi anche le bolle che si formano

nelle pelli mal conciate, e i rammendi difettosi. 13 Alcea, poi altea. Nome popolare di un genere di malva, la M. alcea.

Il nome dal poeta greco di Mitilene del VII secolo a. C. 14 Troncone era detta la parte residua di un albero spezzato o scapez-

zato. "Stanco mi appoggio or al troncon d'un pino" (U. Foscolo). Qui

sta ad indicare una scheggia di legno; troncatura è detto, infatti, l'in-

sieme delle scorie della lavorazione delle segherie. Significato analo-

go aveva 'quadrello', anche se più riferibile a una scheggia di ferro:

infatti il quadrello era un pugnale medievale a sezione quadrata, op-

pure un dardo a quattro punte; poi per estensione venne ad indicare

qualsiasi arma da lancio, in particolare la freccia dell'arco o della ba-

lestra, dette anche saette. "Amor l'amate sue quadrella spende in me

tutte" (F. Petrarca). In seguito il vocabolo indicò un grosso ago, sem-

pre a sezione quadrangolare, impiegato per cucire spesse stoffe, pel-

li, ecc.; infine l'ambrogetta o mattonella quadrata. 15 Felce delle Polipodiacee, nota come felce dolce. 16 Benefischio: sinonimo popolare dell'Altea off. - Malvacee, detta an-

che bismalva e malvavischio. La parola 'benevischio' è rara, ma si

trova nei "Secreti" di G. Villani, nel volgarizzamento del "Regime del

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radici e le frondi de li petrosemoli17

, tanto dell'uno quanto

dell'altro, coll'aceto e col mele; e poscia le premi bene, e cola, e

serba questa colatura, e lavane il capo, e ugni spesso.

Item, a li capelli tignosi: piglia aloe e distempera coll'aceto, e

fa bollire, e lavane le cime de li capelli tignosi.

Item, ad ignem sacrum18

: ugni lo corpo, ove è lo fervore,

coll'uovo crudo, e poscia vi poni suso le foglie de cauli19

, e

avra'ti a meravigliare de la santade.

A la cottura de l'acqua ponvi su le frondi del lino; e toglie via

l'ardore.

Item, ad ignem agrum: pesta lo cascio20

bene, e giugnivi del

mele che sia molle, e ungi lo luogo, e ponvi su la fronde del

cavolo, e al terzo dì non si parrà.

Item, se vuoli mette' discordia da una persona a un'altra, piglia

la polvere che levano i galli quando si azuffano; e questa pol-

vere getta tra quelle persone.

Item, quando lo cane rabioso morde alcuna persona, dagli a be-

re il succhio de la ruta col vino, e guarirà. Item, le foglie de la

ruta peste poni in su la morsura, e medicala. Item, a quel mede-

simo la piantagine, idest la quinquenervia21

, pestala e ponvila;

corpo" di Aldobrandino da Siena, in Filologia e letteratura siciliana:

studi", dove è riportata, in proposito, una antica ricetta. 17 Uno degli innumerevoli sinonimi del prezzemolo, o Apio hortense. 18 L'herpes zoster, detto popolarmente fuoco sacro o di S. Antonio,

per il bruciore che sviluppa all'interno del corpo; in contrapposizione

all'ignem agrum, che indicava la stessa malattia che si manifestava

esternamente, sulla cute. 19 Il latino 'caulus' indicava generalmente il gambo, il fusto di una

pianta. Da ciò derivò la parola cavolo, perché la nota brassicacea è, di

fatto, costituita. quasi del tutto, dal fusto, sebbene rotondeggiante. 20 Cacio. 21O centinervia e petacciola, di cui si usavano i semi (detti di Psillo),

per farne una mucillagine simile a quella dei semi di lino, utile a

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e' sana la morsura. Item, la betonica pesta, e posta sana simi-

gliarmente.

Item contro lo dolore de' denti: pesta l'aglio e pollo in sul polso

presso alla mano da quella parte che duole lo dente, e inconta-

nente umilia lo dolore. Item lo galbano22

, con l'opio, posto in

sul dente, toglie il dolore. Item, bolli la polvere de la radice de

la vallerana23

col vino, e tieni questo vino un poco in bocca, e

gargarizza, e incontanente sana li dolore de li denti; e dicono

molti medici, che da indi inanzi non à più dolore in denti.

Ad avere la faccia chiara e bella: mescola lo succhio dell'ana-

gallo24

con l'olio rosato, e ugni la faccia.

Item, unguento alle fessure de le mani e de' piedi: piglia lo li-

targio e plumbum arso25

, tanto dell'uno quanto dell'altro .†.

Ponvi una candela ed aceto, e mesta molto insieme colo pestel-

lo, e poi vi metti un'altra gocciola d'aceto, e anche pesta col pe-

stello; e questo fà per più fiate; e mescola bene insieme, insino

che si fà unguento come mele.

preparare cataplasmi; la decozione, bevuta, era blandamente diureti-

ca, astringente e depurativa. 22 Gommoresina ottenuta dalla Ferula galbaniflua, un tempo usata

per l'effetto balsamico o, come nel nostro caso, per incorporare e di-

luire droghe eroiche come l'oppio. 23 La valeriana, dal blando effetto sedativo. 24 Anagallis arvensis - Primulacee, detto anche centocchio, bellichina,

terzanella, erba porraia, mordigallina, erba che fa cantare le galline. 25 Il litargirio è un ossido di piombo naturale di colore rosso arancia-

to; il nome dal greco lithos (pietra) e argyros (argento). Prima molto

impiegato in farmacia, divenne poi un componente essenziale per

l'industria del vetro e degli specchi.

Il piombo arso, o usto era il sottossido che si otteneva col calore, par-

tendo in genere dalla galena, o fondendo il piombo metallico.

La ricetta è chiaramente di origine alchemica, anche se, l'acetato di

piombo fu molto usato come farmaco fino a metà del Novecento.

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Unguento a fistola e a cancro: piglia del mele crudo, lib. J, fa-

rina ordii vel grani, lib. J, olei lentissimi З iiii, salgemma З 126

,

e fanne unguento.

Item, a 'nfrazione de la verga de l'omo: cuoci la radice del lil-

lio27

in dell'acqua, e poscia lei pesta colla sugna vieta, ma pri-

ma sia lavata del sale; e questo empiastro pollo in su la verga, e

senza dubio la guarirà.

Item, all'ucola enfiata28

: piglia salem ammoniaco29

, e pesta be-

ne, e poni questa polvere in su l'ucola.

Item, collirio forte e buono e efficace contra ruborem oculo-

rum30

. Cuoci lo melograno sotto la cenere viva, e quando sia

cotto, premine lo succhio e [aggiugni] tanto d'acqua rosata che

sia per lo terzo di questo succhio, e una poca di polvere di gumi

rabici31

, e in ampulla vitrea poni queste cose, e serbale: e vale a

molte passioni d'occhi, e specialmente contra le caldi.

Item a le fessure de le labbra: piglia la gumma de li ceragi, o

vero de li pruni32

, e distempera co l'acqua rosata.

Item, a coloro che di subito perdono la parola, che non possono

favellare, lo succhio de l'origano mettigli nel naso, e inconti-

nente parlerà.

Item, se vuoi pigliare gli uccelli con mane: piglia lo grano de la

feccia del vino, e mettili nel succhio de la cicuta; tutti gli uccel-

26 Miele, farina d'orzo o di grano, olio leggero e salgemma fornivano

un unguento certamente emolliente ma nulla di più. 27 Giglio. 28 Ugola gonfia. 29 Era detto sale ammoniaco il 'muriato' o cloruro d'ammonio, ottenu-

to dalle miniere egiziane di Ammon e, prima della scoperta del gia-

cimento, dalle corna di cervidi o simili animali. 30 Rossore agli occhi. 31 Gomma arabica. 32 Per ottenere una gommoresina nostrale, a basso costo, si incideva

la corteccia di alberi indigeni, come ciliegi, susini, ecc., selvatici.

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li che assaggeranno di questo grano non potranno volare po-

scia.

Item, lo bolo armenico33

in acqua tiepida distemperato e posto

su la faccia, ogni turpitudine e le(n)tigine toglie via intra spazio

di tre dì.

Item a trovare lo furto scrivi queste cateratte34

in una carta ver-

gine, e polle sotto lo capo tuo quando dormi nel letto, et in so-

gnio t'apparae inanzi quelli che le tue cose t'avrà tolte:

B.C.C.R.Y.A.L.S.I.A.A. Item, a trovare lo furto scrivi queste

nomora35

in carta vergine, e poni sotto lo capo a colui che à

perduto: VENINAERES ENS'. CEA CERUNA THA HIUA

TE P... SIRITO FERALIS SCRAU' EROGO ET UT MALE

FACTOREM OSTENDAT AGIOS ALATHOS ALTUOS36

; et

apparatti veracemente in modo di prima.

33 Il bolarmeno era una terra proveniente dall'Armenia sotto forma di

'terra sigillata', vale a dire in pani sui quali si incideva un sigillo, vi-

sta la grande importanza, per evitare falsificazioni o sofisticazioni.

Ricco di ossidi di ferro, e terre alcaline, fu impiegato in farmacia per

le proprietà astringenti, poi come sorta di vernice per fissare la foglia

d'oro su superfici di legno o metalliche da dorare. La ricetta qui pro-

posta è attualissima: altro non è che una maschera all'argilla. 34 "Caratteri magici, ma nel numero dei più". Es.: Maestruzz. 2.14 e

appresso: <Alla generazione della superstizione s'appartiene ogni li-

gatura, e tutti rimedj, i quali eziandio la scienza de' medici vieta, o in

parole, o in cateratte>. <Ancora si è da guardare, che con parole sante

non si mescoli alcuna cosa vana come alcune cateratte scritte, salvo

che il segno della croce>" (Lemmario dell'Accademia della Crusca). 35 Nomura: sfilza di nomi, di parole. 36 La frase, palesemente tipica di un rituale di stregoneria o diabolico,

unitamente alla croce, che abbiamo visto inserita in una formula pre-

cedente, ci mostra come la medicina fosse ancora collegata, a quei

tempi ma ahimè ancora ai nostri giorni, all'irrazionale, alla supersti-

zione.

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Item, a la sordagine: piglia la guma edere37

, e stemperala

coll'aceto, e polla nell'orecchie del sordo, e ritorneragli l'udire.

Item, a lo dolore del capo: cuoci lo pulegio38

in dell'acqua, e di

questa aqua lava lo capo, e lo dolore va via. Item, gumma edere

tempera coll'acqua tiepida e bevuta mitiga lo dolore del capo.

Item, le frondi dell'ellera39

cuoci nel vino, e di questo vino lava

lo capo, e va via lo dolore.

Item, esperimento provato a rompere la pietra ne la vescica40

:

piglia la verminaca41

e pestala, e cavane il succhio. E di questo

succ(h)io dà a lo 'nfermo, a digiuno, un gotto in del bagnio, e

guerisce l' 'nfermo. E se vuoli provare la verità che questo suc-

chio rompa la pietra de la vescica, mettilo la sera in un mortaio

di pietra, e la mattina lo troverai rotto.

Item, contra le lagrime degli occhi: togli le rape salvatiche, e

distemperale coll'acqua rosata, o polle in su gli oc(c)hi lacrimo-

si; e' è provato.

Item, a la morsura de la serpe: piglia la radice del lillio, e pesta-

la, e dalla a bere a lo infermo, e questa radice poni in su la

morsura, e sanala.

37 La gommoresina estratta dalla Hedera helix o arborea - Araliacee.

Le furono attribuite un'azione emmenagoga ed una espettorante. Per

uso esterno svolge una blanda azione revulsiva e risolvente. 38 Mentha pulegium - Labiate. 39 Altro nome dell'edera terrestre delle Labiate, nota anche come ca-

lamenta umile. Ha azione tonica, bechica e vulneraria; è ancora usata

nelle gastralgie, nelle dispepsie, nelle affezioni delle vie respiratorie;

la tintura, per frizioni nel reumatismo e nelle nevralgie. 40 Litiasi urinaria. 41 Altro nome della Verbena officinale, così detta perché si riteneva

attiva contro gli ascaridi e gli ossiuri, parassiti dell'intestino. Altri

sintomi: erba medica, menta di S. Pietro, berbena, erba sacra, colom-

baria, erba croce, erba mora, erba turca.

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Item, a coloro che perdono lo vedere: piglia la grassa de li gatti

masculi, e grassa di gallina bianca co lo suo f(i)ele; mescola in-

sieme, e ungene l'occhio, e vedrà.

Item le corna del toro, portate, fanno fuggire li serpenti. Item lo

sangue del toro uccide lo serpente.

Item lo quore del cane che sia ucciso innanzi VIIII dì, portato,

neuno cane ti può abbaiare. Item, la lingua di questo cane, che

detto è, portata sotto lo dito grosso del piede, non ti lascia ab-

baiare nullo cane.

Item, prendi una foglia di castagno, la quale lo vento la meni

per l'aire, anzi che posi in terra; e questa fronde, se la metti ne

la sella, o di mulo, o di cavallo, non resta di scalcheggiare42

in-

fino che l'à a dosso.

Item, a lo male della magrana43

, prendi lo seme di un'erba che

si chiama ventierba44

, e pestala, e falla bollire nell'olio, e que-

st'olio poni in una pezza di panno lino, e polla in su li polsi, e

guerisce.

42 Non smette di scalciare. 43 “Dolore che affligge la metà del capo. Lat. Hemicrania” come si

evince dal dizionario della lingua italiana edito a Bologna nel 1822,

per la stampa dei F.lli Masi e comp., dove sono citati due testi: “Altri

dicono che sanno incantare il mal degli occhi e ‘l duolo de’ denti, la

magrana…”, “Ma se ti nuoce il mal della magrana, fa stillare una

predica tedesca”. Magrana era detta anche la melagrana (dal francese

magraner), ma non è il nostro caso. 44 Il così detto pennacchino, o capellini (Agrostis alba - Graminacee),

erba comune nei luoghi coltivati, detta anche spica venti, o forasac-

chi. Agróstis in greco significa gramigna.

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Item, piglia la radice del pane porcile45

, e pestala, e cavane lo

succhio, e di questo succio metti due candele46

in delle nare del

naso, da quella parte dove non è lo male, e guarirà imantanente.

Item, se lo garzone non può orinare, e avrà la vergella infila-

ta47

, piglia le procacce48

, e cuocile, e poscia le pesta, e involgi-

ne la vergella, e incontinente disenfia e urina.

Ala febre quartana, esperimento provato forte: quando lo 'in-

fermo va in alcuno luogo, e trova alcuna maricha49

che non la

vada cercando, inginocchisi a li piedi, e dica tre pater nostri e

tre ave marie, e poscia si cavi la pietra ch'à in de la testa, e

pognisela al collo ad ora medesima, con tre pater nostri, e con

tre ave marie, e senza dubbio guarirà. Item, esperimento: molte

volte quelli che ave febre quartana, a la casa di quella persona

che bossa50

inginocchisi a' piedi dell'uscio, e dica tre pater no-

stri e tre ave marie al nome di Dio e de la Santa Trinitade, e to-

45 Nome popolare del ciclamino, così detto perché maiali e cinghiali

amano grufolare nei boschi per trovarne il bulbo, per loro assai gu-

stoso. 46 Candelette, ottenute addensando il succo e facendolo assorbire da

una polvere inerte. 47 Patologia per cui i testicoli (e a volte l'asta del membro) sono rite-

nuti all'interno del ventre, con conseguente infiammazione e difficol-

tà urinaria. 48 Altro nome della Portulaca oleracea, detta anche porcellana. 49 Demone di cui si parla nel poema epico indiano “Ramajana”. Qui

indica in maniera allegorica la malaria.

Con il nome di marica s’indicava anche una varietà di pepe nero; la

Marica cœrulea è una pianta delle Iridee, e Marica è anche il nome di

una ninfa delle paludi, ma tutte queste cose non fanno al caso nostro.

In ogni caso non si comprende quale pietruzza si debba togliere dal

capo e da chi: con ogni probabilità questo termine indicava, in qualche

stato asiatico, anche un animale con un’escrescenza dura sulla testa. 50 A cui bussa.

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glia una scheggia del soglio dell'uscio con uno coltello, e que-

sta scheggia la ponga al collo involta in un panno, e sia guerito

incontanente.

Item, a la fistola esperimento provato: se la fistola non è in

dell'osso fermata, o vero in de li nervi, pigli la foglia de l'agri-

monia51

e sospendela a collo dello 'nfermo; seccata l'erba, sia

seccata a fistola.

Item, a colui che li si congela lo sangue in corpo per ferita che

abia: pesta la niepeta, e cavane lo succhio, e dalli a bere, e in-

contanente li si fa uscire lo sangue fuori per la ferita.

Item, chi àe preso tossico o veleno, ossia ch'abia ferita tossica-

ta: dagli a mangiare de le noci e de li fiche secchi, e assai se ne

manicra52

, lo veleno tira a sé. E se sarà ferita di ferro tossicato,

piglia li fichi secchi e le noci monde, e masticale colla bocca, e

così masticate, polle in su la ferita, e tutto lo veneno trage a sé;

e fallo questo più fiate, e simigliante fà in de la postema ve-

nenorum. Item, s'alcuna persona sia tossicata, o vero ch'abbia

bevuto veleno, piglia simplioniaces53

pondus dr. ii, e distempe-

ra in dell'urina de la femina, e dalla a bere a lo 'nfermo che nol

sappia; e' vomica tutto lo veneno; e poscia manduchi platas iii,

erexensis cerfolii54

, e beia lo latte dell'asina, e sia guerito.

Explicunt quedam experimenta Magistri Nicholai de Costanti-

nopoli. Deo Gratias.

51 Agrimonia eupatoria - Rosacee: il nome deriva dal latino 'argemo-

nia', termine con cui Plinio chiama la cateratta oculare; infatti si rite-

neva questa pianta utile a curare tale patologia. 52 Una forma dialettale per 'mangia'. 53 Non si è trovato in nessun altro testo antico il vocabolo latino sim-

plioniaces: in ogni caso si tratta di un emetico. 54 Anthriscus caerefolium - Ombrellifere, che, giovane e fresco, si

mangia in insalata. Va segnalato il tardo latino di 'platas' (per piatti),

vocabolo derivato dall'aggettivo 'plattus' (in greco platýs) e non dal

latino antico 'patĭna'.

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COME SI DEBBA VIVERE IN TEMPO DI PESTILENZIA SECONDO MAESTRO GIOVANNI DA DONDOLI DA ORIOLO

il quale compose a richiesta dell'Arcivescovo di Parigi.

Il testo, che si trova nel cod. Magliab. - cl. VII, palch. 1, n. 1015, fu re-datto da Giovanni Dondi Dall'Orologio, medico, naturalista, astrologo, astronomo, inventore, umanista, diplomatico e politico, nato a Chiog-gia intorno al 1330, e morto a Genova nel 1389, dopo aver soggiorna-to in numerose città, fra cui Padova, e Pavia, per svolgere le sue atti-vità. Tralasciando le sue innumerevoli ed importanti pubblicazioni, di-remo che, dopo la peste del 1383, scrisse il trattato pratico "De modo vivendi tempore pestilentiali" (edito in lingua tedesca da K. Sudhoff, nel 1348). Il brano che si trova nel codice citato è in pratica la tradu-zione in volgare di quella pubblicazione. Simile lavoro, il trattato del Maestro Tommaso di Dino Del Garbo, "Consiglio contro a pestilentia", che la casa editrice I Giunti di Firenze pubblicò assieme a "Contro a peste" di Marsilio Ficino, e alle operette di altri autori (1576). La stamperia del Vocabolario e dei testi di lingua dell'Accademia della Crusca editò poi nel 1863 un "Libro della cura delle febbri" e un "Libro della cura delle malattie", che si possono riferire a questo trattatello.

In prima. Come si veggono i segni che l'aria sia corrotta, studisi

a purgare lo corpo con opportune medicine, a pugnere le vene e

trarre sangue, secondo lo consiglio di pratici e ben dotti medici,

secondo che essi comprenderanno per lo segno delle orine e de'

polsi.

La mattina quando si leva, si lavi le mani e 'l viso con acqua

fresca e dolce, e lavisi la bocca, e stropicci li denti e le gen-

gi(v)e, gorgogliando di quell'acqua, e sputandola. Lavato lo vi-

so, le mani e la bocca, tolga aceto forte e temperisi con acqua

rosata o comune, e lavisi li polsi delle tempie e delle braccia e

gli nari del naso. Non esca di casa inanzi lo sole levato, né stia

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fuori, poiché esso sole sarà corico1. Fuggi ogni aria rubbiosa

2 e

turbata, e ogni vento orientale o (a)mericano. Poi che sarà leva-

to, e lavato lo viso e l'altre parti scripte, e fomentato li polsi con

aceto, non uscire di casa, in prima pigli una fiamma di legne

secche e odorose, siccome di ramerino, ginepro, mortina3, allo-

ro, frassino o quercia. El fuoco di carboni fuggi, e se stessi tan-

to al fuoco, che avesse generata bracia, sicuramente gittavi su

un poco di costolo, o sandalo, o di canfora, o incenso4, e saran-

noti buone armi. E se è huomo di robusta complessione, inanzi

che esca fuori mangi tre bocconi di cicerbita5 con poco aceto e

poco pane; se fusse di più debole complessione, mangi una fet-

ta di pane messo in vino bianco, o altro vino (con) mezo

(d')acqua.

1 Tramontato, coricato. 2 Rabbiosa, che 'raffia' per la bassa temperatura e l'umidità dovuta

alla rugiada. 3 Il mirto, detto anche mortella. 4 Col nome di costo s'indicavano alcune piante come la cannella (per

la struttura della corteccia essiccata), il Tanacetum balsamita (Com-

posite), e soprattutto il Costus arabicus, var. dulcis ed amara, tutti

vegetali assai aromatici.

Il sandalo è il legno di due principali piante indiane appartenenti alle

Santalacee e alle Fabacee, Santalum album e Pterocarpus santalinus

(sandalo rosso), dalle quali si estrae un olio essenziale molto impie-

gato in profumeria.

La canfora è la sostanza bianca, cristallina, dall'odore penetrante, che

si estrae per distillazione in corrente di vapore del legno del Cinna-

momum canphora - Lauracee.

L'incenso è la gommoresina essiccata che si estrae da diverse piante

orientali appartenenti alle Burseracee. 5 Sonchus oleraceus - Composite, detto crespino, ottimo per insalate.

Ma potremmo trovarci di fronte ad una forma dialettale di cucurbita,

la zucca.

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In ogni pasto dove si mangi carne, lo suo savore sia aceto, o

agresto, o sugo di melagrane acetose, o di limoni, o melarancie.

E per lo simile le carni sieno castroni dell'anno6, e cavretti, vi-

tella di lacte, lepri, pernici, fagiani e pollastri. E se mangiassi

pesci, sieno di dolci e chiare acque, e sieno cotti in su la grati-

cola. Puossi in minestra mangiare lenti, cioè la cocitura7, zuc-

che, melloni e farro. Non stia digiuno e non patisca fame, né

sete, usi sicuramente tissana, cioè acqua d'orzo, o aceto inac-

quato, o vino di melagrane acetose, o sciroppo acetoso, o di ce-

drino8, o di limoni con acqua fredda. Fuggasi tutti i frutti di

dolce sapore e ogni composizione di m(i)ele, e ogni dì pigli una

o due pillole di questa ricepta. Aloe, mirra e zafferano, e con-

fettinsi con buon vino bianco di buon sapore e colore, e con

sciroppo acetoso. E chiamonsi pillole contro a pestilenza. An-

cora, ogni settimana, una volta pigli quanto una fava d'utriaca9

fina. La mattina a digiuno, quando piglia la triaca non pigli le

pillole. E nota che, non ostante che pigli le pillole, segui di pi-

gliare quello che disopra è decto, inanzi che eschi di casa; che

l'una cosa non à a impedire l'altra.

Fuggansi abbracciamenti di femmine, e tutti gli esercizi disor-

dinati, e generalmente ogni cosa che à a riscaldare li sangui,

fuori del caldo del fuoco sopra decto. Non dormire di giorno,

né stia al sole, né in luoghi umidi e reumatici; e così la stufa e

ogni lavamento d'acqua calda, se non fosse costretto da neces-

sità. Quando va fuori, porti in mano una spugna molle in aceto

fortissimo, e molto spesso se la ponga al naso. Masticare spes-

6 Castrone era detto l'agnello o il puledro, evirati in giovane età. 7 Il sugo ottenuto cuocendo le lenticchie. 8 Cedrina: Lippia citriodora - Verbenacee, detta anche limoncina ed

erba Luisa. 9 Triaca, come si dice nella fase successiva, l'antidoto composto di più

di cinquanta sostanze, che richiedeva giorni di preparazione e per-

sonale addetto numeroso e specializzato.

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so foglie d'ermolino, cioè corbexole10

: molto pro fa; imperò che

è pontico11

e acido. Ancora si debba ciascuno guardare dal fia-

to delle persone, e maxime viandanti e peregrini, che per lo

lungo cammino sono dentro riscaldati, e (hanno) le interiora

putrefatte: e generalmente da ogni fiato è utile astenersi e fug-

girlo. Ancora si fugghino tutti i puzzi di cose corrotte, di corpi

d'uomini o di animali, o di gente inferma; che avenga Iddio12

che a ogni tempo sia ogni puzzo contrario alla nostra natura, e

maxime in tempi di pestilenzia è da fuggirli. Se pure accadesse

gustarlo, subito si debba l'uomo optimamente una volta e più

ben purgare lo naso, e poi con aceto fomentare e tirare su l'odo-

re, sicché 'l celabro13

ne senta; e poi subsequentemente li polsi,

cioè le tempie e le braccia: e se pure alcuna volta accadesse,

l'uomo, da necessità costretto, andasse ad alcuno infermo d'in-

fermità pestifera, non abbandoni la spunga, ma spesso se la

ponga al naso14

, e stia (al) largo più che può, e abbrevi le paro-

le; e come torna a casa, lava la bocca e gli nari, prima con l'ac-

qua fresca e poi con aceto, e non mangi sì tosto, accioché prima

10 Arbutus unedo - Ericacee. 11 Amarognolo. Analogamente, infatti, era detto rapontico un tipo di

rabarbaro particolarmente amaro. 12 Esclamazione col valore di “voglia Dio”!. 13 Il cervello. 14 Abbiamo già detto nelle note relative al trattatello sul rosmarino

dell'aceto dei quattro ladri, raccontandone brevemente la leggenda.

Di questo preparato, che con varie modifiche è giunto fino al Nove-

cento, per l'azione antisettica, esistono numerose ricette: ne propon-

go una, sintetizzata da un codice della Biblioteca Lancisiana.

Assenzio maggiore e minore, rosmarino, rughetta, salvia, menta, la-

vanda, calamo aromatico, ana dramme 5 / noce moscata dramme 4 /

chiodi di garofano dramme 2 / spicchi d'aglio n. 6. Pestare tutto in un

mortaio e mescolare con pinte 1 1/2 d'aceto forte di vino rosso. Lascia-

re in infusione per un giorno e filtrare.

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ogni puzzo sia risoluto e ben purgato. Ancora, in quanto è pos-

sibile, studi l'uomo di fuggire tutte quelle cose che ànno a con-

tristare la mente. Inpercioché per le passioni malinconiche, el

cuore sbigottisce, e li sangui si conturbano. Ma per lo contrario

studi a letitia, e cose che abbino a conducere riso, con che lo

cuore si dilecti, come è cantare e suonare o vedere cose gioiose

e vaghi narramenti; mutare spesso camicie bianche, usare belli

vestimenti, giuochi di tavole o di scacchi, né altri giochi sono

utili, per lo fatto che rende l'uno all'altro. Ma vedere di lungi

certi luoghi di riso o di festa è buono15

, e generalmente cercare

tutte quelle cose che ànno a letificare lo cuore. Al contrario

fuggi ogni exercitio che facci lo corpo sudare e li sangui riscal-

dare.

Modo come la persona si debba reggere

per mantenere la sanità.

Poi ch'ài desinato o cenato, mangia mezza dramma di coriando-

li non confetti, e non bere. La cena tua sia più sobria, lo desina-

re più largo. E se ceni, sia la carne arrostita e non lessa. E dopo

la carne mangia un poco di buon formaggio; frutti e erbe crude

fuggi e cose molto calide e fummose. Schifa lo vino; se è pos-

sente, la terza parte sia acqua ma dolce e fresca. In ogni pasto,

sempre bei meno che puoi e dopo pasto non bere. Poi ch'ài

mangiato, non t'afaticare, ma inanzi lo cibo lo fa' se non ài fa-

me; se ài fame, mangia e non ti esercitare. Dopo cena va co'

passi, ma adagio; e se v'è fiume, vallo o vedere, non sedendo,

ma stando. Inanzi che sia compiuta la tua digestione, o da mat-

15 Il consiglio di frequentare locali dove si poteva festeggiare in com-

pagnia fu una delle cause della propagazione esponenziale della pe-

ste, cosa che si può dire anche per le processioni o altre funzioni reli-

giose indette allo scopo di pregare Dio perché allontanasse quel fla-

gello. Questo perché si aumentavano i contatti fisici, il che favoriva

naturalmente la diffusione del battere.

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tina e da sera, guardati di non usare con femina, ch'è molto

noioso alla natura, e molte infermità per questo s'ingenerano:

imperò che per questo si turba allo stomaco il caldo naturale,

donde lo cibo, non cocendosi, infracida. Non dormire di giorno

che è rio. La notte tiene il capo alto, e non troppo caldo, e non

dormire supino; non studiare molto con lo corpo pieno. Desi-

nando, o cenando, canti e suoni e risi, e giuochi molto aiutano

la digestione, e lo contrario corrompe lo cibo. Deo gratias.

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RICETTA DI MAESTRO MINGO DI FAENZA CON UN SAGGIO DI UN CONSIGLIO MEDICO CONTRO LA PESTILENZA DI UN TRE-

CENTISTA.

Fra le opere a stampa Magliabechiane, Marucelliane e Ricciardiane si trova per tre volte il consiglio di Maestro Tommaso del Garbo, unito con l'analogo consiglio di Marsilio Ficino contra a pestilenzia e con la ricetta di una polvere composta da Maestro Mingo da Faenza. La pri-ma edizione fu pubblicata a Firenze, per gli heredi di Philippo di Giun-ta (settembre 1522): consta di 61 carte più l'indice ("Contro alla peste: il consiglio di Messer Marsilio Ficino. Il Consiglio di Maestro Tommaso del Garbo. Una ricetta d'una polvere composta da Maestro Mingo di Faenza; una ricetta fatta nello studio di Bologna et molti altri reme-dij."). La seconda (successiva di pochi mesi e dello stesso editore) di 60 carte compreso l'indice. La terza, in Fiorenza, appresso i Giunti, MDLXXVI, di 120 carte più 8 di indice. Da quest'ultima edizione è trat-to il brano che segue. Bianchelli Domenico, più noto come Menghus Bianchellus, fu un grande filosofo e medico, nato a Faenza intorno al 1440: studiò a Fer-rara dove divenne, giovanissimo, insegnante di filosofia. I suoi scritti logici furono raccolti in tre importanti incunaboli "Commentarius cum quaestionibus super logica Pauli Veneti" - Venetiis, MCDLXXXIII, "Summae logicae Pauli Veneti" - Venetiis, MCDLXXXXVIII, "Questio-nes de primo et ultimo instanti" - Ferrara, MCDLXXXXII. Nell'edizione del 1520 della Summa sono elencati gli altri lavori, non certo meno importanti, scritti durante il periodo ferrarese. Bianchelli ebbe notevole fama come medico, fu stimato da Giulio II, e nel 1515 insegnò medi-cina a Pisa. Degli scritti medici ci sono pervenuti "De morbis particula-ribus a capite ad pedes et de omnium febrium genere opus" - Vene-tiis, MDLXVI, "Tractatus de balneis" - Venetiis, MDLIII, pubblicati po-stumi. Non è nota nemmeno la data della morte di Bianchelli, ma di certo posteriore al 1520.

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La ricetta di Maestro Mingo da Faenza, medico singulare, d'u-

na polvere da pigliarsi immediate che l'huomo si sentissi feb-

bre, o avesse sospetto di [...] essere incorso nella infettione pe-

stilentiale; e non potendo così immediate, almeno in fra doi ho-

re di poi ti sarà presa la febbre; & non essendo febbre di peste,

non può nuocere.

Recipe dittamo bianco, corno di cervio arso, bolo armeno, san-

dali rossi, tormentilla, e canfora1; di ciascuna per egual parte,

& pesta sottilmente, poi la de' pigliare in questo modo: togli

dramme due della detta polvere, e tre oncie d'acqua d'indivia

con tanta triaca, quanto una fava.

Dopo questa ricetta nel trattato di Marsilio Ficino ed altri è posta la descrizione di un elettuario scritto nello studio di Bologna. La disposi-zione nel testo non chiarisce se questa prescrizione si riferisce sem-pre a Maestro Mingo, o è un'aggiunta al consiglio di Del Garbo, termi-nato nella pagina precedente.

Ricetta d'un lattovaro fatta nello studio di Bologna.

Recipe un uovo, e cava la chiara per uno buco di sopra, et empi

il detto uovo di zafferano intero, e fallo cuocere in su la brace

tanto che 'l guscio sia nero, dipoi pesta detto uovo con il guscio

tanto che sia ben sottile.

Recipe senapa bianca tanta quanto pesa l'uovo co'l zafferano

pesto, e pestasi di per sé [...] et da poi si pesta con l'uovo, tanto

sia bene incorporata.

1 Dittamo è il Dictamus albus - Rutacee, da non confondersi con il

dittamo cretico (Origanum dictamus - Labiate).

Tormentilla era detta la Potentilla erecta - Rosacee.

Gli altri componenti sono stati descritti nelle note relative ai codici

precedentemente commentati.

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Recipe un quarto di tormentilla, un quarto di dittamo, un quinto

di noce vomica2, pestasi insieme, e fassi un corpo di tutte que-

ste tre cose.

Dipoi piglia tanta triaca quanto pesano tutte queste cose, et in-

corpora insieme, e sarà fatto lattovaro, e pigliasi così.

Quando uno si sentissi ammalato, ne pigli tanto quanto pesa

uno ducato, inanzi habbi tenuto il male 24 hore: se è venuto

con febbre calda s'incorpora con acqua di piantagine, tanta

quanto un quarto di bicchiere; se sarà venuto con freddo s'in-

corpora con tanto vino bianco. Chi non fussi malato, piglian-

done ogni mattina quanto è uno cece, si conserva dalla infettio-

ne, e massime havendo sospetto.

Il brano che segue si ritrova nelle annotazioni di F. Zambrini, che af-ferma: "Secondo che ho dall'egregio sig. Alarico Carli di Firenze, in-torno al reggimento della vita in tempo di pestilenza, sta un codicetto alla Fabroniana di Pistoja del 1300 (cod. 322, di 48 carte, in 4°...)3".

Dell'origine della pestilenza.

Alchune volte da corruptione d'aria advenire, overo per le ima-

gini delle moventi cose del Cielo, come per lo eclipsi del sole,

della luna, o vero per la congiuntione di qualche cattivo piane-

to, li quali putrefanno l'aria, e ciò si conosce per la morte e fuga

agli alti monti delli corpi volatili. Alchuna volte nasce pestilen-

tia in qualche regione da soffianti venti che la portano con loro

per qualche accidente corrotto, come di chaverne pussulente

state lungho tempo chiuse; possi d'acque infracidate cisterne

2 Strychnos nux vomica - Loganiacee, detta noce canina, fungo del

Levante, vomiciaio. Contiene alcaloidi, fra cui prevale la stricnina: ha

effetto emetico. 3 I due brevi brani che seguono, peraltro abbastanza chiari, non ver-

ranno qua commentati, salvo un'unica nota, perché è già in essere un

saggio approfondito sul codice della Biblioteca Fabroniana.

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fracide e pussolente state serrate e chiuse, chambre amorbate

chiuse lungo tempo, e poi aperte; acque fracide dove fosse sta-

to lino o canape a macerare; corpi morti pussolenti non sepolti;

e similmente altre bestie d'animali, letami, fanghi ed acque fra-

cide. Alchuna volta venghono le pestilentie per appiccamento

di huomini conversati in luoghi infetti dalla chonversazione, de'

quali il vulgho non si guarda per non saperlo: donde si trova

uno infetto havere corropto una città et uno populo grandissi-

mo; la qual cosa è molto da advertire, perché chon facilità si

rimedia. Et alchuna volta venghono le pestilentie per la pec-

chata et giusto giudicio di Dio, et le medicine spirituali da me

sopraditte sono utile rimedio. E questo pocho basti quanto alla

notizia dell'origine de pestilentia.

Del reggimento della vita.

Et prima dicho si debbi nettare la casa della sua abitazione d'o-

gni immonditia et corruptione, et spesso d'acqua frescha ad-

nacquarla, e da quella rimuovere ogni putrefazione, come leta-

mi, chani, gatti, così morti come vivi, uccelli e topi morti et si-

mili, e soprattutto i corpi de' morti sepellire ben sotterra; fuggi-

re il più che puoi i cimiteri, tenere i luoghi comuni della tua

habitazione ben chiusi. Et spesso per casa e per le chamere fare

suffumigazione, di sene, d'acetosa, di lambruschi maturi, ec.4.

4 Sene è forma acaica di sena, o senna: Cassia acutifolia - Papiliona-

cee. Il nome dall'arabo sānā.

L'acetosa è il Rumex acetosa - Poligonacee, da non confondersi con

l'acetosella (Oxalis acetosella - Ossalidee), fonte principale di acido

ossalico nel passato.

Labrusca era detto il frutto dell'uva selvatica, detto anche abrostine o

abrostino. Mentre nel passato si chiamava così pure il vitigno con cui

si produce il vino Lambrusco, ai giorni nostri con quel termine si in-

dica anche l’uva americana Isabella, più nota come uva fragola.

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LA FISIOGNOMIA. (Una storiella d'Ippocrate tratta dal "Trattato di medicina

del Maestro Aldobrandino da Siena").

La fisionomia (nota anche come fisiognomia e fisiognomica) nacque come scienza filosofica assieme alla stessa filosofia. Il suo nome in greco significa conoscenza (gnosis) della natura (physis); dunque questa disciplina consisteva, di fatto, nell'osservazione della natura nella sua morfogenesi. Il primo testo sistematico sulla fisionomia, "Physiognomica", risale alla scuola di Aristotele (IV secolo a. C.). Altri importanti testi di riferimento successivi sono quelli, in greco, di Polemo di Laodicea ("Physiognomonia") del II secolo a. C., e del sofi-sta Adamanzio ("Physiognomica") del IV secolo d. C.; coevo a que-st'ultimo un "De physiognomonia" di anonimo, in latino. Lo studio di questa dottrina fu ripreso metodologicamente nelle uni-versità del XVI secolo, quando divennero importanti i canoni che si dovevano seguire, nelle belle arti, in relazione ai caratteri somatici dell'uomo. A supporto di questa tesi si cita il trattato "De sculptura" di Pomponio Gaurico - Firenze, 1504. Ma decisivi furono anche gli scritti di Giovan Battista Porta (1535-1615) "De celeste physiognomia" e "De humana physiognomia", editi in Firenze verso la fine del XVI secolo. Solo nel secolo successivo la fisionomia divenne una pseudoscienza, quando il filosofo e fisico inglese Thomas Browne (1605-1682) teoriz-zò la possibilità di dedurre le qualità interiori di un individuo dalle ca-ratteristiche esterne del corpo, del cranio, del viso (in "Christian Mo-rals"). Conoscenza, studio e applicazione della fisiognomia raggiunsero la loro acme durante il XVIII e il XIX secolo, dopo gli studi e le teorie di un antropologo italiano, Cesare Lombroso, che applicò la scienza alla criminologia forense, giungendo a giudicare la pena capitale come

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unica soluzione contro la tendenza criminale, insita nell'individuo con determinati caratteri somatici, dunque non correggibile con il carcere. Queste teorie, definibili come una vera follia, furono presto abbando-nate, ma degenerarono, anche nel XX secolo, in credenze assurde sostenute da più di un'ideologia xenofoba e razzista. Molto più illuminato dunque l'anonimo autore del brano che presen-tiamo, il quale conclude il suo capitolo con una morale che ci pare ul-tramoderna: è l'uomo, con la sua conoscenza e coscienza a determi-nare la propria rettitudine morale o la propria immoralità. Un trattatello in francese antico con la versione italiana a fronte fu edi-to per la prima volta a cura del prof. E. Teza, per i tipi di Gaetano Ro-magnoli - Regia Tipografia. Bologna, 1864. Stampa in 16°, di pag. 61 numerate + 3 bianche, in edizione numerata di 202 esemplari nume-rati. Questa operetta riporta la quarta parte di un manuale di medicina dal titolo "Avicenne en Roumans" della Biblioteca Marciana di Venezia. La descrizione da parte della Regia Commissione pe' testi di lingua sostiene: "Il libriccino è preceduto da una erudita avvertenza... dopo la quale, ad ogni pagina verso sta il testo francese, e ad ogni recto la versione italiana fatta da anonimo del XIV secolo, qui messa fuori se-condo un codice Laurenziano, già Rediano, n. 88, 186. La k pel ch fa sospettare che appartenga al finire del secolo XIII, o al cominciare del susseguente XIV. Finito il testo... seguono le note... poi l'indice, e fi-nalmente una giunta, dove si discorre singolarmente della simiglianza del testo francese... col Trattato di Medicina del Maestro Aldobrandino da Siena, per cui è giuocoforza credere che ambedue discendano da una sola fonte e ne serbano i vestigi... La versione però data fuori dall'egregio signor Teza varia assai dall'inedita di ser Zucchero Benci-venni, della quale daremo qui sotto un saggio, conforme ai codici Ric-cardiani. Vuolsi anche avvertire che gli Accademici della Crusca alle-garono tra le opere diverse di Maestro Piero da Reggio pur la Scienza della fisionomia".

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QUI INCOMINCIA D'UNA NOBILE ISCIENZA,

LA QUALE S'APPELLA FISIONOMIA,

PER LA QUALE E COLLA QUALE SI CONOSCE L'UOMO

PER LI SEGNI DI FUORI: E APPELLASI FISONOMIA,

PERÒ CHE FISONOMO EBBE NOME

QUELLI CHE PRIMIERAMENTE LA TROVOE.

Volemo adunque dare insegnamento di conoscere la natura degli uomini per li membri che l'uomo vede di fuori, per bella e utole scien-za, la quale si chiama fisionomia, perciò che colui che la compuose e ordinòe ebbe nome Fisonomo; la quale gli antichi savi per lungo tem-po usarono, glorificandosi molto nell'acquisizione della bellezza, che trovò nella sua natura la perfezione. La quale iscienza s'attribuisce e dàe al sopradetto Fisonomo; e per questo si pone e mette nel numero degli antichi filosofi, e ch'elli fosse gran maestro e perfetto, e massi-mamente in questa iscienza di fisionomia [è cosa certa]. E veramente per quella iscienza egli investigava la disposizione, la comparazione e la qualitade dell'uomo e la natura della sua anima e de' suoi cibi e de' suoi costumi, e in che la scienza del suo effetto, e quanto l'uomo è vir-tuoso e vizioso. E avvegna Iddio che, secondo natura, debba così es-sere, come la fisonomia parla, impertanto egli puote bene essere al-trimenti, sì come per li buoni insegnamenti e per la dottrina che gli uomini ricevono; che voi dovete sapere, che nodritura1 passa natura molte volte, sì come voi potete vedere ciascuno giorno in uomini e in bestie. Che negli uomini potete voi vedere, che molti uomini sono di sì mala natura, che, per loro natura non dovrebbero fare altro che male, ma per li buoni insegnamenti e per la dottrina de' savi uomini si diven-tano buoni e fanno altra cosa che loro natura non ne porta. Ancora nelle bestie vedete voi altresì che, per l'insegnamenti, fanno cose e nolle fanno per loro natura. Ma non intendete niente per quello che

1 Nutrimento.

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detto abbiamo, che natura non passi nodritura, ma l'uno può l'altro passare se voi ve ne prendete guardia sottilmente; e di questa scien-za avvenne già bella istoria e notevole, la quale non è da obliare, ma da raccontarla: hor v'apparecchiate di bene intenderla. Leggasi che' discepoli d'Ipocras, savissimo filosofo essemplarono2 e fecero dipignere la sua figura in carta, sì propriamente fatta e ritratta, quando eglino più e meglio seppono figurare; e quando l'ebbono tutta dipinta e formata, sì la portarono al detto Fisonomo, dicendo a lui: guarda, maestro, e mira e considera diligentemente questa figura, e mostra a noi per sottilitade della tua iscienza la comparazione, la qua-litade e la natura, di cui è questa figura. Lo quale Fisonomo, udendo ciò, si la mirò e divisòe la detta figura essemplata, cioè la sua com-plessione3, composizione, disposizione e natura: e compassò e se-stòe4 le sue parti alle parti d'Ipocras, e disse: quest'uomo, la cui figura voi mi mostrate, si è uomo naturalmente lussurioso, non savio, né di-screto; superbo e non umile. Dette queste cose, i discepoli d'Ipocras vollero il detto Fisonomo uccidere, dicendo a lui: o istolto, matto sanza alcun senno, come semplicemente ài giudicato questa figura! Imper-ciò che egli è de' più savi e de' più discreti, e de' più benigni che alcun altro filosofo; èe umile, pacifico, casto e pieno di tutte buone virtude. Allora Fisonomo parlò a' detti iscolari, e disse: io so bene e conosco per la mia scienza, che questa è la figura del savio filosofo Ipocras, ma impertanto della sua figura vi dissi la veritade, per la mia iscienza, di quello che voi mi domandaste e quello ch'io sento dirittamente, et avvi dimostrato le sue condizioni. Li predetti discepoli, ciò intendendo, raccolsero le parole dette di Fisonomo, e tornarono al loro maestro Ipocras, e dissero a lui tutto quello che Fisonomo aveva giudicato, non lasciandone dimenticazione (di) neuna sola parola. Ipocras,

2 Il raro verbo aveva il senso di trascrivere e, per estensione, di copia-

re, imitare, riprodurre. 3 Costituzione fisica. 4 Misurò meticolosamente. Sesto era, infatti, sinonimo di compasso,

come si può intuire dalla parola derivata sestante.

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udendo ciò, rispuose a' suoi discepoli, e disse: così è certamente; lo savio Fisonomo àe detto e giudicato per la mia figura tutto il vero, che non àe fallato pur una lettera. Veramente vi dico che, perciò ch'io co-nosco me medesimo per iscienza e per discrezione, considero e pen-so, che queste cose e vizii sono in me, per virtude di scienza contra i detti vizii resisto e pugno, e afforzomi ordinando ciascuno die che l'a-nima mia (sia) comandatore e correttore contra di loro, ed ho ritratto sempre l'anima da loro, sicché l'anima mia àe avuto vittoria contra i detti vizii. Questa è adunque la grandissima loda della sapienza e astinenza del savio Ipocras. Imperciò che scienza di fisionomia niun'altra cosa è se none astinenza e vittoria contra i vizi e contra la carnale volontade; e imperciò informeremo in questa parte le regole della fisionomia, le quali sì detteranno la nobilitade della natura de' savi uomini, e rad-doppieranno la chiaritade e la purità della loro iscienza. In questa divi-seremo5 dalla iscienza della filosofia degli uomini.

5 Distingueremo.

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SEDICI COSE SON QUELLE CHE INDUCONO AD AMARE IL MATRIMONIO, CIOÈ LA MOGLIE.

Numerosi scrittori del passato si dedicarono allo studio degli argo-menti famiglia, matrimonio, donna, sia sotto un profilo etico - religioso (come il brano che presentiamo), sia dal punto di vista sociologico o politico, sia con fine satirico sul genere femminile, visto comunque con una certa inferiorità rispetto al maschile. Cito fra tutti "I donneschi difetti" di Giuseppe Passi, 1618; e il "Trattato del governo della famiglia" di Agnolo Pandolfini, ripreso da Vespasia-no da Bisticci nel 1802. Ancora, "I dodici avvertimenti che deve dare la madre alla figliuola quando la manda a marito" un frammento dell'opera "Avvertimenti di maritaggio", testo di lingua d'incerto autore del Trecento, pubblicato nel 1847 a Firenze, pe’ i tipi di Tofani; e "Le dodici cose per le quali lo matrimonio de' essere laudato e confermato sì come cosa utolissima e necessaria a tutti quegli che ordinatamente e buonamente vogliono vivere". Quest'ultimo, secondo la Regia Commissione pe' testi di lingua: "Fi-renze, Galileiana, in 8°, carte 4 non numerate (1859). Si pubblicò in circostanza di nozze dell'egregio signor avv. Ottaviano Targioni Toz-zetti... Sta pure nel giornale "Il Poliziano", quaderno di maggio. È la seconda parte del "Trattato sopra le sedici cose che inducono ad amare il matrimonio": sta nella Riccardiana, cod. cart. in fol. n. 1354". E quest’ultimo viene qui proposto. La prima cosa si è l'assempro

1 di messer Domeneddio dove

disse: uomini, amate le mogli vostre, come Iddio ama la Chie-

sa.

1 L'asserto, l'esempio.

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La seconda si è che 'l corpo della femina è quel medesimo che

di lui: onde l'uomo de' amare quel corpo, sì come il suo; però

ch'ella nonn'à podestà del suo corpo, ma sì l'uomo.

La terza cosa si è, che l'uomo e la femina non sono com'una

pianta d'albore: uno frutto portano, e ciascuno di loro è soffi-

ciente a portare frutto; non così l'uomo, né femina sono soffi-

cienti a ingenerare figlioli; onde deono con amore insieme ac-

costarsi, siccome l'arbore innestato alla pianta2. Onde dice San-

to Matteo: non sono due carni, ma una.

La quarta si è che la femina è della costa dell'uomo formata;

ché non volle Iddio formare la femina del limo della terra, sì

come fece l'uomo, anzi la volle formare della carne e dell'ossa

dell'uomo, acciò che l'uomo l’ami come sé medesimo.

La sesta cosa si è, che' parenti della moglie e del marito s'amano

insieme per amore del matrimonio. Onde ciòe nonn'è maraviglia,

quando tante persone insieme s'amano per loro; dunque due in-

sieme no si deono amare? Onde talora una provincia insieme

con una altra, per matrimonio, insieme s'accordano, e pacie si

rendono. Ond'è maraviglia come, intra quelle persone che sono

congiunte di matrimonio, discordia tra loro puote avere3.

La settima cosa si è, che la moglie per accostarsi col marito,

padre e madre e tutti i parenti abbandona: onde non fedelmente

fae colui che la moglie molto caramente non ama.

L'ottava cosa si è, che quegli che non s'amano in grande mise-

ria saranno. Dicesi nel Proverbio, che la femina c'ene garritri-

ce4 da Dio è assomigliata a gran pistolenzia

5. Sì come l'uomo

2 Una pianta ed una talea da innestare ad essa sono paragonati all'u-

nione fra i due sessi per procreare. 3 Con questo concetto nacquero i matrimoni politici di comodo. 4 Troppo chiacchierona, ciarliera ma anche litigiosa e propensa ai

rimproveri. 5 Mentre dovrebbe essere come detto in Proverbi 31.26: “Apre la boc-

ca con saggezza e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà”.

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delle grandi avversità non ha requia, così tra la moglie e 'l ma-

rito nonn'à riposo, quando à briga tra loro. E di ciò dicie il filo-

sofo: la moglie ene perpetuo rifrigerio al marito, o ella ene per-

petuo tormento.

La nona cosa si è, che molto piace a Dio, e agli uomini, l'amore

ch'è intra la moglie e 'l marito, e 'ntra 'l marito e la moglie.

La decima cosa si è, che la moglie buona ene sollazzo e riposo

del marito da Dio dato. E di ciò dicie santo Girolamo: nonn'è

buono l'uomo a esser solo6. E l'Ecclesiastico

7 dicie, che meglio

ene a essere due buoni insieme, ch'essere un solo [reo]. E in

quel medesimo luogo dicie: guai a l'uomo solo! E non è riputa-

to solo quegli che a Dio son dati in castità e in verginità, e a lui

sono offerti; ma quegli è riputato solo, lo quale usa con altra

femina, che colla moglie, ed è maladetto da Dio. Colui che

guarda la femina per mala intenzione vede il suo danno e non

sollazzo, e vede il coltello col qual il diavolo il conquide8.

L'undecima cosa si è, che la femina buona si è come uno bellis-

simo ornamento di casa.

La dodicesima cosa si è, che la moglie sia tale al marito, sì co-

me aiuto. E di ciò dicie Santo Dionigio, che disse: Iddio fa aiu-

to a l'uomo simigliante di lui, e la moglie buona sempre aiuta lo

marito suo in tutti i suoi fatti della casa, e in salute dell'anima

del marito.

6 Ma aggiungeva però che la donna è madre del peccato e che il pia-

cere non poteva mai essere senza peccato. E Origene teologo del III

secolo, arrivò a castrarsi giovanissimo per piacere a Dio. Questa mi-

soginia fu tipica di molti Padri della Chiesa, persino quel S. Agosti-

no, che per molti anni visse però con una concubina. 7 Il libro dell'Ecclesiaste (Siracide), 26.1. 8 Lo concupisce e soggioga.

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La tredicesima cosa si è lo preziosissimo frutto. Intra li dodici

arbori9 è conosciuto questo per lo migliore quello lo quale escie

di quello albore, per tutte le altre cose che sono al mondo.

La quattordicesima cosa si è la degnità e il serramento10

del

matrimonio, lo quale ene conosciuto da Dio nel Paradiso.

La quintadecima cosa si è, che l'uomo da quella parte ch'è più

forte, si vincie lo diavolo; e di ciò dice santo Giob11

: la fortezza

tua si ene ne' tuoi lombi, là dove escie lussuria.

La sesta decima cosa si è ramo12

ed ene quella parte, dove l'uo-

mo è più frale13

a ciò, per la parte carnale.

Beato si può chiamare il marito della buona femina. Beato lo

marito della buona femina, però che 'l novero degli anni suoi

son doppi. La buona femina diletta lo marito suo, e gli anni del-

la sua vita riempie di pacie. Chi è buona moglie à buona parte;

si à da Dio la buona moglie, a chi teme Iddio, per le sue buone

opere: e lo ricco e 'l povero da la buona moglie ànno sempre

buon cuore, e d'ogni tempo ànno allegre faccie. Tre cose sono

da temere, e la quarta teme la faccia dell'uomo. La prima è tra-

dimento di città; la seconda è lo romore del popolo; la terza è

9 Dodici è stato sempre stato un numero simbolico. Ad esempio do-

dici furono le tribù d'Israele, dodici gli apostoli, dodici i segni dello

zodiaco, dodici le divinità dell'Olimpo, ecc. L'albero fu anche un

simbolo per numerosissime civiltà, di collegamento con la divinità,

di fertilità, di conoscenza, ecc. Qui si fa riferimento all'albero della

vita, simbolo della continuità della stirpe umana, mediante la pro-

creazione. 10 Unione, ma anche sacramento. 11 Giobbe, nell'omonimo libro della Bibbia, là dove (39. 16) le difese

dell'uomo sono paragonate a quelle dell'ippopotamo "Guarda, la sua

forza è nei fianchi e il suo vigore nei muscoli del ventre". 12 La verga, il pene. 13 Fragile, ma, nel contesto globale, si potrebbe anche intendere che la

donna è il completamento dell'uomo, nella sessualità.

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lo 'nganno bugiardo, che sono più gravi che la morte; la quarta

si è la moglie gielosa, ch'è dolore e pianto di cuore. La moglie

gielosa è bastone che commuove a tutti, come lo giogo a li

buoi, così la femina rea a l'uomo; che chi ha mala moglie si è

come colui che piglia lo scorpione. La femina ebriaca si è

grand'ira e gran disonore, e lo suo peccato non si può coprire.

La femina adolterata si può conoscere a l'alzare degli occhi e

alle parole: la femina si de' guardare d'ogni isconcia guatatura.

Secondo che lo viandante, quand'egli à sete, apre la bocca a

ogni fonte, e bee d'ogni aqua, e ponsi a sedere a ogni padule,

così la bontà e la grazia della savia donna diletta lo suo marito,

e le sue ossa ingrossa, e pregia lo suo ammaestramento. La

donna savia e poco parlante è dono di Dio, e grazia sopra gra-

zia; e la donna che sia orgogliosa nullo peso è sì degno. Come

la donna che sta come lo sole e la luna nel mondo, cosie la bel-

lezza della buona donna è lume e ornamento di casa; ch'è come

luce luciente sopra candellieri d'oro. I fatti della donna che sie-

no costanti son fermi e sono alla casa come colonne d'oro sopra

piedistalli d'ariento: sì come fondamenti fatti in sulla pietra vi-

va, così i comandamenti di Dio son fermi sopra la buona don-

na.

Le femine deono taciere nelle chiese, però non è licito a favel-

lare in chiesa; anzi deono essere sotto poste, secondo che dicie

la leggie; ma s'elleno vogliono imparare alcuna cosa, domandi-

no a casa i loro mariti; ché sozza cosa è alla femina favellare in

chiesa.

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NOVEMILA NOVECENTO NOVANTANOVE MALIZIE DELLE DONNE

Colle quali si tratta

gl'inganni, astuzie, falsità, tradimenti, furberie, assassini, belletti, solimati, unguenti, impiastri,

ed altre cose che usano far le male donne, per gabbare i giovani che di loro s'innamoran1.

Un pamplet rinvenuto in una libreria antiquaria di Bologna, stampato in 16°, 8 pagine compreso il frontespizio, illustrato con una piccola li-tografia raffigurante un cicisbeo settecentesco che corteggia una da-ma in piedi presso un pianoforte. Manca la copertina, sostituita da un cartoncino novecentesco che riporta la scritta "Stampe popolari... ex libris P. Graffuri". Il libretto non riporta data, ma il frontespizio ci infor-ma che esso fu stampato presso Luigi Russo. Strada S. Biagio dei Li-brai n. 5. Napoli. Il poemetto per il modo di poetare si può collocare fra fine Ottocento e inizio Novecento, ma l'illustrazione, lo stato della carta, alcuni vocaboli e il carattere tipografico fanno pensare che pos-sa essere antecedente.

1 Le promesse proferite in frontespizio sul contenuto del poemetto

sono frottole per incantare il lettore: di nessun assassinio, di nessun

cosmetico particolare, di nessun belletto contenente sublimato di

mercurio si parla, ma soltanto della tresca di un marito con la came-

riera e della vendetta della moglie che bastona la giovane amante e

tradisce a sua volta per vendetta.

Tuttavia, mentre si sorvola sul comportamento dell'uomo, la figura

della donna viene via via descritta come violenta, chiacchierona, fri-

vola, poco seria, usando due pesi e due misure nel confronto dei due

sessi.

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Ben mille volte il dì le mani e il viso,

anzi quando con scempio vede, come

il mo(n)do, senza quasi è già diviso

per la vil belva, che Femina ha nome,

tempo per cui fu chiuso il paradiso

e non ha l'uomo le più gravi some2,

quando la donna rea, ch'il mondo à estinto,

donna non Donna, anzi un laberinto.

Quando l'uomo da tal verme è punto,

o vero involto in così stretta rede3,

ben può gridare, hoimè! Dove son giunto!

Quando la donna non osserva fede4,

meglio sarebbe al fia5 esser defunto

ove invano aver riposto il piede,

che aver cattiva moglie ha dura sorte,

li guai peggiori è assai, che l'aspra morte.

Pria che le voglie sue sfrenate e strane

vuoi adempire, che tal è il suo appetito,

che oggi una sfoggia vuol, e l'altra dimane,

tenendo sempre povero il marito

che non adempie alle sue voglie vane,

subito si trova a mal partito

e per gran stegno6 è tutta sì molesta

che in casa propria par sia la tempesta.

2 Colpe. 3 Redola, viottolo. Il termine deriva dal celtico 'rheda' un carro agri-

colo a quattro ruote inventato dai Galli e importato dai Romani. Nel

nostro caso sta ad indicare qualcosa di stretto, oppressivo come una

viuzza. 4 Va inteso come fedeltà. 5 Al tristo, all'uomo in pena. Fio che inizialmente era il tributo pagato

dal vassallo, venne ad indicare un castigo, una pena. 6 Sdegno.

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Crollando or questa casa, quella porta,

e se la selva7 gli dona il buon giorno,

quella parola la piglia per torta8,

e col bastone se gli scaglia intorno,

dandone tante che la lascia morta;

dopo si veste senza far soggiorno,

dalla camera va con intenzione

di farsi con quella la ragione.

E giunto all'uscio di picchiar mai lesta9

persino a tanto, ch'aperta non sia,

aperta poi di subito si sente

pallida e smorta, e tutta in agonia,

e (a) la commara10

simile diventa,

quella stringendo con malinconia,

poi, rinvenuta, con alti sospiri,

alla commara contro i suoi martirii,

dicendo: che vi par del mio consorte,

commara mia, e udir non vi rincresca,

ei par che l'abbia dato oggi la morte,

per aver richiesto una domanda intresca11

,

ma questo è nulla, vi dirò più forte,

7 La serva. 8 Al contrario, di traverso. 9 Nel senso di sempre pronta. Lesto con il significato di pronto è un

toscanismo che deriva dal francese antico 'lest' che indicava il 'carico

di un veicolo', da cui 'pronto a partire'. L'etimologo Liebriecht so-

stenne invece che dal latino 'lestus' derivi 'levistus' il superlativo con-

tratto di 'levis' = leggero: nel nostro caso 'mai leggermente'. 10 Comare, alle origini, era la madrina del battesimo e della cresima,

poi indicò qualsiasi donna con cui si abbia familiarità, confidenza, e,

in senso spregiativo la vicina chiacchierona. 11 Impacciante, ma anche 'in tresca', vale a dire, relativa al presunto

tradimento del marito.

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che lui s'innamorò della fantesca,

tanto che quella mi sbeffa, e mi disdice12

.

Non so, commara mia, se questo lice.

Mentre che parla si morsica il dito

dicendo: commara mia, questo è un tristo,

al certo è degno mandarlo a cerneto13

;

perché s'avea d'avanti ben provisto,

e se la commara è dell'istessa pasìa14

,

non la consiglia di cambiar registro:

La se' buona, vuoi ragione,

la cerca muover da tal opinione.

E così ragionando si fa notte,

la mal donna a sua casa ritorna,

e la fantesca di nuovo percuote,

dicendo: iniqua tu mi fai le corna,

ma ora, che avrai le ciglia rotte,

dinnanzi al tuo messer potrai più adorna,

qual t'ama, ma ciò non gli sp(i)accia,

che ben gli renderò pan per fugaccia15

.

E se in questo il marito a casa viene,

12 Mi beffeggia, è sconveniente, risponde malamente. "Noi altri vec-

chi non siamo solamente stimati poco, ma siamo quasi sbeffati, e te-

nuti a giuoco da ognuno". Disdire con il senso di rispondere negati-

vamente, rifiutare, ricusare, negare, vietare, è arcaico e ormai in di-

suso. 13 Il luogo dove si sceglie e si separa la roba buona dalla cattiva. Nel

nostro caso una sorta di mercato dove poter alienare il marito, catti-

vo per il suo tradimento, ma merce buona per le femmine perché

(come si dice al rigo di sotto) ben dotato. 14 Ha le stesse passioni amorose; potrebbe però trattarsi di un sem-

plice refuso, ì per t, e allora s'intenderebbe pasta, ma il significato

non cambia. 15 Focaccia.

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non creder già incontra lei gli vada,

anzi volgendoli le spalle e le rene,

dice: per tuoi denti non è tal biada,

chiama la serva tua chi vuoi bene

che più di me il suo servir t'aggrada,

onde il marito, senza cena a letto

andar conviene, a suo manco dispetto 16

.

E se a dormir la chiama, quella viene,

non vi vuol gire17

, anzi più presto andò

appresso al fuoco con il capo in seno,

alla finestra mirando il sereno,

tra denti il mese e l'anno biastemmia

e il giorno e l'ora che mai fu sposata

da tal uomo, che l'ha così affannata.

Venuto il giorno poi, con doglie e pianti

il povero marito, già [si parte];

allor la pazza subito d'avanti

si pone al specchio, e con tutta sottil'arte

s'adorna per piacere a nuovi amanti,

e così col pennello a parte a parte,

si va dipingendo a guisa di pittore,

di sotto e sopra con più di un colore.

Strisciata18

poi si va a collocarsi

alla finestra a guisa di civetta,

onde gli uccelli19

vanno a radunarsi,

e lieto il cielo in man tien la barretta;

e fedel servo a questa donna fare,

16 Controvoglia. 17 Andare. "Mi sentii gir legando ogni virtù" (Boccaccio). 18 Tutta a striscie per i diversi colori del belletto. 19 La metafora è chiaramente allusiva, come la parola barretta al po-

sto di berretta fa chiaro riferimento al pene.

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offrendogli il cor con la moneta20

,

intorno piangendo a quei confini

raccomandandosi ancora alli vicini.

E tanto di superbia fatta altera,

che fin in casa vuol luogo maggiore,

ad ogni festa vuol esser la prima,

che più di grado suo cerca l'onore,

e stupor il veder con che maniera,

per strada va la tropola21

d'amore,

con mani a' fianchi in tal modo cammina

che par di propria faccia la Regina.

E così a guisa di un buon capitano

entra menando dell'infinita gente,

per chieder grazia se l'accosta rente22

,

a quelli parla mansueta, e piano,

ch'ognun conforta, e che non va dolente,

e giunta ad essa poi23

, col parlar basso,

mi raccomando dice, ognun vi lasso.

E chiuso l'uscio poi scende le scale,

dicendo a quella che l'accompagnata:

e che vi pare a voi donna tale,

io sono in fede mia pur troppa amata

e questo mio marito è sì bestiale,

20 Con mercimonio. 21 Colei che cambia in amore. Tropos, in greco significa volgimento.

Tropèolo: "Genere di piante la cui foglia ha la forma dello scudo, ed

il suo fiore perfettamente somiglia ad un vuoto cimiero, in modo da

ricordare nel suo complesso un antico trofeo" (Vocabolario etimolo-

gico della lingua italiana di Francesco Bonomi): dunque, nel nostro

caso, trofeo d'amore. Ma anche "trottola" deriva da tropos, che indica

il suo mivimento: tuttavia il significato, nel contesto, non cambia. 22 Al fianco. 23 All’accompagnatrice, alla quale affida tutti i vari pretendenti.

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che non sarò da lui mai contenuta,

ma la mezzana allor li risponde:

ama quel che più t'ama e ti rifonde.

Ma la trista che ha fatto pensamento

di far oltraggiar [al suo marito],

a quella dice: hai inteso il mio intento,

io non osavo scoprirti l'appetito,

sicché, sorella, senza alcun spavento

io non voglio più stare a partito,

(ma) appigliarmi a quello ch'è più ricco,

è forse ben che ognuno mi sia amico.

E non si presto ha detto le parole,

ch'ordine dà quella vecchia immonda,

che come in occidente è in ciro24

il sole,

hora in casa un amante si asconda,

quando il mio marito il tutto vuole

non sarò io la prima e la seconda,

ne pigli oggi un, domani un altro,

quella goda più qual è più scaltro.

Non tanto delle ricche io favello,

quanto delle povere e me(n)diche,

che per ponersi al piè un bel pianello25

,

della loro onestà si fan nemiche,

e quello che guadagna al molinello26

tutto lo spendono per triste impudiche27

(e) lisciamenti e col lor gravame

24 In giro, all'alba. 25 Pianella era un "calzamento de' piedi, che non ha quella parte che

cuopre il calcagno" (Lemmario dell'Accademia della Crusca). Qui, in

senso lato, s'intende una calzatura elegante e di lusso. 26 In senso figurato di rigiro, macchinazione. 27 Oggetti poco seri, e contrari al senso del pudore.

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dimando(n) giorno e notte mille drame28

,

pigliando vestimenti in presto a nolo

e quando è poi vestito questa tale

ci par più moglie di un bosciaiolo29

,

tanto si va demenando per le strade

che dietro si porta uno stuolo

di semplicetti amanti per tal gale,

e vieppiù la sequela va crescendo.

Per ogni parte, ch'essa deve andare

sempre dietro si mena la vicina,

quella pagando, senza più mitare30

acciò la segua sera e mattina,

e sopra tutto l'abbia ad onorare,

e non gli dica la si31

Caterina,

ma vuol che essa in tal modo l'onori,

che la chiami col Don over sia.

Non far che in casa tua ti ponchi,

queste vecchie, che saran la matrice,

e la quartana32

; questa a Pasquin33

crede.

Nemmen facci che la meretrice

lava in casa sua, poiché si vede

28 Drama, si trova, come forma arcaica di dramma, e dracma. 29 Boscaiolo. 30 Imitare nel senso di sfruttarne gratuitamente i consigli. 31 Signora, in contrapposizione al titolo di Donna preteso. 32 Mal di matrice era detto genericamente qualsiasi malanno agli or-

gani genitali femminili, ma qui si fa riferimento a malattie più serie,

come il prolasso, tipiche della vecchiaia. La quartana è detta noto-

riamente una febbre malarica. 33 La statua di Roma divenuta celebre per i messaggi satirici anonimi

che le venivano posti alla base, le pasquinate, dalle quali emergeva il

malumore popolare nei confronti del potere e l’avversione alla arro-

ganza ed alla corruzione dei suoi rappresentanti.

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le cose che intervie(n), qual dir non [dice].

E non far che vadi in vigna a lav[orare],

né vada così spesso alla commare.

Che [...] nella vigna

vanno a lavorar con lor amanti.

Pensa dunque fuggir tal doglia acerba

e se tal specchio non tenete avanti

io vi prometto, che andrete all'erba,

a pascer quella con gran duoli e pianti,

onde pregatene il ciel che ora ti giovi

questo mio specchio, e fatene la prova.

La donna è un'intera pestilenza,

quando ci penso mi confondo,

la donna all'uomo il male dispensa,

hoimè! se ne perdesse la semenza

e non vi fosser più tal donne al mondo,

ma tutte oneste ed onorate,

per non veder più famiglie rovinate.

FINE.

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1857.

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http://www.lessicografia.it (Lemmario dell'Accademia della

Crusca)

http://www.treccani.it/enciclopedia (idem dizionario biografi-

co)

http://www.etimo.it (Vocabolario etimologico della lingua ita-

liana di Francesco Bonomi)

http://www.dizionario.org/d/?pageurl=benefischi

http://storia-della-scienza.over-blog.it/article-farmacopea-

medievale--39597713.html

http://it.wilipedia.org/viki/ (argomenti vari)

http://www.riflessioni.it/dal_web/sesso_religioni.htm (a cura

del prof. G. Nadali)

http://www.elicrisio.it/it/piante_aromatiche/rosmarino

http://soleinfaccia.blogspot.com/2011/02/il-pan-porcino.html

http://agronomia.di.unipi.it/Lists/Erbario/DispForm.aspx?ID=2

97 (verminaca)

http://www.cistercensi.info/congregazioni

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Dello stesso autore:

Un manoscritto pistoiese di ‘secreti’ del tardo Seicento.

Lettura di un manoscritto di ‘secreti’ del XVIII secolo.

Raccolta di segreti medicinali…

Quadretto di vita sociale degli anni ′30.

Un ritrovamento di reperto dell’alto paleolitico in val di Lusia.

Tre approcci alla medicina nel corso di un millennio.

La spezieria del Medioevo.

Ciarlatani nei secoli.

Curiosità galeniche.

Stregonerie e credenze popolari nella medicina dei secoli pas-

sati.

Superstizione e medicina.

Breve panoramica sulla legislazione sanitaria.

Ancora sui ciarlatani.

Appunti curiosi sugli elementi chimici…

Saggio storico e letterario sulla medicina degli Arabi di P. J.

Amoreux (libera traduzione e commento).

Alcune note sull’alimentazione degli Arabi.

Medicina facile: una farmacopea popolare del XVIII secolo.

Come si curavano gli animali all’inizio del Novecento.

Guarigione e fede.

L’enologia all’inizio del Novecento.

Igiene delle mani e dei piedi, del petto e del corpo tutto… di A.

Debay (libera traduzione e commento).

I mille e uno secreti.

La castalda.

Manuale della salute… di F. V. Raspail. (libera traduzione e

commento).

La merceologia nell’Ottocento.

Magia e alchimia.

La danzimania.

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La toletta delle dame agli inizi dell'Ottocento.

Libro della cocina.

L'arte del distillatore e del liquorista.

L'aceto.

Un'innovazione tecnologica nella Pistoia degli inizi dell'Otto-

cento.

Il maestro di casa.

Il credenziere.

Gli artefici della cucina e del buon servizio a tavola in epoca

medievale e rinascimentale.