Antifascismo borghese. 1922-1930...Pirro Nenciolini nel febbraio del 1923 in un conflitto a fuoco...

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Italia Contemporanea » settembre 1980, n. 140 Antifascismo borghese. 1922-1930 Il 24 novembre 1922 il capo della polizia De Bono in un telegramma riservato diretto ai prefetti del Regno segnalava la tendenza del partito repubblicano a riorga- nizzarsi « allo scopo di creare imbarazzi all’attuale governo » alleandosi anche « con partiti affini o comunque di tendenza antigovernativa ». Invitava i desti- natari a « seguire attentamente tale movimento, uniformando la loro azione a questa linea di condotta: opporsi alle intese fra detti partiti fra i quali è bene si mantenga divisione e dividere nel suo seno anche il partito repubblicano » La vigilanza espletata dallo zelante prefetto di Firenze Garzaroli dava ben presto i suoi frutti: il 14 dicembre, infatti, prendendo a pretesto un incidente fra fascisti e repubblicani, in cui erano stati feriti, insieme a tre fascisti, vari repubblicani, fra cui l’ingegner Menotti Riccioli, Luigi Piani ed Enrico Niccolai, membro della Lega dannunziana dei giornalai, faceva perquisire la sede del partito in via delle Terme 27 e le abitazioni del comandante delle avanguardie repubblicane e dei membri della organizzazione1 2, denunciandoli in massa all’autorità giudiziaria, dalla quale saranno alcuni mesi dopo prosciolti in istruttoria3. Il sottosegretario all’interno, Finzi, interpellato per istruzioni, approvava l’azione del prefetto, anzi 10 esortava a « procedere nel senso richiesto con la massima energia » 4. In una lunga relazione del 19 dicembre, infine, lo stesso prefetto riassumeva l’esito e 11 significato della operazione, informando che, nonostante il risultato negativo delle perquisizioni, aveva sciolto le avanguardie con una ordinanza del 17 dicembre e requisito la sede dove esse si riunivano. Aggiungeva che risultati « pressoché negativi » avevano dato anche le perquisizioni effettuate nei locali dei Sindacati economici dannunziani, dove si radunavano inoltre gli Arditi d’Italia e i legionari fiumani, sottolineando « i contatti e le intese esistenti in città fra i gruppi dannun- ziani, i repubblicani intransigenti ed esponenti della Confederazione generale del lavoro, impersonati in Firenze dall’onorevole Baldesi, e del socialismo unitario, che hanno in quest’ultimo periodo ripreso una certa attività, tenendo riunioni segrete ora in un luogo ora in un altro, alle quali, oltre l’on. Baldesi, hanno fra gli altri preso parte gli on. Pieraccini e Smorti ». « Io penso — concludeva il prefetto — che l’energia subito dimostrata in confronto degli avanguardisti re- 1 Archivio centrale dello Stato (in seguito ACS), Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), K4, 1922, b. 89, fase. Firenze. 2 « La nazione » 15 dicembre 1922, « La voce repubblicana » 16 dicembre 1922 e, alla prece- dente segnatura archivistica, pref. Garzaroli a Min. Int. 15 dicembre 1922. 3 « La voce repubblicana » 28 aprile 1922. 4 Sempre alla stessa segnatura archivistica, sottosegr. Finzi a pref. di Firenze 16 dicembre 1922.

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  • Italia Contemporanea » settembre 1980, n. 140

    Antifascismo borghese. 1922-1930

    Il 24 novembre 1922 il capo della polizia De Bono in un telegramma riservato diretto ai prefetti del Regno segnalava la tendenza del partito repubblicano a riorganizzarsi « allo scopo di creare imbarazzi all’attuale governo » alleandosi anche « con partiti affini o comunque di tendenza antigovernativa ». Invitava i destinatari a « seguire attentamente tale movimento, uniformando la loro azione a questa linea di condotta: opporsi alle intese fra detti partiti fra i quali è bene si mantenga divisione e dividere nel suo seno anche il partito repubblicano » La vigilanza espletata dallo zelante prefetto di Firenze Garzaroli dava ben presto i suoi frutti: il 14 dicembre, infatti, prendendo a pretesto un incidente fra fascisti e repubblicani, in cui erano stati feriti, insieme a tre fascisti, vari repubblicani, fra cui l’ingegner Menotti Riccioli, Luigi Piani ed Enrico Niccolai, membro della Lega dannunziana dei giornalai, faceva perquisire la sede del partito in via delle Terme 27 e le abitazioni del comandante delle avanguardie repubblicane e dei membri della organizzazione1 2, denunciandoli in massa all’autorità giudiziaria, dalla quale saranno alcuni mesi dopo prosciolti in istruttoria3. Il sottosegretario all’interno, Finzi, interpellato per istruzioni, approvava l’azione del prefetto, anzi10 esortava a « procedere nel senso richiesto con la massima energia » 4. In una lunga relazione del 19 dicembre, infine, lo stesso prefetto riassumeva l’esito e11 significato della operazione, informando che, nonostante il risultato negativo delle perquisizioni, aveva sciolto le avanguardie con una ordinanza del 17 dicembre e requisito la sede dove esse si riunivano. Aggiungeva che risultati « pressoché negativi » avevano dato anche le perquisizioni effettuate nei locali dei Sindacati economici dannunziani, dove si radunavano inoltre gli Arditi d’Italia e i legionari fiumani, sottolineando « i contatti e le intese esistenti in città fra i gruppi dannunziani, i repubblicani intransigenti ed esponenti della Confederazione generale del lavoro, impersonati in Firenze dall’onorevole Baldesi, e del socialismo unitario, che hanno in quest’ultimo periodo ripreso una certa attività, tenendo riunioni segrete ora in un luogo ora in un altro, alle quali, oltre l’on. Baldesi, hanno fra gli altri preso parte gli on. Pieraccini e Smorti ». « Io penso — concludeva il prefetto — che l’energia subito dimostrata in confronto degli avanguardisti re-

    1 Archivio centrale dello Stato (in seguito ACS), Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), K4, 1922, b. 89, fase. Firenze.2 « La nazione » 15 dicembre 1922, « La voce repubblicana » 16 dicembre 1922 e, alla precedente segnatura archivistica, pref. Garzaroli a Min. Int. 15 dicembre 1922.3 « La voce repubblicana » 28 aprile 1922.4 Sempre alla stessa segnatura archivistica, sottosegr. Finzi a pref. di Firenze 16 dicembre 1922.

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    pubblicani e del subdolo movimento sindacale, che si dice dannunziano, debba aver servito a far comprendere come non sarebbero tollerati organismi o movimenti che volessero agire a danno della saldezza e della disciplina nazionale e del governo che la impersona » 5.Contemporaneamente l’impiegato postale Riccardo Sergent, dirigente del Sindacato dannunziano ed ex segretario della Confederazione dei sindacati economici della Toscana, dopo aver ricevuto una lezione alla Casa del fascio di piazza Mentana, era bandito dalla città, nonostante l’intervento in suo favore del ministro delle Poste Colonna di Cesarò, nel cui partito egli militava6.A parte il richiamo alle confuse manovre per la Costituente del lavoro in cui si inserisce tutto l’episodio, questa combinazione di repressione legale ed extralegale presenta una caratteristica: quella di essere rivolta contro elementi della piccola borghesia patriottica che in passato avevano in tempi e in misura diversi contribuito ad accreditare e irrobustire il fascismo delle origini, mediando i rapporti con il combattentismo e con la tradizione democratica postrisorgimentale e con il blocco borghese oppure gettando le basi del sindacalismo fascista in Toscana sulla scia delle spedizioni squadristiche7. Il fascismo fiorentino recideva clamorosamente ogni legame con gli alleati e gli intermediari di un tempo, passando la spugna sui residui delle origini diciannoviste e piccolo-borghesi del movimento. Se la repressione di gruppi complessivamente ristretti come quelli costituiti dai repubblicani di Firenze e dalle varie incarnazioni del dannunzianesimo8 fu un’operazione abbastanza agevole, più complesso doveva invece risultare, limitatamente sempre al settore garantito dall’aureola del patriottismo, l’asservimento totale di un organismo di massa come la sezione dell’Associazione nazionale combattenti, che, risvegliatasi dopo il letargo seguito alle elezioni del 1921, arriverà nel 1924 a raggiungere 5914 soci. Il direttivo della sezione, composto da Annibaie Carletti, Ettore Gaito e Telesforo Villella si era barcamenato, aH’indomani della marcia su Roma, fra le profferte di collaborazione al governo nazionale e le affermazioni

    s Ibid.6 « Il nuovo giornale » 19 dicembre 1922 e ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), G l Fascio, 1923, b. 54, fase. Firenze, Colonna di Cesarò a Ministero Interno 31 dicembre 1922. Non è forse senza significato il fatto che ai primi di gennaio del 1923 fu inviato a Firenze da Rossoni un nuovo segretario provinciale del Sindacato fascista, Edoardo Malusardi, già segretario della Camera del Lavoro dannunziana a Fiume, per mettere ordine nel caos provocato dalla tricipite direzione fiorentina spartita fra Gualtiero Lessi, Idalberto Targioni e Curzio Suckert (Malaparte). Il settimanale fascista « Il manganello » riferiva con rilievo la notizia dell’ammirazione espressa da D’Annunzio per le Corporazioni fasciste ed esaltava in Malusardi l’erede della tradizione dannunziana.7 Per i precedenti di alcuni dei personaggi coinvolti cfr. l’intervista rilasciata da Luigi Piani al « Nuovo giornale » del 31 dicembre 1922, la polemica fra Ezio Lascialfare e il capo degli Arditi d’Italia Edoardo Frosini nel « Manganello » del 25 maggio e nella « Voce repubblicana » del 31 maggio 1923, la replica di Giacomo Lumbroso a Umberto Calosci nella « Riscossa » del 9 aprile 1921 e il bollettino dell’Associazione toscana fra i legionari fiumani « Quis contra nos ». Per l’interesse con cui anche Mussolini seguiva le mosse di Calosci cfr. il telegramma al prefetto di Firenze del 23 aprile 1923 in ACS, Min. Int., Gabinetto sottosegr. Finzi, b. 5. Infine, può suscitare qualche inquietante interrogativo, se collocata nel quadro di questa rottura con i « padrini » che avevano tenuto a battesimo il primo fascismo fiorentino, anche l’eliminazione dell’ing. Pirro Nenciolini nel febbraio del 1923 in un conflitto a fuoco con fascisti di tendenza opposta. Infatti il Nenciolini godeva la stima dei combattenti, come dimostra la commemorazione di T. [elesforo] V. [illella] in « Fanteria » 6 marzo 1924.! Il dannunzianesimo fiorentino sembra essere stato però un fenomeno abbastanza consistente dal momento che il prefetto di Firenze parla di « accertamenti nei rioni suburbani presso le sedi locali della legione fiumana ove sotto nome di soci aggregati erano iscritti anarchici, comunisti e pregiudicati » (cfr. ACS, Min. Int., Gabinetto sottosegr. Finzi, b. 5, Prefetto di Firenze e Ministero Interni, 23 dicembre 1922). Alla stessa segnatura si trova un memoriale di Calosci in cui il movimento dannunziano è presentato come una « valvola di sicurezza » per il fascismo.

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    di superiorità del patrimonio ideale del combattentismo, deputato a vigilare « con severo controllo morale sui partiti ». Nonostante queste blande prese di posizione, intonate con l’atteggiamento della dirigenza nazionale dell’Associazione, il gruppo dei combattenti fascisti che faceva capo al periodico « Il Piave » diretto da Alfonso Sergio aveva iniziato una violenta campagna contro il triumvirato che reggeva la sezione fiorentina, destinata ad acuirsi coll’approssimarsi della data delle elezioni amministrative. «Portavoce della miseria», come si autodefiniva «Il Piave », espressione in parte forse anche autentica di un reale disagio economico e delle difficoltà incontrate dai reduci nell’inserimento nel mercato del lavoro, esso era però soprattutto la tipica manifestazione di una sottoborghesia nutrita con gli scampoli del dannunzianesimo filtrato attraverso Da Verona nel sottoprodotto locale Kiribiri9, pseudonimo del romanziere Alpinolo Bracci, animata da un confuso ribellismo costituzionalmente votato alla subalternità clientelare10 11. L’estremismo tamburiniano faceva leva sulla irrequietezza di questi elementi per turbare con la loro presenza intimidatrice le assemblee della sezione, fino alla manifestazione di forza inscenata il 3 maggio al Gymnasium, a proposito della quale Salvemini sarcasticamente annotava: « A Firenze fra dieci giorni ci sono le elezioni amministrative. Ieri sera dopo un’adunanza di fascisti e combattenti per mettersi d’accordo furono portate dieci persone all’ospedale » u.Nonostante gli equilibrismi compiuti dal triumvirato per mantenersi in bilico fra adesione e apoliticità e nonostante l’accordo raggiunto faticosamente alla vigilia del voto I2, i combattenti fascisti, in seguito alla espulsione di una decina dei loro, dopo aver respinto il compromesso proposto dal mediatore inviato dal Consiglio nazionale dell’Anc, Arangio Ruiz, decidevano il 1° agosto di compiere un gesto di forza, costituendo, con il vantato appoggio del vicesegretario locale del Pnf e l’avallo di Farinacci, una sezione autonoma13. La scissione, dopo aspre polemiche, fu ricucita in ottobre 14, ma, nonostante l’auspicio di una « sincera e spontanea collaborazione fra combattenti e fascisti » formulato dal direttore del « Piave » IS, si trattò ancora una volta solo di una tregua; il conflitto riesplose, infatti, puntualmente in vista della successiva scadenza elettorale dell’aprile 1924, con l’uscita ai primi di gennaio dell’organo dei « carlettiani » « Fanteria » diretto dal giornalista e mutilato di guerra Giovanni Becucci. La riluttanza di molti ex combattenti anche non pregiudizialmente ostili al fascismo a un totale asservimento della loro associazione, il risentimento verso il « procacciantismo elettorale del Palazzetto Venezia » (sede nazionale dell’Anc) e il suo spregiudicato opportunismo, l’incompatibilità sociale con il gruppo degli « spostati » vorace e impaziente,

    9 Kiribiri fondò con Roberto di Sparta e altri nel 1924 il periodico umoristico « Il 107 », nato come supplemento del « Piave » e sospeso con Decreto prefettizio del 19 marzo 1924: risorto con il nome di « Sedia elettrica » polemizzò con i vecchi amici del « Piave » ormai allineati con Zan- chi, attaccato come profittatore dell’ultima ora.10 È nota l’implicazione di Tamburini nel processo Fradeletto-Murray; altrettanto significativi appaiono, sotto questo aspetto, alcuni episodi della biografia di uno dei più assidui collaboratori del « Piave », responsabile della bastonatura di uno studente cattolico (cfr. « La nazione » 25 maggio 1922 e « L’Italia laica » 16 giugno 1922), sospeso per tre mesi dal fascio perché coinvolto nell’affare del tentato suicidio dell’artista Lina Murari ricattata per conto del figlio del famoso medico Grocco (cfr. « Il nuovo giornale » 3 febbraio 1923), accusato, insieme al padrone di casa, di violenze verso un inquilino (cfr. « La nazione » 12 maggio 1925), espulso dal Pnf dopo i fatti dell’ottobre 1925 (cfr. « Il Piave » 26 ottobre e 8 novembre 1925).11 gaetano salvemini, S cr itti su l fa sc ism o , voi. II, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 204 e « Il nuovo giornale » 4 maggio 1923.12 « Il nuovo giornale » 6 e 13 maggio 1923.13 « Il Piave » 9 ottobre 1923.14 ¡bid., 28 ottobre 1923.15 lbid., 18 novembre 1923.

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    che formava il nerbo dei « tamburiniani », sono alcuni dei motivi che ispirarono il « pronunciamento » della sezione fiorentina, che trova un riscontro, seppure a un livello di omogeneità culturale e di consapevolezza politica ben più alto, nella contemporanea ripresa di « Volontà », nella cui redazione compaiono anche i nomi dei fiorentini Calamandrei e Bertolino, il primo dei quali sarà uno dei firmatari del manifesto della sezione indipendente, che si costituirà dopo l’assemblea provinciale del 4 maggio in cui la corrente « carlettiana » uscirà soccombente con 7206 voti contro i 10776 riportati dalla maggioranza sostenuta dai fascisti spostatisi verso il presidente provinciale Zanchi, che li ripagherà con il riconoscimento al « Piave » della qualifica di organo ufficiale dell’Anc 16.Con la costituzione della sezione indipendente di via San Gallo 12 si realizzava il collegamento fra il gruppo repubblicano-democratico-massonico, che aveva guidato più o meno sotterraneamente la vicenda17, e il Circolo di cultura fondato a Firenze all’inizio del 1923 sulla base del vecchio gruppo di cultura politica, attivo, attraverso la consuetudine delle riunioni private del sabato, fin dal 1920. L’incontro è testimoniato da una lettera di Jahier a Giovanni Amendola del 25 maggio (« Io ed altri del Circolo abbiamo frequenti adunanze con Cadetti e lo sproniamo a perfezionare lo scisma » 18) e dall’inizio della collaborazione a « Fanteria », alla vigilia della scissione, di Ernesto Rossi, Piero Burresi e probabilmente anche di altri membri del gruppo salveminiano celati sotto pseudonimi. L’inserimento traspare chiaramente dall’intreccio di due correnti nel periodico: una radicale, decisa ad allargare il solco fra i due schieramenti e a conferire alla rottura un carattere esplicitamente antifascista, e una più possibilista. Il manifesto che annunciava la costituzione della sezione indipendente, la cui affissione fu proibita dal prefetto e che fu pubblicato il 15 giugno su « Fanteria », è un invito agli intellettuali ad impegnarsi nella vita politica rinunciando al privilegio della neutralità della cultura (« ogni azione individuale ha una sua portata politica, il discorso del ministro quanto la canzone del poeta ») espresso da un gruppo di intellettuali, fra cui fanno spicco i nomi di Piero Calamandrei, Raffaele Ciasca, Piero Jahier, Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi. Nello stesso senso era orientata la costituzione del gruppo degli amici di «Volontà», annunciata nello stesso numero19, e nel campo studentesco dell’Unione goliardica italiana per la libertà promossa da Paolo Rossi, mentre un discorso diverso richiede la contemporanea formazione del gruppo fiorentino dell’Italia libera, socialmente e politicamente assai più composito20. Va anzitutto tenuto presente il fatto che l’Italia libera nacque a Firenze

    16 Ibìd., 18 novembre 1924. Sull’entità della crisi dei combattenti risultano questi dati: da un prospetto della Federazione provinciale delI’Anc aggiornato al 31 ottobre 1924 (ib id ., 13 novembre 1924) si ricava che la sezione di Firenze era scesa dai 5914 soci rappresentati nella votazione del 4 maggio (ib id ., 11 maggio 1924) a 3145, mentre il numero complessivo dei soci nella provincia era diminuito solo di poche centinaia (dai 17.798 rappresentanti nella citata votazione a 17.454) e il numero delle sezioni era cresciuto dalle 79 rappresentate nel congresso provinciale del 4 maggio a 133. Dei voti espressi nel congresso provinciale che aveva provocato la scissione, i 7206 ottenuti dalla minoranza rappresentavano solo 7 sezioni contro le 72 che si erano schierate con la maggioranza. Scontata una certa approssimazione dei dati, emerge inequivocabilmente il carattere prevalentemente urbano della scissione. Sulla figura di Zanchi e sui contrasti interni all’Anc su scala nazionale cfr. Giovanni sabbatucci, I c o m b a tte n ti n e l p r im o dopoguerra , Bari, Laterza, 1974.17 Nel periodo precedente le elezioni politiche dell’aprile 1924 « Fanteria » aveva cercato di svolgere una campagna appena mascherata a favore dei candidati repubblicani e costituzionali indipendenti nella rubrica P rofili e le tto ra li del 9,16 e 23 marzo, soppressa dopo il 23 per « evitare ulteriori inconvenienti » (« Fanteria » 30 aprile 1924).18 e . ku h n amendola, V ita con G io va n n i A m e n d o la , Firenze, Parenti, 1960, p. 521.19 « Fanteria » 15 giugno 1924.20 La coincidenza fra la costituzione della Sezione indipendente e quella dell’Italia libera era definita « del tutto accidentale » da « Fanteria » del 22 giugno 1924 preoccupata di conciliare la duplicità d’indirizzi presente fra gli scissionisti.

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    con un anno di ritardo rispetto al lancio nazionale dell’iniziativa21, quando la prospettiva di dar vita a un movimento di massa facendo leva sulla irritazione dei combattenti per il comportamento quasi provocatorio assunto dal fascismo nei loro confronti22 e sul malessere dei ceti medi23 si era ormai ridimensionata. Nonostante la facciata ufficiale repubblicano-dannunziana dell’iniziativa fiorentina (il binomio Edoardo Bonfigli, ordinatore regionale, e Umberto Calosci, ordinatore per Firenze24 e la fraseologia altisonante del primo manifesto25 firmato da Umberto Calosci, qui promosso delegato regionale, sotto l’etichetta del movimento degli ex combattenti si venne progressivamente raccogliendo un manipolo selezionato collegato in una struttura clandestina predisposta per l’azione cospirativa e capace di sopravvivere all’ondata repressiva scatenata dopo il 3 gennaio.La prima manifestazione della sezione indipendente fu l’assemblea del 19 giugno conclusa con l’approvazione di un ordine del giorno di denuncia della responsabilità politica di Mussolini nel delitto Matteotti, che implicava la fine « di un regime che disonora il popolo italiano di fronte al mondo civile » 26. Il 13 luglio (o il 16, secondo Rossi) seguì la commemorazione di Cesare Battisti tenuta al Gymnasium da Piero Jahier27, accompagnata dalla pubblicazione di un’epigrafe

    21 Sull’Italia libera cfr. L. z a n i , I ta lia libera. I l p r im o m o v im e n to a n tifa sc is ta c la n d estin o , Bari, Laterza, 1975. Nel 1923 a Firenze c’era stato soltanto un corrispondente dell’« Italia libera », organo nazionale dell’Associazione, Domenico François, presto costretto a cessare la collaborazione per le persecuzioni fasciste (cfr. Ig n o b ili, nel « Piave » 25 novembre 1923).22 Cfr. « Il nuovo giornale » 2 e 15 dicembre 1922 e 1 gennaio 1923 per le reazioni dei combattenti toscani all’ordine di scioglimento delle squadre d’azione e « Il nuovo della sera » 15 gennaio 1923 e « Il nuovo giornale » 16 gennaio 1923 per il resoconto del congresso provinciale deli’Anc dove sono registrate le proteste per la mozione del Gran Consiglio del fascismo del 13 gennaio, in cui, pur approvando l’erezione dell’Associazione in ente morale, si attribuiva ad essa un orientamento favorevole al fascismo solo « dopo la marcia su Roma ». Ad alimentare questi malumori s’era poi aggiunta la ga ffe di De Vecchi, nella sua veste di sottosegretario per l’assistenza militare, in fatto di pensioni di guerra (cfr. Renzo de felice , M u sso lin i il fascista . L a co n q u is ta del p o tere 1921- 1925, Torino, Einaudi, 1966, pp. 515 sg.).23 Sul malessere dei ceti medi nei primi anni del governo fascista cfr. franco catalano, F ascism o e p iccola borghesia , Milano, Feltrinelli, 1979, soprattutto pp. 119 e sgg. Catalano tende a evidenziare principalmente i fattori economici del fenomeno, che hanno indubbiamente il loro peso, ma che è forse opportuno integrare con una maggiore attenzione alle componenti psicologiche. Infatti, mentre il fascismo nella fase di assestamento al potere non lesinò segnali rassicuranti per l’e s ta b lish m en t burocratico, economico e militare, esasperò l’inquietudine dei ceti intermedi mortificando ripetutamente le aspettative morali e politiche degli strati emergenti della borghesia cittadina (impiegati tecnici e amministrativi del settore industriale e bancario, impiegati pubblici, liberi professionisti, insegnanti e intellettuali), la loro aspirazione all’autonomia, all’autogoverno tecnico, alla razionalizzazione e al rinnovamento burocratico, comprimendoli nella morsa formata da una parte dal massiccio recupero di vecchie cariatidi della conservazione e dall’altra dalla spinta verso lo sp o il System proveniente dall’estremismo farinacciano. Sul malcontento e sul disorientamento dei ceti medi cercarono di far leva varie forze politiche, spesso concorrenzialmente, dai repubblicani ai socialriformisti all’Unione democratica nazionale; primi fra tutti i repubblicani, che vararono l’Italia libera come strumento di aggregazione dello scontento piccolo borghese e quasi contemporaneamente costituirono un comitato di difesa a favore dei ferrovieri licenziati, soprattutto ex combattenti (cfr. « La voce repubblicana » 4 luglio 1923). Tuttavia cavalcare indiscriminatamente le rivendicazioni della piccola borghesia soprattutto impiegatizia era una carta estremamente rischiosa, perché il risanamento della pubblica amministrazione, il rilancio dell’iniziativa privata, lo smantellamento dei vincoli e il ripristino del libero mercato erano obiettivi perseguiti proprio dalla media borghesia progressista. Una opposizione pregiudiziale alle prime misure adottate dal governo Mussolini in tema di riforma burocratica poteva riuscire controproducente, come è confermato dalle perplessità di Salvemini consegnate alle pagine del diario.24 « Fanteria » 10 agosto 1924.25 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), G l Associazioni, 1925, b. 84A, fase. Italia libera-Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno, 30 giugno 1924.

    « Fanteria » 22 giugno 1924.Ibid., 20 luglio 1924.27.

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    stilata da Piero Calamandrei e dalla citazione in rilievo di un brano di un vecchio articolo del socialista trentino che era tutta un’allusione al presente e un’anticipazione della parola d’ordine del « Non mollare » 23 * 25 * * 28, mentre si infittivano gli incitamenti ai concittadini a tradurre la mormorazione in pubblica protesta29.La repressione delle autorità contro questa campagna legalitaria per il ripristino della libertà di opinione non si fece attendere. In luglio venivano perquisite la segreteria dell’Unione spirituale dannunziana e l’abitazione di Umberto Calosci30, la casa dei fratelli Rossi, probabilmente su segnalazione del prefetto di Pisa, città in cui era stato intercettato un pacco di materiale dell’Unione goliardica per la libertà indirizzato a Venanzio Pieri, accompagnato da una lettera di Paolo Rossi31, e lo studio e l’abitazione del pittore Franco Dani32. Il numero 32 di « Fanteria » venne sequestrato per due articoli, Pacificazione d'occasione di Tabù e Giacomo Matteotti di Francesco Grandonico33; al sequestro tenne dietro la denuncia per eccitamento all’odio di classe e vilipendio del governo34. Alla intimidazione poliziesca si accompagnavano le immancabili minacce della repressione extralegale: « Il Piave » del 24 agosto sotto il titolo Un avvertimento. Lagrime di coccodrillo a buon mercato, si scagliava contro il « giornalone di via San Gallo » ammonendo ultimativamente la « dozzina di professionisti e il centinaio di travetti » della sezione indipendente che « la pazienza ha un limite e nessuno di noi si sente un animo sacerdotale e di francescano ».Queste pressioni convergenti, i risultati del Congresso di Fiume dell’Associazione nazionale dei mutilati e invalidi di guerra e il compromesso del Congresso di Assisi ottenevano lo scopo di inserire almeno un elemento di incertezza nel dissi- dentismo, di cui approfittava immediatamente il presidente del Consiglio nazionale dell’Anc Bavaro per invitare la sezione indipendente di via San Gallo a mettere fine allo scisma e a rientrare nei ranghi35. Nonostante la decisione presa nell’assemblea del Gymnasium del 26 ottobre di persistere nella scissione, cominciava a verificarsi qualche cedimento, a partire dal ritiro del direttore del periodico (che si era sempre preoccupato di esercitare un ruolo moderatore), maturato dopo un secondo sequestro36. Ormai l’equivoca impostazione del combattentismo come riserva morale della nazione al di sopra della mischia aveva fatto il suo tempo e « Fanteria » aveva esaurito la sua funzione di luogo d’incontro tra la « dozzina di professionisti » e un più articolato campionario del mondo popolare fiorentino, consentendo di saggiare la serietà dei propositi e di compiere quel lavoro di selezione, a cui Ernesto Rossi attribuisce il merito della solidità e della continuità del nucleo clandestino37.

    23 « Ricordiamoci che se anche la vittoria dovesse essere molto lontana e noi dovessimo morireprima di vederla queste lotte serviranno ad accendere nel cuore dei giovani tali sentimenti, ad aggiungere al cumulo dei dolori dei nostri padri tali dolori, che invece di fiaccarci ci apriranno la via più larga a più grandi vittorie - Cesare Battisti, 28 agosto 1909 ».25 II coraggio , in « Fanteria » 27 luglio 1924.30 « Il nuovo giornale » 18 luglio 1924.31 « Fanteria » 7 luglio 1924 e ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), G l Associazioni, 1925, b. 82, fase. Pisa, Prefetto di Pisa a Ministero Interno 4 luglio 1924 e pref. di Firenzea Ministero Interno 19 luglio 1924.32 « Il nuovo giornale » 27 luglio 1924.33 « Fanteria » 31 agosto 1924.34 « La nazione » 13 settembre 1924. Il direttore Giovanni Eecucci e l’autore del secondo articolo, Francesco Grandonico, furono assolti in pretura per mancanza del requisito dell’esternazione a causa del sequestro preventivo (ibid., 19 settembre 1924).33 « Fanteria » 3 agosto 1924.36 Ibid., 21 dicembre 1924.37 N o n m ollare . 1925, Firenze, La nuova Italia, 19682, p. 3. In precedenza E. Rossi aveva

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    La controffensiva fascista era nell’aria; la stagione degli ordini del giorno era al tramonto; il 30 novembre c’era stato a Firenze un più serio tentativo di invasione del < Nuovo giornale», accompagnato da manifestazioni ostili presso le sedi di « associazioni non gradite » 38; le iniziative dell’Italia libera andavano acquistando in immediatezza, apparentandosi all’anonima espressione spontanea della protesta popolare, affidandosi più alla diretta eloquenza del messaggio che alla mediazione dell’elaborazione concettuale, alla modalità del gesto e alla sua pregnanza simbolica che al contenuto. Se ancora nell’episodio dell’affissione notturna del manifesto per Matteotti, ricordata da Rossi, si puntava alla qualità del testo letterario compilato da Jahier39, la sovrapposizione del ritratto di Matteotti ai manifesti fascisti40 rappresenta già l’esempio di uno stile nuovo, più essenziale, che diventerà costante e sarà affinato nelle imprese successive. La notissima manifestazione del 2 novembre alla cappella Vannucci41 trova un corrispettivo nel contemporaneo pellegrinaggio di ex combattenti sovversivi sorpresi dai fascisti mentre gettavano garofani rossi e accendevano lumini sulla tomba di Spartaco Lavagnini nel cimitero di Trespiano42, così come la scritta inneggiante all’Italia libera dipinta sul muraglione dell’Arno nella notte del 7 dicembre e l’impresa del ritratto di Matteotti innalzato sul ponte Santa Trinità il 10 giugno dell’anno seguente43 trovano riscontro nella bandiera rossa innalzata sul Palazzo da Cepparello in via del Corso il 1° maggio 1925 e nell’arresto di quattro giovani che portavano corone in onore di Mugnai e Lavagnini, le prime vittime dei fatti del febbraio 1921 44. La novità, e non era novità di poco rilievo, era ovviamente costituita dal fatto che la famosa «dozzina di professionisti» col suo seguito di «travetti», adottasse i sistemi dei sovversivi, la pratica del volantinaggio corsaro, dello sfregio dei manifesti fascisti, della sfida e della provocazione anonima. Il significato di questa evoluzione era, in parte, esemplarmente condensato nella Lettera aperta al prefetto di Milano firmato da Bauer, Degli Occhi, Mira e Parri, stampata nell’ultimo numero del sequestratissimo «Caffè»:

    Ella non può tollerare la parola e l’azione di uomini indipendenti, i quali non abbiano ai suoi occhi l’ampia scusante di appartenere ai partiti estremisti o rivoluzionari. Ella non concepisce la politica dei borghesi organicamente non accomodanti [...] Soltanto la sollecitudine per l’avvenire del nostro paese ci ha messo in prima fila accanto ai partiti e alle masse

    svolto un’intensa attività anche come segretario dell’Associazione agraria toscana e direttore del « Giornale degli agricoltori toscani » fino al delitto Matteotti, confidando di poter illuminare i proprietari agricoli sul loro vero interesse e di salvaguardare l’autonomia dell’Associazione sulla base di un programma antiprotezionista (cfr. l’Introduzione di Giu se ppe a e m a n i a ernesto rossi, G uerra e dopoguerra . L e tte r e 1915-1930, Firenze, La nuova Italia, 1978, pp. LV e sgg.). Nella stessa direzione si moveva anche Arcangelo Di Staso, collaboratore del « Giornale degli agricoltori toscani », con un più marcato fideismo che lo spingeva a ritenere di aver fatto della provincia di Siena la « cittadella del liberismo e non soltanto economico » (cfr. a. di staso, A g rico ltu ra e in dustr ia lism o , in « Volontà » 31 marzo 1924). Sul ruralismo del Di Staso, già collaboratore del- 1’« Unità » di Salvemini, è interessante la sua polemica con Ugo Battaglia sempre in « Volontà ». Non va dimenticato che Serpieri, il più conseguente teorico della ruralità non solo come modello economico ma come costume, aveva fatto parte del comitato promotore del Circolo di cultura di Borgo Santi Apostoli.3! « Il nuovo giornale » 2 dicembre 1924 e « Fanteria » 6 dicembre 1924.33 N o n m ollare . 1925, cit., p. 12.43 Ib id ., p. 13.41 Ib id ., p. 15.43 « Battaglie fasciste » 15 novembre 1924.43 N o n m ollare . 1925, cit., pp. 19, 22 sgg.44 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), K9, 1925, b. I l i , fase. Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 1 maggio 1925 e « La nazione » 11 giugno 1925.

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    proletarie, in una lotta che per il bene d’Italia deve avere assolutamente carattere nazionale e non carattere di classe4S.

    Solo in parte, però, come ho detto, perché, a differenza del gruppo milanese che si poneva a fianco del proletariato senza rinunziare all’uso di uno strumento tradizionale delle classi colte, i fiorentini ne adottavano anche la « tattica rivoluzionaria», come scriverà Salvemini nel 1928 nel Primo dovere: conquistare la nuova libertà46.Il 31 dicembre 1924 il fascismo fiorentino mobilitava la sana provincia rurale contro la corrotta e sofisticata città, dove una borghesia petulante si permetteva di disquisire sulla legittimità morale del governo. Circa quindicimila dimostranti, armati di moschetti, fucili da caccia e forconi, affluivano a Firenze, dove, dopo essere stati arringati dai notabili, davano l’assalto al « Nuovo giornale », alle logge massoniche, alla sezione indipendente dei combattenti, alla redazione di « Fanteria » e all’attigua Associazione del libero pensiero «Giordano Bruno», agli studi di vari professionisti. Il bilancio di queste « incontrollate » violenze si risolveva a tutto vantaggio del blocco di potere reazionario, omaggiato di una salutare lezione impartita al quotidiano che dal 1906 aveva rappresentato l’opinione liberal- democratica, mentre anche il liberale « di sinistra » •— come lo definiva tendenziosamente nella cronaca degli avvenimenti « La nazione » del Io gennaio — Vieri Corazzini, in contrasto con i suoi compagni di partito saldamente insediati nell’amministrazione, veniva energicamente richiamato alla ragione.L’ondata della repressione legale tenne dietro, come al solito, subito dopo il discorso del 3 gennaio, abilmente imperniato sul ricatto della paura della rivoluzione, preannunciata da un preoccupante « risveglio sovversivo su tutta la linea » documentato da vari episodi sintomatici come i conflitti di Genzano e Tarquinia, il dilagare del canto di Bandiera rossa, le sassate contro il diretto 192 e perfino l’incendio del magazzino delle ferrovie di Porta al Prato, di probabile origine accidentale 47. Essa colpì prevalentemente i militanti dell’estrema sinistra, con retate massicce, per accreditare l’allarmismo mussoliniano, ma non risparmiò neppure le organizzazioni che « sotto qualsiasi pretesto possono raccogliere elementi turbolenti che comunque tendano a sovvertire i poteri dello Stato » e in particolare l’Italia libera, della quale fu ordinato lo scioglimento in tutto il territorio nazionale 48. A Firenze, in mancanza di una sede ufficiale dell’organizzazione, fin dal 31 dicembre furono effettuate perquisizioni nelle case di quattro esponenti49 e di altri venti nei giorni successivi50, nella convinzione che questa attività intimi- datrice fosse sufficiente a provocarne lo sfaldamento, come avvenne effettivamente nella maggior parte dei casi. Ma l’etichetta comune dell’Italia libera copriva realtà locali assai differenziate, spesso più avanzate rispetto alla posizione dei suoi promotori, e questo fu appunto il caso di Firenze, contraddistinto non solo dalla sopravvivenza, ma addirittura dalla crescita dell’attività dopo la svolta del 3 gennaio. Le ragioni del « caso » fiorentino sono già state in parte accennate e sono ricon-

    45 Cfr. arturo colombo, R ic ca rd o B a u er e le rad ic i ideo log iche d e ll’a n tifa sc ism o d em ocra tico , Bologna, Forni, 1979, p. 23.46 G. Salvemini, S cr itti su l fa sc ism o , voi. II, cit., p. 404.47 II periodico fascista pratese « La fiamma » pubblicava nel numero del Io febbraio 1925 un invito ai segretari del Fascio a segnalare gli incidenti provocati dai sovversivi e « Battaglie fasciste », dopo il delitto Matteotti, segnala nelle corrispondenze dalla provincia episodi di antifascismo popolare come indice di una ripresa del sovversivismo.48 Circolare del ministro dell’Interno Federzoni ai prefetti del 3 gennaio 1925 in Alberto aquarone, L ’o rgan izzazione dello s ta to to ta lita rio , Torino, Einaudi, 1965, p. 367.49 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), G l Associazioni, 1925, b. 84A, fase. Italia libera-Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 31 dicembre 1924.50 Ib id ., Prefetto di Firenze a Ministero Interno 5 gennaio 1925.

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    ducibili a una particolare coesione interna di ordine più morale che politico che, come è stato osservato da Salvemini e poi ripetuto da altri51, sopravvisse attraverso il « Non mollare » e Giustizia e Libertà fino al partito d’azione e alla Resistenza. All’origine dell’Italia libera a Firenze non vi fu certamente la concezione superpartitica del combattentismo formulata nel già ricordato manifesto del delegato regionale, Umberto Calosci, per incarico del Comitato centrale romano ed è inverosimile che uomini come Salvemini, Jahier e Carlo Rosselli, che nell’atto di iscriversi al Psu avevano espresso un giudizio nettamente negativo su « ogni sforzo di azione costruttiva compiuto all’infuori delle correnti politiche tradizionali '» 52 abbiano potuto contemporaneamente accettare un’impostazione che contraddiceva le loro affermazioni pubbliche. La riunione del giugno 1924 in casa di Enrico Bocci, promossa da quattro ferrovieri repubblicani, Cristofani, De Li- guori, Piani e Traquandi, con la partecipazione di Carlo Rosselli, Rochat, Me- nichetti, Vannucci, in cui fu raggiunta un’intesa sulla base di un programma lineare di difesa della libertà contro la progressiva erosione compiuta dal fascismo dovè dunque gettare le basi, al di fuori di ogni struttura gerarchica dipendente da un centro, di un organismo autonomo veramente efficiente perché più realisticamente impostato sul piano dell’aggregazione di un’intesa non ambiziosamente e fumosamente metapolitica ma temporaneamente prepartitica53.Le autorità locali, obbedendo alle disposizioni date dall’alto, avevano seguito la vita dell’associazione segnalando che essa contava un centinaio di iscritti e i nomi dei principali esponenti54. L’elenco fornito dal prefetto corrisponde solo molto parzialmente alla composizione ricostruita da Rossi55. I documenti consultati e i giornali dell’epoca non indicano i nomi degli aderenti che furono presi di mira dalle perquisizioni, ma si può presumere che l’operazione della polizia si sia indirizzata con pigrizia burocratica verso i soliti ambienti repubblicani, democraticomassonici e dannunziani, ritenendo, con l’aggiunta del Circolo di cultura, di aver decapitato il movimento. La possibilità dell’esistenza di una rete clandestina, socialmente e politicamente mista, non rientrava forse ancora negli schemi canonici delle autorità preposte alla vigilanza. Fin qui siamo nel campo delle ipotesi, nel tentativo di una ricostruzione degli eventi che non può essere che largamente approssimativa: la realtà è la nascita e la durata del « Non mollare ».Nel gennaio 1925, come ha osservato Salvemini56, la situazione era matura per la comparsa della stampa clandestina. Il racconto fatto dallo stesso Salvemini del modo in cui sorse l’idea del «Non mollare», da un’osservazione casualmente lanciata in una riunione fra pochi amici fidati dopo il 3 gennaio57, rettifica una precedente testimonianza di Rossi, che retrodata il proposito dell’iniziativa al mese di ottobre58, ma è più verosimile una genesi maturata attraverso un processo di incubazione anche rapido che non l’illuminazione romantica proposta dallo sto

    51 N o n m ollare . 1925, cit., p. 115; LEO v a l ia n i, D a ll’an tija sc ism o alla R esis ten za , Milano, Feltrinelli, 1959, p. 10; L. z a n i , L ’Ita lia libera, cit., p. 10.52 « La giustizia » 24 settembre 1924.53 N o n m ollare . 1925, cit., p. 3.H ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), Gl Associazioni, 1925, b. 84A, fase. Italia libera-Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 30 giugno 1924.55 I nomi segnalati dal prefetto sono i seguenti: Umberto Calosci, Luigi Castaldi, Giacomo Ancona, Ernesto Rossi, Mario Campoimi, Dino Vannucci, Mario Gallinaro, Achille Belloni, Alfonso Paganelli, Renato Zanella, Nello Cigheri, Giotto Ciatti, Armando Bonciani, Umberto Aiazzi.56 N o n m ollare . 1925, cit., p. 73.57 Ibid., p. 73.58 ernesto ro ssi, I l « N o n m ollare », in « Il Ponte » agosto 1945, poi in U n d em o cra tico ribe lle , a cura di Giuseppe Armani, Parma, Guanda, 1975.

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    rico pugliese. Del resto la stampa di sinistra era bersaglio da tempo di un boicottaggio sistematico, aveva già una circolazione semiclandestina e materiale stampato clandestinamente era stato diffuso: la novità dell’intuizione del gruppo del «Non mollare», al di là di una puntigliosa rivendicazione di priorità che ha sempre un certo sapore di grettezza provinciale, è costituita dalla volontà di dar vita ad un organo di « controinformazione », come si direbbe oggi, dell’antifascismo apartitico e aclassista che trasmetteva, per il fatto stesso della sua esistenza e della sua continuità, un segnale di disobbedienza civile.Il contenuto del foglio fiorentino è intonato alla finalità che si proponeva: colpire l’immaginazione, sollecitare la reazione del lettore, lanciare parole d’ordine recuperate dalla memoria risorgimentale, sottolineando le analogie fra la dittatura fascista e la dominazione austriaca, ridicolizzare e incalzare Favversario, sfruttare con una certa abilità l’informazione sensazionale, sull’esempio offerto da Giuseppe Donati, molto stimato da Salvemini e da Rossi, realizzando anche alcuni « colpi » giornalistici magistrali, con la pubblicazione di documenti esplosivi sulla responsabilità di Mussol'ni nel delitto Matteotti, anche se in parte disinnescati dopo il discorso del 3 gennaio. A un più alto livello di presa di coscienza politica si aggiungeva la denunzia della complicità della monarchia e del potere economico, del fallimento dell’Aventino, della persecuzione antipopolare, accostata alla notizia della bastonatura degli studenti.Dopo l’arresto di Salvemini e il momentaneo espatrio di Rossi si avverte una più netta impronta rosselliana: il discorso si amplia fino ad includere spunti di critica all’opera di disarmo compiuta dai socialisti e da una pseudodemocrazia che si era lasciata passivamente liquidare dal fasc'smo, introducendo elementi di riflessione e temi, in parte estranei all’impostazione originaria del foglio, che già preludono al dibattito del « Quarto stato » e anticipano il più complesso discorso sull’antitesi fra un genuino liberalismo e il fascismo reazionario, « che vorrebbe risuscitare, mascherate di modernità, forme di autorità storicamente sorpassate », che sarà ripreso, quasi con identica formulazione, nel primo e unico numero della « Lotta politica», la rivista clandestina di Bauer, Levi e Nello Rosselli59. Il «Non mollare» pur nella modestia dei suoi mezzi e della veste tipografica, poté avvalersi, infatti, di una vasta rete di contatti a carattere nazionale e ricevere apporti da un’area di circolazione estesa anche a centri lontani dal punto di irradiazione. L’attenzione delle autorità locali al fenomeno diventò allarme appena il foglio clandestino dimostrò la sua pericolosità penetrando in alcuni ambienti operai « con preoccupante frequenza » 60. Il 21 aprile fu arrestato Alfredo Rapezzi, rimesso in libertà senza immediate conseguenze il 15 del mese successivo61. Il 29 dello stesso mese una spedizione guidata dal senior Dino Fantozzi dell’Ufficio politico della 92a Legione della Mvsn faceva irruzione nello studio dell’avvocato Console e vi sequestrava settecento copie del n. 12 del «Non mollare», in parte ritrovate in uno stanzino che serviva da ripostiglio e da gabinetto, in parte nella libreria posta nella stanza dell’avvocato e in parte nascoste sotto un mucchio di segatura nel locale in cui due operai stavano attendendo a un lavoro di restauro. La polizia, avvertita del ritrovamento, procedeva all’arresto dell’avvocato Giuseppe Viggiani, di due clienti e dei due muratori62. Poco dopo venivano eseguiti altri due arresti « sensazionali » per la notorietà dei personaggi coinvolti: quello del 55

    55 G o vern o e opposiz ione , in « Non mollare » suppl. al n. 21 e L a lo tta po litica in arturo colombo, R iccardo B a u er e le radici ideo log iche de ll’an tifa sc ism o d em o cra tico , cit., ristampa anastatica del n. 1 della « Lotta politica ».60 « La nazione » 17 settembre 1925.61 N o n m ollare . 1925, cit., p. 84.62 « La nazione » 30 aprile 1925.

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    socialista massimalista Console e del repubblicano Lattes63. Il 6 maggio la stampa cittadina dava notizia della scoperta di una tipografìa in via dell’Isolotto, dove era stato stampato un numero del giornale, e della fuga del proprietario, l’ex ardito del popolo Renzo Pinzi64.La conclusione del primo processo per il « Non mollare i>, cominciato il 1° giugno e terminato il 9, è assai nota65, al pari della incriminazione di Salvemini e Rossi, in seguito alla testimonianza del Pinzi, tornato dalla Francia dove si era rifugiato con l’aiuto degli antifascisti fiorentini66 Più interessante, invece, è seguire gli indizi della repressione diffusa connessa con l’attività del giornale e con il tentativo fascista di stroncarla. Alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio di Matteotti, nel corso di un’incursione effettuata nella sede della Società mineraria ed elettrica del Valdarno venivano rinvenute copie del numero speciale del « Non mollare » dedicato al deputato socialista ucciso dai fascisti ed erano fermati quattro impiegati dell’azienda67, due dei quali, dopo il rilascio, subirono aggressioni fasciste68. Verso la fine del mese venne perquisita la stanza occupata nell’ospedale dove lavorava da Piero Pieraccini, al quale fu sequestrata una copia del libro di Salve- mini Tendenze vecchie e necessità nuove del movimento operaio italiano. Il medico venne fermato e rilasciato subito dopo, ma l’operazione coinvolse altre ottanta persone, fra cui noti professionisti, a Firenze e nei comuni limitrofi69. Il processo Salvemini consentì ai fascisti d’impartire una lezione ai borghesi intervenuti per manifestare solidarietà con l’accusato, mentre il processo Fiorio li autorizzò addirittura a sconfinare in territorio senese per aggredire gli avvocati Lattes e Marchetti, attirandosi la deplorazione del ras locale Baiocchi70. La serie delle aggressioni di luglio culminava nell’efferato pestaggio di Serravalle di Giovanni Amendola. Nonostante questa sistematica repressione proseguivano la stampa e la diffusione del « Non mollare », che anzi nel numero 20 datato 27 luglio ringraziava i « fascisti toscani per la collaborazione preziosa che portano alla nostra battaglia. Colle loro rinnovate persecuzioni foggiano il nostro carattere morale, ci danno nuovo vigore e impulso per l’azione. A forza di bastonare, di perseguitare, di distruggere, costruiranno l’élite che dovrà seppellirli. Si scavano la fossa e preparano i becchini [...] ». Finalmente verso la metà di settembre i fascisti fiorentini potevano sbandierare la prova della connivenza fra i borghesi del giornaletto clandestino e il sovversivismo con l’arresto, operato il 10 settembre, di due operai, Giovanni Poggi e Vasco Badii, responsabili, insieme a numerosi comunisti, della diffusione del « Non mollare s> e delle circolari del partito comunista nelle fabbriche fiorentine e accomunati con questi ultimi nella preparazione di un unico disegno eversivo71.

    63 Ibid., 2 maggio 1925.64 Ibid., 6 e 11 maggio 1925.“ Non mollare. 1925, cit., p. 86.66 Ibid., pp. 84 sg.67 « La nazione » 10 giugno 1925.“ Ibid., 14 e 15 luglio 1925. I due impiegati erano Alfredo Ferrini, repubblicano e amico diTraquandi (cfr. ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, Div. polizia politica, b. 134, fase. Giovane Italia), in seguito sospettato di aderire a Giustizia e Libertà (Prefetto di Firenze a Ministero Interno 11 marzo 1931) e Giocondo Montagni, capo ufficio della Società elettrica e mineraria del Valdarno ed ex fiduciario della Federazione italiana dipendenti aziende elettriche.69 Ibid., 26 giugno 1925.70 Ibid., 14, 16 e 22 luglio 1925. A proposito degli incidenti del 13 luglio Dino Perrone Compagni inviava a Mussolini il seguente telegramma: « Opposizioni capitanate medaglia d’oro Rossetti convenute Firenze per processo Salvemini provocando con frasi e atteggiamenti hanno avuto meritata lezione. In nome fascismo fiorentino e fascismo da me creato su basi purità passione ricordo che esso non tollera alcun modo mormorazione ingiuria avvilimento » (cfr. ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), G l Fascio, 1925, b. 89, fase. Firenze).71 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), K1B, 1925, b. 104, fase. Firenze, Prefetto

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    Subito dopo sopraggiungeva il proclama di guerra alla massoneria emanato dal direttorio del Fascio con l’invito a colpire i massoni nelle persone, nella proprietà, negli interessi72. La violenza endemica dei mesi precedenti aveva una brusca impennata. La sottoborghesia rappresentata dal «Piave», che, denunciando la ripresa dell’attività sovversiva e « gli indizi della vitalità propagandistica bolscevica », chiedeva che la scure littoria si abbattesse « sulla testa del complotto » dopo aver colpito « le zampe », salutava la parola d’ordine della lotta a oltranza contro i massoni con entusiastica adesione73. A partire da questo momento professionisti, commercianti medi e piccoli, impiegati diventarono il bersaglio di un pogrom che si concluse con la tragica notte del 4 ottobre e con una serie di « tumulti e inaudite violenze » estesi a tutta la provincia e ad altri centri della Toscana che l’allora ministro deH’interno Federzoni ha definito nelle sue memorie « una vera e propria rivolta organizzata » 74.Rivolta contro chi? Per l’estremismo fiorentino era la sognata resa dei conti, ma si risolse, com’era facilmente prevedibile, nella sua definitiva sconfitta. La guida del turbolento fascismo locale passò, infatti, subito dopo nelle mani di un moderato, proveniente dalle file liberali, Giovanni Marchi, che a dicembre diventò anche direttore del «Nuovo giornale»; la direzione dell’organo della Federazione provinciale fascista « Battaglie fasciste » fu affidata a un esponente del revisionismo bottaiano, Gherardo Casini, e al vecchio direttore, Odoardo Cagli, che dalle ospitali colonne del « Piave » aveva cercato, dopo l’attentato Zaniboni, di levare un’accorata protesta75 fu seccamente intimato il silenzio con un fulmineo provvedimento di radiazione dal P nf76. Il blocco dominante locale raggiungeva così contemporaneamente il duplice obiettivo di sbarazzarsi dell’opposizione democratica borghese e di liquidare gli scomodi esecutori dell’operazione77.In realtà il processo di compenetrazione fra il fascismo e i tradizionali centri di potere toscano era andato avanti senza scosse, nonostante la crisi Matteotti e l’erosione del consenso fra i ceti intermedi. Le forze che contavano non avevano mai lesinato il loro appoggio neppure nei momenti più scabrosi e non a caso probabilmente la lista degli ammessi d’ufficio al Pnf nel dicembre 1925 si apriva con i nomi di Egidio Favi, proprietario della «Nazione», e di Guido Chierichetti, regio commissario della Camera di commercio78. Anche il malessere dei ceti intermedi, frattanto, almeno per quanto riguarda gli strati superiori, cominciava ad essere gradualmente riassorbito attraverso la cooptazione, accanto agli esponenti della classe dirigente, della categoria dei tecnici, inserita in qualcuno degli innumerevoli enti di cui il fascismo fu fertilissimo inventore proprio negli anni dell’assestamento al potere, come dimostrano, ad esempio, i foltissimi consigli di amministrazione della neonata Ond, le commissioni provinciali granarie istituite per la battaglia del grano, l’Istituto del patronato nazionale e via dicendo79. La buro-

    di Firenze a Ministero Interno 10 settembre 1925. Nella « Nazione » del 17 settembre 1925 gli arresti per il « Non mollare » erano inseriti nel quadro di un temibile risveglio di attività comunista e connessi con l’organizzazione delle cellule nelle fabbriche fiorentine sotto il titolo I p a rtico lari d e l co m p lo tto co m u n is ta sco p erto dalla polizia .72 « Battaglie fasciste » 25 settembre 1925.73 « Il Piave » 27 settembre 1925.74 l u ig i federzoni, L ’Ita lia d i ieri per la storia d i d o m a n i, Milano, Mondadori, 1967, p. 102.75 C o m p ren d etec i o D u ce , nel « Piave » 8 novembre 1925.76 « La nazione » 15/16 novembre 1925.77 Per queste considerazioni cfr. Giorgio s p in i, in L a T oscana n e l reg im e fasc ista , Firenze, Olschki, 1971, p. 7.78 « La nazione » 25/26 dicembre 1925.75 Per la composizione del primo consiglio d’amministrazione dell’Ond di Firenze cfr. « Battaglie fasciste » 13/2/1926 e per la Commissione granaria cfr. « La nazione » 8/9/1925.

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    crazia subalterna, invece, previamente desindacalizzata, doveva accontentarsi del discutibile privilegio della priorità del riconoscimento giuridico accordato alle associazioni del pubblico impiego, poste alla diretta dipendenza dal partito.L’aria di Firenze dopo i fatti dell’ottobre era diventata opprimente il movimento democratico fiorentino aveva perso buona parte delle sue guide intellettuali, era stato «decapitato» per usare la colorita definizione di Traquandi80 81. Salvemini era espatriato in Francia già dal luglio e, nonostante gli appelli di Carlo Rosselli a rientrare in Italia, corrucciato con la maggioranza dei suoi compatrioti per la loro supina acquiescenza alla dittatura, persisteva nel suo proposito di rimanere all’estero, sempre più convinto che l’unica strada da battere fosse quella d’illuminare l’opinione pubblica mondiale, disinformata e incantata dalla propaganda fascista, sulla realtà del regime82. Carlo Rosselli si divideva fra Genova e Milano, sempre più insofferente degli impegni universitari, ai quali tuttavia attendeva con grande scrupolo, e tormentato dall’« incompatibilità di ordine morale [...] tra i doveri di una carriera da tempo di pace [...] e il dovere dettato dai periodi di guerra come l’attuale » 83 84. Ernesto Rossi, appena rientrato nell’autunno del 1925 dal rifugio francese, dove era riparato per sottrarsi all’arresto, aveva sostenuto un concorso per l’insegnamento nelle scuole medie superiori ed era stato assegnato a BergamoM. Anche nella rete organizzativa si era creato qualche vuoto in punti nevralgici: il capozona Mario Longhi, segnalato come attivo distributore del « Non mollare » in Toscana e tramite per la diffusione a Milano, era stato costretto a darsi alla latitanza e ad espatriare in Francia85.Solo in una grande città come Milano era possibile proseguire con successo la lotta, reagendo al generale disorientamento, dedicandosi alla preparazione di uno strumento politico capace di sfruttare 1’« enorme forza in potenza» latente nel paese di cui l’Aventino aveva fatto una così timida amministrazione. Caduta la speranza di affidare la direzione delle superstiti forze di opposizione fattiva a Salvemini — considerato l’unico uomo capace con il suo prestigio intellettuale e morale di mantenere i contatti ed esercitare influenza su grandi masse — Carlo Rosselli non rinunciava al progetto di creare un punto di riferimento e dava vita, insieme a Nenni al «Quarto stato», organo al tempo stesso di spregiudicata riflessione critica, di dibattito ideologico e di battaglia politica, che si riallacciava ad alcuni spunti appena abbozzati nell’ultimissima fase della breve e intensa vita del « Non mollare ».L’attività dei nuclei antifascisti d’ispirazione democratico-borghese nell’ultimo scorcio del 1925, dopo la soppressione del «Caffè» e la fine del «Non mollare» e negli anni successivi fino alla fondazione di Giustizia e Libertà, quando non si buttò allo sbaraglio sul terreno della cospirazione avventurosa, fu prevalente

    80 « Ancora la situazione non è chiarita a Firenze e sino a ieri l’altro testimoni oculari mi raccontavano che la città è ancora sotto la tremenda impressione. Dopo cena non un’anima viva per le strade» scriveva Carlo Rosselli a Salvemini (cfr. L e tte r e di Carlo e N e llo R osse lli a G aetano S a lvem in i , a cura di Nicola Trafaglia, in « Annali della Fondazione Luigi Einaudi » voi. I, 1967, p. 355).81 L ’a n tifa sc ism o a F irenze. C olloquio con N e llo T raquand i, in « L ’astrolabio » 5 marzo 1967.82 Lettere di Carlo Rosselli a Gaetano Salvemini del 29 settembre e del 21 ottobre 1925 in L e tte r e d i C arlo e N e llo R osse lli a G a eta n o Sa lvem in i, cit., pp. 351 sgg.83 Lettera di Carlo Rosselli a Gaetano Salvemini del 12 gennaio 1926 (datata per una svista 1925), i’Aid., p. 350.84 Appena rientrato in Italia Rossi aveva preso contatto con i vecchi compagni di lotta Carlo Rosselli, Piero Pieraccini e Nello Traquandi (cfr. ibid., p. 356 e la lettera di Ernesto Rossi alla madre del 20 ottobre 1925 in e . rossi, G uerra e dopoguerra . L e tte r e 1915-1930, cit., p. 209 sg.).85 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, Casellario politico centrale (in seguito CPC) ad n o m e n , cenno biografico aggiornato al marzo 1937.

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    mente rivolta — fatta eccezione per il particolare dinamismo iniziale del centro propulsore milanese —, secondo l’impostazione data da Salvemini e Tarchiani dall’estero, alla raccolta e alla trasmissione delle notizie taciute dalla stampa italiana per illuminare l’opinione pubblica internazionale e farle poi rimbalzare all’interno e alla raccolta dei fondi necessari per la continuazione della lotta e per le sovvenzioni alle vittime. A questa azione si ricollegavano anche le imprese intese a consentire l’espatrio di personalità prestigiose come Turati, capaci di conferire maggiore risonanza all’attività dei fuorusciti, o di esperti e quotati giornalisti come Ansaldo e Silvestri, forniti delle doti necessarie ad imprimere un tono di professionalità e di autorevolezza alla redazione di un quotidiano dell’emigrazione politica. Con questi propositi s’intrecciavano residui di esaltazione romantica, tipici del primo Rosselli, come risulta, ad esempio, da un brano di una lettera a Salvemini del 21 ottobre 1925, scritta, quindi proprio alla vigilia dell’attentato di Zaniboni: « Oggi un attentato fortunato porterebbe alla follia i fascisti. Avremmo sei mesi di terrore, ma probabilmente dopo si tornerebbe a un regime possibile. Fra qualche mese, un anno, a fascismo normalizzato, anche la soppressione violenta di uno, di dieci capi, con ogni probabilità non scuoterebbe il regime, e forse lo rafforzerebbe » 86.Sull’attività del gruppo fiorentino nello stesso periodo ho potuto raccogliere solo indizi indiretti desunti principalmente dalla corrispondenza clandestina intercorsa fra Milano e il centro estero, conservata nell’Archivio del movimento Giustizia e Libertà presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, e perciò la ricostruzione risente della natura delle fonti utilizzate che offrono solo uno scorcio riduttivo della realtà locale. Non ho avuto modo di consultare la corrispondenza fra Traquandi e il centro milanese, sequestrata a Bauer dopo l’arresto del 1930 e allegata alla istruttoria del processo celebrato presso il tribunale speciale per la difesa dello stato87.Un primo accenno a « ritagli fiorentini » destinati a Salvemini si trova in una lettera di Pautasso (Parri) senza destinatario del 4 aprile 192688. L ’indomabile Rossi, che, oltre a recarsi periodicamente in Francia attraverso la Jugoslavia, faceva la spola fra i vari centro interni dell’organizzazione (è probabilmente lui il « giovane amico collaboratore del Selvaggio » — Salvemini — presentato a Tarchiani in una lettera senza mittente del 3 marzo 192689 aveva subito dopo il rientro in Italia ristabilito il contatto con Traquandi e contava sulla collaborazione dell’« Ulisse dai mille accorgimenti»90 e degli altri amici fiorentini per installare una centrale di stampa clandestina: « Di’ a Satiro [Traquandi] — scriveva alla madre il 2 luglio 1926 — che mi risponda subito per i quattrini. Ho già trovato il locale e già l’ho preso in affitto. Adesso occorrono 15.000 lire per l’acquisto della macchina. Poi potremo cominciare » 91. Le difficoltà connesse con la riorganizzazione di un lavoro clandestino ingrato e rischioso, privo di imme

    86 L e tte r e d i C arlo e N e llo R o sse lli a G a eta n o S a lvem in i, cit., p. 355. Sulle componenti idealistiche e romantiche nella formazione culturale di Carlo Rosselli, contrapposte al positivismo e aU’illuminismo di Salvemini cfr. le osservazioni di Roberto vivarelli in G iu stiz ia e L ib e r tà nella lo tta a n tifa sc is ta e nella storia d 'I ta lia , Firenze, La nuova Italia, 1978, pp. 74 sgg.87 Sentenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato n. 34 del 30 maggio 1931 riportatain e . r o ssi, U n dem o cra tico ribe lle , cit., pp. 279 sg.88 Archivio del movimento Giustizia e Libertà (in seguito AGL), sez. II, fase. 1, sottofasc. 46. 85 Ib id .50 La definizione si legge in un lungo messaggio inviato da Rossi a Carlo Rosselli subito dopola fuga da Lipari (cfr. AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53, 4 agosto 1929).91 E. ro ssi, G uerra e dopoguerra . L e tte r e 1915-1930, cit., p. 217.

  • diate prospettive, traspaiono comunque da una lettera di Rossi a Salvemini del 16 gennaio 1927:

    Gli amici della nostra città stanno bene e vorrebbero fare qualcosa. Ma cosa? Satiro continua a dire che la nostra inerzia dipende da mancanza di idee chiare. Come se potesse servire a qualcosa mettersi gli occhiali per vederci meglio in un locale completamente all’oscuro. Mi domandano continuamente sue nuove (ed io ben poco so perché lei non s’è mai fatto vivo) e mi pregano di scriverle che sempre la ricordano e le vogliono bene 92.Dopo l’espatrio di Turati e il fallito tentativo di Ansaldo e Silvestri, che avevanoprovocato fra gli altri anche l’arresto di Bauer, Parri e Carlo Rosselli, il ruolodi Rossi nell’organizzazione crebbe, come appare da una lettera di Tarchiani a « cara Marietta » (Giovanni Mira) del 6 gennaio 1927: « Qui si cerca di ricostituire un servizio di informazioni: forse tu, Burattino [Rossi], Paut[asso] II e qualcun altro potrete riprendere»93. Il 16 gennaio Rossi proponeva a Tarchiani di avvalersi della complicità degli adepti inseriti nell’amministrazione ferroviaria e postale per fare di Firenze il secondo polo di arrivo e di smistamento del materiale antifascista proveniente dalla Francia attraverso la spedizione di un baule94 e tornava a insistere sulla sua proposta in due lettere del 2 e del 12 aprile95 con argomenti che riuscivano infine a prevalere sullo scetticismo dei fuorusciti e soprattutto di Nenni96.Il senso di frustrazione a cui ho accennato, incessantemente corretto dall’ottimismo della volontà, era alimentato anche dalla delusione provocata dalle vicende del « Corriere degli italiani » e dal dissenso nei confronti della linea politica della concentrazione di Nérac di cui si faceva interprete Rossi in due lettere del 28 aprile e del 5 maggio 1927: « Da Firenze non ho ricevuto nessuna nuova del baule. Temo che ci abbiate mandato un pacco di quei manifesti per il 1° maggio che non sapremo che farcene: 1° perché sono venuti troppo tardi; 2° perché non ci piacciono (l’impostazione ci sembra errata perché l’antitesi non è tra fascismo e socialismo, ma fra fascismo e democrazia liberale'»97. Un altro motivo di scontentezza dei fiorentini era dovuto alla leggerezza con cui, a loro avviso, alcuni fuorusciti effettuavano la spedizione del materiale: essi si fidavano solo di Tarchiani, diffidavano soprattutto della faciloneria dei socialisti e non volevano che altri, fuorché Tarchiani, fosse al corrente dell’esistenza di quel mezzo di comunicazione 98.Le speranze intanto si concentravano sull’attesa pubblicazione del libro di Salve- mini sulla dittatura fascista, che procedeva nella stesura con esasperante lentezza, e sul progetto di liberazione dei confinati di Ustica, che cominciò a prender forma nella primavera del 1927. In una lettera cifrata e in inchiostro simpatico scritta da Rossi a « caro zio » (Salvemini) sono già presi in esame i dettagli tecnici dell’evasione:[...] 3° Può motoscafo avvicinarsi isola prime ore sera senza essere avvistato? Non sarebbe più facile idroplano? 4° Esaminate possibilità liberare tutti confinati. Farebbe ottima impressione estero. Gruppo giovani disposti facile trovare se riuscissimo darvi [?] armi. Non dovrebbe essere difficile sorprendere guarnigione. 5° Dando informazioni scrivete anche

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    » Jbid., p. 225.55 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 83.« AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53. L’esistenza di due vie per l’inoltro del materiale in Italia, che facevano capo rispettivamente a Rossi e Traquandi, è testimoniata da Rossi nel citato messaggio a Carlo Rosselli del 4 agosto 1929: « Ora abbiamo due strade per introdurre roba di fuori: per una faccio il ritiro io, per l’altra Satiro ».!S Ibid.% AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 42, lettera di P. Nenni a « caro Tarchiani » 1° agosto 1927. 57 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53.n Ibid., lettera di E. Rossi ad A. Tarchiani del 6 giugno 1927.

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    se nell’isola c’è telegrafo. Ho scritto a Mat. tilde] 99 perché cerchi aviatore disposto rischiare oppure persona cui appoggiare mie ricerche Tunisi. 7° Desidererei dirigesse tutto Pautasso che è il più adatto [...] 100Il progetto momentaneamente non ebbe seguito per il trasferimento nel carcere di Savona di Parri e Rosselli, in vista del processo.Sempre nella primavera del 1927 il processo di Chieti aveva rinnovato il ricordo della tragica notte fiorentina di San Bartolomeo e Rossi aveva scritto « una lunga storia » sull’uccisione di Pilati destinata alla pubblicazione all’estero 101 ; di questo episodio resta memoria anche in una lettera di Traquandi scritta in inchiostro simpatico alla vedova dell’ucciso che è l’unico documento a me noto della sua attività clandestina102. Nella stessa lettera si accenna anche all’arresto a Firenze di tre amici. Con molta probabilità si tratta degli operai Giovanni Barsotti, Giuseppe Gemmi e Vasco Badii, denunciati al tribunale speciale per la difesa dello stato perché ritenuti responsabili della diffusione di un ingenuo e truculento manifestino firmato dal Comitato centrale antifascista italiano che denunciava la «vendetta» di Mussolini a danno di Domizio Torrigiani, « l’uomo più grande, più umano, più nobile », confinato pochi mesi prima, e la scandalosa assoluzione di « tutti i responsabili morali e materiali, incendiari e assassini della notte di San Bartolomeo » e concludeva con la previsione dell’immancabile e imminente sfacelo del regime sotto il peso dei suoi delitti103. È un piccolissimo spiraglio che si apre sulla composita realtà del gruppo fiorentino, in cui il prof. Guido Ferrando e l’Istituto britannicoI04, centro di smistamento della corrispondenza dall’estero, s’intrecciano con il mondo dei « travetti » ferroviari e postali, con le botteghe dei commercianti e artigiani, con operai di piccole imprese industriali in un significativo spaccato del tessuto sociale cittadino fra popolare e piccolo-borghese 105. Sempre nella primavera del 1927 usciva finalmente in America il sospirato libro di Salvemini sulla dittatura fascista; l’anno seguente anche l’esigenza di un orientamento programmatico era soddisfatta dallo stesso Salvemini, che aveva proceduto nella redazione del testo con l’abituale ponderazione, « neppure fosse stato incaricato di fare la costituzione della nuova repubblica degli Stati Uniti d’Europa», come osservava impaziente Rossi in una lettera a Tarchiani del 1° gennaio 1928 106. Nel 1928 vedeva la luce l’opuscolo salveminiano intitolato 11 primo dovere: conquistare la nuova libertà, che assegnava alla borghesia democratica il compito di esprimere una terza via tra fascismo e comuniSmo, « un terzo movimento [...] che accetti della predicazione comunista quel che risponde realmente alla necessità dell’ora, cioè la tattica rivoluzionaria, ma rifiuti quel che non risponde a quella necessità, cioè il programma dittatoriale » 107. Infine la fuga da

    99 Tarchiani.100 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53, lettera a « caro zio » del 18 giugno 1927. Sulla partecipazione di Rossi ai preparativi per l’evasione da Ustica cfr. Alberto tarchiani, L ’im presa di L ip a ri in N o a l fa sc ism o , Torino, Einaudi, 1963, p. 120.101 Ib id ., lettera di E. Rossi ad A. Tarchiani del 2 luglio 1927.102 La lettera di Satiro a « carissimo Amedeo » del 20 settembre 1927, conservata nel Fondo Nello Traquandi presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, è stata pubblicata nel libro di p. Costantini, G a eta n o P ilati. V ita di u n socialista , Edizione a cura della sez. « G. Pilati » del Psi di Firenze, 1978, pp. 16 sg.103 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1914-1926), C2, 1927, b. 123, fase. Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 3 e 22 agosto 1927 e 17 dicembre 1927 e ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, CPC, ad n o m en .104 Fondo Nello Traquandi, b. corrispondenza evasa, lettera di G. Ferrando a N. Traquandi s.d. (ma agosto 1945) e L ’a n tifa sc ism o a F irenze. C olloqu io con N e llo T raq u a n d i, cit., p. 31.105 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1927-1933), sez. I, C2A, 1930-31, b. 6, fase. Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 25 febbraio 1930.104 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53.107 G. Salvemini, S cr itti su l fa sc ism o , voi. II, cit., p. 404.

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    Lipari del 1929 ripagava la lunga attesa dei militanti e la tenacia dei loro sforzi. Rossi inviava subito una lunga e importantissima lettera a Carlo Rosselli, scritta in inchiostro simpatico sulle pagine di un libro francese 101 * * * * * * 108, salutandone con entusiasmo la liberazione e ragguagliandolo minutamente sulla situazione del movimento antifascista democratico in Italia e sulle prospettive per un rilancio. Esistevano buoni distributori della stampa clandestina a Milano, Torino, Genova, Venezia, Firenze, Roma, nelle Romagne e nellTstria. Non mancavano, insomma, i volenterosi, ma scarseggiava il materiale valido, non tenendo conto della « Libertà » e dei «manifestini ampollosi della concentrazione» di cui non sapevano che fare. Occorreva intensificare la circolazione diretta attraverso il passaggio di mano in mano, preferibile all’invio per posta, perché era l’unico modo per rincuorare gli sfiduciati e dare l’impressione della esistenza di « qualcosa di vivo nel paese contro il fascismo », per mantenere « a contatto di gomiti chi ha voglia di fare qualcosa » e per selezionare a poco a poco « la gerarchia che potrà poi servire a cose maggiori ». Rossi ammoniva che il gruppo doveva conservare «un indirizzo nettamente liberale democratico», facendo riferimento ad alcuni scritti pubblicati da Salvemini nella « Libertà » un paio d’anni prima e sollecitava l’amico ad esprimersi in merito. Con l’abituale concretezza tracciava poi un lucido programma dei temi da affrontare nei prossimi opuscoli: risultati della politica estera, situazione economica e finanziaria, sindacalismo fascista, milizia ed esercito, polizia e magistratura, scuola e amministrazioni comunali. Metteva in guardia dalla ripetizione di esperienze sfasate come quella compiuta da Bauer, Levi e Nello Rosselli un anno prima con la torinese «Lotta politica», troppo astratta e teorica, meritatamente abortita sul nascere. Concludeva esortandolo a « badare più all’Italia che all’estero». In una lettera successiva del 21 ottobre, dedicata all’analisi della politica fascista nei confronti degli slavi e alla epurazione dei testi scolastici, forniva subito una pratica applicazione di questi propositi109.Il salto di qualità e il capovolg:mento dell’indirizzo fin allora prevalente sostenuti da Rossi, che aveva sempre resistito alle premurose sollecitazioni di Salvemini a riparare all’estero uo, erano pienamente condivisi da Rossellim. Ma quali conseguenze comportava la « svolta » del 1929 per l’organizzazione interna e come fu recepita perifericamente? La brevità del periodo intercorso fra il lancio di Giustizia e Libertà e l’arresto dei primi giellisti, la scarsità della documentazione disponibile non consentono di dare una risposta significativa a questa domanda, almeno per quanto concerne il nucleo fiorentino. Certo, il gruppo rispose ancora una volta all’appello e il polo d’arrivo e di smistamento del materiale proveniente dall’estero continuò puntualmente a funzionare grazie alla complicità dei vecchi compagnim; anche la disponibilità al passaggio a clamorose azioni dimostrative è provata dalla preoccupazione di Traquandi dopo l’arresto per una vah'gia di cheddite lasciata a Firenze113; manca, però, qualsiasi indizio sulla capacità del nucleo originario di reclutare nuovi militanti, di ingiovanire le file, di adeguarsi ai cambiamenti che erano intervenuti anche a Firenze, di penetrare la scorza del conformismo amaramente denunciato da Rossi1I4.Nel frattempo la fisionomia del potere fascista fiorentino si era «normalizzata»,

    101 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53, lettera a « carissimo », erroneamente datata 1928 inA rc h iv i del m o v im e n to G iustiz ia e L ib e r tà , a cura di Costanzo Casucci, Roma, 1969, p. 67.109 Ib id .110 AGL, sez, II, fase. 1, sottofasc. 55, lettera di G. Salvemini ad A. Tarchiani 27 giugno 1927.111 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 51, lettera di C. Rosselli ad A. Tarchiani 13 agosto 1929.112 AGL, sez. I, fase. 1, sottofasc. 9, lettera di Nino (Bauer) a Curzio (C. Rosselli) 19 luglio 1930.113 L ’an tifa sc ism o a F irenze. C olloquio con N e llo T raquand i, cit., p. 32.114 AGL, sez. II, fase. 1, sottofasc. 53, lettera a « gentilissima » 31 ottobre 1929.

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    adeguandosi al quadro nazionale. La lunga gestione Garbasso deH’amministrazione comunale, durata otto anni, fatta eccezione per la brevissima parentesi commissariale della primavera del 1923, si era conclusa nel 1928 con l’avvento di Giuseppe della Gherardesca, un nome relativamente «nuovo», membro dell’aristocrazia ma anche impegnato nel settore industriale; nella federazione provinciale del Pnf, Alessandro Pavolini, che amava atteggiarsi a patrono dei giovani intellettuali e vantava anche una collaborazione ad una rivista eterodossa come « Soiaria », era subentrato al successore di Marchi, Luigi Ridolfi, elargitore di non so quanto panem ma di molti circenses e pedissequo esecutore di un programma tracciato dal direttore della « Nazione » Aldo Borellins. Insomma l’antifascismo doveva confrontarsi con un sistema di potere le cui strutture reazionarie erano meno indecentemente appariscenti che nel passato.Il fascismo, dopo aver piantato i pilastri del sistema, poteva dedicarsi alla conquista dei giovani provenienti dalla piccola e media borghesia con la lusinga di farne i protagonisti della bottaiana rivoluzione di lungo periodo, la riserva sociale da cui attingere i quadri della macchina burocratica corporativa115 116 117. L’esigenza di riguadagnare terreno in questa direzione era ben presente al regime, se in una relazione di Scorza, comandante dei Fasci giovanili di combattimento e segretario generale dei Guf, dell’11 luglio 1931 si denunciava la scarsa penetrazione del fascismo fra la gioventù studiosa, soprattutto nelle facoltà umanistiche, esprimendo preoccupazione per gli sbocchi verso cui avrebbero potuto indirizzarsi i « lieviti più nuovi e audaci » che fermentavano fra gli universitari di estrazione piccolo e medio-borghese nl. Ispirandosi abilmente ai due più avanzati modelli di società di massa, l’americano e il russo, conclusa la fase della pura restaurazione, il fascismo tendeva a potenziare gli aspetti innovativi della sua opera.Sul reale spessore della modernizzazione della società operata dal regime e sul connesso problema della qualità del consenso raggiunto fra i giovani, c’è tuttavia molto da ridire e molto da distinguere, guardandosi soprattutto da certe semplificazioni inclini a sopravvalutare, per reazione a certe altrettanto apodittiche denigrazioni, i risultati di organismi quali l’Ond, l’Onb, i Fgc e i Guf, molto conte- stabili proprio sul terreno della omogeneizzazione sociale e della promozione del ruolo della donna 118. Se è vero, infatti, che le adunate del sabato sera potevano offrire l’immagine di un momentaneo livellamento sociale con l’imposizione di una uniforme uguale per tutti, è altrettanto vero, però, che la presenza nelle formazioni giovanili di specialità quali gli avanguardisti sciatori e cavallerizzi, se non altro per il costo elevato dell’equipaggiamento, ripristivano subito una netta gerarchia di classe, codificata, del resto, dalla fantasia staraciana, produttrice di modelli di divise, la cui eleganza era direttamente proporzionale allo « status » so

    115 I senza te tto nella « Nazione » 24 dicembre 1926. I « senza tetto » erano i fascisti, privi di una sede adeguatamente rappresentativa. La definizione suona piuttosto strana in una città alle prese col drammatico problema degli sfrattati e con un bilancio dell’attività edilizia a carattere economico e popolare eloquentemente riassunto dalle cifre fornite dal « Bollettino statistico » del Comune di Firenze del luglio-dicembre 1926. Sulle figure di Garbasso e Pavolini cfr. marco palla, F iren ze n e l reg im e fascista . 1929-1934, Firenze, Olschki, 1978. Sul secondo e, in particolare, sulla funzione del « Bargello », l’organo della Federazione provinciale del Pnf da lui fondato, cfr. Giorgio l u t i, L a le tte ra tu ra n e l v en ten n io fa sc is ta , Firenze, La nuova Italia, 1972, pp. 204 sgg.116 Dal febbraio 1930 esce il periodico « Sindacalismo fascista » poi « Vita sindacale-Sindacalismo fascista ». Nel 1931 viene istituita presso l’università la Scuola sindacale (corso biennale).117 A. aquarone, L 'o rg a n izza z io n e dello s ta to to ta lita r io , cit., pp. 514 sgg. Sui Guf cfr. maria cristina giuntella, I grupp i un iversita ri fa sc is ti n e l p r im o decen n io del reg im e , in « Il movimento di liberazione in Italia » aprile-giugno 1972.118 Cfr., ad esempio, gaetano arfè, risposta a T re d o m a n d e su tren ta ann i di storia ita liana , in « Critica marxista » novembre-dicembre 1978, p. 16.

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    ciale di chi doveva indossarle. Per quanto riguarda poi la questione femminile non va trascurato il fatto che l’estensione del voto alle donne con la legge 22 novembre 1925 n. 2125, limitatamente alle elezioni amministrative, avversata dai parlamentari fascisti, ad eccezione di Bottai, oltre a rimanere inoperante, fu formulata in maniera tale da rappresentare un riconoscimento elargito a particolari categorie benemerite della patria e del fascismo; che la designazione alla carica di podestà di una donna da parte di un paese della Sabina fu istantaneamente bloccata119 120 121; che la promiscuità e la parificazione dei compiti fra i due sessi non fu mai incoraggiata dal fascismo, se non forse nella fase della repubblica di Salò, e che queste connotazioni classiste e discriminatorie del regime non solo persistettero ma si accentuarono nell’arco del ventennio.Comunque l’Italia all’inizio degli anni trenta appariva inquadrata in un sistema rigidamente gerarchico, solidamente incernierato sulle alleanze e sui patti stipulati con gli altri potentati con i quali era condiviso il potere. Per aggredire la vischiosità del sistema non bastavano più le rivelazioni degli scandali, le prove dell’inefficienza e della corruzione (almeno fino a quella, risolutiva, della seconda guerra mondiale), ma bisognava contrapporgli un progetto alternativo di ristrutturazione della società. Di qui prendono l’avvio il successivo dibattito nel centro estero di Giustizia e Libertà, la consapevolezza della dimensione europea del « bubbone » fascista e la progressiva divaricazione fra la posizione di Carlo Rosselli e di Salvemini, fedele alla originaria impostazione liberaldemocratica 12°. Mussolini, una volta ridotto all’impotenza e irretito in una capillare organizzazione di controllo il proletariato, era impaziente di recidere i collegamenti fra l’antifascismo dei fuorusciti e gli strati sociali che, fruendo di una maggiore mobilità, potevano favorirne i rapporti con l’interno e assicurargli un supporto finanziario, com’è dimostrato dall’assidua vigilanza esercitata sugli espatri legali e dai compiti polizieschi espletati dai nostri consolati. Fin dall’inizio del 1930 s’infittivano, perciò, gli arresti di giornalisti, professionisti, intellettuali, sospettati di connivenze con l’emigrazione politicam, con un crescendo che diventò frenetico dopo il volo di Bassanesi e Dolci su Milano. Il messaggio del 27 ottobre di Mussolini per l’8° anniversario della marcia su Roma sonava come una dichiarazione di guerra alla « Vandea socialista liberale democratica massonica» e agli «irreducibili», bollati come «rottami della borghesia liberale e professionistica»122. Immediatamente dopo seguivano i clamorosi arresti degli intellettuali e militanti di Giustizia e Libertà, divulgati da un comunicato del ministero dell’Interno pubblicato sui giornali del 4 dicembre, in cui compariva per la prima volta la sinistra sigla dell’Ovra. A Firenze il 30 ottobre fu arrestato Nello Traquandi e il 3 novembre Raffaele Cristofani; Enrico Bocci, per motivi precauzionali, ritenne opportuno riparare momentaneamente all’estero, dove s’incontrò con Carlo Rosselli. Si concludeva così il ciclo del nucleo primitivo di antifascismo democratico-borghese. Sull’attività svolta dai giellisti fiorentini nel periodo precedente l’arresto, come ho già accennato, difettano le notizie: dalle carte di polizia si ricavano solo sporadiche informazioni su qualche ritrovamento di materiale di propaganda: il 13 giugno in alcune cassette postali in c ittà123 e il 3 settembre presso lo stabilimento

    119 « La nazione » 24/25 ottobre 1925.120 R. v iv a r e l l i , in G iustiz ia e L ib ertà nella lo tta an tifa scista e nella storia d ’I ta lia , cit., pp. 81 sgg.121 A Firenze fu arrestato con altri Gaetano Pieraccini il 7 giugno 1930, rilasciato e nuovamentearrestato il 22 per aver ricevuto materiale di Giustizia e Libertà; deferito alla commissione provinciale fu assegnato al confino, poi commutato in ammonizione (cfr. ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, CPC ad nomen, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 7 e 14 luglio 1930.122 b . m u s so lin i, Opera omnia, a cura di D. Susmel, voi. XXIV, Firenze, La Fenice, 1958.123 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1927-1933), C2, 1930-31, b. 1, M a n ife s ta z io n i so vversiveper l ’anniversario della morte di M a tteo tti.

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    di mattonelle Bozzoli di Livorno124; in numerosi altri casi di rinvenimento di materiale antifascista lungo le linee ferroviarie l’attribuzione della paternità è dubbia. Ma soprattutto non disponiamo dei dati necessari per verificare l’effetto ottenuto dall’appello attivistico di Giustizia e Libertà sui suoi destinatari, la misura in cui esso potè contribuire a far precipitare verso la ribellione lo stato d’animo di disagio e di crisi individuale di molti giovani, insofferenti della paralizzante vischiosità della società costruita dal fascismo. Mi limiterò a un accenno sommario a questo problema, citando un solo esempio: il singolare episodio di una maestra di scuola, poco più che ventenne, autrice insieme a una coetanea, studentessa del secondo anno di magistero, di un manifesto antifascista diffuso a Firenze il 4 maggio 1930 in prossimità di una visita del duce. Essa aveva ricavato dalla consultazione di un elenco di persone sottoposte alla censura postale sottratto daH’ufficio del padre un’indicazione per entrare in contatto con elementi antifascisti e sviluppare un suo avventuroso e ingenuo piano rivoluzionario, nel quale risultano più o meno coinvolti altri coetanei appartenenti all’ambiente studentesco o magistrale125. Alcuni testi di propaganda sequestrati nella sua abitazione (che il prefetto di Firenze nel suo rapporto al ministero dell’Interno definisce « non emanazione del partito comunista o di altro partito politico organizzato ») rivelano una fondamentale ispirazione mazziniana e un volontarismo insurrezionale dettato da un imperativo morale. Alcune lettere dell’altra promotrice del complotto allegate allo stesso rapporto prefettizio suscitano l’impressione di una notevole confusione ideologica e presentano al tempo stesso un singolare intreccio di «personale» e «politico», continuamente sotteso da una forte determinazione di «vincere gli scrupoli e le paure», d’intraprendere subito la lotta, anche senza ragionevoli prospettive di successo immediato, per una esigenza etica (« Forse noi non vinceremo, vinceranno altri, forse non vinceranno, non importa, ora il nostro dovere è di lottare »). Un altro manifestino datato 26 agosto, di stile diverso dai precedenti e perciò forse attribuibile al gruppo comunista con cui le due giovani amiche erano in contatto servendosi dell’elenco censorio, contiene un feroce attacco ai «socialtraditori»: curioso impasto di due filoni ideologici non solo distinti ma in quegli anni duramente contrapposti nell’antifascismo dell’emigrazione.Fin qui gli aspetti contraddittori di un episodio che non fu preso tanto alla leggera dalle autorità se si concluse con tre rinvii al tribunale speciale, tre condanne, anche se abbastanza miti, e l’abbuiamento di altre responsabilità per non far trapelare l’imbarazzante particolare della censura epistolare. Ma questi frammenti di una vicenda, che ci vengono restituiti da uno dei tanti incartamenti ancora sepolti negli archivi, con il loro viluppo d’ingenuità, esaltazione, volontarismo e « astratti furori » c’introducono anche nell’area dell’antifascismo spontaneo del ventennio, dai confini ideologici incerti, offrono un esempio del sincretismo connesso con l’inquieta ricerca delle giovani leve soprattutto di estrazione borghese, in cui il « verbo » dell’insurrezione di popolo, profondamente radicato nella nostra tradizione culturale politica e rilanciato dal neonato movimento di Giustizia e Libertà, poteva naturalmente coniugarsi con il « mito » della rivoluzione proletaria.

    ENZO RONCONI

    124 ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1927-1933), sez. I, K1B, 1930-31, b. 40, fase. Livorno, lettera del Comando generale della Mvsn a Ministero Interno 16 settembre 1930.

    ACS, Min. Int., Dir. gen. PS, AGR (1927-1933), sez. I, C2A, 1930-31, b. 6, fase. Firenze, Prefetto di Firenze a Ministero Interno 8 dicembre 1930.