ANTEPRIMA IL CORPO NAZIONALE ITALIANO DEI VIGILI DEL FUOCO

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31 Introduzione Alla modernizzazione e allo sviluppo dell’Italia nell’età giolittiana, che portò all’assunzione diretta della rete ferroviaria da parte dello Stato e allo sviluppo industriale con la crescita dell’industria pesante e di quella meccanica, succe- dette il periodo fra le due guerre caratterizzato da un grande sviluppo di tutta l’industria, il cui prodotto fu finalizzato per la maggior parte alle esportazioni. Il modello italiano complessivo di struttura produttiva automobilistica diventò sempre più rappresentato da una industria grande, affiancata da poche aziende medie per la produzione dei componenti e da molte piccole connesse a tutto il sistema meccanico. Il sistema meccanico italiano divenne uno dei più impor- tanti, non solo nel campo automobilistico. Anche altri tipi di aziende adottarono tale modello strategico, come quella elettromeccanica, l’industria italiana della chimica e quella della raffinazione del petrolio. Le industrie tradizionali, come quella tessile, da cui furono derivate le industrie più grandi, mantennero la loro importanza, nonostante la crescita a ritmi notevoli dell’industria delle fibre tessili artificiali. Il fenomeno si concentrò da subito principalmente al nord-ovest, e solo successivamente nel nord-est, portando in seguito l’industria meccanica italiana a diventare – nel secondo dopoguerra – una delle più importanti in Europa. In tale periodo, inoltre, i tipi costruttivi nel campo dell’edilizia si modifica- rono in maniera importante. Dagli anni trenta del novecento le coperture venne- ro costruite prevalentemente a falde in laterizio o piane in latero-cemento. Nel medesimo momento anche i solai furono prevalentemente costruiti in latero- cemento, mentre in precedenza per tale struttura erano impiegati i profilati in acciaio con tavelloni in laterizio dagli anni venti, i profilati in acciaio con volterrane o con voltine in laterizio dal 1910, le solette in calcestruzzo armato dai primissimi anni del XX secolo. Prima, i solai erano costruiti a volta in laterizi o pietra, oppure in legno con tavelle in laterizio (spesso portanti un sottostante controsoffitto di canne intonacate), oppure in profilati di acciaio con voltine in laterizio. Le mu- rature erano in generale in pietra o in mattoni pieni o miste, mentre dal 1930 entrarono in uso in maniera più diffusa i laterizi forati (1) . I mezzi in dotazione ai pompieri erano, fino agli anni trenta, prevalente- mente quelli derivati dai mezzi militari alienati dopo la prima guerra mondiale. I principali erano autopompe e autoscale, ma non mancavano le autovetture, gli autocarri e le autobotti, spesso attrezzate come innaffiatrici di strade. Già nel 1912 le autopompe erano in grado di pompare acqua fino a 1.200 l/min a 8 atm e sugli autocarri venivano caricate motopompe centrifughe in grado di erogare 1 Corrado, Ballarini, Corganti, Talà 2011. Tipologia degli incidenti e degli interventi di soccorso tecnico urgente in Italia, 1900-1940 Marco Cavriani

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CURATORI : Marco Cavriani - Piero Cimbolli Spagnesi

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Introduzione

Alla modernizzazione e allo sviluppo dell’Italia nell’età giolittiana, che portò all’assunzione diretta della rete ferroviaria da parte dello Stato e allo sviluppo industriale con la crescita dell’industria pesante e di quella meccanica, succe-dette il periodo fra le due guerre caratterizzato da un grande sviluppo di tutta l’industria, il cui prodotto fu finalizzato per la maggior parte alle esportazioni. Il modello italiano complessivo di struttura produttiva automobilistica diventò sempre più rappresentato da una industria grande, affiancata da poche aziende medie per la produzione dei componenti e da molte piccole connesse a tutto il sistema meccanico. Il sistema meccanico italiano divenne uno dei più impor-tanti, non solo nel campo automobilistico. Anche altri tipi di aziende adottarono tale modello strategico, come quella elettromeccanica, l’industria italiana della chimica e quella della raffinazione del petrolio. Le industrie tradizionali, come quella tessile, da cui furono derivate le industrie più grandi, mantennero la loro importanza, nonostante la crescita a ritmi notevoli dell’industria delle fibre tessili artificiali. Il fenomeno si concentrò da subito principalmente al nord-ovest, e solo successivamente nel nord-est, portando in seguito l’industria meccanica italiana a diventare – nel secondo dopoguerra – una delle più importanti in Europa.

In tale periodo, inoltre, i tipi costruttivi nel campo dell’edilizia si modifica-rono in maniera importante. Dagli anni trenta del novecento le coperture venne-ro costruite prevalentemente a falde in laterizio o piane in latero-cemento. Nel medesimo momento anche i solai furono prevalentemente costruiti in latero-cemento, mentre in precedenza per tale struttura erano impiegati i profilati in acciaio con tavelloni in laterizio dagli anni venti, i profilati in acciaio con volterrane o con voltine in laterizio dal 1910, le solette in calcestruzzo armato dai primissimi anni del XX secolo. Prima, i solai erano costruiti a volta in laterizi o pietra, oppure in legno con tavelle in laterizio (spesso portanti un sottostante controsoffitto di canne intonacate), oppure in profilati di acciaio con voltine in laterizio. Le mu-rature erano in generale in pietra o in mattoni pieni o miste, mentre dal 1930 entrarono in uso in maniera più diffusa i laterizi forati(1).

I mezzi in dotazione ai pompieri erano, fino agli anni trenta, prevalente-mente quelli derivati dai mezzi militari alienati dopo la prima guerra mondiale. I principali erano autopompe e autoscale, ma non mancavano le autovetture, gli autocarri e le autobotti, spesso attrezzate come innaffiatrici di strade. Già nel 1912 le autopompe erano in grado di pompare acqua fino a 1.200 l/min a 8 atm e sugli autocarri venivano caricate motopompe centrifughe in grado di erogare

1 Corrado, Ballarini, Corganti, Talà 2011.

Tipologia degli incidenti e degli interventi di soccorso tecnico urgente in Italia, 1900-1940 Marco Cavriani

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acqua con almeno pari caratteristiche idrauliche. Gli autocarri da incendio por-tavano sul cassone una botte di capacità superiore ai 2.000 litri ed erano attrez-zati di pompa centrifuga utilizzata per l’innaffiatura delle strade. Le autoscale avevano un’altezza totale di 27 m al massimo sviluppo. Prima di tale data, tutta-via, la disponibilità per i pompieri era soprattutto di pompe a mano, in grado di erogare non più di 300 l/min a 2-3 atm, e a vapore, con portata fino a 3.000 l/min e pressione fino a 15 atm. Le motopompe barellabili, di notevoli caratteristiche idrauliche, avevano un peso generalmente non inferiore ai 100 kg(2).

La prevenzione e sicurezza del lavoro furono regolamentate già prima del 1900 con leggi, decreti e regolamenti. Dal 1930 in poi, con l’entrata in vigore dei nuovi codici Penale e Civile, oltre che con la Costituzione, iniziò la tutela dei lavoratori e una politica più generale di prevenzione e sicurezza reali(3). L’avan-zamento tecnologico portò quindi anche i pompieri a disporre di attrezzature e mezzi avanzati, automatizzati rispetto al periodo precedente. Questo passaggio dalle attrezzature manuali a quelle automatiche ha fatto sì che si trasformasse-ro anche le strategie e le tattiche per affrontare gli incendi. Ovviamente i princi-pali attori dello sviluppo furono proprio le aziende produttive ed artigianali, che a causa delle particolarità costruttive e dei relativi materiali rappresentavano di fatto l’elemento più vulnerabile agli incendi. Anche sulle cause di questi ultimi hanno certamente inciso le tipologie di materie prime e lavorate trattate nelle suddette aziende.

Incidenti e interventi: una casistica di baseUn quadro complessivo della tipologia degli incidenti e degli interventi di soccor-so tecnico urgente nel periodo in esame può essere rappresentato agevolmente da un loro campione significativo, tratto da una celebre rivista dell’epoca, Il Pom-piere italiano, di cui si riportano in sintesi alcuni importanti contenuti di seguito, in relazione ad alcuni tipi di intervento di base.

A Sestri Ponente (Genova) il 31 Dicembre 1926 si verificò un incendio nell’officina ferroviaria di Attilio Bagnara(4). Risultavano occupati nell’attività circa 350 dipendenti. L’area di pertinenza dello stabilimento era di 15.000 mq. Adiacenti all’esterno esistevano edifici civili alti fino a sei piani e con negozi al piano terra, oltre a edifici industriali con rilevanti quantità di materie prime: la Manifattura Tabacchi, la segheria Ansaldo, i Magazzeni Ansaldo. All’interno dell’a-rea si trovava, in un edificio completamente in legno con copertura di tegole, un salone di circa 650 mq adibito ad ebanisteria, con depositata una grande quan-tità di legno per la finitura di 18 carrozze internazionali. Nei piani sottostanti era depositato diverso materiale incendiabile – vernici, olii, ecc. – oltre ai macchinari per le lavorazioni e numerose gru. Il focolaio dell’incendio fu individuato nell’e-

2 Per un quadro efficace dei mezzi in dotazione a pompieri e vigili del fuoco italiani tra 1900 e 1945, oltre a Evangelista 2001, l’insieme dei mezzi conservati nel Museo Storico dei vigili del fuoco di Carate Brianza (Milano) è particolarmente utile; per il loro catalogo, v. http://www.vvfcarate.it/ITA_Museo_Mezzi.htm (7.04.2013).

3 Giacomelli 2010.

4 Incendio officina ferroviaria Attilio Bagnara in Sestri P. (GE), in PI, (XXIII) 2, febbraio 1927, pp. 35-38.

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banisteria. Si rivelò inutile il tentativo di spegnimento del portinaio e di altri, che alle 20:15 segnalarono l’incendio alla caserma dei pompieri di Genova centro.

Dal comando partirono due squadre con altrettante autopompe ed una motopompa, oltre alla vettura dell’ufficiale di guardia. Dopo aver percorso un tragitto di circa 7 km, intervennero alle 20:25 sul posto oltre ai pompieri di Ge-nova, i pompieri interni alle officine, quelli delle vicine attività industriali e quelli volontari dei paesi limitrofi, coadiuvati da altro personale civile e da quello del-le Pubbliche Assistenze, intervenuti a dare aiuto. Furono utilizzate dai pompieri alcune vicine bocche idranti, dalle quali furono fatti gli stendi menti delle mani-chette, a rinforzo delle autopompe. Il termine dell’incendio fu alle ore 23:00, con rientro delle squadre alle 23:30 e permanenza sul posto dei pompieri locali, con l’eventuale utilizzo degli idranti stradali, per la necessaria sorveglianza notturna e per lo spegnimento di piccoli focolari. Il problema principale fu il contenimento dell’incendio, per i pochi mezzi a disposizione. I macchinari impiegati, comples-sivamente, furono i seguenti: 4 idranti stradali, 4 autopompe, 3 motopompe. I capannoni centrali di circa 4.000 mq andarono in fumo col loro contenuto. Una non trascurabile conseguenza dell’incendio fu la temporanea disoccupazione di 200 operai (il 50% circa della maestranza complessiva).

Le cause dell’incendio non furono individuate, ma da dichiarazioni varie si apprese, come detto sopra, che l’origine fu nell’ebanisteria e che la propagazio-ne avvenne verso il basso. La causa non fu ritenuta il fumo da parte di persone, poiché vietato e punito col licenziamento, ma nemmeno le procedure di incolla-tura del legname, poiché effettuate in sicurezza. L’ipotesi più accreditata fu un corto circuito dell’impianto elettrico. I danni ammontarono a circa 2.000.000 lire e la durata delle operazioni di spegnimento fu di circa tre ore.

A Milano, a marzo 1927, si ebbero due incendi importanti: uno alle Officine Elettro-Ferroviarie e l’altro alla Fabbrica Italiana Medicazioni(5).

Nel primo incendio fu interessato un locale stufa per la verniciatura dei vagoni, posto in fondo al fabbricato dove erano ospitate le officine (fig. 1). Il fo-colaio si sviluppò rapidamente da un vagone e si propagò al tetto, devastando il capannone. All’arrivo dei pompieri stavano bruciando 500 mq di tetto e i tizzoni avevano incendiato altri due vagoni adiacenti. Nel secondo incendio la costru-zione era estesa al solo piano terreno. Un ampio locale d’angolo era adibito a carderia, per la fabbricazione del cotone idrofilo. Dopo simili inizi d’incendio, lo spegnimento fu lungo e faticoso solo nel primo caso. I pompieri tentarono di non far trasmettere il fuoco alle altre campate del fabbricato, libere da ogni protezio-ne dal fuoco e dove erano depositati altri vagoni e molto legno già lavorato. Il fuo-co venne domato dopo parecchie ore. Nel secondo evento l’estinzione completa avvenne in pochi minuti . Il fuoco si fermò ad un plafone di rete metallica e buona malta di calce, prudentemente inserito nel locale carde. Dopo pochi minuti si spense l’incendio e la copertura in legno non fu neppure annerita (fig. 2), ma

5 Milano – Incendi alle Officine Elettro Ferroviarie ed alla Fabbrica Italiana Medicazioni, in PI, (XXIII) 4, aprile 1927, pp. 114-116.

Fig. 1 Milano, incendio delle officine elettro-ferroviarie, 8 marzo 1927 (da PI, XXIII, 4, aprile 1927, p. 114).

Fig. 2 Milano, incendio alla Fabbrica Italiana Medicazioni, 9 marzo 1927 (da PI, XXIII, 4, aprile 1927, p. 114.

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l’effetto dell’incendio avrebbe potuto essere molto superiore poiché il fabbricato non aveva pareti tagliafuoco ed il vento avrebbe potuto favorire la propagazione dell’incendio.

Nel primo caso il danno fu di 25.000 lire per le carrozze e 50.000 lire per lo stabile. La causa non fu l’impianto elettrico e nemmeno quello del vapore. Le cause presunte furono: un corto circuito della treccia elettrica di alimentazione di una lampada portatile; l’autocombustione per fermentazione di stracci spor-chi di vernice ed olio; qualche mozzicone di sigaro. Nel secondo caso il danno del macchinario fu di circa 200.000 Lire. Le macchine per la cardatura facevano spesso scintille per l’attrito dovuto allo sfregamento degli uncini dei pettini. La scintilla bruciava spesso le fibre tessili e gli operai non fermavano la carda per non far penetrare all’interno dello stoppino la fiamma e poterla così spegne-re facilmente con l’ausilio di una coperta. Fu individuata come probabile causa dell’incendio un insolito fermo della carda, che avrebbe consentito al fuoco di propagarsi nello stoppino di spessore di 3 cm e di 1 m di larghezza. L’incendio si propagò alle carde vicine e al cotone depositato.

Le considerazioni ricavate da questo caso furono che doveva essere buo-na regola mettere plafoni e pareti tagliafuoco, senza travi di legno passanti e senza aperture prive di serramenti o con porte di legno. Tali provvedimenti risul-tarono fondamentali per ridurre la propagazione del fuoco, almeno fino all’arrivo dei pompieri.

Paderno d’Adda era una zona densamente popolata da stabilimenti tessili, tra i quali quello della Soc. G.B. Miozzi e C. che si occupava della torcitura della seta. Il 9 gennaio 1927 alle ore 8 arrivò l’avviso di incendio al corpo pompieri locali(6). Il tempo di uscita della squadra fu di cinque minuti e l’arrivo sul posto avvenne alle 8:30, dopo 22 km di strada pessima per neve e gelo. Al termine del-le operazioni di spegnimento alle ore 13 circa il fabbricato risultò completamente devastato (figg. 3, 4), nonostante il rinforzo pervenuto dai pompieri di Bergamo, principalmente per la carenza d’acqua, la cui disponibilità fu individuata a 400 m dal luogo dell’incendio. Furono impiegati sei uomini con un’autopompa FIAT 15 Ter modello Tamini da 1500 lt. Il danno fu valutato in 2.400.000 lire, oltre a 350 operai rimasti senza lavoro.

A Venezia, alle 9:08 del 14 febbraio 1929, si verificò un incendio nel negozio di profumerie Ditta Massagrande(7). Il fuoco ebbe inizio in una pattumiera con tru-cioli di legno, che inavvertitamente furono messi a contatto con carbone acceso. Vicino c’erano latte di lozione per capelli, molti profumi ed uno scaffale con cel-luloide in deposito. L’incendio fu pertanto molto rapido e favorito dal rivestimento in legno delle pareti e del soffitto, alto solo 2,5 m. In una cucina soprastante, una signora si spaventò e lasciò sul fornello un pentolino di latte, che traboccan-do spense la fiamma, lasciando saturare l’ambiente di gas. Le fiamme risalite dalle scale innescarono la miscela tonante così creatasi, che esplose e causò

6 Incendio stabilimento per la torcitura della seta in Paderno d’Adda, in PI, (XXIII) 4, aprile 1927, p. 39.

7 Incendio negozio di profumerie a Venezia, in PI, (XXV) 2, febbraio-marzo 1929, pp. 20-25.

Fig. 3 Paderno d’Adda, incendio di un gran-de stabilimento di torcitura della seta, 9 gennaio 1927. Interno (da PI, XXIII, 4, aprile 1927, p. 39).

Fig. 4 Paderno d’Adda, incendio di un gran-de stabilimento di torcitura della seta, 9 gennaio 1927. Facciata esterna (da PI, XXIII, 4, aprile 1927, p. 39).

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il crollo di una falda del tetto, in corrispondenza della scala. Anche se il negozio fu distrutto, i solai restarono in ordine. Dal locale corpo pompieri fu mandato personale appiedato con una pompa monocilindrica, l’autopompa e la barca a remi con motopompa. Due autoscafi-pompa erano impegnati altrove, a salvare una motobarca per la distribuzione della carne che stava affondando per una collisione dello scafo con una lastra di ghiaccio. Un’autopompa era in cantiere per lavori di manutenzione ordinaria. La barca pompa a vapore, nonostante le precauzioni, risultò con la pompa di circolazione per il raffreddamento del moto-re gelata. Tale situazione determinò l’invio di quanto sopra detto e la richiesta di aiuto ai pompieri della Regia Marina. I due autoscafi-pompa temporaneamente impiegati altrove furono immediatamente richiamati sull’incendio, dove opera-rono mantenendo i pompieri della Marina di supporto. Fu fatto uno stendimento di tubazioni da 70 mm, con due diramazioni da 50 mm, issate al secondo piano dello stabile e sul tetto per evitarne la propagazione del fuoco. Anche lo stendi-mento della tubazione da 70 mm dell’altra motopompa fu portato sul tetto, per evitare la propagazione dell’incendio al tetto dei fabbricati contigui. Un’altra tu-bazione fu portata al primo piano ed una fu mantenuta all’esterno, in facciata. A incendio sotto controllo fu issata la scala italiana e furono inserite altre mandate da 50 mm (fig. 5). La temperatura esterna rilevata fu di -8°C, cioè molto sotto lo

Fig. 5 Venezia, schema di sintesi dell’inter-vento delle squadre dei civici pompieri per l’incendio del 14 febbraio 1929 al negozio di profumeria della Ditta Mas-sagrande (da PI, 2, febbraio-marzo 1929, p. 21).

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Introduzione

Un breve articolo di Claudio Longo nel numero di novembre 1941 della rivista L’Architettura diretta da Marcello Piacentini affrontava forse per la prima volta nel campo della pubblicistica italiana sull’architettura contemporanea di allora il tema dei caratteri tipologici e funzionali delle caserme per i vigili del fuoco(1).

Lo scritto era stato pubblicato a corredo di un altro articolo dello stesso Longo sulle Scuole centrali dei servizi antincendi alle Capannelle di Roma – ap-pena inaugurate da Mussolini il 4 agosto dello stesso anno – e di uno di Da-goberto Ortensi sul complesso sportivo delle Scuole stesse e nel medesimo numero della rivista. A guerra già iniziata da poco più di un anno, il tutto sem-brava precludere a una nuova stagione di realizzazioni per il paese, soprattutto in considerazione del fatto che – dopo la sua fondazione come Corpo pompieri con il RDL 2472/1935 e dopo essere stato tramutato col RDL 333/1939 in Corpo nazionale dei vigili del fuoco – quest’ultimo avrebbe avuto un sostanziale riordi-no e la consacrazione definitiva appena il mese successivo l’articolo di Longo, con la L 27 dicembre 1941, n. 1570, e che quest’ultima sarebbe stata completata entro marzo 1942 con i correlati decreti attuativi(2). Nella realtà, i tre articoli in questione erano stati pubblicati al termine di un lungo periodo di gestazione e di realizzazioni nel settore, avviate in maniera sporadica entro il primo ventennio del secolo ma che avevano ricevuto un incremento sostanziale proprio in tutto il periodo successivo, tra gli anni venti e trenta. Così, in effetti, essi altro non fecero se non riassumere con alcuni esempi chiave e una serie di indicazioni tipologiche di larga massima un tema in realtà già consolidato ampiamente e con molte realizzazioni concrete: edifici complessi e del tutto nuovi rispetto alla relativa tradizione in vigore nel resto d’Europa e soprattutto negli Stati Uniti d’A-merica almeno dalla seconda metà del secolo precedente, e particolarmente rappresentativi non solo della storia architettonica ma, a un livello più alto, anche di quella istituzionale di tutto il paese tra gli anni venti e la seconda guerra mon-diale. Perché, come in tanti altri casi nel campo dell’architettura del tempo del fascismo – per esempio nell’edilizia scolastica di ogni ordine e grado così come

1 Longo 1941.

2 RDL 10 ottobre 1935, n. 2472 (Organizzazione provinciale e coordinazione nazionale dei servizi pompieristici; GU 8 novembre 1936, n. 32), in Messa, Mela 1939, pp. 109-118; RDL 27 febbraio 1939, n. 333 (Nuove norme per l’organizzazione di servizi antincendi; GU-SO 28 febbraio 1939, n. 49), in Messa, Mela 1939, pp. 5-87. Inoltre, v. la L 27 dicembre 1941, n. 1570 (Nuove norme per l’organizzazione dei Servizi antincendi); il RDL 16 marzo 1942, n. 699 (Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale non statale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco); il RDL 16 marzo 1942, n. 700 (Forza organica dei Corpi dei vigili del fuoco); il RDL 16 marzo 1942, n. 701 (Regolamento di disciplina del Corpo nazionale dei vigili del fuoco); il RDL 16 marzo 1942 (Regolamento per il personale dei ruoli statali dei Servizi antincendi). Appena pubblicato, il volumetto a stampa che raccoglieva quest’ultimo complesso normativo (Nuove norme 1942) era stato presentato a Mussolini – ministro dell’interno ad interim – dal direttore generale dei servizi antincendi: v. ACS, SPD, CO, b. 1386, fasc. 512986 (Giombini, ecc. Alberto; Direzi-one generale dei servizi antincendi).

Cultura e architetture di pompieri e vigili del fuoco, 1900-1941Piero Cimbolli Spagnesi

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in quella universitaria, in quella ospedaliera e in quella sportiva, per caserme e basi militari, colonie marine e montane, per le cosiddette case del fascio e per le sedi dell’Opera nazionale balilla e la Gioventù italiana del littorio(3) – anche per le sedi dei corpi pompieri locali e poi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non fu fatto altro che sviluppare concretamente idee che nel caso specifico datavano ai primi anni del XX secolo.

Temi di lavoro e realizzazioniNegli ultimi anni del XIX secolo, dopo un decennio di difficoltà varie, si erano con-cluse l’anno prima tra l’altro con la definizione dei confini delle colonie nel corno d’Africa col trattato di Addis Abeba. La maggiore stabilità politica conseguente portò di seguito a una tumultuosa crescita economica del paese, che si svilup-pò soprattutto dal 1896 in poi, con l’avvicinare – di fatto – anche l’Italia al tema della grande industrializzazione dell’Occidente allora in pieno sviluppo, dopo la fine della crisi internazionale dell’agricoltura. Ciò fece sì che in un tempo molto breve, entro il 1908, per esempio le sei maggiori industrie chiave del paese de-terminarono una percentuale di crescita del 12,4 per cento nel campo del ferro e dell’acciaio, del 12,2 per cento in quello della meccanica e del 13,7 per cento di quella chimica(4). Nel medesimo periodo il valore della produzione industriale fu anche più che raddoppiato: ai prezzi del 1938, da 11,2 miliardi di lire del 1896 a 22,1 miliardi di lire del 1913(5). Inoltre, anche se l’industria più importante del pa-ese rimaneva quella agricola e in particolare cotoniera, si verificò comunque uno spostamento notevole delle attività tradizionali, tessili e di produzione alimenta-re, verso la meccanica, la siderurgia e la chimica, che nel 1911-1915 arrivarono a costituire il 30 per cento di tutta la produzione industriale. Poco dopo, fu solo la prima guerra mondiale ad avviare in maniera più decisa l’ulteriore e assai più ampia industrializzazione diffusa italiana.

Alla luce di questo – quindi molto tempo prima della L 1570/1941 e del dibattito di allora sulla tipologia architettonica ottimale delle caserme per i vigili del fuoco – la necessità imprescindibile di sedi realizzate appositamente per i corpi di pompieri comunali che dovevano fronteggiare i grandi temi di soccorso tecnico derivanti dalla situazione complessiva del paese era emersa già all’ini-zio del XX secolo, nel 1906, come una delle priorità più significative per i servi-zi antincendi italiani di allora. Ciò risultava dalla relazione del comandante dei pompieri di Milano di quel tempo, Alberto Ercole Goldoni, al Congresso-concorso internazionale prevenzione ed estinzione incendi di Milano, tenutosi in parallelo con l’Esposizione internazionale per iniziativa della Federazione Tecnica Italiana dei Corpi di Pompieri e col patrocinio del Conseil International des Sapeurs Pompiers: un evento molto importante per la medesima Federazione, a sei anni dalla sua

3 In generale sull’architettura del periodo, con la bibliografia precedente, v. Fontana 1999, pp. 96-193; Gentile 2007; Nicoloso 2008, con un’ampia bibliografia di base (pp. xxx-xxxi). Sui concorsi di progettazione di alcuni particolari tipi architettonici (teatri, palazzi per le poste e i telegrafi, ospedali, scuole, palazzi per uffici) tra 1922 e 1943 per Roma, in aggiunta a Muntoni 1994 e Casciato 2004, oggi v. Spagnesi 2010.

4 Su tutto questo, con dati e considerazioni ulteriori, v. Clark 1999, pp. 165-186 e le fonti relative.

5 Fuà, a cura di, 1969, pp. 401-402, cit. in Clark 1999, pp. 165-166.

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fondazione voluta con successo dal medesimo comandante Goldoni, e dove era-no intervenuti tutti i rappresentanti dei corpi pompieri esistenti in Italia, oltre a molte e varie rappresentanze ufficiali di servizi analoghi di altri paesi(6). Era stato in quella sede che proprio Goldoni aveva ricordato che fino ad allora in Italia solo a Torino, nel 1883, era stata realizzata una caserma concepita appositamente per i pompieri(7) (figg. 1, 2). Altrove i vari corpi erano ospitati in vecchi conventi,

6 Oltre che dall’Italia (da Bologna, Genova, Roma, Milano, Venezia, Ferrara, Napoli e della Regia Marina militare), a questo congresso molto importante per le organizzazioni pompi eristiche occidentali parteciparono rappresentanze anche da America del sud, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Guatemala, Inghilterra, Lussemburgo, Romania, Russia, Spagna, Svizzera, Ungheria.

7 Sul corpo dei pompieri di Torino dal tempo della sua istituzione da parte di re Carlo Felice nel 1824 come Compagnia operaj guardie a fuoco, v. Sforza 1992.

Fig. 1 Torino, corso Regina Margherita. Caser-ma centrale dell’83° corpo dei vigili del fuoco, post 1939 (ASVVFTO).

Fig. 2 Torino, corso Regina Margherita. Il cortile della caserma con il castello di manovra provvisorio, post 1941 (ASVVFTO).

Fig. 3 Napoli, via del Sole. Il cortile della caserma Del Giudice ricavata nel monastero dei Chierici Minimi realizzato da Cosimo Fan-zago nel 1653, 1890 circa (DVVF, SDRP, Af).

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monasteri o in altri tipi di edifici, di solito insufficienti e poco adatti allo scopo. Val-gano per tutti i casi di Firenze (dal 1882 in alcuni locali del palazzo dei Capitani di parte guelfa in piazza S. Biagio) e di Napoli, dove il locale corpo pompieri fondato ancora nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, aveva la propria caserma dal 1823 nel monastero già dei Chierici Minori realizzato nel 1653 da Cosimo Fanzago(8) (fig. 3). Lo stesso corpo di Milano comandato da Goldoni dal 1888 era in via Ansperto, in una parte del Monastero Maggiore in seguito ampliata per renderla adatta allo scopo (fig. 4): in una posizione baricentrica – anche se inizialmente isolata – nella città di allora, comunque in locali nell’insieme poco adeguati. Solo entro il 1916 e soprattutto con la prima guerra mondiale già iniziata, fu collegato a cinque nuo-ve casermette minori di altrettanti distaccamenti per potenziare la difesa della città dai possibili bombardamenti aerei(9). Fu comunque a causa di questo stato di cose che Goldoni in quella stessa occasione – con l’autorevolezza del fonda-tore della Federazione nazionale – aveva sollevato la necessità imprescindibile di costruire caserme apposite per i pompieri, cui rilegare anche alcuni distacca-menti periferici distribuiti razionalmente sul territorio di competenza e comun-que prospicienti larghe vie o piazze(10). Di fronte a queste affermazioni così nette

8 Pane 1924, pp. 78-79; Felsani 1928.

9 Villa 1916, pp. 15-17.

10 Goldoni 1906, pp. 163-164; Goldoni 1907, p. 61. Entrato nel 1879 nel corpo dei pompieri di Milano – di cui divenne in seguito il comandante – Goldoni fu tra gli esponenti più significativi di un ristretto gruppo particolarmente qualificato di tecnici, ai quali si deve il coordinamento e l’indirizzo tecnico-scientifico di tutti i corpi di pompieri d’Italia tra fine XIX e inizi del XX secolo, in particolare attraverso la rivista Corag-gio e Previdenza (fondata a Napoli da Luigi Buonuomo nel 1898), e il Bollettino ufficiale della Federazione tecnica italiana dei corpi pompieri e Il Pompiere Italiano. Dopo vicende varie tra Napoli e Milano relative proprio all’avvio di una federazione nazionale che raccogliesse sotto una guida unica i corpi pompieri d’Italia allora esistenti, Goldoni fu il definitivo fondatore e il primo presidente della medesima Federazione nel 1900, e anche fondatore nel 1905 del Bollettino in questione sempre a Milano. Di esso fu il direttore fino al 1927, quando cambiò nome in Il Pompiere Italiano. Collocato a riposo dal servizio attivo nel 1910, per iniziativa del senatore Giovanni Silvestri gli venne intitolato un premio biennale destinato a ufficiali, graduati e militi della Federazione che avessero compiuto un atto veramente cospicuo di valore. Incaricato di rior-ganizzare il corpo dei pompieri di Milano sciolto nel 1922 in maniera coatta, fu direttore del Pompiere Italiano fino a dicembre 1929, quando il nuovo presidente della Federazione – ancora Silvestri – affidò la rivista a un comitato di redazione. Goldoni morì a Milano il 26 agosto 1930. In seguito, sciolta la Federazione a seguito del RDL 2472/1935 e istituita la Associazione nazionale dei pompieri volontari d’Italia con DM di settembre 1936, da periodico della FTICP Il Pompiere Italiano divenne semplice mensile di divulgazione di tecnica di prevenzione ed estinzione incendi e di protezione antiaerea: CP, (II) 3, 1899, pp. 1-3; CP, (II) 4, 1899, pp. 1-3; CP, (II) 5, 1899, pp. 1-2; BUFTICP, VI, 2, febbraio 1910, pp. 9-13; BUFTICP, VI, 3, marzo 1910, pp. 17-20; Goldoni 1929; Assemblea 1930; PI, (XIV) 1, gennaio 1936, pp. 3-4; CP, (XXXIII) 9, settembre 1930, p. 127;

Fig. 4 Milano, via Ansperto. Caserma dei pom-pieri, cortile delle autorimesse, 1942 (da Notiziario statistico 1942).

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e ampiamente condivise, è un dato di fatto che – a quanto è dato sapere – due delle poche azioni conseguenti i lavori del congresso furono solo la recezione di quelle idee nel piano regolatore di Roma del 1907, per la necessità di riorganiz-zare in sedi nuove apposite i servizi di soccorso tecnico della capitale, e l’avvio della sopraelevazione della caserma di Torino in corso Regina Margherita nel 1910. Nonostante che le nuove caserme romane in effetti furono costruite molto dopo, negli anni venti e trenta successivi, è comunque un fatto che le relative dislocazioni, quantità e dimensioni erano state comunque decise entro il primo decennio del Novecento(11).

In un quadro più generale, a seguito di tutta questa intensa attività del-la Federazione tecnica, non solo di quella strettamente congressuale, il presi-dente del consiglio dei ministri, il veneziano riformatore Luigi Luzzati, istituì con RDL 6 ottobre 1910 una apposita commissione presieduta dal senatore Scipione Ronchetti – presidente onorario della Federazione – per avviare lo studio di una legge che portasse alla costituzione di un corpo nazionale di pompieri(12). Sta di fatto che, in ogni caso, i due progetti di legge per l’organizzazione di un servizio unico di prevenzione e di spegnimento incendi per tutto il paese presentati nel 1914 dalla commissione reale e nel 1920 dalla medesima Federazione rimasero senza esito. Tre anni dopo la formazione del governo fascista, nel 1925, di nuovo la Federazione presieduta da Goldoni aveva presentato nuovamente al governo il progetto di legge firmato a suo tempo dal senatore Ronchetti, per cercare di avviare definitivamente a livello nazionale il processo di riforma dell’intera disci-plina del servizio pubblico di soccorso per lo spegnimento d’incendi e per altre calamità(13). A tutto questo si aggiungevano questioni di carattere più generale quali, per esempio, quelle relative al fatto che in occasione dei gravi eventi che avevano segnato il centro e il sud del paese più di recente dopo quello in Cala-bria centrale dell’8 settembre 1905 (quelli di Messina e Reggio Calabria del 28 dicembre 1908 e quello di Avezzano il 13 gennaio 1915), i corpi pompieri inter-venuti erano arrivati ancora una volta soprattutto dal nord e dopo molto tempo dai fatti, con conseguenze gravi sull’efficacia relativa delle generali operazioni di soccorso(14). Con l’occhio, quindi, al recente passato di calamità grandi e piccole,

Continuare 1937. Nel 1938 cessava le pubblicazioni anche la rivista napoletana Coraggio e Previdenza che aveva affiancato Il Pompiere italiano fino ad allora: CP, (XLI) 12, dicembre 1938.

11 CP, (XV) 22-23, 15 novembre – 1 dicembre 1912, p. 165; Olivieri 1929, pp. 21-22. Per queste e altre vicende correlate, v. A. Mella, Dai corpi pompieri comunali al Corpo nazionale dei vigili del fuoco: lineamenti di storia delle istituzioni, in questo volume. Sulle trasformazioni della sede di Torino in via Regina Margherita dopo la seconda guerra mondiale, v. Completamente rinnovata la caserma dell’83° Corpo VV.F. di Torino, in AI, (VII) 2, febbraio 1955, p. 105.

12 Luigi Luzzati (Venezia, 1 marzo 1841 – Roma, 29 marzo 1927), senatore dal 1921, fu tra i modernizzatori del regno in un difficile periodo di transizione e tra i maggiori ispiratori della politica economica e finanziaria dell’Italia, oltre che ministro dell’agricoltura, del tesoro e delle finanze, fondatore delle banche popolari e – appunto – presidente del consiglio dei ministri dal 31 marzo 1910 al 31 marzo 1911: su di lui, con la bibliografia relativa, v. Pecorari, Ballini, a cura di, 2006. Il suo archivio personale è oggi all’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti di Venezia: su di esso, v. Franchini 2004. Scipione Ronchetti (Porto Valtravaglia 1846 – Milano, 1 dicembre 1918), avvocato, deputato dal 1876 al 1886 e poi sottosegretario alla pubblica istruzione (1892-1893), alla giustizia (1896-1897) e all’interno (1901-1902), fu ministro della giustizia nei due gabinetti Giolitti e Tittoni, dal 3 novembre 1903 al 27 marzo 1905: BUFTICP, (XIV) 12, dicembre 1918, pp. 71-72; Enciclopedia Italiana, vol. XXX, Roma 1936, p. 94.

13 Goldoni, Sangiorgi, a cura di, 1926.

14 Su queste grandi calamità, oggi v. Castenetto, Galadini, a cura di, 1999; Castenetto, Sebastiano, Pizzaroni 2007; Bertolaso, Boschi, Guido-Su queste grandi calamità, oggi v. Castenetto, Galadini, a cura di, 1999; Castenetto, Sebastiano, Pizzaroni 2007; Bertolaso, Boschi, Guido-

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Introduzione

Nel tentativo di individuare le antiche origini delle basi del pensiero moderno, e quindi anche di alcune delle correlate tecnologie, la storiografia ottocentesca tarda ha già individuato a suo tempo alcuni fatti di base di riferimento.

In età ellenistica già il greco Ctesibio aveva inventato, intorno al 250 a.C., una rudimentale pompa a due cilindri, detta antlia ctesibiana, che faceva uscire acqua a pressione da un ugello grazie al moto alternato di due pistoni mossi dalle braccia di uno o più operatori(1). In seguito la ricerca archeologica aveva in-tegrato queste informazioni, per esempio con la notizia che molto simili a questa erano anche i cosiddetti siphones della Militia vigilum dell’antica Roma: pompe costituite sempre da due cilindri e due pistoni azionati dalla forza delle braccia(2). Altre dotazioni della medesima Militia imperiale erano i centones (grandi pezze di tessuto a trama grossa, che venivano inzuppate per sopprimere le fiamme), le hamae (secchi per il trasporto dell’acqua), i vasa spartea pice illita(3) (ceste di giun-chi, più leggere delle hamae), scale, corde, asce e anche una sorta di rudimentali estintori, simili a grosse siringhe utilizzate per trasportare e proiettare l’acqua direttamente sopra le fiamme.

Dopo la fine dell’Antichità, insieme alle vecchie istituzioni imperiali erano scomparse progressivamente anche le milizie dei vigiles organizzate che, in varie parti d’Europa, avevano fronteggiato per secoli la minaccia sempre incombente degli incendi. Era stato solo intorno all’800 che, con Carlo Magno, si era avuto un primo tentativo di organizzare un servizio antincendi per l’impero carolingio(4), senza peraltro giungere a grandi risultati. In precedenza si ha notizia almeno di un decreto di Clotario II, re dei Franchi, che nel 595 aveva già affidato ad alcuni cittadini (chiamati guardie del fuoco) il compito di sorveglianza notturna, pre-venzione e spegnimento degli incendi nei centri abitati. Solo nel 1416, a Firenze, furono istituite le guardie del fuoco: un corpo di uomini preposto e attrezzato ap-positamente per la lotta agli incendi(5). In seguito, per tutto il XVI e XVII secolo, la

1 De Magistris 1898, pp. 89-90. Ma forse l’invenzione di Ctesibio era servita, almeno in un primo momento, a lanciare liquidi infiammabili in battaglia (Sforza 1991, p. 37).

2 Una di queste pompe romane è stata ritrovata negli scavi di Silchester, nel Sussex settentrionale (Condolo 2005, p. 8). Ancora nel 1928, un ufficiale dei pompieri di Torino, Francesco Mottura, scrisse: “Dando un colpo d’occhio ai mezzi adoperati per estinguere gli incendi, notiamo che i primi strumenti conosciuti per proiettare acqua sul fuoco si chiamavano siphone o siphi pubblici. Sarebbe troppo lungo enumerare tutti gli apparecchi più o meno ingegnosi escogitati per questo uso. Tuttavia risulta, dalle figure e dalle descrizioni che si sono trovate nelle carte antiche, che le valvole e i pistoni delle pompe da incendio, qualsiasi forma abbiano, rassomigliavano sempre a quelli delle pompe attuali” (Sforza 1991, p. 37).

3 De Magistris 1898, p. 89.

4 Colangelo 1991, p. 25.

5 In realtà anche altre città del centro-nord Italia avevano già previsto, nei loro statuti, l’istituzione di un servizio antincendi: Prato (1270), Parma e Fer-rara (1288), Venezia (1325) e Torino (1333) (Condolo 2005, p. 10).

Mezzi ed equipaggiamenti di pompieri e vigili del fuoco, 1900-1941Alessandro Fiorillo

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situazione nel resto d’Europa non era stata diversa, considerato per esempio che a Vienna un Regolamento de’ fuochi era stato emanato appena nel 1668(6). In maniera analoga, anche nel resto d’Italia la creazione e la diffusione di corpi ad-detti alla lotta agli incendi avvenne piuttosto lentamente, e fino alla prima metà del XVIII secolo questo compito fu sostanzialmente affidato a corporazioni di ar-tigiani, in particolare muratori, carpentieri o brentatori(7). Solo nel 1739 a Roma fu creato l’ordine dei focaroli(8) e nel 1786 a Torino fu istituito un corpo delle guardie del fuoco(9). Alla fine del secolo, nel 1795, Parigi poteva già contare su sessanta macchine da incendio e ventotto distaccamenti di pompieri, per un totale di 376 uomini(10).

Tecnologie antincendio antecedenti la prima rivoluzione industriale

Per individuare le basi delle tecnologie antincendio sviluppate in Occidente al tempo della seconda rivoluzione industriale nell’ultimo venticinquennio del XIX secolo, vale la pena chiarire quali furono gli strumenti utilizzati dai nuovi corpi antincendio europei e in particolare italiani della fine del secolo precedente, il XVIII, e quanto e se – nonostante il tempo passato – questi differissero dalle pri-me rudimentali pompe antiche e medievali.

Soprattutto all’inizio del Medioevo di fatto le pompe antincendio non era-no molto diverse da quelle dell’Antichità: pompe idrauliche azionate a mano e costituite, oltre che dal gruppo pompa vero e proprio, anche da una sorta di vasca, o di contenitore, riempito a mano continuamente d’acqua con secchi o recipienti, dagli addetti alle pompe o da semplici cittadini volontari che si trova-vano sul luogo dell’incendio. Da ciò ne deriva, senza troppi timori di smentita, che le differenze con i tempi precedenti della militia vigilum romana fondata da Augusto nel 6 d.C. erano molto poche. Diverso è invece quanto era accaduto nel periodo successivo, in particolare dalla fine del Rinascimento in poi, per opera di fabbri, falegnami e muratori delle grandi corporazioni impegnate nei grandi cantieri d’architettura e di opere meccaniche e idrauliche che anche nella lotta agli incendi, come negli altri campi, avevano fornito un contributo significativo. I passaggi principali di questi apporti sostanziali furono i seguenti.

Nel 1578 Jacques Besson, ingegnere e meccanico francese, all’interno della sua rassegna Théâtre des instruments presentò il progetto illustrato di una pompa da incendio che funzionava con un sistema di compressione dell’acqua dentro una camera d’aria, a sua volta ottenuta con un pistone azionato da una vite senza fine. Nel 1602 il tedesco Aschausen aveva fatto costruire, a Norimber-ga, una pompa in grado di lanciare acqua all’altezza di una casa di tre piani. Nel

6 Sforza 1992, p. 13.

7 Questi ultimi prendevano il nome dalle brente: le bigonce in legno che caricavano sulle spalle per il trasporto del vino. In caso d’incendi diventavano strumenti per il trasporto dell’acqua necessaria alle operazioni di spegnimento (Tiezzi 1999, p. 102).

8 Il corpo era formato da quarantacinque tra mastri muratori e falegnami, coadiuvati da venti facchini (Abate 2002, p. 111).

9 Sforza 1992, p. 13.

10 Fiorillo 2008, p. 7.

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1655, sempre a Norimberga, Hans Hautsch aveva realizzato una sua pompa ad aria compressa; al perfezionamento di essa aveva lavorato persino il filosofo e matematico G.W. Leibniz(11). Intorno al 1672 Giovanni Van der Heyde, direttore ge-nerale del servizio d’incendio della città di Amsterdam in Olanda, aveva inventato il tubo di erogazione che consentiva di portare l’acqua dalla pompa direttamen-te fino al fuoco(12). Questi realizzò anche una pompa a due cilindri, con camera ad area di compressione, che per la prima volta consentì la produzione di un getto d’acqua continuo. Quest’ultima invenzione fu registrata dagli stati generali dei Paesi Bassi il 21 settembre 1677 e iscritta sotto i nomi di Giovanni e Nicola Van der Heyde. La sua descrizione parlava di “una pompa d’incendio che dà un getto continuo, con un tubo flessibile da potersi condurre per porte e finestre e col quale si può spegnere con un’incredibile rapidità, ogni incendio per quanto grande e difficile che sia”(13). Questa importante innovazione, seguita poi dall’in-venzione del tubo d’aspirazione, fu il primo grande avvenimento nella storia del materiale d’incendio. Le pompe dei fratelli Van der Heyde furono in seguito ven-dute in tutta Europa e la loro efficacia diede luogo in molti casi alla riorganiz-zazione dei servizi d’incendio. In seguito, due grossi incendi a Venezia nel 1687 e nel 1690 furono spenti grazie ad un meccanico di nome Francesco Chiappati, che adoperò un apparecchio chiamato edifizio da fuochi, per il quale la Repubblica veneta gli assegnò l’attestato di pubblica munificentia. Nel 1712 l’ingegnere Gio-vanni Gray di Londra costruì una macchina idraulica utilizzata con gran profitto nello spegnimento degli incendi. La portata della pompa di Gray variava da 40 a 185 galloni d’acqua al minuto, pari a 181 o 838 l secondo la grandezza, e il getto raggiungeva un’altezza di 80 piedi, pari a oltre 24 m(14). Nel 1717 il padre Vincenzo Coronelli, cosmografo e idraulico al servizio dell’imperatore Carlo VI d’Austria, costruì alcune macchine idrauliche antincendio in seguito in uso a Vienna(15). Nel 1740 l’ingegnere Raimondo Newsham di Londra ideò una pompa montata su un carrello a quattro ruote che permetteva di trasportarla con discreta rapidità sul luogo dell’incendio. Era del tipo aspirante e premente ed era azionata per mezzo di leve tali che per manovrarle occorreva la forza di una ventina di uomini(16). Nel 1774, in Francia, un certo Morland inserì alcuni anelli di cuoio intorno al pistone della pompa, che consentirono di eliminare le notevoli perdite d’acqua derivanti dall’imperfetta adesione del pistone stesso all’interno del cilindro. Poco dopo,

11 Colangelo 1991, pp. 28-30

12 Fino ad allora l’acqua fuoriusciva o da ugelli o da una luce di mandata applicata in prossimità della pompa o comunque a poca distanza da essa. Ovvia-mente, per quanto l’acqua fosse comunque in pressione, non ne veniva sfruttata a pieno la capacità e la forza estinguente appunto a causa dell’assenza di un tubo di mandata in grado di convogliarla fino in prossimità dell’incendio. Questi tubi, precursori delle manichette di canapa o di altre fibre tessili, erano di cuoio, avevano una lunghezza di quindici metri e viti d’ottone per l’innesto alle estremità (Sforza 1992, p. 38). Per il congiungimento dei primi tubi di mandata era impiegato l’unico giunto allora conosciuto, quello a vite (CP, XXXVI, 2, febbraio 1933, p. 17).

13 CP, (XIV) 4-6, 1 febbraio, 1 marzo, 15 marzo 1911, pp. 41-43.

14 Girolamo Vignola, ambasciatore a Londra per la Repubblica veneta nel 1729, dopo aver assistito a un esperimento della macchina idraulica di Gray, scrisse: “Fattosi l’esperimento in mia presenza di due di queste macchine (nella casa propria di questo Gray), osservai primieramente che l’acqua esce dal tubo con tanta forza che non vi sono finestre così forti e ben chiuse che non si spezzino e che non si aprano, come mi toccò punto vedere l’altro giorno nell’estinzione di un grande fuoco che si era attaccato ad una casa a cui ho voluto espressamente interessarmi” (Melega 1928, p. 122).

15 Melega 1928, p. 121.

16 Sforza 1992, p. 38.

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nel 1786, il cavalier Litta di Milano inventò l’idrobato (lanciatore d’acqua): una pompa di piccole dimensioni ma di grande efficacia ed economia, che tra l’altro fruttò al suo ideatore il conferimento del doppio premio della Reale Accademia di Mantova. Nel 1818 fu ancora un italiano, l’artigiano milanese Leonardi, a costrui-re una macchina da fuoco montata su carro in rovere e costituita da un recipiente di rame per l’acqua, cinque cilindri in bronzo e quaranta bracci di canne di cuoio. Questa macchina poteva essere trainata da uomini o da cavalli ed era utilizzata anche per lo svuotamento di locali allagati(17) (fig. 1).

Dal 1800 al 1900: un secolo di grandi progressi

Trombe da incendio e pompe a manoDopo aver visto, a grandi linee, quali furono gli sviluppi e le principali invenzioni nel campo delle pompe antincendio, vediamo più nello specifico come funziona-vano queste attrezzature nella prima metà del XIX secolo alle soglie della cosid-detta prima rivoluzione industriale. A proposito di esse, così scriveva Francesco Del Giudice nel 1848(18):

“Tra i mezzi più efficaci ad arrestare i progressi del fuoco senza che gli edifizj n’abbiano a soffrir danni, oltre quelli cagionati diret-tamente da esso, deve fuori di dubbio annoverarsi quel genere di macchine idrauliche cui appunto chiamano trombe da incendio”(19).

17 Tiezzi 1999, p. 147.

18 Illustre comandante dei pompieri di Napoli, autore di numerose pubblicazioni sull’arte pompieristica del suo tempo era nato a Capua nel 1815 (BUFTICP, IX 1, gennaio 1913, p. 1).

19 Del Giudice 1848, p. 115.

Fig. 1 Pompa a mano montata su carro a quattro ruote, 1900 circa (DVVF, SDRP, Af).

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In questo caso, le trombe da incendio non erano altro che le pompe a mano descritte fino a qui. Nella sua opera, Del Giudice elencava diversi modelli di trombe da incendio conosciute e in uso ai tempi suoi:

1. trombe a moto rettilineo-oscillatorio: tromba da incendio costruita a Stra-sburgo, tromba da incendio di Olanda, tromba da incendio inglese, botte idraulica, tromba aspirante e premente posta sul carretto del signor Lou-nay, tromba di Newsham, tromba di Lévesque e tromba doppia di Char-pentier (fig. 2);

2. trombe a moto circolare oscillatorio: tromba a moto circolare oscillatorio del Ramelli, tromba Napoleone, tromba di Bramah;

3. trombe a moto circolare-continuo: tromba a moto rotatorio-continuo del Ramelli, idracontisterio del Padre B. Cavalieri, tromba circolare così det-ta alla Dietz della prima maniera e seconda tromba circolare attribuita a Dietz (fig. 3);

Del Giudice citava anche una tromba da incendio a vapore, costruita nel 1830 dal signor Braithwaite(20), il quale pochi anni dopo realizzò, su mandato del re di Prussia(21), un ulteriore modello di pompa a vapore dal nome di Cometa(22).

Con il passare del tempo, l’uso del termine tromba scomparve, per ce-dere il posto al più comune pompa; nel volume del 1917 di Cogoli e Rampini, dal titolo Il pompiere moderno, questa era descritta così:

“La pompa e [sic] quell’ordigno, tutti lo sanno, che serve a pre-mere o ad aspirare, a seconda dei casi, dei gas o dei liquidi ad un punto più alto del loro livello normale”(23).

(23).

Tra i diversi tipi di pompe in uso intorno alla metà del XIX secolo, erano ancora piuttosto diffuse quelle soltanto prementi, che per funzionare e svolgere il loro compito dovevano essere munite di una tinozza che racchiudeva la pompa, che andava continuamente riempita e alimentata con l’acqua portata a mano con secchi o un altro mezzo qualsiasi. Più moderne, pratiche e via via più diffuse (fino a sostituire progressivamente quelle solo prementi), erano le pompe a dupli-ce effetto, aspirante e premente, cioè capaci di attingere acqua a un livello più basso e nello stesso tempo di spingerla verso un punto più alto. Queste pompe, generalmente del tipo a stantuffi, erano costituite da un tubo di aspirazione che portava l’acqua al corpo della pompa e dalla pompa propriamente detta, che

20 Del Giudice 1848, pp. 228-233. Sembrerebbe, in realtà, che Braithwaite costruì la sua prima pompa a vapore l’anno precedente, nel 1829, come riportato da varie altre fonti e soprattutto in un catalogo della casa produttrice britannica Merryweather, tradotto in italiano alla fine del XIX secolo verosimilmente per promuoverne i prodotti nel nostro paese (Merryweather [1890?]).

21 Il Sovrano destinò la pompa a vapore Cometa alla difesa degli edifici pubblici di Berlino dal pericolo degli incendi.

22 Del Giudice 1848, p. 231.

23 Cogoli, Rampini 1917, p. 225.

Fig. 2 Trombe da incendi a moto rettilineo-oscillatorio, ad Antlie Ctesibiane, in uso nella prima metà dell’Ottocento (Del Giudice 1848, tav. IX).

Fig. 3 Altri tipi di pompe in uso nella prima metà dell’Ottocento: tromba circola-re, detta alla Dietz della prima manie-ra (figg. 45-47), tromba a moto circo-lare o rotatorio-continuo (fig. 46 bis), tromba doppia di Charpentier (fig. 48) (Del Giudice 1848, Tav. X).

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