Antefatto - iteatri.re.it · di Ingmar Bergman con ... rapporto tra Eva e Charlotte, come fa...

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Venerdì 12 dicembre, sabato 13 dicembre 2008 ore 21Domenica 14 dicembre 2008 ore 15.30Teatro Ariosto

Argot Produzioni

SINFONIA D’AUTUNNOdi Ingmar Bergman

con Rossella Falk, Maddalena Crippa, Marco Balbi

regia Maurizio Panici

scene Aldo Buti

costumi Lucia Mariani

luci Franco Ferrari

musiche Edvard Grieg e Frédéric Chopin

ambientazioni sonore Stefano Saletti

AntefattoEva è sposata con un pastore pro-testante, Viktor, insieme al quale abita nella canonica. Charlotte, la madre di Eva, è una pianista famo-sa e molto raramente fa visita alla figlia. Eva ha sollecitato con una let-tera la madre a un nuovo incontro, atteso da lungo tempo. Charlotte arriva all’improvviso.

Note di regiaTrentasei ore, tanto dura l’incontro tra Charlotte e Eva. Trentasei ore in cui l’autore scava nel rapporto tra le due donne: e sono parole di odio/amore, i sentimenti che hanno se-gnato l’intera relazione tra madre e figlia. Testimone degli eventi è il marito di Eva. Charlotte, la madre, in quelle ore parla delle proprie amarezze e solitudini, le svela alla figlia, lo fa forse per la prima volta senza difese, senza maschere. Anche Eva cerca di rac-contarsi nelle sue difficoltà, ma le parole che escono non sono quelle giuste e il conflitto sembra non potersi risolvere, il perdono appa-re impossibile anche se il cordone ombelicale non si è mai spezzato: “non si finisce mai di essere genitori e figli”.Sinfonia d’autunno è e rimane una “storia d’amore” speciale tra due donne dipinte con crudezza e nito-re da uno dei più grandi “esplorato-ri” di sentimenti che il secolo scorso ci ha regalato. Naturale successore di August Strindberg, (non a caso si laurea in Storia della letteratura con una tesi su di lui) per la qualità della scrittu-

ra, per l’asprezza del dialogo, per le tematiche affrontate nella sua lunga carriera, Bergman non ci offre un fi-nale consolatorio: tutto resta aper-to, non è detto se le due donne si riconcilieranno.La scena concepita da Aldo Buti, l’interno di una canonica norvege-se, con il suo nitore abbagliante, esalta ancora di più la notte in cui le due portano alla luce i fantasmi e le ombre del loro passato.Lo spazio è fermato nel tempo, scandito solo da luci che impieto-samente traghettano le due pro-tagoniste verso il culmine del loro incontro.Il mattino vedrà la partenza antici-pata di Charlotte.

L’appartamento è occupato (le squat!)intervista a Maurizio Panicia cura di Simona Carlucci

Mettere in scena film celebri, si sa, rappresenta un bel rischio. Qual è allora l’elemento irrinunciabile che l’ha portata a scegliere Sinfonia d’autunno?“Non si smette mai di essere geni-tori e figli”. In questa frase di Eva, la figlia che cerca una via d’uscita dal conflitto con la madre Charlotte, c’è la ragione e la necessità di portare a teatro Sinfonia d’autunno: riflette-re sul ruolo di figlio che appartiene a tutti e su quello di genitore che appartiene a molti. Sinfonia è però anche una riflessione sull’artista e sul suo rapporto con l’Assoluto che spesso entra in conflitto con il quo-tidiano: Charlotte, infatti, è madre,

ma è anche un’affermata pianista e la distanza che si è creata tra lei e le figlie deriva in parte dalla sua car-riera, dal suo bisogno di esprimersi attraverso la musica. Indagare sul rapporto tra Eva e Charlotte, come fa Bergman, conduce inevitabil-mente a chiedersi quale sia la cosa giusta da fare in quanto persone in ogni momento della vita. A chi apparteniamo? Quale assunzione di responsabilità comporta il dive-nire adulti? Quanto è necessario? Il teatro è anche il luogo ideale per sollevare interrogativi, ancor più in un periodo in cui sembra dominare una sorta di fuga collettiva da se stessi e dalle ragioni del proprio essere nel mondo. Da sempre cerco di occuparmi di un “teatro del presente” e questo testo mi è parso necessario a questo nostro tempo.

Nella sceneggiatura c’è un per-sonaggio – Helena, l’altra figlia di Charlotte, da lei lasciata in un isti-tuto per portatori di handicap, che poi Eva decide di prendere con sé – che nella sua riduzione non com-pare…Ho voluto concentrare l’attenzio-ne sui due personaggi principali – Charlotte ed Eva – per rendere più chiaro e incisivo lo scontro dialettico tra di loro. Il personaggio di Helena è comunque presente e vivo, nello spettacolo, attraverso le parole della sorella e della madre. La sua “assenza” offre a Eva ar-gomenti più violenti nel confronto con Charlotte, rende il meccanismo teatrale più netto e – aspetto non certo secondario – evita il rischio

di cadere nel melò, rischio che nel racconto cinematografico può es-sere più facilmente evitato.

La vicenda di un rapporto tormen-tato tra madre e figlia viene letto da una sensibilità maschile. Non è singolare?Bergman è sempre stato attratto dal mistero dell’universo femminile. A me interessano le dinamiche, i conflitti dell’animo umano. Trovo le donne meno schematiche degli uomini, e la loro complessità ha molto a che vedere, secondo me, col fatto che sono generatrici di vita, mentre noi maschi siamo più spesso portatori di morte. Il mistero del “femminile” è correlato per me col mistero della vita stessa. Sono catturato, quasi ipnotizzato, da questo scontro profondo, ance-strale, tra chi ha dato la vita e chi ne chiede conto.

Sinfonia d’autunno è intriso, come tutto Bergman, di profonda reli-giosità. Lei, in quanto laico, come traduce questo elemento e come pensa possa parlare oggi al pub-blico?La religiosità ha a che fare con il mistero. Io sono affascinato dal mistero – della vita, della morte – e cerco, attraverso il teatro, di avvici-narmi alla conoscenza profonda del nostro essere uomini. Come ci ha definitivamente insegnato il teatro greco, noi facciamo nostre catarti-camente le ragioni, le pulsioni, il do-lore dei personaggi e così entriamo in noi stessi; è un percorso intriso di religiosità e di dubbi. Scrive Eliot: “La concentrazione di passato e futuro intrecciati nella debolezza del corpo che cambia, proteggono l’umanità dal cielo. E dalla danna-zione che la carne non può soppor-tare”. Tutto questo ci riguarda, così come riguarda le due protagoniste di Sinfonia d’autunno.

Due attrici di forte personalità come Rossella Falk e Maddalena Crippa. Quanto spazio hanno nella costru-zione del loro personaggio?Le attrici sono state scelte perché già espressione di quei tipi di per-sonalità. Hanno avuto la più ampia libertà nell’avvicinarsi a Charlotte ed Eva e costruire i rispettivi per-sonaggi. Il mio compito è aiutarle a trovare la strada e la misura per dare il massimo risultato. Il testo di Bergman è chiarissimo sia nelle dinamiche che nei significati; le personalità di Rossella e Madda-lena vi aggiungono quei significanti che solo due grandi attrici possono regalarci.

Quale ruolo è affidato alle musiche e quali sono stati i criteri di scelta?Ho lavorato sulle suggestioni ma-turate dal testo. Si va dal Preludio n. 2 di Chopin agli studi per piano solo di Edvard Grieg – artista for-temente legato alla tradizione del mondo nordico – alle composizioni

originali di Stefano Saletti, che bene si inseriscono nel tessuto emotivo del testo, segnando i rapporti tra le due protagoniste. La musica all’ini-zio esprime il dolore per un’infanzia negata, fortemente sognata, poi sottolinea la violenza dello scontro in atto e infine restituisce il senti-mento di una riconciliazione capar-biamente inseguita.

Com’è ambientata scenografica-mente la vicenda?La scena concepita da Aldo Buti è un grande spazio bianco, stanza della mente di Eva, dove abitano le sue paure ed angosce, dove l’in-contro con la madre è stato tanto atteso e forse altre volte vissuto:è anche, però, l’evocazione di un paesaggio nordico intriso di quella lattiginosa nebbia dove tutto ac-quista contorni indefiniti e che, al tempo stesso, esalta il colore e ogni minima vibrazione di luce. In questo bianco abbagliante si materializza-no di volta in volta gli ambienti. Un ring sul quale due donne e un os-servatore – Victor, marito di Eva – si affrontano, discutono e si dilaniano in attesa di un necessario perdono.

Bergman su Sinfonia d’autunnoL’abbozzo di Sinfonia d’autunno fu scritto il 26 marzo 1976. Alla sua storia appartiene l’affare delle tasse in cui incappai all’inizio di gennaio: finii ricoverato alla clinica psichiatri-ca del Karolinska Sjukhuset, poi alla Sophiahemmet e alla fine a Farö. Dopo tre mesi la causa giudiziaria fu sospesa. Quello che all’inizio era un reato punibile penalmente si tramutò in un banale processo per evasione fiscale. La mia prima reazione fu euforica (...)Sinfonia d’autunno fu concepito durante alcune ore notturne, dopo un periodo di totale blocco creati-vo. Ma perché mi sia uscito proprio Sinfonia d’autunno, questo rimane un mistero. Non ci avevo mai pen-sato prima. L’idea di lavorare con Ingrid Bergman era vecchia, ma non si trova all’inizio di questa sto-ria. L’ultima volta l’avevo incontrata

al Festival di Cannes in occasione della proiezione di Sussurri e grida. In quell’occasione mi ficcò in tasca una lettera, in cui mi ricordava la mia promessa di fare un film insie-me (...). Ma il fatto misterioso rima-ne questo: perchè proprio questa storia e perchè così conclusa? E’ più finita nell’abbozzo che non nella stesura definitiva.Durante alcune settimane estive a Farö scrissi Sinfonia d’autunno per avere qualcosa nel bagaglio, nel caso L’uovo del serpente fosse andato a rotoli. La decisione era definitivamente presa: non avrei mai più lavorato in Svezia. Perciò, stranamente, Sinfonia d’autunno fu preparato in Norvegia (...). I miei collaboratori erano gentili, ma il loro livello era quasi dilettantesco. Per-sino le riprese furono faticose. Con Ingrid Bergman non ci furono quelle che si chiamano difficoltà di colla-borazione. Si trattava, piuttosto, di una sorta di confusione di linguag-gi, nel senso più profondo. Già il primo giorno, quando ci tro-vammo insieme nello studio a leg-gere il testo per le prove, scoprii che si era esercitata nella sua parte, to-nalità e gesti compresi, davanti allo specchio. Evidentemente aveva un altro approccio all’esercizio del suo mestiere rispetto a noi. Era rimasta agli anni Quaranta. Credo che ci fosse in lei qualcosa di geniale, una sorta di sistema computerizzato or-ganizzato in modo singolare. Ben-ché i suoi meccanismi di ricezione

della regia non fossero collocati nei posti dove di solito devono trovar-si, doveva in qualche modo avere percepito gli impulsi di questo o quel regista. In effetti, in diversi film americani è straordinariamente brava. Nei film di Hitchcock, per esempio, è sempre grandiosa. Lei lo detestava. Credo che lui non ab-bia mai provato imbarazzo nell’es-sere sgarbato e un po’ arrogante; e questo era proprio il modo giusto per farsi ascoltare da lei. Fin dalle prove scoprii che la comprensione e l’ascolto erano difettosi. A questo punto, per lavorare si resero neces-sari metodi che solitamente rifiuto, soprattutto l’aggressione. Una volta mi disse: “Se non mi dici come devo fare questa scena, ti do uno schiaffo”. Questo mi piacque abbastanza. Ma dal punto di vista professionale, era difficile lavorare con queste due attrici. Quando oggi rivedo il film mi accorgo di aver piantato in asso Liv là dove avrei dovuto sostenerla. Lei appartiene a quel genere di attrici generose che offrono interamente se stesse. Talvolta, nel film, vedo che si trova in alto mare e vedo che naviga da sola. Ciò dipende dal fatto che io sono stato troppo attento a Ingrid che, oltretutto, aveva difficoltà a ricordare quello che doveva dire. Al mattino era spesso pungente, arrabbiata e triste e questo era comprensibile: era angosciata per la sua malattia e, per di più, era convinta che il nostro modo di la-vorare fosse insolito e incerto, ma non ha mai fatto alcun tentativo di squagliarsela. Il suo comportamen-to fu sempre eccezionale, anche professionalmente. Pur con tutte le sue contraddizioni, Ingrid Bergman fu una persona straordinaria: ge-nerosa, di grande stile e altamente dotata. Un critico francese scrisse con acutezza che “Bergman con Sin-fonia d’autunno ha fatto un film alla Bergman”. E’ ben formulato, ma seccante. E penso che corrispon-da al vero, per me. Se però fossi riuscito a seguire la mia intenzione di fondo, non sarebbe stato così.Amo e ammiro Tarkovskij e penso che sia uno dei più grandi registi. La mia ammirazione per Fellini è sconfinata. Ma mi sembra che Tarkovskij abbia cominciato a fare

film alla Tarkovskij e che Fellini negli ultimi tempi abbia fatto alcuni film alla Fellini. Kurosawa non ha mai fatto film alla Kurosawa.

da: Ingmar Bergman, Immagini, Garzanti, Milano 1992.

Bergman sul teatroA dodici anni ebbi l’occasione di accompagnare un musicista che suonava la celesta dietro le quin-te nel Sogno di Strindberg. Fu un’esperienza esaltante. Sera dopo sera assistetti, nascosto nella torre del proscenio, al matrimonio tra l’Avvocato e la Figlia. Era la prima volta che sperimentavo la magia del teatro. L’Avvocato teneva una forcina per capelli tra il pollice e l’in-dice. La torceva, la raddrizzava e la faceva a pezzi. Non c’era nessuna forcina, ma io la vedevo! L’ufficiale stava dietro la porta delle quinte e aspettava di fare il suo ingresso. Se ne stava chino in avanti a guardarsi le scarpe, le mani dietro la schiena, schiarendosi la gola senza far ru-more: una persona normalissima. Poi la porta si apre e lui avanza sulla scena illuminata. Cambia, si trasforma: è l’Ufficiale.Porto dentro di me un tumulto incessante che devo tenere sotto controllo, per questo motivo pro-vo angoscia dinanzi all’imprevisto, all’imprevedibile. La mia profes-sione diventa così una pedante amministrazione dell’indicibile. Io medio, organizzo, ritualizzo. Ci sono registi che materializzano il loro proprio caos, nel migliore dei casi fanno nascere da questo caos uno spettacolo. Io detesto questo tipo di dilettantismo. Non prendo mai parte al dramma, io traduco, concretizzo. (Quel che è piu im-portante: non concede spazio alle mie complicazioni personali se non per usarle come chiavi ai segreti del testo o come stimoli, sempre tenuti sotto controllo, alla creatività degli attori. Odio il tumulto, le aggressivi-tà, le esplosioni emotive. Una prova è per me un’operazione eseguita in uno spazio attrezzato allo scopo. Vi devono regnare autodisciplina, pu-lizia, luce e tranquillità. Una prova è un vero e proprio lavoro, non una terapia privata per il regista e per gli attori.

Bergman durante la lavorazione di Sinfonia

d’autunno con Ingrid Bergman

Bergman con Liv Ullmann

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Venerdì 9, sabato 10 gennaio 2009 ore 21, domenica 11 gennaio ore 15.30, Teatro Municipale Valli

La bella utopiadi e con Moni Ovadia e Stage Orchestra

Disprezzo Walter che alle undici di mattina si presenta un po’ brillo vomitando i suoi problemi persona-li. Mi dà la nausea Theresa che mi corre incontro e mi avvolge in una nuvola di sudore e profumo. Ho voglia di maltrattare Paul, povero frocio che arriva con le scarpe dai tacchi alti ben sapendo che tutto il giorno dovrà correre su e giù per le scale della scena. Detesto Vanja

che piomba giù con esattamente un minuto di ritardo, i capelli all’aria, in disordine e ansimante, carica di borse e sacchetti. Mi irrita Sara che ha dimenticato il copione e ha sempre due telefonate importanti da fare. Voglio avere pace, ordine, cortesia. Solo così possiamo avvi-cinarci all’infinito. Solo così possia-mo risolvere gli enigmi e apprende-re i meccanismi della ripetizione.

La ripetizione, la viva, pulsante ripetizione. Lo stesso spettacolo ogni sera, Io stesso spettacolo che si genera sempre di nuovo. E, del resto, come insegnare quel lecito, sottilissimo «rubato» tanto neces-sario perché uno spettacolo non si trasformi in morta routine o in un’intollerabile violenza su se stes-si? Ogni buon artista conosce il se-greto, i mediocri devono impararlo,

i cattivi non Io imparano mai.La mia professione consiste dun-que nell’amministrare testi e tempi di lavoro. Io devo far sì che le gior-nate non appaiano troppo prive di senso. Non sono mai personale. Osservo, registro, constato, con-trollo. Sono l’occhio e l’orecchio sostitutivo dell’attore. Propongo, suggerisco, incito o disapprovo. Non sono spontaneo, impulsivo, partecipe. Lo sembro soltanto. Se per un istante mi levassi la masche-ra e rivelassi i miei veri sentimenti, i miei compagni si volgerebbero contro di me, mi farebbero a pezzi e mi butterebbero fuori della fine-stra.Nonostante la maschera, la mia non è finzione. II mio intuito parla con rapidità e chiarezza, io sono totalmente presente, la maschera è un filtro. Tutto quel che è privato e non ha niente a che fare con il tea-tro non riesce a passare. Il tumulto viene tenuto al suo posto.Ho vissuto piuttosto a lungo con un’attrice estremamente dotata, più vecchia di me. Prendeva in giro la mia teoria della pulizia e afferma-va che il teatro è merda, eccitazio-ne erotica, follia, diavoleria. Diceva: l’unica cosa noiosa in te, Ingmar Bergman, è la tua passione per la salute. Quella passione la devi abbandonare, è sospetta e menzo-gnera, traccia dei limiti che non osi superare, dovresti andare in cerca della tua puttana sifilitica come il dottor Faustus di Thomas Mann.Forse aveva ragione, forse erano solo chiacchiere romantiche sulla scia della pop-art e della droga. Non so, so solo che quella bella e geniale artista perse la memoria e i denti e morì a cinquant’anni in ospedale psichiatrico. Fu questo che Ie fruttò il suo modo di espri-mersi.Gli artisti capaci di formulare teorie sono pericolosi, del resto. All’im-provviso può accadere che Ie loro speculazioni vengano di moda, e questa può essere una catastrofe. Igor Stravinskij amava scrivere.

Scrisse diverse cose sull’interpre-tazione. Siccome aveva un vulcano dentro di sé, incitava alla mode-razione. I mediocri lo lessero e annuirono. Quelli che non avevano un’idea di cosa fosse un vulcano levarono in alto Ie bacchette e os-servarono la moderazione mentre Stravinskij, che non visse mai come insegnava, diresse il suo Apollo Musagete come se fosse un pezzo di Ciaikovskij. Noi, che avevamo letto attentamente, ascoltammo e ci stupimmo.

da: Ingmar Bergman, Lanterna ma-gica, Garzanti, Milano 1987.

Mercoledì 7 gennaio 2009 ore 20.30 Teatro Municipale ValliOchestra Sinfonica Nazionale della RaiGianandrea Noseda direttoremusiche di Wagner, Verdi, Berlioz

S. Silvestro a teatro

Foto dello spettacolo: foto Agus

S. Silvestro a teatro

Mercoledì 31 dicembre 2008 ore 21 Teatro Municipale ValliDal volti l’è dmei’ taseir di e con Antonio GuidettiArtemisia Teater

Mercoledì 31 dicembre 2008 ore 21.15 Teatro AriostoDi buon mattino di e con L’UsignoloCrepacuoredi e con Mara Redeghieri e L’Usignolo