Anno XIV n. 2 Giugno 2017 - Città di Torino - Elezioni Politiche 2018 · 2017-06-28 · a...

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Anno XIV n. 2 Giugno 2017

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Anno XIV n. 2 Giugno 2017

ASSOCIAZIONE SENIORESDEL COMUNE DI TORINO

Via Garibaldi 25 - 1° piano - 10122 TorinoTelefono: 011 - 01131954-52-51

Fax: 011 - 01131840associazione.seniores@comune.torino.itwww.comune.torino.it/lavoratorianziani

Cod.Fisc. 80099240014

Orario di ufficioMartedi, Mercoledi, Giovedi: dalle 9,30 alle 12,00

PRESIDENTE: Vittorio FERRANDO

VICE PRESIDENTE: Antonio NACCA

SEGRETARIO: Angela PEISINO

SEGRETARIO ONORARIO: Giovanni AJMAR

TESORIERE ECONOMO: Anna Maria ROCCIA

CONSIGLIERI: Mirella BORELLOEnzo BRAIDAFrancesco DANTEAldo LANTERIMarisa MODICAAntonina NERILuisella NIGRAMaristella PECCHIOPieralberto ROLANDORenza VARVELLO

REVISORIDEI CONTI: Loredana IGUERA

Domenico PIZZALAAlfonso SANUA

IN…FORMA!

Direttore Responsabile:Vittorio FERRANDO

Comitato di redazione:Antonio NACCA

Pieralberto ROLANDO

Hanno collaborato a questo numero

Anna BraghieriFranca Rosso

Rosalba Fenoglio

Autorizzazione del Tribunale di Torino 1921 del 17 febbraio 1968

Stampato presso Arti Grafiche S. Rocco, Grugliasco (TO)Giugno 2017

Sommario

Editoriale Pag. 1Dall’Assemblea 2Carlo Felice, l’ultimo vero Savoia 4La città del segnale orario (I) 7Le Borgate collinari (I) 11Anniversari 20Viaggi, Gite e Visite III di copertina

In copertina: Friederich Bernhard Werner - Palazzo del S.r Marchese Larozzi in Turino (oggi sede del Circolo degli Artisti – Via Bogino 9) - Incisione in rame acquerellata, 1731.

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Normalmente mi sono cimentato in questa pagina in brevi sottoli-neature lamentando le situazioni che non vanno (e sono tante) ma

dando anche spazio talora a qualche nota positiva.Questa volta, confidando nella vostra benevolenza e senza la pretesa

di essere originale, desidero farvi partecipi del dono straordinario chemia moglie Renza ed io abbiamo ricevuto entrando a far parte dellastraordinaria categoria dei nonni .

Dopo un’attesa durata lunghi anni, osservando impotenti lo scorreredel tempo ed il maturare di un’età sempre più avanzata, quasi votatialla rassegnazione, alla fine di agosto dello scorso anno siamo diventatinonni adottivi di uno splendido bimbetto di otto mesi, italiano conocchi azzurri e capelli biondi.

Da quel momento, prima lentamente per una normale fase di rodaggiopoi in modo travolgente la nostra vita è radicalmente mutata.

Si è resa infatti necessaria una completa rilettura delle priorità edelle abitudini: diventare nonni è un dono della vita e significa inprimo luogo godere di un supplemento di gioventù perché accanto aun bambino che cresce non c’è posto per la vecchiaia. Non ci restache dire grazie e sentirci fieri del nuovo ruolo tenendo sempre presentile esortazioni di Papa Francesco “Dobbiamo avere cura dei nonni perchéi bambini e i nonni sono la speranza di un popolo. I bambini, i giovaniperché lo porteranno avanti, […] i nonni perché hanno saggezza dellastoria, sono la memoria di un popolo”.

Vittorio Ferrando

Una gioia immensa

Edi to r ia l e

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Sabato 20 maggio si è svoltal’assemblea annuale dei soci nuo -

vamente, dopo la positiva esperienzadello scorso anno, nel confortevolegiar dino del ristorante Dubini in queldi Mombello Monferrato.

Dopo aver reso note le ragioni cheavrebbero potuto costringerlo al forfaitnell’importante appuntamento, il Pre si -dente si è fatto interprete dei saluti diGiovanni Ajmar, da alcuni anni resi-dente a Canelli ma ancora molto legatoall’Associazione, invitando quindi aricordare quanti ci hanno lasciato inquesti 12 mesi, in particolare GigiMusso e Mario Caruana fedeli frequen-tatori dell’assemblea.

Si è provveduto quindi alla nominadel presidente dell’assemblea e la scel-ta, in assenza di Aldo Narducci, si èorientata su Mario Pugno il quale, nonsenza sorpresa, ha assunto con piace-re la funzione.

Si sono succedute quindi le relazionidi Domenico Pizzala per il collegio deirevisori, di Anna Maria Roccia teso -riere economo e di Renza Var vello

responsabile della commissione tem -po libero e cultura, tutte approvateall’unanimità.

Il Presidente dell’Associazione haquindi posto in rilievo la co stante emor-ragia di iscritti che ha originato unariduzione delle quo te di oltre 1.500euro con ricadute sul disavanzo.

Trattasi di un fenomeno generalizza-to (persino l’ANLA ha perso molti iscrit-ti) difficile da arginare.

Passando alle note positive harimarcato l’apprezzamento dei sociper il notiziario che grazie soprattuttoa Pieralberto Rolando e ad An to nioNacca riesce e mantenersi su buonilivelli e che vedrà presto i contributi diFranco Cordara e Luisella Nigra sunuovi argomenti.

Fatto cenno al proficuo ingresso tra icollaboratori di Francesco Bar dino si èsoffermato sugli attuali rapporti conl’amministrazione comunale, ormai incarica da circa un anno.

I drastici tagli di risorse operati neiconfronti del CRDC che, di fatto, hannoazzerato il contributo per i soggiorni

Dall’Assemblea

Not iz ie S oc ia l i

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Not iz ie S oc ia l i

estivi dei figli dei dipendenti, serviziomolto apprezzato da tempo immemo-rabile, hanno indotto ad un atteg gia -mento di massima al lerta.

Infine rispondendo alla richiesta dianticipazioni sulle iniziative tu ristico-culturali per il 2018 vengono indicati,come sicuri il soggiorno di 4 o 5 giornia Barcellona ed una 3 giorni in TrentinoAlto Adige in occasione della annualeraccolta delle mele.

Chiudendo i lavori il presidente del-l’assemblea Mario Pugno ha propostoai presenti un applauso per il presiden-te dell’Associazione e per la sua squa-dra per l’impegno e la passione con cuioperano a favore dell’Associazione.

Dopo il pranzo che non ha certo tra-dito le attese, il pomeriggio si è conclusoa Casale ove in tanti hanno dato assaltoalla pasticceria Portinaro ove vengonoprodotti i famosissimi Krumiri rossi.

Casale MonferratoPiazza Castello

con vista Torre civica

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L a nos t ra s to r ia

Nessuno insegnò a Carlo Felice ilmestiere di re. E nessuno poteva

immaginare che con lui si sarebbe estintoil ramo primogenito della famiglia, tantomeno suo padre Vittorio Amedeo III che,assieme alla regina Maria Antonia diBorbone-Spagna, aveva compiuto ildovere nei confronti della dinastia metten-do al mondo ben sei figli maschi!

Ma, tranne tre che morirono in giova-ne età, destino volle che sul trono di Sar -degna tra il 1796 e il 1831 si succedes-sero ben tre fratelli: Carlo Emanuele IV,Vittorio Emanuele I e, appunto, CarloFelice. Proprio per la condizione di esse-re un “super cadetto”, al duca delGenevese - questo il titolo riservatogli -nato il 6 aprile 1765, non venne impar-tita alcuna educazione sulle cose delloStato. Trascorse una tranquilla infanziain compagnia della sorella MariaCarolina e del fratello minore GiuseppePlacido, conte di Moriana. Poi assiemea quest’ultimo principe, a cui fu sempremolto legato, venne trasferito al castellodi Moncalieri per essere educato sottola direzione del cavaliere CasimiroGabaleone di Salmour. Certo, se non cifosse stata la Rivoluzione francese e lesue conseguenze sul regno di Sardegna,

probabilmente Carlo Felice si sarebberitirato “felicemente” a trascorrere agre-sti periodi, lontano dalla capitale, tra ledolci colline dell’astigiano, presso il soli-tario castello di Govone, o nella quietedella campagna canavesana del castel-lo di Agliè.

Ma fu l’esecrato Bonaparte con ilseguito di giacobini a rovinare i suoipiani, e a far maturare in lui un odioinestinguibile contro tutto ciò che potes-se mettere in discussione l’ordine asso-luto. Si era già espresso nel 1791, inoccasione dei disordini causati daglistudenti universitari: nei tumulti CarloFelice vide soltanto l’ingratitudine sacri-lega dei borghesi e delle «mauditesgents de plume» nei confronti dell’ama-tissimo padre.

E contro simil gente, depravata, nemicadell’esercito e della nobiltà, non ci si pote-va auspicare altro che un «carnage», unacarneficina. Con lo scoppio della guerracontro la Francia, nel 1792, nonostanteuna certa educazione militare ricevuta, sidimostrò tutt’altro che condottiero: nel1794 venne destinato in Val d’Aosta, conil compito di affiancare i fratelli Maurizio,duca del Monferrato, e il già citatoGiuseppe Placido, nella riconquista del

Carlo Felice, l’ultimo vero Savoia

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L a nos t ra s to r ia

colle sopra Morgex. Ma i tre rimasero perpiù di un anno a oziare senza nulla con-cludere, tra lo scandalo degli ufficiali chepassavano il tempo a confrontarel’inettitudine dei principi sabaudi alla pre-parazione dei generali rivoluzionari.Carlo Felice, diventato nel frattempo mar-chese di Susa per la perdita dei possedi-menti d’Oltralpe, sitrovò dunque più spet-tatore che protagonistanegli eventi che se -guirono: dapprima loscon certo per la scon -fitta, l’armistizio di Che -rasco e la morte delpadre; poi l’angosciaper la salita al trono delfratello Carlo EmanueleIV, con cui non avevamai avuto un buon rap-porto, la resa e il defini-tivo abbandono dellacapitale.

E fu così che CarloFelice assieme al restodella famiglia si piegòal destino sbarcandoin Sardegna all’alba del 3 marzo 1799.Nella nuova condizione di principe “esi-liato”, assunse in un primo tempo lacarica di comandante della fanteria,governatore di Cagliari e della Gallura,e poi, al momento della partenza del re,dopo le vittorie delle truppe di Suvorov,

le funzioni di vicerè dell’isola. Privo diqualsiasi esperienza di governo, comeanche di attrattiva nei confronti del pote-re, si accinse a svolgere il delicato com-pito mosso esclusivamente dal senso deldovere sentito come forza indelegabile,inderogabile, incondizionabile: non soloconcentrò nelle sue mani tutta l’autorità,

ma perseguì con impla-cabile determinazioneogni tentativo di ribellio-ne, tanto da instauraresull’isola un vero e pro-prio regime militare.

Con il ritorno inSardegna, nel 1806, delfratello Vittorio EmanueleI, succeduto nel 1802 aCarlo Emanuele IV, CarloFelice abbandonò ognicarica pubblica.

Era tempo di pensarea prender moglie pergarantire una discen -denza: l’e re de, il nipoteCarlo Emanuele, di nep-

pure tre anni, era mortodi vaiolo, a Cagliari, il 9

agosto 1799; il fratello Maurizio, trenta-settenne, era morto ad Alghero il 2 set-tembre 1799; anche il predilettoGiuseppe Placido, il più piccolo dei figlidi Vittorio Amedeo III, era passato amiglior vita, a Sassari, il 29 ottobre1802, alla giovane età di trentasei anni.

Ritratto di Carlo Felice

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L a nos t ra s to r ia

Per il quarantenne Carlo Felice nonc’era tempo da perdere: fu deciso per laprincipessa Maria Cristina di Borbone,figlia del re di Napoli Ferdinando IV,sposata a Palermo il 6 aprile 1807.Stabilitosi a Govone dopo il rientro deiSavoia negli stati di terraferma, venne alpotere il 13 marzo 1821 a seguito del-l’abdicazione del fratello per i moti tori-nesi pretendendo il giuramento difedeltà da parte del clero, degli ammini-stratori di città e comuni, dei militari edei nobili. Il suo regno, durato diecianni, fu dal punto di vista politico piutto-sto grigio, anche se oggi gli storici ten-dono a rivalutare una figura penalizza-ta dalla lettura risorgimental-patriotticaa tinte fosche offerta dai contemporanei(Carlo Feroce, tanto per intenderci).

Oltre alla dedizione per il teatro (al suonome è intitolata l’opera di Genova), aCarlo Felice va comunque riconosciuta lapiù importante impresa culturale delladinastia: l’acquisizione della collezioneegizia di Bernardino Drovetti, nucleo fon-dativo dell’attuale Museo Egizio. Spirò il27 aprile 1831 a Torino, in palazzoChiablese. Venne sepolto nell’abbazia diHaute combe, in Savoia, il sacello delladinastia fatto restaurare in forme neogoti-che dall’architetto Ernest Melano. Mortosenza figli, il trono di Sardegna passò almai troppo amato principe del ramoSavoia-Carignano, Carlo Alberto.

A Carlo Felice, la città di Torino hadedicato la bella piazza neoclassica difronte alla stazione di Porta Nuova.

Pierangelo Gentile

CHIUSURA ESTIVA

La Segreteria dell’Associazione rimarrà chiusa

da venerdì 14 luglio a lunedì 4 settembre 2017da venerdì 14 luglio a lunedì 4 settembre 2017

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Torino, città a cui è sempre stata as -sociata l’immagine preminente di

grande centro industriale nel settore mec-canico e automobilistico, è anche la sededell’istituto nazionale di metrologiaINRIM nato dalla fusione di due istituti diricerca nei campi della misurazione elet-trica ed meccanica, precisamente l’Isti -tuto Elettro tecnico Nazionale GalileoFerraris e l’Istituto di Metrologia GustavoColonnetti, decisa a livello governa -tivo ed entrata in vigoreil 1° gen naio 2006. Ilcompito di questo isti tuto,situato in zona Mira fiorisud, è quel lo di svolgeree promuovere attività diricerca nel campo dellascienza delle misure e diconservare e disseminareper l’Italia i campioni dimisura nazionalì dellegrandezze meccanicheed elettriche.

In questo ente ope rano attualmentecir ca 200 tra ricercatori e tecnici inlaboratori attrezzati con apparec -chia ture di avan guardia per l’effet -tua zione delle ricerche, la realizza-zione dei campioni di misura delSistema Internazio nale, la partecipa-zione a progetti di ricerca europei,ma anche l’esecuzione di prove tecni-che e tarature per le industrie.

Tra le attività di disseminazionedelle unità di misura elettriche, una èstata particolarmente nota al grandepubblico ed è il segnale orario tra-smesso dalla RAI sulle reti radiofoni-che e televisive fino al 31 dicembre2016. Dopo tale data infatti la RAInon ha più rinnovato il contratto diservizio che durava dal lontano 1945motivando la sua decisione con l’e vo -lu zione tecnologica che nell’ultimo

decen nio ha re so di -spo ni bili l’in for ma zio -ne di ora e data e sat tasu mol ti di spo sitivi elet -tro ni ci di lar go uti liz zo(com puter, tele fo ni cel lu -lari, ecc.), so prat tut to gra -zie ai si ste mi di naviga -zione sa tel litare GPS(Sistema di Po si zio na -mento Globale).

È dunque il mo men toopportuno per an da re

indietro nel tem po per raccontare bre -vemente un po’ di storia della misuradel tempo e dei sistemi che hanno con-sentito all’uomo di conoscere l’ora.

L’interesse dell’uomo alla misura deltempo ha origini assai lontane, ed èdocumentato in modo concreto dagli stru-menti utilizzati per misurarlo, cioè dagliorologi, i cui esemplari più antichi risal-gono a migliaia di anni fa. Ma non c’è

S to r ia de l la m i su ra de l t empoEdi to r ia l e

La città del segnale orario (I)

Segnale RAI in TV

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L a nos t ra s to r ia

dubbio che il ruolo che il tempo ha assun-to nella società è da collegarsi alla rivolu-zione industriale iniziata nel 1800, co -stringendo le varie comunità a regolare ipropri ritmi di vita sul tempo scanditodagli orologi, e mantenere questi in ac -cordo, cioè a sincronizzarli, a livelli diprecisione sempre più elevati.

Prima del 1800 gli orologi meccanicinon erano molto diffusi, erano oggetti perpersone molto facoltose ed alquantoimprecisi, tanto che le differenze di indi-cazione con le meridiane passavanoquasi inosservate. Com’è noto, le meridia-ne indicano l’ora del giorno solare appa-rente mentre gli orologi approssimavanol’ora del giorno solare me dio de ter minatada gli osservatori a stro no mici. In uno scrit-to del 1789 dell’abate Giuseppe Toaldo,astronomo all’università di Padova,rilevava che il mo mento del tra monto delsole, utilizzato come riferimento per sin-cronizzare gli orologi meccanici nelnostro paese, consentiva di regolarli“…quanto basta per l’uso civile, per il

quale anche un quarto d’ora di differenzanon fa gran pregiudizio”.

I primi sistemi di sincronizzazione, mes -si a punto in Inghilterra nei primi de cennidell’ottocento presso l’Osser va torio Realedi Greenwich, si basavano su se gna -lazioni acustiche (spari di cannone) o sullacaduta di oggetti posti in cima a pali benvisibili in una vasta area, solitamente inprossimità di porti.

L’informazione dell’ora esatta, che veni-va fornita una volta al giorno e general-mente alle 13, si basava sulle osservazio-ni delle stelle effettuate dagli astronomi eserviva a sincronizzare gli orologi mecca-nici utilizzati nella vita civile per conserva-re il tempo.

Tra il 1820 ed il 1850, il rapido svi-luppo dei mezzi di comunicazionecostrinse le persone a cambiare il loroatteggiamento verso la misura deltempo. Si ricordano alcune delle tappepiù importanti di questa evoluzionerelativamente all’Inghil terra: la primaferroviaria fu inaugurata nel 1825, la

Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris

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L a nos t ra s to r ia

prima traversata atlantica con nave a va -po re av ven ne nel 1827, la po sta fu in via -ta a mez zo ferrovia nel 1838 ed il primocolle ga men to di tele gra fo pub blico rea liz -zato nel 1843. Il servizio po sta le, le ferro-vie e le compagnie telegrafiche erano gliorganismi che più dialtri, in quegli anni, sipreoc cupavano delfatto che si utilizzas se -ro ore lo cali di verseda luogo a luogo.

A quel tem po, il si -stema più uti liz zato inIn ghil terra per sin cro -niz zare gli oro lo gi con -si ste va nel tra sportareun o ro logio, sin cro niz -zato pres so l’Os ser va -to rio di Gre en wich,pres so gli utilizzatoripiù e sigenti – co strut -tori di orologi, ufficipo stali, stazioni fer -roviarie – e poi nuo -vamente al l’Os serva -torio per una nuovave ri fi ca. Que sto me -to do è stato utilizzatoin Inghilter ra fin ver -so il 1930.

Con l’avvento delte legrafo e con la di -stribuzione di se gna li di tempo per lasincronizzazione di orologi, divenutaormai indispensabile allo sviluppo dellereti ferroviarie nei vari paesi, si crearo-no i presupposti del progresso impres-

sionante che tale attività ha poi avuto nelsecolo scorso grazie all’impiego delleradiotrasmissioni.

Intorno al 1850 vennero realiz za ti i pri -mi oro lo gi e lettrici che con sentirono di isti -tui re un si ste ma di di stri buzio ne del l’o ra

più moder no ed au -to ma tico. In fatti sem -pre pres so l’Os ser -va torio di Gre e nwichvenne istallato unorologio elettrico,detto orologio ma -dre, che poteva for-nire degli impulsielettrici ogni secon-do, minuto ed ora epoteva a sua voltacomandare altri o -rologi ripetitori, det -ti schiavi.

Attraverso le li needel telegrafo, gli im -pulsi pote va no esse -re in viati in tutto ilPaese ed utilizzatiper comandare uncampanello, far par-tire una salva di can-none, accendere unalampada, azionareuna sfera se gna tem -po e così via.

All’inizio del No ve cento, la scoperta daparte di Gugliel mo Marconi della pos -sibilità di tra smis sione a grande di stanzadi segnali sfruttando la propagazione dionde elettromagnetiche, fornì un nuovo

Osservatorio Greenwich - sfera del segnale di mezzogiorno

Greenwich – orologio con l’ora di Greenwich

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L a nos t ra s to r ia

Istituto Idrografico della Marina – Genova

…segue nel prossimo numero

mezzo molto potente per la diffusionedell’ora esatta su scala intercontinentale.Fu infatti possibile trasmettere e riceverea grande distanza segnali orari generatida orologi di riferimento cu sto diti negliOs ser vatori astronomici. I primi che sfrut-tarono questo nuova possibilità furono inaviganti che, in qualsiasi punto si tro-vassero, potevano ricevere i segnaliorari, regolare con buona precisione l’o -ro logio di bordo e quindi determinate lapropria posizione in mare.

Esperimenti di trasmissione di segnaliorari iniziarono nel 1904 negli Stati Unitie in Germania nel 1907 e successiva-mente si diffusero in vari paesi realiz-zando così una copertura quasi comple-ta di tutta la terra.

Nel 1916, negli Annali del l’IstitutoIdrografico della Regia Marina di Geno -va, veniva espresso il desiderio di questoente “di mettersi in condizione di contri-

buire con i colleghi di Francia, Inghilterrae Belgio al servizio di segnalazioni ora-rie radiotelegrafiche della Torre Eiffel diParigi, col trasmettere giornalmentel’ora, in cui ci risulterebbero dati i segna-li orari scientifici, in base alle determi na -zioni no stre di tempo”. Nello stessoscritto si ap prende che i confronti tra isegnali orari ricevuti e quelli generati dalpendolo campione locale, venivano fattiacusticamente utilizzando delle cuffietelefoniche, e lo scarto di tem po tra gliorologi confrontati era valutato dell’ordi-ne del decimo di secondo.

Questo Istituto, attualmente ancoraattivo, disseminava i segnali di temponel la città di Genova, specialmente nelsuo porto, prima me diante la caduta diuna sfera e successivamente con un siste-ma di fari elettrici che si accendevano adorari prestabiliti.

Franco Cordara

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R ico rd i

Ed eccoci giunti quasi al termine delnostro viaggio a bordo del carro

trainato da cavalli robusti ma ormai unpo’ affaticati, dopo le nostre scorribandenella Torino di fine Ottocento, tra le bor-gate popolari e quelle eleganti, tra quelleil cui aspetto é ancora quello di un borgocampagnolo e quelle in pieno sviluppourbanistico.

Non ci rimane che risalire la collina,per vedere quale atmosfera si respira daquelle parti…

Il tempo, per il momento, ci assiste, ilcielo ha quel colore azzurro intenso tipicodelle giornate in cui soffia il vento che pro-viene dalle Alpi, qualche candida nuvolet-ta si muove velocemente sospinta dallecorrenti cambiando continuamente formae la temperatura è ideale per spingersifuori città, pur restando all’interno deiconfini comunali.

D’altronde, come viene scritto in unlibretto francese pubblicato nel 1850:

“ …La posizione di Torino arreca allacittà vaghezza di incomparabile pa -norama, schermo a turbini e bufere,godimento di aere pura e mite,ricchez za di salubrità di acque cor-renti e sorgive…”.

Adesso, però, bando alle chiacchiere,sistemiamo il carro, oliamo gli ingranaggidelle ruote, bardiamo i cavalli, e saliamoa bordo……

Partendo dalla locanda lungo la Stradadi Moncalieri in cui abbiamo pernottato,la nostra prima tappa è il borgo diCavoretto, ridente località collinare a 355metri di altitudine che in realtà, a fineOttocento, è un comune autonomo.

Cavoretto, sin da quando il suo nomeera ‘Caburellum‘, è sempre stata unalocalità ambita dai torinesi, vuoi per laposizione strategica che permetteva ilcontrollo di gran parte della città e dellapianura circostante, vuoi per le indiscutibi-li qualità paesaggistiche ed ambientali,che ne avrebbero fatto per parecchiotempo una delle mete preferite della vil-leggiatura dei cittadini, benestanti e non.

Antichi documenti fanno risalire lanascita del borgo al Medioevo, epoca incui questa collina appare abbastanzasicura da rendere possibile l’insediamentodi un villaggio di umili casette e cascinottiraccolti attorno ad una piccola chiesa par-rocchiale, circondati da ripidi poggiboscosi ed impenetrabili.

Tra ‘500 e ‘600 ha inizio lo sviluppodelle attività agricole ed anche questo

Le Borgate collinari (I)

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L a nos t ra s to r ia

colle si ricopre di coltivazioni, campi dicereali e prati, ma anche di uliveti, favori-ti dell’ottima esposizione, che poi cede-ranno il posto ai vigneti, a seguito delle‘micro-glaciazioni’ di fine ‘600.

Con il passar del tempo i rustici edificiattorno al borgo subiranno una particolareevoluzione, che li porterà a trasformarsidapprima in sontuose ville di delizia colli-nari destinate alla villeggiatura dei nobili,su esempio delle due residenze realidella Villa de -lla Re gi na, allespalle di Bor goPo, e della Vi -gna di Ma da -ma Rea le, aSan Vito, ed inseguito in raffi-nate residenzeborghesi.

Mentre per-corriamo confatica la ripidastrada che dal -le rive del Po porta alle case del borgo,conosciuta come ‘La rampa ‘d Ca vöret’,poco più di un sentiero sterrato pienodi buche, sassi sconnessi e frequentipozzanghere, i cavalli mostrano evi-denti segni di affaticamento e di irre-quietezza.

In punta alla salita, superata una strettacurva, avvicinandosi al borgo, notiamodegli strani ruderi.

Sono quanto rimane dell’incompiutoCastello di Cavoretto, un ‘sontuoso palazzodi villeggiatura’, come ci dice Tom masoGrossi nel 1791, che il Marchese CarloFerrero d’Ormea ha voluto incominciarea costruire, intuendone anche le marcatepotenzialità strategiche.

Potenzialità che, però, erano parsetanto chiare quanto potenzialmente peri-colose anche al Re Vittorio Amedeo II e asuo figlio Carlo Emanuele III, che,

preoccupatiche da tale po -sizione fos sepossibile sfer -rare at tac chialla cit tà sotto -stante, ave va -no pen sato be -ne di or dinareil bloc co dei la -vori di edifi -ca zione. Il castello,

so stenuto da e -normi muraglioni e dotato, nei progetti, diun giardino di due giornate di superficie,pur se iniziato nel 1737, sarebbe quindirimasto incompiuto per sempre, sino allacompleta rovina, a fine ‘800, propriomentre stiamo passandogli accanto.

Tra qualche decennio, prima dellaSeconda Guerra Mondiale, la famigliaMorelli di Popolo ne farà dono al Comunedi Torino, che qui realizzerà, nel 1956, il

La piazza di Cavoretto nei primi anni del ‘900

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L a nos t ra s to r ia

Parco Europa, progettato da Pietro Ber -to lotti, direttore del Servizio Giardini eAl berate, inaugurato nell’ottobre del1956 e collegato alla zona di Italia ‘61a Millefonti con una ovovia entrata infunzione in occasione dei festeggiamen-ti per il Centenario dell’Unità d’Italia epoi smontata.

Per quanto riguarda Cavoretto, già neiprimi decenni dell’800 si è assistito ad ungraduale cambiamento della po po -lazione, inizialmente costituita prevalente-mente da famiglie contadine: i pro prietaridelle case, soprattutto di quelle trasforma-te in residenze di villeggiatura nel secoloprecedente, sono banchieri, avvocati, pro-fessionisti che abitano in città ma cheamano trascorrere qui il fine settimana edi periodi di vacanza.

Ce ne rende edotti il già citato DavideBertolotti, che nella sua ‘Descrizione diTorino’ dipinge il borgo come un luogo“tutto pieno di fabbriche di piacere”.

Nel 1853, nel suo testo‘Passeggiate nei dintornidi Torino’, l’Abate Baruffiesorta con slancio i lettoriad impegnarsi in unasalutare passeggiata aCavo retto, partendo dalCastello del Valentino:

“…È questa una delle passeggiaterurali già predilette dai nostri buonipadri, presso il quale il colle diCavoretto era in giusta rinomanza perl’aria salubre, per la sua bella situazio-ne e per le amene villeggiature. …Scesi dalla barchetta, mentre var-chiamo il fiume, passeggiate con losguardo su e giù, fissate la bellissimaprospettiva della ridente collina che vi sipiega mirabilmente davanti.Che piacevole verzura, quante ville,che grata freschezza d’aria..Sentite come l’aria vi è pura e fresca,come si respira con piacere, guardatein su che bel cielo aperto ed intensa-mente azzurro, girate lo sguardo edammirate i bei prospetti.Le principali belle casette comode epulite sono le abitazioni di agiati tori-nesi i quali vengono ivi nella bella sta-gione per farvi tesoro di salute e fuggireil calore e la noia della Capitale…”.

L’Albergo Monte Rosa di Cavoretto ad inizio ‘900

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L a nos t ra s to r ia

Mentre passiamo nel borgo, con ilcarro sfioriamo le pareti della vecchiachiesa parrocchiale dedicata a S. Pietro inVincoli, ristrutturata e modificata nel1885, che solo nel 1914 sarà dotata diuna nuova facciata.

Se al momento l’aspetto del borgo èancora semplice, tra pochi anni cam-bierà, con la costruzione di nuove abita-zioni con giardino, delle ScuoleElementari edi altre nume -rose ‘vi gne’ conan nesso po -de re agricololun go la Stradadi San ta Lu cia,in formali al ter -native al l’e le -gante pa laz zodi fa mi glia pos -seduto in cen -tro città dal lefa mi glie del la bor ghesia torinese.

Ma prima di questo cambiamento, nel1889 per Cavoretto ci sarà una novità:perderà la sua autonomia di Comune everrà inglobato nel territorio di Torino, delquale costituirà il borgo collinare piùvasto.

Molti dei suoi abitanti saranno anco-ra per parecchio tempo dediti alle atti-vità agricole per la produzione di ortag-gi, di frutta e di fiori, ma poi dovrannoabituarsi a vedere sempre di più sulla

loro collina nugoli di cittadini in gita,magari a bordo di una carrozza traina-ta da cavalli oppure da una sbuffantemacchina che con fatica si inerpica tra iboschi e lungo le ripide strade delborgo.

Noi, invece, scartata a malavoglial’idea di fermarci in una delle tante tratto-rie che con i loro rustici tavoli coperti datovaglie di fiandra a quadretti bianchi e

rossi co stel la -no la colli na,proce dia moim perterritinel no stro viag- gio, dirigen-doci versoSan Vito.

Più che unavera e pro priaborga ta, SanVi to è un in -sieme di pic-

coli cascinali e ville sparse sulla collinaattorno alla chiesa dedicata ai santiVito, Modesto e Crescenzia, edificatacome cappella campestre nell’XI secoloe riedificata in forme barocche nel1604.

All’inizio del ‘600 i versanti più dolci emeglio esposti di questa parte di collinaerano coltivati ad olivi, che a fine secolosarebbero sostituiti dai vigneti, mentrequel li più ripidi, soprattutto se esposti anord,erano ricoperti da fitti boschi.

La Strada di Cavoretto nei primi anni del ‘900..

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Tra le coltivazioni spiccavano edificirustici dall’aspetto dimesso destinati alleproduzioni agricole e all’allevamento,oltre che all’immagazzinamento dei pro-dotti e alla loro lavorazione, costruzioniche di lì a poco sarebbero stati affianca-ti da eleganti ‘vigne’, eleganti ville nobi-liari circondate da vasti parchi e ‘soste-nute’ dalla produzione agricola delle fat-torie costruita all’interno della tenuta.

All’epoca, percorrendo la cosiddetta‘Strà dii mort’, che corrisponde a quellache nell’800 sa rebbe diventata la Stra dadal Ponte Isa bella a San Vito, il viandantepoteva raggiungere il minuscolo cimiterodi San Vito, situato nelle vicinanze dellachiesa, e volgendo di tanto in tanto losguardo al pa norama sulla città rac chiusanella cerchia del le sue mura e circondatada campi e boschi, poteva giungere aipie di dell’antico campanile che si potevascorgere anche dalla pianura.

Mentre le ruote del nostro carro sob-balzano sulla strada sterrata, tornano inmente le Cronache dell’Assedio di Torinodel 1706, che in questo luogo ha avutouno dei suoi punti cruciali, essendo statoscelto come luogo di accampamento daparte delle truppe franco-spagnole delDuca de La Feuillade.

In quei momenti terribili, come vieneriportato dal Nebbia:

“…più di 150 ville sulla collina vengo-no bruciate… le fiamme si alzano da

tutte le parti sulle alture, il fu mo escedai valloni, il fuoco scoppia at traversole foreste di queste belle colline chedanno un aspetto così piacevole allacittà di To rino……Da quella parte di San Vito, ove piùsi le va l’orrido fumo, vi corrono con glisguar di i gemiti dei cittadini…

L’assedio finirà, gli occupanti se nean dran no, l’economia ri fiorirà, madovranno trascorrere parecchi decen-ni prima di vedere nuove strade giun-gere sino a qui, migliorando le comu-nicazioni della borgata con la città ela collina.

Mentre ci fermiamo ad ammirare ilpanorama, così pieno di particolari inquesta giornata limpida e ventosa,vista l’amenità e la salubrità del luogoquasi prevediamo che tra pochi anni icampi, i prati e i vigneti cederanno ilposto non solo ad altre nuove ville,ma anche ad edifici religiosi e casedi cura (l’Ospedale di San GiovanniBattista, Succursale di San Vito, inau-gurato nel febbraio del 1916, l’Istitutodi Adorazione del Sacro Cuore, laColonia Elioterapica ‘3 Gennaio’, poi‘Villa Gualino’, ed altri).

Nel tempo la collina di San Vito conti-nuerà a conservare le sue caratteristichedi luogo ameno, come riportato in un arti-colo della Rassegna Mensile del Comunedi Torino del marzo 1932, in cui si

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descrivono la borgata e la vicina Vigna diMadama Reale:

“Poco prima della Barriera di Pia cen zasale dal corso Mon calieri la comodastra da che mette aSan Vito. A un quar -to d’ora di cam mino,qualche passo oltre ilconvalescenziarioSan Gio vanni, eccoun cancello con alato un multisecolareca stano d’India chesembra lì di sentinella.Le sbarre tagliano lavisione d’un giardinovasto quan to unapiazza d’armi. Inmez zo, chiomati fu stidi cedri, platani e ol -mi; a sinistra la ca saper i domestici; nelset tore op po sto, leco perture a cristallidelle ser re; in fon do,tra il verde brillantedi due masse di pini,il fabbricato princi-pale di quella che lasua fondatrice si compiaceva di chiamare‘Vigna di Delizie’. …Aggiunge grazia al parco, non lon-tano dall’ingresso, un minuscolo la -ghetto frangiato d’alberi e sul cui limpido

specchio, fra orli stellati di corolle, nuo-tavano un tempo i cigni, mentre cervi,camosci e gazzelle s’appiattavano fra icespugli…”.

Procedendo per lastrada. ammaliati dal -la bellezza del luogo,a bordo del carroquasi non ci accor-giamo di aver lasciatoSan Vito alle nostrespalle e di aver rag-giunto un luogo isola-to, conosciuto come ‘IPascoletti’, che com-prende da un lato unantico Eremo e dal-l’altro la collina che,con i suoi 715 metridi altitudine, è la piùalta della città, il Colledella Maddalena, sulquale verrà innalzato,nel 1928, il ‘Faro del -la Maddalena’, ope radello scultore Edoar doRubino..

La regione dei Pa -scoletti, il cui toponi mo

deriva da un’ampia con ca prativautilizzata sin dai tempi più an tichi per il pa -scolo di bovini e ovini, do mina dall’alto laborgata di San ta Mar ghe rita e la città, matutti la conoscono con il nome di ‘Eremo’.

Il Faro della Vittoria in cima al Colledella Maddalena, inaugurato nel 1928in occasione della celebrazione deldecennale dalla fine delle PrimaGuerra Mondiale.

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L’edificio che dà il nome all’intera zona,consacrato il 28 ottobre del 1606, erastato progettato tra il 1598 e il 1599dall’Architetto di Corte Asca nio Vittozzi sucommissione del duca Carlo Emanuele I,che intendeva così mantenere la promessache suo padre Vit torio Amedeo I avevafatto al monaco camaldolese Ales san drodi Ceva du rante l’epidemia di peste cheaveva falcidiato la città e gran parte delleterre di Piemonte nel 1599.

Per la scelta del luogo in cui realizzare ilgrande edificio si era optato per questovasto pianoro erboso a 621 metrid’altitudine con cinque sorgenti, duevecchie torri, un’antica chie setta dedicata aSan Solutore e qualche ru de re me dioe vale.

Il complesso monastico era autonomo,con la propria chie setta, gestita dal -l’Ordine sa bau do dei Ca valieri del Col -lare, il campa nile, alcune torri rotonde edun grande chiostro circondato dalle celledei monaci, luo go lontano dai clamoridella città in cui i tempi erano dettati dalsuono delle campane, dalla preghiera edal lavoro nei campi.

Un luogo in cui, com’è scritto nel ‘Thea -trum sabaudiae’

“… lontano dalle lu singhe del mondo edel consorzio uma no, i religiosi condu-cono fra digiuni e preghiere una vitapiù da angeli che da uomini”.

Adesso, però, tutto questo silenzio unpo’ incomincia a turbarci, forse è meglio

con tinuare il nostro viaggio su e giù per lecolline: lì, a metà costa, si vedono le casee gli istituti della borgata di Valsalice.

A mano a mano che ci avviciniamo allavalle, percorsa per tutta la sua lunghezzadal Rio Salice, chiamato anche Rio Paese,la vegetazione si fa sempre più fitta,anche se qua e là si aprono vaste raduree visuali sulla città giù nel piano.

La ‘Valle dei Salici’, a mano a manoche scendiamo, si fa sempre meno imper-via e ci accoglie con le sue sontuose villecircondate da ampi parchi e con alcuniIstituti di Educazione e di Carità, sparsilungo la strada che la percorre.

Sulla destra, circondate da un parcopopolato da grandi alberi, le tre villedei conti Gabelli di Rossana sono statetrasformate da qualche tempo nelCollegio delle Suore Francescane Mis -sionarie di Maria, istituto in cui sonoospitate bambine e ragazze che quiricevono le premurose cure e gli attentiinsegnamenti di suore che dedicano lavita alla loro istruzione.

Poco più a valle l’Istituto Salesiano DonBosco, costruito nel 1876 per volontà delSanto, il Collegio delle Suore del SacroCuore di Maria e l’Istituto per l’InfanziaAbbandonata, fondato con il nome di‘Clinica Sanatrix’ ci accolgono con laseverità delle loro forme.

Lungo la strada file ordinate di stu-denti e studentesse, debitamente divisi,si fanno largo tra i prati, gli alberi e le

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siepi fiorite, poco più su gli ampi vialidei parchi degli istituti risuonano dellevoci argentine di bambini e bambineche corrono felici e spensierati nei pratifioriti e profumati, dopo una lungagiornata passata chini sui libri di scuo-la, nei prati famiglie intere fanno laloro scampagnata salutare e ritem-prante, diretti verso la vicina Fontanadei Francesi, mentre lunghe code dipersone povere e bisognose d’aiutostanno ordinatamente in fila di frontealla foresteria del Collegio delle SuoreFrancescane, all’ora dei pasti.

Il paesaggio e l’atmosfera della vallenon sono molto cambiati da quandol’abate Baruffi passeggiava in questecontrade alla ricerca di spazi di silen-zio e di ristoro, così come ci confida nelsuo testo ‘Passeggiate nei dintorni diTorino’ del 1853:

“L’aspetto grazioso della campa-gna, il silenzio misterioso non inter-rotto che dalla musica degli augel-letti e dal rumoreggiare del rivo,ingrossato dalle troppo frequentipiogge, l’incontro di alcune personedi gentile aspetto che sembravanovenute anch’esse a respirare questepurissime aure mattutine, la dolcetemperatura, l’atmosfera imbalsa-mata dal soave profumo dei fioridelle robinie che ombreggiano ilsentiero”.

Nulla si può paragonare alle bellesensazioni offerte dal profumo del sot-tobosco, dal rumore della pioggia checade insistente sulle foglie di maestosialberi centenari dal fascino dei vecchimuri di recinzione ricoperti dal mu schioe dalle selaginelle.

Una veduta panoramica della Valsalice

con l’Istituto SalesianoDon Bosco,

negli anni ’30 del ‘900.In primo piano

l’attuale Viale Thovez, sulla sinistra i terreni non ancora occupati

dalle ville poi costruite.

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Ne é testimone una nota Guida diTorino pubblicata del 1880:

“A destra e sinistra sono cancelli cheaprono a viali, a sentieri, a gradinate,alla cui cima ville villini bianchi, cilesti,giallognoli, casini a verande sporgenti,e balconate in legno, rusticane; oppurea destra e sinistra sono modeste casetteche hanno rinunziato al lusso del viale,al lusso della gradinata, del sentiero,anche a quello del recinto o del cancel-lo, ma si pongono lì sulla strada, allamano, modeste, a un pino, quattro ocinque finestrine……La strada avanzandosi via via si fapiù erta, più angusta, ormai non vi

possono più passare che i carri cam -pagnoli e vi passano per giunta tra-ballando su ciottoli sporgenti oaffondandosi nelle carreggiate e neifossatelli…”.

Ma a Valsalice ci sono anche sontuoseville, tra cui Villa Pogliotti, Villa Righini,Villa Becker e la Palazzina Pingon, la piùantica di tutte, fatta costruire nel 1565 dalnoto storiografo cittadino Filiberto Pingon,raffinato cultore della storia della città aiservizi del Duca Emanuele Filiberto.

Adesso, però, bando al romanticismo,il tempo passa in fretta e le borgate davisitare sono ancora molte..

Guido Giorza

Una veduta della Strada

di Valsalice vistada Piazza Adua,

negli anni ’50 del ‘900.

Nel prossimo numero ancora sulle borgate collinari: Santa Margherìta, Ponte Trombetta,Reaglie, Mongreno, Superga.

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Auguri!

Il Consiglio Direttivo porge le più vive felicitazioni a:

Manuelli Lucia e Vernetti Rinoche il 29 marzo 2017 hanno festeggiato 55 anni di matrimonio.

Cantatore Consilia e Regini Corradoche il 30 aprile 2017 hanno festeggiato 56 anni di matrimonio.

Maldera Rosa e Nebiolo Elioche il 2 giugno 2017 hanno festeggiato 60 anni di matrimonio.

Carosso Maddalena e Ajmar Giovanniche il 4 agosto 2017 festeggeranno 60 anni di matrimonio.

Pelassa Caterina e Delmastro Giuseppeche il 3 settembre 2017 festeggeranno 50 anni di matrimonio.

Il Consiglio Direttivo porge le più vive felicitazioni a:

Manuelli Lucia e Vernetti Rinoche il 29 marzo 2017 hanno festeggiato 55 anni di matrimonio.

Cantatore Consilia e Regini Corradoche il 30 aprile 2017 hanno festeggiato 56 anni di matrimonio.

Maldera Rosa e Nebiolo Elioche il 2 giugno 2017 hanno festeggiato 60 anni di matrimonio.

Carosso Maddalena e Ajmar Giovanniche il 4 agosto 2017 festeggeranno 60 anni di matrimonio.

Pelassa Caterina e Delmastro Giuseppeche il 3 settembre 2017 festeggeranno 50 anni di matrimonio.

Auguri!Auguri!Auguri!Auguri!Auguri!

Viaggi, Gite e Visite

25 - 30 Settembre

La Riviera di Ulisse – (6 gg. in pullman).(Montecassino, Gaeta, Isola di Ponza, S. Felice al Circeo)Quote individuali in camera doppiaSoci e famigliari conviventi € 680,00Simpatizzanti € 900,00Amici € 930,00Supplemento camera singola € 130,00

Gite di un giorno

Sabato 7 Ottobre

Crema e Lodi Quote individualiSoci e Famigliari conviventi € 55,00Simpatizzanti e Amici € 62,00

NOTA BENE: i programmi sono a disposizione inSegreteria e sul sito dell’Associazione.

Giovedì 26 Ottobre

Visita guidata alla Cappella dei Mercanti sita a piano terra di via Garibaldi 25 che, dopo recentisignificativi interventi ha riacquistato l’originario splendore.Informazioni e prenotazioni in Segreteria a settembre, dopo la riapertura.

24 - 27 Novembre

Dal 24 al 27 novembre 2017 si svolgerà la seconda edizione della BiennaleInternazionale Sugar Art nella prestigiosa cornice di Palazzo Cisterna; curatricidella mostra Nuni e Mary Cocciolo che è anche direttore artistico e futura nostracollaboratrice. L’evento porterà a Torino grandi artisti italiani e stranieri del settore.La Sugar Art, il Cake Design e la classica pasticceria sono i tre filoni principali dellascuola dell’arte dolciaria; l’arte dello zucchero riguarda propriamente la parteespositiva ed artistica del dolce e la Biennale è dedicata a tale “dolce” creatività.

Riviera di Ulisse

Crema - Cattedrale

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