Anno XIII - N.74 -Novembre-Dicembre 2007 · La Libera Compagnia Padana Arimortis - Annotazioni...

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Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana Novembre-Dicembre 2007 Anno XIII 74 La Libera Compagnia Padana In questo numero: Arcangelo Ghisleri Un pilastro dietro le quinte della politica e della cultura pag. 8 Longobardi a Torino pag. 31 Sergio Salvi: articoli pag. 43 Anno XIII - N.74 -Novembre-Dicembre 2007

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Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana Novembre-Dicembre 2007

Anno XIII 74

La Libera CompagniaPadana

In questo numero:ArcangeloGhisleri Un pilastro dietro le quintedella politica e della culturapag. 8

Longobardi a Torinopag. 31

Sergio Salvi:articolipag. 43

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La LiberaCompagniaPadana

Arimortis - Annotazioni sull’autonomismo prossimo venturo - Brenno 1

Arcangelo Ghisleri (1855-1938) Un pilastro dietro le quinte della politica e della cultura - Davide Zeminian 8

Longobardi a Torino - Mariella Pintus 31

● Sergio Salvi: articoli pubblicati sui “Quaderni Padani”

Il Padano, o meglio “la lingua del mi” 43

Niente devolution senza parlamento Fino al ’68 la situazione gallese era simile a quella padana 44

Padania, “federazione di dialetti” 45

Biblioteca Padana 47

La Rubrica Silenziosa 57

Periodico Bimestrale Anno XIII - N. 74 - Novembre-Dicembre 2007

Quaderni PadaniCasella Postale 55 - Largo Costituente, 4 - 28100 NovaraE-mail: [email protected] Internet: www.laliberacompagnia.orgDirettore Responsabile:Alberto E. CantùDirettore Editoriale:Gilberto OnetoRedazione:Alfredo CrociCorrado GalimbertiSilvia GarbelliMariella PintusSergio SalviCarlo StagnaroGrafica:Laura GuardinceriSui Quaderni sono stati pubblicati interventi di:Francesco Mario Agnoli, Ettore A. Albertoni, Giuseppe Aloè,Adriano Anghilante, Aureli Argemì, Camillo Arquati, Lorenzo Banfi, Augusto Barbera, Fabrizio Bartaletti, Alessandro Barzanti, Ettore Beggiato, Alina Benassi Mestriner,Claudio Beretta, Daniele Bertaggia, Dionisio Diego Bertilorenzi,Vera Bertolino, Fiorangela Bianchini Dossena, Diego Binelli,Roberto Biza, Giorgio Bogoni, Fabio Bonaiti, Luisa Bonesio,Massimo Bonini, Archimede Bontempi, Romano Bracalini,Nando Branca, Marco Brigliadori, Gustavo Buratti, Beppe Burzio,Luca Busatti, Lorenzo Busi, Ugo Busso, Massimo Cacciari, Giulia Caminada Lattuada, Alessandro Campi, Alberto E. Cantù, Antonio Cardellicchio, Mauro Carena, Massimiliano Carminati,Claudio Caroli, Marcello Caroti, Roberto Castelli, Giorgio Cavitelli,Sergio Cecotti, Massimo Centini, Enrico Cernuschi, Leone Chesini,Gualtiero Ciola, Bastianu Compostu, Carlo Corti, Michele Corti,Mario Costa Cardol, Fabrizio Costan Biedo, Giulio Crespi, Alfredo Croci, Pierluigi Crola, Mauro Dall’Amico Panozzo,Roberto De Anna, Alain De Benoist, Antonio De Felip, Lorenzo Del Boca, Massimo De Leonardis, Alexandre Del Valle,Corrado Della Torre, Rolando Di Bari, Alessandro D’Osualdo,Marco Dotti, Costantino Fabris, Giovanni Fabris, Leonardo Facco,Gigi Ferrario, Rosanna Ferrazza Marini, Alberto Filippi, Davide Fiorini, Giovanni Fontana, Marco Formentini, Roberto Formigoni, Alberto Fossati, Eugenio Fracassetti, Sergio Franceschi, Elio Franzin, Carlo Frison, Giorgio Fumagalli,Corrado Galimberti, Stefano Galli, Silvia Garbelli, Giorgio Garbolino Boot, Pascal Garnier, Mario Gatto, Ottone Gerboli, Michele Ghislieri, Marco Giabardo, Davide Gianetti, Renato Giarretta, Guido Giovannetti, Giacomo Giovannini, Roberto Gremmo, Flavio Grisolia, Michela Grosso, Paolo Gulisano, Joseph Henriet, Hans Hermann Hoppe, Matteo Incerti, Thierry Jigourel, Eva Klotz,Luca Lanzini,Sarah Lawrence, Donata Legnani Maggi, Alberto Lembo, Pierre Lieta, Roberto Locatelli,Gian Luigi Lombardi Cerri, Carlo Lottieri, Pierluigi Lovo, Silvio Lupo, Berardo Maggi, Aldo Marocco, Antonio Martino,Andrea Mascetti, Pierleone Massaioli, Cristian Merlo, Sirola Metella, Ettore Micol, Gianfranco Miglio, Leo Miglio,Giogio Milanta, Giancarlo Minella, Alberto Mingardi, Renzo Miotti,Piergiorgio Mirandi, Franco Miroglio, Aldo Moltifiori, Maurizio Montagna, Costantino Morello, Giuseppe Motta, Giorgio Mussa, Andrea Olivelli, Gilberto Oneto, Giancarlo Pagliarini, Ugo Palaoro, Paolo Pamini, Alessia Parma,Patrizia Patrucco, Mario Predabissi, Elena Percivaldi, Angelo M. Petroni, Mariella Pintus, Daniela Piolini, Guglielmo Piombini, Giulio Pizzati, Francesco Predieri, Quirino Principe, Ausilio Priuli, Leonardo Puelli, Alberto Quadrio Curzio, Laura Rangoni, Igino Rebeschini-Fikinnar, Romano Redini, Patrick Riondato,Andrea Rognoni, Rocco W. Ronza, Giuliano Ros,Maurizio G. Ruggiero, Sergio Salvi, Oscar Sanguinetti, RossanaSapori, Lamberto Sarto, Gianni Sartori, Gianluca Savoini,Massimo Scaglione, Laura Scotti, Ermanno Serrajotto, Alessandro Severi, Leo Siegel, Marco Signori, Giovanni Simonis,Stefano Spagocci, Marcello Staglieno, Carlo Stagnaro,Alessandro Storti, Silvano Straneo, Giacomo Stucchi, Stefano Talamini, Candida Terracciano, Tito Tettamanti, Stefano Tomiato, Mauro Tosco, Fabio Trabucco Ratto, Claudio Tron, Nando Uggeri, Fredo Valla, Ferruccio Vercellino,Giorgio Veronesi, Antonio Verna, Alessio Vezzani, Alessandro Vitale, Eduardo Zarelli, Davide Zeminian, Antonio Zòffili, Marino Zorzi.

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I «Quaderni Padani» raccolgono interventi di aderenti a“La Libera Compagnia Padana” ma sono aperti anche acontributi di studiosi ed appassionati di cultura padanista. Le proposte vanno indirizzate a: La Libera CompagniaPadana. Il materiale non viene restituito.

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Circa 20 anni fa cominciava la grande avven-tura della nuova stagione autonomista: sonostati quattro lustri pieni di speranze, gioie e

passione, ma anche di illusioni e delusioni. Oggisi ha un po’ l’impressione di essere tornati permolti versi a quel punto di partenza, pur contutta una serie di differenze derivate da anni diavvenimenti.

Più che cercare di tracciare un bilancio, sem-bra essere molto più importante fare un serioesame di quello che è successo e di tutto quelloche è rimasto di negativo e di positivo. Se non sidefiniscono con chiarezza le conquiste realizza-te e gli errori commessi, tutto questo tempo sa-rebbe passato invano.

Rispetto alla fine degli anni ’80, so-no cambiati sia gli autonomistiche i loro avversari ed è anchecambiata la situazione gene-rale di contorno.

Gli avversariAbbiamo sempre a

che fare con un frontecomposito di statalisti edi nazionalisti che si in-cistano in tutti i partiti– nessuno escluso – eche controllano, oggi co-me allora, tutti i centri dipotere e gli strumenti di co-municazione. Sono ugual-mente ladri, bugiardi, violenti eincapaci e costituiscono semprequella che nel linguaggio più recente hapreso a essere chiamata “la casta”: sono tuttiquelli che vivono di Stato, di soldi pubblici estor-ti ai cittadini che lavorano, sono quelli che gra-zie allo Stato (e all’Italia) hanno potere e privile-gi ma anche solo “mance” e libertà di trusonare.È il fronte compatto che unisce i mandarini (chedi Stato e di Italia vivono alla grande), i mante-nuti (quelli che Miglio chiamava i pidocchi, chevivono di pubblici stipendi e di piccoli privilegi,

sono il brulicante mondo parassitario del pubbli-co impiego, del parastato, del sottobosco politi-co-amministrativo), i parassiti totali (quelli cheproprio non fanno nulla e ricevono qualche for-ma di assistenza e “solidarietà”), i mascalzoni(che nel disordine e nella mala fede del sistematrovano di che vivere anche bene violando ognilegge: rapinatori, scippatori, ladri, mafiosi e de-linquenti d’ogni risma) e alcune regioni meridio-nali che garantiscono (col loro peso elettorale) lasopravvivenza dello Stato e dell’Italia e per que-sto si vedono ricompensate con il travaso dellerisorse prodotte altrove e soprattutto in Padania.

Fanno parte – pur essendo geneticamente di-verse – del fronte statalista e nazionalista anche

altre due categorie: quelli che nonhanno capito niente e gli stranieri.

I primi sono quella marea diindifferenti, spettatori dei

quiz e delle soap opere te-levisive, i frequentatoridegli stadi e dei villaggivacanze con animazio-ne, quelli che non han-no ancora capito di es-sere rapinati, turlupina-ti e anche presi per ifondelli, e che proprio

non c’è verso di farglielocapire. Con loro ci sono i

patrioti più inossidabili,quelli dell’inno del Piave, del

Risorgimento e del “siamo orgo-gliosi di essere italiani” che manda-

no giù tutto e tutto subiscono appagandosidella gioia che traggono dallo sventolio del trico-lore, dai discorsi del Presidente e dalle note diuna marcetta che risuona negli stadi. Sono quelliche nello slang degli anni migliori erano chiama-ti i “mardani”, e cioè i “marrani padani”.

Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 1

ArimortisAnnotazioni sull’autonomismo prossimo venturo*

*Le immagini sono tratte da: Jerry Magni, Triskell (Argenta:Edizioni Trentini, 1998)

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Ci sono infine gli stranieri, quelli che non vo-gliono lavorare o integrarsi, quelli che all’insegna“lo facciamo perchè l’abbiamo visto fare” cercanodi aggrapparsi alle tette dello Stato e della comu-nità e farsi mantenere come i milioni di “furbi”che già lo fanno. La loro funzione è in perfettasintonia con il conservatorismo della casta stata-lista e centralista: l’invasione foresta scompigliainfatti ogni risorgenza di aggregazione identitariae territoriale, crea una emergenza di fronte allaquale si invoca l’unità e la solidarietà nazionale epatriottica, e passano in secondo piano le “diffe-renze” interne, e – infine – porta massa di mano-vra all’esercito dei mantenuti che hanno tuttol’interesse a mantenere le cose come stanno.

Rispetto a vent’anni or sono, gli statalisti e inazionalisti si sono riorganizzati meglio, hannorispolverato tutte le icone patriottiche che eranorelegate in soffitta: le librerie sono piene diciarpame nazionalista, tornano in cir-colazione le melensaggi da libroCuore, si sono fatte leggi perproteggere il tricolore, sicommemorano eroi risor-gimentali che la storiaaveva (giustamente)messo in naftalina, sigorgheggiano inni, sifanno alzabandiera, innome della salvezza del-la patria in pericolo siricompongono ferite cheparevano non rimargina-bili e finiscono così per an-dare bene – ad esempio - an-che i reduci di Salò. Insommasi ha la dimostrazione più eviden-te che aveva ragione Samuel Johnsonquando scriveva che “il patriottismo è l’ulti-mo rifugio dei mascalzoni”.

Si sono rafforzati anche i centralisti, non solonel senso che hanno irrobustito tutto il castellodel centralismo statale, ma anche che hanno co-minciato a demolire ogni aspirazione federalista:non concedendo riforme federaliste (come suc-cede nei paesi civili) ma chiamando federalismo ipeggiori catenacci istituzionali che si inventano.Il disegno si sta rivelando in tutta la sua ignobilechiarezza: aumentano le tasse e lo chiamano fe-deralismo fiscale, aumentano le strutture buro-cratiche e lo chiamano decentramento, aumen-tano gravami e fastidi per i cittadini e lo chiama-no federalismo. È ovvio che i cittadini menoinformati (e, cioè, quasi tutti) finiscano per assi-

milare il federalismo a una ulteriore fregatura eper auspicare il più bieco (ed efficiente) dei cen-tralismi, magari preso per mano da un “uomoforte” o “della Provvidenza”. E cioè il contrarioesatto della democrazia e della libertà che inveceil “vero” federalismo incarna.

Resi più accorti e furbi dal pericolo che hannocorso una decina di anni fa, oggi statalisti e na-zionalisti hanno costruito un sistema di difesadei propri privilegi e di demonizzazione dell’av-versario che risulta assai più duro da superare. Ilmeccanismo coinvolge ogni settore politico epartitico e ogni area geografica: ci sono statali-sti nell’estrema sinistra e nell’estrema destra (efin qui nulla di nuovo), ci sono nazionalisti a de-stra ma anche – prodigiosamente – a sinistra,sono diventati statalisti e nazionalisti dichiaratianche molti cattolici (proprio come i massoni) eaddirittura partiti e movimenti che si procla-

mano liberali e liberisti fanno nei fattipolitiche stataliste e centraliste e

sventolano tricolori. Il Meri-dione (prima vittima dell’I-

talia unita) si vendica fa-cendosi mantenere dall’I-talia, e in Padania la sot-trazione di risorse noncrea unità ma risse dacondominio.

La situazione generaleLe condizioni di contor-

no non sono che peggio-rate rispetto a vent’anni fa.

Lo Stato non funziona, l’op-pressione burocratica e fiscale

non ha fatto che aumentare, ag-gravata da condizioni economiche

generali assai più dissestate. La situazioneinternazionale, l’Euro e l’insopportabile peso fi-scale hanno prostrato l’economia italiana e crea-to una situazione di estrema precarietà nel mon-do del lavoro e – di conseguenza – nelle prospet-tive dei cittadini che lavorano. La Padania restauno dei motori produttivi di Europa ma i suoimeccanismi si arrugginiscono sotto le inefficien-ze, l’oppressione e l’avidità dello Stato italiano. IlMeridione continua a ricevere enormi quantitàdi denaro senza neppure badare più a inventarsiprogetti di emancipazione e di sviluppo: si arraffaquello che si può e finché dura.

L’immigrazione selvaggia ha creato condizionidi insicurezza e di disagio sociale enormi. 20 an-ni fa gli stranieri erano molto pochi e il proble-

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ma era ancora in larga parte rap-presentato dalla scarsa integra-zione dell’immigrazione me-ridionale in Padania. Oggile due immigrazioni si so-no sommate creandoproblemi sociali, econo-mici, di ordine pubblicoe convivenza, di crimi-nalità e di distruzionedelle identità locali. Pergiustificare l’immigra-zione, si diceva allora chel’Italia avrebbe dovuto ade-guarsi alla situazione deglialtri paesi dell’Europa occi-dentale che avevano mediamen-te assorbito una presenza stranieradel 5% sul totale della popolazione. Oggiin Italia gli stranieri raggiungono il 10% e in al-cune regioni padane superano il 20%. In pochilavorano e desiderano integrarsi definitivamente.Se a questi si aggiungono gli immigrati meridio-nali che non si sono “padanizzati” (dipendentipubblici, assistiti, malavitosi, eccetera) si ha unquadro drammatico della situazione in cui versa-no le nostre comunità.

Alla criminalità meridionale si è aggiunta quel-la straniera: le nostre comunità sono sotto asse-dio, i cittadini vivono nell’insicurezza più com-pleta; forze di polizia e magistratura non sono ingrado di assicurare i livelli di sicurezza minima aicittadini “normali” (i membri della casta sono su-per tutelati e protetti). L’Italia ha il più alto nu-mero di uomini in divisa del mondo occidentale,spende cifre enormi per mantenere l’ap-parato giudiziario e il sistema carce-rario ma i risultati sono davverosconfortanti: l’apparato di di-fesa non solo non difendema finisce per costituireuna ulteriore vessazione.

La corruzione nei pub-blici uffici è direttamen-te proporzionale al loropotere e alla quantità dirisorse che maneggiano.La grande abbuffata deisoldi dei cittadini non èmai terminata, ha solocambiato metodi. Funziona-ri e politici hanno costruitoun complesso sistema di malaf-fare difficilmente attaccabile. “Mani

pulite” era stata possibile grazie auna fortunata coincidenza di

fattori (la crisi dei partiti tra-dizionali, il successo della

Lega, le contraddizioni in-terne del sistema): nonha portato alcun con-creto risultato se nonquello di avere reso piùprudenti, abili e furbi imascalzoni. Purtroppola gente finisce per ac-

cettare come “normale”il fatto di essere derubata

e perde la speranza in ognipossibile cambiamento.

Tutta la situazione è peggioratarispetto a 20 anni fa ma è purtroppo

anche diminuita la soglia di reattività del-la gente, intontita da un abile e sistematico pro-cesso di assuefazione a tutto.

Il mondo autonomistaAlla fine degli anni ’80 il mondo autonomista

stava vivendo una straordinaria stagione di vita-lità: negli anni precedenti, alcuni casi di risvegliolocale (il Marp, il Melone, la Liga veneta, eccete-ra) avevano gettano i semi per un nuovo raccol-to, che finalmente germoglia.

La straordinaria novità del momento è rappre-sentata dall’aggregazione di quasi tutte le forzeautonomiste padano-alpine, molte volte tentata emai realizzata prima. Ne restano fuori solo i par-titi “storici” delle minoranze etno-linguistiche:un errore che costerà caro a tutti.

Quello che è successo dopo è troppo no-to per dover essere riassunto.

È qui importante cercare di esa-minare le ragioni che hanno

determinato l’ascesa e il de-clino del movimento auto-nomista in questi anni.C’è innanzitutto un pro-blema di progetto: tantoerano semplici, chiare econdivise le parole d’or-dine dell’origine (“Bastatasse, basta Roma!”, “Via

da Roma!”, eccetera),tanto sono fumose, insta-

bili e contraddittorie le pre-se di posizione più recenti. La

nostra gente ha bisogno di pochiobiettivi certi, comprensibili e im-

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mutabili nel tempo. Chi la rappre-senta deve assicurarsi che sitratti di obiettivi condivisi,essenziali, che non genera-no confusione o divisioni.Il vecchio, saggio, consi-glio di Miglio di non im-picciarsi di questioniestranee all’autonomi-smo e che potrebberodividere la base non èstato purtroppo ascolta-to. Così la Lega si è invi-schiata e intrappolata inquestioni di politica interna-zionale, di cellule staminali, dinucleare, pacs, alta velocità, chele hanno ogni volta fatto perdere unafetta di consenso.

Un movimento autonomista deve restare estra-neo alle contrapposizioni ideologiche tradiziona-li e – se proprio deve allearsi con qualcuno permotivi di interesse contingenti (come in Catalo-gna) – lo deve fare senza assumerne le connota-zioni ideologiche: non deve cioè appoggiare temidi sinistra se va con la sinistra o diventare di de-stra se va con la destra. Deve sempre e solo occu-parsi del suo progetto autonomista.

Un movimento che miri a rappresentare gli in-teressi di una comunità territoriale deve definirecon chiarezza i limiti geografici della sua azionee non oltrepassarli mai. La Lega non ha mai avu-to la forza e il coraggio di delimitare i confinidella Padania, allargando e restringendo i suoimargini come una molla. Questo le ha fatto per-dere di credibilità identitaria (Ascoli Piceno eLampedusa sono in Padania?), ha deluso l’eletto-rato più legato ai temi identitari e si è messa incontrasto con gli altri movimenti autonomististorici (a cosa serve presentare liste a Bolzano?)invece che farseli alleati: un atteggiamento cheha contribuito a escludere la Lega dal consessodei movimenti autonomisti europei.

La lotta autonomista è soprattutto una lotta dicultura, sia nel senso di cultura istituzionale (fe-deralismo, autodeterminazione, eccetera) che diaffermazione identitaria. Tutti i grandi movi-menti di massa hanno dedicato particolari atten-zioni agli strumenti culturali (e a quelli del-l’informazione cui sono strettamente collegati)ma quelli autonomisti devono farlo con maggio-re impegno: la storia delle grandi autonomie eu-ropee (Catalogna, Scozia, Corsica, Paesi Baschi,paesi baltici e slavi minori) è soprattutto una vi-

cenda di riscoperta e affermazioneculturale. La Lega ha da sem-

pre rifiutato qualsiasi contat-to serio con il mondo cul-

turale, soprattutto per l’i-diosincrasia del suo capoverso ogni forma di in-telligenza (e di libertà dipensiero a essa connes-sa) e per la sua predile-zione per la cultura daSettimana enigmistica,

per il revisionismo stori-co da Bar dello Sport. Alla

Lega – soprattutto agli inizi– si sono avvicinate numerose

persone di grande qualità: tuttesono state allontanate o costrette a

farlo. Oggi l’esile compito culturale è affi-dato a qualche supplente alle medie, a gente dibuona volontà e scarse letture, alle poesie in dia-letto (ma solo se patetiche).

Analogo è il ragionamento sulla qualità delpersonale: un movimento autonomista e liberi-sta si deve muovere con l’agilità di una aziendadi servizi, deve utilizzare al meglio le menti piùbrillanti e – soprattutto – deve evitare di diventa-re la caricatura delle burocrazie che dice di com-battere. Via Bellerio merita di essere descrittadalla penna di Gogol. Nel movimento i “cacciato-ri di cervelli” sono sempre stati utilizzati non nelsenso di “scopritori”, ma in quello di “buttafuo-ri”: chiunque dimostrasse di possedere capacità,competenza e intelligenza è stato rapidamenteallontanato. Se ci sono rimaste persone di qual-che qualità è solo perché le hanno saputo dissi-mulare bene o perché le hanno poste al prosse-netico servizio del capo e dei suoi umori.

La gestione di un movimento che si dice auto-nomista e federalista non può che essere autono-mista e federalista. Passato il primo delicato mo-mento di formazione nel quale era necessariauna condotta univoca, il movimento avrebbe do-vuto democraticizzarsi e dare spazio alle diver-sità e alle aspirazioni territoriali. Non lo ha fattoe continua a essere una struttura leninista, unacaserma in cui però manca l’elemento portantedella disciplina militare: la coerenza del coman-do. Via Bellerio sforna una tale massa di ordini econtrordini, variazioni, precisazioni, smentite edietrofront da imballare anche il più disciplinatodei reparti prussiani.

Un argomento delicato è rappresentato dall’u-so dei mezzi di informazione. Stampa e televisio-

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ne non sono in genere amiche del-le idee autonomiste, che devo-no perciò essere veicolatemediante altre strade. LaLega era partita bene do-tandosi di un’ampiagamma di strumentiche sono però finitiquasi tutti miseramen-te solo ed esclusiva-mente per incapacitàgestionale e per erroridi scelta politica. La casaeditrice è morta nella suaprima infanzia, i settimana-li sono defunti sotto il pesodelle imposizioni della Segrete-ria (Il Federalismo è riuscito a na-scere e sopravvivere solo in virtù dellaforzata assenza di Bossi ed è morto al suo rien-tro), la televisione è un inguardabile stortigna-colo, il giornale un costoso fallimento editorialeche qualche centinaio di militanti continua adacquistare solo per affetto e disciplina. Un po-chino meglio – almeno in quanto a audience –va la radio che è però ormai stata svuotata diogni contenuto ideale e ideologico e somigliasempre più a una normale emittente commer-ciale. Di tutto il costoso ambaradan delle asso-ciazioni resiste uno stuolo di scatole vuote. Pro-spera solo Miss Padania ed è un segno piuttostosignificativo.

Ultima ma non ultima c’è la questione morale:chi vuole combattere un sistema corrotto e mar-cio deve essere onesto ed estremamente corretto.Non vi è dubbio alcuno che il personalepolitico e amministrativo della Le-ga sia ancora oggi molto meglio(o meno peggio) di quello diquasi tutti gli altri partiti,ma non basta. Una piccolamacchia nella casa deibuoni si vede molto piùdi un ettaro di sporco incasa dei cattivi. Cre-dieuronord, prati, coo-perative, gadgets, inca-richi doppi e multipli, fa-milismo, assessori inqui-siti, strane compravenditeimmobiliari, villaggi turisti-ci, finanziamenti ambigui, ec-cetera, sono molto di più di unapiccola macchia.

Cosa fare?“Tutto quello che non uccide,

rafforza”. È sulla base di que-sto principio che oggi si de-

ve ricostruire il mondoautonomista: non recri-minare sugli errori delpassato ma trarne inse-gnamento.La situazione generale ètalmente degenerata darendere il momento fa-

vorevole per la ripresa diuna seria lotta autonomi-

sta, liberista e padanista. Il grande svantaggio è rappre-

sentato dalla delusione, dall’a-maro che la sconfitta e la disillusio-

ne lascia in bocca. La Lega ha lasciatodietro di sé un mare di detriti, una scia di gentearrabbiata, rancorosa e senza speranze; la sua di-rigenza costituisce un ostacolo putrescente sullaripresa del cammino autonomista.

Occorre bypassare questi ostacoli, azzerare ilcalendario e ripartire rafforzati e non schiacciatidalle cattive esperienze del passato.

Facciamo come si faceva da bambini: gridiamo“arimortis!” e ricominciamo tutto da capo.

Bisogna raccogliere le scialuppe di salvataggioe i singoli naufraghi aggrappati a relitti che sonostati lasciati dietro dallo sballonzolamento e dal-la deriva del Titanic leghista. Le scialuppe sonole associazioni culturali e i piccoli movimenti lo-cali che hanno tenuto assieme gente che altri-menti si sarebbe dispersa (sarebbe affogata).

Tutti si devono però oggi riaggregaresu una serie di temi condivisi, e

sulla base di un percorso co-mune e collaudato.

Il percorsoTutti i rimescolamenti ele flatulenze politiche diquesti mesi sembranoindirizzarsi verso ununico obiettivo: la co-struzione di un sistemapolitico bipolare.

Gli autonomisti non de-vono farsi coinvolgere in

questo delirante (e antide-mocratico) tsunami: entrare

in uno o nell’altro schieramentosignifica essere comunque i parenti

Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 5

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(molto) poveri che – se va bene –sono tollerati, altrimenti elimi-nati dalla scena politica.

L’autonomismo deve riu-scire a raggruppare tuttele proprie forze in unterzo polo che riesca asuperare ogni sbarra-mento di legge e costi-tuire l’ago della bilan-cia, alla catalana. Que-sto significa riuscire acreare un’aggregazionedi tante diversità che ab-biano in comune alcuniobiettivi primari e – soprat-tutto – il radicamento territoria-le, il solo strumento che può supera-re tutti gli ostacoli di sbarramento e diquorum che i centralisti e i nazionalisti si in-venteranno.

Bisogna costruire una entità che sia formatada tante diverse autonomie, ciascheduna signo-ra a casa propria e con le proprie specificità rico-nosciute. Si deve insomma creare una “federa-zione di federalisti”, un insieme che applichi an-che nella lotta politica i principi che sono allabase degli obiettivi ideologici. Non si può com-battere una lotta federalista e autonomista construtture autoritarie e centraliste: bisogna averela capacità di essere federalisti anche sul campodi battaglia.

Questo rappresenta sicuramente un problemain più perché non favorisce la coesione e la forzad’urto e la rapidità delle decisioni, ma è un pas-saggio che è ormai diventato imprescin-dibile.

Occorre che l’insieme dei mo-vimenti sia gestito da un or-gano democratico - elettoe/o estratto a sorte secon-do i principi migliani -,un direttorio che fun-zioni per i movimenticome funzionerà per ipartiti quando saremofinalmente riusciti adarci una struttura isti-tuzionale diversa.

Gli obiettivi comuniGli elementi che necessa-

riamente stanno alla base diogni formazione autonomista sono

– sia pur in dosaggi diversi – libe-rismo e identità. Questi sono i

due pilastri su cui si può (edeve) ricostruire il mondo

autonomista e federalista.Ordine ideologico nellamateria è stato fatto concapacità da GianfrancoMiglio. Miglio non puòche essere il grandefondamentale riferi-mento di ogni autono-

mista. Il vecchio slogan “Basta

Roma, basta tasse!” deve di-ventare: “Meno Stato, meno

Italia!”, dove “meno” sta per“quasi niente”.

Siamo ormai tutti consapevoli (e chi non loè, deve essere portato a esserlo) che i nostri duegrandi nemici - Stato e Italia - sono in realtà quiuna cosa sola: l’Italia non può – per sopravviverecome entità – che essere ferocemente statalista,lo Stato - per proteggere potere e privilegi –non può che essere nazionalista e patriottico. Idue soci si sostengono l’un l’altro: se cade uno,cade l’altro. Nella sua storia, l’Italia unita (regnoo repubblica, o repubblica sociale: cambia poco)ha sempre dovuto essere ferocemente centrali-sta, statalista, questurina e prefettizia per poterrestare in piedi. Si è inventata guerre patriotti-che, dittature, avventure coloniali ma – soprat-tutto – ha continuato con demoniaca coerenza acostruire una burocrazia statale che incrosta etrattiene l’intera penisola come una ingabbiatu-

ra. Per converso, lo Stato italiano e lasua sterminata massa di parassiti

hanno avuto bisogno per difen-dersi da attacchi esterni e in-

terni di tricolori, eroi, mo-numenti e inni.Smagrire energicamentelo Stato significa denu-dare l’Italia e metternealla luce le contraddi-zioni. Rifare l’Italia si-gnifica fare cadere le in-crostazioni stataliste.

Gli argomentiIl perseguimento del princi-

pio del “meno Stato, menoItalia” richiede una serie di

riforme che riguardano la drastica

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diminuzione delle competenze pubbliche e il lo-ro trasferimento alle amministrazioni locali e aiprivati. Meno pubblico significa meno spese emeno possibilità di corruzione.

Per questa ragione, occorre che gli autonomi-sti siano contemporaneamente liberisti e identi-tari, che sostengano le ragioni del libero mercato(sia pur con sfumature che vanno dall’anarco-li-berismo al comunitarismo) e dell’attaccamentoal territorio, declinato in tutte le sue varianti (lo-caliste, delle Piccole Patrie, padaniste) ma chia-ramente ancorato all’idea di Comunità padana,che è la sola che possa - per dimensioni e rappor-ti di forza – confrontarsi con successo con loStato italiano e associare, difendendole, tutte leaspirazioni di autonomia.

Lo strumento cardine è il principio diautodeterminazione che consente atutte le comunità di stabilire leproprie competenze, i propriinteressi e la libera gestionedelle proprie risorse. L’au-todeterminazione con-sente a ogni comunità discegliere la propria col-locazione istituzionalesulla base del principiodello “stare con chi sivuole e con chi ci vuo-le”: in quest’ottica sonoda affrontare tutti gli inte-ressanti fermenti che stan-no percorrendo molti comu-ni che chiedono di cambiareprovincia o regione, o creare nuo-ve aggregazioni più consone alle loroesigenze e alle realtà identitarie. Sempre in que-st’ottica del “padroni a casa propria” va sostenutoil sacrosanto diritto di decidere quanto delle ric-chezze prodotte vada trattenuto sul posto e quan-to vada invece devoluto in servizi forniti a livelloistituzionale superiore o in volontaria solidarietàper le parti più arretrate della stessa associazionedi comunità.

Una dura battaglia va combattuta per la giusti-zia, contro i privilegi della casta o di parti “pro-tette” dello Stato, per garantire con rapidità ecertezza i diritti dei cittadini e per liberarli da co-loro che turbano la pacifica convivenza delle co-munità. Le forze di polizia devono proteggere icittadini, i magistrati devono assicurare una giu-stizia giusta e rapida per tutti, i mascalzoni devo-no lavorare per ripagare la società dei danni chehanno causato.

I cittadini devono poter vivere nella più totalesicurezza: in particolare le comunità padano-al-pine devono essere liberate da ogni forma di cri-minalità di importazione, che ne rappresenta laquasi totalità.

In questo disegno si inserisce il controllo del-l’immigrazione, il suo blocco, l’espulsione o lareclusione di tutti gli stranieri che non rispetta-no la legge e che non lavorano, e la revoca di re-sidenza e cittadinanza a chiunque si macchi direati.

Il nostro territorio è sovrappopolato e non ser-ve fare venire altra gente che non sia strettamen-te necessaria e, comunque, in forma tempora-nea. I nostri lavoratori vanno tutelati e non de-vono subire concorrenza impropria; la mano d’o-

pera necessaria al nostro sviluppo va repe-rita dalla razionalizzazione del lavo-

ro e dalla soppressione di tutte leampie sacche di pubblico im-

piego improduttivo e paras-sitario.La difesa della qualitàambientale deve essereun obiettivo assoluta-mente prioritario: la Pa-dania è uno straordina-rio esempio di bioregio-ne che va curata, gestita

e restaurata nella sua or-ganica interezza: la sua

autonomia economica e lericchezze che vi vengono

prodotte devono essere impie-gate per assicurare una migliore

qualità della vita sia in termini econo-mici, che sociali, che ambientali.

Le nostre identità linguistiche e culturali van-no difese con determinazione. La battaglia cultu-rale deve essere assolutamente prioritaria nelcammino autonomista: questa passa attraverso ilrafforzamento delle lingue locali, la riscritturapiù corretta della storia, la difesa di qualità tradi-zionali peculiari di ogni area, il rafforzamentodei legami con le comunità più affini alle nostre.

Ci sono tutti i presupposti per poter ripartirecon vigore sul cammino verso le autonomie e lelibertà. Questa volta però non si può più partirecon gli zaini vuoti o riempiti di sciocchezze inu-tili: dobbiamo affardellarci di armi e munizioniculturali e ideali serie.

Gridiamo: “arimortis!” e ricominciamo da capo.Ne vale la pena.

Brenno

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L’adolescenza e la formazione culturale

Cremona è una sperduta cittànel mezzo della pianura padana,agli estremi sud occidentali del-l’Impero austriaco. Siamo nel1855, ultimi anni di governoasburgico sulle terre lombarde.La provincia di Cremona contacirca duecentomila abitanti, ed èil granaio della Lombardia, an-che se la tecnica di coltivazioneè ancora molto arretrata. Natu-ralmente la principale fonte dioccupazione è nell’agricoltura,l’industria è scarsamente svilup-pata e le poche fabbriche hannocarattere artigianale e si occupa-no della produzione stagionaledi torrone e mostarda. Per quan-

to marginale, l’unica forma diindustria presente in modo sta-bile sul territorio è quella dellaseta, interamente assorbita dalmercato viennese, mercato chesarebbe di lì a poco andato per-duto a causa della conquista sa-bauda dei territori lombardi. La situazione sociale non puòessere di certo rosea, il tasso dianalfabetismo è stimato intornoal 50% e l’alcoolismo diffusissi-mo.Il governo non è più quello effi-ciente di Maria Teresa (1717-1780)(1) e Giuseppe II (1741-1790)(2), e sono passati solo setteanni dalla salita al trono di Fran-cesco Giuseppe (1830-1916)(3),troppo pochi perché se ne senta-

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Arcangelo Ghisleri (1855-1938) Un pilastro dietro le quinte della politica

e della culturadi Davide Zeminian

(1) Maria Teresa d’Asburgo, figlia dell’imperatore Carlo VI(1685-1740), alla morte di questo venne nominata impera-trice, in seguito a una disposizione (Prammatica Sanzione)del 1713 che riconosceva l’ereditarietà del titolo anche ai di-scendenti femmina. Prussia, Francia, Baviera e Sassonia nonla riconobbero quale imperatrice e scoppiò la guerra di Suc-cessione austriaca (1740-48) che si chiuse con la pace di Ac-quisgrana con la quale Maria Teresa conservò il suo ruolo,cedendo alla Prussia la Slesia. Tra i titoli ereditati vi eranoanche quello di regina d’Ungheria e Boemia e duchessa diMilano. Fu una sovrana molto illuminata e avviò una lun-ghissima serie di riforme atte a rimodernare l’Impero. Sottol’aspetto amministrativo creò un’organizzazione burocraticache fu la base dello Stato centralizzato e assolutistico checaratterizzò la monarchia Asburgica fino alla dissoluzionedell’Impero, tuttavia ebbe il merito di eliminare definitiva-mente i privilegi feudali e nobiliari, a vantaggio della bor-ghesia. Non fu tollerante con i protestanti e soprattutto congli ebrei, ma, pur professandosi cristiana, abolì i poteri chela Chiesa aveva sui laici. In campo penale riformò il codiceseparando il potere giudiziario da quello esecutivo e abolì latortura (1776). In campo commerciale abolì le dogane intutto l’impero. Grande attenzione dedicò alla Lombardia,

nella quale venne conclusa l’opera di censimento catastale.Sposò Francesco Stefano di Lorena (1708-1765) nel 1736 edebbe sedici figli.(2) Giuseppe II era il primogenito fra i figli maschi di France-sco I e Maria Teresa. Correggente con la madre al ruolo diimperatore a partire dal 1765, anno della morte del padre,divenne unico detentore del potere alla morte della madre(1780). Continuò la politica riformista avviata da Maria Tere-sa, promulgò leggi che sancivano l’uguaglianza tra le classisociali, trasformò il matrimonio in un contratto civile e, sul-la base dell’influsso esercitato dalle dottrine degli illuministilombardi Cesare Beccaria (1738-1794) e Pietro Verri (1728-1797), promulgò un codice penale che aboliva la pena dimorte. Migliorò le condizioni di vita dei contadini e intro-dusse un principio di libertà di stampa. Il tedesco divennelingua ufficiale e la burocrazia fu ulteriormente centralizza-ta. La sua politica estera portò all’annessione della Galizia ea un accordo con la Russia e la Prussia per la prima sparti-zione della Polonia (1772). In contrasto con la madre in ma-teria religiosa, introdusse il concetto di tolleranza verso iprotestanti e gli ebrei e iniziò una politica di controllo delpotere della Chiesa atto a indebolire la sovranità pontificia,nota come Giuseppinismo.

Arcangelo Ghisleri giovane(Da: P.C. Masini, La scapi-gliatura democratica, 1961)

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no i benefici in quella lontanaprovincia di confine che è laLombardia, all’interno dellaquale Cremona rappresenta unarealtà isolata(4).

È questo il contesto in cui, il 5settembre 1855, nella cascina S.Alberto, a Persico, un paesino aNord-Ovest di Cremona, nasceMichele Arcangelo Ghisleri, fi-glio di Barbara Lodoli (1830-1895) e di Luigi (1830-1900),coltivatore diretto di un campodi un centinaio di pertiche(5).Erano persone leali, oneste e co-scienziose, religiosi per sinceradevozione, e non per forme este-riori, severe con se stessi più diquanto non lo fossero poi congli altri(6).

Gli affari però non andaronobene e Luigi dovette lasciare ilterreno e lavorare come salariato a Casalbutta-no, alle dipendenze della famiglia Turina(7). Laposizione del lavoratore salariato, pur precaria,era quella che versava nelle condizioni menotragiche all’interno della classe contadina(8), eLuigi riuscì, nel giro di pochi anni, a conqui-starsi la fiducia dei suoi datori di lavoro e diven-

tare, successivamente, il lorouomo di riferimento(9).La vita del giovane Arcangelo sipresentò fin dall’inizio tormen-tata e vagabonda, segnata dacontinui spostamenti.Nel 1861 iniziò le scuole ele-mentari presso il Comune diPolengo e i risultati furono su-bito positivi. Tre anni dopo do-vette ripetere la terza classe, puressendo stato promosso, poichénon vi era la possibilità di fre-quentare la quarta, così il padre,trasferitosi nel 1864 ad Ossola-ro, trovò un accordo col mae-stro del Comune di Paderno chelo preparò sul programma diquarta. Per poter frequentarequelle lezioni il piccolo Arcan-gelo doveva percorrere un tra-gitto quotidiano di quattro chi-

lometri all’andata e altrettanti al ritorno. All’etàdi dieci anni il giovane Ghisleri fu costretto a vi-vere lontano da casa, ospite dello zio Faustino,fratello del padre. I proficui risultati alla R.Scuola Tecnica gli valsero l’esonero dalle tas-se(10).

Per le scuole superiori il Ghisleri si trasferì a

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(3) Francesco Giuseppe I d’Asburgo-Lorena, figlio dell’arcidu-ca Francesco Carlo (1802-1878) e dell’arciduchessa Sofia diBaviera (1805-1872), venne proclamato imperatore nel 1848a soli diciotto anni. A partire dal 1852 instaurò un regimefortemente assolutistico e centralizzato, supportato da unastretta sorveglianza poliziesca. Le sconfitte militari nella po-litica estera (contro la Francia nel 1859 e contro la Prussianel 1866) e le pressioni esercitate dalle diverse etnie presentinel suo impero, lo indussero a orientarsi verso politiche dinatura più liberale e federale che raggiunsero il culmine colcompromesso con l’Ungheria e la trasformazione nel duali-stico Impero Austro-Ungarico. La forma di governo fu co-munque di natura parlamentare e nel 1904 concesse il suf-fragio universale. Le libertà individuali, gradualmente otte-nute nel corso degli anni e i riconoscimenti alle minoranzeetniche consentirono, in numerose aree dell’impero, unaconvivenza multietnica. Fu sempre contrario a intraprende-re guerre preventive contro l’Italia o la Serbia e fu solo l’uc-cisione a Sarajevo dell’erede al trono Francesco Ferdinando(1863-1914), avvenuta il 28 giugno 1914, e fargli cambiareidea, per quanto non si sentisse sicuro dell’esito positivo del-la guerra. Morì il 21 novembre 1916, prima della fine dellaPrima Guerra Mondiale, senza perciò assistere alla dissolu-zione del suo impero. La sua vita fu segnata da una lunga se-rie di tragedie familiari: il fratello Ferdinando Massimiliano(1832-1867), imperatore del Messico, venne fucilato a Que-rétaro nel 1867, il figlio e principe ereditario Rodolfo (1858-1889) si suicidò a Mayerling, nel 1889, la moglie Elisabetta

di Baviera (1837-1898), sposata nel 1854, venne uccisa da unanarchico di origini italiane (Luigi Licheni) a Ginevra, il 10settembre 1898. E infine, come già visto, il nipote Ferdinan-do a Sarajevo. Definito da una parte degli storici di modestaintelligenza e di scarsa sensibilità, burocrate rigido e feuda-le, ebbe in realtà un fortissimo senso del dovere e riscossegrande ammirazione da buona parte del suo popolo, contri-buendo così a creare un mito che vive tuttora.(4) Cfr. Gherardo Bozzetti, La vita sociale politica e culturaledi Cremona dall’800 al 900, in AA. VV, Una città nella Storiadell’Italia unita, a cura di Franco Invernici, con Prefazionedi Ettore A. Albertoni (Milano/Cremona: Giuffrè, 1986).(5) Antica unità di misura ancora in uso in Lombardia, in Ve-neto, in Emilia e nelle Marche, il cui valore cambia a secon-da della zona. La pertica cremonese corrisponde a 808 m2.(6) Arcangelo Ghisleri, Frammenti autobiografici e testa-mento, in Pier Carlo Masini, La scapigliatura democratica,(Milano: Feltrinelli, 1961, pagg. 255-266) (7) Si trattava di importanti proprietari terrieri i cui possedi-menti ammontavano a 43.000 pertiche.(8) Ho affrontato questo argomento in: Davide Zeminian “Lecondizioni di vita della popolazione nella campagna cremo-nese a cavallo della creazione del Regno d’Italia”, su Quader-ni Padani, n°53, Maggio-Giugno 2004, pp.31-35.(9) Cfr. Gianni Triacchini, Arcangelo Ghisleri a Casalbuttano(Casalbuttano: Gruppo Ecologico Culturale Casalbuttanese,1994)(10) A. Ghisleri, Frammenti autobiografici, cit.

Ghisleri a Roma agli inizidel ’900 (Da: Democraziacome civiltà)

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Cremona, dove venne raggiuntonel 1871 dal fratello Agostino(1862-1917)(11). In una città in-vasa dal vaiolo i due fratelli tro-vavano un caldo rifugio presso laBiblioteca Governativa di Cre-mona e qui, il nostro Arcangelo,entrò in ottimi rapporti col di-rettore, Stefano Bissolati (1823-1898)(12), il quale avrebbe condi-zionato non poco la sua forma-zione culturale, come ebbe mo-do di confessare, parecchi annidopo, a Terenzio Grandi(13)

(1884-1981):Andavo, studente, tra le lezioni

del mattino e quelle del pomerig-gio nella Biblioteca di Cremona elà vi facevo la mia parca colazione[…]. Lessi adolescente una quantità d’autori chedovevo meglio apprezzare più tardi. Qualche vol-ta il bibliotecario mi domandava stupefatto: “Mache vuol farne?…”. Però non mi negava mai nes-sun libro. Era egli il papà di Leonida Bissolati(14),ex prete, quindi un ribelle, seguace di Rousseau eche quasi si compiaceva di quell’assiduo ragazzo,

curioso di guardare dentro, alme-no per qualche ora nelle più di-verse opere di critica, letteraturae… politica. […] Così […] creb-bi, o si può dire, passai le miegiornate tra i silenzi di una bi-blioteca(15).Tra l’estate del 1876 e il dicem-bre del 1877 Arcangelo Ghisleri,dopo aver tentato di avviare unostudio di ragioneria, rinunciò alprogetto di dedicarsi alla liberaprofessione per impegnarsi pres-so la Banca Popolare e, ottenutol’esonero dal servizio militareper colpa della sua miopia, stu-diò per laurearsi, ma senza riu-scirvi, in Storia e Geografia(16).

Il sodalizio lombardo e l’attività editorialeAveva solo vent’anni Arcangelo Ghisleri, quan-

do fondò la sua prima rivista, “Il Preludio”, poli-ticamente orientata su basi repubblicane e fede-raliste, si occupava prevalentemente di lettera-tura. Vi collaborarono personaggi di alto livelloquali Alberto Mario (1825-1883)(17) e sua moglie

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(11) Risulta che i coniugi Ghisleri ebbero nove figli. Oltre adArcangelo, nacquero anche: Giuseppe (1856 e morto infan-te), Maria Teresa Carmelitana (1857-1861), Rocco GiovanniBattista, detto Giovannino (1858-1872), Giuseppe GervasioSecondo (1860-1861), Agostino Giacobbe (1862-1917), Rosa,detta Rosina (1864-1888), Luigia, detta Bigina (1868-1887) eGiuseppe (1868-1872). Arcangelo e Agostino furono gli unicia raggiungere la piena maturità. Agostino divenne maestroelementare e sposò Edvige Ardirò (morta nel 1930), ma nonfu una matrimonio sereno poiché lui era spesso ubriaco, siasul posto di lavoro che la sera nei locali, e in più di un’occa-sione la moglie cercò di lasciarlo, portandosi via la figlia Ro-sa (che visse fino al 1971).(12) Padre di Leonida Bergamaschi Bissolati (1857-1920) ezio dell’esponente radicale Ettore Sacchi (1851-1924), Ange-lo Omobono Stefano Bissolati nacque il 13 novembre 1823 evenne ordinato sacerdote nel 1846. Le sue idee liberali e lasua avversione al Governo austriaco lo portarono ad un irre-parabile contrasto con i vertici della Chiesa, che nel 1853 glirevocarono il permesso di predicare. In questi anni conobbel’infermiera Paolina Caccialupi (1821-1894) – che divenne laprima traduttrice di Bakunin (1814-1876) in lingua italiana– e la sposerà, con rito civile, nel 1869. Pur essendo di ideerepubblicane e federaliste arrivò a condividere la causa mo-narchica, ma dopo la costituzione del Regno d’Italia restòdeluso dal funzionamento dello Stato.(13) Terenzio Grandi: grande amico del Ghisleri condivise conlui l’attività nella Federazione del Libero Pensiero e il pro-getto del Museo degli Esuli italiani. Il suo pensiero politico,repubblicano e federalista, era teso a riconciliare le diatribenate all’interno del partito tra i seguaci del Cattaneo (1801-1869) e quelli del Mazzini (1805-1872), ma la sua militanza

fu strettamente editoriale. I rapporti col Ghisleri, iniziati nel1904, furono interrotti soltanto dalla morte di quest’ultimo.(14) Leonida Bissolati (1857-1920): di tendenze politiche de-mocratiche, diede un forte contributo alla nascita del PartitoSocialista Italiano (1892) e diresse il suo quotidiano, “L’A-vanti!” Eletto deputato nel 1897 lasciò il partito nel 1912, inseguito al suo personale appoggio dato al Governo in occa-sione della guerra di Libia. La sua azione politica era apertaverso la collaborazione con le maggioranze di governo, al fi-ne di ottenere benefiche riforme a favore delle classi lavora-trici. Fu interventista nel corso della Prima Guerra Mondialee, all’età di 58 anni, si arruolò volontario come sergente degiAlpini, venendo poi premiato con la medaglia d’argento.Morì nel 1920, in seguito anche alle debilitanti ferite subiteal fronte.(15) Lettera di Arcangelo Ghisleri a Terenzio Grandi del 12giugno 1916, in Lorenza Grandi (a cura di), L’intransigentee l’idealista, con “Presentazione di Giovanni Spadolini, e con“Prefazione” di Arturo Colombo, (Torino: Museo Nazionaledel Risorgimento Italiano, 1992, pp. 58-59)(16) Cfr. Aroldo Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri(1855-1938), (Manduria: Lacaita, 1975)(17) Alberto Mario nacque a Lendinara, in provincia di Rovi-go, a ventitré anni partecipò ai moti del 1848, ma ben prestosi allontanò dalle posizioni di Casa Savoia per aderire alla li-nea repubblicana e insurrezionale di Giuseppe Mazzini. Nel1857 sposò Jessie White. Divenne amico di Carlo Cattaneo elo convinse a recarsi, nel settembre del 1860, nella Napoliappena conquistata delle truppe garibaldine. Nel corso deiprimi anni vita del Regno d’Italia si allontanò definitivamen-te dal concetto mazziniano di unità forzata per abbracciaredefinitivamente le tesi federaliste cattaneane.

Ghisleri a Livorno nel 1906(Da: A. Benini, Vita e tempidi Arcangelo Ghisleri,1975)

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Jessie White (1832-1906)(18), Gabriele Rosa(1812-1897)(19) Andrea Costa (1851-1910)(20) ePaolo Valera (1850-1926)(21). Memorabile fu lacritica che da queste colonne il Ghisleri mosse allibro di Edmondo De Amicis (1846-1908)(22) Co-stantinopoli nella quale, dopo aver espresso ungiudizio fortemente negativo, suggerì all’autoredi cercare l’argomento della sua opera “in casasua, intorno a sé, qui nella sua patria: lo ricerchinel suo cuore e lo troverà”(23). In risposta l’autoreinviò una sua fotografia con dedica: “Al signorGhisleri, ricordo di Edmondo De Amicis, che stascrivendo intorno a un argomento trovato in ca-sa sua, intorno a se, nella sua patria, nel suocuore”(24) e, come è noto, nel 1886 pubblicò il suopiù importante lavoro, il libro Cuore.

Nel 1875 Ghisleri diede alle stampe anche lasua prima opera letteraria, con lo pseudonimo diBruno Minore. Si trattava di Scintille, un opusco-lo di pensieri e aforismi che raccolse entusiasticicommenti anche a livello internazionale.

In quegli anni si intensificò l’amicizia e il soda-lizio intellettuale con Leonida, figlio di StefanoBissolati, che dalla Facoltà di Giurisprudenza del-l’Università degli Studi di Bologna, cercava di farepropaganda per la rivista ghisleriana, ma conscarsi risultati, causati dal programma troppo

moderno per quella realtà così refrattaria ai cam-biamenti postrisorgimentali(25).

Al fianco di Bissolati c’era il suo ex compagnodi liceo Filippo Turati(26), che entrò in contattocol Ghisleri in un modo alquanto singolare. Bis-solati, infatti, inviò al direttore una poesia del Tu-rati, per farla pubblicare sul “Preludio”, senza chel’autore ne fosse messo a conoscenza. La poesiaera intitolata Disordine, e in essa venivano fattidegli accenni a Dio(27). Era troppo per il giovaneed esuberante Ghisleri, che sullo stesso numero(31 marzo 1877) aggiunse un commento lapida-rio, nel quale manifestò la sua meraviglia nelconstatare che si “parli ancora di Iddio nell’annodi grazia 1877 dopo che la scienza lo ha già ucci-so da un pezzo”(28). Turati si difese con una lette-ra nella quale spiegava che il suo Dio non eraquello dei sacerdoti, ma si rivelava all’uomo “nel-la commovente maestà della natura e nel sorrisodelle nostre fanciulle”(29). La lettera venne pubbli-cata sotto il titolo di Un Dio-pasticcio. Ghisleritese a “svalutare” il suo interlocutore, ma inrealtà ne apprezzò molto la “forza intellettuale”diventandone, di lì a poco, un intimo amico, alpunto tale che Franco Livorsi ha addirittura so-stenuto che Ghisleri “abbia sostituito per Turati,la numinosità paterna, giungendo a spostarne a

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(18) Jessie White, inglese e inviata in Italia del Daily News,inizialmente sostenitrice del pensiero sociale e politico delMazzini, si spostò anche lei, come il marito Alberto Mario,sulle posizioni federaliste del Cattaneo, al quale era legata dauna sincera amicizia verso di lui e verso sua moglie AnnaPyne Woodcock (1796-1869).(19) Gabriele Rosa fu il più giovane prigioniero politico dete-nuto nel carcere moravo dello Spielberg. In questo periodo(1835-1838) conobbe Federico Confalonieri (1785-1846) chelo avvicinò a Carlo Cattaneo e a quel pensiero federalista chenon abbandonò più fino al 1897, quando morì ad Iseo, doveera nato nel 1812. Dedicò grande attenzione anche alle ideesocialiste e al nascente movimento operaio.(20) Andrea Costa: dopo aver inizialmente aderito alle ideeanarchico rivoluzionarie di Michail Bakunin, si orientò suposizioni legalitarie, ma con inclinazioni marxiste. Nel 1871organizzò la sezione italiana della I Internazionale, ma ven-ne processato e condannato. Emigrò in Francia e poi inSvizzera e, una volta rientrato in Italia venne eletto primodeputato socialista in Parlamento nel 1882. (21) Paolo Valera: nato a Como, nel 1850, giornalista e scrit-tore, volontario garibaldino, fu molto attivo sul piano socia-le, politicamente era orientato su posizioni socialiste, quasianarchiche. Le sue opera descrivono la vita quotidiana diuna dinamica Milano, ricca di grandi diseguaglianza sociali.Non aderì al fascismo e morì nel 1926.(22) Edmondo De Amicis: scrittore ligure, nato a Oneglia nel1846, intraprese la carriera militare e combattè nella disa-strosa battaglia di Custoza (1866). Raggiunse la celebritàcon i bozzetti dedicati alla Vita militare, ma il successo veroe proprio lo ottenne con Cuore. Viaggiò molto e scrisse nu-

merosi reportage. Morì a Bordighera nel 1908.(23) Si tratta di articoli scritti dal Ghisleri e apparsi ne “IlPreludio” del 1° e del 20 agosto, e, inoltre, del 15 e del 30settembre 1877, poi raccolte nel libro Costantinopoli di Ed-mondo De Amicis, Studio critico (Cremona: 1877)(24) Aldo Spallicci, L’accapigliatura Ghisleri-Carducci e leorigini del cuore deamicisiano (Roma-Milano-Torino:1955)(25) Cfr. Pier Carlo Masini, Eresie dell’Ottocento, (Milano:editoriale Nuova, 1978)(26) Filippo Turati era figlio di Pietro (1814-1890), un Com-missario Distrettuale dell’Imperial Regio Governo Austriacopoi prefetto del Regno d’Italia e di Adele Di Giovanni, unagentildonna di Canzo, località dell’Alta Brianza nella qualenacque Filippo nel 1857. Si laureò in Giurisprudenza e divenne avvocato. Operò aMilano e, a partire dal congresso di Genova del 1892 diven-ne la figura di maggior rilievo del socialismo italiano. Lasua opera era orientata a inserire il proletariato all’internodella società, mediante graduali ma costanti riforme. Fu trai primi a considerare il reato una conseguenza di un “malassetto” sociale. Nel 1925 il fascismo chiuse la sua rivista,“Critica Sociale” e nel 1926 espatriò a Parigi, dove morì nel1932.(27) Semplicemente il Turati scrisse che “su l’ardue vette tro-veremo Iddio” e “come il gettò la man del Creatore”. Cfr. Li-liana Dalla Nogare (a cura di), Il carteggio Filippo Turati –Arcangelo Ghisleri, in “Movimento Operaio”, gennaio-giu-gno 1956, p. 206n.(28) Ibidem(29) Lettera di Filippo Turati ad Arcangelo Ghisleri del 1°aprile 1877, in P. C. Masini, La scapigliatura, cit., p. 69

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sinistra, in modo definitivo, la posizione cultu-rale e politica”(30).

Il sodalizio umano e culturale che nacque traGhisleri, Turati e Bissolati – definito da PierCarlo Masini il Sodalizio Lombardo – fu di gran-de importanza poiché determinò la formazionepolitica dei due più importanti esponenti del so-cialismo italiano a cavallo tra Ottocento e Nove-cento e fu quindi fondamentale per la storia delriformismo italiano. Il punto di riferimento perTurati e Bissolati ed elemento trainante del triofu proprio Arcangelo Ghisleri(31).

Si trattava di un’amicizia profonda e sincera, diforte sostegno nei numerosi momenti di sconfor-to e anche di grande intimità. Turati era il piùmalato, soffriva, dal 1877, di una grave forma dinevrastenia cefalica e spinale che gli rendeva dif-ficoltoso applicarsi negli studi e nelle elaborazio-ni delle sue teorie. Venne visitato dai principalipsichiatri d’Europa ma non vide alcun concretomiglioramento. Molto spesso il suo stato d’animoera di profonda depressione e in più di un’occa-sione arrivò a ipotizzare il suicidio e solo il pen-siero per la disperazione della madre gli fece ac-cantonare l’idea. La malattia perseguitò Turatiper circa un decennio, fino al 1886(32).

Lo stesso sconforto colpì anche il Ghisleri,“sempre più desideroso del riposo della morteche di questa noiosa continuazione che si chia-ma vita”(33).

Bissolati invece, dopo aver assolto l’obbligodel servizio di leva, dedicò moltissimo tempo,più di quanto non ne dedicarono Ghisleri e Tu-rati, all’organizzazione di incontri pubblici neicentri più sperduti e dimenticati, sia per pro-muovere l’attività dell’Associazione Anticlerica-le, sia per organizzare le università serali(34).

Erano ragazzi al di fuori del comune, seri, im-

pegnati, che non passavano il loro tempo a bi-ghellonare al caffé o in cerca di facili donni-ne(35), ma questo non vuol dire che i loro cuorierano refrattari all’amore, compare infatti nelleconfidenze di Turati una ragazza di Linz, di reli-gione ebraica e una certa Giulietta in quelle delGhisleri. In entrambi i casi le storie non andaro-no a buon fine, per volontà del Turati nel primocaso, e della famiglia di Giulietta per quanto ri-guarda Ghisleri(36).

Le delusioni erano quindi una costante dellaloro turbolenta esistenza, ma le iniziative edito-riali del Ghisleri non erano di certo finite e nel1876 fondò il settimanale politico, amministra-tivo e letterario “Il Risveglio”, al quale si aggiun-se, il 3 giugno 1877 la sopraccitata AssociazioneAnticlericale Cremonese, dotata anche di un or-gano ufficiale: “Papà Bonsenso”. Ma le difficoltàerano molteplici, sia per ragioni economiche,che per il forte ostruzionismo subito da “pretibriganti e laici gesuiti” che cercavano di colpireil giornale “facendo pressione sulla [sua] fami-glia”(37). Per cercare di superare questa crisi de-cise, nel 1877, di fondere “Il Preludio” con “Lavita nuova” ma l’esperimento fallì e l’anno suc-cessivo dovette chiudere il giornale.

Ben lontano dallo scoraggiarsi, Ghisleri fondòla “Rivista Repubblicana”, che il 9 aprile 1878inaugurò le sue pubblicazioni. Nominalmentediretta da Alberto Mario, ma in realtà dal Ghisle-ri, essa mirava a raccogliere in un unico pro-gramma tutti gli uomini di fede repubblicana,superando le diatribe tra mazziniani e cattanea-ni. La “Rivista” si avvalse di collaboratori di al-tissimo spessore quali, oltre ai fidati Turati eBissolati e, naturalmente, ai coniugi Mario, an-che Gabriele Rosa, Giovanni Bovio (1841-1903)(38), Napoleone Colajanni (1847-1921)(39) e

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(30) Franco Livorsi, Filippo Turati tra correnti del socialismoe governi dell’Italia, “Introduzione” a: Filippo Turati, Socia-lismo e riformismo nella storia d’Italia. Scritti politici 1878-1932, a cura e con Introduzione di F. Livorsi (Milano: Feltri-nelli, 1979, p. IX)(31)Cfr. P. Masini, La scapigliatura, cit.(32) Cfr. A. Benini, Vita e tempi, cit.; Luigi Cortesi (a cura di),Turati giovane. Scapigliatura, positivismo, marxismo (Mila-no: Edizioni Avanti!, 1962, pp. 32-39) (33) Lettera di A. Ghisleri a F. Turati del 21 maggio 1880 inLiliana Dalle Nogare op. cit., pp. 234-235. (34) Cfr. A. Benini, Vita e tempi, cit.(35) Terenzio Grandi, Arcangelo Ghisleri uomo (Torino: Edi-zione privata di 125 copie, stampata nelle officine TECA,1968, pp. 6-7) (36) Cfr. L. Dalle Nogare, Op. cit.(37) Lettera di Arcangelo Ghisleri ad Andrea Cantalupi del 16

febbraio 1876, in P. C. Masini, Eresie, cit., pp. 67-68(38) Giovanni Bovio: filosofo e politico venne eletto Deputatonel 1876 nelle fila repubblicane. Suo il motto “definirsi osparire”, quando tra il 1886 e 1890 il movimento repubblica-no perdeva consensi in favore di radicali e socialisti. Aderì al-le idee federaliste, ma con inclinazioni socialiste, sulla basedelle teorie di Giuseppe Ferrari.(39) Napoleone Colajanni: siciliano, nato a Castrogiovanni,oggi Enna, rappresentò un cardine per lo sviluppo della na-scente sociologia in Italia. Le sue posizioni socialiste furonosempre orientate verso graduali riforme del Paese e ostili alcollettivismo marxista, ma con chiare connotazioni in sensofederalistico. Fu tra i principali promotori del movimentodei Fasci siciliani, ma ne uscì a causa dei forti contrasti delPartito Socialista Italiano, che non era disposto ad accettareche i problemi relativi alle diverse aree dovevano essere af-frontati in modi differenti.

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Roberto Ardigò (1828-1920)(40), che vi pubblicò, apuntate, “La morale dei posi-tivisti”. Nel corso della suabreve vita, la “Rivista” subìben tre processi, e nel 1881cessò la sua attività, lascian-do molti debiti al poveroGhisleri, per pagare i qualidecise di accettare, fin dal1879, l’incarico di direttoredel quotidiano “BergamoNuova”, che lo costrinse atrasferirsi nella città orobi-ca(41).

L’attività bergamasca delGhisleri fu così incisiva chead un anno di distanza fece lasua comparsa un nuovo quo-tidiano, “L’Eco di Bergamo”,orientato su posizioni catto-liche e conservatrici e forte-mente ostile al direttore di“Bergamo Nuova”(42).

Ma anche questa creatura ghisleriana era de-stinata ad una breve e travagliata esistenza, e aterminare il 26 marzo 1881. Ghisleri additò laresponsabilità alla città di Bergamo, che all’ami-co Turati descriveva come “la vera Beozia(43) diLombardia questa città che di giorno in giornomi si va scoprendo più e più ipocrita e gesui-tica”(44).

L’esperienza bergamasca fu comunque densadi iniziative, ma vide anche il Ghisleri entrare incontatto con la Massoneria e fondare, nel 1879,la loggia Pontida. Si trattò di un’esperienza de-cisamente tiepida e transitoria, e ne uscì di lì apoco(45).

Fu durante il suo soggiorno a Bergamo cheGhisleri ebbe modo di vedere, per la prima eunica volta, Giuseppe Garibaldi (1807-1882)(46),

che era arrivato in occasionedell’inaugurazione del mo-numento dedicato ai mortidi Mentana, e risiedeva al-l’Hotel de la Ville, dove ebbeluogo l’incontro(47).Il 1881 non fu però solo unanno negativo poiché il 28agosto sposò, con rito reli-gioso, Anna Maria Speranza(1860-1920), una maestra diPiario, nei pressi di Clusone,in Val Seriana, conosciutaun anno prima. Anna, catto-lica praticante, era nipotedel vescovo Pierluigi Speran-za, intransigente oppositoredelle teorie liberal-democra-tiche. La coppia era senz’om-bra di dubbio alquanto ano-mala, eppure il loro fu unmatrimonio di sincero amo-re, destinato a durare, nono-stante numerosissimi mo-

menti di difficoltà, fino alla morte di lei, avvenu-ta il 5 dicembre 1920. In occasione del matrimo-nio, Filippo Turati compose la poesia A leggia-dra Oreade. A chi mi rapisce un amico nellaquale, con tono scherzoso, rimproverava allagiovane di porre fine all’intensa amicizia che lolegava al futuro sposo. La notizia del matrimo-nio giunse al Turati improvvisa, poiché non eraa conoscenza dell’evoluzione dei rapporti senti-mentali del suo fidato amico. Questo provocò unsenso di tradimento, e mise ulteriormente incrisi il precario stato di salute in cui versava ilfuturo leader del socialismo italiano, attraversa-to, oltretutto, da un latente stato di omosessua-lità, causato dalla forma avanzata di nevraste-nia(48).

Nel luglio successivo il Ghisleri accettò il deli-

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(40) Roberto Ardigò: Positivista, democratico, radical-repub-blicano, nel 1871 abbandona gli abiti talari in seguito ai con-trasti sorti con la Chiesa, per la sua adesione ai principi dellaRiforma protestante, della Rivoluzione francese e al Rinasci-mento, che aveva posto le basi per il successivo sviluppo del-le scienze positive.(41) Cfr. A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit.(42) Giorgio Mangini, Arcangelo Ghisleri a Bergamo, su “Ara-berara”, agosto 1998(43) Regione della Grecia che anticamente era afflitta da unclima insalubre, causato dalla palude Copaide, bonificata giàda Alessandro Magno (356-323 a. C.) e infine prosciugatasul finire del secolo XIX.

(44) Lettera di Arcangelo Ghisleri a Filippo Turati del 19 lu-glio 1880, in L. Dalle Nogare, Op. cit.(45) G. Mangini, Arcangelo Ghisleri a Bergamo, cit.(46) Per una biografia indipendente sul Nizzardo si veda: Gil-berto Oneto, L’iperitaliano. Eroe o cialtrone? Biografia sen-za censure di Giuseppe Garibaldi (Rimini: Il Cerchio,2006).(47) Cfr. A. Ghisleri, Frammenti autobiografici, cit.(48) A. Benini, Vita e tempi, cit.; F. Livorsi, Turati, cit., p. 23;Bruno Di Porto, Il sodalizio cremonese di Ghisleri, Bissolatie Turati e le loro successive diramazioni politiche, in AA.VV., Arcangelo Ghisleri. Attualità del pensiero politico, (Cre-mona: Edizioni P.A.C.E., 1982, p. 24)

Atlantino Storico. Evo antico

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cato incarico di trasferirsi a Napoli per dirigere,su proposta di Giovanni Bovio, il “Pro Patria”,un nuovo giornale irredentista. L’esperienza ri-sultò sotto tutti gli aspetti negativa. Dal puntodi vista professionale furono pessimi i rapporticon Matteo Renato Imbriani-Poerio (1843-1901), principale finanziatore della testata; sottoil profilo sociale l’incontro con una realtà comequella napoletana, così estremamente diversa daquella padana, lo mise di fronte a un quadro chenon poteva neppure immaginare. Scriveva infat-ti alla sua giovane sposa:

Nei vicoli e nelle strade giù dal Corso Toledo, ibimbi sino ai tre o quattr’anni, sono nudi, spor-chi s’intende, e senza la foglia di fico. Se hannoun cencio di camicia, sudicia essa pure, non arri-va al bottone del ventre… Se ci arriva. Le donnesono sempre con la mammella esposta pubblica-mente alla bocca dei poppanti, e vanno anche ingiro per le loro faccende in questo atteggiamento.E di poppanti e di bimbi ce n’è un’infinità: ci deveessere nella misera gente una prolificità spaven-tevole.[…] Sopra venti case, anche delle più de-centi che ho visto, in almeno 19 la latrina è in cu-cina – e di solito senza coperchio, proprio vicinoal fornello delle vivande!!! […] Le strade sono unformicolaio di venditori, girovaghi e fermi, di or-taggi e di frutta, che qui sono a buon prezzo. I gi-rovaghi vanno con asinelli carichi. (Tra parentesi,gli asinelli sono le persone più simpatiche, le me-no oziose e fors’anche le più pulite che s’incon-trano nelle vie). E dall’alba fino a 1 ora dopo mez-zanotte questi rivenditori mandano al cielo unababilonia di voci in cantilene incomprensibili – dicui non s’ha punto idea a Milano. […] Ecco an-che perché, in me settentrionale, non ho maiprovato così prepotente il desiderio d’un cantuc-cio mio, curato dalle tue mani diligenti […]. Del-la pulizia, come l’intendevi tu, mia cara, qui nonhanno neanche l’idea(49).

Nei mesi in cui Ghisleri si trovava a Napolinacque a Treviglio, il 2 giugno 1882, Amleto, ilprimogenito, che purtroppo morì pochi mesidopo, presso una balia, mentre i suoi genitorierano ancora nella città partenopea, mettendocosì a dura prova la giovane coppia(50).

L’esperienza napoletana durò soltanto cinquemesi, dal 1° settembre 1882 al 28 febbraio 1883.In quel periodo ebbe modo di conoscere, pressola redazione del “Pro Patria”, Guglielmo Ober-dan (1858-1882)(51), di passaggio da Napoli pri-ma del suo fatale viaggio a Trieste. Questo episo-dio segnò indelebilmente Ghisleri che per tuttala vita dedicò grande attenzione ai diritti di au-todeterminazione dei popoli assoggettati all’Im-pero Austro-Ungarico, non sempre, però, valu-tando a fondo la reale situazione politica e socia-le di quello Stato che, per molti punti di vista,era più evoluto e democratico di quanto non lofosse il Regno d’Italia, a partire dal riconosci-mento, anche in termini di diritti, della suamultietnicità(52).

“Vo’ andare maestro di campagna”(53)

Così confidava Ghisleri all’amico Turati in unamissiva scritta il 31 luglio 1878, in un momentodi sconforto, quando pensava di abbandonare lasua attività editoriale, per rendersi utile alla so-cietà attraverso l’insegnamento(54).

Alcuni anni dopo, nel 1884, arrivò quasi ina-spettata la nomina del Ghisleri a professore diStoria al Liceo di Matera e incaricato di Geogra-fia nella locale scuola tecnica(55) e di conseguen-za si dovette trasferire con la moglie in attesadel loro terzo figlio, Licinio (1884-1887). Il 26novembre 1883 era nato anche un secondo fi-glio, che richiamarono Amleto (1883-1971)(56),il quale venne allevato a balia e affidato presso lacasa paterna a Casalbuttano, mentre il 2 dicem-bre 1885 nacquero, proprio a Matera, due ge-

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(49) Lettera di Arcangelo Ghisleri ad Anna Speranza del 9agosto 1882, nell’appendice del saggio critico di Luigi Ma-scilli Migliorini, Arcangelo Ghisleri e l’esperienza napoleta-na del “Pro Patria”, in AA. VV., I periodici ghisleriani, a curadi A. Benini (Bergamo: Istituto Italiano d’Arti Grafiche,1979, pp. 70-80)(50) A. Ghisleri, Frammenti autobiografici, cit., p. 256 51 Guglielmo Oberdan, in realtà Oberdank, era un volontariodell’Imperial Regio Esercito, che dopo aver disertato sulfronte bosniaco, riparò in Italia nel 1878 e decise di attenta-re alla vita dell’Imperatore Francesco Giuseppe, in visita aTrieste in occasione del quinto centenario della dedizionedella città alla monarchia asburgica. Tradito da due presuntiirredentisti venne condannato a morte, per aver confessato

di voler compiere un attentato all’Imperatore, e giustiziato il20 dicembre 1882.(52) Giovanni Conti, “Introduzione” in Arcangelo Ghisleri,Democrazia in azione. Scritti politici e sociali, (Roma: CasaEditrice Italiana, 1954, p. 256)(53) Lettera di A. Ghisleri a F. Turati del 31 luglio 1878, in L.Dalle Nogare, Op. cit., p. 214(54) Ibidem(55) Cfr. Carlo G. Lacaita, Democrazia e divulgazione scienti-fica in Arcangelo Ghisleri, in AA.VV, I periodici ghisleriani,(cit. pp. 85-94)(56) Amleto avrà a sua volta cinque figli: Giuseppino (mortoinfante), Michele (1916-1996), Luigi (1921-1944), Valeriano(1921-2006) e Maria (1927).

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“I primi abitatori d’Italia”, Tav. V dell’Atlantino Storico

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melli, Ugo (1885-1888) e Aurora (1885-1959)(57).Un’altra bambina nacque nel 1886 e venne chia-mata Elvezia(58) e infine, il 15 agosto 1889 nac-que Luigi (1889-1971)(59) così, alla fine di quel-l’anno, la famiglia Ghisleri era composta da trebambini, su sette che ne erano nati.

La vita nel capoluogo lucano si presentò durafin dall’inizio. Il tragitto per raggiungerlo erainterminabile, si doveva viaggiare in treno fino aBari, si cambiava per Potenza, per ricambiarenuovamente treno fino a Grottole, ove poi sipernottava.

Questa esperienza risultò essere peggiore per-fino di quella napoletana, e Ghisleri sfogava ilsuo profondo disagio nelle corrispondenze invia-te agli amici più cari. Confidava al Turati:

Se ti dirò che, malgrado io sia memore dellemie stanzuccie freddissime e delle scarpe buchein mezzo alla neve della mia vita di celibe, purenon ho mai sofferto tanto freddo e umido irre-parabili come qui, e veduto soffrirne dalla miacompagna e dalla bambina, e se ti dirò che nonho mai mangiato così male, né mai sofferto sot-to ogni riguardo materiale e morale come a Ma-tera – io dirò cosa parrà esagerata ed è la veritàpura. Oh Africa italiana, vera Italia irredenta,peggio – vero anacronismo storico – preistoriasuperstite – qui dovrebbero venire i signori mi-nistri, gli economisti, gli igienisti, tutti i cian-ciatori della politica e dell’unità d’Italia. Oh iosono ribelle alla nefanda ipocrisia della patriauna, a questa rettorica infame del patriottismo,che non vuole si dica che abbiamo paesi peggio-ri degli africani, feudali ancora, peggiori che sefossero governati dall’Austria. Ma che importa ilgoverno nazionale quaggiù, dove tutto è camor-ra, bigottismo-feticista, spagnolismo e gesuiti-smo schifoso? Che differenza qui, tra la Materadel 1886 e la Matera dei borboni? […]. QuestaItalia del mezzogiorno va guarita col ferro e colfuoco: occorre anzitutto una legge agraria,espropriare i latifondisti, costruire villaggi nellelande infinite, importarvi colonie rurali del set-tentrione e la man forte del Governo ci abbiso-

gna per costruire strade, ponti, canali, prosciu-gare, piantare. Se vedessi Matera: non verde,non vegetazione. Un albero è una rarità. Campa-gna rasa. Malaria inevitabile. E mentre scrivodue lazzari cantano sotto la mia finestra comepersone liete e beate. Oh povero Lazzaro! Io l’o-dio questo lazzaro ozioso, superstizioso, preisto-rico – ma quando lo contemplo al lavoro e l’odocantare sotto il sole che brucia e penso che vived’erba e ignora l’ubbriachezza – un sentimentodi pietà profonda mi piglia per lui e di collera in-domabile contro queste classi abbienti “dirigen-ti” che meriterebbero il ferro e il fuoco – e se l’a-vranno un dì(60).

Sono parole durissime espresse in un periodochiave della vita dell’autore. L’esperienza di Ma-tera, infatti, mise Ghisleri di fronte alla realtàpratica di un’Italia tutt’altro che omogenea e neuscirono decisamente rinforzate le tesi federali-ste, che fin da giovane aveva abbracciato ma, fi-no a quel momento, basandole solo su elementiteorici. L’esperienza napoletana prima e quellalucana poi, lo resero consapevole del fatto che,tra i principali problemi da risolvere all’internodel Regno d’Italia vi era, a fianco della questionesociale, anche la questione meridionale. È inquesto periodo che matura e prende forma ilpensiero meridionalista di Arcangelo Ghisleri,che troverà la sua massima espressione e artico-lazione in una relazione letta al VII Congressodel Partito Repubblicano Italiano, a Forlì, nel1903 e successivamente pubblicata nel 1906 coltitolo La questione meridionale e la sua logicasoluzione. In esso confuta, come suo solito conprove ufficiali, una lunga serie di luoghi comuniche partivano dalla presunta inferiorità biologi-ca dei meridionali, sostenuta anche da autorevo-li uomini politici del Sud, i quali vedevano comeunica soluzione di sviluppo un regime dispoticoe illuminato, affidato a un gruppo ristretto dipersone. “Sono appunto scrittori del mezzogior-no, sono sociologi all’ultima moda, ma non set-tentrionali, che hanno messa in circolazione co-me una tesi scientifica la inferiorità etnica del

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(57) Aurora diventò insegnante, pur avendo una abilitazionesvizzera in luogo di una laurea, grazie all’elevata domanda,che superava di gran lunga la disponibilità di insegnanti. Perfare questo abbandonò, nel 1925, il suo impiego presso l’Isti-tuto Italiano d’Arti Grafiche, con l’appoggio del padre, chegiudicava quell’ambiente rozzo e presuntuoso. Non si sposò erestò per tutta la vita al fianco del padre e della sorella Elvezia.(58) Elvezia Ghisleri (1886-1974): sesta figlia di ArcangeloGhisleri, fu l’ultima dei suoi figli a morire, nel 1974, non si

sposò e restò sempre a fianco del padre fino alla sua morte.Soffrì molto di crisi depressive, soprattutto dopo la mortedella madre.(59) Luigi Mario, detto Gino, si laureò in ingegneria ed eser-citò la professione a Cuneo, presso la Società Ligure Elettri-ca. Si sposò nel 1924 ed ebbe due figli, Mirella (1933) e Gui-do (1927-1984). Fu amico di Terenzio Grandi.(60) Lettera di A. Ghisleri a F. Turati del 28 giugno 1886, in LDalle Nogare, Op. cit.

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Sud in confronto del Nord”(61). Ghisleri, pur ri-conoscendo lo stato di profonda e grave arretra-tezza in cui si trovavano le plebi del Mezzogior-no, non attribuiva tale dislivello a cause biologi-che, ma storiche, di chi non conobbe nell’arcodei secoli nessuna forma di governo autonomolocale, ma sempre dispotismo e ricordava che“Ingiusta e stolta sarebbe la pretesa di chi do-mandasse agli eredi di quella storia, fatta dai ba-roni, le condizioni sociali e civili dell’Etruria edella Lombardia; antiscientifico il confronto, sedimenticansi queste antecedenze storiche. Noncapirà mai il mezzogiorno, chi non tenga contodi queste sopravvivenze, qua e là preistoriche, equasi dovunque feudali, che si palesano nel gio-co delle ambizioni e dei poteri locali, anche sot-to le odierne leggi del regno unitario”(62). E nonperdeva occasione per rinfacciare al Governo gliingenti capitali sprecati per una presunta mis-sione di civilizzazione delle popolazioni residen-ti nelle terre che divennero poi colonie italiane,senza mai aver iniziato un’opera di civilizzazio-ne delle plebi del Regno italico.

Non gli sembrava nemmeno possibile agireper mezzo di leggi speciali, poiché vorrebbe direaspettare “il miracolo di un Governo-Provviden-za da un regime politico, che sino ad ora ci hadato dei Governi-Vampiro.”(63) E visto che i pro-blemi esistevano in tutte le regioni, significavafare leggi speciali per ognuna di esse.

Non era nemmeno convinto dalle nascenti tesiche attribuivano il dislivello a fattori di naturaeconomica, supponendo un Nord diventato ric-co grazie allo sfruttamento del povero Sud, e atal proposito ricordava come la ricchezza delleregioni padane sia il “prodotto storico di secolarifatiche, nel qual prodotto di prosperità non haquindi nessuna colpa né merito il Governo at-tuale. Sarebbe agevole il dimostrare, per contra-rio, sotto alcuni aspetti, come quella superioritàsi è mantenuta e cresciuta non mercè, ma nonostante tutti gli svantaggi che alla Lombardia ealla Toscana recarono certe istituzioni arretrateintrodottevi nel 1859 e 1860 colla dispotìa unifi-catrice e accentratrice della Dinastia Piemonte-se”(64).

E a chi sosteneva l’incapacità morale e ammi-nistrativa dei meridionali di “provvedere a sestessi in regime di piena autonomia” ricordavache il primo vero economista fu un certo AntonioSerra(65) e che nel 1755 all’Università di Napoli,venne fondata la prima Cattedra di Economia inEuropa, finanziata da un privato, Bartolomeo In-tieri e occupata da Antonio Genovesi(66).

Arcangelo Ghisleri manifestava la sua fiducianel popolo meridionale, riconoscendo auspicabi-le e indispensabile l’instaurazione di un regimedi autonomie regionali, amministrative e legi-slative, e quindi la creazione di uno Stato fede-rale, ma riteneva indispensabile, per raggiunge-

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Le razze umane e il Diritto nella questione co-loniale, 1896

(61) Arcangelo Ghisleri, La questione meridionale e la sua logi-ca soluzione (Bergamo: Tipografia Fratelli Bolis, 1906, p. 11)(62) A. Ghisleri, Ibidem, p. 7(63) Ibidem, p. 34(64) Ibidem p. 29(65) Nato a Cosenza e vissuto tra la metà del Secolo XVI e lametà del Secolo XVII, pubblicò nel 1613 il suo Breve trattato

delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e ar-gento dove non sono miniere, con applicazione al regno diNapoli, nel quale dimostrò che il saldo in positivo della bi-lancia commerciale di un paese dipende da un regolare fun-zionamento del sistema economico. Questo saggio è statoconsiderato uno dei primi trattati di economia. (66) A. Ghisleri, La questione meridionale, cit., pp. 53-54

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re tale obiettivo, la volontà delle popolazioni in-teressate(67). E “la salute del mezzogiorno nonpuò essere che l’opera, e se occorre, la conqui-sta, dei meridionali”(68).

“L’ultima obbiezione, che è quella da tutti ri-detta – e la si ridice, per pappagallismo o per pi-grizia intellettuale, anche da chi più non la cre-de – è quella, che unregime di autonomieregionali, ammini-strative e legislative,metterebbe in perico-lo l’Unità d’Italia”(69).

“È invece ormaiunanime la constata-zione che l’attualereggimento unitarioha immensamentenociuto alla forma-zione di quell’Unitàmorale, che si appa-lesa invece un pro-dotto della libertà edelle autonomie neireggimenti federativi,persino là dove (co-me nella vicina Sviz-zera) si tratta di po-polazioni diverse dilingua, di razza, direligione”(70).

Il ritorno alla vita e la nascita di “Cuore e Critica”

“Come vedete dalla data di questa lettera fuitrasferito da Matera a qui, con mia soddisfazio-ne, poiché desideravo venire in Alta Italia e Sa-vona è città piena di moto industriale, e benchébigotta, in troppe cose ci si sta meglio che lag-

giù”(71). Con queste parole, del gennaio 1887, Ar-cangelo Ghisleri annunciava con soddisfazione aNapoleone Colajanni il suo trasferimento in Li-guria. E fu proprio questo ritorno alla vita e al-l’attività politica che lo portò, in quello stessoanno a fondare una nuova creatura: la rivista“Cuore e Critica”. Questo titolo non piacque a

Turati che riteneva“quel Cuore […] de-gno del De Ami-cis”(72), ma trovòmolto interessante ilprogramma. Gli ar-gomenti trattati spa-ziavano dal federali-smo, affrontato nonsolo a livello teorico,ma anche comparatosugli esempi di StatiUniti e Svizzera, allaquestione sociale eallo sviluppo del mo-vimento operaio,con particolare rife-rimento a quanto av-veniva nei più evolu-ti Paesi europei. Ven-nero inoltre pubbli-cati i testi di alcunediscussioni parla-mentari, una dellequali portò alla fa-

mosa polemica con l’on. Bovio sulle razze uma-ne e sulla questione coloniale. In sintesi Giovan-ni Bovio sosteneva che non potesse esistere undiritto alla barbarie e, sulla base di questo con-cetto, pur condannando politicamente l’impresaafricana avviata da Agostino Depretis (1813-1887)(73) e poi continuata da Francesco Crispi

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(67) Ibidem, pp. 61-63(68) Ibidem, p. 37(69) Ibidem, p. 61(70) Ibidem, p. 62(71) Lettera di A. Ghisleri a N. Colajanni del 26 gennaio1887, in Salvatore Massimo Ganci, Democrazia e socialismoin Italia (Milano: Feltrinelli, 1959, pp. 109-111)(72) Lettera di F. Turati ad A. Ghisleri del 16 dicembre 1886,in L. Dalle Nogare, Op. cit., p. 294(73) Agostino Depretis venne eletto nel 1848 deputato al par-lamento subalpino. Di orientamento mazziniano, se ne al-lontanò dopo il fallimento dei moti di Milano del 6 febbraio1853. Nel 1860 venne nominato pro-dittatore in Sicila, nel1862 ministro dei Lavori pubblici nel gabinetto Rattizzi. Mi-nistro della marina durante la guerra del 1866, approvò il di-

sastroso attacco ai forti di Lissa. Il 25 marzo 1876 formò ilprimo governo di Sinistra. Restò al potere, quasi ininterrot-tamente fino alla sua morte, nel 1887. In politica interna ilsuo nome è legato alla prassi del trasformismo, vale a direalla ricerca di un appoggio esterno al governo, medianteconcessioni fatte a una parte forze d’opposizione, per farleentrare nel governo. Nel 1882 venne allargata la base eletto-rale, che diede il diritto di voto al 6,9% della popolazione,erano esclusi i nullatenenti e gli analfabeti. Nello stesso an-no strinse un patto difensivo di reciproca assistenza con Au-stria-Ungheria e Prussia (Triplice alleanza). Con l’acquistodalla compagnia di navigazione Rubattino della baia di As-sab, sul Mar Rosso, ebbe inizio il colonialismo italiano inAfrica. Nel gennaio del 1887 cinquecento soldato italianivennero massacrati presso Dogali.

Annina Speranza (Da: A. Benini, Vita e tempi diArcangelo Ghisleri, 1975)

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(1818-1901)(74), giustificava e sosteneva la mis-sione colonizzatrice dell’Italia in nome della lot-ta all’inciviltà. Ghisleri rispondeva contestandol’esistenza di una razza superiore e ricordandoche anche la razza bianca posava le sue fortunepresenti su un passato fatto di barbarie e di in-giustizie, che continuavano tuttora in vaste areedel Regno d’Italia, soprattutto nel Sud. “Io nonho negate – spiegava il Ghisleri – le differenzedelle razze; bensì queste differenze non conside-ro stabili e insanabili”(75). “Non ho mai parlatodi “assoluta parità umana” […] ma l’inferiorità ela superiorità contemplo come fenomeno stori-co, relativo nel tempo come nello spazio”(76). Enella prefazione alla prima edizione spiegava:“contro la nota sentenza del Bovio “non esserviun diritto della barbarie” ho tentato di sostenereche la disparità delle razze non deve creare di-sparità del diritto”(77). In riferimento all’esempiodegli Stati Uniti d’America ribadiva:

i Negri hanno confermato la loro educabilitàcon un “crescendo” di cui l’on. Bovio ricerche-rebbe invano l’uguale nelle statistiche riguar-danti, poniamo, le province nostre del Sud d’Ita-lia, dopo trent’anni di regno unitario(78).

Con grande lucidità aggiungeva:Il pensiero, adunque, che è la civiltà, non sem-

pre si espande con le armi e colle stazioni mer-cantili. Più spesso colle armi si estendono inte-ressi di speculatori, i quali diffondono non giàpensieri, ma monopolii, e invece di espandere laciviltà, non fanno che mutare nome alla servitùde’ paesi colonizzati(79).

Il ruolo del Ghisleri all’interno di “Cuore eCritica” fu però prevalentemente di carattereamministrativo, e questo fino al marzo del 1890,quando Filippo Turati rilevò le quote, diventan-do il nuovo direttore, e cambiò il nome del gior-nale in “Critica Sociale”, che divenne di lì a bre-ve il più importante veicolo di diffusione del So-cialismo riformista in Italia.

In quegli anni Ghisleri fu colpito da una lungaserie di tragedie familiari: il 7 aprile 1887 morìsuo figlio Licinio, di tre anni; il 20 agosto suc-cessivo la sorella Luigia, detta Bigina, di dician-nove, che da tempo era soggetta a forti febbri eda alcuni mesi era data per spacciata; inoltre,nel gennaio del 1888 scomparve Ugo, gemello diAurora, di soli due anni, e nel successivo ottobrefu la volta della ventitreenne Rosina, altra sorel-la di Arcangelo, con la quale aveva una saltuariacorrispondenza, ma che era ammalata da qual-che anno(80).

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(74) Francesco Crispi, uomo politico siciliano, nacque nel1818 a Ribera, nei pressi di Agrigento. Repubblicano e auto-nomista siciliano venne espulso dall’isola dopo il fallimentodei moti del 1848. Durante gli anni del suo esilio si avvicinòalle posizioni del Mazzini, abbandonando le rivendicazioniautonomiste e sostenendo la costituzione di un’Italia unita-ria. Affiliato alla massoneria fu uno degli organizzatori dellaspedizione garibaldina in Sicilia. Nel 1865 abbandonò anchele posizioni repubblicane, per abbracciare quelle monarchi-che. Fu Presidente del Consiglio dal 1887 al 1891 e dal 1893al 1896. In politica interna era volto alla salvaguardia del-l’ordine pubblico e represse i Fasci siciliani, e i disordini inLunigiana. In politica estera rinnovò la triplice alleanza e

continuò la politica coloniale avviata da Depretis, arrivandoalla formazione della colonia d’Abissinia nel 1889 e d’Eritreanel 1890. La sconfitta di Adua il 1° mazo 1896 pose fine allacarriera politica di Crispi. Morì a Napoli, nel 1901.(75) Arcangelo Ghisleri, Le razze umane e il diritto nella que-stione coloniale, a cura di Romain Rainero (Milano: Marzo-rati, 1972, Ia ed. 1888, p. 64) (76) Ibidem, p. 70(77) Ibidem, p. 23(78) Ibidem, p. 130(79)Ibidem, p. 36(80) A. Benini, Vita e tempi, cit., pp. 56-59; G. Triacchini, Op.cit.

I coniugi Ghisleri nel 1908 a Bergamo

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L’impegno geograficoLa cessione di “Cuore e Critica” fu dovuta an-

che agli studi geografici, ai quali Ghisleri si stavadedicando da un paio d’anni. Infatti, nel periodoin cui insegnò Geografia a Matera, si scontrò conla realtà dei libri di testo adottati nelle scuole ita-liane che, caso unico in Europa, non avevano ri-ferimenti cartografici, affidando la localizzazionedegli eventi alla fantasia dello studente o, per ipiù fortunati, alla consultazione separata di unatlante. Arcangelo Ghisleri elaborò così un suoPiccolo manuale di geografia storica e, una voltastabilitosi a Bergamo, trovò in Paolo Gaffuri(1849-1931) un editore disposto a pubblicarglielo(ottobre 1888). Il successo del piccolo manuale futale che, dopo soli quattro mesi, si dovette proce-dere a una ristampa(81).

Inoltre, il 15 maggio 1891, uscì il primo nume-ro de la “Geografia per tutti”, un quindicinale vo-luto dal Ghisleri come approfondimento geografi-co orientato verso la ricerca di collaboratori affer-mati e disposti a scrivere per un pubblico di meriappassionati, “bisogna – scriveva – che i dotti, glispecialisti, abbiano meno disprezzo per i “dilet-tanti” e i “profani” ma li cerchino e siano lor lar-ghi e generosi della propria scienza”(82), era ilconcetto di divulgazione democratica della cultu-ra. In questa rivista era stata prevista anche unarubrica intitolata La geografia di casa nostra, cheaveva lo scopo di dedicare spazio alle numeroserealtà locali nelle loro diverse rappresentazionieconomiche, sociali, culturali, tradizionali e per-fino dialettali, incluse le corrette pronunce deinomi delle località. Queste “monografie locali”dovevano essere basate esclusivamente su fonticerte, e prive di qualsiasi forma di retorica, e l’in-vito a realizzarle era rivolto prevalentemente a“ingegneri, maestri e segretari comunali, parrocidi campagna, sindaci, medici condotti e quanti al-tri erano in grado di raccogliere e inviare “infor-mazioni locali esatte, e verificate sul posto”(83).

Grazie alle pubblicazioni storico geografichedel Ghisleri, nel giugno 1893, la piccola tipografiadei fratelli Cattaneo, che era stata rilevata da Gaf-furi e Gatti, si trasformò nell’Istituto Italiano

d’Arti Grafiche, ormai in primo piano nella carto-grafia europea(84).

“Le comunicazioni di un collega” era il titolodi un bollettino bimestrale, pubblicato tra il1894 e il 1911, che veniva inviato gratuitamenteagli insegnanti di Storia e Geografia delle scuolesecondarie, nel quale venivano trattati temi d’at-tualità, di scienza e di politica, tanto da esseredefinito “un congresso permanente”.

Nel 1893, grazie a un premio ricevuto dallaSocietà Geografica Italiana e a un contributo delMinistero della Pubblica Istruzione, ArcangeloGhisleri varcò le Alpi e in treno oltrepassò il SanGottardo per raggiungere da prima Parigi, poiLe Havre, dove si imbarcò alla volta di Chicago,sede dell’Esposizione Universale. Vista la preca-ria situazione economica in cui si trovava, si av-valse della collaborazione di alcuni amici mila-nesi per nascondere il suo viaggio alla moglieAnnina, che si trovava a Piario, presso sua ma-dre, con una figlia. Negli Stati Uniti Ghisleri virestò per quaranta giorni, vissuti intensamentealla ricerca di informazioni e nuovi spunti. Netornò culturalmente arricchito, anche da nuoveidee editoriali, che si materializzarono in unanuova rivista intitolata “Emporium”, attiva so-prattutto nel settore artistico, scientifico, geopo-litico e geografico. Con essa riuscì nel difficilecompito di superare i settarismi ideologici e gliaccademismi, annoverando nella lista dei suoicollaboratori personaggi di formazione moltodiversa tra loro. Il risultato fu una rivista nuovae moderna, che rimase unica nel suo genere(85).

La soddisfazione più grossa, in campo geogra-fico, arrivò dalla pubblicazione, tra il 1905 e il1909 dell’Atlante d’Africa. Inizialmente a fasci-coli, successivamente rilegato in un’unica opera,l’Atlante è stato definito dallo stesso autore lasua “opera più importante”(86) e ricevette enco-mi a livello mondiale, tanto che il generale A. WGreely, del “National Geographic Magazine” af-fermò, nel maggio del 1910, che il miglior atlan-te d’Africa non era stato pubblicato in Germa-nia, già all’avanguardia negli studi geografici,bensì in Italia(87) In Italia, però, non ebbe le ri-

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(81) Ibidem, pp. 75-80(82) A. Ghisleri, su La Geografia per tutti, n°16, 31 agosto1892, p. 247 riportato da: Carlo G. Lacaita, Democrazia e di-vulgazione scientifica in Arcangelo Ghisleri, cit. p.87.(83) Ibidem, p. 88 (84) A. Benini, Vita e tempi, cit. pp. 92-93(85) Ibidem, pp. 92-97; Gualtiero Nicolini, Gli ultimi anni divita di Arcangelo Ghisleri, in AA. VV, Arcangelo Ghisleri. At-

tualità del pensiero politico, cit. pp. 95-102(86) A. Ghisleri, “L’Atlante d’Africa”, su Le Comunicazioni diun collega, n° 119, settembre 1927, p. 20 (87) Cfr. Giorgio Mangini, Il contesto editoriale e culturaledell’Atlante d’Africa di Arcangelo Ghisleri, in Emanuela Ca-sti Moreschi e Giorgio Mangini, Una geografia dell’altrove.L’Atlante d’Africa di Arcangelo Ghisleri (Cremona: EdizioniLinograf, 1997, p. 84)

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conoscenze che si meritava, e questo per duefondamentali motivi: da un lato l’Istituto nonera disposto ad avventurarsi in imprese editoria-li incerte, e dall’altro l’ottica in cui Ghisleri ve-deva questo suo lavoro, ridare all’Africa dignitàumana e culturale, riconoscendo alle sue popo-lazioni il diritto a esistere e a difendere le loroidentità locali, non trovava riscontri, in un mo-mento in cui l’Italia mostrava grande interesseverso la colonizzazione delle terre africane(88).

La rottura con Turati e Bissolati e l’espatrio in Svizzera. La pace e la guerra

Come si accennava precedentemente, l’irrom-pere dell’impegno geogra-fico nella vita di Ghisleri,lo costrinse a cedere la di-rezione di “Cuore e Criti-ca” a Filippo Turati che,dopo aver modificato ilnome in “Critica Sociale”,diede un orientamentospecificatamente socialistaal giornale, facendolo di-ventare il più importanteorgano di diffusione delsocialismo italiano e delledottrine riformiste di Tu-rati. Questo passaggio diconsegne in seno alla dire-zione segnò anche la rot-tura dei rapporti di amici-zia tra Ghisleri e Turati,dovuto prevalentementealla temperata adesione almarxismo del secondo, perquanto l’inclinazione so-cialista dell’avvocato mila-nese non fu mai di totaleappiattimento sulle dottri-ne collettiviste, ma risentìsempre dell’influsso posi-tivista derivato dall’incontro con Roberto Ar-digò, e quindi di un graduale riformismo dellasocietà. I rapporti con Leonida Bissolati conti-nuarono per circa un decennio, fino al 1901,poi, sempre a cause dell’intransigenza ghisleria-na verso il collettivismo e la nascente praticadelle collaborazioni esterne coi governi giolittia-ni operata dai socialisti, si oscurò anche questaamicizia(89).

Attraverso le colonne dell’“Avanti”, Bissolati ei suoi collaboratori, iniziarono ad accusare ilGhisleri, e i repubblicani in generale, di voler fa-

re solamente politica in modo sterile, senza ave-re un reale programma economico per risanareil Paese. Arcangelo Ghisleri, che da poco tempoaveva assunto l’incarico di direttore de “L’Italiadel Popolo”, rispondeva in modo fermo ed ener-gico:

La forma più sincera, più perfetta, insino a quisperimentate, della sovranità popolare ci è offer-ta dalla repubblica federativa, a base di suffragiouniversale, colla rappresentanza proporzionale ecol referendum. Ai semplicisti del marxismoidiota, che ci domandano qual è il nostro pro-gramma economico, rispondiamo: Padronanzapopolare e libertà. La libertà per tutti di parola,

di associazione, di riunione, di coalizione, di pa-cifico conflitto di tutti gli interessi basta a ma-turare, nel crogiuolo della disputa e delle imme-diate e positive necessità tutte le riforme possi-bili; la sovranità popolare basta ad attuarle(90).

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Ghisleri, direttore de La Ragione nel suo studio romano nel 1908(Da: Democrazia come civiltà)

(88) Ibidem(89) P.C. Masini, La scapigliatura, cit., p. 19 e Bruno Di Por-to, Il sodalizio cremonese di Ghisleri, Bissolati e Turati, cit.pp. 28-30(90) Arcangelo Ghisleri, La questione economica e il partitorepubblicano (Roma: Tipografia popolare, 1904, p. 8).

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Quando diciamo sovranità popolare e libertàper tutti gli interessi di farsi valere civilmente,diciamo adunque possibilità di qualsiasi riformaeconomica riconosciuta opportuna dalla co-scienza popolare(91).

In diverse occasioni Ghisleri accusò i sociali-sti di essere “importatori di formole e di gene-ralizzazioni elaborate da due cervelli stranieriche […] non corrispondono alle realtà della no-stra storia”(92), invitando i socialisti a ricercarela loro ispirazione nella tradizione sociale italia-na.

Naturalmente uno spirito irrequieto, come loera Ghisleri, non poteva escludersi dall’attivitàpolitica e fin dal 1897 lo vediamo direttore delsettimanale dell’Associazione Repubblicana Cre-monese, “L’Idea” che tendeva a differenziare l’a-zione repubblicana da quella possibilista e colla-borativa dei Radicali. Come si vede si trattava diun’attività di stampo intellettuale e non di verae propria militanza politica, verso la quale nondimostrerà mai nessuna inclinazione. Non volleinfatti accettare mai le numerose candidatureche gli vennero offerte, e che lo avrebbero sicu-ramente condotto all’elezione alla Camera deiDeputati o nei Consigli Comunali(93).

Secondo il Ghisleri il male più grosso di cuiera vittima il giovane Partito Repubblicano Ita-liano (costituitosi il 21 Aprile 1895) era il “par-lamentarismo”, vale a dire il trasferimento del-l’azione politica dalla sfera sociale, sul territo-rio, a quella parlamentare, nelle aule romane.Affermava in uno dei suoi scritti più importanti,dal sintomatico titolo Il Parlamentarismo e iRepubblicani, che esso paralizzava “l’azione e lapropaganda repubblicana, tanto nella personadei singoli deputati quanto […] nell’organizza-zione stessa del Partito”(94) e sostenendo che “ilcentralismo dei poteri […] crea il parlamentari-

smo”(95), decretò che “il partito guadagnerebbedalla non rielezione di una metà buona delGruppo”(96), poiché aveva verificato che i mi-gliori deputati esercitavano un’influenza politi-ca ed educativa maggiore, prima di essere eletti.

Ghisleri pagò questo suo ritorno all’attivismo,tanto da essere indirettamente coinvolto nei di-sordini di Milano del 1898(97) e, anticipatamenteavvertito di un ordine di cattura emesso controdi lui, fu costretto a rifugiarsi a Lugano, nella vi-cina Confederazione Elvetica. Qui ottenne pres-so il locale Liceo Cantonale la Cattedra di Filo-sofia, proprio quella occupata da Carlo Cattaneotra il 1852 e il 1865.

Dal suo esilio svizzero non trascurò l’attivitàpolitica e, proprio in quel periodo, venne pubbli-cata a Milano una nuova rivista che vedeva ilGhisleri direttore: “L’Educazione Politica”. I te-mi erano quelli cari alla “Rivista Repubblicana”,quali l’allargamento della base elettorale e lacreazione di una repubblica federale, in luogodell’invisa Monarchia Sabauda, ma non poteva-no mancare i dibatti e le polemiche legati alle si-tuazioni politiche del momento e naturalmenteall’anticolonialismo. Con l’arrivo del nuovo se-colo è la questione cinese(98) a fare da protagoni-sta. Ghisleri tornò a riattaccare le tesi che giu-stificano l’intervento quale elemento di civiliz-zazione, e in un articolo su “L’Educazione Politi-ca” affermò:

Noi siamo convinti che la Cina, non per forzadella spedizioni armate, non per forza dei can-noni e delle corazzate, ma per la legge inelutta-bile delle evoluzioni umane, si aprirà gradual-mente al progresso, ai traffici, alle industrie del-la civiltà nostra, e diventerà, col tempo, un im-menso campo di commercio e di produzione. Eallora chi avrà miglior filo in casa propria faràpiù tela: e la gara sarà sempre aperta a tutti gli

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(91) Ibidem, p. 8.(92) Ibidem, p.17.(93) A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit. pp. 97-113(94) A. Ghisleri, Il Parlamentarismo e i Repubblicani (Roma:Libreria Politica Moderna, 1912), p. 86-87(95) Ibidem, p. 89(96) Ibidem, p. 100(97) Un dettagliato resoconto di quelle tragiche giornate ci èstato regalato da Romano Bracalini nel suo saggio “Milano,maggio 1898: la grande paura della rivoluzione”, su Quader-ni Padani, n.16, Marzo-Aprile 1998, pp. 3-21(98) Sul finire dell’800 la Cina, a seguito della guerra persa conil Giappone (1894), dovette assistere alla cosiddetta “spartizio-ne della Cina” in sfere d’influenza tra le diverse potenze euro-

pee, e venne posta in una posizione di sudditanza verso Rus-sia, Gran Bretagna, Germania e Francia, che ne avevano occu-pato anche parte dei territori, con concessioni economiche oaffitti di porti strategici. L’Italia ottenne l’affitto del porto dellabaia di Tientsin, che conservò fino alla fine della SecondaGuerra Mondiale. Fallito il tentativo dell’imperatore Kuang-hsü di riorganizzare lo Stato in funzione difensiva, ci provòun’organizzazione segreta xenofoba (Pugno della giustizia edell’armonia) che godeva dell’appoggio dell’imperatrice ma-dre, Tzu-hsi (1834-1908). La rivoluzione dei boxers, comevennero chiamati i suoi affiliati, portò all’assedio delle legazio-ni europee, tra il giugno e l’agosto del 1900 e all’uccisionedell’ambasciatore tedesco. Ne conseguì l’istituzione di unaforza multinazionale alla quale prese parte anche l’Italia, cheriportò la situazione sotto il controllo delle forze straniere.

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onesti e pacifici concorrenti. Ma prima che que-sto avvenga anni ed anni dovranno trascorrere emolta acqua passare sotto i ponti del FiumeGiallo(99)

Poi, con vena quasi profetica, valutava comequesta missione non avrebbe portato altro che“una nuova colonia Eritrea cento volte più co-stosa, perché dieci volte più lontana da noi, im-piantata su qualche punto deserto e sterile dellacosta cinese il quale sarà dato a noi in elemosinadopo che russi, inglesi, francesi, americani egiapponesi si saranno convinti che nulla di buo-no c’è da fare e nulla di utile da ritrarne”(100).

Al 1898 risalgono anche i primi contatti conGaetano Salvemini (1873-1957)(101), a quel tem-po socialista, che interpellò il Ghisleri per ap-profondire la sua conoscenza del pensiero politi-co del Cattaneo. Ne nacque una sincera amiciziache portò Salvemini a pubblicare alcuni suoi ar-ticoli sulla questione meridionale su “L’Educa-zione Politica”. Anche questo rapporto però nondurò a lungo, a causa dell’accettazione del Ghi-sleri, nel maggio 1901, dell’incarico di direttorede “L’Italia del Popolo”, quotidiano del PartitoRepubblicano, fondato da Dario Papa (1846-1897)(102) nel 1890.

Entrambi gli incarichi ebbero breve durata: al

termine del 1901, scaduti i termini pattuiti congli editori, lasciò “L’Italia del Popolo” e l’annosuccessivo terminarono le pubblicazioni de “L’E-ducazione Politica”. Successivamente si ebbe ilritorno del Ghisleri in patria e la sua collabora-zione con la Federazione Internazionale del Li-bero Pensiero(103). Vi fu anche un nuovo avvici-namento al PRI, soprattutto dopo la fondazionedel nuovo quotidiano “La Ragione”, che lo videdirettore a partire dal 19 dicembre 1907. Per co-prire questo incarico si dovette trasferire a Ro-ma, ma si trovò a disagio con l’ambiente di pa-lazzo, che non conosceva, e perfino con i com-pagni di partito non riuscì a legare. In questoperiodo si sviluppa l’amicizia con Giovanni Con-ti (1883-1957)(104), che si trovava a Roma in qua-lità di studente alla facoltà di Giurisprudenza,ma col quale stava tenendo una costante corri-spondenza fin dal 1905(105).

Erano anni in cui Ghisleri nutriva forti spe-ranze verso il Partito riponendovi tutta quella fi-ducia che non aveva verso l’intero sistema poli-tico, comprese le altre forze dell’opposizione, enel 1908, rispondendo all’invito di TerenzioGrandi di inviare una frase da pubblicare dietrouna sua cartolina ritratto, affermava con lungi-miranza:

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(99) Arcangelo Ghisleri, “L’Italia in Cina”, su L’EducazionePolitica” 15 luglio 1900, citato in Romani Rainero, La politi-ca coloniale nelle riviste di Arcangelo Ghisleri, su AA.VV, Iperiodici ghisleriani, cit. p. 145. (100) Arcangelo Ghisleri, “Guerra di selvaggi e di ladri”, suL’Educazione Politica” 15 luglio 1900, citato in Romain Rai-nero, La politica coloniale, cit., p. 145(101) Gaetano Salvemini: nato a Molfetta, nei pressi di Bari,nel 1873, fu insegnante a Lodi nel 1898, dove ebbe modo diconoscere le teorie di Carlo Cattaneo e così di entrare incontatto col Ghisleri. Il 28 dicembre 1908, nel terremoto diMessina, perse la moglie, la sorella e cinque figli. Repubbli-cano, democratico, anti-monarchico e federalista, giudicavaTurati troppo moderato e nel 1911, in seguito alla guerra diLibia, lasciò il PSI e fondò una delle riviste più importantidel suo tempo: “L’Unità”. I contrasti con Turati continuaro-no per tutto il periodo giolittiano poiché, secondo l’opinionedi Salvemini, il leader socialista aveva lasciato la massima li-bertà d’azione nel Mezzogiorno al Primo Ministro, in cambiodi favoritismi concessi alla classe operaia del Nord. Le accu-se, fin troppo severe, continuarono anche a fronte della sali-ta al potere di Mussolini. Non aderì al fascismo e fu uno deidodici docenti universitari che si rifiutarono di giurare fe-deltà al regime e dovette dimettersi. Rifugiatosi in Francia, aLondra e infine a Boston, negli Stati Uniti d’America, fu tra ifondatori di Giustizia e Libertà e negli USA di batté contro ilfascismo, contro il comunismo e contro la monarchia. Feceritorno solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Lu-cido e di grande portata innovativa fu il suo pensiero meri-dionalista, che si orientava verso una pratica di autogoverno

e di autonomie locali. Morì a Sorrento nel 1957.(102) Dario Papa: nato a Rovereto nel 1846, resta orfano pre-stissimo. Cresce a Vienna presso una zia acquisita. Ritornatoin Trentino esordisce nel giornalismo lavorando per “L’Are-na”. Volontario garibaldino nel 1866, anche se inizialmentesu posizioni filo-monarchiche, aderisce alle teorie federalistedopo un viaggio negli Stati Uniti d’America, resosi necessa-rio a seguito di una polemica con Alberto Mario che soste-nendo le idee del Cattaneo spiazzava il Papa, lasciandolosenza possibilità di replica. Mostrando grande professionalitàPapa decise di andare a visitare in prima persona un Paesenel quale il federalismo era una realtà concreta. Ne tornòprofondamente cambiato. Da allora tutte le sue forze venne-ro spese a sostegno della battaglia democratica, repubblica-na e federalista, anche in seno allo stesso Partito Repubbli-cano. Morì in seguito alla tubercolosi, il 23 gennaio 1897. (103) Organizzazione culturale fondata nel 1880 e avente perscopo la diffusione di idee laiche e anticlericali. Per maggioriinformazioni si veda: Guido Verucci, L’Italia laica prima edopo l’unità: 1848-1876 (Bari: Laterza, 1981)(104) Giovanni Conti: nato a Montegranaro, nelle Marche, nel1882, si laureò in Giurisprudenza, a Roma, dove esercitò laprofessione di avvocato. Interventista e volontario nella Pri-ma Guerra Mondiale, fu deputato dal 1921 al 1924 e rappre-sentò l’opposizione repubblicana più intransigente. Conti-nuò la sua attività parlamentare anche nel secondo dopo-guerra e morì a Roma, l’11 marzo 1957. (105) Cfr. Antonluigi Aiazzi, Democrazia come civiltà. Il car-teggio Ghisleri-Conti: 1905-1929 (Milano: Editrice PoliticaModerna, 1977)

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Noi prepariamo il domani senza ambizioni dipotere. La repubblica verrà, ma non sarà fattadai circoli o dal partito che ne fu banditore fede-le. Essa verrà quando i conservatori stessi la in-vocheranno come unica salvezza e guarentigiad’ordine sociale; e la vorranno i socialisti comelo strumento più idoneo per celebrare tutte leconquiste e tutti i progressi popolari. Ma noi,anche allora, tra la subdola conversione degliuni e le scatenate cupidigie degli altri, noi, inve-ce che al potere, ci troveremo anche allora al-l’opposizione, per salvaguardare la nostra idea-lità contro tutte le cupidigie e contro tutte leprepotenze(106).

L’entusiasmo non durò molto e nel 1911, conl’appoggio dato dal PRI al Governo per la guerracontro la Libia, Ghisleri abbandonò qualsiasi ti-po di collaborazione con esso. Crollò la sua sti-ma nel partito e in una missiva all’amico Grandiconfidava: “Ricordate la mia cartolina che stam-paste dieci anni fa? I repubblicani d’Italia faran-no la repubblica quando la predicherà il Corrie-re della sera”(107). L’opposizione all’interventomilitare riavvicinò il Ghisleri al Salvemini, malo allontanò da buona parte dei militanti repub-blicani. Ghisleri si domandava perché quell’e-norme quantità di denaro pubblico non fosse in-

vestita per redimere le plebi italiane che, in mol-te zone del Paese, e soprattutto nel Sud del Re-gno sabaudo, vivevano ancora in condizioniinaccettabili. Inoltre, da profondo conoscitoredella realtà africana, affermò che le coste libichenon erano fertili nemmeno come quelle calabre-si, e che quindi, anche sotto il profilo economi-co, la conquista della Libia si sarebbe rivelataun’avventura tutt’altro che proficua(108).

Gli avvenimenti internazionali fecero precipi-tare l’Europa, tre anni dopo, in una gravissimacrisi, che portò allo scoppio della Prima GuerraMondiale. In quell’occasione Arcangelo Ghislerisi schierò con il fronte dell’interventismo demo-cratico e, su incarico di Giovanni Conti, compilòl’11 agosto 1914 un “Manifesto Repubblicano”,nel quale spiegavano le ragioni di una similescelta allo scopo di provocare la redenzione, nondelle terre, bensì dei popoli, soggetti al giogo delmultietnico Impero Austro-Ungarico, e quindiin appoggio al diritto dei popoli all’autodecisio-ne(109). Tutto questo accadeva dopo l’adesionedel Ghisleri alla Società Internazionale per la Pa-ce di Ernesto Teodoro Moneta (1833-1918)(110),per la quale aveva tenuto numerosi convegnicontro le teorie dei nazionalisti, che chiedevanola liberazione delle “terre irredente” attraverso

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(106) Terenzio Grandi, Montariele. Pagine di diario e ricordidi un mazziniano, a cura di Alessandro Galante Garrone (To-rino, Ca dë studi piemontèis, 1968) p. 62.(107) Lettera di Arcangelo Ghisleri a Terenzio Grandi del 11ottobre 1918, in Lorenza Grandi, L’intransigente el’idealista, cit., p. 104Il “Corriere della Sera” infatti si trovava, ieri come oggi, suposizioni conservatrici, in pieno sostegno ai poteri forti del-l’alta finanza. La “profezia” del Ghisleri appare assai beffardase si pensa che alcuni decenni dopo, nel secondo dopoguer-ra, numerosi uomini del PRI divennero collaboratori delquotidiano milanese, e alcuni di questi anche direttori. A co-ronare il tutto, un esponente della famiglia che controlla ilgiornale, Susanna Agnelli, fu senatore e ministro, proprionelle file di quel Partito Repubblicano Italiano, che nel frat-tempo aveva ormai ammorbidito le proprie posizioni, so-prattutto in materia di federalismo.Nonostante la cospicua presenza di repubblicani il “Corrieredella Sera” non si distinguerà mai per ricordare il grandeuomo che fu il Ghisleri ma, al contrario, dopo poche e stru-mentali commemorazioni, lo lascerà cadere nell’oblio in cuisi trova negli ultimi anni.(108) A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit., pp.151-178.(109) In realtà, va ricordato, questo manifesto era composto daun concentrato di retorica tipica del patriottismo cosiddettorisorgimentale, in esso si poteva leggere: “Anche in questa oratragica e solenne […] la monarchia sabauda mostrasi inetta ariassumere […] l’anima vera dell’Italia nuova, uscita daglieroismi del Risorgimento. Mazzini e Garibaldi direbbero oggi

al paese parole di eccitamento e di condanna che romperebbe-ro questa morta gora di viltà acquiescenti. […] Or mentre ilnuovo Arminio della Sprea, colla tradizionale slealtà dell’anti-co eroe dei Cherusci, convoca le sue orde per assalire la civiltàlatina e schiacciarla sulle rive della Mosa e del Reno – e lospettro del Sacro Romano Impero Germanico esce dal sepol-cro dell’istoria per ridurre tutte le nazioni libere in vassallag-gio – […] i voti degli italiani non degeneri […] volano irresi-stibili a confortare i popoli oppressi. […] L’Inghilterra, che in-terviene nella lotta per difendere la neutralità di una piccolanazione invasa, avrebbe oggi il plauso di Garibaldi, che se po-tesse levarsi dalla tomba, volerebbe, come nel 1871, in soccor-so della Francia. […] O sui campi di Borgogna per la sorellalatina o a Trento e Trieste. E a guerra finita, per la nuova santaalleanza dei popoli, per gli Stati Uniti d’Europa”.Una riproduzione della pagina de “L’Iniziativa” del 15 Agosto1914, nella quale venne pubblicato questo manifesto, la sipuò trovare su: A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri,cit. pp 74-75 (110) Ernesto Teodoro Moneta: figlio di un piccolo imprendi-tore milanese, partecipa ancora bambino all’insurrezione diMilano del 1848 ed è volontario nei Cacciatori delle Alpi nel1859. Nel 1866, dopo i cruenti combattimenti della battagliadi Custoza, matura le sue concezioni pacifiste. Fonda nel1898 “La vita internazionale”, organo ufficiale dell’UnioneLombarda per la Pace. Nel 1907 riceve il premio Nobel per lapace. Nel 1915 si schiera a favore dell’intervento militarecontro gli Imperi centrali, convinto che un popolo dovesseessere educato alla pace e alla fratellanza e contemporanea-mente essere preparato a difenderla con le armi.

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un’operazione militare. Al contrario proponevaappunto, l’irredentismo dei popoli, vale a dire ilriconoscimento dei loro diritti all’interno del-l’Impero asburgico, quindi senza inutili carnefi-cine(111).

Invece, fin dai primi mesi di combattimentorisultò chiaro al Ghisleri che l’intervento del Re-gno d’Italia era finalizzato a una guerra di meraespansione e non di liberazione di popoli. Suqueste posizioni si trovava anche Gaetano Salve-mini. I due studiosi si impegnarono attivamentedurante gli anni del conflitto, per un’opera disensibilizzazione sul diritto dei popoli all’auto-determinazione, avendo però particolare riguar-do per le zone di popolazione miste, contese tradue stati confinanti. Occorreva garantire in taliaree i diritti delle minoranze, indipendentemen-te dai confini successivamente stabiliti. Il suopensiero venne sintetizzato nel discorso tenutoal primo Congresso della Famiglia Italiana dellaLega Universale per la Società delle Libere Na-zioni, a Milano, tra il 14 e il 16 dicembre 1918 epoi pubblicato sotto il titolo Il concetto eticodella nazione e l’autodecisione nelle zone con-testate. Ma l’autodecisione nel pensiero ghisle-riano si muoveva su due binari, distinguendo tradiritto di una collettività di popoli (appunto laNazione) e quello di ogni singolo popolo o partedi esso. Ed è alla prima che Ghisleri riconoscevail diritto all’autodeterminazione e quindi non al-le isole etniche, alle quali però dovevano co-munque essere garantiti tutti i diritti, mediantela costituzione di uno Stato federale. Ghislericlassificava le zone di popolazione mista in duetipi: un primo in cui gli emigrati giunsero su unterritorio disabitato in qualità di coloni, quindiconsiderati “occupatori del suolo” e pertanto so-vrani, e un secondo nel quale arrivarono su invi-to delle popolazioni residenti, per colonizzare,ad esempio, territori rimasti fino ad allora incol-ti. Questi ultimi dovevano essere considerati“ospiti d’altra gente, […] forestieri in casa al-trui” e non veniva riconosciuto loro il diritto didecidere delle sorti di quel territorio, nemmenonel caso in cui vi risiedevano da moltissimotempo(112). Ne deriva che Ghisleri, basandosisulle teorie di Giuseppe Mazzini (1805-1872),interpretava in senso ampio il concetto di nazio-ne, che comprendeva unità plurinazionali, e nonriconosceva il diritto di un popolo di separarsida quella che era definita come la famiglia di ap-partenenza. Si tratta di una chiara limitazione,di derivazione mazziniana, al concetto di sovra-nità popolare.

Ghisleri e Salvemini, ai quali si affiancò poianche Leonida Bissolati, alla fine del conflittosostennero una pace di giustizia e non di ven-detta, erano quindi contrari a qualsiasi umilia-zione dell’avversario, così Ghisleri si dedicò atti-vamente al processo di pacificazione e di autode-cisione delle Nazioni soggette all’Austria-Unghe-ria e, il 3 novembre 1918, compilò un manifestorepubblicano nel quale dichiarava di schierarsiper una pace giusta e duratura, sotto il patroci-nio della Società delle Nazioni. A tale scopo ten-ne anche una serie di Conferenze e pubblicò nu-merosi scritti tra i quali: L’Istria Italiana e latradizione perenne del nostro confine orientale,L’Istria italiana e le Alpi secondo Mazzini, Ilconcetto etico della nazione e l’autodecisionenelle zone contestate e Che cos’è una nazione,

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La questione meridionale, 1906

(111) A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit. pp.151-178(112) A. Ghisleri, Il concetto etico della nazione e l’autodeci-sione nelle zone contestate (Milano: 1918), pp. 13-14.

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come tracciare i confini, tutti nel 1918, mentreAustria and Italy in ralation to the war aims ofthe world’s coalition e Le zone di popolazionemista dell’Italia e della Jugoslavia vennero pub-blicati nel 1919(113).

L’ultima battaglia: l’antifascismoTra il 1915 e il 1921 Ghisleri tornò a vivere a

Lugano dove dedicò molto tempo a un colossaleprogetto, quello di realizzare un Museo storicodegli esuli italiani che comprendesse tutto ilmateriale raccolto in terra elvetica sui rifugiatipolitici italiani, e avente sede nella casa di Casta-gnola, nei pressi di Lugano, dove Carlo Cattaneoera morto nel 1869. Il sogno venne realizzato il20 settembre 1923, anche se non nei termini dalui delineati. La sede fu stabilita a Como, pressola Casa del Popolo, ma a seguito dell’intromis-sione fascista venne sfrattato e trasferito pressoil Museo del Risorgimento di Milano(114).

Ghisleri non lasciò immuni nemmeno gliSvizzeri dai suoi lapidari attacchi, nonostante,come abbiamo visto, avesse chiamato Elveziauna delle sue figlie, e il 12 giugno 1916 scrivevaall’amico Terenzio Grandi:

durante il mio soggiorno di questi mesi m’ènato un dubbio, che non era mai sorto nell’ani-mo mio: e cioè, che le autorità della cosiddettaSvizzera Italiana non siano le più sicure né lepiù amorevoli tutrici desiderabili del nostro Mu-seo. In balia delle beghe dei due partiti, clericalee radicale, limitatissimi entrambi di vedute, as-sorbiti dalle limitazioni di campanile e di setta,io non sento per tale tutela quella fiducia chesentirei se il nostro caro deposito di memoriegelose di verità storiche bandite o boicottate ve-nisse affidato invece alla Svizzera romanda – piùelevata di coltura e di tradizioni antisavoiane(Ginevra s’emancipò lottando coi duchi di Sa-

voia) o, perfino, per la serietà della razza e dellacoltura alla Svizzera tedesca(115)!

Durante gli anni dell’esilio svizzero due lutticolpirono nuovamente la famiglia Ghisleri: nel1917 morì il fratello Agostino e il 5 dicembre1920 si spense la moglie Annina, da anni soffe-rente di crisi nevrotiche e per lungo tempo rico-verata a Villa Turro, a Milano, nella Casa di salu-te del professor Badeschi. I funerali ebbero luo-go il 7 dicembre, alle 11, presso la Casa di cura,in una giornata fredda e piovosa. Il cofano delferetro venne ricoperto di rose e garofani, donatidai giovani delle associazioni repubblicane e dal-la Sezione Milanese del Libero Pensiero, ai latidel carro funebre vennero poste delle corone.Ghisleri raccolse alcuni di questi fiori e li con-servò per sempre, in ricordo delle sua cara estin-ta(116).

Gli ultimi anni furono caratterizzati dal trion-fo del fascismo e dal progressivo isolamento delGhisleri. La sua predisposizione all’insegnamen-to, alla formazione culturale delle nuove genera-zioni e la costante attualità del suo pensiero, sievincono dai rapporti di intensa amicizia colti-vati con un nutrito gruppo di giovani che avreb-be rappresentato una componente importantedella classe politica repubblicana dei primi de-cenni del secondo dopoguerra.

Gli elementi più significativi di questa “scuoladel Ghisleri” furono Giovanni Conti, OlivieroZuccarini (1883-1971)(117), Terenzio Grandi eGiulio Andrea Belloni (1902-1957)(118), quattrogiovani intraprendenti che videro nel Maestroun riferimento sotto tutti i profili.

Lo stesso Ernesto Rossi (1897-1967)(119), inuna lettera scritta dal carcere il 12 febbraio1932, e indirizzata alla moglie affermava: “ se c’èancora qualche giovane capace di resistere, èperché alcuni degli uomini della sua generazio-

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(113) A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit., pp.197-200(114) Terenzio Grandi, Arcangelo Ghisleri, uomo, cit., p. 28.(115) Lettera di Arcangelo Ghisleri a Terenzio Grandi del 12 giu-gno 1916, in L. Grandi, L’intransigente e l’idealista, cit., p. 57(116) S.a., Anna Speranza. In memoria(117) Oliviero Zuccarini: nato a Cupramontana, nelle Marche,nel 1883. Si avvicinò al federalismo leggendo gli scritti delGhisleri, che divenne la sua guida morale, politica e cultura-le. All’interno dei lavori dell’Assemblea Costituente presentòun progetto di ordinamento regionale, nel quale la Regionegodeva di ampie autonomie e poteri esclusivi. Morì nel 1971.(118) Giulio Andrea Belloni: nato a Roma nel 1902 si laureò inGiurisprudenza. Fu segretario della Federazione GiovanileRepubblicana e direttore dell’organo ufficiale “L’Alba Repub-

blicana”. Antifascista convinto fu più volte arrestato ma de-cise di non espatriare e partecipò alla Resistenza. Dopo la li-berazione di Roma riprese la sua attività politica e divennesegretario del Partito Repubblicano Italiano e direttore delgiornale “La Voce Repubblicana”.(119) Ernesto Rossi: nato a Caserta nel 1897, economista coninclinazioni federaliste e antifascista, fondò l’associazione“Italia Libera” e successivamente fu tra i promotori di “Giu-stizia e Libertà”. Venne arrestato nel 1930 e condannato anove anni di prigione e, nel 1939, venne confinato sull’isoladi Ventotene, dove conobbe Altiero Spinelli (1907-1986), colquale partecipò alla stesura del Manifesto di Ventotene. Do-po l’8 settembre continuò l’attività federalista in Svizzera erientrò in Italia per partecipare alla Resistenza nelle file delpartito d’azione. Morì a Roma nel 1967.

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ne hanno seminato. E lui [il Ghisleri] è statocerto uno dei migliori tra quelli”(120).

Nel 1923 Giovanni Conti pose a numerosiscrittori politici italiani la domanda Dove va ilmondo? Le risposte ricevute furono pubblicatein un libro con lo stesso titolo, e le conclusionidi questo lavoro vennero tratte da ArcangeloGhisleri. Tutti gli interlocutori consideraronotemporaneo il fenomeno fascista, e lo stessoGhisleri si domandò se, con la caduta della de-stra fascista, il successivo ritorno a sinistraavrebbe rappresentato la nascita della democra-zia oppure il ritorno della vecchia classe politi-ca, più subdola e menzognera, ma non menoautoritaria. Ghisleri non pensava che la svoltafascista rappresentasse la fine dello Stato demo-cratico, ma solo una forma più manifesta e piùviolenta del regime dittatoriale che aveva gover-nato il Paese fin dalla sua costituzione(121).

In una lettera al Congresso Repubblicano, te-nuto a Roma nel dicembre del 1922, affermava:

La nostra missione storica è di divulgare fratutti i ceti la bontà, la necessità delle istituzionifederali a democrazia diretta, perché utili a tutti,fuorché ai monopoli della plutocrazia parassita-ria, violenta, corruttrice, oggi trionfante. […] Ilcolpo di Stato vero l’anno fatto i pescicani del-l’alta Banca e i filibustieri delle industrie paras-sitarie(122).

La sua opposizione al fascismo si manifestòprevalentemente con una resistenza passiva euna non collaborazione a tutte le iniziative delfascismo. In un articolo comparso nel 1948 sullarivista “L’Idea Repubblicana”(123), diretta da Giu-lio Andrea Belloni, venne ricordato un episodioin cui Ghisleri, invitato a teatro a Bergamo,“quasi alla vigilia della morte […] oserà rimane-re seduto – solo, fra tutti gli spettatori, tuttipronti al conformismo e alla prepotenza del tep-pismo aulico – al suono della Marcia reale e diGiovinezza e si salverà dal manganello, giàbrandito e alzato da qualche mistico della masti-ca, per l’intervento di un valoroso, pronto a dire:“Ha più di ottant’anni: ha tanto insegnato adamare la Patria che ha ben diritto di essere stan-co e quindi di star seduto!”(124).

La silenziosa “resistenza” del Ghisleri era indi-

rizzata alla sopravvivenza dei princìpi di demo-crazia e libertà, conscio che i tempi non eranomaturi per una trasformazione dello Stato e, findal 1923, scriveva al Grandi:

V’è una sola verità, che i pessimisti non perce-piscono: ed è che non importa il numero né lafortuna: finché v’è qualcuno che resiste e non simuta, rimangono germi e radici per rinascite erifioriture nell’avvenire(125).

A partire dal 1936 Ghisleri riceveva, quasiquotidianamente, la visita di Mons. Castelli, par-roco della chiesa di Santa Lucia, che veniva perparlare con lui, o per suonare il piano che erastato della moglie Anna, e che ora era suonatodalla figlia Elvezia. Questo nonostante la ferven-te attività anticlericale che lo vide protagonista

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Ghisleri e Terenzio Grandi a Torino, 1927

(120) Lettera di Ernesto Rossi tratta da: Giorgio Mangini, “Ar-cangelo Ghisleri a Bergamo” su Araberara, Agosto 1998.(121) Cfr. A. Benini, Vita e tempi di Arcangelo Ghisleri, cit.pp. 200-202(122) Arcangelo Ghisleri, Democrazia in azione, a cura di Gio-vanni Conti (Roma: Casa Editrice Italiana, 1954), pp. 191-192

(123) “Autore Ignoto” (probabilmente G. A. Belloni), “Ghislerie Mussolini” su L’Idea Repubblicana, n° 36, 16-31 agosto1948, p. 2(124) Ibidem(125) Lettera di Arcangelo Ghisleri a Terenzio Grandi del 1°aprile 1923, in L. Grandi, cit. p. 150

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nel corso della sua vita. In realtà Ghisleri eracontro l’intolleranza della Chiesa e la sua arro-gante intromissione nella vita politica del Paese,ma rispettava la sincera convinzione dei vericattolici(126). Secondo Gualtiero Nicolini “le suebattaglie per l’uguaglianza di tutte le razze e lapolemica con Bovio, le battaglie a favore dei pro-testanti perseguitati, l’aiuto concreto e assolutoai preti caduti in disgrazia, il suo rifiuto al prof.Bossi che quando era esule a Lugano gli avevachiesto di collaborare al suo libro Dio: non esi-ste sono chiari esempi e forse il suo comporta-mento contribuì al rinnovamento della Chie-sa”(127).

Ma gli ultimi anni di vita del Ghisleri furonoanche caratterizzati da una forte precarietà eco-nomica, aggravata dal mancato adempimentodei compensi da parte dell’Istituto Italiano d’ArtiGrafiche, relativo ai diritti d’autore sulle operepubblicate, e la cui rivendicazione venne affidataal Comune di Cremona, con la richiesta di unassegno vitalizio per le sue due figlie, che rima-sero con lui fino alla fine dei suoi giorni, e l’isti-tuzione di una borsa di studio biennale “perquei cittadini laici o missionari già impegnati[…] in viaggi di scoperte, di studio, di beneficaopera d’incivilimento di qualsiasi regione dell’A-frica preferibilmente in quelle già percorse dapionieri italiani”(128).

Le sue ultime estati le passò tra Varenna eBellano, sul lago di Como, nella Casa di Cura, diConvalescenza e di Riposo di Regoledo, un cen-tro all’avanguardia, dotato di una sala di idrote-rapia, una di ginnastica e una per l’elettrotera-pia, oltre naturalmente a una sala per i concerti,una per il bigliardo e una di conversazione, convista panoramica sul lago fino Bellagio e Menag-gio.

Ghisleri morì a Bergamo, il 19 agosto 1938,quando il fascismo era ormai al culmine dellasua potenza, e lo aveva messo in ombra, isolan-dolo dai suoi amici, in buona parte ormai esuli.Un immenso corteo accompagnò la salma al ci-mitero, in un funerale celebrato con rito civile,

il 21 agosto e secondo sue precise disposizionivenne cremato ottenendo poi che le sue cenerifossero collocate nella tomba della moglie Anni-na(129). Come chiesto dal Ghisleri, sulla tomba,una modesta epigrafe ricordò che “Amò gli studila verità la giustizia”(130). Oltre ad alcuni intimiamici, tra i quali non poteva mancare il fedeleGrandi, presenziò alla raccolta delle ceneri il fi-glio Luigi(131) ma non Amleto, poiché essendocattolico praticante non aveva approvato al scel-ta del padre(132).

Il cordoglio nel paese fu grande e numerosigiornali riportarono la notizia. Perfino BenitoMussolini ammise di essere stato influenzatodal grande Maestro, e sui suoi diari scrisse:

Una notizia triste, stamane, sul mio tavolo dilavoro. È morto Arcangelo Ghisleri, un uomopuro. Un maestro che non apriva vane polemi-che, ma concludeva quelle degne di essere dibat-tute. Credeva in una democrazia svincolata dallepessime radici del parlamentarismo italiano,culla e comodo giaciglio di un’intoccabile castadi politici in servizio permanente effettivo. In-dagò, anche ferocemente, sulle origini del maz-zierismo(133) giolittiano. Distinse tra intransi-genza e intolleranza. Era contro le parole d’ordi-ne perchè mirabile difensore dell’ordine nelleparole. Difese le minoranze etniche. […] È sta-to, sino all’ultimo, contro di me, senza saperecon quanta reverenza io, ognora, mi sia dedicatoall’esame dei suoi scritti(134).

Un’occasione mancataIl pensiero politico ghisleriano risulta compo-

sto da un unico blocco repubblicano-federalista.La Repubblica, come si è visto, costituisce l’o-

biettivo fondamentale di Arcangelo Ghisleri, maRepubblica significa per lui democrazia, ovverogoverno del popolo, e non può esserci democra-zia senza Repubblica. A sua volta, la Repubblicaper potere rappresentare veramente il governodel popolo, deve essere fondata su basi federali,poiché il Federalismo è l’unica forma davveropossibile di sovranità popolare.

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(126) G. Nicolini, Gli ultimi anni di vita, cit. pp. 96-97(127) Ibidem, p. 96(128) Da un’annotazione del 14 marzo 1937 su un foglio inse-rito in una busta “per cose cremonesi” e pubblicato in: G.Nicolini, Gli ultimi anni di vita, cit. pp. 95-96(129) Terenzio Grandi, Montariele, cit. p. 68(130) A. Benini, Vita e tempi, cit. p. 211(131) AA. VV., Arcangelo Ghisleri. Attualità del pensiero politi-co, p. IX

(132) Questo è un aneddoto che mi ha raccontato la dott.saMaria Ghisleri, nipote di Arcangelo, nell’ottobre del 2000,nel corso di un’intervista pubblicata nella mia tesi di laurea.(133) Pratica consistente nell’utilizzo di manovalanza (i maz-zieri) atta all’intimidazione a fini politici, mediante l’uso del-la forza, ed in voga nelle regioni meridionali del Regno d’Ita-lia durante il primo ventennio del XX secolo.(134) Benito Mussolini, Taccuini mussoliniani, a cura di YvonDe Begnac (Bologna: Il Mulino, 1990), pp. 29-30

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Approfondendo questo discorso, è possibileesaminare più dettagliatamente tali posizioni,partendo dall’influsso che Giuseppe Mazzini eCarlo Cattaneo, i due Maestri del repubblicane-simo “risorgimentale”, esercitarono sulla forma-zione politica del Ghisleri.

Da Mazzini “ereditò” l’interesse per l’associa-zionismo operaio, come pure la sensibilità e lagrande attenzione con le quali affrontò i proble-mi delle classi lavoratrici. Si tratta di caratteri-stiche che non mancarono certo al Cattaneo, ilquale, però, sviluppò in modo più sistematico edettagliato le idee federaliste, che ArcangeloGhisleri fece proprie – anche se con qualche li-mitazione di provenienza mazziniana, in meritoall’autodecisione – rappresentando il mezzo at-traverso il quale le idee cattaneane furono tra-smesse a significativi esponenti delle generazio-ni del XX secolo.

Attorno alla figura del Ghisleri venne così araccogliersi un gruppo di giovani certamentenon numeroso ma non disposto a piegarsi a

compromessi e che mi sono sentito di definire“la scuola del Ghisleri”.

Inoltre, come si è detto, il nome di ArcangeloGhisleri è legato a quello di numerose riviste dalui fondate o dirette nel corso della sua vita. Pro-babilmente, questo “organizzatore di cultura”, ap-parentemente instancabile, ma comunque spessogravato da seri problemi familiari, disperse note-volmente le sue energie, essendo coinvolto in unrilevante numero di iniziative (insegnante seraleper gli operai, e poi insegnante statale nei licei,giornalista, militante politico, geografo, carto-grafo, opinionista, e nel contempo, positivista, an-ticlericale, filosocialista, irredentista, anticomuni-sta, meridionalista, pacifista, anticolonialista, in-terventista democratico, antifascista, storico, so-ciologo ecc.), in nessuna delle quali riuscì, però,ad affermarsi in modo esclusivo, pur affrontandogli argomenti da lui trattati con una amplissimapreparazione e senza mai cadere in affermazionibanali o scontate. Non a caso, Alberto Mario, giànel 1879, scriveva al suo giovane amico:

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Il funerale di Arcangelo Ghisleri

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Voi disperdete troppe delle vostre forze, ben-ché molte. Voi fondate associazioni in Milano,volate a fondarne altrove etc. etc. Accontentatevidell’onore di aver fondato e conservato in vita laRivista [Repubblicana]. Avrete reso un gran ser-vigio e provveduto largamente al vostro nome.Conservatevi tutto (se potete) alla Rivista(135).

La militanza all’interno del P.R.I. non lo portòmai ad essere eletto in Parlamento, poiché lasua intransigente opposizione alla monarchiaglielo impediva. Tuttavia egli ebbe incarichimolto importanti nell’ambito del Partito Repub-blicano Italiano, non solo in qualità di oratore edi opinionista, ma anche come fondatore e di-rettore, nel 1907, del quotidiano “La Ragione”,organo ufficiale del P.R.I.

Nonostante tutto Arcangelo Ghisleri non riu-scì a rappresentare per il Partito Repubblicanoquella guida politica e ideologica che il suo ami-co di gioventù, Filippo Turati, riuscì ad essereper il Partito Socialista Italiano.

Probabilmente, buona parte dell’insuccessodel Ghisleri, con riguardo alla sua incisività po-litica, è dovuto alla dispersione delle sue energienelle innumerevoli iniziative che lo videro pro-tagonista, ma anche alla sua intransigenza, insenso antiparlamentare, che finì con il privare ilPartito della presenza di una figura dominante,in grado di imporre la propria linea politica e ditrovare una soluzione all’annosa diatriba cheopponeva, all’interno del Partito, i federalisticattaneani ai repubblicani centralisti, sostenitoridi una loro interpretazione in senso unitario ecentralista del pensiero di Giuseppe Mazzini.

Questa assenza arrecò gravi danni, non solo alPartito Repubblicano, ma all’Italia intera, poichévennero meno quelle riforme, che solo la partepiù illuminata dei repubblicani avrebbe potutoportare a termine e che erano indispensabili perporre rimedio alle infinite lacune e agli innume-revoli danni causati dalla rocambolesca e anti-storica creazione dello Stato italiano. D’altrocanto, come ricorda Giorgio Mangini, Ghislerifu “repubblicano in età monarchica e, tra i re-pubblicani, federalista in un contesto prevalen-temente unitarista; anticlericale e libero pensa-tore in un clima culturale largamente dominatodal cattolicesimo […], artefice di un positivismoaltamente metodologico e a forte influenza cat-taneana nel momento dell’affermazione del ma-terialismo storico e della filosofia idealistica; so-stenitore di una visione storica, civile e divulga-tiva della geografia a fronte del naturalismo do-minante nella cultura geografica ufficiale, acca-

demica e militarista, Ghisleri non aveva moltepossibilità di essere assunto, nella politica e nel-la cultura italiana del secondo dopoguerra, perquello che in effetti è, e cioè uno dei pochi puntidi riferimento per la costruzione di un’identitàdemocratica nazionale”(136).

E in effetti, la figura impeccabile e scomoda diun grande idealista quale fu il Ghisleri, è statapressoché dimenticata nella seconda metà del XXsecolo, grazie anche alla scarsa attenzione dedi-catagli dalle Istituzioni, ma anche dai manuali diStoria che, nella quasi totalità dei casi, lo ignora-no completamente. Del resto, lo stesso PartitoRepubblicano non è esente da colpe, poiché no-nostante la scarsa consistenza politica(137) dispo-neva di mezzi di comunicazione assai cospicuinon solo, come già accennato, per le forti entra-ture nel Corriere della Sera, ma potevano conta-re anche su un buon numero di docenti e ricer-catori universitari. Ciò nonostante il Ghisleripoté godere di un piccolo momento di ritornoquando, nel corso degli anni Settanta, ci furonouna lunga serie di convegni e di pubblicazioniper commemorare la figura di pensatore politicoe di “organizzatore di cultura”. Questi interventiperò posero l’accanto sul pensiero sociale e inquesto modo il pensiero federalista del Ghislerirestò relegato a semplice curiosità, come unasfumatura diversa del suo essere repubblicano.

In anni più recenti si è cominciato a vedere ilGhisleri come un sostenitore del federalismo,ma il risultato degli studi non è uscito dagli am-bienti accademici.

Eppure, come si è detto, Arcangelo Ghisleri fufondamentale per il nostro Paese, come si usadire: un pilastro, anche se non fu mai il protago-nista vero e proprio ma si trovò spesso relegato“dietro le quinte”, tanto da vivo quanto da mor-to, pertanto mi sento di fare mia l’affermazionedi Aroldo Benini, il quale sostenne che “Ghislericosì come tutti gli uomini che gli furono vicini eche egli amò o combatté appartengono alla sto-ria del nostro paese, non di un partito soltan-to”(138).

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(135) Lettera di Alberto Mario ad Arcangelo Ghisleri dell’8aprile 1879, in P. C. Masini (a cura di), La scapigliatura de-mocratica, cit., p. 156.(136) G. Mangini, Una georafia dell’altrove, cit. p. 38(137) Tutto sommato il miglior risultato ottenuto alle elezionipolitiche fu un 5,1% nel 1983, vale a dire 1.874.749 voti rac-colti sull’intero territorio della Repubblica Italiana.(138) A. Benini, Conclusione, in AA. VV., Arcangelo Ghisleri.Attualità del pensiero politico, cit., pp. 103-106, qui p. 104.

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Agilulfo, primo re torineseNel VI secolo d.C., la presenza dei Franchi al

di là dell’arco alpino occidentale lasciava presa-gire che presto essi sarebbero giunti nelle nostreterre e a Torino aspettavano il loro arrivo conuna certa inquietudine. Arrivarono invece i Lon-gobardi dalla Pannonia, l’attuale Ungheria.

Si trattava di gruppi etnici associati, conosciu-ti come “Gens Langobardorum” che compren-deva anche Eruli, Turingi, Gepidi.

I Longobardi giunsero in Padania dalle Alpiorientali nel 568 guidati da Alboino, al comandodi un esercito composto anche da Sarmati, Sve-vi, Sassoni e Unni. A proposito dei Sarmati, ri-cordiamo che il borgo di Salmour, nel Cuneese,deve il suo nome proprio a questo popolo.

I Longobardi estesero il loro controllo su granparte dell’Italia settentrionale nell’anno 569 magiunsero a Torino solo all’inizio del 570. In se-guito a questo avvenimento, le Alpi occidentalidivennero zona di frontiera tra la dominazionefranca e quella longobarda e i due popoli si fron-teggiarono per ben due secoli.

Vi erano delle differenze sostanziali tra Longo-bardi e Franchi, infatti questi ultimi non abban-donavano in toto le loro terre di origine ma in-viavano nelle terre di conquista soltanto partedei loro eserciti al comando di alcuni rappresen-tanti del ceto aristocratico militare.

Il popolo longobardo invece abbandonava isuoi luoghi di provenienza per trasferirsi contutti i suoi averi nel nuovo insediamento. La-sciarono la Pannonia per la Padania, che diven-ne la loro patria di elezione.

La seconda differenza riguarda il loro modo diessere cristiani: i Longobardi erano ariani e civolle molto tempo prima di convertirli al cattoli-cesimo, mentre i Franchi erano passati diretta-mente dal politeismo alla religione cattolica in-tegrandosi più velocemente con le famiglie itali-che e gallo-romane.

Dice Giuseppe Sergi, Professore di Storia Me-dioevale presso l’Università di Torino: “Bisognainvece sgombrare il campo dal luogo comunesecondo cui i Longobardi erano più “primitivi”dei Franchi. Di sangue germanico entrambi, le

loro leggi (là dove si riferiscono alla condizionedella donna, là dove esprimono diverse valuta-zioni dei reati e diversi modi di punirli) indica-no chiaramente la maggiore rozzezza dei Fran-chi che quindi devono i loro progressi non auna “vocazione” più alta, bensì alla loro capa-cità di integrazione e di adattamento”.

Ma ritorniamo indietro, nel 570, quando l’oc-

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Longobardi a Torino*

di Mariella Pintus

Corredo tombale. Necropoli del Lingotto, VIIIsecolo

*“I Longobardi: dalla caduta dell’Impero all’alba dell’Italia”,che si tiene a Palazzo Bricherasio, a Torino.

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cupazione longobarda di Torino fu subito carat-terizzata da uno dei gruppi etnici: infatti il pote-re locale fu assunto dal turingio Agilulfo.

I Turingi provenivano dal nord-est della Ger-mania e il loro regno era stato abbattuto daiFranchi nel 531. Era quindi inevitabile la profon-da avversione verso i loro avversari.

Agilulfo, futuro re del popolo longobardo, eraconosciuto come “Dux Turingorum de Taurini”,ovvero Duca dei Turingi di Torino, e questo gli

forniva la doppia identità di Duca di Torino, an-corato alla città, e di capo nazionale della tribùdei Turingi, all’interno del più vasto gruppo delpopolo dei Longobardi.

Torino fu la sede di uno dei quattro Ducatidella Regione subalpina, con Asti, Ivrea, e SanGiulio d’Orta, ed ebbe particolare importanzaanche per la sua collocazione al confine con ilregno dei Franchi che gli conferiva un forte po-tere strategico.

A causa della incombente minaccia di una in-vasione franca, i re longobardi accentrarono

gruppi di armati nel territorio di Torino, anchese questo poteva rappresentare un pericolo perla vicina capitale Pavia, infatti i quattro duchi“torinesi” - Agilulfo, Arioaldo, Ragimperto e Ga-ribaldo - furono coinvolti nella lotta per il pote-re del regno longobardo.

Garibaldo, negli anni 661 e 662, addiritturacondizionò i destini della corona attraverso im-prese militari e tradimenti.

Il duca Agilulfo aveva sposato la regina Teodo-linda, vedova del re Autari, divenendo lui stessore, nel 590. La coppia ebbe due figli: Adaloaldo,che divenne re, e Gondeberta che prese comemarito un altro duca di Torino, Arioaldo che salìal trono dopo dodici anni di regno del cognato.

I due duchi “torinesi” che cinsero la coronalongobarda furono saggi e amanti della giustiziamentre la stessa cosa non si può dire del ducaGaribaldo o Garipaldo che - chiamato a dirime-re la lotta dei due fratelli Pertarito e Godeberto,figli di Ariperto I - li mise l’uno contro l’altro,facendo trucidare Godeberto e costringendo allafuga Pertarito. La malvagità di Garibaldo loportò a una morte violenta, ma vediamo comeandarono i fatti.

Assassinio nella cattedraleCorreva l’anno 662 e le faide della dominazio-

ne longobarda erano ben vive e violente, constragi e saccheggi. Garibaldo, duca di Torinoaveva la sua dimora nell’attuale via IV Marzo,con qualche rudere ancora a dimostrarlo. Gari-baldo era un malvagio impiccione che si intro-metteva nelle lotte intestine per il potere, evi-dentemente con qualche interesse.

Nella vicina capitale, Pavia, infuriava la lottatra i due figli del re Ariperto: bisognava deciderechi dei due dovesse salire al trono. Garibaldoperò avrebbe visto volentieri come re il suo ami-co Grimoaldo, duca di Benevento. Sembrava aGaribaldo una cosa buona e interessante avereun amico su cui contare, dato che Pavia non erae non è lontanissima da Torino.

Come abbiamo visto, Godeberto fu trucidato eGaribaldo subì la stessa sorte al duomo di Tori-no, che era totalmente diverso dall’attuale, edifi-cato tra il 1491 e il 1498 e consacrato nel 1505fra la devozione popolare e grandi celebrazioni.

All’epoca del nostro ambiguo personaggio, esi-stevano tre piccole chiese che comunicavano fradi loro, la più importante delle quali era il“Dompno”, il duomo, meglio conosciuto come“Santa Maria de Dompno”. Le altre due chieseerano dedicate a “San Giovanni de Dompno” se-

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Corredo tombale di guerriero longobardo. Ne-cropoli di Collegno, VII secolo

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de vescovile e la chiesa di San Salvatore, appar-tenente alla Canonica.

Fu il vescovo Domenico Della Rovere a fareunificare le tre chiese affidando il progetto al to-scano Meo del Caprino, ordinandogli di elevarel’edificio al di sopra della piazza.

Ed aveva ottimi motivi per tale richiesta: in-fatti il duomo non aveva anticamente soltantofunzioni religiose ma serviva anche da sede del-la Borsa dove si stabilivano i prezzi delle derratealimentari e di varie altre merci. Si entrava tran-quillamente con le botti del vino, con le pezze dilana o di seta, comunque con i più vari prodottidei quali si discuteva l’andamento sul mercato.Insomma c’era molta confusione tra sacro e pro-fano. Della Rovere fece inserire nel progetto unascalinata, necessaria per accedere al luogo diculto e soprattutto utile per far perdere ai mer-canti l’abitudine di entrare con i carri e di com-piere le contrattazioni al suo interno.

Ma torniamo all’anno 662, al fatidico giorno diquella Pasqua sanguinosa: mentre Garibaldo fa-ceva il suo ingresso in San Giovanni de Dom-pno, un parente del defunto Godeberto lo atten-deva nell’ombra per vendicare l’oltraggio.

Leggiamo dalla Historia Longobardorum diPaolo Diacono: “C’era allora a Torino un omet-tino che discendeva dalla famiglia di Godeberto.Costui avendo saputo che nel santissimo giornodella Pasqua, il duca Garibaldo sarebbe andatoa pregare nella chiesa di San Giovanni Battista,salendo sul sacro fonte del battistero e tenendo-si con la mano sinistra a una colonnina dell’a-bitacolo dove Garibaldo soleva passare. Quandoil Duca giunse vicino a lui, sguainata la spadache teneva sotto il mantello, la estrasse e locolpì con forza sulla testa, e tosto gli tagliò ilcapo.

Piombati su di lui quelli che stavano con Ga-ribaldo, l’uccisero infliggendogli un gran nume-ro di ferite. Benché venisse ucciso aveva tutta-via vendicato a dovere l’offesa fatta la suo si-gnore Godeberto”.

Arioaldo, il secondo reGenero di Agilulfo, Arioaldo fu il secondo re di

provenienza ducale torinese che salì al trono,nel 616, rimanendovi per dieci anni dopo averdeposto Adaloaldo, figlio dello stesso Agilulfo,battezzato alla religione cattolica per seguire ildesiderio di Teodolinda. Si può leggere questofatto come la rivincita dei tradizionalisti arianiche rimanevano fedeli alla loro “eresia” sui“nuovi cattolici”.

Ci fu un terzo re “torinese”: Ragimperto, il fi-glio del già nominato e sfortunato Godeperto.Fu eletto duca di Torino dai partigiani del padree questo lo portò al trono nel 700, ma vi rimasesoltanto per brevissimo tempo: infatti morì nel-l’anno stesso della sua elezione.

La sede ducale torinese era considerata digrande importanza in quanto sede prestigiosache ben si prestava alla carriera di nobili perso-naggi che provenivano dall’esterno della Regio-ne.

Eccettuato Agilulfo, i re longobardi che prove-nivano da Torino erano dei militari e quindi

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Locandina della mostra torinese

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meno conosciuti di altri, impegnati nel poterepolitico e legislativo.

Certamente i duchi torinesi erano adatti aquell’area di frontiera che doveva difendere nonsolo il ducato subalpino ma anche la stessa capi-tale del Regno.

Purtroppo le difese si rivelarono insufficientiper fermare Carlo Magno che giungeva dalla Val-le di Susa, ma Torino rimase un punto fermoper l’ampio territorio ai piedi delle Alpi.

Una inversione di tendenza rispetto ai primiGermani: Goti e Burgundi che avevano preferitoil territorio alpino alla pianura urbanizzata.

Per ben due volte, a metà del secolo VIII, trup-pe franche provenienti dall’arco alpino occidenta-le avevano sconfitto quelle del re longobardoAstolfo e soprattutto pesava la presenza dei Fran-chi alla Abbazia della Novalesa, in Valle di Susa,fondata nel 726 dal nobile merovingio Abbone.

Proprio nella bassa Valle di Susa, ai confinicon la pianura torinese, era posta la frontieraoccidentale del Regno longobardo: le “ClusaeLangobardorum”. Le Chiuse non erano un verosbarramento murario ma un sistema difensivomolto complesso e proprio per questo, debole.

La zona corrisponde all’odierna località diChiusa San Michele dove si dice si elevassero al-cune mura che si dimostrarono però totalmenteinadeguate a frenare l’impeto dei Franchi.

Torino ritornò alla ribalta della storia nel mo-mento in cui, nell’anno 754, si videro le schieredi re Astolfo, sostare nella città prima di avviarsiverso le Chiuse sulle quali si ergeva la Sacra diSan Michele, patrono dei Longobardi. Il re, do-po alcuni scontri persi sul campo, abbandonò ilPiemonte e si ritirò a Pavia dove venne a patticol vincitore.

Morto Astolfo, venne eletto re Desiderio (ulti-mo re longobardo) che, sebbene imparentatocon i figli di Pipino il Breve, venne ugualmenteattaccato ai confini del Regno.

Le truppe di Desiderio, sotto il comando disuo figlio Adelchi, stavano resistendo il più fer-mamente possibile ma…

La leggenda dice che un traditore, un monacodell’Abbazia di Montebenedetto, abbia mostratoun passaggio segreto per aggirare alle spalle iLongobardi.

Comunque sia - leggenda o verità - gli Ari-manni presi alla sprovvista, sbandarono, abban-donando il terreno di battaglia: Desiderio si rifu-giò a Pavia mentre Adelchi raggiunse Verona.

Possiamo riassumere questi fatti con una pic-cola cronologia:570 – I Longobardi giungono a Torino. Agilulfodiventa duca della città616 – Sale al trono Arioaldo genero di Agilulfo662 – Il duca Garibaldo viene assassinato nelDuomo di Torino700 – Sale al trono Ragimperto figlio di Gode-berto, fatto uccidere da Garibaldo726 – Viene fondata l’Abbazia della Novalesa754 – Il re Astolfo viene sconfitto alla Chiusa diSan Michele773 – Adelchi viene sconfitto sempre alla Chiusadi San Michele

Come abbiamo visto Adelchi si rifugerà a Ve-rona e suo padre, il re Desiderio rientrò nella ca-pitale del Regno, a Pavia. Ma cosa è rimasto aTorino e negli immediati dintorni di quel grandepatrimonio culturale che ha contraddistinto iLongobardi?

Dal 28 settembre si è aperta in Torino, a Pa-lazzo Bricherasio una bella mostra dedicata aquesto grande popolo, ma poiché l’ottica dellamostra è stata spostata (con chiari intenti) sullapresenza longobarda non solo in Piemonte maanche nelle altre regioni italiane (infatti il filoconduttore è il confronto culturale tra “ I Barba-ri – insediati nelle terre dell’Impero d’Occidente– e le popolazioni romane, tra il V e il VII seco-lo”), vediamo di ristabilire le cose, parlando conchiarezza dei siti che ci hanno restituito l’animadei Longobardi.

Il primo sito, nei dintorni di Monacalieri, sichiama Testona.

La necropoli longobarda di TestonaLe numerose tombe scoperte nel 1878 da par-

te degli archeologi Calandra, suscitarono subitoun grande interesse, sia per il numero rilevante

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Due fibbie. Necropoli di Collegno, VII secolo

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delle inumazioni sia per la presenza di corredifunerari.

Purtroppo il giornale che riguardava lo scavoè andato perduto quindi non si hanno notiziecerte sul modo in cui la necropoli fu ritrovata enemmeno la sua esatta collocazione, si sa sol-tanto che doveva trovarsi in Regione Vivero aipiedi della collina sulla quale si trova Testona.

Il cimitero apparteneva sicuramente a una po-polazione residente: le tombe erano tutte a fossaterragna, tranne alcune costruite in lateriziocon copertura alla cappuccina e distribuite conregolarità. Le tombe erano orientate ovest-estcon i piedi a levante, il capo a occidente e lebraccia distese lungo il corpo.

Le inumazioni avevano una diversa profonditàa seconda della posizione sociale del defunto edella sua ricchezza e appartenevano a uomini,donne, bambini e vecchi.

I Germani solevano seppellire i loro morti ve-stiti e con le loro armi infatti il diritto di pro-prietà non veniva cancellato con la morte.

Una piccola parte degli uomini aveva un riccocorredo di armi: la lancia, la spata, lo scudo, ilcoltello, le fibbie e le guarnizioni delle cinture.

Un altro gruppetto invece aveva solo quellaspada corta a un taglio conosciuta come scra-masax.

In soli due casi erano presenti delle asce da bat-taglia e degli archi. Non erano invece presenti, ol-tre allo scudo, né elmi néarmature da difesa.

Si pensa che il corredopotesse riflettere lo statosociale del defunto: l’arma-tura completa sarebbe assi-milabile agli uomini liberi,l’armatura leggera potrebbeessere associata ai giovani eai semiliberi, la mancanzadi armi invece indicava glistati inferiori e i servi.

Vi erano dei defunti se-polti con gli strumenti delproprio lavoro mentre ivecchi, le donne e i fanciul-li venivano inumati con or-namenti e oggetti d’uso co-mune ma personale.

Le donne portavano gra-ziose collane di perle multi-colori di ambra, di cristalloo terracotta a volte interca-late da pendaglietti di bron-

zo o da monete ro-mane fuori corso.

Facevano parte delcorredo anche orec-chini d’argento, dibronzo e braccialetticon vaghi simili aquelle delle collane einoltre fibbiette per fa-sce da gambe e fibule.

Tutti gli ornamenti,esposti al Museo diAntichità di Torino,furono rinvenuti insitu: le collane e le fi-bule sul petto, gliorecchini ai lati delcapo, i braccialetti aipolsi, le fibbiette ac-canto alle tibie.

Le fibule erano uti-lizzate da entrambi isessi: uomini e donneinfatti le usavano pertrattenere sul petto osulla spalla le vesti e imantelli.

Furono ritrovati al-tri piccoli ornamenti come piastrine, anellini,spilloni, pendaglietti sciolti, pettini e dei piccoli

cilindri per unguenti (unodi essi, in bronzo, era anco-ra ermeticamente chiuso econteneva una sostanzagrassa adatta - si pensa -per colorare capelli e bar-ba).Erano presenti inoltre:quattro croci auree, quat-tro paia di forbici in ferropiuttosto grandi, un paiopiù piccolo di bronzo, unasorta di rasoio, un campa-nello di ferro, dei chiodi diuna decina di centimetri euna dozzina di anelli, inferro, di varia dimensione.Nel 1884, il Museo di Anti-chità acquistò dagli erediCalandra tutto il materialeche proveniva dalla necro-poli scoperta a Testona;non si sa per quale motivo,questi oggetti non furono

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Puntale in argento digiarrettiera. Necropolidi Collegno, VII secolo

Fibbia di cintura in argento. Necropo-li di Collegno, VII secolo

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mostrati né agli studiosi né al pubblico per pa-recchi anni.

Fortunatamente oggi è stata creata una bellasala nel suddetto museo che ci consente di am-mirare i preziosi reperti.

La ceramica ritrovataQuando i Longobardi, nel 568, scesero nelle

nostre contrade provenienti dalla Pannonia, co-noscevano da tempo un tipo di tecnica ceramicamolto avanzato. Il vasellame era tornito, decora-to a crudo con stampigliature geometriche ocon steccature a traslucido.

La zona di diffusione della ceramica longobar-da si sparse per tutta la Padania, mentre non neè stata trovata in Liguria: evidentemente quandola regione fu occupata, nel VII secolo, i Longo-bardi non usavano più i loro manufatti tradizio-nali.

La ceramica presenta livelli di qualità dispara-ti, si sono trovati infatti recipienti a pareti sotti-li, di forma elegante, lavorati al tornio con per-fezione, prevalentemente color cuoio, grigioscuro quasi nero; la colorazione era dovuta al ti-po di cottura che avveniva in assenza di ossige-no.

Altro vasellame era invece di impasto piùgrossolano e poco curato nell’esecuzione, sitrattava evidentemente di oggetti di uso comu-ne, per la cucina.

A Testona è stato ritrovato un bellissimo fiascoda pellegrino, in argilla tenera ricoperta da unvelo di vetro giallognolo; il contenitore è senzapiede ed è caratterizzato da una parte concava euna piatta, decorato al centro da un motivo a

“rosetta a sei punte” e con la presenza di duecorte anse che servivano alla sospensione.

La stampigliatura del vasellame si ottenevacon dei punzoni impressi sull’argilla quando eraancora tenera, prima della cottura. Sono stati ri-trovati nel circondario di Torino dei punzonirealizzati in vari materiali: osso, corno, argillacotta, legno e bronzo, si presume realizzati dagliartigiani che operavano nella zona.

Sia a Testona che a Beinasco, sono stati ritro-vati vasi simili, stampigliati a forma di reticolo.

I pezzi che conosciamo provengono dalle inu-mazioni ed erano usati per contenere liquidi,quindi “servizi per bere” composti da bottiglie acollo alto e bicchieri di varia foggia.

Fino a oggi non è stato individuato con cer-tezza alcun centro di produzione della ceramicama si presuppone che si trattasse non di grandimanifatture ma di piccoli laboratori dato che ilvasellame presenta caratteri “personali” sia perlavorazione che per qualità di cottura, riscontra-ti anche in un complesso vasto come quello diTestona.

Per quanto riguarda Torino e provincia, ricor-diamo che i rinvenimenti di vasellame longobar-do, sono stati rarissimi al di fuori del contestodelle necropoli, ma un ritrovamento interessan-te riguarda un frammento in ceramica stampi-gliata rinvenuto sulla collina di Torino, al BricSan Vito (Pecetto), il che comprova la frequenta-zione del sito in quell’epoca, tanto più che sullacima si trovano ancora oggi i resti di un castel-liere celto-ligure.

La necropoli longobarda di CollegnoDurante i lavori di scavo e bonifica, nell’aprile

del 2002, per la costruzione della rimessa deitreni della metropolitana, gli archeologi chemonitoravano il cantiere si resero conto imme-diatamente che vi erano tracce di antichi inse-diamenti.

I lavori furono fermati e il 17 aprile successivoiniziarono gli scavi che portarono alla luce unanecropoli longobarda di eccezionale interesse conoltre settanta sepolture; nel prosieguo, a circa tre-cento metri dalla necropoli si sono trovati i primiinsediamenti abitativi costituiti da un gruppo diedifici e capanne in legno e pietra a secco.

Era dal 1878, dai tempi della regione Vivero aTestona, che non si verificava, in Piemonte lascoperta di un’area funeraria così vasta e cosìimportante.

L’adozione di moderne tecniche di scavo hapermesso il recupero integrale dei corredi con

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Cassette in osso di cervo. San Gervaso di Cen-tallo (CN), VIII secolo

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l’ampliamento delle no-stre conoscenze sulla vi-ta quotidiana della co-munità.Come per Testona, an-che questa necropolipresenta i tipici caratte-ri delle inumazioni ger-maniche, ordinate perfile e orientate est-ove-st, con il defunto postosupino con il viso rivol-to a ovest.Nelle consuetudini delrituale funerario rien-trava anche lo scavo digrandi e profonde fossedove venivano seppellitii capi delle prime gene-razioni arrivate nellaFara di Collegno.Nei cimiteri pannonicierano presenti dellestrutture in legno cherivestivano le pareti del-le fosse ed emergevanodal terreno a formarequasi una “casa dellamorte”.In Italia questo tipo disepoltura ha pochi ri-

scontri, ma è qui presente in un gruppo di tom-be della fila centrale del nucleo principale, asso-ciate ai corredi più antichi e preziosi.

Si presuppone che nelle persone sepolte -donne e uomini adulti - si possano riconoscere ifondatori del sito, intorno ai quali, furono depo-sti via via i discendenti, le persone semi-libere ei servi che facevano parte della composizione so-ciale dell’insediamento.

A una distanza di trecento metri dalla necro-poli, si trovava un villaggio costituito da costru-zioni complesse e da capanne a vano unico, ret-tangolare, disposte con ordine e con un orienta-mento coerente nord-sud. Le dimensioni delleabitazioni erano modeste, tre metri per cinquecirca, e non includevano i focolari, collocati al-l’esterno, di fronte all’ingresso.

Dei pali infissi nel terreno costituivano l’ossa-tura: le pareti poggiavano talvolta su uno zocco-lo in muratura a secco o realizzato con impastidi terra e ghiaia. Le coperture delle case eranoleggere: paglia o sottili scandole di legno.

Nel villaggio prendevano vita, dagli artigiani

longobardi, tutti gli oggetti che si usavano pervivere: vasellame, attrezzi, armi, tessuti, orna-menti.

Nelle più antiche e ricche tombe femminili so-no stati ritrovati monili di varia foggia e acces-sori per gli abiti di tipo merovingio, propri alledonne che vivevano nel regno che si estendevaal di là delle Alpi; una circostanza piuttosto in-solita che però si può spiegare con un raccontotramandato da fonti scritte dove si narra che iLongobardi, insieme ai Sassoni, fra il 570 e il575 compirono numerose incursioni in Gallia.Passando principalmente dalla Valle di Susa (masi pensa anche alle Valli di Lanzo, dove i Bur-gundi si erano stanziati) raggiunsero ripetutevolte i territori abitati dal popolo burgundo, per

compiere razzie e catturare dei prigionieri. Sipensa quindi che nel villaggio di Collegno fosse-ro presenti donne burgunde fatte prigioniere ein seguito sposate.

Oggetti così preziosi, come la fibula in argen-to dorato guarnita da granati rossi (almandine),decorata con teste di rapace raffigurate di profilo(tomba 48) o i puntali in argento che servivanoa impreziosire le giarrettiere che sostenevano lecalze, ornati da piccole punzonature geometri-che (tomba 47), esprimono il segno dell’apparte-nenza delle donne a una comunità germanicatransalpina, giunte in Piemonte con il loro abitotradizionale. L’associazione poi, nella tomba 48,

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Puntale di giarrettie-ra. Necropoli di Col-legno, VII secolo

Crocetta d’oro. Tomba di giovane donna. Ne-cropoli di Collegno, VII secolo

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già citata, di due fibule, una longobarda e una ti-po merovingio, conferma che si sarebbe trattatodell’unione matrimoniale tra un personaggiolongobardo di rilievo, all’interno della comunità,e una donna burgunda certamente benestante.

Nelle società germaniche sposare una prigio-niera non era sconveniente né proibito e la don-na, fatto di non poco conto, non perdeva il suostatus.

La fara di CollegnoLa società longobarda, così come l’esercito,

era organizzata in gruppi parentali chiamati“Fare”. Almeno in origine, questi gruppi si pre-sentavano con una connotazione fortemente mi-litare che coinvolgeva gli uomini liberi chiamatia rispondere a dei capi, coordinati da un re.

Tale fisionomia è emersa con grande chiarezzadai corredi tombali indicatori della identità so-ciale del defunto: il suo rango e il suo essereguerriero.

I corredi maschili ritrovati con il numeromaggiore di armi (tombe 53 e 70), testimonianoil massimo grado di ricchezza nel primo tren-tennio del VII secolo, mentre nel periodo suc-cessivo, il numero degli oggetti gradualmentediminuì, come avvenne in altre realtà.

Le tombe dei guerrieri erano chiaramente ca-ratterizzate dalle armi: la spata, arma lunga adue tagli e lo scramasax, un lungo pugnale a ta-glio, rappresentavano le principali armi da offesainsieme alla lancia che doveva avere anche lafunzione di portastendardo.

Per la difesa, i guerrieri si affidavano a un pic-colo scudo circolare, in legno rivestito di cuoio,con presa centrale all’interno, e ambone metalli-co a protezione della mano.

I due esemplari ritrovati a Collegno sono de-corati da elementi in bronzo dorato e sono deltipo detto “da parata”.

La qualifica di cavaliere era rappresentata dauno sperone ageminato (intarsiato con vari me-talli), e da una fossa in cui era sepolto un cavalloprivo della testa che accompagnava il defunto.

La pratica di seppellire, dopo averlo sacrifica-to, il cavallo o solo una parte di esso, accanto alproprietario era una usanza alquanto diffusa trale società guerriere seminomadi dell’Europacentro-orientale. Aver ritrovato questo tipo disepolture anche da noi, in Piemonte, ci fa pensa-re a una continuità dei costumi adottati in Pan-nonia, prima delle migrazioni.

Sono state effettuate analisi antropologiche suiresti ossei degli individui inumati, che hanno ri-velato - ed era prevedibile - un numero moltoelevato di morti violente e di traumi gravi.

Tali circostanze fanno supporre che questiguerrieri deposti con le loro armi, assolvesseroeffettivamente i compiti militari, a presidionon solo della sede ducale ma anche delle vie ditransito, soprattutto di quelle che conducevanoin Gallia.

In tutte le tombe “militari”, l’oggetto ritrova-to, più frequentemente, era la cintura di sospen-sione delle armi. Sappiamo che presso i cavalieridelle steppe e i guerrieri germanici si tramanda-va un patrimonio di credenze legate alla cinturavista come elemento di protezione per colui chela portava.

Tre erano gli oggetti che appartenevano ederano attributi del dio Thor: il martello, i guantidi ferro e la “cintura della forza” che - una voltaindossata - raddoppiava il vigore e la potenza di-vina.

Anche presso i Longobardi era fortissimo ilvalore simbolico della cintura che era sempredecorata con guarnizioni metalliche o cuoio, re-cante prima motivi connessi alla mitologia pa-gana e, in seguito, motivi accompagnati daiscrizioni e invocazioni cristiane.

Le cinture di Collegno erano costruite in sem-plice ferro, qualche volta arricchito da lavorazio-ni ad “agemina”, inserti in argento e ottone cheformavano motivi a spirali o intrecci di variafoggia.

Un ritrovamento fortunato è stato quello dellatomba 17, di fattura così bella che l’artigiano au-

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Coppetta in ceramica. Tomba di bambino. Ne-cropoli di Collegno, VII secolo

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tocompiacendosi, oltre adaggiungere sul puntaleuna iscrizione in perfettolatino, si era anche firma-to. É restata così a futuramemoria, la sua qualificadi “magister”.

Alcune cinture sono sta-te fabbricate aggiungendodegli elementi “estranei”provenienti da altri manu-fatti più antichi. É il casodella tomba 60 dove ilprezioso pezzo era arric-chito da placchette assi-milabili a quelle dellatomba 69. Questo fattonon sembri strano, perchéè stato documentato cheera usanza comune spez-zare e distribuire pezzidella cintura, come ere-dità simbolica, agli appar-tenenti alla stessa fami-glia.

Infine facciamo rilevareche nella stessa tomba 60,le guarnizioni sono staterotte volontariamente nel-l’istante della sepoltura,forse per annullare il potere dell’oggetto seppel-lito insieme al proprietario.

Doni funebri per la vita ultraterrenaEra usanza dei Longobardi deporre i loro de-

funti con i vestiti e gli ornamenti più ricchi: iguerrieri armati, le donne ingioiellate e tutti in-distintamente accompagnati da una serie di og-getti in forma di offerte votive.

La ricchezza degli oggetti poteva variare a se-conda del sesso, dell’età, della condizione econo-mica e sociale del defunto.

Una delle offerte associabile a defunti di rangosociale elevato era una crocetta in lamina d’oro,da cucire sul lenzuolo funebre, all’altezza delvolto o del petto.

Questo simbolo comparve nel periodo di inse-diamento in Padania. La crocetta poteva essereliscia o decorata da vari motivi impressi a stam-pigliatura e testimonia del contatto dei Longo-bardi con la popolazione locale cristianizzata.

La conversione religiosa fu un processo lungo,complesso, non privo di superstizioni e sincreti-smi, infatti, per quanto riguarda la necropoli di

Collegno, nella tomba di una giovane donna(47), oltre alla crocetta, fu trovato un amuletofallico per la fertilità e un pendente di cintura inbronzo ageminato a forma di testa di cinghialeben riconoscibile dalle zanne laterali.

Anche un oggetto come il pettine veniva depo-sto nelle tombe femminili con valore apotropai-co, infatti il suo uso, legato alla capigliatura e alcapo come sede dell’energia vitale poteva essereutile nella vita ultraterrena. Ma è assolutamenteinsolito che, nella stessa tomba, vi fosse un altropettine completamento privo della dentatura.

Le offerte votive più frequenti erano rappre-sentate da vasellame in ceramica di ottima fattu-ra, e contenitori di vetro o di bronzo; strana-mente, nella necropoli, nulla di tutto ciò è statotrovato, forse sostituito da oggetti di legno chesi è naturalmente decomposto con l’andare deltempo.

Fanno eccezione due inumazioni infantili(tombe 58 e 72) insieme alle quali sono statetrovate una coppetta in ceramica finemente la-vorata e una piccola bottiglia di vetro a basequadrata.

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Abbazia di Novalesa

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Entrambi i contenitori sono di età romana e te-stimoniano l’uso di recuperare da tombe più anti-che dei manufatti pregevoli, di evidente valore ar-tistico e apprezzati dal punto di vista estetico.

Spigolature fra Torino e i suoi dintorniNell’antica area urbana torinese, le tracce ma-

teriali della presenza germanica sono rare, se sieccettuano alcuni reperti ceramici, mentre sonotornate alle luce, alla periferia della città o nelterritorio circostante numerose sepolture.

Ricordiamo la ricca tomba femminile del Lin-gotto della prima metà del VII secolo, e altre piùsemplici della Barriera di Nizza e una tomba aMadonna di Campagna, nella quale era presenteuno scramasax.

Testona è già stata abbondantemente citata,ma ricordiamo ancora Carignano e i piccoli emodesti nuclei cimiteriali di Rivoli e Beinasco.

Degno di nota è stato l’insediamento di Pios-sasco, nei pressi di Torino, già vicus romano,che divenne nel periodo della dominazione lon-gobarda (568-774) un punto strategico di note-vole importanza tra il regno gallo-franco e quel-lo longobardo.

Dovrebbe risalire proprio a questo periodo la

costruzione del primo maniero sullo speroneroccioso conosciuto come “Rocca del Merlone”.La casaforte sarebbe stata occupata da un Ari-manno che presiedeva alla sicurezza del luogo.

Lo storico Casalis cita, a tale riguardo, la sto-riografia per la quale il casato dei Piossascoavrebbe il suo capostipite: “in uno di quei duchilongobardi, i quali dopo la caduta del loro reDesiderio, furono da Carlo Magno, lasciati nelpossesso dei loro castelli, e presero il nome dalluogo principale del loro dominio”.

A Caselle Torinese, le cui origini pare risalga-no all’epoca romana, le vicende storiche tra-mandateci hanno inizio proprio con l’occupazio-ne dei Longobardi e pare sia stata opera deglistessi la “bealera” (canale) che forniva acqua perl’irrigazione dei campi.

Montanaro, sempre in provincia di Torino, èun altro paese che fa risalire la sua origine aiLongobardi anche se non ci sono tracce effettiveche lo possano confermare.

Ci sono invece conferme per quanto riguardaMathi, all’estremo lembo occidentale della pia-nura canavesana. Nei documenti alto-medioevaliil villaggio viene citato come Mantengo (sappia-mo che i suffissi in ingo – engo attestano pre-

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Sacra di San Michele con sepolcro dei monaci

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senze longobarde). L’originedel borgo potrebbe esseretardo-romana ma più pro-babilmente longobarda, co-me si evince da un docu-mento del 574 d.C. nel qua-le la Vallem Amategie, laValle di Mathi, veniva cedu-ta dai Longobardi al re deiBurgundi.

Anche a Pancalieri, unpaese della pianura alla sini-stra del Po, sulla strada checonduce a Pinerolo, è certi-ficata la presenza dei Lon-gobardi. Di origini incerte,il borgo era stato occupatodai Galli, intorno all’anno589 a.C.; sotto il ducato lon-gobardo divenne una citta-della fortificata, cinta dimura e da un castello, “locastel de Panchaler”. Lachiesa del cimitero di Pan-calieri, antichissima secon-do lo storico Cuniberti, risa-le all’epoca longobarda e fula prima ad ospitare le fun-zioni religiose.

Interessante è anche lastoria di Cumiana, paese diorigine celtica: alla cadutadell’impero romano subì leinvasioni barbariche ed en-trò a far parte del regno lon-gobardo, il cui confine occi-dentale passava proprio sui monti di Cumiana. Ilpiù antico documento conosciuto in cui compa-re il nome del borgo risale all’810, nella cosid-detta “Donazione di Teutcario”. Chi fosse esatta-mente questo personaggio non è dato a sapersi:secondo il Provana di Collegno, si trattava di un“alemanno” giunto in Piemonte al seguito dellearmate di Carlo Magno, mentre per il Grosso eraun “arimanno longobardo”. In ogni caso Teutca-rio cedette tutti i suoi possedimenti alla Abbaziadella Novalesa.

Non lontano da Cumiana si trova Frossasco, aipiedi del monte “Tre Denti”, uno dei centri piùantichi della pianura torinese. Questo paese haindubbiamente origini remote, più di quanto nonpossa trasparire dai documenti pervenuti. Duran-te certi lavori, fu scoperta in regione Margherauna necropoli longobarda con urne cinerarie e

una lapide che attestano del-la vetustà del sito.Purtroppo le venticinquetombe erano quasi total-mente vuote, se si eccettua-no alcune ossa, tracce dicarbone, una spada di ferroe delle fibule. La muraturacomposta anche da mattonidi tarda età romana ha per-messo la collocazione stori-ca del rinvenimento.Un cenno particolare, meritail sito del Sacro Monte diBelmonte, nell’Alto Canade-se, che si trova su uno spero-ne roccioso caratterizzato daaffioramenti di rari granatirossi. Gli scavi effettuati neltempo hanno portato alla lu-ce i resti di un villaggio lon-gobardo, fortificato da unatriplice cinta di mura. Que-sto villaggio-fortezza com-prendeva, oltre alle abitazio-ni, ripostigli per il vasellame(che si suppone fosse fabbri-cato in loco), l’officina di unfabbro, con gli attrezzi da la-voro e una parte della suaproduzione sia civile - conaratri, zappe e pale - che mi-litare, con umboni di scudi,morsi per i cavalli, punte dilance e di frecce. È stato ri-trovato anche uno splendido

capitello con motivi geometrici e a intreccio. Lacosa interessante è che sul sito del villaggio lon-gobardo esisteva un castelliere celtico che ci halasciato interessanti reperti. Tutti questo oggettisono visibili al Museo Archeologico di Cuorgnè.

Sono ancora molti i luoghi che hanno visto ladominazione longobarda nel Ducato di Torinoma vogliamo chiudere con il fatidico luogo delleClusae Longobardorum, l’odierna Chiusa SanMichele.

Clusae LongobardorumEginardo, biografo e amico personale di Carlo

Magno, ha descritto efficacemente la conquistadelle Chiuse: “Quanto sia stato difficile il pas-saggio delle Alpi per entrare in Italia, con quan-to travaglio dei Franchi furono superati gliinaccessibili gioghi dei monti e le cime svettanti

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Schema di sepoltura di guerrierolongobardo

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nel cielo e le cupe rupi, potrei descriverlo a que-sto punto del racconto.

La conclusione di questa guerra fu comunquela sottomissione dell’Italia, la deportazione inesilio perpetuo del re Desiderio, l’espulsione dal-l’Italia, di suo figlio Adelchi e la restituzione adAdriano, capo della Chiesa Romana, delle pro-prietà strappategli dai re longobardi.”

Questo accadde negli anni 773 e 774 d.C. L’av-venimento fu un momento significativo per lastoria e ancora oggi ci chiediamo cosa sarebbeaccaduto se i Longobardi avessero resistito: for-se ci troveremmo invece che in Italia, nella Lan-gobardia.

Non bisogna dimenticare infatti che i territorilongobardi corrispondenti al Piemonte attuale,confinavano, nel VII secolo, con il Regno deiFranchi e - cosa importantissima - la Regioneera l’asilo tradizionale di coloro che aspiravanoal trono della Langobardia: questo ne faceva unazona di speciale interesse politico e militare.

Proprio a causa del carattere di terre di confi-

ne del Ducato di Torino, gli ultimire longobardi, Rachis, Astolfo eDesiderio, rafforzarono il sistemadi “chiuse” alpine per proteggereil Regno dalla pressione franca. Sitrattava essenzialmente di un in-sieme di fortificazioni costituiteda torri di avvistamento in pietra,poste all’imbocco delle vallate checonducevano ai valichi alpini, nor-malmente percorsi dagli eserciti.Il complesso abbaziale di San Mi-chele della Chiusa, oggi conosciu-to come “Sacra di San Michele”, sitrova, come si evince dal nomeoriginario, esattamente nel puntoin cui sorgeva il sistema difensivodelle “chiuse” nella Valle di Susa.Tutta la città di Susa e la pianurasino a San Michele erano control-late dai Franchi già dal VI secolo.Purtroppo gli ultimi sovrani lon-gobardi commisero un grave e fa-tale errore affidando alle sole“chiuse” il compito di difendere ilregno dai nemici che premevanoal confine, diversamente da quan-to avevano fatto i loro predecesso-ri goti e bizantini sempre presentie vigili.La difesa passiva di Desiderio affi-data soltanto alle “torri di avvista-

mento”, senza una effettiva vigilanza, permise aCarlo Magno di penetrare nel territorio.

In quel momento comunque la potenza mili-tare franca era decisamente superiore a quelladei Longobardi: forse per questo motivo, Deside-rio aveva concesso in matrimonio a Carlo Ma-gno sua figlia Ermengarda.

Ma torniamo a Chiusa San Michele che - comeabbiamo visto - deve il suo nome alle fortifica-zioni realizzate per il controllo della strada checonduceva alle Gallie. Oggi non rimangono trac-ce di quelle fortificazioni se non nel toponimo“le mure” su un modesto rilievo dei dintorni.

Queste vicende sono state raccontate nel Chro-nicon Novalicense e nel racconto romanzatoAdelchi di Alessandro Manzoni.

Per concludere possiamo dire che i “siti lon-gobardi” in Piemonte sono davvero moltissimi, adue passi da Torino, il Monferrato, le Vallate Oc-citane… Cominciare a conoscerli dalla mostra aPalazzo Bricherasio, in Torino, sarebbe comun-que un bell’inizio.

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Cavaliere longobardo. Disegno di Alessandro D’Osualdo

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Dante, sulla base delle informazioni in suopossesso, classificò, come tutti sanno, i vol-gari scaturiti dal latino in tre grandi fami-

glie a seconda dell’avverbio usato per dare unarisposta affermativa. Emersero così la linguad’oil (il francese), la lingua d’oc (l’occitano) e lalingua del sì (l’italiano). Per le conoscenze del-l’epoca, il suo fu un contributo importante. Male conoscenze dell’epoca erano quelle che erano.Dante ne fu una vittima illustre.

Un solo esempio: si dimenticò del tutto diun’altra grande lingua derivata dal latino, an-ch’essa “lingua del sì” eppure diversa dall’italia-no: lo spagnolo (o meglio, il castigliano, il cata-lano e il galaico-portoghese).

Dante compì però anche un altro errore diomissione, questa volta interno all’unica “linguadel sì” da lui identificata: un errore del quale an-cora oggi paghiamo le conseguenze.

La sua colpa fu quella di avere scelto, qualeelemento principale di diversità linguistica, pro-prio quella particola affermativa galeotta.

Se Dante avesse assunto, quale spia della di-versità, il pronome personale nella prima perso-na singolare, avrebbe scoperto che all’internodell’italiano da lui ipotizzato emergevano alme-no due lingue diverse, in una delle quali si usavauna forma derivata dal pronome soggetto latinoe nell’altra dal pronome oggetto. In una linguasi diceva “io”(o magari “iu”): nell’altra si diceva“mi” (Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria)oppure “me” (Emilia, Romagna).

É chiaro che nemmeno questo criterio sareb-be stato un valido elemento distintivo: alla “lin-

gua del mi” (il padano) si sarebbero contrappo-ste in blocco tutte le altre lingue neolatine inun’unica immensa “lingua dell’io”, parlata, siapure con una vasta e significativa interruzione(la Padania, appunto), da Parigi a Palermo. Tut-tavia, la “lingua del mi” avrebbe goduto di unprecoce riconoscimento quanto mai opportuno(anche perché molti erano i suoi caratteri di-stintivi, conservati del resto nei suoi dialetti dioggi).

Ma perché i Padani, quando hanno cominciatoa parlare latino, hanno unanimemente confusoil pronome oggetto col pronome soggetto? For-se perché erano i più rozzi e ignoranti tra i po-poli romanizzati?

Probabilmente la risposta corretta dovrebbeessere un’altra, collegata a ciò che i linguistichiamano “la reazione del sostrato”. Nelle lingueceltiche, anche in quelle ancora viventi, mi (op-pure me) significa infatti tanto “io” quanto “me”.Un Bretone, per dire in bretone “io leggo un li-bro” dice Me a lenn ul levr (sembra bolognese). IPadani, memori della lingua da loro parlata pri-ma della romanizzazione coatta, hanno prose-guito un’abitudine che si dimostra assai radicata.La loro è una ammirevole testardaggine.

Anche se non parlano più celtico da almenoun millennio e mezzo, i Padani dicono ancorami come gli Irlandesi e i Gaeli scozzesi, oppureme come i Gallesi e i Bretoni. Davvero una bellaprova di fedeltà.

Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 43

R ipubblichiamo tre articoli di Sergio Salvi, ori-ginariamente apparsi una decina d’anni fa. Sitratta di tre brevi testi di straordinaria attuali-

tà che ci sembra opportuno salvare dall’oblio e ri-proporre ai nostri lettori.

Il Padano, o meglio “la lingua del mi”di Sergio Salvi*

* La Padania, 4 febbraio 1998

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Page 46: Anno XIII - N.74 -Novembre-Dicembre 2007 · La Libera Compagnia Padana Arimortis - Annotazioni sull’autonomismo prossimo venturo - Brenno 1 Arcangelo Ghisleri (1855-1938) Un pilastro

Quando si opera, politicamente, nel campoistituzionale, non si devono mai confonde-re i sogni con la realtà. A proposito di Sco-

zia e Padania, e di devolution, va infatti tenutopresente che la Scozia esiste e la Padania no. O,almeno, non ancora: anche se esiste su un pia-no che non è istituzionale e costituzionale.

Diamo un’occhiata alla situazione scozzese.1. La Scozia è diventata, nell’843, uno Stato (unregno) indipendente e sovrano.2. Nel 1603, il re di Scozia, Giacomo VI, è diven-tato anche re d’Inghilterra. Si è verificata, aquella data, una “unione delle corone” che haperò lasciato i due regni indipendenti e sovrani.Giacomo Stuart era VI in Scozia ma I in Inghil-terra.3. Nel 1707, il parlamento scozzese decise disciogliersi e di confluire nel parlamento inglese,che prese il nome dì parlamento “britannico”.La “unione delle corone” si trasformò in “unio-ne dei parlamenti”, i due regni divennero ununico “Regno Unito” e la Scozia perse l’indipen-denza nazionale. Mantenne tuttavia, e conservatutt’oggi, alcune prerogative della propria per-duta sovranità.

Ne elencheremo le maggiori (che sono tre): I)Le proprie leggi e il proprio sistema giuridico,assai diversi da quelli inglesi, e governati da unaautorità propria. II) La propria Chiesa ufficiale,la Chiesa di Scozia, presbiteriana (priva di ve-scovi), diversa dalla Chiesa d’Inghilterra, ufficia-le in quel paese, detta “anglicana” in Inghilterrama “episcopale” altrove, Scozia compresa. III) Ilproprio sistema scolastico, del tutto indipenden-te da Londra e guidato da una autorità scozzese.

Ad esse potremo aggiungere: la propria bancacentrale (Bank of Scotland) che è anche un isti-tuto di emissione (la sterlina scozzese circolaaccanto a quella inglese anche se ha lo stesso va-lore) ma è priva di indipendenza finanziaria.

In seguito, nel XIX secolo, la Scozia ha otte-nuto anche l’indipendenza sportiva. Gli atletiscozzesi gareggiano, anche in campo internazio-

nale, come scozzesi e non come britannici insie-me agli inglesi.

La Scozia ha sempre mantenuto anche unaelevata autonomia amministrativa, concretizza-tasi nel 1982 con l’abolizione delle 33 conteenelle quali il suo territorio era suddiviso e l’in-troduzione alloro posto, di 12 regioni (l’unicariforma regionale compiuta in Gran Bretagna).

Esiste, del resto, un territorio nazionale scoz-zese dai confini precisi, che sono quelli del re-gno di Scozia all’atto dell’unione dei parlamenti.Anche se l’Inghilterra settentrionale appare, daun punto di vista soprattutto economico, similealla Scozia con la quale confina, a nessuno ver-rebbe in mente di unirla a questa sotto l’egida diun Nord britannico che cancellerebbe la storia ela cultura di popoli assai diversi.

La devolution, decisa recentemente da Londrain favore della Scozia, consiste allora nella re-staurazione del Parlamento scozzese estintosinel 1707, cui sono concessi alcuni poteri dete-nuti dal parlamento di Westminster e ampiepossibilità di autogoverno. Tutto ciò si aggiungea quei poteri (giuridico, ecclesiastico, scolastico)che discendono dall’atto di unione del 1707 esono precedenti alla devolution.

Al contrario della Scozia, che ha sempre man-tenuto, formalmente, la propria identità istituzio-nale, politica e territoriale (pur mutilata) all’in-terno dello Stato britannico, la Padania possiedesoltanto una identità morale e culturale che nonè riconosciuta dallo Stato italiano: per il qualeesistono giuridicamente soltanto alcune regioniraggruppate informalmente, nelle statistiche uffi-ciali, sotto il nome di Italia settentrionale.

La situazione della Padania, per restare al mo-dello britannico e al tema della devolution, èforse più vicina a quella del Galles.

Il Galles è stato brutalmente annesso all’In-ghilterra nel 1536. Non ha mai avuto uno Stato

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Niente devolution senza parlamentoFino al ’68 la situazione gallese era simile a quella padana

di Sergio Salvi*

* La Padania, 28 settembre 1999

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proprio. In esso, da allora, si e sempre applicatala legge inglese; la sua Chiesa ufficiale è stataquella anglicana, le sue scuole facevano partedel sistema inglese. Nonostante ciò, il Galles hamantenuto la propria lingua, la propria cultura,la propria memoria storica.

Fino al 1968, la situazione del Galles era simi-le a quella della Padania. Nel 1968, tuttavia, ilpopolo gallese ha ottenuto, per via politica, unriconoscimento ufficiale della propria esistenza.Il governo e il parlamento britannici hanno rita-gliato, dal territorio inglese, un territorio com-posto da tredici contee formando con esse unnuovo soggetto amministrativo denominatoGalles, dai confini precisi e dotato di personalitàgiuridica.

Con la devolution è stata poi formalizzata unaassemblea gallese simile al parlamento scozzeseanche se dotata di minori poteri (ma il Gallespartiva da zero) e si è aperta la strada dell’auto-governo.

La Padania, purtroppo, non ha avuto il suo1968 istituzionale. Londra può infatti “devolve-re” sovranità al Galles, che esiste ufficialmenteda quella data. Ma la Padania? Prima di ogni al-tra cosa, appare allora necessario promuoverel’istituzione “amministrativa” della Padania nel-l’ambito dello Stato italiano, conditio sine quanon per una devolution che non sia priva di sen-so, cioè di un soggetto concreto in grado ai esse-re “devoluto”. Il carro va costruito prima di sce-gliere i buoi più adatti a trainarlo.

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Padania, “federazione di dialetti”L’unità impose a tutti il toscano

per esigenze amministrative

di Sergio Salvi*

Tutti i politici italiani, perfino il padano“rinnegato” Gianfranco Fini, riconosconoai Curdi la dignità di “popolo”, di “etnia”,

di “nazione” (ognuno scelga il termine che pre-ferisce: sono tutti ambigui, nel senso che ap-paiono privi di una definizione ufficiale che nestabilisca un significato uguale per tutti, anchese servono egregiamente a indicare alcuneidentità davvero forti, come il caso curdo ap-punto dimostra).

Il motivo principale di questo riconoscimentoderiva dal fatto che i Curdi, pur divisi tra statidiversi, possiedono una lingua propria.

Ma che cos’è questa lingua?La risposta è semplice: una “federazione di

dialetti”, privi di koiné (cioè di una variante co-mune) a causa della mancanza di una storia po-litico-amministrativa comune. Questi dialettisono tuttavia tanto affini tra di loro da apparire

intimamente legati da una serie di caratteri pe-culiari e pertanto nettamente diversi dai dialettiparlati dalle popolazioni confinanti e che sono,a seconda delle lingue colte di riferimento, dia-letti turchi, arabi, persiani, aramaici, georgianie armeni.

La lingua curda è dunque un complesso didialetti i cui nomi profumano di esotismo: ba-syazid, hakari, bahdinan, lakki, bohtan, sorani,solemaini, mukri, ardelani, kermanshah, zan-gan (almeno secondo la minuziosa classificazio-ne di D.N. Mackenzie).

Recentemente, in Irak, dove la lingua curdagode di un traballante statuto di ufficialità, si èimposto sugli altri a livello scritto, il dialettosolemaini.

* La Padania, 29 aprile 1998

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In Iran, il mukri. Negli stati caucasici ex-so-vietici, un dialetto impropriamente chiamatokurmangi. I curdi di Turchia, che sono i più nu-merosi e i più oppressi e perseguitati, non pos-sono invece scrivere nessuno dei loro dialetti esono puniti anche quando li parlano.

Una situazione, come si vede, ingiusta e con-tinua.

La situazione linguistica curda ci rammenta,fatte le debite proporzioni, quella padana. An-che la lingua padana si presenta attualmentecome una “federazione di dialetti”, assai più af-fini di quanto i padani stessi non si immagini-no. Anche se privi di koiné, sono dialetti chiara-mente diversi da quelli parlati dalle popolazionicircostanti indipendentemente dalla loro appar-tenenza a Stati diversi: occitani, franco-proven-zali, tedeschi, retoromanzi, sloveni, toscani,italiani centro-meridionali.

Questa situazione è, del resto, comune a tuttele lingue conosciute, almeno all’inizio della lo-ro storia.

Si dovrebbe, ad esempio, sapere che si trattadi una situazione condivisa da una lingua assaipiù prestigiosa di quella curda: la lingua greca.

Anche la lingua greca si è affermata come una“federazione di dialetti” ed è rimasta tale permolti secoli.

Gli storici di questa lingua parlano di dialettidorici, eolici, panflli, ionico-attici... Tutta lagrande letteratura greca si è espressa, per moltisecoli, attraverso uno di questi dialetti: dotatitutti della stessa struttura eppure diversi inquanto al lessico e, soprattutto, alle abitudinifonetiche. Soltanto il dialetto dorico pronuncia-va, ad esempio, la V iniziale di una parola.

Si sa dunque che il nome stesso dell’Italia,che è stato coniato dai coloni greci attorno al VIsec. a.C. sulla base di un indigeno Viteliù, è do-vuto a elleni che non erano dorici. Altrimentisaremmo, in questo momento, cittadini “vita-liani”. Questa affermazione non è stata fatta dauno di quei numerosi dialettologi della domeni-ca che affliggono anche la Padania, ma dalgrande glottologo Giacomo Devoto.

Le analogie tra greco e padano terminanoqui. A partire dal IV secolo a.C., la potenza dellamonarchia macedone infranse con le mani la li-bertà politica delle città greche, dando origineall’impero di Alessandro Magno e all’età elleni-stica.

Le esigenze dello stato centralista imposero,per ovvie ragioni di comunicazione e per inde-rogabili esigenze amministrative, l’adozione di

una koiné (sottinteso dialektos) cioè di una“lingua comune”. I Macedoni, che parlavanoforse un dialetto greco periferico (ma alcunistudiosi sostengono che parlassero una formadi illirico oppure di trace), scelsero, qualekoiné, il dialetto greco diventato nel tempo ilpiù prestigioso e il più conosciuto, quello ate-niese (che non parlavano). Le analogie con lalingua padana e con l’introduzione dell’italianodi Stato in Padania appaiono stupefacenti: laMacedonia come, in seguito, il Piemonte e ildialetto toscano come quello ateniese, dunque.

Certo, si tratta di eventi diacronici, La koinégreca si è estinta nel corso dei secoli dando ori-gine ai dialetti neo-greci. Quando la Grecia, nelXIX secolo, riuscì a costruire il proprio Statonazionale, assunse però, quale lingua ufficiale,la koiné classica, che nessuno parlava più enemmeno comprendeva (escluso il clero e gliintellettuali). Fu come se il regno sabaudo d’I-talia avesse deciso di usare il latino e non il to-scano (italiano). Ricordiamo che “acqua”, ingreco classico, era hydòr e in neo-greco nerò.

Anche la lingua francese ci offre un esempioassai pertinente. Al suo debutto si presentò co-me una “federazione” di molti “dialetti”, quat-tro dei quali ebbero, per ragioni politiche, unimpiego giuridico-amministrativo e letterarioimportanti: il normanno, il piaccardo, lo sciam-pagnese e l’anglo-normanno (il dialetto dei con-quistatori dell’Inghilterra modificatosi nellanuova sede). È proprio in anglo-normanno chevenne scritto il primo monumento letterariodella lingua francese, la “Chanson de Roland”.

Quando il re di Francia, nel XIII trasformò lapropria sovranità nominale in potere effettivoconquistando un territorio sempre più vasto, ilsuo dialetto, il franciano che era quello di Pari-gi e della regione dell’Ile-de-France, usci dall’a-nonimato e venne imposto nelle regioni con-quistate. Nel 1539, con l’editto di Villers-Cotte-rets, il franciano divenne la lingua ufficiale delregno. Gli altri dialetti francesi decaddero ma ildanno maggiore si compì a proposito di un’altra“federazione di dialetti”, assai diversi da quellifrancesi e addirittura più illustri che formavanola lingua occitana (ed erano parlati dalla metàalmeno della popolazione del regno): una lin-gua che aveva dato all’Europa la sua primagrande stagione letteraria, quella dei trovatori.

Le analogie politiche tra occitano e padanoappaiono, a questo punto, davvero evidenti. E cioffrono un motivo di riflessione per il presentee per il futuro.

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Elena Bianchini Braglia (a cu-ra di) La verità sugli uomini e sullecose del Regno d’Italia. Rive-lazioni di J.A. agente segretodel conte CavourModena: Edizioni Terra e Iden-tità, 200595 pagine

“…se vi ha scandalo, non èmia colpa, ma è colpa dei fat-ti…”Un piccolo, prezioso libro, cu-rato da Elena Bianchini Bra-glia per i tipi dell’AssociazioneCulturale modenese “Terra eIdentità”, rivisita coraggiosa-mente alcuni degli intrighi edegli inganni che portarono al-l’unità d’Italia. Attraverso le confessioni, ri-portate fedelmente, di unagente segreto, che li visse inprima persona, il volumettoporta nuova luce sui lati piùreconditi della storia, infarcitadi leziosi ornamenti in similo-ro, di uno strano paese, chenon trova ancora ridicolo e pe-noso inventarsi vittorie e di-gnità, mai nemmeno sfiorate,né ora, né mai, nel suo incon-gruente passato.Dagli archivi riservati di Teo-doro Bayard De Volo, ministrodel Duca di Modena France-scoV, si invera, a denuncia, lacosiddetta “rivelazione” di un“agente segreto del conte Ca-vour”, firmata, semplicemente,con le lettere: J.A.(1)

“Sono stato per più di due an-ni l’agente segreto del ConteCavour…durante i trenta mesicirca che ho disimpegnato si-

mili funzioni sono stato inca-ricato di missioni importantis-sime ed iniziato a molti segre-ti…ho veduto da vicino gli av-venimenti e gli uomini chehanno occupato l’attenzionepubblica in questo periodo ditempo cotanto rimarchevole.Oggi che ho ripreso la mia li-bertà ho pensatoche il raccontodelle mie missio-ni potrebbe inte-ressare gli uomi-ni seri che, stu-diando la storiadella loro epoca,vogliono pene-trare al fondodelle cose…nonho avuto altromovente perscrivere.”Il sorprendentedocumento, con-servato nell’Archivio di Statodi Modena, riportato dal DeVolo nella succitata, esaurientebiografia del Duca, pubblicataa Modena tra il 1878 e il 1882,reca, in nota, nel capitolo sulleAnnessioni(2), la notizia che le“rivelazioni” di J.A. comparve-ro, in un primo tempo, aBruxelles, in francese, per ope-ra della tipografia Delièvu, e,successivamente, in versioneitaliana, attribuite a un certoFilippo Curletti, agente segre-to di Cavour e capo della poli-zia politica del Dittatore LuigiCarlo Farini. La studiosa Elena BianchiniBraglia riscopre l’episodio,che, dopo secoli di opportuni-stico e ipocrita silenzio, si rive-la di grande interesse per tutticoloro che mai si accontente-ranno della cosiddetta storiaraccontata dai vincitori.Apprendiamo dunque che ilnostro futuro agente, roma-gnolo di origine e figlio di un

magistrato fedele al Papa, ave-va seguito la famiglia nel vo-lontario esilio a Roma, dopol’ingresso dei Piemontesi nelleLegazioni pontificie. Conosciuti, così, nel 1854,l’ambizioso Marchese Pepoli eil commendatore Minghetti,capi dei liberali in Romagna,

già parente, ilprimo, di Napo-leone e di Brun-swick, fu da co-storo conquistatoalla causa rivolu-zionaria, diven-tandone, in brevetempo, ligio ope-ratore. Una lettera diraccomandazionedel Marchese peril Conte di Ca-vour, servì, di lì apoco, nel 1858, a

introdurre Curletti al ministe-ro, dove il titolare, valutato inun batter d’occhio il “giovinot-to ardito e fidato”, non tardòad affidarlo al generale SaintFrond, che lo mise subito allaprova. “…sei tu capace di rapire unaragazza e di condurla questasera a Moncalieri?…Ebbene!Vieni che te la faccio vede-re…Non voglio entrare neidettagli di simile avventuracolla quale incominciavano, inuna guisa abbastanza strana, imiei servigi alla causa italia-

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(1) “A quelli che si meraviglierannoperché io non mi sia nominato, ri-sponderò che appunto per ragione del-la natura delle funzioni che esercitai,il mio nome, rimasto sempre nell’om-bra non interesserebbe per nulla alpubblico, quanto alle persone interes-sate, esse senza dubbio sapranno leg-gerlo sotto il velo delle iniziali…”(2) Teodoro Bayard De Volo, Vita diFrancesco V, Aedes Muratoriana, (4vol.)

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na: essa fece d’altronde moltorumore a Torino, dove nessu-no ignora la storia della signo-rina Maria D… il cui fratellopoco dopo fu nominato capouffizio alle Poste.”Assunto, dopo cotanto servi-zio, in pianta stabile, dal Contein persona, con un appannag-gio mensile di cinquecentofranchi, al romagnolo fu subi-to affidato l’incarico di spiarelo stesso Saint Front, insiemea Rattazzi(3), Della Margarita,Brofferio(4), Revel e De Beaure-gard. Missione che il nostro attese inmodo più che zelante, guada-gnandosi subito “la confiden-za” del ministro, che lo inca-ricò, subito dopo, di tenered’occhio Napoleone III, dalmomento dello sbarco a Geno-va, fino alla sua partenza daAlessandria e anche un po’ do-po, grazie al supporto venaledell’ispettore di polizia Hyr-voix, appartenente alla casaimperiale.Curletti, in seguito, fu manda-to in Toscana per il coordina-mento dei comitati “sponta-nei” che erano sorti nel Gran-

ducato, allo scopo di suscitareagitazioni popolari contro i so-vrani legittimi(5). Il piano, si sa, riuscì puntual-mente e, alle quattro del po-meriggio del’11 maggio1859(6),il Commissario piemonteseConte Buoncompagni si instal-lò nel palazzo del Sovrano,vuote, al contempo, tutte lecasse pubbliche senza che unasola lira fosse entrata nel teso-ro di Casa Savoia.

Il compenso del nostro agentefu di ben seimila franchi. J.A. ebbe poi l’ordine di ren-dersi immediatamente a Par-ma, accompagnato da uominidecisi e fidati, per dare manforte al Conte Cantelli nell’e-spellere dalla città la Duches-sa(7).Per quanto riguarda la situa-zione modenese, Curletti stes-so si dichiara stupito dellacondotta del Duca, che, senzacolpo ferire, abbandona i suoiStati(8).Veniamo a sapere, infatti, nellibro, come il romagnolo Fari-ni, medico esperto di malaria,divenuto famoso per il Manife-sto di Rimini, in cui auspicavariforme amministrative e poli-tiche dal governo pontificio,cui si ispirò persino MassimoD’Azeglio nel suo I casi di Ro-magna, si preparasse a diven-tare ”itagliano”, impadronen-dosi con destrezza, mentre ri-copriva la carica di dittatoredell’EmiliaRomagna, dell’ar-genteria e del guardaroba delPalazzo Ducale di Modena. Ibeni furono utilizzati, in se-guito, dalla moglie GenevieffaCassiani(9), dalle figlie e dal ge-nero Riccardi, suo segretarioall’epoca dei fatti. Non solo: ilgenero-segretario avrebbe an-che intascato, in seguito, in-genti somme di denaro, incambio di protezione, dai so-

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Carlo Farini

(3) Fu capo della sinistra del parlamen-to subalpino e in seguito Presidente delConsiglio nel 1862 e nel 1867.(4) Avvocato e scrittore astigiano, nel1848 eletto deputato, capeggiò la sini-stra costituzionale e fu deciso avversa-rio di Cavour.(5) Per organizzare agenti che avrebberodovuto “disperdersi per gruppi nei quar-tieri esterni della città… cominciare aprodurre degli assembramenti colle gri-da di: Viva l’indipendenza!… Abbasso iLorena! E dirigersi con un movimento

di concentrazione verso il Palazzo Pit-ti…correre alle casse pubbliche ed im-padronirsene. Ricasoli incaricavasi difare occupare dai suoi uomini i mini-steri, le poste ed il palazzo granducale.”(6) Il filo-piemontese Bettino Ricasoliorganizza il 27 aprile 1859, con gli ade-renti alla Società Nazionale, una gran-de manifestazione che produrrà, alla fi-ne, un governo provvisorio.(7) Uno dei principali fautori della rivo-luzione di Parma del 1848, dopo la re-staurazione condannato a morte e alla

restituzione di 80.000 franchi, di cui siera appropriato, fu graziato dalla Du-chessa, dopo aver ostentato una galan-te quanto falsa fedeltà.(8) “inconcepibile, se non si supponeche egli sia stato ingannato sulla verasituazione delle cose…sarebbe bastatoun colpo di fucile per mandare a vuotola cospirazione di Modena, come delpari quella di Firenze e di Parma.”(9) Roberto Martucci, L’invenzione del-l’Italia Unita” (Milano: Sansoni Edito-re, 1999)

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stenitori del Duca esiliato chetemevano l’arresto, inauguran-do un’altra ben radicata con-suetudine italica.Fatti inquietanti, soprattuttoperché l’ingente ammanco diargenteria e di abiti, verificatosia Palazzo Ducale durante tuttoil 1860, è sempre stato imputa-to al povero Francesco V.Le fortune del Farini avevanoavuto, comunque, inizio dopoche, separatosi da Mazzini, eradiventato seguace di Gioberti edi Balbo. Grazie all’amnistiaconcessa da Pio IX(10), rientra-to a Osimo, da lì a due anni,era stato convocato a Romacon l’incarico di direttore ge-nerale al Ministero dell’Inter-no. Il nostro, in seguito, dopol’assassinio di Pellegrino Rossie la fuga del Papa a Gaeta, siera trasferito prima in Toscanapoi in Piemonte, fondando ilgiornale La Frusta, che soste-neva il ministero D’Azeglio. Fudato alle stampe, sempre inquell’epoca, il suo La Storiadello Stato Romano dall’anno1814 al 1850, che lo rese cele-bre finanche in Inghilterra.Guadagnatasi la cittadinanzapiemontese, fu più volte depu-tato fino a essere chiamato daMassimo D’Azeglio, nel 1851, areggere il Ministero della Pub-blica Istruzione, nello stesso

governo in cui il conte Bensofu ministro dell’Agricolturaprima, delle Finanze poi.Da Cavour in persona, il Fariniebbe, nel 1859, l’incarico dicommissario a Modena, dovel’indomani dalla partenza delDuca, si era insediato l’avvoca-to modenese Luigi Zini(11),che, in appena cinque giorni,era riuscito a sequestrare i be-ni allodiali di Francesco V e acacciare i Gesuiti, prima di do-ver dare le consegne al soprag-giunto Farini. Quello stesso giorno, il 19 giu-gno, il Dittatore avrebbe ema-nato un proclama(12) che mo-strava le forti preoccupazioniper la situazione politica, inuna Modena non così filo pie-montese come si voleva farcredere, anche perché unaclausola dell’armistizio di Vil-lafranca veniva a prevedere ilritorno dei principi spodestatinei loro domini, sia pure senzal’appoggio di eserciti stranie-ri(13).Sarebbero forse stati sufficien-ti i tremila uomini della indo-mita, fedelissima BrigataEstense, in esilio con il Sovra-no in Austria, a cambiare ilcorso della storia? Non lo sa-premo mai.Sappiamo soltanto che lo stes-so dittatore Farini scampò, da

lì a poco, a un attentato deilegittimisti: non fu nemmenopossibile, in ogni modo, perse-guire gli autori, rimessi in li-bertà in un detto e fatto daisoldati ammutinati.La leva obbligatoria del 3 ago-sto 1859, ordinata dal Fariniper inquadrare nei ranghi dellaGuardia Nazionale i rampollidelle famiglie cittadine, abortìin vari tumulti, specialmentenella zona della “bassa mode-nese”, conclusi con l’arresto dialmeno centoventi persone e sidovette persino trasferire, daParma a Modena, un reggi-mento dei Cacciatori della Ma-gra per fortificarne il presidio.Luigi Carlo Farini, quando, fi-nalmente, conclusa la sua mis-sione, nel marzo 1860, ritornòa Torino, fu per consegnare aVittorio Emanuele i risultatidel plebiscito nel Ducato diModena, piuttosto addomesti-cati, però, secondo Bayard DeVolo(14).Le cosiddette “rivelazioni” al-zano finalmente ora il sipariosull’inquietante “dietro le

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(10) Nel 1846 fu eletto al soglio pontifi-cio.(11) Costui, fin dal febbraio del1859, erastato incaricato da Giuseppe La Fari-na, capo gabinetto del Ministero degliInterni piemontese, di fomentare nelDucato di Modena un moto politico inprevisione della guerra contro l’Au-stria, per una eventuale annessione alPiemonte.(12) “il primo dovere di un governo na-zionale… mantenere severamentel’ordine… siate uniti e concordi perchéper vincere i nemici d’Italia bisognavincere le nostre passioni, levare viagli sdegni, por giù le borie municipali,

avere in cima dei pensieri l’indipen-denza, l’unione, grandezza della pa-tria…”(13) Rimando, per la situazione mode-nese all’epoca, a un mio precedente ar-ticolo sui Quaderni Padani: “La Briga-ta Estense”(14) E non solo: ”I plebisciti di annes-sione alla Monarchia Sabauda, svoltinei territori del Ducato di Parma ePiacenza, del Ducato di Modena e Reg-gio , nelle legazioni Pontificie dellaRomagna e nel Granducato di Tosca-na, l’11 e 12 marzo 1860, furono unatruffa in pieno stile. Così come truffal-dini (oggi li chiamerebbero “bulgari” o

“mussoliniani”) lo furono quelli orga-nizzati nelle Due Sicilie , nelle Marche,in Umbria nei mesi seguenti e nel Ve-neto nel 1866”. A sostenere con forzaquesta tesi, nel libro L’invenzione del-l’Italia Unita (Milano: Sansoni Edito-re, 199, pag. 504), è il professor Rober-to Martucci, professore ordinario diStoria delle istituzioni politiche pressol’Università di Macerata. Nel 1860 Cur-letti, fu arrestato per reati comuni, macome racconta il libro “pochi anni piùtardi gli venne data l’opportunità difuggire, indizio evidente che il dossierin suo possesso gli garantivano l’impu-nità…”

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quinte” di questa imbarazzantepagina della nostra storia, que-sto Risorgimento, pilastro del-la nuova era, degno anticipodell’Italia che verrà.Le appropriazioni avvenute nelPalazzo Ducale di Modena, ri-proposero, se si può in modoancora più sfacciato, quellenella reggia dei Borboni a Par-ma e nella villa Farnese di Co-lorno, piccola Versailles e gu-stoso bottino per il carnieresabaudo(15).Il sedicente J.A., individuatoormai, quasi unanimemente,dagli storici in Filippo Curlet-ti, una volta libero, dopo tren-ta mesi di onorato servizio al

soldo del conte di Cavour, pre-se la decisione di vuotare ilsacco su quanto era realmenteaccaduto in quegli anni “glo-riosi”, nell’intenzione dichia-rata di essere utile a tutti colo-ro che si considerano “uominiseri che, studiando la storiadella loro epoca, vogliono pe-netrare al fondo delle cose, enon si contentano di conoscer-ne la superficie”. Con l’avverti-re che “qualcheduno grideràforse allo scandalo: è più co-modo che di confutare. Maquelli che mi avranno letto eche vorranno rendere giustiziaalla moderazione del mio lin-guaggio, riconosceranno che,se vi ha scandalo, non è miacolpa, ma è colpa dei fatti”.In questo modo, orchestrata lafarsa, ebbe inizio la commediadel tanto conclamato risorgi-mento della patria unita, con isuoi comici, interpretati da

una ristretta elite di intellet-tuali e borghesi, pressochénullafacenti e socialmente di-sadattati, ispirati dal personaletornaconto, non da ideali pa-triottici. Costoro, più che delseguito di un popolo anelantealla libertà, si facevano forti ditaroccati plebisciti, messi giùal tavolino da chi stava orche-strando l’intero canovaccio.La prova che il popolo nonc’entrava nulla con siffatte“manifestazioni spontanee” siebbe a Modena dopo l’annes-sione al Piemonte e l’esilio delDuca Francesco V, quando l’8agosto 1859, circa quattrocen-to villani di San Martino, Mot-

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(15) Oro e preziosi, al cui recupero Glau-co Lombardi dedicò la vita, sono custo-diti a Parma, nel Museo Glauco Lom-bardi, da lui stesso fondato. (cfr. Fon-dazione Glauco Lombardi – Parma1988)

Il palazzo ducale di Modena

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ta, Rovereto e Cortile, impu-gnati fucili e forconi, al gridodi ”Viva FrancescoV! Morte ailiberali!, erano scesi in strada,mentre a Piandelagotti eranostati abbattuti tutti i vessillitricolori.“Il mio racconto sorprenderàforse coloro che hanno vedutole agitazioni politiche solo at-traverso il prisma moltiplican-te della paura o dai giornalidel partito vittorioso. Con tut-tociò quella che io espongo è lastoria di tutte le rivoluzioni.Esse sono quasi sempre l’operadi qualche uomo a cui due otre funzionari comprati apro-no le porte e di cui il popolo,perlopiù indifferente alle que-stioni che si agitano, diventa ilcomplice senza saperlo…”.Saranno poi innalzate statue emonumenti, intitolato piazze estrade a truffatori, ladri, arrivi-sti e libertini dalle orecchiemozzate, addirittura, a volte,anche a efferati assassini, ga-bellati ai creduli italioti come

fulgidi esempi di patriottico,fervido eroismo: abbiamo unGaribaldi o un Mazzini, su sca-la nazionale, tanto per fare unesempio, e, nel piccolo di Mo-dena, un Farini o un Menotti.A Modena, forse, come si evin-ce dallo scritto del nostro co-raggioso Curletti, furono per-petrati gli inganni più deplore-voli e il broglio che, alla fine,sancì l’annessione del DucatoD’Este al Piemonte. Incaricato,appunto, di coordinare in cittàle operazioni di voto, chi piùdell’autore delle “Rivelazioni”poteva avere conoscenza diret-ta dell’addomesticamento delplebiscito? Recita, infatti, la “gola profon-da” di Cavour: “Per ciò checoncerne Modena, ne possoparlare scientemente perchétutto si fece sotto i miei occhie la mia direzione… Del restoun metodo perfettamenteuguale fu seguito a Parma e aFirenze.”

“…Le manifestazioni che nellecittà precedettero o accompa-gnarono il voto furono egual-mente organizzate da noi. Tut-ti i cartelli di cui i giornali pie-montesi facevano così granrumore e che portavano gliuni: Viva l’indipendenza d’Ita-lia!, gli altri: Noi vogliamo pernostro re legittimo VittorioEmanuele!, erano mandatibelle e stampati da Torino e liponevamo noi stessi a tutti ibalconi e a tutte le finestre”.Ai cittadini era intimato di nontoglierli e, al tempo stesso,quando i liberali avevano da fe-steggiare, imposto l’obbligo diilluminare le finestre e “guaiai vetri di quelli che non obbe-divano abbastanza presto allegrida imperative di Lumi! Lu-mi!…”. Si paventava poi che l’immi-nente partenza del Fariniavrebbe prodotto un calo disorveglianza e una probabilesollevazione popolare, visto cheil Curletti, per contromisura,aveva riunito, il giorno fissato,sotto la Ghirlandina, tutti gliagenti piemontesi infiltrati aReggio, Carpi, Mirandola e Pa-vullo, che, mischiatisi al popo-lino, cominciarono a gridare:“Viva Farini…egli non partirà,egli è il nostro padre!”, tiran-dolo giù dalla carrozza a forza,impedendogli, di fatto, di parti-re e, secondo un bel copionescritto prima, acclamandolo se-duta stante “cittadino di Mode-na” e “Dittatore”.Su questi plebisciti imbaraz-zanti e su altri, che venneropoi, è stata fatta l’Italia.

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Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 51

Marco Minghetti

Il duca Francesco V

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I liberali, infatti, non si feceromancare nulla, fra tutti gliespedienti della più bassa lega,che l’autore non tralascia di ri-velare, dalla corruzione, agliscambi di favori, al ricatto finoall’eliminazione fisica di perso-ne ostili(16). In un eventuale ri-corso a libere elezioni(17), in-fatti, probabilmente i cittadinidi Modena avrebbero scelto ilDuca, se anche il liberale CarloCollodi non ebbe difficoltà adammettere che la situazione incittà era nettamente favorevolea FrancescoV, in una letterascritta durante la guerra di in-dipendenza: “Per tutto e datutti abbiamo avuto buona ac-coglienza menochè a Modenadove ci aspettavamo molto eavemmo poco, per non dirnulla…”.Filippo Curletti, ancora, nel

suo illuminante scritto, nonmanca di farci conoscere inte-ressanti particolari sulla bennota ai più “spedizione dei Mil-le”, degna forse del diario diun bordello dell’epoca più chedella cronaca eroica di una ful-gida impresa guerresca: “Iotrovai Napoli nel più incredibi-le disordine. Il campo di Ca-serta in un disordine più in-credibile ancora. L’armata ri-boccava di donne, MiladyWithe e l’Ammiraglia Emile neerano le eroine, le notti si pas-savano in orgie! …Garibaldi,nella stessa attività, fosse l’i-nebriamento del successo osemplice effetto del clima, nonera più riconoscibile. Quandonon soddisfaceva la sua pas-sione di popolarità, facendosiacclamare nelle strade di Na-poli, divideva il suo tempo fraMilady Withe ed AlessandroDumas, che lo seguiva dovun-que.” E ancora: “Bertani, se-gretario di Garibaldi, era, pri-ma della spedizione della Sici-lia (1860), semplice ufficiale disanità a Genova facendo dellevisite a 1 franco e 30 centesi-mi. Egli è oggi (1861), colon-nello di Stato maggiore, e lasua fortuna, seguendo le valu-tazioni le più moderate, non èminore di 14 milioni!!! Non siconosce l’origine che di 4 mi-lioni. Furono la mancia cheBertani pretese dai banchieriAdami e comp. Di Livorno perfar loro accordare una conces-sione di strada ferrata a cuiaspiravano.”Continua il suo racconto, l’uo-mo di fiducia del Conte Bensoe vediamo scorrere nomi mol-to noti, quali Nigra, Carigna-no, Cialdini, altri di mezze fi-gure sepolte nell’oblio dellastoria. Allude a lettere, docu-menti, prove, mai occultati,ma nemmeno mai resi noti in

questo sventurato paese: fattisu cui meditare, con cui misu-rare gli eventi e le scelte diquegli anni lontani. L’agente J.A. chiude finalmentele sue confessioni-memoriecon una scorata disamina:“Insomma io non avevo scortoda nessuna parte quell’entu-siasmo per l’unità italiana,che imbevuto dalle illusionipiemontesi io mi ero atteso divedere manifestarsi ovun-que…da per tutto infine il Pie-monte era riguardato comeuno straniero e come un con-quistatore. In faccia a tali sen-timenti, sono obbligato di ri-conoscere che il vero stendar-do del movimento italiano nonaveva mai cessato di esserel’indipendenza e non era maistato l’unità, di cui l’idea nonera anche matura!…L’unità diuna nazione non si crea: biso-gna aspettare che nasca allasua ora. Allora solamente puòessere forte e durevole.”Un libretto da assaporare, ve-ramente, una parola dopo l’al-tra…

Alina Mestriner Benassi

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Massimo D’Azeglio

(16) Nello stato pontificio, alcuni perso-naggi collusi con i Piemontesi si feceroarruolare nell’esercito con il ruolo as-segnato di provocare diserzioni, offren-do denaro, o assassinare gli ufficiali delPapa. Suscitando mischia e confusionecon falsi allarmi, durante le battaglie,gli agenti piemontesi colpivano allespalle i graduati più validi. Fu assassi-nato così, nella “gloriosa” battaglia diCastelfidardo, il generale Pimadan, daun certo Brambilla fatto ingaggiaremesi prima dal nostro J. A. Il sicario furicompensato, in Piemonte, con il gra-do di maresciallo d’alloggi nei carabi-nieri.(17) In una lettera del 31 luglio, France-sco V scriveva a Bayard De Volo: “Il go-verno estense non temerebbe il suffra-gio universale, cioè il voto libero diogni individuo del Ducato…il suffra-gio, il più lato possibile delle città, bor-gate e campagne…”

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Francesco Maria AgnoliGli InsorgentiRimini: Il Cerchio IniziativeEditoriali, 1993365 pagine, € 19.00

Pur non recente, il libro è unsempre valido strumento di co-noscenza del fenomeno relativoalle insurrezioni popolari avve-nute contro la dominazione na-poleonica, di cui si è celebrato ilbicentenario nel 1993 in Fran-cia. Poiché talvolta capita di im-battersi in autori che, per loroignoranza storica o slanci nazio-nalistici, esaltano ancora oggi ilpersonaggio di Napoleone comeeroe positivo, è sempre utile evi-denziare gli aspetti più autorita-ri e centralistici che hanno ca-ratterizzato la sua azione dal1796 alla Restaurazione. Preceduto da un’appassionataintroduzione di Franco Cardini,che pone in luce ledifficoltà incontra-te da chi, comel’Autore, ha affron-tato la storia inqualità di revisioni-sta e, come tale,colpevole di averosato affermare ve-rità scomode allastoriografia ufficia-le, il testo descrivela lotta contro glieserciti giacobiniper mantenere lapropria religione e tradizione:cinquantuno capitoli di narra-zione dettagliata e approfondita,in cui il magistrato “Agnoli cer-ca di cogliere gli echi nell’im-maginario e nei sentimenti deisuoi personaggi”. Le località teatro delle vicendesono l’Emilia, la Romagna, conriferimenti al Veneto, Marche ele Terre dell’ex-Stato Pontificio.Ambientata prevalentemente aLugo di Romagna (RA), l’azione

si apre sul lento avanzare delleforze giacobine dopo la presa diBologna nel giugno 1796, an-nunciato da arroganti sventoliidi tricolori e imposizioni, comeil divieto di suonare le campane. Da luglio le prime insorgenze siorganizzano spontaneamentegrazie a un gruppo di giovani, iconti Manzoni, tre fratelli di Lu-go che coinvolgono migliaia dipersone, consapevoli, però, diessere scarsamente armati e diaffrontare grosse difficoltà. Con-fidando nella protezione diSant’Ilario, l’Armata Apostolicavince in più di uno scontro letruppe repubblicane francesi,che abbandonano Lugo e lascia-no dietro di sé una scia di furti,rapine, saccheggi e violenze diogni genere. Si scatena una se-rie affronti fra gli Insorgenti -seguiti e appoggiati dalla popo-lazione locale contadina - e i

giacobini. Per que-sti, Lugo “conti-nua a godere lacattiva fama diVandea d’Italia,guadagnata conl’insurrezione del‘96”, mentre le al-tre città come Fer-rara e la Bassa Ro-magna restano permolto tempo sottol’occupazione fran-cese. Azioni belliche si

alternano a scene di vita rurale ecittadina quotidiane. In autunnodello stesso anno, Ravenna,Imola e Faenza ritornano pianpiano a far parte dello StatoPontificio. Per meglio dividerele popolazioni, la strategia napo-leonica appronta nuove aggre-gazioni territoriali: con il Tratta-to di Campoformio nasce laConfederazione Cisalpina (Otto-bre 1797), con Bologna, Ferrara,Modena e Reggio; queste due ul-

time trasferite nella RepubblicaTranspadana nell’Aprile del ’77,per confluire nella RepubblicaCisalpina con l’ex ducato di Mi-lano, Bergamasca, Bresciano,Cremasco e Mantovano. Le insorgenze nascono sponta-nee, proprio come la sanguinosarivolta delle Pasque Veronesi.Sono tanti quelli che seguono igiacobini nella svendita liberti-cida, fra cui Vincenzo Monti,che, noto generalmente comepoeta, è in realtà l’opportunista“commissario del DirettorioEsecutivo” napoleonico, il pa-triottardo suddivisore della Ro-magna “in due Dipartimenti delLamone e del Rubicone”. Erasposato con “la bella e accortaTeresa Pichler…”, che preferivala più allegra Milano anche perla presenza dell’amante francesecolonnello Marmont e dei “gio-vani brillanti da tenere a badaperché politicamente poco utili”come Ugo Foscolo, che aveva“difeso il povero Monti controgli attacchi di poetastri invidio-si”. Ma il Poeta-Commissario“vedeva ogni cosa andare a roto-li”, nonostante l’eccessivo otti-mismo di molti giacobini esalta-ti come tal Giuseppe Masini, au-todefinitosi “il Redentore di Ce-sena”. Continua anche la fase di scri-stianizzazione voluta dal gover-no francese; a Lugo “si preferi-sce insistere sul tasto romanopatriottico” e addirittura il 18Aprile 1801 la Cisalpina intimail pagamento di “una tassa gra-vosa a tutte quelle persone chehanno occupato cariche nelloscaduto Governo imperiale…: la

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Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 53

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tassa d’opinione”. Le insofferen-ze non possono che aumentare:attorno al generale austriacoGiuseppe Lahoz si riuniscononella Società dei Raggi coloroche danno vita a un gruppo diinsorgenti da tutta la Cisalpina. Inizia un percorso di riscossa,nella primavera-estate del ’99,con il coinvolgimento di aiutiaustriaci, della popolazione ru-rale e dei giovani renitenti allaleva obbligatoria. Sono momen-ti di orgogliosa e spontaneaguerriglia, resa spesso inefficacedalle pesanti condizioni econo-miche, dalla penuria di cibo edalla difficoltà di poter contaresu un capo affidabile dopo lamorte di Lahoz. Il 26 Gennaio1801 a Lione, Napoleone convo-ca i deputati da ogni parte dellaCisalpina per l’approvazione diuna nuova costituzione - inrealtà già definitiva - che “avreb-be riconosciuto la religione cat-tolica come religione della Re-pubblica”. Doveva seguirne unagrossa disillusione, ma “tuttostava per finire.”

Silvia Garbelli

Julius EvolaIl Federalismo imperiale.Scritti sull’idea di Impero1926-1953 (a cura di Giovan-ni Perez)Napoli: Controcorrente, 2004187 pagine

Non ci si deve fare ingannaredal titolo: il federalismo nonc’entra proprio nulla. Il sottotitolo e la fama dell’autore so-no molto più sinceri.A fugare ogni dubbio ci pensa

comunque subito una “Nota”iniziale a firma G.d.T (Gian-franco de Turris?) che stabili-sce il ritmo della musica: l’i-deale di riferimento (e comepoteva essere diversamente?) èl’Impero romano. “Ebbene, co-me era strutturato l’Impero ro-mano e poi, sulla sua esperien-za, il Sacro Romano Impero einfine l’Impero asburgico? Era-no strutturati con un sistemache oggi definiamo “federale””.Con una bordatasola sono siste-mati sia France-sco Giuseppe cheCattaneo.Poi ce n’è contro“chi parla di “fe-deralismo” (sem-pre scaramanti-camente virgo-lettato) guardan-do solo al suo“particulare”, li-mitandosi a col-tivare l’orticellopolitico di casa,lanciando stralicontro lo “Stato centralista” enon alzandosi ad una visionepiù vasta e organica”. Ad “alzarsi” ci pensa subito do-po Giovanni Perez nella sualunga introduzione, che preci-sa “che l’Idea imperial-federa-listica si attua quando le mol-teplici parti di un organismopolitico si subordinano ad unprincipio superiore d’autoritàper attuarsi, in termini politi-co-costituzionali, in una fede-razione di Stati unificata dauna sovranità trascendente,che non annulla perciò quelladegli Stati subordinati”. Unaenunciazione un po’ nebulosache viene però subito chiaritadal Perez (cui si deve ricono-scere - al di là della capziositàdel titolo del libro – grandecorrettezza intellettuale), che

spiega “la radicale differenzatra il “federalismo imperiale”,fondato sul patto di fedeltà chelega il subordinato al principiocomune e superiore, entro unquadro organico e quindi ge-rarchico, e il federalismo dimatrice giusnaturalistica, con-trattualistica, ossia individua-listica e addirittura egualita-ria, propria del cosiddetto pen-siero moderno”. Spiega con grande chiarezza

che il suo federa-lismo imperiale,che si fonda sullasubordinazione erifiuta il contrat-to, non solo nonè federalismo maè il suo perfettocontrario.Diventa fin com-movente nellasua sinceritàquando esternatutte “le riserveriguardanti il co-siddetto principiodi “autodecisio-

ne” o “autodeterminazione” deipopoli, qualora concepito an-ch’esso come espressione delladeprecabile e disgregatriceistanza individualistica, corri-spondente a quel principio diautonomia che la tendenzaumanistica ha utilizzato inchiave eversiva dell’Ordine tra-dizionale e di ogni verità ripo-sta nell’orizzonte del trascen-dente”.La straordinaria intuizione ènaturalmente dello stesso Evo-la che “esprime in maniera as-sai netta il rifiuto altresì del fa-migerato principio di “autode-terminazione dei popoli””.Così si capisce da dove arrivanocerte idee. E anche l’uso dellevirgolette.Da stare alla larga!

Ottone Gerboli

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Lorenzo del BocaGrande Guerra. Piccoli gene-rali. Una cronaca feroce dellaPrima guerra mondiale Torino: De Agostini-UTET,2007 - 223 pagine, € 14.00

“Un libro deve fare male, devescavare nelle ferite che la storiaha lasciato scarnificate e aprirnedelle nuove. Anche se il doloreprovocato può sembrare il risul-tato di un inutile esercizio di sa-dismo culturale”. Così scriveLorenzo del Boca al termine delprimo capitolo del suo libro, do-veroso squarcio di verità su unpanorama asfitticamente velatodalla cappa di false verità checontraddistinguono ancora lastoriografia ufficiale italiana: sianelle scuole, che nella gran par-te dei mezzi di (dis)informazio-ne di varia ideologia. E fa davve-ro male al lettore, che immergenella crudezza delle coinvolgen-ti descrizioni di scenari di unaguerra assurda in ogni suo a-spetto; fa male soprattutto allaserie di ufficiali e dirigenti mo-ralmente inqualificabili. Da ria-bilitare solo le migliaia di solda-ti ignoti, morti senza una ragio-ne. Ma non è sadismo culturale:tutto è spaventosamente vero edettagliatamente documentatocon estrema cura, inclusi i rife-rimenti a vicendecontemporanee,come quello allefrequentazionipoco nobili delpenultimo pre-tendente Savoia,Vittorio Emanue-le (IV).Con la consuetasobrietà di parolecalibrate, Loren-zo del Boca uti-lizza nei brevi escorrevoli quat-tordici capitoli il

tagliente fioretto dell’ironia, cheè amara e distruttiva verso i ge-neraloni vanagloriosi, ma sem-pre rispettosa dell’umanità deipoveracci senza colpa. Ne emer-ge una profondità di sentimentoche condanna senza appello fa-mose personalità assurdamentecelebrate. Nel primo capitolo siindividua l’anomalia di fondo,l’ambiguità congenita del dop-piogiochismo tutto italiano:“L’Italia restava un paese di pic-coli imbrogli politici e di picco-le truffe internazionali,…nondisponeva di una classe dirigen-te solida;… entrò nel conflittoquando già si stava combatten-do da un anno. Giusto il tempodi voltare le spalle agli Stati coni quali aveva firmato trattati so-lenni di collaborazione per ac-cordarsi con gli avversari. Maper qualche settimana, l’Italia sitrovò vincolata, contempora-neamente, con entrambi glischieramenti, che già si com-battevano in campo aperto”.Con o contro l’Austria? Per l’op-portunismo e il tronfio dell’ita-lico patriottismo di “ufficialiculturalmente rimasti con i pie-di e con la testa nelle pastoie delsecolo precedente”, esaltati dal-la nefasta figura di Napoleone,vi fu il conflitto nel 1915. E lacausa primaria della sconfitta è

da ricercarsi pro-prio nell’incapa-cità, superficialitàe disumanità deicomandanti ita-liani; da cui sfo-ciarono “un regi-me di oppressio-ne odioso perqualsiasi dittatu-ra…e la morte diun numero im-precisato di lorouomini, piazzan-do le mitragliatri-ci dei carabinieri

dietro le file destinate all’assaltocon la disposizione di aprire ilfuoco alla schiena dei soldati…”D’altra parte, la politica esteradello Stato italiano era impron-tata all’improvvisazione: si in-ventò, strumentalmente, una si-tuazione di irrigidimento versole nazioni della Triplice Alleanza(Austria, Ungheria e Germania).Il Sud Tirolo fu denominato Al-to Adige, si creò un’identità ita-liana per costruire a tavolinouna supposta appartenenza cul-turale. Una forte e pressantecampagna nazionalista di riven-dicazione delle città di Trento,Trieste e Gorizia, allora sottol’Impero austriaco, spinse perl’intervento bellico nel 1915con il Patto di Londra, nono-stante “i moderati neutralistirestassero la maggioranza”. Sientrava in guerra, ma né Fran-cesco Saverio Nitti, né altri era-no a conoscenza del Patto diLondra, reso noto solo “annidopo, pubblicato da un giornaledi Stoccolma, sulla base di do-cumenti russi”: “tutto si erasvolto nel riserbo più clamoro-so”. Alla Camera, in un clima diincredibile reticenza, si arrivavaall’assenso e iniziava così ilgrande macello. La Grande Guerra non potevache essere persa, non tanto permerito degli Austriaci ma pro-prio causa l’assenza di ideologiae l’approssimazione di gran par-te degli ufficiali, la carenza diequipaggiamento dei soldati,ma soprattutto per l’imprepara-zione tecnica e strategica deivertici militari. Fin dalla “primabattaglia sull’Isonzo (giugno-

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Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 55

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luglio 1915), gli uomini dei re-parti addetti all’assalto furonomandati allo sbaraglio senzaun’adeguata protezione. Dopo laterza azione, solo “per saggiarele capacità reattive dei nemici”,il bilancio contava ben “duemilamorti, 11.500 feriti e 1.500 di-spersi”. Ma “l’insuccesso noninsegnò nulla ai comandanti,che seguitarono a coltivare lestesse strategie”. Fu una guerradi logoramento, vissuta in trin-cee di fango, con rancio scarso esete, gelo, topi, malattie, sanguee cadaveri insepolti di commili-toni. Le condizioni di una vitadisumana erano notevoli, ma“la battaglia più faticosa si ri-velò quella contro gli ufficialiche, più salivano di grado, più sicomportavano come se avesseroa che fare con i servi della gle-ba”. Viceversa, i soldati “avreb-bero vinto tutte le guerre… senon avessero avuto generali ecolonnelli a comandarli.” Addi-rittura fu instaurato il “regola-mento del terrore”: “in ognicontingenza di luogo e di tem-po doveva regnare sovrana unaferrea disciplina”. Voluto dal ge-nerale Luigi Cadorna, il terroresarebbe servito per conseguirela vittoria “con punizione pron-ta e immediata”, fossero basto-nate o esecuzioni capitali. Il ge-neralissimo con il cuore di ferro“di fronte al martirio di interireparti mostrò un apatico cini-smo” (36mila morti, 96mila fe-riti, 25mila dispersi in un’offen-siva del 28 agosto 1916), che lofaceva risultare ”uomo tuttod’un pezzo…”. Interessante sa-pere che, appena nominato ca-

po di stato maggiore dell’eserci-to italiano, non studiò i piani diguerra ma “si preoccupò di ac-quistare un buon pacchetto diazioni della società Ansaldo”, lecui “acciaierie avrebbero lavora-to per rifornire di armi i magaz-zini militari e avrebbe potutoguadagnarci”. A lui è imputabilela disfatta di Caporetto. Eppurenon si svolse mai un processoper stabilire le sue responsabi-lità e quelle di tanti altri gene-rali, che si dimostrarono davve-ro piccoli. “Valgono poco”, af-fermò Giovanni Giolitti, giudi-cando con scarsa stima tuttauna serie di comandanti a cuiaffidare da subito incarichi rile-vanti. D’altra parte, una classe politicadi geronti incapaci e privi diogni apprezzamento meritocra-tico permetteva un sistema diconnivenze familiari, prodigonel distribuire medaglie e ono-rificenze agli amici, a creare fa-voritismi e imboscati, come itre figli di Antonio Salandra,l’allora presidente del Consiglio,che aveva sempre tollerato l’o-perato del generale Cadorna.Cosa si poteva pretendere da unre come Vittorio Emanuele III,il cui atteggiamento era essen-zialmente condizionato dallapropria condizione fisica di bas-sa statura? Non si fidava dellaclasse politica. “Dopo una spe-cie di sondaggio” scelse Cador-na (65 anni), perché, di tutti igenerali, risultava “il più vec-chio e il meno impegnativo”. Èil “re piccolo-piccolo in tacchi esciaboletta”…“si rese conto dinon essere all’altezza – in ognisenso –, accettò il ruolo che lanatura gli aveva affidato: quellodi appartarsi in un angolo…l’imboscato numero uno”. Eraapatico, impassibile alle emo-zioni e semplice testimone, omeglio, freddo fotografo di un

grande evento di cui non colsela tragedia e l’immenso doloreumano. Per fotografare i pioppi,il Re diede l’ordine di spostare“una macabra catasta di corpiche rovinava” il paesaggio.“Tutto preso dal suo egoismo edai suoi interessi, … non eramai in prima linea” vivendo inuna casetta alla larga da Udine,incapace di leggere le cartinetopografiche: “confondeva leposizioni italiane con quelle au-striache.” Incapace di “rappre-sentare la figura di garanzia dicui c’era bisogno”, resta “unesecutore di ordini, senza eser-citare nemmeno il diritto all’o-biezione”. Eppure passò allastoria come il “re soldato”.La necessità morale di attuareuna lettura revisionista è dun-que prioritaria per del Boca, chericorda come la versione ufficia-le dei fatti si è finora prevalente-mente avvalsa di relazioni enco-miastiche, ben differenti dalletestimonianze riscontrate neidiari e racconti personali dei re-duci o negli archivi austriaci.Con estrema onestà, l’Autore, sichiede se tutta questa melassapatriottarda sia ancora credibi-le. Infatti, nonostante la cosid-detta unità italiana, permane vi-vo l’affetto per l’imperatoreFrancesco Giuseppe - l’annualecelebrazione del suo genetliacoa Giassico (Gorizia) ne è testi-monianza – e sono numerose lerichieste di annessione alla suaAustria, avanzate proprio daparte di molti comuni veneti,come Asiago (Vicenza) o Corti-na (Belluno), teatro della Gran-de Guerra non solo per motiva-zioni economiche. Caporettonon va considerata una sempli-ce sconfitta, ma il simbolo disuperficialità e indecisione. È“l’Italia dei fissi e dei fessi… Ca-poretto è anche oggi.”

Silvia Garbelli

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La statistica è una scienza fatta di dati e cifre che quasi sempre non neces-sitano di commenti. Di seguito si riportano i dati di alcune indagini sceltefra le tante disponibili e più omeno note.

Cause di lavoroAnno: 2003Fonte: Fiscoggi.itProcessi in materia di lavoro,previdenza e assistenza, ogni1.000 abitanti, per regione

Trentino SudTirolo 1,1Valdaosta 1,7Veneto 1,7Emilia Romagna 2Friuli 2,1Lombardia 2,2

Toscana 3,5Marche 3,6Piemonte 3,8Umbria 4,6Molise 4,8Sardegna 5,2Liguria 5,3Abruzzo 6,8

Sicilia 8,4Lazio 9,5Basilicata 13,7Calabria 17,9Campania 19,7Puglia 23,1

Repubblica italiana 7,82Padania 2,5 Italia etnica 12,1

Bianco: Meno di 3 processiGrigio chiaro: Fra 3 e 7 processi

Grigio scuro: Più di 7 processi

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Imponibile IRPEF per famigliaAnno: 2005Fonte: Elaborazione Il Sole-24Ore su dati IstatQuota di imponibile Irpef perfamiglia, per regione, in Euro

Lombardia 34.831Emilia Romagna 32.964Trentino SudTirolo 32.034Veneto 31.758Lazio 30.760Toscana 30.021

Friuli 29.978Piemonte 29.584Valdaosta 29.173Marche 28.076Umbria 27.821Liguria 27.248

Abruzzo 23.745Sardegna 21.552Puglia 20.238Campania 19.737Molise 19.357Basilicata 18.584Sicilia 18.067Calabria 16.827

Repubblica italiana 26.314

Bianco: Più di 30.000 EuroGrigio chiaro: Fra 25.000 e 30.000 Euro

Grigio scuro: Meno di 25.000 Euro

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Giochi e scommesseAnno: 2005Fonte: Elaborazione Il Sole-24Ore su dati Aams, Agicos, Cen-tro studi Sintesi e IstatPercentuale del reddito fami-gliare spesa in giochi e scom-messe legali

Trentino SudTirolo 2,290Veneto 2,481Piemonte 2,847Toscana 2,897

Liguria 3,129Valdaosta 3,153Basilicata 3,209Friuli 3,213Emilia Romagna 3,460Lombardia 3,490Umbria 3,956

Lazio 4,062Marche 4,195Calabria 4,647Molise 4,677Puglia 4,767

Abruzzo 5,308Sardegna 5,723Campania 6,475Sicilia 6,480

Repubblica italiana 4,053Padania 3,007Italia etnica 4,699

Bianco: Meno del 3%Grigio chiaro: Fra il 3 e il 4%Grigio scuro: Fra il 4 e il 5%

Nero: Più del 5%

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Assegnazione fondi alle cittàAnno: 2006 Fonte: Elaborazione Centrostudi Sintesi su dati Ministerodell’InternoSpettanze assegnate ai Comunicapoluogo di provincia delleRegioni a Statuto ordinario,ogni 100 Euro versati allo Stato

Padova 62Siena 69Biella 76Lecco 77Lodi 80Bergamo 81Como 81Varese 85Treviso 85Parma 88Vercelli 90Modena 98Belluno 99Cuneo 100Brescia 100Pavia 100

Piacenza 101Mantova 102Milano 102Sondrio 103Bologna 105Vicenza 106Pisa 107Cremona 109Novara 112Macerata 113Reggio Emilia 118Verbania 122L’Aquila 122Verona 122Ancona 123Savona 124Ravenna 124Imperia 125Viterbo 126Rovigo 128Frosinone 129Campobasso 129Isernia 132Forlì 132Pescara 133Arezzo 133Ferrara 133Caserta 134Teramo 134Rieti 135Alessandria 136Cesena 136

Bianco: Meno di 100 EuroGrigio chiaro: Fra 100 e 150 EuroGrigio scuro: Fra 150 e 200 Euro

Nero: Più di 200 EuroPallino nero: Regioni a Statuto speciale: dati non disponibili

Prato 140Livorno 141Pesaro 144Perugia 144Grosseto 147Roma 149La Spezia 149

Lucca 151Firenze 153Torino 154Chieti 155Ascoli Piceno 157Rimini 157Asti 164Carrara 165Avellino 165Pistoia 168Lecce 169Matera 169

Venezia 170Genova 174Latina 177Massa 182Terni 192

Bari 200Taranto 223Benevento 231Vibo Valentia 244Salerno 258Catanzaro 261Urbino 265Brindisi 265Potenza 268Reggio Calabria 310Foggia 312Crotone 341Cosenza 367Napoli 529

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Composizione delle famiglieAnno: 2005Fonte: Elaborazione Il Sole-24Ore su dati IstatNumero medio di componentiper nucleo famigliare, per re-gione

Liguria 2,12Valdaosta 2,14Trentino SudTirolo 2,15Emilia Romagna 2,23Veneto 2,24Piemonte 2,25Friuli 2,26Lombardia 2,29

Toscana 2,36Umbria 2,47Marche 2,49Lazio 2,51Abruzzo 2,56Molise 2,65Sicilia 2,69

Sardegna 2,75Basilicata 2,77Calabria 2,79Puglia 2,83Campania 2,89

Repubblica italiana 2,47Padania 2,27Italia etnica 2,67

Bianco: Meno di 2,30 personeGrigio chiaro: Fra 2,30 e 2,70 persone

Grigio scuro: Più di 2,70 persone

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Imposte localiAnno: 2005Fonte: Ufficio Studi CGIA di MestreSomma dei tributi comunali, pro-vinciali e regionali pagati per abi-tante nei capoluoghi di provincia

Milano 2.082Venezia 2.068Aosta 1.968Bologna 1.933Pavia 1.917Mantova 1.863Como 1.857Lecco 1.855Sondrio 1.816Cremona 1.800Pisa 1.776Roma 1.774Lodi 1.773Modena 1.768Bergamo 1.730Torino 1.729Varese 1.705

Novara 1.695Treviso 1.685Rieti 1.679Brescia 1.678Belluno 1.665Biella 1.657Viterbo 1.634Ancona 1.629Vercelli 1.614Cuneo 1.611Piacenza 1.609Padova 1.607Latina 1.606Verona 1.600Parma 1.598Carrara 1.588Alessandria 1.588Ferrara 1.580Verbania 1.580Reggio Emilia 1.575Grosseto 1.572Frosinone 1.567Livorno 1.567Firenze 1.564Rimini 1.561Vicenza 1.548Forlì 1.548Ravenna 1.546Asti 1.493Macerata 1.493Siena 1.486Perugia 1.483Lucca 1.461Rovigo 1.456Ascoli Piceno 1.446Genova 1.440

Savona 1.379La Spezia 1.366Prato 1.359Pesaro 1.351

Bianco: Più di 1.700 EuroGrigio chiaro: Fra 1.400 e 1.700 EuroGrigio scuro: Fra 1.000 e 1.400 Euro

Nero: Meno di 1.000 Euro

Arezzo 1.343Terni 1.343Pistoia 1.340Imperia 1.331L’Aquila 1.316Pordenone 1.312Pescara 1.291Bolzano 1.285Trieste 1.248Chieti 1.192Salerno 1.128Gorizia 1.119Avellino 1.115Udine 1.110Trento 1.107Caserta 1.095Teramo 1.078Campobasso 1.076Cagliari 1.073Isernia 1.072Benevento 1.048Potenza 1.045Bari 1.019Lecce 1.013

Napoli 993Cosenza 956Brindisi 951Matera 944Catanzaro 931Taranto 918Nuoro 896Foggia 868Oristano 867Crotone 839Catania 836Reggio Calabria 828Trapani 825Sassari 795Vibo Valentia 787Siracusa 773Ragusa 765Palermo 721Messina 716Caltanissetta 656Agrigento 650Enna 604

Repubblica italiana 1.434

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Imposte comunaliAnno: 2005Fonte: Ufficio Studi CGIA diMestreTributi comunali pagati perabitante nei capoluoghi di pro-vincia

Bianco: Più di 650 EuroGrigio chiaro: Fra 550 e 650 EuroGrigio scuro: Fra 400 e 550 Euro

Nero: Meno di 400 Euro

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Imposte provincialiAnno: 2005Fonte: Ufficio Studi CGIA diMestreTributi provinciali pagati perabitante nei capoluoghi di pro-vincia

Bianco: Più di 90 EuroGrigio chiaro: Fra 80 e 90 EuroGrigio scuro: Fra 60 e 80 Euro

Nero: Meno di 60 EuroPuntino nero: Non applicabile

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Imposte regionaliAnno: 2005Fonte: Ufficio Studi CGIA diMestreTributi regionali pagati perabitante nei capoluoghi di pro-vincia

Bianco: Più di 1.000 EuroGrigio chiaro: Fra 800 e 1.000 Euro

Grigio scuro: Fra 500 e 800 EuroNero: Meno di 500 Euro

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GaribaldiniAnno: 1860Fonte: Gazzetta Ufficiale del12-11-1878Distribuzione dei 1.089 volon-tari sbarcati a Marsala perprovincia di provenienza

Bergamo 166Genova 138Milano 66Brescia 61Pavia 58

Livorno 37Venezia 35Vicenza, Palermo 32Mantova 29Cremona, Treviso 25Verona 24Padova 21Como 18Parma, Grosseto 17Rovigo 15Trento 14Udine 12Alessandria 11

La Spezia 10 Varese, Napoli, Salerno, Cosenza 9Belluno, Ancona, Siena, Roma 8Pordenone 7Torino, Savona, Modena, Firenze, Reggio Calabria 6

Novara, Reggio Emilia, Pisa, Catanzaro, Trapani, Messina 5Lecco, Lodi, Piacenza, Bologna, Massa Carrara 4Cuneo, Sondrio, Imperia 3

Bianco: nessunoGrigio chiaro: fra 1 e 5

Grigio medio: fra 6 e 10Grigio scuro: fra 11 e 50

Nero: più di 51

Vercelli, Ferrara, Perugia, Terni, Ascoli Piceno, Bari, Agrigento, Sassari 2Biella, Verbania, Asti, Bolzano, Gorizia, Lucca, Pistoia, Arezzo, Macerata, Viterbo, Frosinone, Teramo, Avellino, Foggia, Brindisi, Taranto, Matera, Catania, Cagliari 1

Aosta, Trieste, Ravenna, Forlì, Rimini, Pesaro, Rieti, Latina, Pescara, Chieti, L’Aquila, Caserta, Benevento, Campobasso, Isernia,Lecce, Potenza, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Enna, Nuoro, Oristano 0

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ForestaliAnno: 2006Fonte: Flai-Cgil Il Sole-24 OreNumero di operai idraulico-fo-restali e numero di ettari di su-perficie forestale per operaio,per regione

Friuli 50 7.000Abruzzo 100 4.253Emilia Romagna 150 4.220Liguria 100 3.910

Marche 200 1.554Piemonte 643 1.486Toscana 840 1.409 Lazio 500 1.246Lombardia 560 1.205

Molise 190 765Trentino S.Tirolo 1.050 708 Umbria 646 597Veneto 800 544Puglia 990 192Sardegna 6.500 191Valdaosta 995 105

Campania 5.040 97Calabria 11.200 56Basilicata 7.000 52Sicilia 30.754 12

Repubbl. ital. 68.308 156Padania 4.348 987Italia etnica 63.960 100

Bianco: Più di 3.000 ettariGrigio chiaro: Fra 1.000 e 3.000 ettari

Grigio scuro: Fra 100 e 1.000 ettariNero: Meno di 100 ettari

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Dipendenti pubbliciAnno: 2006Fonte: Forum P.A.Numero di dipendenti pubbliciogni 100 abitanti, per regione

Lombardia 4,89Veneto 5,41Piemonte 5,66Puglia 5,91Emilia Romagna 5,95Trentino SudTirolo 6,10

Marche 6,25Campania 6,28Toscana 6,42 Sicilia 6,43Umbria 6,58Basilicata 6,76Abruzzo 6,77Calabria 6,82Liguria 6,96

Sardegna 7,05Molise 7,23Friuli 7,70Valdaosta 8,08Lazio 8,29

Repubblica italiana 6,2Padania 5,62Italia etnica 6,70

Bianco: Meno di 6,2 ogni 100 abitantiGrigio chiaro: Fra 6,2 e 7 ogni 100 abitanti

Grigio scuro: Più di 7 ogni 100 abitanti

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Lettura di libriAnno: 2006Fonte: Associazione ItalianaEditori su dati ISTATPercentuale di cittadini conpiù di 6 anni di età che hannoletto almeno un libro non sco-lastico nel corso dell’anno, perregione

Trentino SudTirolo 56,4 Lombardia 54Friuli 52Liguria 51,9Valdaosta 51,7Veneto 51,5Toscana 50,4 Emilia Romagna 50

Piemonte 48,9Lazio 45,1Umbria 44,3Sardegna 43,1Marche 42,2

Molise 36,6Abruzzo 36Basilicata 35,7Puglia 34,8Calabria 30,5Sicilia 30,3Campania 30,2

Repubblica italiana 43,9Padania 52,2Italia etnica 37,4

Bianco: Più di del 50 per centoGrigio chiaro: Fra 40 e 50 per centoGrigio scuro: Meno del 40 per cento

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Furti in appartamentoAnno: 2006Fonte: Rapporto sulla crimina-lità in Italia 2006Numero di furti in apparta-mento ogni 100.000 abitanti,per regione

Trentino SudTirolo 94 Basilicata 103Calabria 107Sardegna 134Campania 145Molise 140Friuli 180Puglia 185

Sicilia 192Marche 199Abruzzo 201Umbria 204Veneto 232Lazio 254Toscana 282 Liguria 287

Lombardia 324Emilia Romagna 331Piemonte 355Valdaosta 369

Repubblica italiana 240Padania 301Italia etnica 192

Bianco: Meno di 200 ogni 100.000 abitantiGrigio chiaro: Fra 200 e 300 ogni 100.000 abitanti

Grigio scuro: Più di 300 ogni 100.000 abitanti

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Anno Xlll, N. 74 - Novembre-Dicembre 2007 Quaderni Padani - 71

La forza della Padaniasono le idee

I Quaderni Padani sono pubblicati bimestralmente da La Libera Compa-gnia Padana, una associazione che ha fini solo culturali e che riunisce tutticoloro che - al di là delle differenze ideologiche - credono nell’autonomiadei popoli padano-alpini.Il solo modo per ricevere con continuità i Quaderni è di aderire alla LiberaCompagnia.La quota associativa annuale è di € 50.Essa dà diritto a ricevere i Quaderni, un libro e ogni altra pubblicazione omateriale edito dalla Compagnia.Il pagamento può essere effettuato:❏ Inviando la quota all’indirizzo postale de “La Libera Compagnia Padana”(Casella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara) con assegno nontrasferibile intestato a “La Libera Compagnia Padana”.❏ Mediante bonifico sul Conto Corrente Bancario numero 1403, intestato a“La Libera Compagnia Padana” presso l’agenzia di Novara della Banca Po-polare di Novara (Cod. ABI 5608, Cab 10101). ❏ Mediante Conto Corrente Postale numero 38261202, intestato a “La Li-bera Compagnia Padana”.Si prega di allegare o far pervenire in ogni caso alla sede postale dellaCompagnia la scheda di adesione compilata in ogni sua parte.Si raccomanda di non pagare con Vaglia Postale!

Lo statuto dell’Associazione è stato pubblicato sul numero 51-52 dei Quaderni Padani.Le Norme per i collaboratori sono state pubblicate sul numero 68.Entrambi i documenti sono reperibili anche sul sito dell’Associazione.

La Libera Compagnia PadanaCasella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 NovaraE-mail: [email protected] Internet: www.laliberacompagnia.org

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Scheda di adesione

a La Libera Compagnia Padana

Secondo quanto previsto dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675, i dati personali verranno impiegati solo ed esclusivamente peruso interno all’Associazione e non verranno in alcun modo divulgati.

Cognome Nome

Luogo di nascita Data di nascita

Residenza: Città Prov. Cap.

Via

tel. casa telefonino

tel. ufficio fax

E-mail:

Professione:

Quota di adesione: € 50

❐ Rinnovo ❐ Nuovo associato

Modalità con cui è stato effettuato il pagamento:

❐ Contanti ❐ Assegno bancario ❐ Assegno circolare❐ Bonifico bancario ❐ Versamento in cc postale

cc 1403 Banca Popolare Novara N° 38261202cod. ABI 5608, CAB10101

Firma Data

La Libera Compagnia Padana, C. P. 55, Largo Costituente 4, 28100 NovaraE-mail: [email protected], Sito Internet: www.laliberacompagnia.org

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AAAA bbbb bbbb iiii aaaa mmmm oooo pppp uuuu bbbb bbbb llll iiii cccc aaaa tttt oooo ::::

Quaderni n. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007● Le interviste a Gianfranco MiglioL’inestimabile patrimonio di un uomo di straordinario coraggio - Alessandro Vitale10-1990 - Rai07-12-90 - Europeo24-05-91 - Europeo21-06-91 - Europeo04-08-91 - L’Espresso12-10-91 - Il Giornale09-02-92 - L’Espresso08-04-92 - Il Messaggero19-04-92 - L’Espresso12-05-92 - Corriere della Sera29-05-92 - Europeo24-07-92 - Europeo13-01-93 - L’Italia07-03-93 - L’Espresso09-06-93 - Il Giorno21-08-93 - Televisione ungherese14-09-93 - Alto Adige29-09-93 - La Repubblica29-09-93 - La Stampa24-10-93 - L’Espresso17-12-93 - Lega Nord31-12-93 - Panorama40-1993 - Famiglia Cristiana26-01-94 - Gazzetta Ticinese28-01-94 - L’Espresso06-02-94 - Il Giornale4907-03-94 - La Prealpina13-04-94 - Lega Nord16-04-94 - Panorama19-04-94 - Il Giorno22-05-94 - Corriere della Sera16-06-94 - L’Indipendente10-08-94 - La Stampa25-10-94 - La Voce1994 - Quale federalismo20-01-95 - Il Giornale06-05-95 - La Nazione18-05-95 - L’Indipendente24-05-95 - Il Giornale27-07-95 - Corriere della Sera31-07-95 - Mondo Economico02-09-95 - L’Indipendente24-11-95 - Il Giornale01-12-95 - Il Giorno06-05-96 - Il Giornale07-05-96 - Corriere del Ticino07-05-96 - Il Giornale12-05-96 - Epoca14-05-96 - Il Giornale04-06-96 - Il Giornale08-06-96 - L’Adige12-06-96 - Il Giornale20-08-96 - Il Giornale19-09-96 - Panorama7-1996 - Quaderni Padani04-01-97 - Il Messaggero13-02-97 - Corriere della Sera

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Quaderni n. 71 - Maggio-Giugno 2007Questo è il villagio di Asterix - BrennoL’evoluzione della forma di Stato in Italia: dal federalismo mancato a un regionalismo asimmetrico? - Fabio Ratto TrabuccoPadania: il nome della nostra patria - Gianfrancesco RuggeriTibet: la tragedia di un popolo - Roberto Locatelli● Il lavoro di Gualtiero CiolaPolitica coloniale sull’esempio degli Stati UnitiOreste Del Buono, l’italiano che offende il popolo venetoPrima veneziani e poi cristianiLongobardi, baluardo del Vecchio Continente

Quaderni n. 72 - Luglio-Agosto 2007Perché loro sì e noi no? - Brenno● Convegno di Belgirate - 13 Maggio 2007La Catalogna fra globalizzazione economica e globalismo giuridico - Marco BassaniCatalogna nazione - Chiara BattistoniCatalunya - Sergio Salvi● Schede di aggiornamentoLa Catalogna dal 1973 a oggi Scheda tecnica della Catalunya estrictaSintesi dell’iter legislativo e dei principali contenuti del nuovo “Statuto di autonomia” approvato con referendum popolare il 18 giugno 2006

Quaderni n. 73 - Settembre-Ottobre 2007Tibet Catalogna Padania - Corrado GalimbertiPadani e italiani nella guerra di secessione americana - Gilberto Oneto● Mario Costa Cardol: articoli pubblicati su “La Padania”Albanesi, italiani per sole mille lire - “La Padania”, 26 aprile 1998Un “Eurorigurgito” di Grandeur- “La Padania”, 3 giugno 1998Monza, 1900: “A morte il tiranno!” - “La Padania”, 29 luglio 1998L’unità d’Italia? Davvero un magro affare - “La Padania”, 19 agosto 1998La marina italiana, un mito da sfatare - “La Padania”, 16 e 20 settembre 1998Schizzi alla brava sull’invasione del nostro continente da partedei popoli extra-europei - “La Padania”, 7, 14 e 21 febbraio 1999L’Asse Roma-Berlino? Concepito nel 1919 - “La Padania”, 3 marzo 1999Farini e Cassinis, due tragedie all’italiana - “La Padania”, 28 aprile 1999Emigrazione padana - “La Padania”, 23 e 30 giugno 1999

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