Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 2014 3 · vo invierà alle parrocchie dell’Unità Pastorale...

8
Mi ha impressionato leggere che in Cina il governo ha obbligato per legge i figli a far visita almeno una volta all’anno ai genitori vecchi e so- li. In quel Paese la politica del figlio unico e la rapida industrializzazio- ne hanno favorito lo spostamento dei giovani nelle città, lasciando nel- l’isolamento interi villaggi di anziani. Ma non è il caso di guardare soltanto nei cortili altrui. Due anni fa, quando ancora lavoravo a Torino, mi ritrovavo spesso a riflettere sulla condizione di vita mia e dei miei cari. Ecco, mi dicevo, tu sola qui nella tua casa in città, poco più in là tua mamma, a quattro fermate di tram tuo figlio, tuo marito a fare il contadino nella casa di campagna. Tutti soli: che scialo di luce, di ri- scaldamento, di telefonate. Ci chiamavamo più volte infatti, ci raccontava- mo la giornata e le cose che stavamo facendo, ma ciascuno a casa propria. Poi vado in pensione e vengo a vivere in campagna. Mangio e dormo in compagnia, sto calda e rilassata. D’estate c’è sempre gente e vita. Ma se una sera d’inverno mio marito deve uscire ed a me non va di rimanere da sola in una casa isolata, allora mi rendo conto che anche in paese c’è isolamento e solitudine. Non so a chi chiedere un po’ di ospitalità per la sera. Faccio il giro mentale delle case: questa signora è troppo vecchia e va a letto presto, l’altra non apre a nessuno, quella famiglia ha il bimbo piccolo, quelli non oso... insomma su 470 anime nessuno. Tra città e campagna ben poca differenza, devo constatare. A volte mi faccio un giro su Facebook; spio da questa finestra le vite degli altri, amici, conoscenti, ex alunni. I ragazzi scrivono poche parole con sfilze di punti esclamativi, faccette sorridenti o ammusonite, usano un lin- guaggio disinibito con le più strane onomatopee. Mi fa piacere continuare in questo modo a seguirli, anche se mi rendo conto che la realtà virtuale, vetrina dove mostriamo di noi solo quel che ci piace, è un lontano riflesso della vita vera. Eppure anche i social network e la televisione, presi per quel che sono, ci tengono compagnia ed alleviano tante nostre solitudini. Non avrei mai sentito così forte la solitudine di Gesù durante l’ultima cena se non avessi ascoltato Vittorio Sgarbi parlare del famoso omonimo dipin- to di Leonardo. Eravamo nella sede di Eataly a Fontanafredda di Alba ed il critico era stato invitato a trattare il tema del cibo nella pittura. Proiettando il dipinto leonardesco Sgarbi faceva notare come Gesù vi sia raffigurato in una posizione centrale che esalta la sua solitudine. Intorno gli apostoli con- fabulano a gruppi di tre, spiritualmente lontani, e neppure Giovanni gli po- ne il capo sul petto come nelle pitture precedenti. La distanza tra il silenzio di Gesù, pieno di dolore e mansuetudine, e l’irrequieto bisogno di parole degli apostoli, qui si tocca. Già impressionata da questa spiegazione, ven- go letteralmente colpita dal quadro successivo. È di un pittore di Giaveno, tale Lorenzo Alessandri, che io non avevo mai sentito nominare e che se- condo Sgarbi è uno dei più grandi pittori italiani del secondo Novecento. Rappresenta la scena, potentissima, del “dopocena” di Gesù, quando gli apostoli se ne sono tutti andati e lui, solo, i gomiti sul tavolo ancora pieno di briciole, gli occhi fissi nel vuoto, comunica una solitudine sconfinata. Paura? Senso di sconfitta? Disillusione? Amarezza per la fragilità dei lega- mi umani? Silenzio di Dio? Tutto ci sta in questa desolata solitudine. La conferenza di Sgarbi mi ha acceso più di una lampadina. Non solo le opere d’arte considerate hanno rivelato il rovescio di un momento della vi- ta di Gesù che mi ero sempre figurata come una specie di ultima festa, pie- na di gioia ed amicizia, ma mi è balzata agli occhi la grande sensibilità dei due pittori. Ho pensato che se Leonardo e Alessandri hanno potuto imma- ginare e dipingere una solitudine tanto grande, significa che anche loro in qualche modo devono averla provata. E che davvero, come dice il poeta, ognuno sta solo sul cuor della terra. Ti puoi stordire di lavoro, di impe- gni, di divertimento, di quelchesia, spesso neanche con troppa possibilità di scelta trovandoti dentro l’ingranaggio, ti puoi circondare di tanta gente, ma arriva sempre il momento della tua solitudine. Solitudine nel dolore, che non si può dividere come gli amici più cari vorrebbero, e ben poco al- leviare. Solitudine nel dubbio e nella scelta da fare. Solitudine di chi co- manda, nonostante i suoi molti sottoposti. Solitudine nel seguire la propria coscienza che va controcorrente. Solitudine nell’abbandono. È inutile continuare, la solitudine sta nella condizione umana. E di lì non si scappa. [L’immagine è tratta dal volume “Alessandri”, Hotel Surfanta, a cura di Concetta Leto, Skira, Milano, 2013] ANNO XII - NUMERO 1 - FEBBRAIO-APRILE 2014 La vignetta di Roberta Parlando di tasse... una bella notizia! LA PREZIOSAVISITA PASTORALE DI MONS. NOSIGLIA A SANTA MONICA Volevamo dare ai lettori de Il Ponte final- mente una bella notizia, come si può vedere dal titolo di questa rubrica: la possibilità cioè di detrarre le spese per i libri, scolastici e non. La novità era contenuta nell’articolo 9 del Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 145. Abbiamo preparato l’articolo a nome di Mario Alessandria con tutte le precisazioni del caso. Ma nel frattempo in Parlamento il Decreto è di fatto sparito, ridotto – grazie ad un emendamento del PD Causi – ad un “bo- nus libri” di scarsissima rilevanza. Così ab- biamo levato l’articolo e lasciato lo spazio vuoto per dire in questo modo la nostra de- lusione e la nostra rabbia! Il bilancio e le indicazioni del “dopo” visita pastorale arriveranno tra qualche settimana con la lettera che, come tradizione, il Vesco- vo invierà alle parrocchie dell’Unità Pastorale da lui incontrate in questo mese e mezzo trascorso tra incontri e celebrazioni nelle Co- munità che si trovano tra piazza Caio Mario e piazza Carducci. Per ora ci accontentiamo delle impressioni vissute in prima persona. Ognuno conserva qualche impressione e qualche ricordo e, raccoglien- do qua e là i commenti di tanti dopo la Santa Messa a Santa Monica o do- po uno dei tanti incontri parrocchiali e di Unità Pastorale, mi sembra di cogliere una costante con cui concordo in pieno: la visita del Vescovo è stata l’occasione per incontrarlo e per sentirlo amico e padre affettuoso. La semplicità e l’immediatezza dimostrata nelle diverse occasioni, i discorsi piani e puntuali sempre ricchi della Parola di Dio che hanno accompagnato ogni momento della visita, l’affabilità e la simpatia suscitata tra gli adulti, gli anziani e, soprattutto tra i giova- ni e i ragazzi, sono solo alcune delle sensazioni suscitate nel corso della visita pastorale. Se c’è una nota caratteristica è proprio l’attenzione per tutti con una particolare predilezione per i più piccoli e per i giovani. Ac- compagnare monsignor Nosiglia nel corso della visita alle scuole del quartiere e vederlo dialogare con ragazze e ragazzi delle ele- mentari e delle medie o giocare con i piccoli della scuola dell’in- fanzia e poi continuare il dialogo con i ragazzi del catechismo e con i giovani e i giovanissimi nelle diverse occasioni, è stata la confer- ma di un’attenzione davvero speciale per loro. Il Vescovo è stato capace di insegnare ma soprattutto di ascoltare... non sono mai mancate le domande e insieme a quelle preparate c’erano sempre le domande spontanee che, soprattutto tra i più piccoli, hanno toccato i temi più svariati e soddisfatto le curiosità più impensate. Per i giovani e per gli adulti un appuntamento bello e ben vissuto è stato quello che ha dato inizio alla visita – il “world cafè” – in cui si è trascorso la serata chiacchierando come al bar di argomenti (la fede, l’impegno, il sentirsi Chiesa) che non sono certo argomenti “da bar”. Un momento più nascosto della visita, ma certamente bello e significa- tivo, è stato quello dell’incontro con alcuni malati della parrocchia che il Vescovo è andato a trovare a casa loro. Ho avuto la fortuna di accom- pagnarlo e di trascorrere con lui quei momenti di intimità e di preghiera in cui era evidente la vicinanza e il desiderio di trasmettere quel corag- gio della fede che permette di affrontare la solitudine e la malattia. Infine come non ricordare la bella celebrazione nella nostra chiesa affollata e splendente. Certo una Santa Messa come altre, senza niente di speciale, se non ancora una volta il dono di una presenza, quella del Vescovo, che ci ha fatto sentire il respiro della Chiesa diocesana e universale. La visita pastorale è finita, ogni vescovo è tenuto a compierla nel- l’arco di tempo che trascorre in una diocesi. Il vescovo Cesare lo ha fatto con noi e per noi e ci ha lasciato la consapevolezza di essere, insieme a lui, una porzione viva e vera della Chiesa di Cristo chia- mata ad annunciare il suo Vangelo a tutte le genti. Grazie vescovo Cesare! don Daniele

Transcript of Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 2014 3 · vo invierà alle parrocchie dell’Unità Pastorale...

Mi ha impressionato leggere che in Cina il governo ha obbligato perlegge i figli a far visita almeno una volta all’anno ai genitori vecchi e so-li. In quel Paese la politica del figlio unico e la rapida industrializzazio-ne hanno favorito lo spostamento dei giovani nelle città, lasciando nel-l’isolamento interi villaggi di anziani.Ma non è il caso di guardare soltanto nei cortili altrui. Due anni fa, quandoancora lavoravo a Torino, mi ritrovavo spesso a riflettere sulla condizionedi vita mia e dei miei cari. Ecco, mi dicevo, tu sola qui nella tua casa in città,poco più in là tua mamma, a quattro fermate di tram tuo figlio, tuo marito afare il contadino nella casa di campagna. Tutti soli: che scialo di luce, di ri-scaldamento, di telefonate. Ci chiamavamo più volte infatti, ci raccontava-mo la giornata e le cose che stavamo facendo, ma ciascuno a casa propria. Poi vado in pensione e vengo a vivere in campagna. Mangio e dormo incompagnia, sto calda e rilassata. D’estate c’è sempre gente e vita. Ma seuna sera d’inverno mio marito deve uscire ed a me non va di rimanereda sola in una casa isolata, allora mi rendo conto che anche in paese c’èisolamento e solitudine. Non so a chi chiedere un po’ di ospitalità per lasera. Faccio il giro mentale delle case: questa signora è troppo vecchia eva a letto presto, l’altra non apre a nessuno, quella famiglia ha il bimbopiccolo, quelli non oso... insomma su 470 anime nessuno. Tra città ecampagna ben poca differenza, devo constatare. Avolte mi faccio un giro su Facebook; spio da questa finestra le vite deglialtri, amici, conoscenti, ex alunni. I ragazzi scrivono poche parole consfilze di punti esclamativi, faccette sorridenti o ammusonite, usano un lin-guaggio disinibito con le più strane onomatopee. Mi fa piacere continuarein questo modo a seguirli, anche se mi rendo conto che la realtà virtuale,vetrina dove mostriamo di noi solo quel che ci piace, è un lontano riflessodella vita vera. Eppure anche i social network e la televisione, presi perquel che sono, ci tengono compagnia ed alleviano tante nostre solitudini.

Non avrei mai sentito così forte la solitudine di Gesù durante l’ultima cenase non avessi ascoltato Vittorio Sgarbi parlare del famoso omonimo dipin-to di Leonardo. Eravamo nella sede di Eataly a Fontanafredda di Alba ed ilcritico era stato invitato a trattare il tema del cibo nella pittura. Proiettandoil dipinto leonardesco Sgarbi faceva notare come Gesù vi sia raffigurato inuna posizione centrale che esalta la sua solitudine. Intorno gli apostoli con-fabulano a gruppi di tre, spiritualmente lontani, e neppure Giovanni gli po-ne il capo sul petto come nelle pitture precedenti. La distanza tra il silenziodi Gesù, pieno di dolore e mansuetudine, e l’irrequieto bisogno di paroledegli apostoli, qui si tocca. Già impressionata da questa spiegazione, ven-go letteralmente colpita dal quadro successivo. È di un pittore di Giaveno,tale Lorenzo Alessandri, che io non avevo mai sentito nominare e che se-condo Sgarbi è uno dei più grandi pittori italiani del secondo Novecento.Rappresenta la scena, potentissima, del “dopocena” di Gesù, quando gliapostoli se ne sono tutti andati e lui, solo, i gomiti sul tavolo ancora pienodi briciole, gli occhi fissi nel vuoto, comunica una solitudine sconfinata.Paura? Senso di sconfitta? Disillusione? Amarezza per la fragilità dei lega-mi umani? Silenzio di Dio? Tutto ci sta in questa desolata solitudine. La conferenza di Sgarbi mi ha acceso più di una lampadina. Non solo leopere d’arte considerate hanno rivelato il rovescio di un momento della vi-ta di Gesù che mi ero sempre figurata come una specie di ultima festa, pie-na di gioia ed amicizia, ma mi è balzata agli occhi la grande sensibilità deidue pittori. Ho pensato che se Leonardo e Alessandri hanno potuto imma-ginare e dipingere una solitudine tanto grande, significa che anche loro inqualche modo devono averla provata. E che davvero, come dice il poeta,“ognuno sta solo sul cuor della terra”. Ti puoi stordire di lavoro, di impe-gni, di divertimento, di quelchesia, spesso neanche con troppa possibilitàdi scelta trovandoti dentro l’ingranaggio, ti puoi circondare di tanta gente,ma arriva sempre il momento della tua solitudine. Solitudine nel dolore,che non si può dividere come gli amici più cari vorrebbero, e ben poco al-leviare. Solitudine nel dubbio e nella scelta da fare. Solitudine di chi co-manda, nonostante i suoi molti sottoposti. Solitudine nel seguire la propriacoscienza che va controcorrente. Solitudine nell’abbandono. È inutilecontinuare, la solitudine sta nella condizione umana. E di lì non si scappa.

[L’immagine è tratta dal volume “Alessandri”, Hotel Surfanta,a cura di Concetta Leto, Skira, Milano, 2013]

ANNO XII - NUMERO 1 - FEBBRAIO-APRILE 2014

La vignetta di Roberta

Parlando di tasse...una bella notizia!

LA PREZIOSAVISITA PASTORALE DI MONS. NOSIGLIAA SANTA MONICA

Volevamo dare ai lettori de Il Ponte final-mente una bella notizia, come si può vederedal titolo di questa rubrica: la possibilitàcioè di detrarre le spese per i libri, scolasticie non. La novità era contenuta nell’articolo 9del Decreto Legge 23 dicembre 2013, n.145. Abbiamo preparato l’articolo a nome diMario Alessandria con tutte le precisazionidel caso. Ma nel frattempo in Parlamento ilDecreto è di fatto sparito, ridotto – grazie adun emendamento del PD Causi – ad un “bo-nus libri” di scarsissima rilevanza. Così ab-biamo levato l’articolo e lasciato lo spaziovuoto per dire in questo modo la nostra de-lusione e la nostra rabbia!

Il bilancio e le indicazioni del “dopo” visita pastorale arriverannotra qualche settimana con la lettera che, come tradizione, il Vesco-vo invierà alle parrocchie dell’Unità Pastorale da lui incontrate inquesto mese e mezzo trascorso tra incontri e celebrazioni nelle Co-munità che si trovano tra piazza Caio Mario e piazza Carducci. Per ora ci accontentiamo delle impressioni vissute in prima persona.Ognuno conserva qualche impressione e qualche ricordo e, raccoglien-do qua e là i commenti di tanti dopo la Santa Messa a Santa Monica o do-po uno dei tanti incontri parrocchiali e di Unità Pastorale, mi sembra dicogliere una costante con cui concordo in pieno: la visita del Vescovo èstata l’occasione per incontrarlo e per sentirlo amico e padre affettuoso. La semplicità e l’immediatezza dimostrata nelle diverse occasioni,i discorsi piani e puntuali sempre ricchi della Parola di Dio chehanno accompagnato ogni momento della visita, l’affabilità e lasimpatia suscitata tra gli adulti, gli anziani e, soprattutto tra i giova-ni e i ragazzi, sono solo alcune delle sensazioni suscitate nel corsodella visita pastorale.Se c’è una nota caratteristica è proprio l’attenzione per tutti conuna particolare predilezione per i più piccoli e per i giovani. Ac-compagnare monsignor Nosiglia nel corso della visita alle scuoledel quartiere e vederlo dialogare con ragazze e ragazzi delle ele-mentari e delle medie o giocare con i piccoli della scuola dell’in-fanzia e poi continuare il dialogo con i ragazzi del catechismo e coni giovani e i giovanissimi nelle diverse occasioni, è stata la confer-ma di un’attenzione davvero speciale per loro. Il Vescovo è statocapace di insegnare ma soprattutto di ascoltare... non sono maimancate le domande e insieme a quelle preparate c’erano sempre ledomande spontanee che, soprattutto tra i più piccoli, hanno toccatoi temi più svariati e soddisfatto le curiosità più impensate.Per i giovani e per gli adulti un appuntamento bello e ben vissuto èstato quello che ha dato inizio alla visita – il “world cafè” – in cui si ètrascorso la serata chiacchierando come al bar di argomenti (la fede,l’impegno, il sentirsi Chiesa) che non sono certo argomenti “da bar”. Un momento più nascosto della visita, ma certamente bello e significa-tivo, è stato quello dell’incontro con alcuni malati della parrocchia cheil Vescovo è andato a trovare a casa loro. Ho avuto la fortuna di accom-pagnarlo e di trascorrere con lui quei momenti di intimità e di preghierain cui era evidente la vicinanza e il desiderio di trasmettere quel corag-gio della fede che permette di affrontare la solitudine e la malattia.Infine come non ricordare la bella celebrazione nella nostra chiesaaffollata e splendente. Certo una Santa Messa come altre, senzaniente di speciale, se non ancora una volta il dono di una presenza,quella del Vescovo, che ci ha fatto sentire il respiro della Chiesadiocesana e universale. La visita pastorale è finita, ogni vescovo è tenuto a compierla nel-l’arco di tempo che trascorre in una diocesi. Il vescovo Cesare lo hafatto con noi e per noi e ci ha lasciato la consapevolezza di essere,insieme a lui, una porzione viva e vera della Chiesa di Cristo chia-mata ad annunciare il suo Vangelo a tutte le genti.Grazie vescovo Cesare!

don Daniele

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 20142

Resterà in carica cinque anni ed è diventato operativo dal mese di gennaio di quest’anno. È composto da 6 membri “di diritto”, dai rappresentanti nomi-nati dai singoli gruppi di appartenenza e da 5 persone che si sono rese spontaneamente disponibili per offrire il loro contributo. La Redazione de IlPonte, sicura di interpretare il sentimento di tutta la Comunità di Santa Monica, augura buon lavoro al nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale e invoca sudi esso i doni dello Spirito Santo, impegnandosi a sostenere l’operato del Consiglio stesso con la massima disponibilità e la massima collaborazione

È stato chiesto al Consiglio Pastorale Parrocchiale uscente dilasciare un messaggio-augurio al nuovo Consiglio eletto – eche, ad oggi, ha già incominciato ad operare presso la nostraparrocchia di Santa Monica – e questo ne vuole essere il tenta-tivo.Il Consiglio Pastorale precedente ha prestato per cinque anni lasua collaborazione con don Giorgio, che aveva espressamentechiesto di poter – insieme – ragionare sul futuro delle parroc-chie, sul futuro della Chiesa locale e anche sul futuro dellaChiesa in generale. È stata una importante e impegnativa sfida raccolta con mol-to entusiasmo da tutti i partecipanti. Sulla base di documentiè stato svolto un percorso articolato e approfondito, del qualeè stato redatto un dossier – che vi è stato consegnato come unregalo prezioso – che potrebbe (o vorrebbe) essere una even-tuale base di partenza per il lavoro al quale siete stati chia-mati.Il Consiglio Pastorale Parrocchiale “è l’organismo ecclesialenel quale presbiteri, diaconi, religiosi e laici ‘prestano il loroaiuto nel promuovere l’attività pastorale’ della comunità par-rocchiale” (Statuto Consigli Pastorali Parrocchiali, cardinaleGiovanni Saldarini, 19 aprile 1992, al capitolo 1.1 “Natura”),attività pastorale che viene proposta dal parroco, dal suo viceparroco, se presente, per il bene spirituale della comunità loroaffidata.Al capitolo 2, “Compiti”, e precisamente al punto 2.1, il testorecita ancora:“I compiti del Consiglio Pastorale Parrocchiale sono: 1. studiare e approfondire, in spirito di comunione, tutto quantoriguarda la vita della parrocchia nei suoi diversi aspetti: evan-gelizzazione e catechesi, liturgia, carità; formazione e promo-zione dei vari settori della pastorale speciale; presenza cristia-na nel territorio; 2. individuare le esigenze pastorali prioritarie in attento ascol-to di quanto lo Spirito vuole dalla sua Chiesa nella situazioneconcreta; 3. elaborare un programma pastorale annuale, a partire dalprogramma diocesano e dagli orientamenti zonali, e valoriz-zando sia le persone che le strutture della comunità; 4. verificare con scadenze periodiche l’attuazione del pro-gramma”.Il compito a cui è chiamato un Consiglio Pastorale Parrocchialeè dunque quello di “guardare” a tutta la Comunità, per farla cre-scere secondo le indicazioni e le richieste del parroco che laguida, in comunione con la Diocesi. In questo voi avete ancheun duplice aiuto, avendo anche acquisito, insieme al nuovo par-roco, il suo vice, potendo così contare su una maggiore ricchez-za.Il nostro augurio va, quindi, in questa direzione: accogliere ilnuovo, partendo da una base sulla quale in questi anni la comu-nità si è già confrontata ed è cresciuta, senza, per questo, diven-tare statica e cristallizzata; accogliendo quanto verrà chiesto avoi, in prima battuta, e che sarà vostro compito portare a tutti.Buon lavoro!

Lidia Bison Belci

Sono almeno due gli elementi cherendono la patologia tiroidea di gran-de e diffuso interesse: l’importanzadegli ormoni tiroidei per il regolaresviluppo e funzionamento del nostroorganismo e l’elevata frequenza dellemalattie che possono colpire questaghiandola. Gli ormoni tiroidei sonoessenziali per lo sviluppo e la diffe-renziazione delle cellule, hanno unruolo fondamentale nello svilupponeurologico e somatico in epoca feta-le, regolano l’attività metabolica neisoggetti adulti; virtualmente, regola-no la funzionalità di qualsiasi organoe apparato. Le patologie tiroidee dimaggiore rilievo e interesse sono ilgozzo (con o senza noduli), l’ipoti-roidismo e l’ipertiroidismo.Per GOZZO si intende l’aumento delvolume della tiroide. In Italia circa 6milioni di persone sono affette da goz-zo e la causa principale è la carenza diapporto di iodio con l’alimentazione. Èper questo motivo che anche in Italiasono state avviate molte campagne dieducazione e di prevenzione che pre-vedono un uso sempre più diffuso disale iodato, in particolare nei bambinie negli adolescenti in età scolare. Inrealtà l’aspetto più importante è, nonsolo prevenire l’incremento del volu-me tiroideo, ma soprattutto evitare chesi formino dei nodi tiroidei. Che cosasono i nodi tiroidei? Sono degli incre-menti di volume circoscritti della tiroi-de ben delimitabili dal tessuto circo-stante. Possono presentarsi come no-duli singoli o in forma multinodulare,nell’ambito di una ghiandola normaleo di un gozzo. La grande maggioranzadei noduli è benigna, mentre circa il 5-7% dei casi è di natura maligna. Nellamaggior parte dei casi il riscontro dinodo tiroideo è del tutto imprevisto inoccasione di ecografie del collo e non è

associato a particolari disturbi, se nonin caso di formazioni nodulari partico-larmente voluminose che determinanosenso di costrizione del collo, difficol-tà respiratoria per compressione e dif-ficoltà nella deglutizione. In caso di presenza di nodi tiroidei, ol-tre all’ecografia è necessario sempreeffettuare il controllo del valore degliormoni tiroidei con un semplice prelie-vo ematico e, per valutare la natura be-nigna o eventualmente maligna dellalesione, in molti casi è indicato l’agoa-spirato tiroideo. Tale esame viene ese-guito in regime ambulatoriale, sottoguida ecografica, utilizzando siringa eago con aspirazione di cellule per l’a-nalisi anatomo-patologica. Il carcino-ma tiroideo differenziato rappresentaoltre il 90% delle neoplasie malignedella tiroide con un’incidenza che nelnostro Paese arriva a 20-25/100000/anno nella popolazione femminile e a5-10/100000/anno in quella maschile.Si tratta di una neoplasia caratterizzatada una prognosi nel complesso assai fa-vorevole (sopravvivenza a 10 annimaggiore del 90%). In questi casi l’ap-proccio terapeutico fondamentale èl’intervento chirurgico di tiroidectomia.L’IPOTIROIDISMO è una condi-zione di ridotta secrezione degli ormo-ni tiroidei, causata nella maggior partedei casi dalla presenza di anticorpi che

impedi-scono ilnormalefunzio-namen-to dellag h i a n -dola oq u a l ec o n s e -guenzadell’in-

tervento chirurgico di asportazionedella tiroide. La forma clinica è pre-sente in circa l’1% della popolazionegenerale. La prevalenza aumenta conl’età ed è maggiore nei soggetti di ses-so femminile: incidenza nelle donnedi 2/1.000/anno, nei maschi2/10.000/anno, pari a un rapporto F/Mdi 8-10:1. I segni e i sintomi più fre-quenti sono: stanchezza, aumento dipeso, intolleranza al freddo, rallenta-mento ideo-motorio, cute secca concapelli fragili e sottili. La terapia con-siste nell’assunzione al mattino a di-giuno di ormone tiroideo e, una voltafatta la diagnosi, va proseguita per tut-ta la vita. Ci sono diversi preparati:compresse e formulazione liquida. Èuna terapia sostanzialmente priva dieffetti collaterali, che può essere as-sunta con qualsiasi altro farmaco. Oc-corre però trovare la giusta dose, che èdifferente in ciascun soggetto e occor-rono anche alcuni mesi prima di trova-re lo schema adatto. Come dico spesso“non c’è fretta, la giusta dose vienesempre identificata”. Poiché spessol’ipotiroidismo colpisce donne giova-ni, un avviso importante riguarda co-loro che sono in gravidanza. Durantequesto periodo la terapia non va maisospesa, anzi occorre controllare i va-lori degli ormoni tiroidei e, solitamen-te, è necessario un incremento di do-saggio della terapia per un aumentatofabbisogno.

L’IPERTIROIDISMO è invece lacondizione caratterizzata da aumenta-ta secrezione di ormoni tiroidei. Leforme più comuni di ipertiroidismo in-cludono il gozzo tossico diffuso (ma-lattia di Graves), il gozzo tossico mul-tinodulare e l’adenoma tossico, checon la tiroidite subacuta costituisconol’85-90% di tutte le cause di tireotossi-cosi. Il morbo di Graves è la causa piùcomune (circa il 50% dei casi) e rico-nosce una genesi autoimmune per lapresenza di anticorpi che, anzichébloccare la funzione tiroidea, ne au-mentano l’attività. Il gozzo tossicomultinodulare è la causa più frequente(15-20%) di tireotossicosi non autoim-mune. È più comune nei soggetti an-ziani con gozzo di lunga data. L’ecces-so di ormone tiroideo si sviluppa moltolentamente nel tempo e raramente i li-velli sono molto elevati al momentodella diagnosi. I sintomi della tireotos-sicosi sono di entità variabile e nei pa-zienti più anziani i segni e i sintomidella tireotossicosi possono essere at-tenuati. L’adenoma tossico è invececausato da un tumore tiroideo benigno(adenoma) iperfunzionante e rappre-senta il 3-5% di tutte le tireotossicosi.L’eccesso di secrezione degli ormonitiroidei si verifica di solito quando l’a-denoma ha diametro > 2.5 cm. Anchese raro non va dimenticato l’pertiroidi-smo iodio-indotto che può svilupparsidopo un carico di iodio, come per e-

sempio dopo somministrazione dimezzi di contrasto utilizzati per angio-grafia o TC o di farmaci ricchi di iodio,come l’amiodarone. I pazienti affettihanno spesso un gozzo nodulare sotto-stante. In essi, un carico di iodio puòportare alla sintesi di ormoni tiroidei ineccesso. L’ipertiroidismo iodio-indot-to può essere autolimitante se l’appor-to eccessivo di iodio è interrotto.L’ipertiroidismo colpisce diversi or-gani:Cute. È calda a causa dell’aumentatoflusso sanguigno, la sudorazione au-menta e si associa ad intolleranza alcalore. Occhi. In gran parte dei pazienti conipertiroidismo si osservano sguardofisso e ritardo nella chiusura palpe-brale. Una percentuale non trascura-bile (circa 30%) di pazienti può avereorbitopatia, caratterizzata da infiam-mazione dei tessuti orbitali extra-oculari (muscoli, grasso e connetti-vo), che si traduce in proptosi (esof-talmo), alterazione della funzionalitàdel muscolo oculare ed edema peri-orbitale e congiuntivale.Apparato cardiovascolare. I pazienticon ipertiroidismo hanno aumentodella gittata cardiaca ed è comuneipertensione sistolica. Nel 10-20% deipazienti compare fibrillazione atriale(più comune nei pazienti anziani). Apparato gastrointestinale. La per-dita di peso è dovuta principalmente

ad aumento del metabolismo e se-condariamente ad aumento della mo-tilità intestinale. La celiachia è inol-tre più frequente nei pazienti con ti-reotossicosi a genesi autoimmune. Sistema osseo. L’effetto netto è l’o-steoporosi e un aumentato rischio difratture nei pazienti con ipertiroidi-smo cronico. Alterazioni neuropsichiatriche. Lemanifestazioni più comuni includo-no ansia, agitazione, irritabilità, labi-lità emotiva ed insonnia, ma si puòarrivare ad avere alterazioni del com-portamento e della personalità, comepsicosi, agitazione e depressione.In considerazione dei diversi livellidi gravità e di complessità dell’iper-tiroidismo non esiste una sola tera-pia, ma diverse strategie terapeuti-che, anche in questo caso ritagliate sumisura per ciascun paziente. Ci sonodiverse opzioni: la terapia farmaco-logica, la terapia con lo iodio radioat-tivo e la terapia chirurgica con aspor-tazione di parte o tutta la tiroide.La multiforme presentazione delle di-verse patologie a carico della tiroide ri-chiede sempre la necessità di un inqua-dramento specialistico e, nella maggiorparte dei casi, è indicato effettuare deicontrolli per tutta la vita. Va però sotto-lineato come in alcune condizioni diipotiroidismo stabile o di noduli an-ch’essi invariati nel tempo sia indicatoproseguire i controlli con il propriomedico di medicina generale con visitespecialistiche limitate a situazioni nellequali vi siano delle variazioni che ri-chiedano cambiamenti della terapia oulteriori approfondimenti diagnostici.

Dott. Giuseppe ReimondoMD, PhD

Dipartimento di Scienze Clinichee Biologiche Università di Torino

AOU San Luigi Gonzaga

I CONSIGLI DEL DOTTOR...Mi hanno detto che ho

un problema alla tiroide...

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 2014 3

Riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza un po’particolare che ha visto“protagonisti” anche Santa Monica e la… sua gente.

La sera di mercoledì 27 novembre 2013, alla consueta Santa Messa delle ore18, la chiesa di Santa Monica era affollata di molte persone sconosciute. Per-ché? Chi erano? Cosa stava succedendo? Nulla di particolare, semplicementeavevamo chiesto venisse celebrata una Santa Messa in suffragio del nostrocaro amico e collega Roberto Ferrero. Chi era Roberto? Iniziamo col dire cheda qualche anno lavorava con noi nel palazzo del Lingotto, negli uffici delladirezione centrale della banca Intesa Sanpaolo, e negli anni precedenti avevalavorato a Moncalieri, nel centro informatico della stessa banca. E ogni matti-na, prima di recarsi al lavoro, come facciamo in parecchi, si fermava per qual-che attimo di preghiera nella chiesa di Santa Monica.Ma tutto questo non è affatto sufficiente per descrivere chi era Roberto. Lui erasimpatico, brillante, allegro, determinato, coraggioso… tutte qualità contraddi-stinte da un denominatore comune: la positività. “Rob” era caratterizzato da unaprofonda onestà interiore, che lo portava a dare il massimo in ogni piccolo gesto, eche, abbinata ad un amore fuori dal comune per la sua fede e per il prossimo, face-vano di lui una persona unica, che sapeva prima di tutto ascoltare (rarità nel mondoodierno), guardare dritto negli occhi, condividere e fare propri i problemi degli al-tri, anzi del “prossimo”, perché per lui non c’erano “gli altri”, c’era “il prossimo”.Roberto “era”, perché purtroppo un male terribile, incurabile, ce lo ha portato vianel settembre scorso dopo un anno di sofferenze durante il quale non si è mai per-so d’animo, anzi ha affrontato la malattia, la sua “passione di dolore”, con deter-minazione e coraggio non comuni, dando profonda testimonianza della sua fedenel Signore.Solitamente, quando ci si reca a far visita ad un ammalato, lo si fa con l’inten-zione di portargli conforto. Chi si recava a trovare Roberto, invece, al terminedella visita si rendeva conto che era molto di più ciò che aveva ricevuto da lui,rispetto a ciò che era riuscito a trasmettergli. Roberto viveva fuori Torino, ed èstato sepolto nel suo paese natale, tra le colline astigiane. Per noi, che lavoria-mo a Torino e Moncalieri ma proveniamo dalle parti più disparate della regio-ne (e non solo), sarebbe stato quindi assai problematico riuscire a parteciparealla Santa Messa di trigesima nel suo paese, e pertanto ci siamo chiesti “per-ché non facciamo celebrare una Santa Messa qui, vicino al nostro ufficio, nel-la chiesa di Santa Monica?”. Ottima idea, ma… era sufficiente? Quando una malattia si porta via per sempreun parente o un amico, si è portati a pensare “ormai non c’è più nulla da fare”. E

invece no, potevamo, anzi DOVEVAMO, fareancora qualcosa. Roberto era una persona spe-ciale, e per lui dovevamo fare qualcosa di spe-ciale, qualcosa che ci permettesse di affermareche, anche se è stato sepolto il suo corpo, la suaimpronta e la sua testimonianza di fede conti-nuano a vivere; dovevamo fare qualcosa che di-mostrasse che quanto lui aveva seminato non eracaduto tra i rovi e tra i sassi ma era caduto nellabuona terra e aveva portato buoni frutti.

“Un seme cade in terra e muore per amore,la vita germoglia dal solco della morte per amore!Questa è la legge eterna, legge di Dio,un Dio che, per amore, ha creato ogni cosaed ha nascosto amore dietro apparenze di morte e di dolore”.

Sono parole tratte dal testo della lode liturgica intitolata “La legge della vita”.Roberto amava moltissimo la musica, era la sua grande passione, e così ci siamodetti “perché non formiamo un coro per animare con i canti la Santa Messa cheabbiamo chiesto di far celebrare per lui?”. E così, dopo aver preso contatto condon Daniele, che ha accolto favorevolmente la proposta, abbiamo raccolto la dis-ponibilità di un gruppo di colleghi del Lingotto e di Moncalieri e ci siamo “messial lavoro” con le prove del coro, al quale hanno preso parte non solo colleghi conpregresse esperienze di cori parrocchiali, ma anche colleghi alla loro prima espe-rienza canora, come a voler dire “ci voglio provare, voglio provare anche io a se-guire le impronte lasciate da Roberto, voglio provare a raccogliere la sua testi-monianza di fede”. È stata un’esperienza che ci ha arricchiti interiormente.Ringraziamo don Daniele, don Giuseppe (e soprattutto don Giorgio Piovano cheha arricchito una celebrazione già speciale con una preziosa riflessione) e tutto lostaff dei collaboratori di Santa Monica per l’accoglienza, la disponibilità, la col-laborazione e la pazienza che ci sono state riservate nell’organizzare e nel met-terci a disposizione la chiesa e l’organo per le prove e la celebrazione. E siamograti a tutta la comunità parrocchiale di Santa Monica per aver pregato insieme anoi per Roberto, certi che anche lui, lassù nel Paradiso che ora è la sua nuova ca-sa, ne è stato felice. Lui non è più fisicamente tra di noi, ma la sua “presenza” re-sterà tra di noi. Per sempre. Forse non sarà corretto dal punto di vista strettamen-te dottrinale e/o teologico, ma a noi piace pensare che ora, lassù, c’è un nuovo an-gelo di nome Roberto.

Gli amici e i colleghi di Roberto Ferrero

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 20144

(emilio allia) Quest’anno si cambia, niente mare, bensì Lago Maggiore condito da abbazie ci-stercensi. Il pellegrinaggio parrocchiale, primo evento della Festa di Santa Monica, coniugherà

ancora una volta turismo religioso e pre-ghiera, lasciando sempre lo spazio per untempo di pausa dalla continuità del tessutoordinario delle nostre vite per connettercial sacro.Sabato visita guidata della città di Pavia,che ancora oggi conserva la sua strutturamedioevale, luogo di incoronazione di re eimperatori, tra i quali il famoso FedericoBarbarossa. Dopo pranzo visiteremo laCertosa di Pavia (foto a sinistra), comples-so monumentale storico che comprende unmonastero e un santuario. Edificato per vo-lere di Gian Galeazzo Visconti, signore

di Milano, alla fine del XIV secolo e completato quasi due secoli più tardi, assomma in sé di-versi stili, dal tardo-gotico italiano al rinascimentale.Originariamente affidato alla comunità certosina, poi a quella cistercense e, per un breve perio-do, anche a quella benedettina, dopo l’unificazione del Regno d’Italia la Certosa fu dichiaratanel 1866 monumento nazionale e acquisita dallo Stato italiano; dal1968 ospita una piccola comunità monastica cistercense. Sarà pro-prio un monaco a guidarci nella visita, che terminerà con un mo-mento di preghiera comunitaria. Nel pomeriggio raggiungeremo la Casa di Spiritualità don Guanel-la a Barza d’Ispra, sul Lago Maggiore, dove soggiorneremo pressoil Centro Congressi, moderna struttura situata all’interno di unasplendida villa del Settecento recentemente ristrutturata, circonda-ta da un vasto parco ricco di alberi secolari e piante esotiche. LaCasa don Guanella dispone di luoghi di preghiera per celebrazioniliturgiche o momenti di riflessione personale, spazi sempre apertiper ritagliarsi momenti di dialogo con Dio.La domenica pomeriggio, sulla strada del ritorno, visita all’abbaziadi Morimondo (foto a destra) nei pressi di Vigevano. Questa abba-zia, inizialmente costruita in legno, si presenta come un grandiosoed elegante edificio in mattoni d’argilla prodotti dalla fornace che proprio i monaci costruironoper l’edificazione in muratura del monastero. Il costo, come sempre molto contenuto per consentire la partecipazione di tutti i parrocchiani,sarà ancora di soli 90 €, comprendendo viaggio, pernottamento, 3 pasti, colazione, bevande el’ormai famosa merenda-sinoira. Per famiglie e bambini sono previste quote ridotte. Il pro-gramma di dettaglio sarà comunicato non appena completamente definito. Le iscrizioni in se-greteria parrocchiale.

(emanuela marini) Ogni anno, a ridosso della consegna dell’articolo per il nostro giornale, ri-prendo in mano gli appunti, ripenso ai volti e alle giornate condivise (segnate, nel bene e nelmale, dalle nostre differenze) e sento un profondo imbarazzo sia per il rischio di una forse ine-vitabile retorica ma soprattutto perché – come quando si torna da un viaggio e si tenta di spiega-re cosa sia successo, in te e fuori di te – ti accorgi che le parole non bastano mai. In sintonia con il tema di quest’anno, cercherò allora di dare delle “pennellate di colore” a que-sta pagina bianca, augurandovi di trovare ciò che manca nei racconti dei protagonisti. Partiamoda una novità: quest’anno lo spettacolo di fine anno, che si terrà il 10 maggio alle ore 16, inArea Jerry (Patrocinio San Giuseppe), sarà frutto di una collaborazione tra i ragazzi del CentroInterparrocchiale Medie e quelli del Cammino Catecumenale del Patrocinio San Giuseppe.Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma con la cura e la pazienza di un esperto falegnameabbiamo piallato e levigato in modo che le forme potessero combaciare. Ciò su cui i ragazzihanno riflettuto e che vi proporranno, rivisitandola, è la storia di 5 sovrani che governano 5 re-gni di 5 colori diversi: c’è la Regina Luna, desiderosa ma incapace di guardarsi in fondo al cuo-re e specchiarsi negli occhi dell’altro; la Regina Rubina, orgogliosa di ciò che è ma che vivenell’ignoranza, credendosi perfetta e senza mai arrossire per le stupidaggini che dice; la ReginaSole, persa nel pregiudizio e imprigionata nella sua stessa cornice; il Principe Turchese, che haperso la voglia di volare e navigare perché non vede più “un oltre” da raggiungere; il re Candi-do, che non sa stare in presenza dei propri limiti, delle proprie ombre ma vuole che tutto sia inordine e sotto il suo controllo. Tutti loro hanno in comune la paura e il timore dell’incontro ma anche il desiderio (che sarà piùforte della paura) di conoscere cose nuove, diverse, capaci di ridare vita alla loro esistenza e ca-paci, al termine della storia, di abbattere i muri che li separano, aiutati da un vento leggero ed untam tam di voci che conducono ad un’azione responsabile: “togliersi la corona e infilare la testaoltre la crepa creata nel muro per vedere il regno dell’altro”.È un cammino faticoso, ma necessario perché sia possibile la FESTA, quale segno tangibile deltimore superato, della speranza condivisa, dello stupore di nuovo possibile e di un tempo dona-to a ciò che più conta.Una Festa di cui ogni adolescente ha diritto e di cui ogni persona deve essere nutrita ed educatanella consapevolezza, però, che per realizzare tutto questo c’è bisogno di un lungo camminocapace di insegnarci che ciò che conta davvero è “la comunione dei volti: quella comunioneche distoglie l’attenzione da se stessi e consegna la vita all’amore fraterno” e per vivere laquale occorre indossare l’abito dai mille colori della Festa fatto con “il rosso della passione, disangue e di fuoco, per cantare il bene che vince il male; il bianco della purificazione, di luce edi perdono, per poter ricominciare sempre, nel segno della fiducia; il giallo dell’oro splenden-te, per custodire ciò che vale; l’azzurro del cielo e del mare, per andare più in profondità, allaricerca di orizzonti più alti” (da “La festa dei sensi. Riflessione sulla festa cristiana” di donPaolo Tomatis)… ed anche il nero, quale matita che segna i contorni della nostra unicità, dellanostra fragilità, del nostro limite che è anche la nostra umanità, amata e custodita.

(paolo cergna) In occasione della sua 17ª edizione complessiva e della seconda da quando con-dividiamo il parroco con il Patrocinio San Giuseppe, la Festa di Santa Monica apre le sue porte

ad un’iniziativa della parrocchia vicina. Con estremo pia-cere, infatti, il campetto del nostro oratorio si tirerà a lucidoper ospitare le partite del torneo di calcio a 5 che la Poli-sportiva del Patrocinio sta organizzando per celebrare i 100anni di vita della parrocchia e il contemporaneo trentennaledella Polisportiva. Il torneo di calcetto sarà aperto a tutti(dai 16 anni compiuti in su) e si disputerà tutte le sere, tran-ne la domenica, da sabato 3 maggio a giovedì 8, con finalisabato 10 maggio. La nostra Comunità è invitata innanzi-tutto a partecipare attivamente al torneo (per i dettagli sulleiscrizioni rimandiamo alle locandine che verranno pubbli-cate a breve), ma anche a sostenere i giocatori, approfittan-do della presenza del tradizionale Agriturismo di SantaMonica che, come ogni anno, garantirà il suo servizio perrifocillare atleti e tifosi! La sera della finale chi vorrà potrà anche far sentire la suavoce dalla postazione Karaoke che sarà allestita, come

l’anno scorso, nelle vicinanze dell’Agriturismo. Il pomeriggio di do-menica 11 sarà poi dedicato ai ragazzi di Medie e Superiori con torneisportivi (calcetto, pallavolo, ping-pong, bocce, calciobalilla) e da tavo-lo (scacchi, carte). La Polisportiva del Patrocinio organizzerà anche untorneo di basket, previsto dal 19 al 25 maggio, ed uno di pallavolo conla formula “12 ore” per sabato 7 giugno. Queste due manifestazioni sisvolgeranno nell’Area Jerry dell’oratorio di via Baiardi e anche in que-sto caso gli atleti – più o meno in forma, ma sicuramente di grande spi-rito della nostra Comunità – sono invitati a partecipare. Infine, una citazione per il Centro Giovanile Medie Interparrocchiale diSanta Monica, Patrocinio di San Giuseppe e Assunzione di Maria Vergi-ne, Centro che da anni coinvolge ragazzi del territorio e che è divenutoparte della vita quotidiana delle nostre Comunità: il pomeriggio di sabato10 maggio andrà in scena, sempre nella palestra dell’Area Jerry, l’atteso esempre sorprendente spettacolo di fine anno (quest’anno in collaborazio-ne con i ragazzi del Cammino Catecumenale della parrocchia PatrocinioSan Giuseppe) che meritano il nostro incitamento e il nostro sostegno. Attendiamo con grande entusiasmo gli avvenimenti della Festa 2014, chesi presenta nel segno dell’apertura e della collaborazione con le realtà delPatrocinio, perché possiamo crescere fraternamente e con l’aiuto recipro-co. Sia Festa per tutti, e buon compleanno Patrocinio, che, come recita ilmotto delle celebrazioni, sei stato il “Primo Amore” per molti di noi!

(monica patrucco) Vorresti raccontare una barzelletta? Ti piacerebbesuonare uno strumento musicale? Hai scritto una poesia e vuoi farcelaascoltare? Ami cantare o ballare? Ti invitiamo a prendere nota dell’ap-puntamento di sabato 17 maggio, alle ore 21.00, nel campetto di SantaMonica: è il nostro Talent show! Potrai esibirti davanti al pubblico e aduna giuria che saranno lieti di guardarti, ascoltarti e... dare anche unavotazione!Chi vuole partecipare ed essere protagonista di questa serata potràiscriversi, a partire dal 17 di marzo, presso l’ufficio parrocchiale diSanta Monica, lasciando i propri dati per poter essere ricontattato dagliorganizzatori o telefonare al numero 328-9071713: verranno così datetutte le informazioni dettagliate necessarie. Non mancate… come con-correnti o come pubblico. Il divertimento è garantito!

(sandro la marca) Costruisci, impara, collabora, ascolta e soprattuttofatti sentire con il nuovo World Cafè di Santa Monica! Grazie a questa nuova tecnica di comunicazione e di dialogo avremol’opportunità di discutere, comprendere e vivere la nostra Comunitàcomodamente seduti ai tavoli, accompagnati da caffè, dolci e quantovorremo condividere. L’obiettivo principale della serata sarà proprio quello di trasformare la so-lita e tradizionale conferenza – condotta con un sistema di comunicazionedi tipo broadcast (un interlocutore vs l’assemblea) – in un grande peer topeer, uno scambio continuo di idee in cui ognuno dei componenti saràchiamato ad essere allo stesso tempo sia ascoltatore attento sia “relatore”,mettendo in comune con gli altri le proprie idee e le proprie opinioni. Nel corso della serata avremo la possibilità di riflettere sulle novità diquesta Chiesa sempre più dinamica, con orizzonti vasti ma sempre fon-data e radicata saldamente nella fede. Potremo davvero capire come es-serne parte importante – ognuno secondo le proprie possibilità – e com-prenderne i messaggi fino in fondo per rinnovare la nostra vita. Ecco allora un breve prontuario per godere al massimo della serata:

• Concentrati su ciò che è importante• Condividi le tue idee• Parla con la mente e il cuore• Ascolta per comprendere davvero• Collega le idee• Ascolta insieme agli altri, alla ricerca di scoperte,

intuizioni e domande più profonde• Scrivi, scarabocchia, disegna• Divertiti!• Mettiti nelle Sue mani.

La serata sarà guidata da don Luca Ramello (direttore dell’Ufficio perla pastorale dei giovani e dei ragazzi, collaboratore del Centro Diocesa-no Vocazioni e assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica),che ci aiuterà a capire le parole, i gesti, le direzioni della Chiesa cattoli-ca per farci arrivare alla gioia vera, renderci il sale della terra, la lucedel mondo! Work with us, work together, world cafè.

VENERDÌ 23 MAGGIO ALLE ORE 21.00VI ASPETTIAMO DAVVERO IN TANTI, ANZI TANTISSIMI...

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 2014 5

Mi trovo spesso a gustare le omeliemattutine di Papa Francesco e trovoche mi facciano del bene aiutandomimolto a riflettere sulla mia vita e sulmondo che ci circonda: casa, mondodel lavoro, parrocchia, le persone cheincontro. Penso che la bellezza di questo Papastia nella sua semplicità, nella sua na-turalezza e soprattutto nel pieno com-pimento del suo ruolo di guida e di go-verno. Cosa a cui tutti siamo chiamaticome popolo di Dio: alcuni come pa-stori, altri come laici, tutti come perso-ne autentiche e vere. Nelle Costituzioni della Compagnia diGesù, al paragrafo 547, sant’Ignazioprescrive: «...facciamo quanto ci saràchiesto con molta prontezza, gaudiospirituale e perseveranza, persuaden-doci che tutto ciò è giusto, e rinnegan-do con cieca obbedienza ogni parere egiudizio personale in contrario, in tuttele cose che il superiore ordina. Persua-si come siamo che chiunque vive sottol’obbedienza si deve lasciar portare ereggere dalla Provvidenza, per mezzodel superiore, come se fosse un corpomorto (“perinde ac cadaver”), che sifa portare dovunque e trattare comepiù piace». Credo che questo Papa in-carni pienamente questo motto, peral-tro quasi sconcertante nei contenuti,ma in piena obbedienza alla bellezzadi Dio e a sua volta svolga il suo com-pito di pastore in totale libertà, richia-mando i cristiani nelle cose fondamen-tali della loro testimonianza di fede,soprattutto attraverso il comportamen-to e il modo di relazionarsi con gli altri. Si rischia, dice il Papa, di avere unabella facciata, con niente dietro e lo facon espressioni semplici, a tratti quasibanali, ma di forte impatto. Ed è moltosecco sulle argomentazioni: dice ciòche è bene e ciò che non lo è, ovverociò che è comunione e ciò che è auto-scomunica. Un esempio: «Un cristia-no prima di chiacchierare deve mor-dersi la lingua, voi non sapete il maleche fanno alla Chiesa le chiac-chiere». Dunque – ha suggerito –«mordersi la lingua ci farà bene: lalingua si gonfia e non si può parlare,così non si possono fare chiacchiereche feriscono».

Il brano di quel giorno trattava dellarichiesta dei farisei a Gesù circa il tri-buto da dare a Cesare e il Papa si èchiesto: «Qual è la nostra lingua?Parliamo in verità, con amore, o par-liamo un po’ quel linguaggio socialeper essere educati, anche per dire co-se belle, ma che non sentiamo? Colo-ro che si avvicinano a Gesù in modotanto amabile sono gli stessi che an-dranno a prenderlo nell’Orto degli

Ulivi per trascinarlo davanti a Pilato.Questi ipocriti, che cominciano con lalusinga e l’adulazione, finiscono cer-cando falsi testimoni per accusare chiavevano lusingato. I farisei sono gliintellettuali e i moralisti dell’epoca.Interpreti del perbenismo e attentissi-mi al galateo, sono pronti a esigerecomportamenti ineccepibili dagli al-tri. Così si rivolgono a Gesù con paro-le morbide, con parole belle, con pa-role troppo zuccherate, cercando dimostrarsi amici. Più che la verità,amano se stessi e così cercano di in-gannare, di coinvolgere l’altro nella

loro menzogna, nella loro bugia. Lorohanno il cuore bugiardo, non possonodire la verità».Dopo la critica ai «cristiani da salot-to», quei «cristiani inamidati che dis-cutono di teologia bevendo il tè», Ber-goglio ha arricchito quello che si puòormai considerare come uno dei capi-toli forti del suo magistero. Il pericolodella «mondanità spirituale» nellaChiesa: «La mondanità spirituale è

quella che Gesù vede in atto tra i fari-sei: voi che vi date gloria, che dategloria a voi stessi, gli uni gli altri. So-no la vanità e il narcisismo a spingercia desiderare che si dicano cose buonedi noi e a farci usare un linguaggiopersuasivo che porta all’errore e allamenzogna». L’esempio più bello è quello del Van-gelo, a cui Bergoglio fa riferimento: ilmite linguaggio dei bambini. «La mi-tezza che Gesù vuole da noi non haniente di questa adulazione, di questomodo zuccherato di andare avanti.Niente! La mitezza è semplice, come

Quanto la nostra vita si conforma alVangelo, al di fuori del momento dellacelebrazione della Messa? Forse sem-pre più spesso ci troviamo ad esserecristiani di maschera? Senza lasciareche il nostro cuore sia toccato vera-mente e indelebilmente dall’amore diDio. La cartina di tornasole sono le no-stre relazioni. Quanti di noi sono dis-posti a dire «cedo il mio posto ad un al-tro!», senza guerre o rancori; quanti dinoi sono in grado di esprimere il giudi-zio o il pensiero che hanno in mente,senza «girarci attorno» o far sentire al-l’altro ciò che vuole sentirsi dire? Pernon scontentare mai nessuno. Tra le preoccupazioni pastorali piùforti che condivido, una è proprio que-sta! Siamo cristiani di verità? Testimo-ni della Verità? A tutti i livelli. Non perfare il Savonarola di turno, né il calvi-nista, ma senza questa base noi nonsiamo cristiani, siamo «altro».Come dovrebbe essere per ogni per-sona vera, Francesco ha un profondorigetto per il linguaggio politicamen-te corretto, il formalismo, la tendenzaall’adulazione. Il suo non amare troppo i salamelec-chi e prediligere la semplicità lo siera già inteso dalle prime battute sulloggione di San Pietro e poi questascelta di abitare in Santa Marta, doveogni mattina può incontrare moltissi-me e diversissime persone nell’Euca-ristia. Nel mese di giugno una dellesue omelie diceva: «[…] I cristianidevono rifuggire “un linguaggio so-cialmente educato” e incline “all’i-pocrisia” che – ha detto – è il “lin-guaggio dei corrotti”. E devono ave-re invece il coraggio della “verità”.Quando Gesù parla ai suoi discepolidice: il vostro parlare sia “Sì, sì! No,no!”. I teorici del linguaggio edulco-rato e della scelta di “parole morbi-de” tipo “di colore” anziché “nero”o “negro”, oppure “diversamenteabile” al posto di “handicappato”,“operatore ecologico” invece di“spazzino” (e si potrebbe continuarecon gli esempi), se ne adonteranno».Sarebbe limitante, come alcuni fan-no, definirlo solo il Papa dei poveri.È anche un Papa che ama parlar chia-ro, come il Vangelo insegna.

quella di un bambino. E un bambinonon è ipocrita, perché non è corrotto».Credo che, in devoto ossequio agli in-segnamenti del Vangelo e all’autore-vole parola del Papa, dovremmo usarequesti testi per la nostra meditazionequaresimale, cercando sempre più diconformare la nostra vita alla Verità!Parole molto dure, ma, allo stesso tem-po, parole di una verità evidente, total-mente necessaria e disarmante. E la

cosa bella è che ci stiamo tutti dentro!Possiamo avere subito un riscontro: se,chi legge, è arrivato a questo punto in-dignato, arrabbiato o irritato, potrebbeessere in odore di santità già raggiunta,ma il mio consiglio è riprendere la let-tura dell’articolo da capo... Se invece, arrivando al fondo, il pen-siero è: «mannaggia, in questa Quare-sima devo lavorare sodo su me stes-so/a», saremo tutti giunti alla stessaconclusione! Buona Quaresima e buona conversio-ne al Vangelo per tutti!

don Riccardo

Il 28 dicembre 2013 presso la parrocchia SantaMonica in Torino è stata celebrata – per la primavolta in assoluto nella nostra Diocesi – la SantaMessa in lingua per la comunità cinese. La Mes-sa è stata presieduta dal cappellano della comu-nità cattolica cinese e collaboratore dell’UnitàPastorale don Giuseppe Chen e concelebrata dadon Daniele, parroco di Santa Monica e del Pa-trocinio di San Giuseppe. Alla celebrazione era-no presenti circa 70 persone, compresi studentiuniversitari, cattolici cinesi e cattolici italianidel Movimento dei Focolarini. Durante la Mes-sa i focolarini hanno cantato e animato la litur-gia. Tre cattolici cinesi hanno anche avuto l’oc-casione di confessarsi nella loro lingua madreperché, a causa della difficoltà di comunicazio-ne, non avevano potuto confessarsi per anni.Subito dopo la celebrazione si è tenuta una vivace,allegra e coloratissima festa. Giovani e anziani,credenti e non credenti, bambini e genitori hannopartecipato a meravigliose rappresentazioni. Nel-la gioia condivisa per il re appena nato e immersinell’allegria dello spettacolo, alla fine della rap-presentazione, con i migliori auguri di buon anno,c’è stato lo scambio dei doni. Don Giuseppe, dacuoco eccellente quale lui è, ha preparato un dolcedel suo Paese natio dal sapore indimenticabile.Sentendo la mancanza di conoscenza della fedecattolica, alcuni dei fedeli hanno chiesto a donChen di tenere regolarmente alcune attività e in-contri su di essa. Hanno detto che, anche se sonostati battezzati durante la fanciullezza e sono staticresciuti in una famiglia cattolica tradizionale, es-si si sentono “confusi”, specialmente quando par-lano della loro fede con altri. Sentono di avereniente da condividere con i non cristiani, non-ostante abbiano una profonda fede in Cristo. Ènecessaria una rievangelizzazione.I catecumeni erano eccitati per le attività. Essipercepivano il potere coesivo della comunità.Non è stato solo riunire la gente per adorare ilCreatore, ma creare anche un punto di riferi-mento per le persone erranti e in ricerca di unaloro appartenenza a una comunità. Questo aiutaloro sicuramente ad affrontare il loro futuro diriorientamento della vita. Dopo lo spettacolo es-

si hanno proposto e stabilito un gruppo di comu-nicazione sociale con l’aiuto dell’alta tecnologiacome QQ, MicroMsg – weixin, con lo scopo discambiarsi punti di vista sulla vita e sulla fede.Non si è dunque trattato soltanto di intratteni-mento o divertimento, ma di un’occasione di te-stimonianza della fede cattolica per i non cre-denti. La maggior parte dei partecipanti ha dettoche erano rimasti molto toccati e che auspicava-no l’organizzazione frequente di attività simili.

don Giuseppe Chen

Antonella, direttrice di una residenza per an-ziani e nostra affezionata lettrice, ci ha inviatouna appassionata riflessione per condividerecon i lettori de Il Ponte la sua esperienza di la-voro in un mondo un po’particolare prendendolo spunto dall’essere (donne specialmente)…centenari e ultravovantenni! La pubblichiamoringraziandola di cuore.

È vero quel detto che recita: “Abbiamo nostalgiadelle cose quando queste mancano”.Vi chiederete cosa c’entri questa frase con l’argo-mento che vado trattando. Ma, come sempre misuccede, mi ritrovo a spiegare certe situazioni ini-ziando da molto lontano. Parlavo dunque di nos-talgia per una cosa che non c’è più e questa situa-zione è veramente forte e reale nelle signore an-ziane che lasciano la loro casa per entrare in unacasa di riposo.La casa, per noi donne – e me ne sto accorgendosempre più con il passare degli anni –, diventa ilfulcro della nostra vita. La casa con i suoi muri, lesue stanze pazientemente arredate nel corso dianni con quei mobili e quegli oggetti che raccon-tano di noi e delle persone a noi vicine che ce nehanno fatto dono. La casa, questo bozzolo checonserva i ricordi belli e tristi della nostra vita,muta testimone e calda consolatrice.Pensate che cosa significa dover abbandonarequesta parte di noi tutto ad un tratto per entra-re in modo definitivo, dolorosamente definiti-vo, in un nuovo mondo dove la nostra casanon c’è più.Voi ce la fareste? Se voi che leggete siete giovani,forse sì, perché oggi il legame con la casa non èpiù quello del passato, anche perché molti di voigiovani una casa non ce l’hanno proprio. Ma pernoi di una certa generazione adattarsi a questanuova realtà è spesso impossibile.C’è una soluzione? Forse no! Ma è doveroso, perchi come me opera all’interno di una struttura peranziani, almeno tentare di rendere questo distac-co meno triste e meno tragico possibile.Alcune persone anziane, e di questo ne ho testi-monianza, decidono di recidere il legame con lacasa-passato chiudendo i propri ricordi in unoscrigno prezioso, rifiutandosi materialmente emetaforicamente di varcare la soglia della casa

di riposo verso l’esterno. Alcune – quale forzad’animo si nasconde dietro questi fragili corpi!– ricostruiscono un nuovo mondo, nuove abi-tudini; altre si abbandonano al rimpianto la-sciandosi trascinare come un fuscello dallacorrente.Di fronte a queste situazioni non dobbiamo népossiamo essere inermi ed arrendevoli. Dobbia-mo cercare di ricreare una nuova casa, questavolta fatta di persone e di eventi che possono, inun continuum unico, andare a ricongiungersi allacasa-ricordo.È anche questo il mio compito: arduo, difficile,spesso non realizzabile, eppure tanto esaltantequando anche solo un piccolo sorriso sboccia sulvolto triste delle nostre ospiti.Un sorriso, una carezza, una parola buona, unorecchio per ascoltare, un gesto gentile, unamano per asciugare le lacrime di rimpianto,nostre lacrime per condividere il loro dolore.Tutto questo deve, assolutamente deve, ac-compagnare anche il mio operare giornalierocon i nostri ospiti.E sono arrivata infine al tema di questo scritto(che ho fortemente voluto condividere con voi,cari amici e lettori de Il Ponte): la presenza nellaresidenza per anziani in cui svolgo il mio lavorodi un cospicuo numero di ospiti ultracentenari eultranovantacinquenni. È un bel traguardo perqueste persone che hanno vissuto due guerre edeventi memorabili e che ancora sono vivi nei lo-ro ricordi raccontati con sguardo sognante.È un bel traguardo anche per noi, orgogliosi efieri di aver in parte contribuito con il nostro la-voro a questa meta. Ed il sorriso radioso di que-ste persone davanti a quel mazzo di fiori simbo-lo della loro vittoria, attorniate dai figli ormaiimbiancati e con il viso rugoso, ci fa sperare cheil fare questa idea della nostra casa-pensiero nonsia poi così bislacca.E quindi auguri a Cornelia che di anni ne hagià 101; auguri alle centenarie Angela, Ma-ria, Rosaria e Albina. Ancora auguri alle ul-tranovantacinquenni: Pia Enrichetta che dianni ne ha 99, ad Olga, Pasqualina, Emilia,Maria Teresa, Germana, Vittoria e all’unicouomo, Italo.

Antonella Vomiero

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 20146

QUANDO SI DICE ASCOLTARE E METTERE IN PRATICA

“Estote parati” (Siate pronti, Matteo 24,44) oltre ad essereun famoso brano del Vangelo, è anche il motto dei boyscout e il titolo del loro inno. Ma la tragedia dell’alluvionein Sardegna mi induce ad assegnare un significato diversoa queste due parole in apparenza così semplici. [5 novem-bre 1994, Valle Tanaro e tratto piemontese del Po, 70 mor-ti / 13-16 ottobre 2000, di nuovo in Piemonte, 23 morti e 11dispersi / 25 ottobre 2011, Val di Vara, Cinque Terre, Luni-giana, 12 morti / 4 novembre 2011, Genova, 6 morti / 18novembre 2013, Sardegna, 17 morti]. Queste sono soltan-to le alluvioni più tragiche che hanno colpito il nord-ovestdell’Italia dal 1994 ad oggi. Ma purtroppo l’elenco è moltopiù lungo, basta consultare su internet Wikipedia alla voce“Lista di alluvioni e inondazioni avvenute in Italia”. Non ho le competenze tecniche per affrontare l’argomen-to relativo al dissesto idrogeologico del nostro fragilissi-mo Paese. Ma tutti noi dobbiamo fare i conti prima o poicon alluvioni e frane. I comuni, le province e le regionihanno il compito di elaborare dei piani di valutazione del-le criticità del territorio. In base a questi scenari di rischio(in caso di segnalazione di allerta o di condizioni meteoro-logiche avverse da parte del Dipartimento di ProtezioneCivile Nazionale e in Piemonte dall’ARPA) si mette inmoto la macchina organizzativa. Dal 2006 la città di Tori-no è stata dotata di una modernissima centrale operativa,attiva 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Se viene diramatoun allerta meteo, il personale di sorveglianza viene poten-ziato; in caso di allarme, si apre un tavolo di crisi con per-sonale dei Vigili del Fuoco, delle Forze dell’Ordine e del-le Associazioni Nazionali di Volontariato che operano inProtezione Civile (Associazione Nazionale Alpini, Asso-ciazione Nazionale Carabinieri, Coordinamento del Vo-lontariato, Antincendio Boschivo). Questi, insieme al sin-daco (primo responsabile della Protezione Civile) e aisuoi collaboratori, coordinano gli interventi di prevenzio-ne e di soccorso nell’ambito del territorio comunale. Me-desima organizzazione, ma con ambiti territoriali diversi,è presente per le Province e per la Regione Piemonte. Lanostra regione, duramente colpita nel corso degli ultimi 20anni da eventi devastanti e dalgrande numero di morti, è statauna delle prime, se non la pri-ma, a dotarsi di un apparato cosìmoderno ed efficiente. Non sipuò fermare l’acqua, ma è pos-sibile prevenire le vittime sor-vegliando i ponti, i sottopassag-gi e tutte le strade vicino a corsid’acqua a rischio esondazione.La maggior parte dei morti inSardegna è avvenuta proprio instrada o a causa di ponti crollatiche nessuno teneva sotto con-trollo. Ma, nonostante tuttaquesta organizzazione (e il grannumero di persone che ne fan-no parte), è prima di tutto no-stra la responsabilità verso lanostra incolumità e di chi ci stavicino. Il mio primo dovere èquello di essere informato, sulterritorio in cui abito, sulle stra-de che percorro… Ad esempiose abito in una zona a rischio, incaso di violenti temporali opiogge molto abbondanti dovreicostantemente essere a cono-scenza dell’andamento e del-l’entità delle precipitazioni. Intelevisione, telefonando al nu-mero di emergenza dei vigili ur-bani di Torino (011-460.60.60),su internet o – se non funzionapiù nulla e manca l’energiaelettrica (succede più spesso diquanto si creda) – con una vec-chia radio a pile che bisogne-rebbe avere sempre a portata dimano ed efficiente. Nell’alluvione del ’94, del 2000,della Liguria, l’unico mezzo persapere cosa stava succedendoera proprio questo. Nell’ultimoevento del 6-7 novembre 2011,

a Torino, sono stati fatti evacuare in sicurezza gli abitantidi alcune zone a rischio vicino al Po e i malati dell’Ame-deo di Savoia vicino alla Dora. In questo modo si è crea-to un disagio, ma si è prevenuto un problema molto piùimportante. Le previsioni non possono avere una preci-sione assoluta, pertanto se nell’unità di crisi si decide (inbase alle informazioni in possesso) di evacuare delle per-sone, di chiudere un ponte o una strada, è per prevenireun danno più grave. Poi se non si verifica l’allagamento,meglio così, al massimo si è peccato di eccesso di pru-denza. Ricordiamoci sempre, però, che queste decisioninon sono mai prese alla leggera e sono concertate contecnici esperti. Un altro mio dovere è quello di conoscere le strade chedevo percorrere e, anche se non ho nessuna notizia, in ca-so di violento temporale o di pioggia insistente non tran-sitare in sottopassaggi o su strade vicine a piccoli corsid’acqua poiché in qualsiasi momento e improvvisamentesi possono allagare, intrappolandomi o trascinandomivia come è successo in Sardegna. È cronaca del 2 dicem-bre scorso di una signora di Pescara che è rimasta blocca-ta in un sottopasso; ha chiamato il marito con il cellulare,ma è stata purtroppo recuperata dai vigili del fuoco, de-ceduta, sotto quattro metri d’acqua. Perché una piccolaimprudenza o una sottovalutazione del rischio a voltepuò costarci la vita. I primi operatori di Protezione Civilesiamo noi stessi. In Italia esiste anche un problema dimancanza di cultura, di educazione ambientale e di cono-scenza del territorio in cui viviamo e ci muoviamo, a co-minciare dalla scuola dove non si fa alcuna opera di in-formazione su questi rischi.Quindi, “estote parati”, siate pronti, stiamo pronti acomportarci con prudenza nei confronti dell’ambiente,senza la presunzione di poter sempre andare dappertut-to e con qualunque tempo e ascoltiamo i consigli delleistituzioni anche se a volte comportano un disagio nel-l’immediato.

Grazia AlciatiVolontaria di Protezione Civile

È sempre bello dare spazio ad uno scritto che ci aiuti ariflettere e che ci ricordi una persona che ci ha lasciatima che nella sua vita è stata tanto preziosa per la no-stra Comunità di Santa Monica.

Ecclesia, assemblea di popolo, e per noi cattolici popo-lo di Dio. Assemblea, gente di ogni età e condizione,riunita dall’unico Padre che ci richiama e invita alla ce-na del Suo Figlio. Ci si ritrova tra amici, vicini, fami-liari, ma anche accanto a persone sconosciute e cheforse non vedremo o incontreremo più. In quella cele-brazione ci sentiamo uniti, perché l’invito è per tutti, laParola di Dio è rivolta a tutti, e tutti possiamo parteci-pare al banchetto del Figlio. Al tempo stesso siamo anche chiamati a fare ciascuno lapropria parte: an-zitutto il cele-brante che presie-de, il diacono, iministranti e chi èchiamato a svol-gere i vari servi-zi. I lettori, i mi-nistri straordinaridell’Eucaristia,chi porta al sa-cerdote le offertedi pane e vino,che diventeran-no Corpo e San-gue di Cristo,chi passa tra i fe-deli a raccoglie-

re quanto serve per la celebrazione e per i poveri. Tuttii partecipanti sono chiamati alla preghiera corale, acantare, a pregare in silenzio, a riflettere e meditaresulla Parola di Dio, e sul mistero che si celebra. È im-portante che chi è chiamato a leggere non lo faccia soloper sé, ma proclami a voce alta e chiara la Parola diDio. E questa, tra gli altri, è stata la nostra amica Alessandra,presente ogni domenica a farci ascoltare quanto quelgiorno il Signore ci voleva dire. E non solo alla domenicafaceva la sua parte, anche nei gruppi di catechesi per anniè stata la voce e il richiamo del Signore per tanti bambinie ragazzi che l’hanno avvicinata e ascoltata. Quanti ap-partengono al popolo di Dio, in forza del battesimo sonochiamati a fare la propria parte, ciascuno con i talenti che

ha ricevuto. Ce lo ri-corda Alessandra, orache si trova nella casadel Signore, mentre noisiamo ancora in cam-mino. Ci aiuti il Signore a nonlasciar passare un tem-po tanto prezioso, co-me è la vita di ognigiorno, e ci doni il Suospirito che ci sug-gerisca, al momentoopportuno, cosa dob-biamo fare come cre-denti che vogliono vi-vere in modo coerente.suor Francesca Cerino

vo tavolo operatorio per il piccolo ospedale di Eluru, nelWest Godavari District, una delle zone più povere del-l’India. In esso lavorano a tempo pieno alcune suore Lui-gine, tra cui una, suor Pushpa, si è laureata in Medicina aTorino. La struttura segue i pazienti di ben otto poverissi-mi villaggi rurali dei dintorni e organizza anche interven-ti sul posto per individuare e prevenire le diffusissimemalattie agli occhi e diffondere informazioni sulle prati-che igieniche elementari.I bisogni di un ospedale di frontiera come questo sonoevidenti, come d’altra parte quelli descritti in moltissimialtri progetti, ma il fatto che l’associazione sia torinese cioffre la possibilità di mantenere un contatto con essa edeventualmente conoscere l’esito del progetto e i progres-si compiuti.La Parrocchia di Santa Monica ha spesso privilegiatonelle sue scelte l’impegno per la salute e anche inquesto caso ci si è mossi in questa direzione. L’importo del progetto è alto per le nostre possibilità,ma, come sempre, sappiamo di poter contribuire –speriamo in modo significativo – insieme ad altreparrocchie (sappiamo che una già lo farà) e contiamosulla generosità e la maturità dei frequentatori dellanostra chiesa.

Cristina Romagnoli per il Gruppo Missionario

La scelta del Gruppo Missionario di Santa Monica perla Quaresima di Fraternità 2014 è caduta quest’anno,non senza qualche esitazione (visto i tanti progetti pre-sentati dall’Ufficio Missionario Diocesano), su quellopresentato da un’associazione torinese – “New Lifenuova vita onlus” – fondata da un gruppo di genitoridi figli adottati che hanno ritenuto giusto non occupar-

si solo dei loro bambini, maseguire anche quelli

che, rimasti in pa-tria, avevano biso-gno di aiuto e soste-gno insieme alle lo-ro comunità.Il progetto prevedel’acquisto di un nuo-

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 2014 7

Un’altra volta in… libreria. Per-ché?

Andare in libreria è l’ultimo atto di unaserie di tanti piccoli, faticosi, anche for-tunati passaggi. Quando il “tuo” mano-scritto è completato e curato in ognipunto, al meglio delle tue capacità, sidesidera tentare di pubblicarlo. Nelmomento in cui un cuoco finisce di pre-parare una torta spera sempre che qual-cuno la assaggi. Vedere qualcuno chesfoglia le pagine del “tuo” libro è comeper una mamma osservare un figlio chegusta il dolce che ha appena sfornato.

Come nasce la voglia/bisogno discrivere un libro?

Fin da sempre per me l’idea di scrivereun libro mi è parsa meravigliosa. Neimomenti più impensati mi ritrovo ascrivere le mie emozioni, è una neces-sità quasi fisica. Pensieri, poesie che ri-lette nel tempo mi paiono banali e spes-so le cestino. Scrivere un racconto è unatto più razionale e meditativo e per-mette di far volare la propria fantasiaper staccarsi dai problemi quotidiani.

Quando si decide di “produrre”un libro c’è anche il desiderio didimostrare qualcosa. E a chi?

Nel mio caso è dimostrare a me stessodi essere in grado di coronare un so-gno nel cassetto.

Qual è la molla scatenante cheporta ad avventurarsi in un’im-presa importante com’è quella didare alle stampe un volume?

Una notte ti svegli e come in un sognouna storia si scrive da sola nella tua te-sta. Ti pare così bella e intrigante chedevi metterla sulla carta perché ri-manga indelebile su quel foglio, perpoterla rileggere. Oppure hai sentito,visto qualcosa che ti ha colpito, fattogioire, soffrire e senti la necessità di“scriverci sopra” per lo stesso motivodi prima. Ho sempre avuto l’impres-sione che quello che è scritto possacontinuare a rimanere con noi e chenon cada nel cassetto del passato.

Dentro di lei cosa è nato prima: ildesiderio di pubblicare un libro ol’assoluto bisogno di pubblicarequella storia?

Il bisogno di pubblicare quella “sto-

ria”. Fin da bam-bino, quando mi èstata raccontata lastoria di Anna, hodesiderato cercareil modo di farla“rivivere” e di ri-darle un pizzico digiustizia. Nono-stante le mie ricer-che e una mia per-sonale indagine neiluoghi dove si so-no svolti i fatti, in-terpellando i so-pravvissuti, non so-no giunto ad unaverità attendibile.Fra gli occhi di chiha “passato” laguerra scorre anco-ra sgomento, paurae omertà. Stavoper desistere dalloscrivere il raccontoquando ho decisoche Anna sarebberivissuta colmandole lacune con lamia fantasia. Cosìè nata La colpa so-spesa. Una vicenda in cui non semprei giusti sono tutti buoni, gli iniqui so-no tutti cattivi e i colpi di scena non sifanno attendere.

Per arrivare a vedere la propriacreatura in libreria e in edicola,da dove si parte?

Dopo aver completato la scrittura, siprocede ad un’attenta verifica rileg-gendo più volte il manoscritto. È fon-damentale consegnare il romanzonelle mani di un correttore di bozze esottoporlo ad un lavoro di editing. Siscelgono le case editrici a cui inviareil proprio lavoro in base alle loro ca-ratteristiche editoriali. È inutile in-viare un thriller ad un editore chepubblica prevalentemente romanzistorici. Ogni casa editrice richiedemodalità diverse di formato, caratte-re, tipo di curriculum. Alcune inizial-mente richiedono solo l’invio diqualche capitolo o preferiscono l’in-vio online piuttosto che cartaceo. Senon ci si adegua alle loro preferenzeil proprio lavoro sarà sicuramente ce-stinato a priori.

Quali sono i passaggi più difficiliper un’impresa del genere?

Nel mio caso – in cui scrivo quando hotempo e con numerose interruzionitemporali – è riuscire a mantenere il fi-lo logico e la continuità di linguaggio.

Per chi scrive crediamo che l’a-

spetto economico non sia “prima-rio”, ma c’è comunque il concre-to rischio di rimetterci dei soldi?

Se la casa editrice è seria e investe nelromanzo lo scrittore non corre alcunrischio di perdere dei soldi, al peggionon guadagna nulla.

Per lei, già uomo “pubblico” cono-sciuto nel quartiere, cosa aggiungea livello di contatti interpersonalil’essere autore di un altro volume?

Non mi sembra sia cambiato qualco-sa, se non la richiesta da parte di qual-cuno di una dedica sul libro oppurequalche complimento (spero sincero)per aver scritto un altro romanzo.

Come sta andando la sua “crea-tura”, a distanza di qualche me-se, a livello di vendite?

Non ho ancora dati precisi, ma solosensazioni. Considerando la mia scar-sa notorietà come scrittore sembrache le vendite siano soddisfacenti. Perle vendite, d’impulso credo che il me-rito sia della copertina e del titolo, az-zeccato dall’editore.

Ha qualche aneddoto curioso daraccontarci all’indomani di que-sta sua seconda fatica?

La copertina del libro, dopo vari tenta-tivi dei grafici della casa editrice, dove-va essere la foto in bianco e nero di unpartigiano che passeggiava a braccettodella sua “bella” in una stradina dicampagna. Una soluzione che aveval’approvazione di tutti, ma non convin-ceva nessuno. Due giorni prima di an-dare in stampa – tornando da una cenadi famiglia verso mezzanotte – mia fi-glia si è lasciata convincere a farmi damodella e dopo aver indossato un ve-stitino anni quaranta si è messa in posadavanti ad una porta bianca come sfon-do. Con il riflesso di un faretto portatilee con una comune macchina fotografi-ca ho scattato la foto che ha avuto l’ap-provazione entusiasta di tutti.

C’è qualcosa in questa nuova av-ventura editoriale che l’ha soddi-sfatta maggiormente e qualequella che la delusa di più?

È stato soddisfacente e confortanteche, dopo una ragionevole attesa, piùcase editrici fossero disposte a pub-blicare il mio libro. Non ho nemmenotentato di spedire il manoscritto aimostri sacri dell’editoria. Quello chemi ha deluso di più è proprio questo.Non alludo a me stesso, ma sapereche molti scrittori eccellenti non po-tranno mai vedere il proprio libropubblicato da grandi editori (perché èdifficile sottoporsi al loro giudizio) èdeludente.

Oltre a saper scrivere bene, oltread avere fantasia e “coraggio” nelraccontare o nell’inventare unastoria, qual è la cosa davvero in-dispensabile per portare a compi-mento un progetto “editoriale”?

Sicuramente la perseveranza.Chi l’ha aiutata di più in questaseconda “fatica”?

Come dicevo prima la perseveranza èfondamentale ma, a volte, scema. Cisi domanda se ciò che si scrive non siabanale, ridicolo, ordinario e si ha latentazione di mollare. In questo la miacompagna di vita, mia figlia, alcunimiei amici sono stati indispensabiliper ridarmi la carica.

Ci sono in cantiere altri progettida… scrittore?

Ho parecchie storie che mi frullano intesta, ma in questo momento il mio la-voro assorbe ogni energia.

Qual è il consiglio che darebbe adun aspirante scrittore?

Di scrivere, scrivere senza voltarsi in-dietro. Solo alla fine si può incomin-ciare a tirare le somme.

Quali sono i suoi autori preferitidi ieri e di oggi?

Non penso di avere degli scrittori pre-feriti; voglio dire, ne esistono così tantie tutti con uno stile diverso. Quelli chemi hanno trasmesso qualcosa e che mivengono in mente adesso sono sicura-mente Dostoevskij, Tolstoj, Manzoni,Pirandello, Hemingway, Calvino, Gar-cia Marquez, Pavese, Allende, Camil-leri, Giordano, Zafon... Sono sicuroche se mi mettessi a riflettere con calmami verrebbero in mente altri autori e al-cuni di questi potrebbero essere nonmolto noti. Leggo in modo disordinato.Ultimamente mi rilasso con il genere

thriller e mi sono “passati fra le mani”romanzi di autori stranieri come JohnGrisham, Mary Higgins Clark, JamesRollins, Lars Kepler, Harlan Coben.

Nel suo modo di raccontare a chipensa di aver “rubato” qualcosao a chi pensa di essersi rapporta-to di più?

Sicuramente si subisce l’influenza dalleproprie esperienze e dalle letture fatte,ma non sono ancora riuscito a capire achi mi sono rapportato o a chi ho rubato.

Cosa cambia nel proprio intimo al-l’indomani di un simile impegno?

Non ne ho coscienza e sono semplice-mente soddisfatto di aver portato atermine il mio impegno di scrivere Lacolpa sospesa.

A suo parere scrittore si nasce, sidiventa, qualcuno ti “forgia” oc’è dell’altro.

Non sono il più adatto a rispondereperché non mi sento ancora di poter-mi fregiare del titolo di scrittore, co-munque non credo che le scuole discrittura creativa possano “forgiare”degli scrittori se non si “è già nati ta-li”. Naturalmente l’impegno, lo stu-dio, la ricerca, il confronto con gli al-tri danno sempre ottimi frutti.

Il Ponte nel suo numero di giugnoa 8 pagine da qualche tempo pub-blica un racconto (meglio se diun… “lingottino”) sotto il titolo“Storie di quartiere”. Possiamostrapparle l’impegno a scriverciper il prossimo giugno un raccon-to preferibilmente ambientatonel nostro quartiere?

Sì, molto volentieri. Farò del mio me-glio.

Volutamente non le abbiamochiesto nulla di specifico del suolibro perché ci piace invitare i no-stri lettori ad andarlo a leggere.Però le chiediamo: cosa vorrebbedire in generale agli amici de IlPonte al termine di questa simpa-tica chiacchierata?

Il mio libro La colpa sospesa è un ro-manzo scritto con semplicità, ma conil cuore. L’omicidio di un’anziana si-gnora del nostro quartiere scoperchiaun segreto su un omicidio commessonell’ultima Guerra Mondiale e il rac-conto si avvicenda tra presente e pas-sato. L’intento iniziale era di dare unapossibilità di riscatto ad una ragazza,Anna, morta giovanissima, invano,banalmente, dimenticata, passata nelmondo senza essere vista. Uccisa daun assassino senza scrupoli, ma primadi tutto assassinata dalla guerra, chestravolge la natura umana e rende gliuomini crudeli. Non essendo stato ingrado di arrivare alla verità mi confor-ta sapere che non sarebbe servito arendere giustizia ma solo a creare sof-ferenza a qualche inconsapevole e in-nocente discendente delle personecolpevoli già defunte. Far diventareAnna la protagonista di un thriller per

colmare le lacune può sembrare unaleggerezza, ma a mio giudizio è statol’unico modo per far parlare di lei edare un fuggevole attimo di senso allasua giovane vita stroncata sperando dilasciare nella memoria del lettore unpiccolo monito a non dimenticare ilsacrificio di molte donne come lei, in-nocenti, assassinate durante le guerre.Buona lettura.

MI PIACE... TI PIACE?Il museo de «La Stampa»

(un’azienda dove ho lavorato per tanti anni)richiedere loro articoli o collaborazione e lerelative risposte. Una parte che mi ha moltocoinvolto, perché quei personaggi sono statigli autori che ho sempre preferito.E poi, la zona più tecnologica: i pannelli checonsentono al visitatore di interagire, con ilsemplice tocco di un dito, per avere informa-zioni sugli avvenimenti più importanti che ilgiornale ha trattato, i direttori che si sono suc-ceduti sulla tolda della nave La Stampa, i col-laboratori più insigni con il loro profilo pro-fessionale e storico.Si arriva, infine, nella parte più “museale”del museo: le tecnologie passate e superate.La vecchia tipografia, i caratteri di piombo,la linotype, la pagina completamente “im-paginata” in piombo. Un’unica piccola la-cuna: non c’è nel museo la cassa tipografi-ca, quella con tanti scompartimentini con-tenenti le lettere dell’alfabeto che i tipogra-fi del tempo pescavano ad una ad una percomporre i titoli del giornale. Si finisce con le nuove tecnologie, o meglioi primordi delle nuove tecnologie. Il tavololuminoso su cui si “montavano” le pagineincollando al posto giusto le strisce di cartafotografica con i titoli e gli articoli del gior-nale, pagine che venivano poi fotografate etrasformate in supporti di stampa. Per ulti-mo il sistema editoriale “Atex”: un sistemacomplesso per la gestione dei testi e dei ti-toli, un sistema che non credo abbia susci-tato rimpianti quando fu sostituito con unaltro più moderno ed efficiente. La parte tecnica finisce qui. Il resto, non piùvisibile, è contemporaneità e tecnologia avan-zata con gestione integrale da parte del com-puter di tutto quello che serve per fare il gior-nale. Le pagine vengono confezionate a videoe ogni redattore può verificare lo stato di avan-

zamento della pagina che a lui interessa. C’è ancora una saletta dedicata ai ricordi conle foto dei visitatori illustri: Sophia Loren, ilpugile Sugar Robinson, lo sciatore Piero Grose altri. Ma la foto per me più toccante è certa-mente quella di Sandro Pertini che duranteuna visita a Torino volle pranzare alla mensadel giornale e fu festeggiato oltre che dal di-rettore e dai giornalisti anche dall’avvocatoGianni Agnelli. Per le maestranze fu un mo-mento di grande intensità emotiva per la pro-fonda umanità, schiettezza e disponibilità delcompianto Presidente della Repubblica. La visita ha suscitato in me molte emozioni,molti ricordi. Accanto a quei pezzi da museovedevo anche i visi dei mie colleghi con i qua-li ho passato molte ore delle mie giornate, coni quali ho discusso, collaborato, magari anchelitigato. Li ho rivisti tutti e il ricordo è statopiacevole e struggente.Uscendo ho pensato al travaglio dell’introdu-zione di queste nuove tecnologie così innova-tive e così veloci nell’evolversi continuamen-te tanto che ciò che è nuovo oggi è già obsole-to domani. Ho pensato alle speranze di svi-luppo del settore che la tecnologia aveva fattonascere in molti. Aoggi queste speranze sono

state in parte disattese. La tecnologia ha fattoprodigi, ma il settore è in profonda crisi. Si èsaputo della vendita per sopravvivere dellastorica sede di un grande quotidiano, si sus-surra di fusione tra due testate importanti estoriche, si parla di ridimensionamento delformato e del numero delle pagine di un altro,l’occupazione è crollata in tutto il mondo del-l’editoria. Si comincia a pensare che l’era del-la carta stampata stia tramontando. Speriamodi no. Sarebbe triste pensare che il Molochtecnologico ha mangiato i suoi figli.

Antonio Boglione

P. S. – La Stampa è un luogo aperto alla cit-tà. Le visite guidate, condotte da personaleappositamente formato, sono l’occasioneper capire da vicino la storia del giornale evisitare gli spazi in cui si crea il quotidiano.Le visite sono aperte a singoli, gruppi di vi-sitatori privati e studenti dalla scuola ele-mentare alla media superiore. I visitatorisingoli verranno accorpati in gruppi nonsuperiori alle 25 persone, in base al calen-dario di visite in programma. Per maggioriinformazioni: telefono +39 011/6568 319 /e-mail [email protected].

Da un po’ di tempo lo volevo fare. Ne avevosentito parlare bene da molti e oggi l’ho fatto:sono andato a vedere il museo de La Stampa,un’azienda nella quale ho lavorato per tantianni. Un gioiellino incastrato al primo pianodella nuova sede del giornale. Raccolto, ele-gante, rievocativo, tecnologico. Bello. Per me,poi, è stata una autentica emozione.In esso si raccontano due storie parallele:quella multicentenaria della tipografia che,nata da Gutemberg nel 1450 e vissuta sere-namente per oltre cinquecento anni, è statacompletamente spazzata via nel “breve”volgere di qualche decina di anni. L’altra,quella del giornale, più giovane ma egual-mente densa di storia che continua, speria-mo ancora per molto tempo. Appena entrati, superata la saletta dei gadget,un grande pannello televisivo illustra la nuovaredazione fatta di tavoli a cerchi concentrici alcentro dei quali il tavolo del direttore, dei suoivice e dei caporedattori centrali. Alle pareti pan-nelli televisivi con collegamenti in tutto il mon-do. L’impressione è di essere capitati nella salacomandi del progetto Apollo a Cape Canaveral.Si prosegue nella parte più “umana” dove,nelle bacheche, campeggiano gli originaliscritti a macchina con le numerose correzionie modifiche a mano tipiche dei testi che arri-vavano in tipografia per essere digitati, poi al-cune lettere scritte dai vari direttori indirizza-te a personaggi della cultura come NorbertoBobbio, Primo Levi, Leonardo Sciascia per

Era una istituzione a Santa Monica. Si trovavasempre o in chiesa o in portineria dell’Istitutodella Natività di cui era portinaia.Nata nel 1923, prese il velo nel 1947. Da quelladata si può proprio dire che sia sempre vissuta invia Spotorno, anche se per brevi periodi è andataad aiutare nelle scuole materne di Ceretta, Bor-go San Pietro e Ponderano. Gli ultimi tre annidella sua vita li ha trascorsi nella infermeria del-le suore a riposo nella Piccola Casa.Il 14 dicembre del 2013, si è spenta in tutta se-renità rimanendo cosciente fino all’ultimo mo-mento. Suor Laura aveva un carattere mite, di fa-cile parola e di buona memoria, per cui conoscevatutti gli abitanti di via Spotorno, via Vado e viaGenova; contutti parlava eper tutti avevaun buon pen-siero.Don Giorgio egli altri sacer-doti non dove-vano preoccu-parsi per pre-parare gli ac-cessori per lecelebrazioni;a questi avevagià provvedu-to suor Laurapredisponen-do paramenti,vasi sacri e li-ni ben stirati.Carissima suorLaura, ti ab-biamo voluto bene, ti ringraziamo per i buo-ni esempi. Tu ora prega per noi perché possia-mo condurre una vita veramente religiosa co-me l’hai vissuta tu.

Le tue Consorelle

Una notte ti svegli ecome in un sogno unastoria si scrive da solanella tua testa. Ti parecosì bella e intriganteche devi metterla sullacarta…

Naturalmentel’impegno, lo studio, la ricerca, il confrontocon gli altri dannosempre ottimi frutti

Un piccolo monito a nondimenticare il sacrificiodi molte donne,innocenti, assassinatedurante le guerre

Questa intervista è stata raccolta da Edoardo Fassio

Anno XII - Numero 1 - Febbraio-Aprile 20148

✍ Alla Redazione del giornale Il Ponte.Don Daniele, finito di celebrare la Santa Messa, ci

invitò ad andare a visitare il Presepe… “Mi raccomandoaccendete la luce, c’è un pulsante e il Presepe vi parlerà,ma non andate tutti adesso altrimenti non potete goder-velo”. Verissimo, sono andata a vederlo qualche giornodopo, alle 11.30 circa, colpo d’occhio al buio: “Boh, bea-ti quelli di San Giuseppe”. Poi ho acceso le luci e subitoho pensato: “Però non siamo mica da meno noi!”. La vo-ce narrante, le statue fatte a mano, gli abiti cuciti addos-so… Ma quello che mi ha colpito, ma proprio colpito, èstata l’ultima rappresentazione, quella del tempio con ladidascalia “Qualche anno dopo...”. Ebbene mi chiedo sesono solo io così ignorante o ci saranno altri come me. Viprego, illuminateci, spiegate cosa è successo, cosa i Ma-gi fanno nel tempio, cosa si è avverato… Hanno forse vi-sto Gesù parlare con i sacerdoti? Non voglio leggerlo suinternet, lo vorrei leggere su Il Ponte. Comunque, a tutti coloro che hanno partecipato alla rea-lizzazione del Presepe faccio i complimenti e li ringraziodi cuore. Sono sicura che il prossimo anno sarà ancorapiù bello e perfezionato, perché ogni anno ci sarà un’ideanuova che perfezionerà quello che già sembrava bello.Auguro a tutta la Redazione un buon anno pieno di salutee lavoro e ancora grazie.

Wanda Benna

(…quelli del Presepe) Carissima signora Wanda, anzi-tutto vogliamo dirle che ci rende particolarmente con-tenti il fatto che l’impegno dedicato all’allestimentodel Presepe abbia permesso a diverse persone (e la

sua lettera ne è ulteriore conferma) di provare a porsidavanti al mistero di Gesù “nato per noi”, con sguar-do aperto e curioso. L’incoraggiamento di tanti ci stagià portando a pensare, per il prossimo Avvento, qual-che novità.Ma veniamo agli interrogativi sull’ultimo “quadro”rappresentato, quello dell’adorazione dei Magi, annun-ciato dalla frase: “Qualche anno dopo...”. L’episodiodei Magi è narrato solo da Matteo, così come la stragedei bambini del territorio di Betlemme ordinata da Ero-de il Grande. Il fatto che un episodio di tale gravità siataciuto dall’altro evangelista che ha dedicato spazio al-la nascita ed infanzia di Gesù, Luca, è spiegatodagli studiosi con riferimento alla diversa “linea teolo-gica” seguita dagli autori, che nel caso di Matteo (chesi rivolge alla comunità cristiana proveniente dall’e-braismo) tende a ricalcare la vita di Mosè, anch’essosalvato dalla strage dei bambini ebrei voluta dal farao-ne. Andare alla scoperta dei significati teologici e sim-bolici all’interno dei Vangeli è un’avventura entusia-smante, piena di sorprese e sicuramente da consigliare;il punto di partenza però, anche in tali casi, resta sem-pre la lettura del testo e su quella si è cercato di porre unaccento sul particolare passaggio (Matteo, capitolo 2,versetto 16) che consente di collocare nel tempo narra-to l’arrivo dei Magi da Gesù. Matteo afferma infatti che“Quando Erode si accorse che i Magi si erano presigioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambiniche stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e cheavevano da due anni in giù, secondo il tempo che avevaappreso con esattezza dai Magi”. Secondo il testo,

quindi, la visita non avvenne presso Gesù neo-nato, ma dopo circa due anni. Ecco quindi iltentativo di rappresentare la figura ormai cen-trale del solo Gesù e con fattezze che fosserovisibilmente non di neonato. Quanto all’am-bientazione in “stile tempio”, non occorrecercare collegamenti troppo complicati. Di-ciamo semplicemente che ci si è presi una li-bertà nell’allestimento che permettesse di nonriempire troppo la scena, dando più evidenzaai personaggi. Del resto la stessa bellissima eantica tradizione del Presepe napoletano cidice che non sempre è indispensabile un totalerealismo!Sperando di aver chiarito, per quanto possi-bile, i dubbi espressi nella lettera, ringrazia-mo ancora tutti coloro che ci hanno suppor-tato in tanti modi in questa attività e non ciresta che dare appuntamento... al prossimoNatale!

DALL’ARCHIVIOAbbiamo accoltoViola RENZILoris GALLIZIA

Abbiamo salutatoGrazia IDONEA

ved. PANAZZAAngelina Teresa LOMELLO

ved. SUITAMaria MONASTERO in VAYOlga ARU in TESTIBruno DOGLIOTTIMaria MALUSA ved. ZATELLIEzio Lorenzo ANSALDIAdriana Teresa HOENIG

ved. TAMAGNONEGuerino CUTELLÈVani ZEMIGNANI MELANOMaria Teresa CIURLEO

ved. VIZZERIValeria TRISI

ved. CAMBURSANOSergio DA PIEVEM. Francesca ANNUNZIATA

ved. DE LEO

Siamo dues o r e l l emolto golo-se ma an-che (quasis e m p r e ! )

attente a non fare del male alla no-stra salute. Per questo vorremmoproporvi questa torta che è buona,nutriente – ma anche leggera e salu-tare – perché priva di burro, zucche-ro, uova.Ingredienti200 gr di carote200 gr di mandorle non pelate

Torta «Dolce Vita»LA RICETTA DI...

200 gr di malto di grano o di riso (sitrova nei negozi di macrobiotica, er-boristerie, Eataly)175 gr di farina semintegrale (tipo 2)100 gr di mele60 gr di uvetta3 cucchiai di olio di mais2 cucchiai di buccia di limone (natu-rale) tritata1 bustina di lievito mezzo cucchiaio di cannella in pol-vereun pizzico di sale marinoPreparazioneFrullate le mandorle e grattugiate le

carote e le mele. Unite il tutto in unaterrina. Aggiungete il sale, la can-nella, l’olio e mescolate bene. Unitequindi la buccia di limone, l’uvetta eil malto e mescolate bene con unaspatola. Mescolate il lievito alla farina e ver-satela a pioggia fino a ottenere unimpasto morbido. Ungete e infarina-te una tortiera, versate e livellatel’impasto e fate cuocere a 200° per30 minuti.

Rosanna e Marina Monticone

Un albero salvato...Quando, nel lontano 1972, venni ad abitare con la mia famiglia in viaGiaglione, nel cortile dell’allora scuola media “Amedeo Peyron”, era-no stati messi a dimora varie siepi lungo i lati perimetrali e due giovaniplatani destinati, evidentemente, ad ombreggiare le scolaresche durantele ore di educazione fisica all’aperto.Crebbero i nostri figli e crebbero i due platani.Con la loro chioma maestosa diventarono dei veri e propri monumenti.Alcuni anni fa un temporale molto violento, di quelli che la natura cipropina spesso, fece crollare il platano vicino alla via. Fu ridotto in bre-vi tronchi ed allontanato dal cortile.Da allora il sopravvissuto fu ancora più evidente per la sua verdeggian-te presenza: gioia pergli occhi degli studentie di tutti gli abitantidella via.Un giorno, però, la pri-mavera scorsa, affac-ciandomi alla finestra,notai alcuni personaggidel Comune – armati distrani strumenti – af-faccendarsi intorno algrosso platano rimastosolo.Subito in allarme, miprecipitai in strada perinformazioni: si preve-deva di abbattere l’al-bero nel timore di unnuovo crollo causatodal forte vento!In pochi minuti, da noncredere, si organizzòun gruppetto di perso-ne, insegnanti dellascuola ed abitanti della via, talmente indignati e determinati ad impedi-re quell’insensato platanicidio, che a nulla poterono le ragioni addottedagli incaricati del Comune ad eseguire il misfatto.Dopo alcune verifiche per stabilire che non sussistessero pericoli dicrollo – e dopo aver programmato una adeguata potatura (che ha datoottimi risultati) – i nostri mancati demolitori di alberi si allontanaronotra gli sguardi soddisfatti di noi… protettori.Ora il nostro grande platano si erge in tutta la maestosità della sua ri-dondante chioma nell’inchinarsi al vento e lascia a noi, suoi salvatori, ilrimpianto di non poter sostare sempre nella bellezza dell’ombra dellesue fronde.

Beatrice Tessore

IL PONTE è il giornale “quasibimestrale”della Parrocchia di Santa Monica, via Vado 9 – Torino

Sara Vecchioni - direttore responsabile

Enrico Perioloe Carla Ponzio coordinano i lavori

Collaborano alla redazione Grazia Alciati, don Riccardo Boseglio, don Daniele D’Aria,Aldo Demartini, Roberto Di Lupo, Edoardo Fassio, Cinzia Lorenzetto, Marco Montaldo, Roberta Oliboni,Maria Teresa Varalda

e… tutti coloro che vorranno farsi avanti.Tiratura 2700 copie, distribuzione gratuita.

Videoimpaginazione e Stampa:la fotocomposizione - Torino

Il giornale viene distribuito gratuitamente a tutti iparrocchiani. Sono gradite le offerte di sostegno.

REGISTRAZIONE N. 5937 DEL 17-01-2006

AL TRIBUNALE DI TORINO

Quando il mio amico Antonino Barcellona,scacchista come me, mi chiamò al telefono,pensai che volesse chiedermi qualcosa ri-guardo al nostro circolo scacchistico di Ni-chelino, di cui siamo entrambi soci. Immagi-nate la mia sorpresa, invece, quando mi pro-pose di scrivere un libro con lui! Scrivere unlibro è già un’impresa ardua, e lo è di più scri-verlo a quattro mani, ma Antonino mi chieseuna cosa ancora più difficile: Toni mi offrì lapossibilità di scrivere una storia sulla disabi-lità o meglio sulla diversa abilità. Antonino,oltre ad essere uno scacchista, infatti, è innanzitutto unbravo infermiere, che lavora sia in ospedale che in variealtre realtà sanitarie. La disabilità Toni la incontra quoti-dianamente, ma soprattutto deve fare i conti ogni giornocon l’autismo, di cui si parla tanto, in particolare daquando uscì il famoso film Rain Man con Dustin Hoff-man, ma di cui si sa ancora molto poco.Vita è, questo il titolo del libro, è un racconto chiaro e ac-cattivante. È la storia di un ragazzo autistico che vive inuna comunità per diversamente abili, in cui un giorno arri-va un infermiere nuovo, un albanese di nome Ferdinant, ilquale si trova a raccogliere una sfida difficile. Egli, ormaiin Italia da moltissimi anni e italianizzato in Ferdinando,ha in realtà un grande segreto che gli rode dentro, ma que-sto lo si scoprirà solo alla fine, quando il suo animo gene-roso e combattuto non riuscirà più a sostenerlo. Tutta la storia è raccontata dalla direttrice della comunità, lagiovane e sensibile Roberta, la quale, con molta buona vo-

lontà, sta cercando di creare un clima stimolan-te e più adeguato allo stile di vita dei suoi ragaz-zi. Il libro in effetti racconta anche le esperienzedei molti ospiti della casa ma in definitiva dise-gna la parabola crescente di Giacomo, il ragaz-zo che Ferdinando prenderà più a cuore. Giaco-mo dimostra infatti di possedere delle grandicapacità cognitive, anche se il suo fisico è forte-mente debilitato dall’incuria e dalle cattive curea cui era stato sottoposto fino ad allora. Ferdinando è un forte scacchista internaziona-le, e piano piano comincia ad insegnare il gio-

co anche a Giacomo, che a sua volta lo ripagherà con unaascesa folgorante nell’olimpo dei tornei più importanti almondo. Ovvia la simbologia del romanzo, quindi: gli scac-chi come mezzo di riscatto dell’uno e dell’altro, accomuna-ti da un destino complementare. La storia però ha molti pia-ni di lettura, e lo sguardo limpido di Roberta sulla vicendafornisce una chiave d’interpretazione a tutto tondo.Confessare che scrivere questa storia non è stato facile, ed hodovuto pensarci molto bene. Ho dovuto e voluto “documen-tarmi” su molte cose, e soprattutto ho dovuto affrontare unmondo a me sconosciuto, come spesso lo è alle molte perso-ne cosiddette normali. Il risultato però credo sia convincen-te. Vita è non è lo scimmiottamento di Rain Man, ma è unavicenda vissuta e immersa nella realtà di oggi, e che cometutte le storie reali può toccarci in qualsiasi momento da vici-no. Il libro è reperibile in formato cartaceo e e-book su tuttele librerie on-line, e i ricavati andranno in beneficenza.

Antonino Barcellona / Pino De Renzi

SERATA-DIBATTITO MERCOLEDÌ 26 MARZO ALLE 21.00 A SANTA MONICASU VITA È IL LIBRO SCRITTO DAANTONINO BARCELLONA E PINO DE RENZI