Anno X - n° 58 nella scarpa - cmdbergamo · lora si diventa dei calcolatori, degli esperti di...

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N el guazzabuglio della pa- storale si affacciano ogni giorno problemi di ogni ge- nere. Alcuni si consumano sulla porta della Chiesa, altri chiedono la pazienza di essere sviscerati con delicatezza e fiducia. Qui gli addetti ai la- vori devono mettere in gioco quello che sono. Di fatto tutto questo rivela uno stile di Chiesa, mostra cioè il volto ed il cuore della comunità cristiana metten- done a nudo le fragilità e, nello stesso tempo, offrendo spazi di positività. Il tutto è condizionato, nel bene e nel male, dalle persone che in- contri. A me piace affermare che così prende concretamen- te corpo la missionarietà. Il contenuto di questa di- mensione della vita della Chie- sa è la traduzione del Vangelo per l’oggi dell’uomo. Per que- sto ci impegna. Ai massimi sistemi delle strategie opera- tive, alle complicate relazioni tra le istituzioni ecclesiastiche, all’insindacabilità della dot- trina e alla programmazione certosina risponde la quoti- dianità dei rapporti, la sem- plicità degli incontri, la libertà del cuore, la ricerca della vita. Giocare la partita in una comunità parrocchiale diventa davvero impegnativo. Proprio qui si realizza quell’ad gentes indicato come paradigma dell’azione pastorale con ri- ferimento all’esperienza mis- sionaria che ci ha portato spesso oltre gli oceani. Imparare dalla missione. Di certo qualcuno storcerà il naso. Cosa può insegnare alle nostre comunità la gente di un piccolo villaggio nel cuore dell’Africa? Cosa può conse- gnarci una fantomatica par- rocchia, quasi senza confini, negli scantinati di qualche grande metropoli americana o nella periferia di una me- galopoli asiatica? E quei grup- pi sparuti di cristiani sulle isole dell’Oceania? Di fatto poi il missio- nario rimane nel- l’immaginario come un eroe, ma “è fuori dal mon- do”, c’è persino chi lo com- pati- sce: poverino. Ecco, una prima caratte- ristica della pastorale missio- naria è quella di “essere fuori dal mondo”. Non perché non lo apprezzi, ma perché non vuole farsi risucchiare dal mondo, che spesso presenta il conto della sua arroganza sulle spalle dei poveri, deboli, ultimi, degli sprovveduti. Al- lora si diventa dei calcolatori, degli esperti di economia, dei professionisti del prodotto in- terno lordo, persino misura- tori della fede, ma non c’è più il tempo della libertà. L’immagine è quella di chi cammina con il Vangelo tra le mani. Le am- monizioni di Gesù ai suoi missio- nari non sono d’altri tempi, ma consegnano l’assoluta novità del Regno. Non le cose, il riconoscimen- to, la forza, la perfe- zione, i ruoli, le pro- cedure, ma la picco- lezza, l’imprevisto, il servizio, l’incon- tro, la fragilità, la ricerca, l’ascolto, l’umiltà... sono queste le pa- role che do- vrebbe- ro torna- re spesso nei nostri progetti di pastorale da terzo millen- nio, proprio per andare Sassolini missionari... centro missionario diocesano, gruppi missionari e missionari bergamaschi in dialogo C’è sempre da imparare Missionarietà pastorale di periferia il sassolino nella scarpa settembre - ottobre 2014 Anno X - n° 58

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  • Nel guazzabuglio della pa-storale si affacciano ognigiorno problemi di ogni ge-nere. Alcuni si consumanosulla porta della Chiesa, altrichiedono la pazienza di esseresviscerati con delicatezza efiducia. Qui gli addetti ai la-vori devono mettere in giocoquello che sono.

    Di fatto tutto questo rivelauno stile di Chiesa, mostracioè il volto ed il cuore dellacomunità cristiana metten-done a nudo le fragilità e,nello stesso tempo, offrendospazi di positività. Il tutto ècondizionato, nel bene e nelmale, dalle persone che in-contri. A me piace affermareche così prende concretamen-te corpo la missionarietà.

    Il contenuto di questa di-mensione della vita della Chie-sa è la traduzione del Vangeloper l’oggi dell’uomo. Per que-sto ci impegna. Ai massimisistemi delle strategie opera-tive, alle complicate relazionitra le istituzioni ecclesiastiche,all’insindacabilità della dot-trina e alla programmazionecertosina risponde la quoti-dianità dei rapporti, la sem-plicità degli incontri, la libertàdel cuore, la ricerca della vita.

    Giocare la partita in unacomunità parrocchiale diventadavvero impegnativo. Proprioqui si realizza quell’ad gentes

    indicato come paradigmadell’azione pastorale con ri-ferimento all’esperienza mis-sionaria che ci ha portatospesso oltre gli oceani.

    Imparare dalla missione.Di certo qualcuno storcerà ilnaso. Cosa può insegnare allenostre comunità la gente diun piccolo villaggio nel cuoredell’Africa? Cosa può conse-gnarci una fantomatica par-rocchia, quasi senza confini,negli scantinati di qualchegrande metropoli americanao nella periferia di una me-galopoli asiatica? E quei grup-pi sparuti di cristiani sulleisole dell’Oceania?

    Di fatto poi il missio-nario rimane nel-l ’ immaginariocome un eroe,ma “è fuoridal mon-do”, c’è persinochi locom-pati-

    sce: poverino.

    Ecco, una prima caratte-ristica della pastorale missio-naria è quella di “essere fuoridal mondo”. Non perché nonlo apprezzi, ma perché nonvuole farsi risucchiare dalmondo, che spesso presentail conto della sua arroganzasulle spalle dei poveri, deboli,ultimi, degli sprovveduti. Al-lora si diventa dei calcolatori,degli esperti di economia, deiprofessionisti del prodotto in-terno lordo, persino misura-tori della fede, ma non c’èpiù il tempo della libertà.

    L’immagine è quella di chicammina con il Vangelotra le mani. Le am-monizioni di Gesùai suoi missio-nari non sonod’altri tempi,ma

    consegnano l’assolutanovità del Regno. Nonle cose, il riconoscimen-to, la forza, la perfe-zione, i ruoli, le pro-cedure, ma la picco-lezza, l’imprevisto,il servizio, l’incon-tro, la fragilità,la ricerca, l ’ a s c o l t o ,l’umiltà...sono questele

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    centro missionario diocesano,gruppi missionari e missionaribergamaschi in dialogo

    C’è sempreda imparareMissionarietà pastorale di periferia

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    oltre questo mondo, lo spazioangustio dove abbiamo po-sizionato una chiesa struttu-ra, dimenticando gli orizzontiaperti della periferia.

    Così si fa esperienza diuna seconda caratteristicadella pastorale missionariache è l’inefficienza. Propriocosì, il tempo perso. Se il me-tro di misura non appartienealle categorie della nostraprogrammazione, se non èverificabile dentro gli iter bu-rocratici delle nostre curie,se non corrisponde alle sta-tistiche che permettono dirilevare la conservazione diuna certa purezza di fede, al-lora vuol dire che stiamo per-dendo bene il nostro tempo.È quella pastorale che stacrocicchi delle strade e che

    si fa accoglienza guardandotisolo negli occhi e invitandotia trovare il cuore.

    E siamo così alla terza ca-ratteristica: il cuore. Quelloche Papa Francesco chiama:“odore delle pecore” è unprincipio insindacabile di teo-logia pastorale. La missioneè fatta di sapori, per averneun’idea basta camminare nelmercato di Abidjan, oppuresalire su un mezzo pubblicoin Bolivia. I sapori della vitasono segnati dal sudore, dallafatica, dalla solitudine, qual-che volta dal vuoto, ma nonmancano neppure i profumidella solidarietà, della vici-nanza, del rispetto, della di-gnità, della stima. All’opera-tore pastorale è essenzialeraffinare l’olfatto, indispen-

    sabile imparare a riconoscereodori e profumi, per condi-videre e annunciare con pas-sione il Vangelo di Gesù. An-che nei percorsi formativinon dovrebbe mancare que-sta immersione nel mondodegli aromi.

    Alle fine, possiamo rac-cogliere una quarta caratte-ristica: la passione. È veroche è il cuore che fa la diffe-renza, sempre. Una strettadi mano, un momento diascolto e poi la medicazionedi una ferita, così come l’at-tesa di un bimbo, il confortoad un morente e il sorriso diuna famiglia... è il cuore cheaggiunge valore.

    Pastori immuni da senti-menti, collaboratori pastoralisenza cuore, mostrano forsetutta la capacità della strut-tura ecclesiastica di rispon-dere ai bisogni, ma non im-primono nel tessuto della vitail desiderio di Dio, non libe-rano il grido e la volontà dichi cerca, non accolgono laconsegna dell’uomo creden-te.

    Il paradigma della missioad gentes non è la panaceache risolve gli inghippi dellacomplessità, che purtropposi accompagna al nostro vi-vere di oggi, non ha neppurela bacchetta magica per con-durre alla chiesa il maggiornumero di persone, non èattraversato dall’ambizionedi essere al top delle sceltepastorali. Di fatto si offrecome una prospettiva, vissutae sperimentata in un popolo,in una cultura, nella media-zione tra l’esigenza del Van-gelo e la quotidianità ricca evariegata che incontra ognigiorno.

    È un paradigma di conti-nua incarnazione, sollecitatospesso dalle povertà e dallemiserie umane più tremende,

    misurato sulla disponibilitàdi fede e cuore dei suoi pro-tagonisti, aperto alla provo-cazione della cultura, del pen-sare, del cercare; un para-digma capace di dialogo chevalorizza la stima per tuttociò che è umano e conduceall’umano.

    Non si tratta allora di unapastorale “strepitosa”, ad ef-fetti speciali e segnata dachissà quale intuizione al-l’avanguardia, ma di un cam-mino di continuo discerni-mento davanti alle provoca-zioni, ad appelli spesso sof-focati, inviti trascurati e poiquell’attesa che contraddi-stingue chi si accosta al Mi-stero di Dio sommerso dadomande e, magari, estre-mamente confuso.

    Non ci sfiori neppurel’idea che tutto si riduca allasemplificazione, nell’intentosolo di smobilitare la baraccapastorale che abbiamo co-struito. Nessuna rivincita sulpassato, ma solo la consape-volezza dei “cieli nuovi e dellaterra nuova”, di quell’asso-luta novità che sempre at-traversa il cuore le mente delcristiano immerso in questomondo e lo avvicina al suoDio. Un servizio, quello dellamissionarietà alla fede quo-tidiana e poi un invito a di-ventare testimoni di uno stiledi Chiesa che è sempre prontoad imparare, sciolto dall’ansiadella conservazione, e protesoverso le domande che fannol’uomo capace della sua vitae della sua fede.

    Anche queste parole le af-fido al sogno e, se lo facciamoinsieme, cominciamo a dise-gnarsi le periferie della real-tà.

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    don Giambattista

    centro missionario diocesano

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    Le pagine che seguono ciriconsegnano l’esperienzavissuta, lungo l’estate, nel-l’incontro con la missione.Parlano alcuni dei più di ot-tanta giovani che hanno vo-luto questa possibilità. Dopoil percorso di formazione, gliscambi e gli approfondimenti,arrivato il momento dell’im-barco è cresciuta l’emozione.Il tempo corre veloce e portacon sé l’incontro, gli sguardi,le parole e quella profonditàdi comunione che nasce dallacondivisione della fede. Alla

    fine, quando si torna a casa,il racconto è incontenibile el’entusiasmo alle stelle. Unfuoco di paglia? No, rimanequalcosa che segna per sem-pre. Chiaro che il quotidianoè impegnativo, che non sicambia così con la bacchettamagica, ma qualcosa che“ruga” dentro rimane con in-sistenza.

    Lasciamo spazio al rac-conto che ci coinvolge e, ma-gari, spinge a vivere la stessaesperienza, ecco perché pub-blichiamo da subito il pro-

    gramma di preparazione al-l’esperienza dell’estate 2015.

    E grazie a questi giovaniche ci danno un po’ di fiato,rinnovano la missionarietà

    della nostra Chiesa e mostra-no il lato più bello della ricercae della condivisione.

    La commissione giovanidel cmd

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    Un racconto coinvolgente

    Abbiamo incontrato

    la missioneIl contagio è questa volta

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    Sabato 31 gennaio 2015Incontrare le missioni per scoprire la missione.Le “misure” dell’esperienzaE poi, “oltre” le proprie certezze, l’incontro.Dolce scoperta dell’“altro”.

    Sabato 14 e domenica 15 febbraio“Dov’è tuo fratello?”Guardo il mondo…Il dialogo della cultura, il cuore della carità.Lo sguardo del Vangelo, l’approccio della mondialità.Guardo… le mie motivazioni alla partenza.

    Sabato 28 febbraioUn pane grande, grande!Beati gli invitati alla cena del Signore.(nel contesto del Convegno Missionario Diocesano)

    Sabato 14 marzoLa “cultura dello scarto”Dall’economia dell’esclusione alla condivisione partecipata.Gli idoli dello sfruttamento e del consumo.

    Sabato 28 marzoIl grido della giustiziaOgni uomo e tutto l’uomo.La cura della fragilità.Il valore del servizio alla persona.

    18 aprileNe vale la penaMettersi in viaggio leggeri.Segnare le tappe del cammino.Decidere di accogliere il dono.

    Gli incontri si tengono presso il cmd dalle h 17 alle 21,30,il fine settimana 14-15 febbraio si tiene presso la casa deipadri Dehoniani di Albino dalle 17 di sabato alle 17 di do-menica.

    La frequenza al corso è gratuita eccetto per l’incontro adAlbino per il quale occorre versare 40,00,€ (vitto e alloggio)al momento dell’iscrizione al percorso.

    Le iscrizioni al percorso si chiudono il 20 gennaio ed è ri-chiesto un colloquio previo con il direttore del cmd. Perpoter vivere l’esperienza è obbligatoria la partecipazioneal percorso.

    Al primo incontro verranno presentate le mete dell’espe-rienza estiva.

    Per ulteriori informazioni: 035 4598480www.cmdbergamo.org

    Per comunicazioni: [email protected]

    Ma dove credi di andare?Percorso giovani in preparazione all’esperienza breve in missione 2015

  • Nelle prime tre settimane di Agostodi quest’anno ho avuto la preziosapossibilità di visitare, con il mio coe-taneo Alessandro, il mondo missio-nario del Brasile, in particolare quellodi Serrinha e Teofilandia, città chefanno parte dello Stato della Bahia,nel nord-est del Brasile.

    Ho potuto ammirare posti e pae-saggi nuovi, osservare e avere a chefare con persone che, pur avendo unostile di vita, mentalità e cultura diversadalla nostra, si trovano di fronte aproblematiche simili, con la mancanzadi lavoro come dramma principale.

    Ho imparato molte cose soprat-tutto ascoltando i preziosi raccontidi don Angelo, il missionario berga-masco che ci ha ospitato, presso lasua casa parrocchiale, nella città diTeofilandia. Ci ha raccontato dellafragilità politica ed economica di quel-la zona del Brasile, dove corruzionee malgoverno dominano e molte per-sone vivono grazie alla borsa-famiglia,somma irrisoria che il governo dà achi non ha lavoro.Ci ha parlato delle difficoltà delle fa-miglie, spesso orfane di uno dei duegenitori, proprio perché si è costrettiad andare nelle grandi città lontaneper trovare lavoro.

    Ecco che allora è particolarmenteimportante l’opportunità che vieneofferta dal Centro Missionario di Teo-filandia coordinato da don Angelo,struttura che offre vitto e alloggio abambini dai 6 ai 14 anni che nonpossono essere mantenuti dalle pro-prie famiglie.

    E’ stato molto bello passare di-verse ore con questi bambini che misono apparsi molto timidi, silenziosi,rispettosi dei loro educatori, ma allostesso tempo molto gioiosi ed entu-

    siasti nei momenti del gioco.Nelle due settimane in cui siamo

    stati con don Angelo abbiamo potutoanche partecipare alle visite e alleMesse pomeridiane nelle piccole co-munità e cappelle parrocchiali, in to-tale 35 e molto distanti l’una dall’altra.I viaggi in auto che facevamo perraggiungere le cappelle ci permette-vano di osservare i paesaggi dellacampagna, molto verde per le piogge,gli animali sempre liberi, i bambiniche giocano a piedi nudi nei campidi sabbia…

    Le Messe sono molto cantate emolto più movimentate rispetto allenostre, i luoghi sacri sono rispettati,ma in un’ottica meno formale, ce nesiamo accorti quando alla prima Mes-sa ci siamo trovati un cagnolino alnostro fianco per tutta la celebrazio-ne.

    Grazie a don Angelo abbiamo po-tuto anche visitare una miniera pre-sente nelle vicinanze dove viene ri-cavato l’oro e viene offerta una dellepoche opportunità di lavoro agli abi-tanti del posto.

    Siamo stati anche a Salvador, lacittà più grande della Bahia, dove ab-biamo potuto anche notare le con-traddizioni esistenti tra una periferiache appare molto povera e un centropiù ricco che è molto simile a quellodelle nostre grandi città.

    Vivendo quotidianamente condon Angelo abbiamo potuto osservareil suo stile di vita semplice e generoso,sempre pronto a condividere le suecose con noi, a rendere gradevole lanostra permanenza pur continuandoa svolgere le sue attività quotidiane.

    Siamo stati anche quattro giornia Serrinha ospiti del Vescovo Mons.Ottorino e accompagnati da Stefania,

    missionaria laica bergamasca che vivein Brasile.

    Serrinha è una città abbastanzagrande, che ci è apparsa molto sporcae disordinata, spesso al centro di epi-sodi di violenza e criminalità, soprat-tutto assalti e rapine ai danni dei piùricchi.Mons. Ottorino e Stefania, però, nonappaiono per nulla rassegnati a ciò esi stanno impegnando, ognuno neipropri ambiti, per migliorare questacittà, ripartendo soprattutto dall’edu-cazione.

    Il Vescovo in questi anni ha per-messo la realizzazione di nuove strut-ture, come la Scuola del Minore, laCuria diocesana, il Seminario e il cen-tro giovanile che sta per essere ulti-mato.

    Stefania è molto attiva alla Scuoladel Minore dove abbiamo conosciutomolti bambini, giocato a calcio conloro durante gli intervalli, apprezzatola loro allegria e simpatia e infineaiutato Stefania a fare piccoli lavoretti.E’ stato particolare anche il momentodella distribuzione della minestra acui abbiamo contribuito, con le suoree i volontari della Caritas Diocesana.

    Infine siamo andati, per tre giorni,al passeggio dei preti della diocesi,nello Stato del Cearà, a Nord del Bra-sile. Abbiamo conosciuto la storiadella vita di un sacerdote santo per ibrasiliani, Padre Cicero, famoso perla sua intensa attività pastorale maanche come uomo politico di rilievo.I miracoli che lo resero celebre risal-gono al 1889, quando dando la SantaComunione alla beata Maria de Arau-jo, l’Ostia consacrata si tramutò insangue nella bocca della beata.

    In conclusione, certamente l’espe-rienza mi ha arricchito molto comepersona, ricorderò soprattutto l’esem-pio di generosità e umiltà di PadreAngelo, lo stile di vita brasiliano chemi è apparso più rilassato rispetto alnostro ritmo di vita stressato, l’allegriache contraddistingueva molte personedel posto, anche nel mezzo di moltedifficoltà.

    Un grande grazie a chi ci ha per-messo di fare questa esperienza, si-curamente a tutte le persone del Cen-tro Missionario di Bergamo, a chi ciha ospitato e accolto e anche al miocompagno di viaggio e coetaneo Aleper la preziosa compagnia.

    Fabio Colombo

    Questa estate sono stato in Bra-sile, nelle città di Teofilandiae Serrinha, nella Bahìa. Non era ilmio primo viaggio, ma sono sempreesperienze particolari, profonda-mente diverse fra loro. Inizialmentenon è stato semplice. Non è maifacile essere dall’altra parte delmondo senza conoscere nessuno.Ma poi mi sono trovato benissimo,sono stato accolto da persone chenon mi avevano mai visto, ma chemi hanno aperto le porte delle lorocase come se fossimo grandi amici.Persone che si sono fatte in quattroper fare in modo che mi trovassibene e che non avessi problemi dialcun tipo. Io e il mio compagno diviaggio Fabio abbiamo passato deltempo in un centro giovanile gestitodalla parrocchia, dove si cerca diaiutare i bambini delle famiglie piùdisagiate. Giocando assieme, pre-gando assieme e cercando di aiutarlia fare i compiti con un mix mac-cheronico di portoghese, spagnoloe italiano i ragazzi si sono affezionatia noi e noi a loro. È stato bello, emi sono portato a casa un po’ dispirito di solidarietà che ultima-mente si stava affievolendo. Abbia-mo passato poco tempo là, non pre-tendo di aver capito un paese grandetre volte l’Europa, con duecentomilioni di abitanti e una quantitàesorbitante di culture diverse. Forsei miei giudizi sono troppo rigidi,troppo netti. Forse. Il Brasile sullacarta è un paese emergente, ricco,ma con don Angelo abbiamo vistola vera faccia del paese, abbiamopartecipato alla vita della comunitàe vissuto le piccole quotidianità. IlBrasile, per lo meno la Bahìa, nonè Rio e non è quello delle personesempre felici che mostrano in tele-visione. La gente cerca di soprav-vivere con quel poco che ha e spessoho avuto l’impressione di vedererassegnazione tra di loro. E in mezzoa questa situazione ci sono uominie donne che lottano per cambiarele cose, per dare una speranza allagente che aiutano ed io ho avuto lafortuna di partecipare, anche sesolo per poche settimane, a tuttociò.

    Alessandro Boschini

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    L’esperienza estiva in Brasile

    Immersi nellacontraddizione

    Fabio e Alessandro sono stati ospitidella Chiesa di Serrinha

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  • Quest’estate abbiamo decisodi non fare la solita vacanzaal mare con gli amici, ma dipartire per un’esperienza in terradi missione. L’obiettivo era quel-lo di conoscere il lavoro dei mis-sionari e cercare di comprendereuna realtà completamente di-versa dalla nostra.

    Così ci siamo rivolti al CentroMissionario Diocesano e abbia-mo partecipato, insieme ad altri100 giovani, a degli incontri for-mativi che ci hanno preparatoa vivere appieno questa espe-rienza.

    Quando ci è stato detto chela nostra meta sarebbe statal’Argentina il primo pensiero èstato: “Anche l’Argentina è metadi missione?”. Di solito, se sipensa ai missionari, la primaterra che viene in mente è l’Afri-ca o al massimo Bolivia, Perù,India… non certo l’Argentina!

    Durante le tre settimane cheabbiamo trascorso lì, abbiamoconosciuto un paese che viveuna situazione molto compli-cata e, guardandola con gli occhidi un europeo come noi, con-traddittoria.

    Ma partiamo dall’inizio…siamo partiti con altri due ra-gazzi (Alice e Roberto), il 30luglio con destinazione BuenosAires. Lì abbiamo trovato leprime contraddizioni: grattacelie hotel di lusso a 100 metri dabaraccopoli, vie sovraffollate emarciapiedi dissestati anche nelcentro culturale ed economicodella città.

    Dopo aver passato due giorninella capitale, abbiamo preso ilpullman che ci ha portato a Qui-milì, una cittadina di 25 milaabitanti nel nord dell’Argentina.Ad attenderci c’era Padre Clau-dio, missionario della Congre-gazione degli Scolopi che, in-sieme ad altri tre padri, si occupadella gestione della scuola pri-maria e secondaria della città.

    Infatti, uno dei maggioriproblemi in Argentina è l’istru-zione poiché quella dell’obbligofornita dallo Stato non garanti-

    sce ai ragazzi nemmeno le basiessenziali. I ragazzi non vannoa scuola; molto spesso i profes-sori non si presentano in aulae, anche quando ci sono, non sipreoccupano di svolgere le le-zioni. Le scuole gestite dai PadriScolopi invece forniscono unabuona preparazione e si impe-gnano soprattutto a dare ai ra-gazzi dei valori e dei principiche li aiutino nella loro crescita.

    Noi abbiamo avuto la pos-sibilità di trascorrere del tempocon i bambini della primaria(6-12 anni circa), aiutandoli du-rante le lezioni e stando conloro durante i momenti di gioco.È stato incredibile vedere comequesti bambini si divertono conpoco e si emozionano per il solofatto di stare con loro e di dargliaffetto. Inoltre, abbiamo con-diviso con i bambini il “dia delnino” (giorno del bambino), fe-sta dedicata ai più piccoli in cuial posto delle lezioni vengonoorganizzati balli e giochi. Neigiorni precedenti, abbiamo pre-parato un pacchettino per ognibambino con caramelle e unpiccolo gioco usato; i bambinierano entusiasti e ci siamo stu-piti di come sia bastato un pic-colo pensiero per vederli al set-timo cielo.

    Dopo questi bellissimi giornipassati nella primaria, abbiamotrascorso la settimana successivacon i ragazzi della scuola se-condaria (13-18 anni). Ci hannosubito accolto e invitato a tra-scorrere con loro le lezioni; era-no molto curiosi di conoscerele nostre abitudini e la nostrarealtà “europea”, così diversadal loro paese. Inoltre, alcuniragazzi della scuola fanno partedel gruppo missionario e ci han-no invitato a una loro riunionedurante la quale abbiamo con-diviso le nostre esperienze.

    Durante la nostra perma-nenza a Quimili, abbiamo notatocome questo paese sia diversodai nostri non solo struttural-mente, ma soprattutto nellamentalità dei suoi abitanti. Pas-

    sando per le vie, molte dellequali in terra battuta, ciò checolpisce sono le piccole case inmattoni rossi, senza finestre,con tetti in lamiera o plastica,spesso grandi non più di 20metri quadrati e abitate da 7-10 persone. Nelle zone più pe-riferiche del paese, molte casenon hanno né acqua né correnteeltrica. Per gli abitanti di Quimilila casa è solo il posto in cuidormire, ma tutto il resto dellagiornata lo passano al di fuori.

    I padri ci hanno spiegatoche molti bambini di Quimilinon hanno mai visto le loro ma-dri cucinare e i loro padri lavo-rare. Nella scuola vengono datiagli alunni colazione, pranzo emerenda in quanto, una voltatornati a casa, spesso non rice-vono più nulla da mangiare. Lostato distribuisce sussidi allefamiglie in base al numero difigli e spesso mettere al mondoun bambino è solo una sceltaeconomica. La cosa assurda èche spesso sono i genitori aspendere questi sussidi solo peri propri bisogni e lasciano chesia la scuola ad occuparsi didare cibo e vestiti ai loro figli.Non è inusuale vedere madrigrasse e figli malnutriti!

    Il concetto di famiglia, inol-tre, è molto diverso dal nostro.Gli uomini hanno l’abitudine dilasciare le ragazze non appenaqueste restano incinta e questespesso cercano di avere un figlioquando sono ancora adolescenti,considerandolo come l’unica

    proprietà che, anche nella po-vertà, non gli può essere tolta.Ci sono quindi famiglie com-poste dalla madre e da 7-8 figliavuti da relazioni con uominidiversi. Parlando con i sacerdotidella parrocchia ci siamo stupitidi sapere che nell’ultimo annosono stati celebrati solo 2 ma-trimoni e ben 200 battesimi.

    La corruzione è un altro deigravi problemi di Quimili. Ci èstato raccontato di candidatisindaci dare ai cittadini sedie ematerassi in cambio della pro-pria scheda elettorale per assi-curarsi il voto; poliziotti e me-dici che passano le ore di serviziogiocando a calcetto; notai cherubano terreni; presidi usare ildenaro destinato alla scuola perristrutturarsi la casa; piste diatterraggio per aerei della droga:il tutto alla luce del sole e senzaopposizione o volontà di mi-gliorare le cose. Nonostante tut-to ciò, le persone vivono conleggerezza e non sembrano pre-occupati da queste situazioni.Il lavoro dei missionari è anchequello di modificare e miglio-rare, attraverso l’educazione,questo atteggiamento superfi-ciale.

    Questa esperienza ci ha ar-ricchito anche perché ci ha per-messo di uscire dalla nostra re-altà e accorgerci delle diversitàche ci sono anche in un paesecome l’Argentina in cui l’80%delle persone ha nonni italiani!

    Chiara Trotta e Davide Palazzi

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    L’estate per respirare aria nuova e coinvolgente

    Un pezzo della nostra vita…

    in ArgentinaChiara e Davide hanno incontrato

    la scuola degli Scolopi di Quimilì Mis

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  • Quest’estate ho deciso di tra-scorrere il periodo di va-canza facendo qualcosa di di-verso, andando a condividerela vita in terra di missione.Come tutte le esperienze im-portanti, non nascono certo ungiorno con l’altro, ma vannomeditate e fatte maturare.

    A gennaio ho iniziato a va-lutare l’idea e a fine febbraiosono venuta a conoscenza, me-rito a Suor Sonia che non smet-terò mai di ringraziare, di unaserie di incontri dal titolo “Scen-di dalla pianta, full immersionmissionaria”.

    Per una ragazza atea mila-nese questi incontri presso ilCentro Missionario Diocesanodi Bergamo sembravano quasi

    fin troppo impegnativi, ma lacuriosità e le tematiche di questiincontri mi hanno spinto a par-tecipare. Il 1° Marzo, con unasettimana di ritardo ho iniziatoil percorso.Le prime impressioni non han-no fatto altro che confermarela mia scelta: tantissimi ragazzi,la maggior parte più giovani dime, impegnati e con la vogliadi confrontarsi, di crescere edi rendersi utili… fantastico!

    Il percorso intrapreso miha aperto cuore e occhi e il 30Luglio, in aeroporto con i mieicompagni di viaggio (Chiara,Roberto e Davide), ero più chepronta e desiderosa di partireper la volta dell’Argentina.

    A Quimilì ho avuto l’onore

    di condividere la vita con i padriScolopi e di cogliere, grazie an-che alla loro presenza, abitudini,stili di vita e valori di un popolocon una storia diversa dallamia.

    Ho imparato che un abbrac-cio di un bambino può essereinfinito perché forse a casa nonne riceve abbastanza, che la na-scita di un bambino può esserel’unica ricchezza per una donnaanche se non sa come mante-nerlo, che la fede può esserel’unica attitudine ad insegnartiad amare perché il degrado ela violenza che hai intorno nonti lasciano molte prospettive,che l’accoglienza è l’aspetto fon-damentale dell’integrazione; hoimparato anche che la corru-zione non ha limiti e che puòestendersi anche a quelli chenoi reputiamo bisogni essen-ziali, come la scuola e l’assi-stenza sanitaria, che in un mon-do senza prospettive, l’alcol ela droga risultano essere com-pagne di una vita, che la vio-lenza domestica può essere con-siderata normalità, che l’opi-nione della gente può esserepiù importante anche dello statodi salute.

    Ho conosciuto persone chededicano la propria vita a mi-gliorare quella degli altri e potercondividere qualche giorno con

    loro mi ha reso una personamigliore. E mi sono accorta cheil mio atteggiamento verso glialtri era cambiato e questa aper-tura e disponibilità l’avrei por-tata a casa per condividerla an-che con le persone che quoti-dianamente incontro e che maiabbastanza ho fatto sentire ap-prezzate.

    Mi sono accorta di quantoNON facevo prima e di comenel mio piccolo posso contri-buire.Mi sono sentita parte di unafamiglia e di questa famigliaho deciso di entrare a farneparte ricevendo il battesimo ela prima comunione.Il percorso continua…Ringrazio: Padre Claudio, PadreAndres, Padre Paco, HermanoCristian, Silvia, Valeria e Lour-des, le suore dell’ordine dellaCruz, i bambini e ragazzi dellascuola San Francisco e dellascuola Pia, gli insegnanti, Loly,i padri polacchi, Fabian, SuorSonia, tutto il Centro Missio-nario di Bergamo, specialmentedon Gianbattista e Franca, e imiei speciali compagni di viag-gio nonché padrino, madrina efotografo del battesimo RobertoChiara e Davide!

    Alice Porta

    Alice e Roberto conquistati dall’Argentina

    Una grandefamiglia…Una scuola, dei bimbi, un cammino,un incontro: tutto parla di missione

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    settembre - ottobre 2014

    Durante il mese di agosto, ho avuto l’op-portunità di poter vivere la mia quartaesperienza breve in terra di missione: desti-nazione Quimili, Argentina! Insieme a Alice,Chiara e Davide siamo stati ospiti di padreClaudio e di altri tre missionari dell’ordinedegli Scolopi.

    Abbiamo avuto l’opportunità di starecon i bambini della scuola primaria, facendodiverse attività durante l’orario di scuola;aiutavamo i bambini durante le lezioni inclasse, pranzavamo con loro, e con loro gio-cavamo durante la ricreazione!

    Quello che mi ha segnato profondamenteè l’evidente mancanza di affetto familiareche questi bambini hanno, infatti non per-devano occasione di correrci incontro lamattina quando ci vedevano arrivare o gliabbracci che dispensavano in ogni momentopossibile. Vedere i sorrisi di questi bambiniquando stavano con noi è uno dei più pro-fondi e indelebili ricordi che mi son portato

    a casa, ma allo stesso tempo ti interroganosui motivi per cui questi bambini sono lasciatia “se stessi”... come si può non prendersicura di creature così?

    Abbiamo avuto modo di seguire anche iragazzi della scuola secondaria, che ci hannotempestato di domande, e molto spesso ladiscussione finiva sul calcio...

    A Quimili abbiamo potuto toccare conmano le realtà contraddittorie che si incon-trano in terra di missione, persone chevivono in baracche di lamiera o fango, zonedove l’acqua potabile e le fognature restanoun miraggio, ma dove il governo ha fatto ar-rivate l’energia elettrica e i cavi per l’accessoa internet. Per non parlare del contributoche il governo da alle famiglie per ogni figlioche viene al mondo! Questo fa sì che le fa-miglie sono sempre più numerose, ma consempre minori risorse... e quindi i bambinisono obbligati a diventare adulti troppo infretta. Non avrei nemmeno lontanamente

    immaginato che in un Paese dalle risorseimmense potesse esistere una simile realtà.Anche questa esperienza, come le altre vissutein precedenza mi hanno lasciato emozioni,ricordi e sensazioni che descrivere a parolerisulta quasi impossibile, perché credo checerte esperienze vadano semplicemente vis-sute.

    Un grazie doveroso a padre Claudio checi ha fatto sentire a casa e ci ha reso partecipi,anche se per poco tempo della sua “missione”;grazie al Centro missionario per l’opportunitàche ancora una volta mi ha dato di poter vi-vere sul campo questa esperienza e infine,il mio più infinito e riconoscente grazie aAlice, Chiara e Davide per aver condivisocon me questa avventura, per avermi sop-portato e per l’amicizia che si è creata e con-tinua oggi. Anche questa credo sia una facciadella missione!

    Roberto Vecchi

  • Tornati dal “Lar Elda”, mis-sione comboniana dovevengono accolte bambine eragazze disagiate in Mozam-bico (giugno 2013), avevamoavuto l’impressione di nonaver concluso la nostra espe-rienza, che le nostre tre set-timane rischiassero di essereuna cometa nel Lar di Mua-hivire, che in qualche mododovevamo radicare il tuttonelle nostre coscienze.

    Poco dopo il rientro deci-diamo di sposarci, il 24 mag-gio 2014 siamo marito e mo-glie. Quando un amico ci chie-se dove saremmo andati inviaggio di nozze, noi due ciguardammo e rispondemmosenza esitazioni: “Torniamoin Mozambico”. Lui ci guardòperplesso e aggiunse, “Maperché?! Il mondo è troppogrande per andare due voltenello stesso posto!”, sua mo-glie aggiunse: “Ma sì, dovresteandare in Australia, Stati Uni-ti…”.

    Giunti in Mozambico, suorFrançinete ci ha anche rivelatoche una signora mozambicanasi è stupita nel vederci lì, tanto

    più quando ha saputo cheeravamo in viaggio di nozze.“Ma come? Si sono appenasposati e vengono qui da noi?Dovrebbero essere felici! Quiin Africa i bianchi vengonosolo quando sono depressi ohanno subito un trauma...”Tornare un anno dopo: cosaè cambiato? Noi e loro.

    Le ragazze: da 27 son di-ventate quasi 50, la terra daun groviglio di sterpi è di-ventata un campo che pro-duce cibo e fiori, in cucinatre giorni alla settimana sisforna pane per il Lar e perle comunità vicine.

    Guidiamo il pick-up tra lepazze strade del centro por-tando le bambine all’asilo, sigira per il mercato da soli,ormai riusciamo a farci capire,siamo delle mosche bianchesì, ma sdrammatizzando conun po’ di autoironia non c’èpiù nulla di cui aver timore.

    Il riuscire ad intendersi èsoprattutto la chiave che cipermette di entrare in veracomunione con le ragazze,capire i loro desideri, intro-metterci nel loro vociferare

    di bambine, di avvicinarci ailoro passati difficili, comuni-cargli il perché ci troviamolì, il nostro modo di metterea nudo la nostra povertà diabitare dove non manca nullama non ci si relaziona piùcon le persone.

    Ora, tornati alle nostrevite, cercheremo di mantenerei contatti con le ragazze, lesuore Giulia, Françinete eBetty, le aspiranti suore Ar-timiza e Zitaflina, che tantoci hanno insegnato senza spie-gar nulla.

    In una lettera una ragazza

    ci ha ringraziato di aver rinun-ciato alla nostra luna di mieleper passare il tempo in Mo-zambico dove “Não tem nadade bom, apenas una grandepobreza”. Ebbene Leila, siamonoi che non abbiamo nulla:ogni qualvolta dobbiamo faree pensare a grandi cose persentirci vivi, che per divertircidobbiamo necessariamentespostarci con l’auto e spendersoldi, che non sappiamo inte-ressarci della persone che nonorbitano nella nostra ristret-tissima cerchia di coloro chedefiniamo amici.

    Ci piace l’idea di aver pro-vato a far sentire belle ed im-portanti le nostre meninas;se questo vuol dire non avervisto la Monument Valley oun atollo sperduto nel mare…chissenefrega!

    Flavia Pellegrinelli e Gia-como Santini

    PS: se volete vedere quantoci siamo divertiti, cercate“Lar Elda Mozambico” suyoutube... magari vien vogliadi partire anche a voi!

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    settembre - ottobre 2014

    In Mozambico per un’esperienza che lascia il segno

    Andiamo…a nozze!

    Flavia e Giacomo danno il “la” al loro matrimonio M

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    Bisogna ritornare sui passi già fatti,

    per ripeterli,e per tracciarvi

    a fianco nuovi cammini.

    José Saramago

  • Ciao a tutti. Siamo Francesca e Virginia,due ragazze di Bergamo cheper l’estate 2014 hanno decisodi vivere un’esperienza nuova.Il Centro Missionario Dioce-sano di Bergamo ogni annopropone una breve esperienzadi missione a chiunque sia in-teressato, giovane o non gio-vane.

    Dopo il percorso di prepa-razione e con il sostegno delleSuore Orsoline di Gandino, sia-mo partite in direzione Etiopia.L’arrivo nella caotica capitaleci ha lasciato un po’ dubbiosema, una volta giunte al villaggiodi Tullo, ogni incertezza è spa-

    rita: il sorriso dei bambini eragazzi della squadra di calcioci ha rincuorato immediata-mente. E’ sempre per meritodi questi sorrisi e sguardi cu-riosi, che ci hanno dedicato inmodo spontaneo e gratuito, sedurante i 20 giorni del nostro“soggiorno” non ci siamo affattosentite straniere in una terralontana, anzi, ci siamo sentiteaccolte e benvolute come a casa.

    Non avevamo grandi pro-getti, solo tanta voglia di starecon i bambini, conoscerli unpo’ e condividere sorrisi. Ab-biamo cercato di imparare igiochi e le danze tipiche diquella meravigliosa terra e a

    nostra volta abbiamo insegnatogiochi e balli famosi in Italia.Oltre ad aver condiviso mo-menti di quotidianità con ibambini e le suore di Tullo (Sr.Assunta, Sr. Terfech, Sr. Sara,Sr. Shola), abbiamo pensato dilasciare qualcosa di nostro.Avendo appena finito il liceoartistico, ci siamo offerte di de-corare una parete dell’asilo,quindi, armate di colori e pen-nelli, abbiamo scritto ogni let-tera dell’alfabeto inglese e rea-lizzato il relativo disegno.

    Ci abbiamo messo tutto ilnostro impegno ma siamo con-sapevoli di aver ricevuto moltodi più rispetto al poco che ab-biamo dato: semplicità, gioiae affetto.

    Grazie per l’opportunità checi è stata offerta.

    Grazie Etiopia!

    Francesca Rota e Virginia Mazzola

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    settembre - ottobre 2014

    Francesca e Virginia in Etiopia; Virginia in Camerun

    L’unico progettoè l’incontro

    Dalla capitale ai piccoli villaggi per trovare il cuore dell’uomoM

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    Vivere, anche solo per unmese, nella periferia diuna capitale africana è unadelle esperienze più signifi-cative che io abbia vissuto.

    Per un mese ho dovuto“cancellare” o meglio dimen-ticare lo stile di vita a cui tuttisiamo abituati così da potercomprendere meglio, senzapregiudizi, la vita delle per-sone incontrate in quella pe-riferia.

    Bambini per strada, unastrada di fango e polvere, chesi prendono cura di altri bam-bini. Donne che si preparanoper andare a vendere il pocoche hanno per potersi per-mettere la scuola dei figli emagari anche qualcosa in piùnel piatto. Uomini silenziosiche vanno al lavoro.

    E poi ho scoperto un mon-do ricco di colori, suoni, odorinuovi. Risate, grida e parolein lingue sconosciute. La gioiadi questo mondo colorato epuro, fatto di relazioni, diamicizie di saluti. Un mondodove è importante fermarsi asalutare, dove è importanteconoscere la gente.

    Mi piacerebbe portare unpo’ di quel colore qui, nellenostre città grigie e silenziose,dove la gente non si saluta,dove le persone sono estraneaai propri vicini di casa.

    Grazie a tutte le personeche ho incontrato perché mihanno fatto scoprire che anchesolo con un semplice salutosi può illuminare la giornatadi chi incontriamo e che conin sorriso si dimenticano an-che i problemi più grandi.

    Virginia Bonacina

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    settembre - ottobre 2014

    Il mio grande sogno di andarein terra d’Africa si è realizzato,meta assegnata: Cameroun, pre-cisamente Yaoundèe, la capitale.Fortunatamente non sono statasola, sono partita con due fanta-stiche compagne di viaggio Laurae Virginia, diventate presto ami-che.

    Mi ricordo la grande emo-zione dell’arrivo; conosciamo su-bito suor Lucia che ci viene aprendere all’aeroporto e diventaimmediatamente la nostra guida,il nostro faro da seguire. Arrivatenel quartiere di Nkolbisson, co-nosciamo suor Lucina e le altresuore che ci accolgono con grandecalore e semplicità. Mi sento dasubito bene e a mio agio conloro, ognuna è grandiosa e spe-ciale a modo suo. Del primo gior-no mi ricordo gli occhi, gli sguardistraniti e incuriositi delle personeche incontriamo e che vedonotre ragazze bianche passeggiaresorridendo per il loro villaggio.Tutti coloro che incontriamo cidicono: “bonjour” a volte calo-rosamente, a volte molto timi-damente, sempre però con il sor-riso. Pian piano diventa semprepiù semplice relazionarsi conchiunque, la timidezza non esistepiù. Mi domando se sia così sem-plice, perché incontriamo per-sone cordiali, o anche perché ilnostro atteggiamento verso chiincrociamo per strada è moltodiverso rispetto a quello che ab-biamo in Italia.

    Nei giorni successivi abbiamomodo di fare le esperienze piùdiverse, visitiamo anche la cittàe scopriamo un Cameroun riccodi vita, di risorse, di arte, di genteche lavora e che ha voglia di fare.L’esperienza più divertente cheviviamo è sicuramente quella

    con i bambini, circa ogni pome-riggio organizziamo dei giochi eloro arrivavano numerosissimi:un’iniezione di vita e di gioia! Siaffezionano subito a noi e noi aloro, viviamo pomeriggi diver-tenti e felici tra canti, balli e gio-chi.

    L’esperienza più dura è invecequella del carcere. Indescrivibilevedere persone piene di vogliadi vivere e di dignità con le cateneai piedi, senza acqua, ammassateuno sull’altra in bugigattoli spor-chi e bui. La presenza delle suoree dei volontari è un punto di lucenel buio più buio. Suor Lucia,che scopro essere un medico car-diologo, ci comunica inoltre cheabbiamo la possibilità di lavorarein ospedale. Io sono al settimocielo! Mi sono laureata da pocoin ostetricia ed avere questa op-portunità mi rende felicissimaed emozionata. La strada per ar-rivare all’ospedale è davvero pie-na di buche e ripidissima, ovvia-mente sterrata, mentre la per-corriamo per la prima volta inmacchina, rimbalzando su e giùdal sedile, mi domando come siaper noi scontato avere il parcoambulanze, l’elisoccorso, gli ac-cessi facilitati per i mezzi ai prontosoccorsi. L’ospedale è piccolo esemplice, ma molto ben organiz-zato e pulito. Ovviamente il re-parto che mi viene assegnato è“la maternitè”. Il primo giornomi sento un po’ agitata, ma vengoaccolta benissimo dalle ostetrichee dal ginecologo del luogo. Ognu-no ha le proprie competenze dicui si ha molto rispetto, ma tuttisi aiutano e collaborano: per laprima volta in vita mia vedo unmedico che aiuta a pulire il pa-vimento. Sono tutti molto dispo-nibili e gentili, anche se non co-

    nosco bene il francese tutti miparlano e mi spiegano ogni cosa,ci si capisce un po’ a gesti, unpo’ a intuito. Il clima è molto di-steso e tranquillo nonostante ilmolto lavoro che tutti svolgonodavvero benissimo. Il reale pro-blema è l’ambiente che è davverotroppo piccolo: un’unica sala par-to in cui ci sono tre lettini daparto, le donne partoriscono unaaccanto all’altra. Faccio anchemoltissima fatica ad abituarmialla logica dell’usare l’acqua soloquando strettamente necessario,poiché mi sembra sempre neces-saria. Inoltre abituata solo all’usodella tecnologia, ho difficoltà adauscultare il battito fetale e a di-stinguerlo da quello materno conun cono metallico che funge dastetoscopio, mi sento imbrana-tissima. Ostetriche bravissimemi insegnano a chiudere gli occhi,a concentrarmi solo sul battito,ad estraniarmi da tutto. Pratica-mente mi insegnano ad utilizzarei sensi. Mi insegnano anche acalcolare la quantità di liquidoamniotico toccando la pancia del-la donna e sentendo il rumore,abituata all’ecografo le ammirotantissimo e cerco di imparare.Mi piace molto toccare le pance,mi rendo conto che in Italia lofacciamo sempre meno e a voltemedicalizziamo troppo un eventofisiologico per eccellenza comeil parto.

    Durante la prima settimanavivo subito un’esperienza molto

    forte: assisto un aborto sponta-neo a 20 settimane. Durante l’in-tero travaglio la donna prega in-cessantemente e al termine, midice di dare questo nome al bam-bino: “GIFT” ovvero “DONO” eringrazia Dio per la vita che que-sto bimbo ha vissuto nella suapancia e per averle fatto questogrande dono.

    Mi sono chiesta : “Che valoredo io alla vita? E al dolore?” Miricorderò sempre di questa don-na, della sua forza, della sua fede.Durante la settimana successivaassisto diverse donne e neonati.All’inizio non voglio assistere iparti in autonomia, perché hopaura di prendermi la respon-sabilità, vista la mia poca espe-rienza e la mancanza di alcunistrumenti a cui sono abituata,che mi rendo conto essere a volteinutili, ma che mi danno sicu-rezza. Invece mi ritrovo in unasala parto da sola con una signorain travaglio e non faccio a tempoa chiamare nessuno, perché nasceun bimbo bellissimo. L’emozioneè sempre forte, guardo questobimbo con degli occhi enormiche emette il primo respiro ecanta il canto bellissimo del pri-mo vagito tra le mie mani. Misento onorata ed emozionata diavere tra le mani un rappresen-tante alquanto bello del futurodell’Africa, della sua speranza, edella sua grande ricchezza.

    Paola Cortinovis

    Due occhi grandi che incontrano piccole storie

    I miracolidella vita

    Paola è stata in Camerun, ostetrica sul campo M

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    Ed eccomi qui, ancora unavolta, a raccontarvi unpezzo della mia storia, nonper diventare famoso certo,ma per condividere con voil’importanza e la bellezza dellamissione!

    Sono passati ormai dueanni (era infatti l’estate del2012 quando partii per la Bo-livia) e come se non bastassemi ritrovo a mettere nero subianco questa mia ennesimaavventura che mi ha visto coin-volto, questa volta, in territorioafricano.

    Parlo della Costa d’Avorioladdove ho trascorso, durantel’estate, venti incredibili giornipresso la parrocchia di SaintMaurice (Agnibilekrou) incompagnia di altri due giovani,Selene Prisco e Simone Me-loni!

    Non credo di essere capacedi trasmetterVi le emozioni

    che questa esperienza continuatutt’ora a regalarmi. Ci provo,con la consapevolezza di tuttii miei limiti nel ricordarla enel narrarla, non perché pas-sata nel dimenticatoio bensìperché davvero troppo caricadi significati e di vissuti cheancora faccio fatica a rilegge-re!

    Sono stati giorni intensis-simi, non solo dal punto divista delle attività, ma soprat-tutto dal punto di vista dellerelazioni umane. Tante per-sone si sono fatte avanti, voltigiovani, ma anche vecchi e avolte persino strani, ognunocon la sua storia ed ognuno ciha parlato di sé e ci ha lasciatoqualcosa dentro, qualcosa chepersonalmente non potrò maiscordare!Mi piace ricordare questa bel-lissima esperienza attraversola semplicità di alcune paro-

    le!La prima parola che dav-

    vero mi sento di regalarVi èCALORE.Calore “atmosferico”, passa-temi il termine, che ci ha te-nuto compagnia per tuttal’esperienza ma soprattuttocalore umano.Porterò sempre nel mio cuorel’accoglienza di queste persone,la loro capacità di sorridereal fratello, di corrergli incontro,abbracciarlo e fargli sentiretutto il suo affetto… mai comequi, nel cuore dell’Africa, credodi aver sperimentato che cosasignifichi realmente amaregratuitamente.

    Proprio questa è la secondaparola che voglio donarVI,AMORE.Tutti dicono: “l’Africa, non siscorda mai”! Pur avendo vis-suto un’esperienza di missionein Bolivia vi confesso che ef-fettivamente l’Africa ti mettein discussione, penetra nelleprofondità del cuore e smuovetutto quello che ci sta dentro.Qualcosa in questo senso èdavvero capitato in me, i fruttispero si possano vedere nellafatica della quotidianità.

    Quello che concretamentemi interessa trasmetterVi èquesta abbondanza di amoreche ho potuto sperimentarein quei giorni e non pensate ascene utopiche: l’abbraccio diun giovane, la stretta di manodi una persona anziana, la ca-rezza di un bambino che nonconosce e cerca di capire ilperché del colore della tuapelle e dei peli che vi cresconosopra.

    Tutti piccoli gesti che no-nostante la loro semplicitàparlano più di mille parole.Concretamente, mai come inquesta esperienza ho potutosperimentare l’importanza del-la gestualità e del linguaggiodel corpo.

    Nonostante non sapevamoil francese, il giorno prima di

    partire abbiamo fatto merendacon più di trenta bambini chevolevano stare con noi, vole-vano giocare con noi, riderecon noi, semplicemente perchéci volevano bene e noi altret-tanto!

    L’ultima parola che mi re-sta da offrirVi, quella con cuipotrei tirare le fila di tutto ildiscorso, è VANGELO:“Chiunque avrà lasciato case,o fratelli, o sorelle, o padre, omadre, o figli, o campi per ilmio nome, riceverà cento voltetanto e avrà in eredità la vitaeterna”.Sono partito con la convin-zione di poter lasciare qualcosadi me in quella terra, ma credoproprio che il dono più bellome l’abbiano fatto loro!

    E questo dono, davverotroppo prezioso, voglio con-dividerlo con voi! Lo coglieretetutte le volte che aiuterete ilprossimo, tutte le volte chefarete del bene per gli altri,tutte le volte che guardereteil crocefisso e pregherete il Si-gnore perché in fin dei contiquello che conta davvero nellavita è amare e lasciarsi ama-re.

    Questo è quello che ho po-tuto sperimentare a 6000 kmdi distanza! Voi penserete:non c’è bisogno di fare tuttaquesta strada. Si, effettiva-mente è vero, ma credetemimettersi in gioco in altri con-testi diversi dai nostri ci fascoprire lati di noi stessi cheforse non avremmo mai potutoconoscere. Non so se riusciròmai a vivere il vangelo con lastessa pienezza con cui l’hovissuto in questa terra stra-niera, quello che con certezzavi posso dire è che l’Africa miha aiutato tanto a capire chetipo di vita vale la pena vive-re…

    …Non abbiate paura di but-tarvi, c’è sempre posto peramare!!

    Simone Finazzi

    Simone si è rimesso in cammino verso la Costa d’Avorio

    Tre parole chefanno la vitaCosì maturi la consapevolezza di ricevere sempre tanto...M

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  • Sono partita il 6 Agosto, condestinazione finale Potosì.E’ una città che si trova a 4.090metri di altitudine ed è unadelle città più alte del mondo.Dal 1987 si trova nel Patrimo-nio dell’umanità dell’Unesco,per la quantità di monumentiindustriali ed architettonici.

    Io sono stata ad Azangaro,una piccola “provincia” di Po-tosì, ospitata da Suor Giusy,una suora bergamasca, conuna lunga esperienza in questoPaese.

    È una zona immersa nelleAnde, qualche abitazione opiccola comunità sparsa quae là, ma da qualsiasi parte siguardi si vede solo montagna.Un’infinità di sfumature e co-lori, dall’azzurro del cielo, almarrone/rosso della terra, algiallo verde e arancio dellemontagne. Si può non incon-trare gente per moltissimotempo. Ci sono anche un buonnumero di scuole, ma moltibambini e ragazzi per arrivarcidevono camminare molte ore.Questo è uno dei problemi del-la zona, l’isolamento. Le donneche abitano qui, trascorronole giornate senza aver contatticon altre persone, anche pertutto il giorno, lavorando neiloro campi o badando alla casa.Qui si inserisce il lavoro diSuor Giusy, tenta di dare un’al-ternativa, una via di contattoe comunicazione, con corsi dicucito, economia domestica,salute, igiene, … oltre ad assi-curare l’ora di catechismo inalcune di queste scuole, e ten-tare di seguire i ragazzi e leragazze, per risolvere il pro-blema delle gravidanze moltoprecoci.

    Per qualche giorno sonostata in una scuola di Potosì,con bambini e ragazzi di varieetà, più o meno divisi in classi,ma un po’ caotiche, chi gioca,chi entra ed esce dall’aula, chifa qualche compito, ma il livelloè molto diverso dal nostro. Ho

    viaggiato sui loro micro (unasorta di piccolo pulmino) dovenon si parte finché non è tuttopieno, anche con gente in piedi,rendendo il viaggio interes-sante.

    Il caos della città, con im-mondizia per le strade, autoovunque senza regole, caseammassate le une sulle altretutte di mattoni, magari maifinite.

    Un Paese ben attaccato alletradizioni, alle musiche, ai co-stumi popolari, bambini portatisulla schiena, cappelli a bom-betta, gonne larghe, capellineri legati in due lunghe trecce,feste popolari.

    Ci sono bellissimi Musei,numerose Chiese ed infine le

    miniere. Hanno reso famosaquesta città, essendo stato ilmotore della sua economia persecoli, e non si possono nonvedere. Ma lo chiamano viaggioall’inferno, e si capisce il per-

    ché. Totale oscurità (solo unapiccola luce sul casco), caldosoffocante, che aumenta sem-pre di più, e ossigeno che in-vece diminuisce, sentendonela mancanza. L’inalazione con-tinua delle polveri. Può anchecapitare di sentire il rimbombodelle esplosioni della dinamite.Dopo due ore si esce distrutti.E loro ci lavorano anche per8-12 ore. Ci lavorano ancoracome nel periodo coloniale,con scalpello e carriole. Oggial posto dell’argento (per con-correnza con altri paesi) ci la-vorano per lo stagno, ma ilguadagno non è come un tem-po. E nonostante abbiano cosìuna vita media di 40 anni, ri-mane comunque il principaleimpiego e viene tramandatoda padre a figlio, con moltoorgoglio.

    Un altro grande problemadella Bolivia è il narcotraffico.Le foglie di coca vengono co-munemente utilizzate per com-battere fame, fatica e gli effettidell’altitudine. Il problema stanel resto, con tutte le coltiva-zioni non regolate e l’enormecommercio derivante dallospaccio della cocaina.

    Di cose da dire ce ne sa-rebbero ancora tante, è difficileriassumere tre settimane inuna pagina. Ci sono tante emo-zioni, storie, contrasti. Questoè giusto un salto in questa miaEsperienza Bolivia 2014.

    Elena Rappo

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    Frammenti che parlano di vita

    Il racconto e l’incontro:

    esperienza unica

    Elena e Azucena alle prese con l’esperienza boliviana

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    il sassolino nella scarpa

    settembre - ottobre 2014

    Sono Azucena, abito a Zogno, e sono di origine Boliviana.Sono stata adottata quando avevo 8 mesi e quest’annodopo anni ho voluto mettermi alla prova tornando nellaMIA Bolivia. L’Hogar San Lorenzo a Santa Cruz dellaSierra è dove ho vissuto la mia esperienza missionaria, èun orfanotrofio. E’ stata una mia specifica richiesta quelladi poter vivere la realtà quotidiana in un orfanotrofio,perché volevo toccare con mano una realtà che mi appar-teneva. Qui ho potuto stare con bambini dalle poche set-timane di vita fino a quelli di 10 anni.

    Guardavo con attenzione il loro modo di guardare lavita... sempre con il sorriso nonostante un futuro incerto...probabilmente ignari della possibilità di avere un futuromigliore. Ho pregato guardando i loro occhi neri, neiquali rivedevo i miei, che il Signore dia anche a loro lafortuna che ho avuto io.

    La missione mi ha avvicinato alle realtà che purtroppoin Bolivia sono ancora molto presenti: la povertà, l’ab-bandono, gli orfani, i bambini abusati, ragazze/bambinemadri, violenza giovanile. Realtà che si comprendonosolo vedendole e vivendole (orfanotrofio).

    Parlando invece di cose belle, il regalo più bello è statala possibilità di tornate nella mia città: La Paz. L’emozionenell’essere nella città dove sono nata è indescrivibile.Sembrerà strano ma io mi sentivo a casa...

    Camminare tra la gente, guardarla e ritrovarsi... ero af-fascinata da tutto. Qui ho potuto visitare il mio orfanotrofio, che emozione!Guardavo i bambini del nido e... anch’io ero stata lì...come loro. Ci ho lasciato una parte del mio cuore.

    Concludo dicendo che mi manca la MIA Bolivia, ci ri-tornerò e dico grazie perché la missione mi ha aperto ilcuore alla gente. Insomma un’esperienza unica.

    Azucena Zanchi

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    Partire per un’ esperienzadi incontro con la mis-sione significa mettersi ingioco, preparandosi e lascian-dosi provocare perché questodivenga un momento di cre-scita non solo personale madi incontro, condivisione ecomunione con chi ha sceltodi fare lo stesso cammino.

    Camminando lasciamo lenostre impronte sulla terrache calpestiamo, la stradache ogni giorno facciamo perrecarci al lavoro, per incon-trare gli amici, per andare inChiesa, una strada che ci hacondotto in Perù dove le no-stre orme si sono mescolatea quelle delle Suore delle Po-

    verelle che camminano ac-canto alla gente di Candelaria.Orme che si cancellano e simischiano sulla sabbia, ormeche coprono passi di piccolie grandi che vanno a scuola,al lavoro nei campi e che tiguardano e salutano con cu-riosità e con un sorriso. Ormeche ti conducono a conoscereun popolo ed una Chiesa “po-vera ed essenziale” dove avolte la messa viene celebrataa lume di candela e le paretisono di paglia intrecciata madove non mancano la gioia ela partecipazione.

    Lasciare la propria im-pronta significa entrare in

    punta di piedi, lasciarsi coin-volgere dalla realtà, guardar-la, assaporarla, bussare e ve-dere che pian piano la portasi apre e capire che “esserci”va al di là del fare un’ espe-rienza di aiuto, diventa sen-tirsi parte di una Chiesa cheha al centro Cristo.

    La presenza semplice, di-screta di queste Suore, la so-lidarietà di queste persone,che per noi sono volti, storieche portiamo nel cuore, ciha rese consapevoli che tuttinoi siamo chiamati a mettercial servizio degli altri per quel-lo che siamo e conosciamo.

    Laura Brogginie Stefania Bottelli

    Partendo in direzione diMacapà non sapevamobene cosa aspettarci.Dopo lunghe ore in aereo einterminabili attese negli ae-roporti siamo giunte nellacittà di Macapà, sul Rio delleAmazzoni, dove siamo stateaccolte con molto calore dallesuore di Maria Bambina, checi hanno mostrato le bellezzedella città ma anche le suegrandi difficoltà sociali, spe-cialmente nelle periferie dipalafitte, nascoste alla vistadelle strade.

    Con un viaggio in pullmanlungo la strada sterrata chesi spinge verso l’interno –attraverso un paesaggio vastoe suggestivo –, siamo arrivatea Vitòria do Jarì, una bellacittadina le cui palafitte siaffacciano sul fiume Jarì, unaffluente del Rio delle Amaz-zoni. Durante il nostro sog-giorno abbiamo potuto con-dividere la vita quotidiana di

    suor Agnese, suor Rita e suorMaria e conoscere le abitudinie le tradizioni di Vitòria.

    Un’esperienza molto bellaè stato il breve viaggio inbarca con suor Agnese e al-cuni ragazzi del paese suun’isoletta del Rio Amazonas,dove si è svolta la “MissãoJovens”, un incontro tra i

    giovani delle diverse comu-nità della zona. Tra gli im-previsti, le notti insonni peril dondolio delle amache e lefastidiose zanzare abbiamoavuto modo di ammirare labellezza della natura, con isuoi fiumi vastissimi e la fittaforesta, e ancora di più l’al-legria, l’accoglienza, l’espan-

    sività, i sorrisi, i gesti semplici– quelli di cui si ha maggior-mente bisogno – di cui noinon sempre siamo capaci.Il confronto con la povertà,con la disgregazione all’in-terno delle famiglie, con leingiustizie, con lo sfrutta-mento del territorio amaz-zonico e dei suoi abitanti èstato un’esperienza forte, cosìcome, in particolare, l’incon-tro con ragazzi della nostraetà che come noi hanno sognie desideri ma non hanno imezzi per realizzarli.

    Conoscere alcune situa-zioni ci ha fatto sentire im-potenti, lasciandoci dentromolta amarezza, ma ci haanche arricchito perché ci hafatto aprire gli occhi e ci hainsegnato a guardare edascoltare liberandoci dal li-mite dei pregiudizi.

    Alessia Limonta e Lavinia Bellini

    Laura e Stefania, Alessia e Lavinia sulle strade di Perù e Brasile

    Stupore e smarrimento…

    Il quotidiano è segnato da continue provocazioni

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    “Dove andate esattamen-te?”. “A fare cosa in Co-sta d’Avorio?”. “Ma, soprat-tutto, perché andate in Afri-ca?”.

    Penso che queste domandeci siano state rivolte così tantevolte prima della partenza darisuonare ancora nella nostramente.

    Inutile negare che noi stessice lo siamo chiesto più di unavolta: primo anno insieme, pri-ma vacanza insieme, tante fotodegli amici in vacanza al mareo in qualche meta esotica… enoi? Noi ad aspettare settem-bre, pronti per vivere un’espe-rienza ricca di incognite easpettative.Se era impossibile dare unarisposta prima di partire, pro-babilmente la cascata di im-magini, pensieri, emozioni eriflessioni che ci ha investitonel nostro primo viaggio inAfrica rende ancora più arduoquesto compito.

    Ci siamo fermati tante voltea riflettere su dove fossimo,cercando di collocarci primageograficamente sulla cartina,poi di dare un senso alla nostrapresenza in Costa d’Avorio.Forse solo padre Massimo,missionario e nostro punto diriferimento in questa breve ericca esperienza, ha centratoil segno. Nel presentarci allecomunità dei villaggi ci ha de-scritto come due ragazzi italianigiunti in Costa d’Avorio perscoprire e conoscere una realtàprofondamente diversa dallanostra.

    Ed infatti siamo partiti conla voglia di “fare” e di “dare” achi ha meno di noi e siamotornati con la sensazione diavere un grosso debito con chi

    ci ha aperto le porte della pro-pria vita e della propria quoti-dianità, concedendoci di farenostre immagini ed emozioninuove, sorprendenti, forti,d’impatto, talvolta dure.

    Abbiamo alternato sensa-zioni dolci dettate dall’acco-glienza, dai sorrisi e dall’alle-gria ivoriana, al sapore amarodella povertà e della malattia.Ci è infatti sembrato che tuttoavesse due risvolti, che l’Africaci concedesse di entrare subitoin contatto con l’altro lato dellastessa medaglia.

    Siamo stati travolti dall’ir-refrenabile gioia di Ismael, Cy-rille, Victoire e dei tanti bam-bini che frequentano gli spazidella parrocchia di Saint Mau-rice. Con loro abbiamo tra-scorso tanti pomeriggi di giochie grazie a loro siamo tornatiai bei tempi dei giochi in ora-torio.

    Al contempo, abbiamo in-crociato gli sguardi un po’ spa-ventati e annoiati dei bambiniappena operati in convalescen-za al centro di fisioterapia ge-stito dalle suore del Sacro Cuo-re.

    Abbiamo assaporato il pro-fondo senso di comunità deivillaggi visitati, il calore del-l’accoglienza che ci è stata ri-servata, la sana curiosità che

    destavamo in chi ha incrociatole nostre strade. D’altro canto,abbiamo anche toccato conmano l’isolamento e la povertàdei contadini che vivono in“campements” fatti di case infango e lamiera.

    Ci siamo sentiti piccoli difronte alla fede solida e pro-fonda dei fedeli che affollavanole chiese della Diocesi, a mag-gior ragione di fronte ai tantiracconti che rimarcavano unaforte povertà sociale.

    Non abbiamo la presun-zione di dire che abbiamo ca-pito l’Africa perché ha ragionechi afferma che non la si puòcapire neanche vivendoci 50anni. Quel che è certo è che ciha donato molto e arricchito,permettendoci di vivere le re-altà incontrate con una pro-fondità e con uno sguardo chenessun turista avrebbe mai po-tuto avere. Un grande valoreaggiunto è stato conoscere uo-mini e donne, religiosi e non,che hanno scelto di donarsiper rendere meno difficili le

    vite delle persone che incro-ciano.

    Questa forte esperienza ciha concesso, come coppia, diconoscerci meglio in un con-tinuo confronto, con un occhiorivolto a noi stessi e con l’altrorivolto a chi ci stava accanto,condividendo un’esperienzatanto forte quanto unica,uscendone più uniti e saldi. Èstato bello emozionarsi e ve-dere la stessa emozione negliocchi dell’altro.

    Con il viaggio alle spalle,fermandoci a riflettere su ciòche abbiamo vissuto, possiamodire che la Costa d’Avorio ciha profondamente toccato

    Basta chiudere gli occhi edecco che ritornano immaginie suoni, colori e odori, mera-viglie e situazioni difficili, ri-cordi di incontri con personedalle quali ci sentiamo in do-vere di dover prendere esem-pio. Persone che, attraversol’annuncio del Vangelo, por-tano la speranza in un futuroe in una vita migliore che tantevolte ci è sembrata essere cosìdifficile e senza sbocchi.

    Siamo quindi tornati a casacon quella meravigliosa sen-sazione di aver vissuto un’espe-rienza impagabile, di aver fattola scelta giusta decidendo divivere, insieme, un’esperienzadi missione che ci ha restituitomolto più di quanto noi ci po-tessimo mai aspettare.

    Marianna Bosio e Andrea Petrelli

    Marianna e Andrea, fidanzati, in missione

    Dalle domandealla cascata

    dell’esperienza Agnibilekrou, nella missione

    diocesana, per conoscersi meglio

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  • Chissà quante volte vi sarà ca-pitato di aprire un atlante geo-grafico e, osservando la cartina delmondo, posare il vostro sguardosu un continente immenso e mi-sterioso: l’Africa. Il desiderio di poter visitare questaterra è nato in me subito dopo laproposta rivolta ai giovani da partedell’oratorio di Trescore, di vivereun’esperienza di missione tramiteil Centro Missionario Diocesanodi Bergamo.

    Conoscere una suora dell’or-dine delle Poverelle che opera aKingasani, quartiere di Kinshasa(capitale della Repubblica Demo-cratica del Congo), mi ha aiutatonella scelta della destinazione, spin-ta dalla voglia di scoprire la realtàdi questa missione e del lavoroche le suore svolgono lì; inoltre èstato di ulteriore stimolo sapereche una suora della nostra comu-nità, suor Clarangela Ghilardi, spe-se la sua esistenza a servizio delprossimo proprio in Congo, arri-vando a donare la propria vita purdi non abbandonare i poveri e gliammalati. Lei e le altre cinque suo-re morte a causa del virus Ebolanel 1995 spero possano essere pre-sto beatificate per il loro sacrificio.

    Prima di partire per un qual-siasi viaggio si hanno sempre milleaspettative oppure nessuna, nonmancano la paura e l’agitazionema per fortuna anche una buonadose di entusiasmo. E così il 3 agosto eccoci...don Giu-liano, Rodrigo, Matteo, Daniela,Anna e Letizia...pronti per intra-prendere questo cammino.

    La prima parte della nostrapermanenza in Congo l’abbiamotrascorsa a Kikwit, la città in cui19 anni fa morirono le sei suore.La missione di Kikoti qui presente

    è seguita dalle suore Poverelle cheun tempo condivisero con loro lavita missionaria. Abbiamo avutola fortuna di essere accolti da suorMaria, che nel ’95 era la MadreSuperiora delle Poverelle e che,durante il nostro pellegrinaggiosulle tombe delle sei suore, ci haraccontato a cuore aperto dellatragedia che colpì le sue consorelle,ma anche dell’amore e della fedeche le caratterizzava. Qui abbiamofatto anche una breve visita al-l’ospedale e alla cattedrale per poiripartire verso la meta principaledel nostro viaggio, il villaggio diTumikia.

    L’accoglienza gratuita e spon-tanea che ci riserva il popolo con-golese è un aspetto che ci ha colpitosubito. La gente ci salutava perstrada con un caloroso “Mbotemundele” (“Buongiorno bianco”),i bambini ci seguivano da lontanoguardandoci incuriositi...

    La missione di Tumikia com-prende un ospedale con dispensa-rio, la scuola primaria, l’orfano-trofio e la casa di riposo per glianziani. E’ stata una bellissima op-portunità per noi il fatto che il no-stro soggiorno sia coinciso in partecon il periodo di lavori per la co-struzione di un acquedotto proprioa Tumikia, a opera di un gruppodi volontari di Adrara. I ragazzihanno preso parte in prima personaai lavori, immergendosi comple-tamente nella vita del villaggio econdividendo lo sforzo ma anchela soddisfazione di realizzare questoprogetto insieme agli abitanti. Lasorgente d’acqua dista dal villaggiocirca 3km con un dislivello di 150m.Ogni giorno donne e bambini sirecano alla fonte, sopportando lafatica e l’arsura, per attingere acquaad uso personale e domestico...

    acqua terrosa presa direttamenteda dove sgorga, senza filtri di nes-sun tipo.

    Il progetto consiste nella crea-zione di un pozzo nei pressi dellasorgente, da cui partono dei tubiche incanalano l’acqua verso unbacino in cui viene purificata epompata in tutto il villaggio grazieall’energia prodotta da un sistemafotovoltaico. L’accesso all’acqua daparte degli abitanti è reso possibiledalla presenza di 16 fontane sparsein tutto il villaggio. Secondo la ta-bella di marcia, verso la fine disettembre i lavori dovranno essereultimati... sarà la concretizzazionedi un sogno per tutta Tumikia.

    Noi ragazze invece ci siamooccupate dell’animazione - e nonsolo- all’interno dell’orfanotrofio,curato da suor Adele. Qui i bambinivanno da 0 a 3 anni. La madre èmorta di parto o per altre malattiee il padre probabilmente si è ri-sposato e ha altri figli a carico.Dopo i tre anni i parenti dovrebberovenire a prendere il bambino, maniente assicura questa situazionenonostante la struttura garantiscala consegna periodica di alimenti,sapone e medicine per la cura delbambino. Svolgere l’attività all’in-terno dell’orfanatrofio è stato un“mettersi in gioco” a tutti gli effetti.Trovarsi senza acqua o quasi, senzaelettricità, senza tutte le varie co-modità a cui noi e i nostri bambinisiamo abituati ti costringe a cam-biare le regole e a re-inventarti,scoprendo come sia possibile far-cela anche con poche cose.

    Bastano per esempio due o trecostruzioni, delle bolle di saponee dei palloncini per rivoluzionarela giornata di questi bambini op-pure un semplice lecca-lecca perleggergli la gratitudine negli oc-chi.

    Bambini che chiedono soloamore, nulla di più, perché nonsanno cosa siano le coccole... lo sicapisce da come ti tengono strettise li abbracci, da come ti penetranol’anima con i loro occhi quando tiguardano.

    Sono stati momenti davverocostruttivi da ogni punto di vistaperché abbiamo imparato a farfronte a situazioni quotidiane, qualicambiare pannolini e imboccare ibambini in condizioni igienicheprecarie, con inventiva, fantasia etanto ottimismo. E’ davvero sor-prendente vedere come le suoreriescano a lavorare in modo effi-ciente tra la gente, con pochissimi

    mezzi ma sempre con il sorrisosulle labbra e una grinta contagiosa,nonostante l’età e qualche acciacco.

    L’ultima fase del nostro viaggiosi è svolta a Kinshasa, nella mis-sione di Kingasani, un quartieredella periferia. Anche qui abbiamoincontrato delle suore formidabili,come suor Claudia, che ci ha ac-compagnato nel visitare l’ospedaledella missione, un vero e proprioparadiso nella città, in cui sonopresenti i reparti più importanticome maternità, trasfusioni e cosìvia. Il fiore all’occhiello della missioneè però la biblioteca.

    La speranza del Congo e ditutta l’Africa sta proprio nell’istru-zione e nella cultura, ed è questol’obiettivo di tutte le missioni cheabbiamo conosciuto: formare degliindividui che sappiano prenderein mano le redini del proprio futurograzie alle loro conoscenze e com-petenze personali. Arrivano stu-denti da tutta Kinshasa per studiarein questa biblioteca, aspetto cheinvita a riflettere sulla consapevo-lezza del “sapere” come arma peruna vita migliore.

    La realtà cittadina è comple-tamente differente da quella delvillaggio... abbiamo notato una po-vertà molto meno dignitosa...lamancanza di sistema fognario ren-de le strade dei fiumi di spazzaturae questo aspetto colpisce ancoradi più se si pensa che quelle stradesono in prossimità delle abitazionie in quelle strade ha luogo il mer-cato. Il forte contrasto che esistetra il centro della città, moderno esede dei palazzi del governo, e laperiferia, la zona più degradata, èun aspetto che è difficile descriverea parole. Neanche le fotografierendono il senso di abbandono edi rassegnazione.

    L’Africa è davvero una terracon tantissime contraddizioni... dauna parte vedere certe situazioniforti ti obbliga a porti delle do-mande, alle quali però è difficiledare una risposta...ti costringe ainterrogarti sulla complessità delmondo e sulle ingiustizie che loabitano. Ma dall’altro lato è bel-lissimo vedere come alcune personevadano controcorrente e ogni gior-no lavorino per portare un po’disperanza nonostante tutto.

    È bellissimo accorgersi che,anche se piccolo, anche se appa-rentemente insignificante, ogni ge-sto d’amore verso il prossimo puòcambiare la vita di chi lo riceve e

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    Letizia in Congo, Mima e Chiara in Albania

    Volti e cuoriche ti segnanoDue ricche esperienze di umanità e futuroM

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    di chi lo da. Tutte le suore che abbiamo in-

    contrato testimoniano questa veritàogni giorno con la loro vita.In Africa ci siamo sentiti tutti subitoaccolti come in una grande fami-glia. Ci siamo sentiti partecipi dellavita comunitaria delle missioni dicui eravamo ospiti e la popolazionelocale ci ha fatto sentire a casagrazie alla generosità e al caloreche dimostrava nei nostri confronti.Ci siamo sentiti una famiglia anchenella fede...prendere parte allamessa della domenica nella par-rocchia del villaggio è stata un’espe-rienza unica! Attraverso il canto,la danza e mille colori il popoloafricano esprime la sua grandissimafede, in celebrazioni che duranoanche due o tre ore ma durante le

    quali non ci si annoia mai. Senza i miei compagni di viag-

    gio non avrei sicuramente potutovivere un’esperienza tanto profon-da, importante e divertente ...inuna parola indimenticabile.

    Un grazie infinito va a DonGiuliano, Daniela, Rodrigo, Matteoe Anna. Un’esperienza del genereaiuta a rafforzare i legami di ami-cizia e a crearne di nuovi, ad ap-profondire le conoscenze.Nella condivisione ci si mette anudo, mostrando le proprie debo-lezze e fragilità, ma scoprendo an-che la ricchezza della diversitàcome punto di forza.

    Dai momenti di riflessione se-duti sulle panchine al chiaro diluna, a quelli più spensierati passatia giocare a carte e a cantare. Dalle

    situazioni divertenti (come creareuna barriera anti-rospo per evitarestrani incontri in bagno oppure ilunghi viaggi in jeep in compagniadi un gallo) a quelle più serie incui non servono le parole per espri-mere ciò che si prova.

    Dai momenti di preghiera e dimeditazione personali ai momentiin cui avere qualcuno al tuo fiancoera l’unica cosa importante.

    Ognuno di noi ha vissuto aproprio modo questo viaggio, ognu-no di noi si è portato a casa unpezzetto di Africa nel cuore.

    Vivere un’esperienza di mis-sione, seppur breve, è un’avventurache ti spalanca le porte sull’altro,ma prima ancora su te stesso per-ché allarga gli orizzonti, abbattele barriere di inutili pregiudizi, ti

    apre gli occhi su realtà che lo scher-mo di un televisore non potrà mairappresentare fedelmente; ti inse-gna a vivere alla giornata, a sve-gliarti con la luce del sole e ad ad-dormentarti nel silenzio della notte,a condividere ogni momento conle persone che hai accanto, ad as-saporare l’essenziale, a stupirtidella bellezza della natura, a emo-zionarti per il sorriso di un bam-bino.

    Venti giorni forse non bastanoper capire veramente quale signi-ficato lasciano nella tua vita, mapossono essere uno spunto per la-sciarsi provocare, per aprire il no-stro cuore e imparare ad amaredavvero... e chi lo sa, magari ungiorno ci torneremo ancora!

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    Ciao a tutti,siamo Chiara e Mima, due ragazze che questa estatehanno deciso di vivere un’ esperienza diversa cioè unamissione breve nella “Terra delle aquile”: l’Albania.15 agosto ore 21, 40 partenza da Orio al Serio, gate 8 … è ilnostro volo!!Siamo pronte?Insomma. Le emozioni che abbiamo provato in quel momentosono state diverse: paura, perché non sapevamo cosa ciaspettava e ne se ci saremmo trovate bene ma, nello stessotempo, non vedevamo l’ ora di partire.Siamo arrivate a Shengjin, con la jeep delle suore, nel cuoredella notte.L’ Albania ci ha subito colte di sorpresa con negozi e ristorantiaperti, musica alta, macchine contromano e i motociclistisenza casco, attaccati al telefono.Tuttavia l’ apparenza, in parte, inganna.I giorni successivi, infatti, abbiamo potuto conoscere personebuone e generose a partire dalle suore, Assunta, Gianna eFernanda, che da subito ci hanno accolto e fatto sentireparte di una famiglia, o come Tone con i suoi sorrisi eabbracci o Georgi, un anziano signore aiutato dalle suore,che ci ha espresso il suo affetto donandoci caramelle, poesiee complimenti.Siamo state fortunate ad aver condiviso questa esperienzacon Martina, ventiduenne di Verona, che, come noi, hadeciso di “buttarsi” in un’esperienza nuova per mettere ingioco se stessa.Durante le due settimane abbiamo avuto modo di svolgerecompiti diversi: dallo spazzare le foglie dal giardino alpreparare e consegnare gli zaini per i bambini, dall’abbellirela nuova scuola materna al preparare torte (buonissime J).Ma l’attività che sicuramente ci è piaciuta di più sono stati igiochi con i bambini. All’inizio eravamo delle estranee perloro e loro lo erano per noi ma con il passare dei giorni i loronomi hanno cominciato a rimanerci in testa e a riempire inostri discorsi.Non credo che dimenticheremo i loro sorrisi, gli abbracci, le

    pacche sulle spalle, le loro parole incomprensibili e i lorotentativi di farsi capire.“Po!” “Si ie?” “Faleminderit” “Po ti?”Un ringraziamento speciale va sicuramente a tre ragazzi:Josi, Dorisa e Christian che ci hanno aiutate a capire ibambini e si sono divertiti con noi.Abbiamo anche avuto modo di visitare città quali Kruja,Kraje, Durazzo, Lezhe e Scutari.In particolare, a Scutari, suor Gianna ci ha mostrato unaprigione dove furono torturati e uccisi molti religiosi o dissi-denti durante il regime comunista (rimasto al potere fino al1993).Era un luogo tetro, stretto, dove mancava quasi l’ aria.Ci siamo immedesimate così tanto che abbiamo avuto pauradi rimanere chiuse dentro in quelle celle dove è ancorapossibile vedere i simboli religiosi e le foto delle persone im-prigionate.Ci mancavano le parole.E così, dopo tante avventure, è arrivato il giorno dellapartenza: alle 6,30 abbiamo salutato Martina, con la qualeabbiamo legato molto durante la nostra permanenza e, dopola messa, anche Josi, Dorisa e Ornella.A pranzo abbiamo mangiato, come di routine, una porzioneenorme di pasta e altre prelibatezze “extra large” cucinateda suor Gianna e suor Fernanda. Poi, con le valigie in mano,le abbiamo salutate e abbracciate. Ci mancheranno di sicu-ro.Andiamo verso l’aeroporto “Nene Teresa” accompagnate daun po’ di tristezza dato che nessuna delle due ha voglia ditornare a casa.Prima di partire guardiamo, per l’ ultima volta, la terraalbanese ed il pensiero è uno solo “Ci torneremo!”“Faleminderit” (grazie) davvero a coloro che, sia qui sia là,hanno condiviso con noi questa esperienza.

    C’kemi (ciao)

    Letizia Ghilardi

    Mima Avogadri e Chiara Zini

  • Abbiamo aspettato un po’per scrivere i nostri pen-sieri in merito al viaggio dibreve missione a Taiwan, poi-ché ci è servito del tempo permetabolizzarlo e per capirnemeglio il significato più pro-fondo.

    L’esperienza che ci avetepermesso di vivere è statadavvero importante e moltosentita da parte nostra. Ognisingola tappa che i padri cihanno aiutato a svolgere èstata molto preziosa e ci hadato differenti emozioni, sen-sazioni e insegnamenti. Vo-gliamo ringraziare i padri Sa-veriani per averci aperto leporte della loro casa e avercimostrato la loro vita che sep-pur semplice è molto ricca diamore, solidarietà e genero-sità verso il prossimo. Ci hacolpito in particolar modo lozelo e l’amore che hanno versoi bisognosi e le persone in

    difficoltà: l’aiuto che dannoai senzatetto e alle personemeno fortunate è grande enon guarda alle differenze re-ligiose. Inoltre ci ha colpitomolto anche la disponibilitàdei padri, in particolar mododi padre Edi, nell’accompa-gnarci e mostrarci i luoghisacri taiwanesi e i riti religiosi,che ci sono stati spiegati conmolto rispetto. Di questa tap-pa ci ricorderemo senz’altrocome viene vissuta la cristia-nità e l’evangelizzazione a Tai-pei: come dimenticare l’in-contro con i ragazzi delGLOW, è stato molto belloarricchire reciprocamente lenostre vite con sensazioni edemozioni nuove!

    Rimarrà sempre nel nostrocuore la settimana vissuta inmezzo ai nativi di Yuli: nondimenticheremo mai la ge-nerosità e la bontà con cui cihanno accolti e trattati, il loro

    essere così aperti e disponibilinonostante non ci conosces-sero affatto. Seppur faticosoa causa del caldo e del grannumero di persone, padreTommaso Lín è riuscito adavvicinare due culture cosìdiverse ma allo stesso tempounite dalla religione. È bellovedere come nonostante ledifficoltà dovute alla famiglia,all’alcool e al fumo gli abori-geni siano un popolo così uni-to che non si perde mai d’ani-mo.Un’altra immagine che rimar-rà sempre fissa nelle nostrementi è il sorriso dei bambiniche, indipendentemente dalledifficoltà linguistiche, sonosempre riusciti a comunicarecon noi, trasmettendoci laloro gioia.

    Un altro grazie va ai padriCamilliani, in particolar modoa padre Didone, al direttore,alla segretaria e ai dipendentidel centro di Lutong in cuiabbiamo svolto il nostro ser-vizio di aiuto ai disabili e allepersone anziane. Inizialmenteci ha impressionato molto lagrandezza e l’ottima organiz-

    zazione dell’ospedale, del cen-tro e dell’università fondatidai padri. Ci ha reso moltofelici e orgogliosi l’opportunitàdi collaborare in un progettocosì grande, anche se per pocotempo. Ci ha colpiti inoltrel’ambiente di lavoro all’inter-no del centro: tutti si com-portano come se fossero unagrande famiglia, senza troppeformalità e con molta spon-taneità.

    È stato commuovente ve-dere come Allen, il direttoredel centro, nonostante la suafede Buddista, partecipassealla Celebrazione Eucaristicacon un tale zelo che difficil-mente possiamo trovare neinostri fedeli.

    Come non ringraziare donIvan Santus, il quale ci hapermesso di svolgere un’espe-rienza così arricchente. Ci hamostrato le bellezze di Taipeie della cultura taiwanese, ciha fatto sperimentare la vitanotturna ed assaporare il cibotradizionale dei Night market,che abbiamo provato con mol-ta gioia e spirito d’avventu-ra.

    Infine un pensiero parti-colare è rivolto a Padre Ot-fried, segretario del vescovatodi Taipei, che ha organizzatoper noi un programma tantoricco ed emozionante che ciha permesso di sperimentaree scoprire le molteplici faccedell’isola.

    Non ci resta, quindi, chesperare di ritornare al piùpresto, pronti per una nuovaavventura!

    Elena Peruta e Davide Lugiai

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    Anche questa è terra di missione

    Una culturaaltra… coinvolgenteElena e Davide nella novità di Taiwan

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    Direttore responsabile:Don Giambattista Boffi

    Redazione:Via Conventino, 8 - 24125 Bergamotel. 035 45 98 480 - fax 035 45 98 [email protected]@diocesi.bergamo.itpromozionecmd@diocesi.bergamo.itwww.cmdbergamo.org

    Aut. Tribunale n° 17 del 11/3/2005

    Stampa: CENTRO GRAFICO STAMPA SNC

    A questo numero hanno collaborato:I giovani che hanno vissuto l’esperienza in missione,don Giambattista Boffi.

    Foto di Michele Ferrari e Diego Colombo

    Garanzia di tutela dei dati personali ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 196/2003: i dati personali comunicati dagli interessatisono trattati direttamente per l’invio della rivista e delle in-formazioni sulle iniziative del Centro Missionario Diocesanodi Bergamo. Non sono comunicati o ceduti a terzi. Finito di stampare

    il 14 novembre 2014

    PER SOSTENERE I PROGETTI: � direttamente alla sede del CMD � tramite ccp n 11757242 � tramite bonifico bancarioBanco di Brescia via Camozzi (Bg) IBAN: IT41G0350011102000000001400

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