Anno VIII, numero 1 Marzo 2010 Di cosa parliamo · raggi dei recuperi, il canto soave delle feste...
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Il Liceo Ginnasio Statale «Raimondo Franchetti» presenta
Anno VIII, numero 1 Marzo 2010
Di cosa parliamo Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele…
Amico lettor, avremmo voluto
regalartelo come dono natalizio. Poi come novità di inizio anno! E invece... eccoci a inizio marzo, in pelago in cui forse la nostra piccioletta barca restò smarrita, tra gli scogli dei debiti, i mi-raggi dei recuperi, il canto soave delle feste di Carnevale. Ma siamo certi che “i nostri venticinque lettori” sapranno ugualmente ringraziare lo sforzo.
Come vedrete, sono cambiate alcune cose: inevitabile visto il fisio-logico inciampamento dell'interesse per la versione passata, che ci augu-riamo possa risollevarsi, più vivo di prima.
Questo numero nasce da due e-venti su cui abbiamo ritenuto dovero-so focalizzare la nostra indagine.
Il primo ci riguarda da vicino, come scuola: il divieto di fumare all'aper-to, all'entrata del liceo. Ci siamo inter-rogati sul significato del divieto, par-tendo dal presupposto che più di qual-cuno all'apparizione si sia chiesto ti-moroso in quale direzione si stesse per andare a finire, e così abbiamo curio-sato tra le opinioni più o meno concor-di di professori e studenti. Potrebbe essere interessante dare un'occhiata a un paio di statistiche nonché a qualcu-na delle differenti posizioni sull'argo-mento fumo in generale, con la spe-ranza di essere andati oltre al fumo in piedi/ fumo seduto...
Si teneva però anche ad aprire una “finestra sul mondo”, cercando di guardare e di guardarci anche al di là del principio di scolarizzazione. Questa volta ci si misura in territorio di pace e di guerra, in occasione della “Marcia Mondiale per la Pace e la Nonvio-lenza”, conclusasi a Punta de Vacas (Argentina) il 2 gennaio scorso.
Sull'argomento abbiamo un resoconto a cura dell'organizzazione e una testi-monianza diretta sul segmento vicen-tino della marcia. E affiora il tentativo di proporre uno spunto di riflessione in più, che si è concretizzato nella scelta di un testo di Oriana Fallaci, Niente e così sia: scritto 40 anni fa, ha ancora voce in capitolo sul non-senso della guerra e sul (contro)-senso della vita.
Eppure le guerre anche nei tempi più recenti continuano ad imperversa-re sull'uomo incapace di prenderne attiva coscienza ripudiatrice, così il nostro paese resta insanguinato dalle mafie e dal terrorismo.
A questo portiamo a riflettere con un resoconto sull'annuale celebrazione del Memory Day, a cui hanno parte-cipato anche studenti e studentesse della nostra scuola.
Non dimentichiamo quella che è stata la fatica delle “guerre di libera-zione”: proponiamo la recensione del film Barbarossa, anche se trat-tato in tono più “leggero” rispetto alle intenzioni dei creatori, forse per cattu-rare la vostra attenzione, forse per conformarci ad uno schema di proce-dimento particolarmente attuale.
Quasi d'appendice, una rubrica cui invitiamo tutti a fornire i propri contri-buti fin da subito, per ridare dignità a chi ancora si affida alla gradualità del passo dopo passo, e questa riguarda appunto le esperienze lavorative degli studenti.
Infine, poichè “un buon lettore è chi è disponibile a lasciarsi invadere dall'animo altrui attraverso la lettu-ra” (G. Contini), due poesie ad opera di una nostra redattrice. Aspiriamo alla lettura dalla vostra parte ma non perdete tempo, fare presto! Perché lo giuro che è arte tutto questo anche se non è certo questo tutta l'arte…
In redazione: Ginevra Rocchesso (I C), Marco Viggiani (I C), Anna Dal Borgo (III A), Irene Favalli (I D), Eleonora Marangon (IV C), Elena Viggiani (IV C), Irene Zuin (IV C), Pietro Della Sala (II C), Edoardo Cecchinato (V B), Elena Griggio (III C) coordinati dalla prof.ssa Maria Angela Gatti. Impaginazione: Nicolò Alvise Ferron (III B)
Ci riguarda da vicino Pochi studenti sanno al giorno d’oggi chi era Ayn Rand, an-che e soprattutto perché la sua filosofia viene ingiustamente messa da parte…
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Qualche idea in più “Niente e così sia” è in un re-portage di guerra, espresso in forma di diario, realizzato e integrato sulla base dei reso-conti di interviste ed episodi vissuti da Oriana Fallaci…
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Esperienze
Ho iniziato a lavorare come cameriera lo scorso Agosto, senza particolare entusiasmo da parte dei miei e fin troppo da parte mia…
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Finestra sul mondo La destinazione finale della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza è stato il Par-co di Studio e Riflessione Pun-ta de Vacas, una località della cordigliera andina alla frontiera tra Argentina e Cile…
...a pagina 6
Siamo creativi
Due poesie di Irene Zuin.
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IL CAMALEONTE marzo 2010
2 C i riguarda da vicino
Vietato fumare
Pochi studenti sanno al giorno d’oggi chi era Ayn Rand, anche e soprattutto perché la sua filoso-fia viene ingiustamente messa da parte e non com-pare nella maggior parte dei manuali dei nostri licei e delle nostre università. Circa una setti-mana fa mi sono imbattuta in una sua citazione e ho sentito il bisogno di appro-fondire le vicende legate alla sua figura. Il suo vero nome è Alissa Zinovievna Ro-senbaum, figlia di un farmacista ebreo di San Pietroburgo e nata il 2 febbraio del 1905. Alcune delle caratteristiche princi-pali della corrente di pensiero da lei fon-data e chiamata Oggettivismo sono la denuncia plateale di tutte le forme di to-talitarismo (comprendente le caratteristi-che di alcuni regimi nati nel XX secolo che mobilitarono intere popolazioni nel nome di un’ideologia o di una nazione e che inizial-mente indicavano il fascismo italiano e il nazismo tedesco ma che poi furono estese anche al movi-mento comunista dell’Unione Sovietica) e l’appoggio nei confronti del capitalismo senza compromessi. Nel 1957 Ayn Rand pubblica Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante) che diventa subito un best-seller. Ma che cosa ha in comune questa filosofa poco conosciuta, vi chiederete voi, con il titolo e il contenuto del mio articolo? La risposta si può facilmente trovare nel libro appena citato, nel quale viene spesso trattato l’argomento del fumo e della sigaretta come simbolo del primo grande progresso economico dell’umanità. In particolare questi ultimi vengono utilizzati come metafora della conquista del fuoco e quindi della co-noscenza da parte dell’uomo, riferendosi al mito di Prometeo. Ecco che cosa pensa uno dei personaggi di questo romanzo:
«Mi piacciono le sigarette. Mi piace il fuoco
tra le mani di una persona. Il fuoco, questa forza così pericolosa, domata sulla punta delle dita. Spesso penso alle ore che uno passa seduto a guardare il fumo della sigaretta, meditando. Pen-so quante grandi cose sono state ideate in quelle ore. Quando uno medita, c'è un fuoco vivo nella sua mente... ed è giusto che egli abbia la punta accesa della sigaretta come sua espressione». (A. RAND, La rivolta di Atlante, Corbaccio, 20072) È questa una citazione di dubbia ragionevolez-
za, a mio parere. Sembra tuttavia che un numero considerevole di studenti e di insegnanti che fre-quentano questo istituto sia totalmente d’accordo con essa. Attraverso un sondaggio esteso a tutte le classi sappiamo che vi sono 97 alunni su un totale di 470 e 5 insegnanti su 40 che fumano regolarmente mentre la restante parte è felice di farne a meno. Ma
qual è il vero motivo che li ha spinti ad iniziare quella che poi sarebbe diventata una dipendenza? C’è chi ricorre alle sigarette per ovviare al nervosismo, allo stress, ritagliandosi un momento di relax, tra un’ora
ed un’altra. Alcuni lo definiscono un “piacevole ammazza tempo”. Altri hanno iniziato durante la preparazione degli esami di maturità, continuando poi all’università e al servizio militare. Vi è infine quella catego-ria, a mio avviso, la peggiore, che non è capace di rispondere, che ha visto gli altri cominciare e sentirsi importanti e li ha se-guiti, confidando che avrebbe prima o poi riscontrato lo stesso successo. I pochi non fumatori sono fortunatamente consapevoli degli effetti negativi del fumo, anche e so-prattutto dopo aver osservato i familiari a-verne pagato duramente le conseguenze.
In questo contesto l’istituto è intervenuto, vie-tando il fumo all’ingresso della scuola e provocando diverse proteste. È infatti tra i fumatori che vi è il maggior numero di contrari alla nuova regola. Tutti si battono affermando che il divieto è giusto soltanto quando riguarda i locali chiusi, mentre la presidenza non ha giurisdizione all’esterno. Dall’altra parte si trovano invece quelli che sono favorevoli soprattutto perché la scuola è un luogo di educazione e deve promuovere una politica contraria al fumo, perché è necessario avere rispetto per i non fumatori e perché l’odore sgradevole penetra nelle aule. Alcuni inoltre promuovono la creazione di aree divise in modo che ognuno ven-ga accontentato. A dire del Presi-de, il divieto, e-manato da una prima legge nel ’75, è sempre stato presente nelle scuole anche se i cartelli che si trovano affissi all’interno dell’edificio scolastico reca-no la data del 2003 con l’art. 51 per la tutela della salute dei non fumatori. Il Dirigente ricorda quindi che non si tratta di una sua invenzione ma di una norma già esistente; afferma inoltre di non essersi accorto del numero di fumatori e di non conoscere chi ne faccia parte tra gli insegnanti. Infine invita tutti a non iniziare questa dipendenza, sebbene sia forse vista come una trasgressione, in quanto la cre-scita è una fase particolarmente delicata per i giova-ni. Per ora, nonostante il disaccordo comune, tale norma viene rispettata ma come diceva Ovidio: «Tendiamo sempre a ciò che è vietato e bramiamo ciò che ci viene negato».
Ginevra Rocchesso
Studenti
Fumatori
Non
fumatori
Ayn Rand
IL CAMALEONTE marzo 2010
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Il fumo nel mondo e in Italia
Ci riguarda da vicino
Il fumo, purtroppo, è un fenomeno in forte aumento negli
ultimi anni. Sarà per tendenza, per moda? Per emulazione di per-
sone famose e potenti? Questo non si sa, ma i numeri parlano
chiaro: attualmente, nel mondo, vi è circa un miliardo di fumatori
e si consumano circa 6.000.000.000.000 di sigarette all’anno. Ogni
fumatore consuma dunque 6,5 kg di tabacco all’anno.
Un quarto dei fumatori mondiali è cinese, anche se bisogna
considerare che i Cinesi costituiscono quasi 1/7 della popolazione
mondiale. Si stima che in Estremo Oriente il 90% dei fumatori inizi
a fumare prima di aver compiuto 20 anni.
Nel Terzo Mondo, dal 1970, il consumo di tabacco ha visto
una crescita del 67%: attualmente in questi Stati vi sono circa
800.000.000 di fumatori.
I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono allar-
manti: ogni anno, nel mondo, perdono la vita a causa del fumo
quasi 300.000.000 di persone (circa 8.000 al giorno, come se pre-
cipitassero ogni giorno diciassette Jumbo Jet senza superstiti!), la
metà delle quali ha un’età compresa fra i 35 ed i 69 anni.
Proponiamo ora una tabella sulle morti annuali per fumo –
accertate e previste – tra il 1995 ed il 2025.
Stando sempre ai dati dell’OMS, il fumo è inoltre fattore
determinante:
• del 20% delle morti nel Terzo Mondo;
• del 90/95% delle morti per tumori polmonari a livello mondiale;
• dell’80/85% delle bronchiti croniche e degli enfisemi polmonari,
sempre a livello mondiale;
• del 20/25% di tutte le malattie cardiovascolari.
Il mercato mondiale di farmaci correlati al fumo trae profitti
per $ 550.000.000, gli investimenti delle aziende farmaceutiche
ammontano a $ 80.000.000 [fonte: ASL Napoli].
Passiamo ora all’Italia. Nel nostro Paese si contano attual-
mente 80 – 90.000 morti all’anno a causa del fumo (20% delle
morti totali). Di questi decessi, circa 40.000, ovvero la metà, sono
dovuti a tumori polmonari, 15.000 a malattie respiratorie croni-
che e 25.000 a malattie cardiovascolari. Vi sono inoltre circa 1.000
morti annuali per fumo passivo.
I costi correlati al fumo sono alti: gli Italiani spendono più di
10.000.000 di euro l’anno tra sigarette, tabacco e articoli di setto-
re, e il costo annuale per curare i fumatori è compreso tra i 15 e i
25.000.000 di euro. Stando a dati risalenti alla fine degli anni No-
vanta, i fumatori in Italia sono circa 18.000.000; in particolare, il
38% è rappresentato da uomini e il 26% da donne. I maschi fuma-
no in media 16 sigarette al giorno, le femmine 11. La regione con
il maggior numero di fumatori maschi è la Campania, quella con il
maggior numero di
fumatrici è
l’Umbria; per contro, la regione con il minor numero di fumatori è
il Veneto, quella con il minor numero di fumatrici è la Basilicata.
Ma vediamo più approfonditamente i provvedimenti – più o
meno restrittivi – adottati dagli Stati Uniti d’America, dove pare
che il fumo sia malvisto da un numero sempre più alto di perso-
ne. Nella maggior parte degli Stati, è vietato fumare in quasi tutti
i tipi di locali chiusi, esclusi i motel, i casinò e alcuni tipi di bar.
Una ventina di Stati permettono che gli alberghi abbiano una
certa percentuale di camere per fumatori. In California, ad esem-
pio, dal 1995 è vietato fumare in tutti i luoghi di lavoro al chiuso
esclusi quelli con meno di 6 impiegati – a patto che tutti accon-
sentano e che sia fatto divieto di accesso ai minori di 18 anni.
Negli alberghi è consentito un massimo del 65% di camere per
fumatori, e nelle hall si può mettere a disposizione dei fumatori
uno spazio che non superi il 25% della loro superficie totale. In
auto è reato fumare in presenza di ragazzi d’età inferiore a 18
anni. In varie città è inoltre vietato fumare in parchi e luoghi pub-
blici, spiagge, condominî ed appartamenti, marciapiedi vicini a
zone commerciali, fermate degli autobus, e non si può fumare a
una distanza minore di 6 metri da entrate/uscite di qualsiasi edifi-
cio. Nelle Hawaii è vietato fumare in qualsiasi luogo pubblico,
inclusi gli spazi all’aperto di ristoranti, bar e locali di altro genere,
sulle spiagge e nei parchi. Solo in Indiana, Kansas, Kentucky, Mis-
sissippi, Missouri, Oklahoma, South Carolina, Texas, West Virginia
e Wyoming non c’è una legge valida interna che vieti il fumo in
luoghi pubblici ma i singoli locali possono decidere liberamente le
restrizioni da adottare.
Come si può notare, in Italia c’è ancora molta strada da fare
per arrivare ad una drastica diminuzione del fumo, anche se ulti-
mamente la gente si sta sensibilizzando di più sull’argomento.
Per prevenire il fumo tra i giovani, sempre negli Stati Uniti
sono presenti numerose associazioni, tra cui una delle più impor-
tanti è il Center for Desease Control and Prevention (CDC). Vedia-
mo delle statistiche effettuate recentemente.
• L’80% dei fumatori ha iniziato a fumare prima dei 18 anni;
• Ogni giorno, circa 3.900 minorenni iniziano a fumare e di que-
sti si prevede che 1.500 diventeranno fumatori abituali;
• I giovani fumatori hanno spesso comportamenti violenti e
fanno anche uso di alcool e droghe.
Alcuni dei fattori che contribuiscono al fumo tra i giovani
sono il basso stato socio-economico, l’uso o l’approvazione del
fumo da parte di genitori, parenti e coetanei, la disponibilità del
tabacco, la bassa autostima. Tra le conseguenze del fumo tra ado-
lescenti (e non) si registrano
• Tosse cronica – se il fumo diventa continuativo nel tempo;
• Minore capacità di resistenza a sforzi fisici;
• Difficoltà – più o meno accentuate – di respiro;
• Ingiallimento dei denti;
• Costi elevati.
Marco Viggiani
1995 2025
Paesi industrializ-
zati 2.000.000 più di 3.000.000
Paesi in via di
sviluppo 1.000.000 7.000.000
Totale mondiale 3 .000.000 10.000.000
IL CAMALEONTE marzo 2010
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Perche’ fumi?
Ci riguarda da vicino
Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo.
(V. MAGRELLI, Nature e venature, Mondadori, Milano, 1987)
“In ciascuno di noi vi sono due principi guida [...]. Uno è l'innato desiderio dei piaceri, l'altro è
l'opinione acquisita che tende al meglio [...]. Quando l'opinione con l'aiuto della ragione ci gui-
da al meglio e predomina, a questo predominio si dà il nome di temperanza; quando invece il
desiderio ci trascina irrazionalmente verso i piaceri e comanda su di noi, questo principio è
chiamato tracotanza.” (PLATONE, Fedro, 238 a-b)
Fumo per vizio
Alla domanda “Perché fumi?” l'adulto e fumatore me-
dio risponde “Maledetta la volta che ho cominciato!”, auto-
giustificandosi per la lunga esperienza della sua età matura
della convivenza con un vizio oramai radicato, contro il
quale non vale la pena di battersi più. Comodo: l'usuale
atteggiamento dell'adulto che vive di rendita morale con-
vinto di aver combattuto le sue battaglie e di aver vinto in
premio una nuova acquisita disillusione.
Dovete sapere che esistono gerarchie anche tra fumato-
ri. Il discriminante fondamentale, si è detto: l'età. Certo un
adulto dovrebbe fumare da molti più anni di un ragazzino.
Ecco che il suo status è superiore. Ugualmente si gestisce la
classifica tra i ragazzi: chi fuma da uno, da due, da tre anni,
e ogni nuovo acquisto è acclamato dal gruppo dei prece-
denti fumatori. Chi fuma uno, mezzo o due pacchetti al
giorno: certo che tu ne hai di polmoni! E poi ci sono i novel-
lini, che fumano senza aspirare, o quelli che fumano due
sigarette al giorno e casualmente a scuola all'intervallo.
Allora si dice “Sfigati, fumano per fare i fighi”, così affer-
mando che io che lo dico, fumatore “serio”, riconosco il
mio status di più figo di lui.
Ma fumare è e rimane per tutti la dichiara-
zione della propria incapacità/impossibilità di
soffocare l'innatezza di un impulso irrazionale in
nome di una superiore medietas e controllabili-
tà. Il dualismo ontologico della natura umana si
discute più o meno da oltre un millennio. Quel
che viene a complicare la situazione “fumo” è il
diverbio tra chi sostenga che il fumo coincida
con un momento di appagamento di un deside-
rio del corpo e della carne, e chi affermi in ag-
giunta a questo un coinvolgimento dell'anima. Il
primo caso ci rende schiavi delle nostre passioni
(“noi” per “noi fumatori”, giusto per non sottoli-
neare l'impronta chiaramente di parte che scel-
go di dare al mio articolo), il secondo ancor peg-
gio schiavi della suddetta schiavitù. Ora, voglia-
mo esser franchi: voi lo sentite il peso della fru-
sta limitatrice del supremo dominus Fumo? Io,
questo padrone non l'ho mai incontrato, e se
davvero è convinto di dominarmi, temo che altri
abbia firmato il contratto al
posto mio, forse quegli altri
che vedono e sono certi di
riconoscere questo padrone.
Non sono qui per discrimina-
re sulla negatività del fumo,
fa male, non fa male, ucci-
de..questo è già dichiarato a
chiare lettere nei pacchetti di
sigarette che acquisto legal-
mente al tabacchino, e figu-
rarsi che in Australia e in Nuova Zelanda c'è pure
la foto del difetto che mi vado ad acquistare
insieme alle sigarette, e si spazia dai denti gialli,
alla pelle cadente, ai difetti degli apparati vari.
Immagino che sia un momento di intenso godi-
mento poter acquistare un pacchetto ridendo
dell'idiota che investe del denaro per quelle foto
a stampa per ridere a sua volta del perfetto idio-
ta che le andrà ad acquistare (in altri termini:
Fumo per malattia
IL CAMALEONTE marzo 2010
5 io). Perché il problema è proprio questo: il
conflitto esteriorità/interiorità. “Per molti fu
causa di morte aver appreso la propria malat-
tia”, scrive Seneca. Del resto la malattia è
qualcosa che ti rode di dentro, ma spesso
nemmeno lo sai, non la conosci finché un'auc-
toritas esterna non ti dice “Stai morendo”. Oh-
oh. Ed è allora che si comincia a morire. Non
prima: il tuo male non esiste se qualcuno non
gli dà forma con delle parole. Non nel momen-
to della morte vera e propria. La vera morte è
la malattia, e prima ancora la consapevolezza
di quella. Il corpo è il carcere dell'anima, ma
ce ne si accorge quando si è costretti ad ab-
bandonarlo. E allora diventano piacevoli quel-
le catene, e ci si arrabbia per aver tentato di
scioglierle, e ci si avvinghia per non lasciarle più.
I paradossi del genere umano. Gli uomini so-
no “atomi di un momento” dice Voltaire, eppure
nello sprazzo della loro vita riescono a rinchiu-
dersi in tanto evoluti sistemi di etica costrittiva,
ad impelagarsi in siffatte speculazioni con gli o-
recchi tesi a captare l'opinione altrui, che creano
di essi stessi la propria malattia. E in fondo baste-
rebbe saper dire a parole l'indifferenza che di
fatto l'egoismo umano manifesta in ciascuno
verso ognuno di noi. Vuoi fumare? Fuma. Non ti
va? Non farlo. In fondo, che me ne importa a
me?
Ci riguarda da vicino
Fumo per volonta’
Passiamo al giovane fumatore. “Perché fu-
mi?” “Perché mi piace”. Ecco la bocca della
verità! Il mondo è pura forma, ma la razionalità
è nemica dell'intelligenza e felicità non sempre
è anagramma perfetto di facilità. E allora lì,
giusto per un istante, solo il tuo piccolo mondo
fatto del misero effimero tumulo delle tue cer-
tezze. E' allora che accendi una sigaretta e con
quel gesto inconsulto e deprecabile e sbagliato
solo per quell'istante della tua giornata, sei tu
che decidi. Basta tu devi kantiani, basta je pén-
se je suis. Per un attimo non sei più nulla. Ed è
quel momento, quello del primo tiro, esatta-
mente il momento in cui prendi la società e la
morale con le sue etichette e costrizioni e for-
me e mandi tutto «in fumo». Per un attimo
segui la scia del fumo che vola, o scivola nel
fondo della tua gola, e forse se ti concentri sen-
ti pure che ti fa male, ma solo in quanto senti
che è tuo e che una volta tanto sei tu a decide-
re di farti del male. Ed è allora che provi piace-
re. E così il fumo si configura come la leggerez-
za dell'anarchia contro la pesantezza dei poteri
costituiti. L'errore di chi condanna il fumo è
credere che fumando l'uomo diventi schiavo di
un padrone superiore, da cui non si può fuggi-
re, un signore alle cui dipendenze sottoporsi.
Ma no, non c'è nessun padrone: l'uomo è schia-
vo della vita. Vuoi vedermi schiava? Lo sono
già. Serva tua e dei tuoi padroni, serva di uno
status sociale, di una posizione economica, di
un destino che non ho scelto, di una vita che
non ho chiesto. Una volta sola, solo per il tem-
po di una sigaretta, voglio scegliere di essere
schiava di me stessa. Così almeno dominerò su
qualcuno.
Anna Dal Borgo
"Dai fumatori si può imparare la tolleranza. Mai
un fumatore si è lamentato di un non fumatore."
Sandro Pertini
IL CAMALEONTE marzo 2010
6 F inestra sul mondo
Una moltitudine di persone all'atto finale della Marcia Una moltitudine di persone all'atto finale della Marcia Una moltitudine di persone all'atto finale della Marcia Una moltitudine di persone all'atto finale della Marcia mondiale per la pace e la nonmondiale per la pace e la nonmondiale per la pace e la nonmondiale per la pace e la non----violenzaviolenzaviolenzaviolenza
La destinazione finale della Mar-
cia Mondiale per la Pace e la Nonvio-
lenza è stato il Parco di Studio e Rifles-
sione Punta de Vacas, una località
della cordigliera andina alla frontiera
tra Argentina e Cile, dove è stato rea-
lizzato oggi 2 gennaio, un evento mul-
ticulturale e diverso con 20mila parte-
cipanti provenienti da paesi dei 5 con-
tinenti.
Questa prima Marcia Mondiale,
dicono gli organizzatori, è stata "la più
grande manifestazione sulla Pace e la
Nonviolenza della storia, e la prima su
scala planetaria". Durante l'evento
hanno parlato gli attivisti che hanno
percorso il mondo diffondendo i princi-
pi della campagna. Alle 18 (ora argen-
tina) Rafael De la Rubia, portavoce
internazionale dell'iniziativa, ha comin-
ciato così la sua testimonianza:
“Questa marcia è un effetto dimostra-
zione, l'avanzamento di altre grandi
azioni trasformatrici dell'umanità”, nel
discorso di chiusura al Parco di Studio
e Rifles-
s i o n e
Punta de
Vacas, lo
s t e s s o
l u o g o
dove fu
u f f i c i a l -
m e n t e
a n n u n -
ciata la
Marcia a
n o v em -
bre 2008,
durante il
P r i m o
Simposio
Interna-
zionale del Centro Mondiale di Studi
Umanisti.
Alla Marcia hanno partecipato
centinaia di migliaia di persone, più di
tremila organizza-
zioni e un gruppo
di quasi 100 mar-
ciatori, divisi in
varie equipe che
hanno realizzato
percorsi diversi:
intercontinentale,
nel Medio Oriente
e nei Balcani, in
Africa sudorienta-
le. Nel suo tragit-
to le equipe han-
no attraversato
più di 400 città,
90 paesi, e sono
stati percorsi
circa 200mila
chi lometr i durante 93 giorn i.
Nel cammino attraverso i diversi paesi
sono stati ricevuti dal Segretario Gene-
La pace, un diritto umanoLa pace, un diritto umanoLa pace, un diritto umanoLa pace, un diritto umano
Rafael de la Rubia, portavoce internazionale della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza ha voluto festeggiare il Giorno Internazionale dei Diritti Umani. E l'ha fatto a El Salvador, dove si trova l’Equipe Base attualmente. In un comunica-to inviato alla stampa, propone che il diritto alla pace sia considerato un diritto umano. Il portavoce della Marcia Mondiale per la Pace, de la Rubia, ha emesso un comunicato in occa-sione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani. Il contenuto del comunicato: "La Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza vuole, da
El Salvador dove si trova oggi 10 Dicembre, fe-steggia la Dichiarazione della Lettera Magna dei Diritti Umani, emessa nel dicembre del 1948, dopo guerre fratricide e violazioni di libertà, conseguenze della Seconda Guerra Mondiale." "La nostra Marcia, iniziata il 2 ottobre 2009 a Wellington Nuova Zelanda che si concluderà il 2 Gennaio 2010 a Punta de Vacas Argentina, aspi-ra a creare coscienza tra i cittadini, mandatari, religiosi, sulla necessità di sradicare ogni tipo di violenza, sia essa fisica, culturale, religiosa, raz-ziale, di genere, generazionale o psicologia. Co-sì pure qualunque violazione dei Diritti che col-
IL CAMALEONTE marzo 2010
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rale dell'ONU Ban Ki-Moon, dal
Summit dei Premi Nobel, da presidenti
di governi, da parlamenti e da centi-
naia di sindaci. Ma l'accoglienza è sta-
ta anche popolare: tra tutti gli eventi
di massa, due casi esemplari sono
stati i quasi 80mila giovani che hanno
ricevuto l'Equipe Base Intercontinenta-
le ad un concerto in Cile e i 12mila
s t u d e n t i n e l l e F i l i p p i n e .
La vita quotidiana dei marciato-
ri si è svolta in alcuni casi nell'ospitali-
tà più comoda e a volte con alloggi più
austeri, come monasteri buddisti, case
improvvisate, dormendo persino in un
rifugio antiatomico. Hanno attraversa-
to e temuto per le minacce di tsunami,
terremoti e tifoni, e camminato con
temperature da sotto zero a quaranta
gradi.
Nel percorso hanno incontrato
gente senza casa a causa dei tifoni
nelle Filippine, "hibakusha" sopravvis-
suti alla bomba di Hiroshima, milioni di
famiglie separate dalla guerra in Corea
e in Palestina. Hanno visitato numerosi
monumenti ai milioni di morti di guer-
ra in Europa e Asia, luoghi dove fu
praticata la tortura, frontiere di conflit-
to tra India e Pakistan, tra Israele e
Palestina, nei Balcani, e Tijuana, fron-
tiera tra Stati Uniti e Messico. Hanno
visto lo sfruttamento del lavoro minori-
le dei bambini in Asia, Africa e Ameri-
ca; donne maltrattate in tutto il mon-
do. “Nel percorso ci è successo di tut-
to, momenti di grande senso, dove le
richieste del passato hanno incontrato
le aspirazioni del futuro. Momenti di
connessione con la gente che hanno
permesso di comunicare superando la
differenza di lingua, cultura, razza e
credenza”, così si è espresso De la
Rubia, che è anche coordinatore
dell'associazione Mondo senza Guerre
che ha organizzato la Marcia.
Gemma Suzara dalle Filippine
ha raccontato la sua esperienza: “la
ricorderò per il resto della mia vita... il
mega simbolo della pace con migliaia
di studenti nelle Filippine mi ha fatto
pensare che se davvero lavoriamo
come un solo corpo e crediamo in noi
stessi, possiamo superare ogni limite”.
L'indiana Bhairavi Sagar, che
ha percorso l'India, l'Europa, l'Africa e
le Americhe, ha spiegato: “sono nata
nel paese del padre della Nonviolenza
–il Mahatma Gandhi– un uomo che ha
dedicato la sua vita affinché il nostro
paese ottenesse la libertà e grazie al
quale oggi sono qui, come un essere
umano libero e senza catene. Ora è
arrivato il mio turno di dare alle gene-
razioni future il mio contributo, per
lasciare un mondo dove si possa vive-
re con dignità e felicità”.
Tony Robinson, inglese, che ha
attraversato 30 paesi, ha raccontato in
tono più intimo “In Giappone abbiamo
incontrato gli Hibakusha, i sopravvis-
suti alla bomba atomica. Una donna ci
disse: 'Grazie, grazie. Questo è così
importante!'. E io traducevo le sue
parole mentre tentavo di non piangere
per i sentimenti di tanta empatia con
la sofferenza terribile che questa don-
na aveva vissuto e perché non sentivo
di meritarmi la sua gratitudine”.
I discorsi sono continuati e
Giorgio Schultze, portavoce della Mar-
cia per l'Europa e partecipante delle
equipe del Medio Oriente e dei Balca-
ni, ha detto: “Siamo passati attraverso
il muro che separa Israele dalla Pale-
stina e ora più di 200 leader sociali ex-
combattenti di Al-Fatha, ci chiedono di
formare un esercito nonviolento che
possa comunicare e aprire le porte alla
riconciliazione e cominciare una nuova
storia di convivenza pacifica tra pale-
stinesi ed ebrei”.
L'evento è terminato con le pa-
role di Tomás Hirsch, portavoce della
Marcia Mondiale per l'America Latina,
che ha parlato soprattutto del futuro
del Movimento Umanista, l'organizza-
zione che ha dato vita alla Marcia
Mondiale. Pressenza pubblicherà nella
sezione “Opinioni” il discorso completo
di Hirsch. Passate le 19.30 (ora argen-
tina), quando il sole scendeva dietro le
montagne della cordigliera delle Ande,
l'atto si è concluso con il saluto "pace,
forza e allegria" da parte di tutti i par-
tecipanti. pisce l'umanità nel XXI° secolo, specie per l'in-giustizia e la disuguaglianza, causate dalla pes-sima distribuzione della ricchezza." "Siamo convinti che insieme possiamo costruire un mondo equo. Proponiamo che il "diritto" alla pace sia compreso nel capitolo dei Diritti Umani."
(da http://www.marciamondiale.org/)
Rafael de la Rubia
Finestra sul mondo
IL CAMALEONTE marzo 2010
8 Finestra sul mondo
«L' abitudine è una delle cose che fanno appassire il mondo», mi è capitato di affermare ad un ra-gazzo pochi giorni fa. Eppure lui, con me, è stato uno dei pochi fan-tastici temerari che domenica 8 novembre si sono riuniti a Vicenza proprio nella speranza che il mon-do non si abitui a sentir parlare di guerre, violenze e rapporti dettati da leggi economiche.
L' occasione, come dovreste sapere dopo le molte sollecitazioni in assemblea, era la tappa nel capoluogo vicentino della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonvio-lenza, partita dalla Nuova Zelanda il 2 ottobre 2009 (anniversario del-la nascita di Gandhi) e diretta alle Ande argentine,dove dovrebbe
giungere nel gennaio 2010. In ogni città visitata dalla mar-
cia è previsto che singoli cittadini e gruppi locali organizzino forum, riunioni, festival, conferenze o e-venti, a seconda della propria ini-ziativa.
Quella domenica il tempo era orribile: non ha cessato un solo istante di piovere e i colori dei 7 cortei - i sette colori della pace ovviamente - erano confusi da giacche, ombrelli e impermeabili che rovinavano l'effetto coreografi-co che avrebbe dovuto crearsi quando i cortei si fossero uniti so-pra il monte Berico, in un'unica bandiera.
Nonostante ciò sono felice, perché dalla viva voce di un solda-
to disertore dell'esercito america-no, ho avuto la conferma di quello che i cittadini vicentini urlano a gran voce da mesi: «La base U.S.A Dal Molin non è una base di difesa, non serve a difendere né l' Italia né tanto meno gli Stati Uniti, bensì ad estendere i propri domini militari e a prestarsi come base "di smistamento" per le reclute da inviare nel territorio mediorienta-le».
A Vicenza e nei comuni limi-trofi a partire dagli inizi degli anni '50 sono state insediate numerose installazioni militari U.S.A. e con l' insediamento della nuova base nell'ex aeroporto Dal Molin il terri-torio soggetto al servizio militare ammonterà a circa 3 milioni di mq.
QUEL GREVE MESSAGGIOQUEL GREVE MESSAGGIOQUEL GREVE MESSAGGIOQUEL GREVE MESSAGGIO CHE LA MARCIA MONDIALE DELLA PACE E DELLA NON VIOLENZACHE LA MARCIA MONDIALE DELLA PACE E DELLA NON VIOLENZACHE LA MARCIA MONDIALE DELLA PACE E DELLA NON VIOLENZACHE LA MARCIA MONDIALE DELLA PACE E DELLA NON VIOLENZA
PORTA CON SE'PORTA CON SE'PORTA CON SE'PORTA CON SE'
Memory day...per ricordare!
Il 19 novembre abbiamo assistito alla diciasset-tesima manifestazione del “Memory Day”, orga-nizzata per ricordare tutti coloro che sono rimasti vittime del terrorismo, della mafia, del dovere e di ogni forma di criminalità. Si è svolta al Teatro Toniolo, colmo di studenti
di varie scuole. Numerosi erano anche i parenti delle vittime giunti da tutta Italia. Luana Zanella – assessore alla Produzione Cul-
turale del Comune di Venezia e organizzatrice dell’evento – è intervenuta assieme ad altri per-sonaggi di rilievo quali il sociologo e scrittore Gianfranco Bettin, il direttore de ‘La Stampa’ Ma-rio Calabresi, il capo della Polizia Antonio Manga-nelli, il sottosegretario al Ministero degli Interni Alfredo Mantovano e il deputato Rosa Villecco Calipari (vedova dell’agente del SISMI ucciso in Iraq nel 2005). Hanno tutti ricordato le azioni che eroi italiani hanno compiuto per lottare con-tro terrorismo e malavita organizzata, anche in
IL CAMALEONTE marzo 2010
9 Finestra sul mondo
Il danno certo non si limita a que-sto: sono in costruzione enormi caserme, depositi e infrastrutture varie che serviranno a contenere un arsenale spaventoso come 55 tank, 85 veicoli corazzati, 14 mortai pesanti, 40 jeep, 2 aerei spia telecoman-dati e 2 batterie di artiglieria do-tate di razzi.
Tutto ciò avrà un enorme impatto ambien-tale, urbanistico e sociale, ed è da qui che è nata una presa di coscienza cre-scente sui danni prodotti dalla pro-gressiva militarizzazione del terri-torio da parte dei cittadini che, in-dignati per la totale mancanza di trasparenza e partecipazione, si sono riuniti in un movimento che
esprime il suo dissenso attivamen-te con convegni informativi, azioni legali, proteste pubbliche.
Se in qualcuno, una volta letto questo articolo, rinascessero
stimoli interiori dettati dal buon senso, sappia che, irrimediabil-mente perso il bellissimo corteo dell'8 Novembre, ha ancora la pos-sibilità di riscattarsi partecipando alla Campagna organizzata dall'Associazione 5 Ottobre - No
Dal Molin "Un metro quadro per la pace" che mira a raccogliere i mezzi finanziari necessari per rea-lizzare la volontà popolare espres-sa con il referendum cittadino del
5 Ottobre 2008. La Campagna mira all'acquisto dell'are-a dell'ex aeroporto Dal Molin, delle aree confinanti con lo stesso e delle aree non più utiliz-zate dal demanio militare in Vicenza e provincia. La durata della Campagna è limi-tata, per poter pro-
cedere a una verifica in tempi utili: iniziata il 2 Giugno, si concluderà il 30 Settembre 2010.
Irene Favalli
cambio della loro stessa vita . Ha introdotto l’evento Massimo Cacciari – sin-
daco di Venezia – che ha invitato tutti a non di-menticare, perché il ricordare è l’unico modo che permette di non commettere nuovamente gli stessi errori. La parte più interessante è stata ascoltare le
testimonianze di parenti, amici e colleghi di alcu-ne vittime. E’ intervenuta, con nostra gran sor-presa, Laura Taliercio, una nostra coetanea che ci ha raccontato commossa la storia del nonno, Giuseppe Taliercio, rapito nel 1981 e ucciso dopo 46 giorni di prigionia dalle Brigate Rosse. Ciò che amareggia Laura è che suo nonno sia oggi ricor-dato con un semplice palasport. Altra vittima ricordata è stata il commissario
Alfredo Albanese – vicedirettore della Digos – morto sempre per mano delle Brigate Rosse il 12 maggio 1980, proprio mentre erano in corso le indagini sull’assassinio di Sergio Gori, altra vitti-ma del terrorismo di quel periodo. Il figlio di Al-banese, nato dopo l’omicidio del padre, ha tocca-to tutti nel cuore definendosi “il figlio della mor-te”. Un nostro coetaneo, studente del Morin, salito
sul palco, ha fatto notare come la morte di alcuni eroi delle Forze dell’Ordine sia avvenuta proprio in luoghi in cui, ignari della loro triste storia, pas-siamo ogni giorno.
L’evento del Memory Day, per quanto toccante e importante per non dimenticare le ingiusti mor-ti di molti italiani, ci è tuttavia risultato noioso e complessivamente poco coinvolgente, forse più adatto ad un pubblico adulto che l’avrebbe sicu-ramente apprezzato molto. Inoltre l’evento è sta-to troppo lungo e l’attenzione è andata sceman-do nel corso delle eccessive quattro ore di durata prive di intervallo, tanto che quasi tutti gli stu-denti hanno lasciato il teatro durante l’assegnazione dei premi, un gesto sicuramente poco rispettoso ma che ha messo in evidenza la noia accumulata, anche perché i tempi erano mal distribuiti in quanto la parte interessante è stata solo l’ascolto delle testimonianze (durate nem-meno un’ora). Terminiamo spe-
rando che l’anno prossimo si svolga in modo diverso, più toccante.
Eleonora Marangon, Elena Viggiani, Ire-ne Zuin
Massimo Cacciari
IL CAMALEONTE marzo 2010
10 Q ualche idea in più...
...leggendo.
“Niente e così sia” è un reportage di guerra, espres-
so in forma di diario, realizzato e integrato sulla base dei
resoconti di interviste ed episodi vissuti da Oriana Fallaci
stessa raccolti in una serie di quaderni durante tutto
l’ultimo anno della guerra in Vietnam, nel 1967-68, che lei
trascorse proprio “in prima linea” tra marines e vietcong.
L’intera opera è dunque un fedele e –spesso dalla critica
giudicato- spietato rapporto sulle condizioni del Vietnam di
allora, spezzato tra aviators e marines gonfi di principi di
democrazia ma lacerati dal terrore di morire, e, sul fronte
opposto, truppe di vietcong recidivi e troppo fedeli al loro
ideale di libertà per arrendersi di fronte
al rischio di morire; in cui si protrae un
conflitto ormai degenerato che fa emer-
gere le meschinità di personaggi ambigui
asserviti a istituzioni che disprezzano per
realizzare ideali in cui credono, sullo
sfondo di una Saigon rossa del sangue
dei suoi figli caduti e del fuoco dei bom-
bardamenti che la devastano.
Oriana Fallaci intraprese questa
spedizione in veste ufficiale di giornalista
per rendere partecipe la società occiden-
tale - qualora fosse possibile - delle atro-
cità di questo conflitto, e, pur tuttavia,
questa “avventura” acquisisce quasi i
tratti di un mezzo per ottenere una ri-
sposta esauriente alla domanda esisten-
ziale che la sua sorellina Elisabetta le ha
posto, con ingenuità disarmante, prima
della partenza per il Vietnam, ovvero “Che cos’è la vi-
ta?”.Così, solo penetrando nel contesto della guerra, dove
quest’ultima diviene sinonimo di morte e la vita, invece, il
suo opposto speculare ineffabile, la giornalista aspira a
trovare un senso a questo quesito.
Il motivo della guerra risulta infatti ricorrente nel
destino dell’uomo che tende a imporre la propria volontà
secondo criteri che offendono equità e giustezza e, poiché
un conflitto comporta la scomparsa di creature ignare delle
cause del loro destino, allora la riflessione verte sulla legit-
timità del conflitto cui gli Americani hanno dato allora inizio
senza chiedersi se i principi della loro civiltà fossero univer-
salmente idonei a attuabili.
Gli Americani, trovandosi infatti di fronte ad un Pae-
se che li respinge con violenza o li sostiene solo per conve-
nienza e dipendendo da un esercito di soldati disillusi e
lacerati dal timore di morire, si configurano dunque come
usurpatori del diritto alla vita del Vietnam, contro, sulla
linea nemica, truppe di Vietcong serenamente rassegnati
all’imminenza di una morte conseguita per la realizzazione
di un ideale legittimo quale è la libertà, combattendo stre-
nuamente contro i “Titani” della Terra. La guerra, dunque,
come sinonimo di morte, risultando un sacrificio sacrilego e
insulso che strappa il futuro dei giovani figli d’Occidente e
calpesta le speranze dei difensori del Vietnam, degenera a
tal punto sia da un fronte che dall’altro, che non lascia più
spazio nello spirito della Fallaci-
testimone alla convinzione di una
speranza di redenzione per
un’umanità ormai degradatasi al li-
vello di bestia informe senza coscien-
za.
Avviene così una sorta di metamorfo-
si spirituale nella giornalista, che pas-
sa da una concezione lineare, pura,
radicale della guerra e di quanti la
sostengono, a una percezione distor-
ta, univoca, disillusa dell’abbietta
natura umana.
Solo quando la Fallaci rimane ferita
nella strage di Città del Messico
nell’ottobre del ’68 durante una ma-
nifestazione studentesca contro il
Regime Messicano, si rende conto
che la vita “ è qualcosa da riempire
bene, senza perdere tempo” e che non si può fare a meno
di amare un’umanità –o almeno una parte di essa- che pen-
sa, si mobilita, combatte per l’adempimento di un ideale
meritevole della dignità di cui i suoi difensori la onorano.
L’uomo infatti non è bestia informe proprio in quan-
to fornito di un intelletto che gli permette di compiere del-
le scelte di fronte alle quali si accolla responsabilità che le
Storia non dimentica né perdona e, se la guerra è una vio-
lenza biasimevole per principio causa la sua natura disuma-
na e impositiva, esistono tuttavia delle lotte che l’uomo
non si può permettere di rinnegare senza offendere la sua
dignità, rendendo così la sua breve esistenza intensa e frut-
tuosa quanto più possibile.
Suggerendoci, dunque, un atteggiamento saggio e
riflessivo verso la realtà del nostro tempo, la Fallaci con
Il Vietnam della Fallaci
Oriana Fallaci
IL CAMALEONTE marzo 2010
11 Qualche idea in più...
quest’opera in definitiva ci esorta a concedere speranza di
redenzione per ciascuno rispetti responsabilità e compia
scelte che ne siano degne e infine a individuare la nostra
vita come la migliore occasione per adoperarci in tal senso,
permettendoci di addivenire così all’obbiettivo ultimo di
ciascun individuo, che altro non è se non la ricerca del sen-
so della nostra esistenza.
Per questo “Niente e così sia” è un opera da leggere,
di questi tempi.
“ La vita cos’è, François?”
“Non lo so. Ma a volte mi domando se non sia un
palcoscenico dove ti buttano di prepotenza, e quando ti ci
hanno buttato devi attraversarlo, e per attraversarlo ci
sono tanti modi, quello dell’indiano, quello dell’americano,
quello del vietcong…”
“E quando l’hai attraversato?”
“E quando l’hai attraversato, basta. Hai vissuto. Esci
di scena e muori.”
“E se muori subito?”
“E’ lo stesso: il palcoscenico puoi attraversarlo più o
meno alla svelta. Non conta il tempo che ci metti, conta il
modo in cui lo attraversi. L’importante, quindi, è attraver-
sarlo bene”
“E cosa significa attraversarlo bene?”
“Significa non cadere nel buco del suggeritore. Signi-
fica battersi. Come un vietcong. Non lasciarsi sgozzare, non
addormentarsi al sole, non paralizzarsi nella puntura, non
chiacchierare e basta come fanno gli ipocriti e, tutto som-
mato, anche noi. Significa credere in qualcosa e battersi.
Come un vietcong.”
“E se sbagli?”
“Pazienza. L’errore è sempre meglio di nulla”
Pietro Della Sala
Autore Oriana Fallaci
Opera Niente e così sia
Edizione consigliata BUR, 2008, Milano (euro 7,00)
...al cinema.
Quando andai a vederlo, ero speranzoso fosse un film storico e non la classica americanata pseudo-storica; ahimè Renzo Martinelli si è avvalso di fonti poco attendibili (il consulente storico della pellicola è laureato in economia) e ha creato una pellicola a sfondo leggendario con elementi talvolta eccessiva-mente fantastici. Fortuna che l’erudito Franco Cardi-ni, professore di storia alla Sapienza di Roma, e tanti altri volonterosi conoscono bene la storia e ce la ri-cordano; sebbene tenti il vero storico, Martinelli la infarcisce di elementi non provati o addirittura irreali come profezie o giovani veggenti. Così il film, ambientato nel XII secolo, che avrebbe dovuto narrare la calata nel nord Italia di Federico Barbarossa, diventa un chiaro messaggio che l’amico del regista, il sig. Umberto Bossi, vuole trasmettere: la Padania è stanca della centralità romana (in que-sto caso germanica). Federico in realtà voleva riportare alla normalità i suoi domini: i Milanesi infatti avevano ripetutamente aggredito i comuni vicini che avevano allora invocato il suo aiuto. Nel film questa parte passa in secondo piano, mettendo invece in primo l’avidità e la traco-tanza dei Tedeschi. Be’, nulla di male che i comuni lombardi volessero l’indipendenza dallo straniero germanico, che effetti-vamente era straniero, ma quando questo aspetto diventa un messaggio subliminale per ottenere l’indipendenza dall’Urbe (neanche parlassero una lingua diversa da noi i Romani!) è inaccettabile: piut-tosto si dica chiaro e tondo che al signor Bossi da
fastidio pagare qualche migliaio di euro in più (sui milioni che guadagna!) a Roma. Paladino della Lega è allora Alberto da Giussano, un “giovin lumbard” che, stanco degli abusi imperiali, sarà per tutto il film il nemico giurato del Barbaros-sa; dal punto di vista storico la sua esistenza è dub-bia dato che il suo nome comparirà solo nel 1350 dalle cronache d’un monaco. Leggendario è anche quel giuramento di Pontida tra i comuni indipenden-tisti, non pienamente attestato, anzi è più probabile sia stato pronunciato a Bergamo. Per addolcire un po’ la storia da rozzi e guerreschi “lumbardi”, il regista ha aggiunto anche l’amore tra-vagliato tra il Milanese e la contadina Eleonora, ma le troppe visioni paranormali di questa rendono que-sto rapporto un po’ noioso e la pellicola più lenta. La scena più attesa del film, la battaglia di Legnano, mi ha deluso più di tutto: certo come battaglia fu più una scaramuccia ma nel film è quasi una rissa tra ultras, già i combattenti reali furono pochi, il regista li ha ancora ridotti. Pure lo svolgimento è stato lar-gamente rimaneggiato: innanzitutto lo scontro fu quasi casuale e non programmato dai Lombardi, né l’esercito di Barbarossa era di soli cinquecento cava-lieri ma quasi il sestuplo, più trecento fanti. I Lom-bardi invece non combatterono mai su carri con falci e forconi ma appiedati e solo dopo arrivarono i cava-lieri della Compagnia della Morte. Almeno l’esito del-la battaglia è stato rispettato. Alberto da Giussano, da sempre pilastro dell’unità d’Italia e di lotta anti-crukka, si starà rivoltando nella tomba vedendo i suoi compatrioti utilizzarne l’immagine per separarsi dall’Italia e magari preferire la dominazione austriaca come i Sudtirolesi. Cari lettori, sebbene vi siate fatti ormai un’idea ne-gativa del film, vi esorto a vederlo: se non altro ri-passerete un po’ di storia. Quella che andrete a leg-gervi per conto vostro, incuriositi dalla verità.
Edoardo Cecchinato
Barbarossa, il Braveheart all’italianaBarbarossa, il Braveheart all’italianaBarbarossa, il Braveheart all’italianaBarbarossa, il Braveheart all’italiana
mutilato dai leghistimutilato dai leghistimutilato dai leghistimutilato dai leghisti
IL CAMALEONTE marzo 2010
12 sperienze
"Buona sera, cosa le servo?” "Non lo so, che c'è?" (con il menù davanti) "Beh, siamo in una birreria, forse...qualcosa da bere?" "Ah...va bene." "Va bene?" "Sì" "Va bene, cosa?" "Qualcosa da bere!" "Sì, ma cosa da bere?" (ricordo il menù, proprio lì, davanti a lui) "Non so, che c'è?"
...
Ho iniziato a lavorare come cameriera lo scorso Ago-sto, senza particolare entusiasmo da parte dei miei e fin troppo da parte mia, caricata dal fatto che questa sarebbe stata la mia prima attività la-vorativa “ufficiale”, con contratto e paga regolare... ragazzi, che soddisfa-zione. Mio padre si era immediatamente
adoperato per dissuadermi dall'impresa ed il suo discorso lo ricordo fin troppo bene: “I primi giorni accuserai un po' di
dolore alle gambe, causato dallo stare in piedi molte ore, tu dici che ti ci abi-tuerai? ebbene no, non ti ci puoi abitu-are, il cameriere e' un mestiere tosto! devi sempre mangiare prima di iniziare a lavorare, assolutamente! Dovrai comprare delle scarpe da ginnastica decenti (poiché le mie vecchie All Star, oltre a non essere scarpe da ginnastica ad opinione dei più, sono state messe a dura prova dagli ormai cinque anni di educazione fisica, nonché dagli appunti del buon professor Craighero che tut-
tora sostiene che quelle non siano scarpe da ginnasti-ca) e dovrai sempre essere col sorriso in faccia, mai chiedere mance, tanto nei pub non si fa mai caso a queste cose e dovrai sempre essere rispettosa del ga-lateo, e dovrai sempre badare a non toccare mai il cibo e tenere sempre le dita a bordo bicchiere e bordo piatto! mai dentro! Il dopo sera sarà durissimo e poi come mestiere non e' mai stato granché, quello del cameriere! si lavora specialmente di sera, tutti i giorni! (sapeva benissimo che la cosa mi avrebbe impegnata solo il sabato) e poi, Elena, per tutta la vita, tu hai voglia di fare la cameriera? Senti la necessità di farlo? tutti i tuoi giorni dalle 19.00 alle 2.00 di notte, ti svegli alle 11.00 del mattino e 7 ore dopo di nuovo a lavora-re? anche a Natale Pasqua Ferragosto Capodanno?? Ne vale la pena?! Ti assicuro di no...Studia!!!”
Avendo preso appunti, il primo gior-no ho stupito non poco i miei datori di lavoro. Avevo delle splendide scarpe da ginnastica nuove di pallino, sorride-vo alla meglio, non domandavo mance, perfettamente in linea con le regole del galateo, mai un dito ha toccato l'interno del piatto e/o di un bicchiere... tuttavia, siffatta perfezione durò alla bellezza di 135 minuti. Dopo di che, le gambe cominciaro-no a chiedermi se ero impazzita, le scarpe da ginnastica a pesarmi co-me macigni, il sonno a farsi sentire e le lancette dell'orologio a rallenta-re in maniera totalmente inspiega-bile. E dunque ecco come si concluse la serata: all'una e un quarto mi ad-
Al “Distributore”
IL CAMALEONTE marzo 2010
13
dormentai cambiando le salviettine dei tavoli, un lavo-ro che si fa da seduti ed in tutta tranquillità. Mi ha svegliò Luca (datore di lavoro, Elena, gran bella figu-ra) dicendomi che se avessi voluti avrei potuto andare a casa e che le prime volte è sempre così. Mah, sarà... So solo che, secondo me, qualche
“sghigna” alle mie spalle se l'è fatta, eccome! Il lavoro della cameriera insegna la pazienza, ma
non solo, da quanto lavoro alla paninoteca/birreria “al Distributore” ho imparato che il primo mito da sfatare, in questo mestiere, è certamente quello che vede il cliente sempre dalla parte della ragione. E' chiaro che non si può sfracellare il vassoio con le sei birre medie ordinate in testa al cliente che sostiene di volere più schiuma, o legare stretti i bambini urlanti alle gambe del tavolo, infilando loro in bocca uno dei due toast che ti hanno fatto cadere di mano prenden-doti a calci da quando fai il tuo ingresso in sala (ho scoperto che certi bambini sanno essere davvero ado-rabili) e men che meno congetturare a quelle arcana tortura cinese destinare il cliente che con occhio sec-catissimo ti squadra dalla testa ai piedi, tu con il tuo povero blocchetto in mano, chiedendoti “e tu cosa vuoi?” ( in tal caso ho pensato “vossignoria occupa due tavoli ed è da solo, no aspetta, potrebbe essere che aspetti un amico. E qui da ventidue minuti e non ha bevuto/mangiato niente e credo di aver appena inteso che non desideri ordinare. Magari aspetta il suo amico...”) e così, gentilmente, mi permetto. “Posso tornare dopo se vuole...aspetta qualcuno?” “Senti, bambina, perché non torni al banco e ti fai i
picchi tuoi?” A parte il fatto che non ha propriamente detto
“picchi”... ricordo che Luca (datore di lavoro, brava Elena...) quella volta mi parlò a lungo di pazienza, ca-pacità di sopportazione, educazione formale, perché non era possibile che una cameriera rispondesse ad un cliente “E perché invece lei con i suoi picchi non se ne torna a casa invece di occupare due tavoli che di là aspettano?”
Sospetto di aver rischiato il licenziamento, quella volta. Forse Luca (datore di lavoro, anima pia) ha calcolato
che essendo solo il terzo giorno che me stavo lì, pote-va anche darmi un' altra possibilità e così è stato, fin ora tutto bene. Al sesto mese di lavoro, sono arrivata ad una discre-
ta velocità ed organizzazione e, cosa più importante di tutte ho conosciuto come si deve i clienti storici del banco: Andrea, Mitia, Michele, Rebby... sono persone meravigliose e parlare con loro è sem-
pre un piacere. I miei, d'altro canto stanno un po' raggiungendo un
certo apice di sopportazione. Sospetto che non si abitueranno mai a vedermi tor-
nare alle tre meno un quarto (esatto, vedermi tornare, perché per quante volte io abbia insistito, mia madre non c'è sera che non mi aspetti sveglia e quell'unica volta che si è addormentata la mattina dopo mi ha fatto il cazziatone perché non l'avevo svegliata) so-spetto che quel “Non ne vale la pena... studia!” che mio padre ripete ogni domenica mattina quando mi vede mescolare eternamente il latte con due occhiaie da paura fissando con insistenza il termosifone, mi darà il buongiorno per molte altre mattine, ma di una cosa sono certa: la scelta di questo lavoro è stata di-versa rispetto a quelle passate, per come mi sono am-bientata, per come sono riusciti a farmi sentire a mio agio, perché ho scoperto che è bello incontrare com-pagni di classe o amici ai propri tavoli, sapere di esse-re liberi a sufficienza per sedersi un po' con loro a par-lare tra una birra e l'altra, da ogni angolo del piccolo ambiente del “Distributore” trapela familiarità e sebbe-ne persistano bambini molesti e adulti maleducati non mi pesa la scelta di perdere il sabato sera per indossa-re quel buffo grembiulino rosso dalle mille tasche.
Elena Griggio
Esperienze
IL CAMALEONTE marzo 2010
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Due poesie
Le stelle
Una sera buia
camminavo per strade zigzagando
alzai gli occhi al cielo …
le stelle
sembravano perle cadute per terra,
sembravano punti in un foglio bianco,
sembravano … ma erano stelle.
Il fiore
La vita è come un bellissimo fiore,
che da un seme nasce,
cresce pian piano splendente
e poi muore
lasciando alla terra i suoi semi.
Irene Zuin
iamo
creativi
Periodico del Liceo Ginnasio Statale «Raimondo Franchetti» Docente responsabile: Maria Angela Gatti
Corso del Popolo, 82 - 30172 Mestre (VE) tel.: 041/5315531 www.liceofranchetti.it/index.php?pagina=camaleonte