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TRIMESTRALE DI ARTE, SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

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TRIMESTRALE DI ARTE, SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO

Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

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IN QUESTO NUMERO:

Editoriale, La memoria breve p. 3

F. Ferrajoli, Sul colle di Monterone p. 4

E. Aloja, Il culto del Carmelo a Napoli p. 5

E. Notarbartolo, L’Afrodite di Taranto p. 8

E. Barletta, Il dialetto napoletano p. 10

A. La Gala, Ferdinando aveva Due Sicilie p. 14

O. Dente Gattola, La Certosa-Museo di San Martino p. 15

G. Belmonte, Ancora delle scrittrici della “NuovaItalia” p. 17

R. Salvemini, “Qui giace l’infelice Venosca” p. 23

F. Scozio, Francesco Mastriani p. 26

G. De Caro, Natale 1910 p. 27

A. Ferrajoli, La “lingua di bue” p. 29

M. Florio, La modernità del “Pasticciaccio” di Carlo Emilio Gadda p. 30

F. Lista, Eredità in bilico p. 33

“Carta di Procida - 2013” p. 36

S. Zazzera, «Dio è con noi». 2 p. 38

R. Pisani, E se fossimo noi napoletani a fareil miracolo a san Gennaro? p. 41

M. Piscopo, Carlo Croccolo p. 42

A. Grieco, Gennaro Di Vaio p. 43

Nico Dente Gattola, Napoli tra viceré e capipopolo p. 46

Pangloss, Napoletani protagonisti al PremioMasaniello p. 49

W. Iorio, Don Giuseppe Gabana p. 51

A. Di Corcia, Storia letteraria di una città p. 53

Libri & libri p. 55

La posta dei lettori p. 58

Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

Direttore responsabile: Sergio ZaZZeraRedattore capo: Carlo ZaZZeraRedazione: gabriella Diliberto,antonio la gala, FranColiSta, elio notarbartolo,MiMMo PiSCoPoPast-director: antonio Ferrajoli

Direzione, redazione, amministrazione:via g. Sagrera, 9 - 80129 napoli- tf. 081.5566618 - e-mail: [email protected]

Registrazione:tribunale di napoli, n. 3458 del 16 ottobre 1985

Fascicolo chiuso il 19 dicembre2019, pubblicato online ai sensidell’a. 3-bis l. 16 luglio 2012, n.103.

diffusione gratuita

In copertina:Ferdinando Ferrajoli, Capri, Villa Jovis

(ricostruzione)

https://www.facebook.com/ilrievocatore

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Editoriale

LA MEMORIA BREVE

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Emerge dagli studi di psicologia il dato secondo cui, col trascorrere del tempo,l’uomo è in grado di ricordare persone e fatti avvenuti in un’epoca alquanto

risalente, ma non pure quelli più vicini nel tempo; il che rassomiglia, in qualchemodo, a ciò che accade con la “memoria” dell’elaboratore elettronico, che ha unasua capacità predeterminata, raggiunta la quale, non è più possibile immagazzinarvi dati.Tutto ciò è, esattamente, l’inverso di quanto avviene in termini di memoria collet-tiva, nella quale i dati subiscono la cancellazione, a mano a mano che si va indietronel tempo: i sindaci intitolano strade a personaggi scomparsi anche soltanto qualchemese prima (il che sarebbe possibile, ai sensi della normativa vigente e in derogaal principio generale, soltanto all’esito di un ben preciso procedimento amministrativo), ignorando figure diprimo piano di un passato più remoto; la Chiesa eleva all’onore degli altari personalità (soprattutto pontefici)vissute in un arco di tempo non superiore al secolo, lasciando a “fare la fila” personaggi in odore di santitàvissuti nei secoli precedenti. Ed è innegabile l’incidenza che tali comportamenti esercitano sulla memoria in-dividuale, nel senso che l’omessa celebrazione di taluni soggetti – a onta del fatto che nella loro vita essiabbiano lasciato, forse anche in maniera inconsapevole e/o involontaria, una traccia – li lascia cadere neldimenticatoio, tra gli umani. Peraltro, l’esperienza insegna che la memoria di avvenimenti d’interesse collettivodura finché vivono i figli dei protagonisti. La terza generazione, infatti, tende – salvo rare eccezioni – a ri-muovere il ricordo, per una forma di disinteresse: l’esempio, forse, più evidente è quello della memoria collettivadelle Quattro Giornate di Napoli.Né si può trascurare l’incidenza esercitata sul fenomeno dai media, i quali selezionano i temi del passatoda riproporre, contribuendo, per tal modo, alla rimozione di tutto quanto si vuole che sia dimenticato, nonper un’oggettiva indegnità, ma per un tornaconto soggettivo.È per questo motivo che Il Rievocatore, prendendo le distanze da tali media, si pone, fra gli altri,l’obiettivo di attivare quella che può essere definita “memoria a lungo termine” o, anche, “memoria storica”,nel senso più appropriato della locuzione, riaccendendo la luce su figure e fatti del passato, senza alcun limitecronologico, così che la memoria dei lettori possa essere resa sempre meno “breve”. Saremo grati, anzi, aquanti, fra i lettori medesimi, vorranno segnalarci fatti e figure a rischio di cancellazione dalla memoria, so-prattutto se volessero scriverne essi stessi.

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Quando la verità non è libera, la verità non è vera.Jacques Prévert

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di Ferdinando Ferrajoli

Bisogna ricorrere all’immaginazione peravere un’idea di quello che doveva essere

l’altura chiamata Monterone, oggi occultatadalla nuova Università e dai vecchi palazzi chesi elevano nella sottostante regione di Porta-nova, ov’era un tempo la sinagoga degli ebrei.in questa pianura doveva sorgere la pinacotecadell’epoca greco-romana famosa per i suoimarmi e per la raccolta di pitture1, intorno allaquale si era venuto formando il borgo, il gin-nasio e l’ippo-dromo. in quell’epo-ca, da questo colle –che da via Mezzo-cannone prosegueper via dei tintorifino a quella di FerriVecchi –, si ammi-rava uno dei più stu-pendi e suggestivipanorami del golfoe, ai suoi piedi, sistendeva il mare col suo movimentato portoche tenne il dominio commerciale delle cittàmediterranee fino al sorgere di quello di Poz-zuoli, che lo superò in importanza e grandezzaallorché i Cesari, da roma, vennero a soggior-nare nei Campi Flegrei.Vi erano raccolte opere architettoniche così im-portanti che Fabio giordano, nel manoscrittoconservato nella biblioteca nazionale, dopoaver illustrato alcuni portici dell’antica napoli,decanta e descrive quello di Monterone qualeil più incantevole per bellezza, per eleganza dilinee e per l’incanto del sito.

Sull’altura sorgeva il Praetorium civitatis, lasede, cioè, del magistrato della città. giovanniDiacono ci tramanda che teodonanda, vedovadel console antonio, duca di napoli (800-817).Fece del suo palazzo un monastero di Verginie vi pose quale badessa una sua nipote cum an-cillis Dei, intitolando al nome dei SS. Marcel-lino e Pietro (nella foto).Per ordine di attanasio ii, vescovo e Duca dinapoli, nel iX secolo l’abate acculsio costituì,

sul Monterone, uncenobio sotto la re-gola di S. benedettenel 1490 i monaci,su disegno dell’ar-chitetto fiorentinogiovanni Morman-no, elevarono al suoposto una chiesa edun monastero colcontributo di al-fonso i d’aragona,

che elargì quindicimila scudi, e di troianoMassamormile, che assegnò ai monaci una ren-dita annua di cinquecento ducati.__________1 la Pinacoteca che fu descritta da Filostrato contenevauna cospicua raccolta di tavolette dipinte che rappresen-tavano soggetti mitologici come nettuno, la nascita diMinerva, Fetonte, Pelope e ippodamia, Perseo, achille,aiace di locri, anteo, ercole fra i pigmei, ercole fu-rioso, soggetti storici che rappresentavano la nascita diPindaro, temistocle fra i Persiani, soggetti geograficicome il nilo, il bosforo, tessaglia, Dodona, ecc.

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SUL COLLE DI MONTERONE

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IL CULTO DEL CARMELO A NAPOLI

di Ennio Aloja

1. Un’edicola votiva alla Madonna del Car-mine nel cuore dell’Arenella.tracce di siti monastici, cappelle gentilizie,edicole votive, la prima parrocchia collinare,un’arciconfraternita settecentesca, antichestrade percorse dalle processioni del risorto edella Madonna del Soccorso: il cuore dell’are-nella custodisce un inestimabile patrimonio difede. Memorie marmoree di grazie chieste e ri-cevute ed un misticismo corporeo totalizzante,catartico e penitenziale, testimo-niano la continuità di una pietàfamiliare e comunitaria che haattraversato secoli di storia pa-tria e che si proietta, con forza,nel terzo millennio.la nostra ricerca sulla devo-zione alla Madonna del Carmineha preso il via proprio nel e dalcuore del quartiere. «affinché ifedeli trovino la pace ed il ri-storo dell’anima nella pre-ghiera»: l’epigrafe novecen-tesca, fatta incidere sul marmodalla famiglia ioime, invita icredenti ad alzare lo sguardo per contemplarela più antica immagine della “Mamma bruna”.l’edicola è sita lungo l’antica via arenella, al-l’inizio del suo tratto terminale che, nellanuova toponomastica collinare, dal 1959, ri-corda il giurista alfredo rocco.la napoli negata e dolente, da secoli, con af-fetto e devozione filiale, implora grazie vol-

gendo lo sguardo alla “Mamma bruna” aMaria Decor Carmeli. Spazio sacro, testimo-nianza di un intimo rapporto d’amore con laregina del Cielo, di una logica del cuore irri-ducibile ed alternativa al freddo e cinico razio-nalismo contemporaneo, quest’edicola, illu-minata notte e giorno, adorna di fiori, è attual-mente custodita da antonio brandi, animatoredella devozione mariana del quartiere.Dal cuore dell’arenella ora Maria ci guida alla

ricerca dell’origine del suo cultoin terrasanta come Decor Car-meli.

2. L’origine monastica delculto a Maria, Decor Carmeli.l’europa cattolica altomedie-vale anima un ininterrotto pelle-grinaggio, in terrasanta, ailuoghi che videro la predica-zione, la passione, la morte e larisurrezione di gesù Cristo.Quando l’islam integralista eguerriero, teso alla conquista diterritori sempre più vasti, impe-

dirà i pellegrinaggi cristiani sarà la volta delleCrociate. oggetto, ancora oggi, di studi edorientamenti divergenti, anche all’interno dellacristianità, esse, nella magmatica convivenzatra monaci e cavalieri, hanno testimoniato lucied ombre di un’europa feudale, realmenteunita, che ha lasciato tracce indelebili in Pale-stina.gli storici collocano l’origine del culto a

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Maria, Decor Carmeli, nel Xii secolo, altempo della terza Crociata e del regno latino digerusalemme. Sul Karm-el, il giardino di Dio,furono vissute profonde esperienze mistiche le-gate a Maria. il monte del Carmelo o del Car-mine, distante circa trentachilometri da nazareth, il villag-gio della galilea dove nacque evisse la Madonna, fu eternatodalla presenza del profeta elia e,nella simbologia ebraico-cri-stiana, ha rappresentato un sitoesemplare di preghiera edascesi.gli eremiti, originari delle na-zioni europee che diedero vitaalla terza Crociata, elesseroMaria, la madre del redentore,dell’ecumene cristiana, a loropatrona. a Maria, Decor Car-meli, puro ideale di santità, venne dedicata unachiesa e gli eremiti avevano un’icona verso cuivolgere lo sguardo durante i vari momenti dipreghiera e contemplazione. la prima regolacarmelitana, risalente al 1206, redatta da al-berto degli avogadro di Vercelli, delegato pon-tificio in terrasanta, fu riconosciuta da papaonorio iii, favorevole ad un monachesimo im-prontato alla povertà ed alla radicalità evange-lica.

3. L’approdo dei carmelitani nel borgo delMoricino nella Napoli del XIII secolo.l’inarrestabile avanzata dell’islam in terra-santa costringe gli eremiti ad abbandonare ilmonte del Carmelo. Salpati da San giovannid’acri, i carmelitani ritornano nelle nazioni eu-ropee di partenza recando un inestimabile te-soro di spiritualità mariana.

l’approdo a napoli, databile intorno alla metàdel Xiii secolo, avviene, ad oriente della città,sul litorale del borgo del Moricino, così deno-minato perché sorto fuori dell’antica mura-zione greco-romana. agli eremiti viene affidata

la chiesetta di San nicola, dovecollocheranno la più anticaicona di Maria, Decor Carmeli(foto n. 1). Una millenaria tradi-zione popolare, che accomuna ifedeli d’oriente e d’occidente,attribuisce all’evangelista luca,medico e pittore eccelso, sia lapaternità della Salus populi Ro-mani, sia dell’icona della Ma-donna del Carmine che ancoraammiriamo dietro l’altare mag-giore del santuario a lei intito-lato nel cuore della napoliangioina (foto n. 2).

Dipinta, a tempera, su di una tavola rettango-lare alta un metro e larga ottanta centimetri,l’icona, di chiara matrice bizantina, custodisceun profondo messaggio teologico. il dipinto,infatti, coniuga i due modelli iconografici ma-riani più diffusi nella cristianità d’oriente, perconnotare la maternità verginale di Maria e ladivinità di gesù infante. la Madonna è raffi-gurata sia come glycophilousa, Madre imma-colata che regge con la sinistra il Figlio divinoe che accosta, dolcemente, teneramente, ilvolto a quello di gesù bambino, sia come Ody-ghitria, la Theotokos che indica, con la lectiodigitorum della destra, il Salvatore, via, veritàe vita dell’umanità. il messaggio teologico ècompletato dalle aureole della Madonna e delPargolo divino, simbolo della santità, dallastella con coda pendula sul manto di Maria,emblema della maternità verginale, e dalla tu-

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Dal 16 settembre al 20 ottobre scorsi, il Refettorio di San Dome-nico Maggiore ha ospitato la seconda edizione della rassegna d’arte“IL SENSO DEL SACRO”. Fra gli artisti che hanno partecipato, segna-liamo il nostro redattore Franco Lista (nella foto la sua opera) e gliamici di questa testata, Carlo Cottone, Fortunato Danise, , GiovanniFerrenti, Luciana Mascia, Maria Petraccone ed Elena Saponaro.

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nica purpurea del bambino gesù, segno dualedella regalità del Figlio di Davide e del sangueversato dall’Agnus Dei per la remissione deinostri peccati.

4. Napoli devota alla Madonna del Carmine.al di là degli omaggi regali, aristocratici ed al-toborghesi della napoli angioina, aragonese,ispanica, asburgica, borbonica e sabauda, la ri-cerca, in estrema sintesi, ha inteso sottolinearela centralità della devozione degli ultimi, delpopolo “basso” alla Madonna bruna. «evan-gelizzare e farsi evangelizzare dalla pietà po-polare»: da tempo abbiamo fatto nostro untema scottante, ampiamente dibattuto in un in-teressante convegno padovano in cui si sonoconfrontate tesi spesso divergenti.il richiamo alla devozione mariana del cuoredell’arenella ed all’origine monastica del cultotributato alla Madonna, Decor Carmeli, è at-tualissimo. occorre, infatti, coniugare il mille-nario magistero della Chiesa ed una pietaspopolare animata, spesso, da manifestazionicultuali e culturali palesemente precristiane.

Solo un approccio empatico può aprirci allacomprensione del misticismo corporeo totaliz-zante dei fujenti e dei portatori di toselli, statuee stendardi nelle processioni organizzate dallearciconfraternite e dalle unioni cattoliche ope-raie della città. Solo chi ha condiviso alcuneespressioni di fede, nel santuario di piazza delCarmine, può comprendere la misteriosa ed an-cestrale relazione diretta con la Mamma bruna. Maronna d’’o Carmene miettece ‘a mana toja,famme ‘sta grazia! Quante volte quest’accoratainvocazione è stata iterata nei secoli. È soprat-tutto la napoli dei vicoli, dei fondaci, la napolinegata e dolente peccatrice e, in parte, redenta,ad affidarsi totalmente alla Mamma bruna.Quante lacrime, quante grazie chieste colcuore, quanti ex-voto. la novena, il triduo dimetà luglio, le luminarie, lo sfoggio orgogliosodegli scapolari, le recite, a voce alta, del rosa-rio, il simulacro dell’incendio del campanile…: èquesta la napoli devota alla Madonna del Car-mine.

Splendido pomeriggio di musica e di letteratura,domenica 6 ottobre, nell’accogliente Sala delle con-ferenze della chiesa di Santa Maria delle Grazie, aSoccavo, con l’intenso ed a volte commovente Re-cital della poetessa e scrittrice Concetta Coccia, sultema delle appassionanti ed intrecciate vite di Eli-zabeth Barrett e Robert Browning.Molto brillante la presentazione dell’avv. Renato

Angelone, il quale è riuscito a divertire il folto pubblico (folto a dispetto della concomitantepartita di calcio) con il suo fine ed immancabile humour!Applausi a scena aperta non solo per loro due, ma anche per il violinista, maestro CiroFormisano, il quale, reduce da concerti tenuti a Vienna, ha eseguito bellissimi brani musicali,scelti ad hoc per intervallare gli squisiti brani poetici. Nell’ultima parte del programma, la poetessa Coccia, sfoggiando un’eccellente memoria,si è esibita in un intenso e commovente monologo, tratto dal famoso dramma Zio Vanja(1896-97), una delle opere più importanti ed apprezzate di Anton Cechov.Una Serata, dunque, senza meno riuscitissima e coronata da gustosissimi dolcetti fatti incasa, bevande, caffè, etc. predisposti dall' inossidabile parroco padre Francesco Scherillo,per la sua mole e per la sua indole soprannominato dai fedeli «il Gigante buono».Io, grazie a Dio, sono stato presente alla serata e me la sono goduta pienamente. Se mai siapossibile... dico: ad maiora! (Aldo Cianci)

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L’AFRODITE DI TARANTOE LA CONTESSA CHE SI FECE REGINA

di Elio Notarbartolo

Gli antichi greci hanno sempre preso ingiro i tarentini per quella dea afrodite

che essi veneravano a taranto (foto n. 1): la suaimmagine, contrariamente a quanto succedevain tutta la grecia, non aveva belle membraesposte a suscitare la cupidigia amorosa degliuomini, ma erano racchiuse dentro marzialiarmi da guerra.lazzi, epigrammi e battute comiche hanno ac-compagnato la storia di taranto,dalla sua fondazione, circa 400anni prima di Cristo, al rinasci-mento, 1500 anni dopo Cristo.Perché questa Venere guerriera?Perché le donne di Sparta che poivennero a formare la colonia ditaranto, dovettero difendereSparta, prima dai Messeni chesapevano che gli Spartani sta-vano assediando proprio Mes-sene, e poi dagli Spartani stessiche erano venuti in loro soccorsoma non le avevano riconosciutesotto le corazze e gli elmi diguerra.Questa afrodite di taranto deve aver molto in-fluenzato la contessa di lecce, Maria di en-ghien (foto n. 2), che aveva sposato il principedi taranto, raimondo orsini, un grande guer-riero e il più potente feudatario del regno di Si-

cilia (il regno di napoli continuava a chiamarsiregno di Sicilia).alla morte del marito, raimondo orsini, il reladislao pensò che fosse facile conquistare ta-ranto e i suoi dintorni: mandò un esercito aprenderla, alla guida di alberico da barbiano,uno dei più rinomati capitani di ventura.il capitano fu sventurato perché la contessa simise alla testa dei tarantini e sbaragliò l’eser-

cito dei napoletani per ben duevolte.ladislao pensò di prendere ta-ranto dal mare, ma anche sulmare i tarantini e Maria di en-ghien impedirono l’ingresso allacittà.ladislao allora organizzò unesercito ancora più potente, pen-sando così di terrorizzare taran-tini e contessa: niente da fare.il re allora fece portare sotto lemura di taranto uno dei primis-simi cannoni che riuscì ad aprireun varco nelle mura. Quandoperò i soldati di ladislao si preci-

pitarono attraverso quella breccia, trovarono dinuovo i tarantini, per nulla spaventati, che, coni loro archi, fecero strage dei soldati che incau-tamente erano venuti avanti.addirittura i tarantini guidati dalla contessa e

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da un suo congiunto, uscirono fuori le mura eattaccarono l’esercito assediante e inflisserouna dura lezione al duca d’atri che comandavai napoletani che perse molti dei suoi soldati ese ne tornò a napoli.ladislao non poteva permettersi di subirel’onta di una sconfitta sulcampo da una donna. Sì, vabene, la tradizione della afro-dite guerriera è universalmenteconosciuta come patrimonio ditaranto, ma il re di napoli è ilre di napoli!Passato una anno, eccolo dinuovo sotto le mura di tarantocon 7.000 cavalieri e un numeroesagerato di fanti, sette navi pe-santi e sei galere, assedio permare e per terra. niente da fare.Si spendevano solo denari etempo: taranto non cedeva e ilre era allo stremo delle risorseeconomiche.l’idea vincente venne ad un barone napole-tano, gentile di Monterano: e se il re ladislaochiedesse la mano di Maria di enghien? lei eravedova, lui era vedovo di Costanza di Chiaro-

monte e aveva lasciato Maria di Cipro: formal-mente non c’erano ostacoli.Furono aperte le trattative, prima segretamente,poi ladislao mandò alla contessa il suo anellodi fidanzamento: una fede di oro massicciotempestata di rubini. tre giorni dopo il re si

presentò alla porta di tarantocon il suo seguito vestito afesta. Maria lo aspettò sullaporta: era tutta vestita di armee, in un catino d’oro, porse lechiavi della città. ladislao lepose sul cimiero una corona digemme. l’indomani, nella cap-pella di san leonardo si sposa-rono.«e non pensate che il re, unavolta avutavi nelle mani, vi puòmandare a morte?» le chieseuna delle ancelle più fidate.«non me ne curo, risposeMaria, ché, se moro, moro re-

gina» le rispose Maria d’enghien.e fu regina di napoli: trascuratissima dal ma-rito, ma regina.

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Il liceo vomerese “JacopoSannazaro” celebra que-st’anno il centenario della suafondazione. Nato, infatti,come “costola” del liceo“Vittorio Emanuele III”, nel1919, esso ebbe la sua prima

sede in via Morghen, nel palazzo che poi ospitò l’istitutomagistrale “Giuseppe Mazzini”. L’edificio che ne costitui-sce la sede definitiva (nella foto) fu realizzato soltanto nel1938, su una frazione di terreno distaccata dall’attiguaVilla Haas. Il Rievocatore, che annovera nella propria re-dazione ben quattro ex-sannazarini, porge le proprie fe-licitazioni all’odierno dirigente scolastico, prof. RiccardoGüll, e al corpo docente.

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IL DIALETTO NAPOLETANOgenesi e sviluppo

di Elio Barletta

Un’artrosi all’anca sinistra sovrapposta aduno strato di osteoporosi dai medici di-

chiarato “severo” mi ha condannato a mesi disofferenze inimmaginabili, poco confortatedalla consapevolezza di non essere giunto afine vita, ma ad una vita priva di senso. in viadi lenta ripresa, sono piacevolmente ricaricatodal desiderio di tornare agli impegni abituali,anzi di andare oltre*. Finora il mio contributo al Rievocatore haavuto come sfondo essenzialmente napoli. nelrimettermi all’opera mi prende – imprevista –la voglia di risalire alle origini, cioè al mezzoespressivo che per secoli ha accompagnato unintero popolo: il dialetto napoletano. bricioledi tassonomia – la tecnica della classificazione(in greco/latino: τάξις = ordinamento + νόμος= norma, regola) – dicono che quel dialetto, ilnapulitano, è una variante diatopica (ingreco/latino: δια = differenziazione + τόπος =luogo), precisamente una variabile sociolingui-stica legata alla diversa provenienza o posi-zione geografica di chi parla all’interno di unalingua. le altre varianti – diacronia, diastratia,diamesia, diafasia, riferite rispettivamente atempo, condizione sociale dei parlanti, mezzodi diffusione, situazione in rapporto, non sonopertinenti.l’espressione “dialetto napoletano” (napuli-tano) non è sinonimo di “lingua napoletana”,che invece è una variante diatopica del gruppo

italiano meridionale (diasistema ISO 639-3, co-dice nap) che Ethnologue: Languages of theWorld definì “lingua napoletano-calabrese”),una delle lingue romanze parlate a napoli e inaree della Campania non molto distanti dal ca-poluogo. il napulitano invece – detto anche“volgare pugliese” – fa parte di un gruppo didialetti diffusi nel centro-sud d’italia (abruzzo,Molise, lazio meridionale), i “dialetti ausoni”. la parziale sostituzione del latino si ebbe, apartire dall’unificazione delle Due Sicilie, perdecreto di alfonso i (1442). Successivamentere Ferdinando il Cattolico aggiunse alla sud-detta variante italoromanza-meridionale anchelo spagnolo, ma solamente come nuova linguadi corte. Un secolo dopo, il cardinale girolamoSeripando (1554) stabilì che nei documenti uf-ficiali e nelle assemblee di corte tutto venissesostituito dal “volgare toscano”, ossia, dall'ita-liano standard, usato poi come lingua ufficialedi tutti i regni e gli Stati italiani preunitari, finoai giorni nostri.Con l’avvento al trono dei figli di Ferdinandol’adozione a napoli del volgare toscano di-venne definitiva: è della seconda metà del XVsecolo l'antologia di rime nota come raccoltaaragonese, che lorenzo de' Medici inviò al redi napoli Federico i, in cui proponeva allacorte partenopea il “fiorentino” come modellodi “volgare illustre”, di pari dignità letterariacon il latino. il cardinale girolamo Seripando

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sancì (1554) che tale sostituzione rendesse lalingua ufficiale di tutti i regni e gli Stati ita-liani preunitari. Si destò di conseguenza un rinnovato interesseculturale per il volgare napoletano che, in let-teratura, fece da ponte fra il mondo classico edil mondo moderno, culture orientali e culturedell'europa settentrionale comprese. Spuntòl'“amor cortese”, termine creato dal criticofrancese gaston Paris (1883) – per indicare laconcezione filosofica, lette-raria e sentimentale del-l'amore all'epoca deitrovatori nelle corti proven-zali, in cui si sosteneva chesolo chi ama possiede uncuore nobile. Con la scuolasiciliana il platonismo si dif-fuse nella poesia occidentale,prevalse il tragicomico delletrame della Vaiasseide e diPulcinella, si accrebbe la tra-dizione popolare, le fiabe piùcelebri della cultura europeamoderna e pre-moderna fu-rono, per la prima volta initalia, raccolte in napoletano(da Cenerentola alla bella addormentata, allafigura del gatto Mammone). Si è ipotizzato che al napulitano abbia fatto dasostrato un idioma italico del ramo osco-umbro, parlato da tempo immemore dalle po-polazioni autoctone dell'italia centro-meri-dionale e ritrovato in iscrizioni a Pompei. Cer-tamente, sviluppatosi come vero e proprio lin-guaggio, subì per l’intero Medioevo influenzee prestiti dai vari popoli che governarono laCampania. le procurarono coloni greci, mer-canti bizantini del Ducato di napoli, duchi eprincipi longobardi di benevento, normanni,francesi, spagnoli. Quanto alla lingua di questiultimi le somiglianze in alcuni modi di dire(“tenere” e “stare” in luogo di “avere” ed “es-sere”) non devono ingannare; sono autonomeimportazioni dalla madrelingua latina. Pur-troppo la subalterna coesistenza con l’italiano– a sua volta condizionato dalla lingua di roma– impedì che il dialetto napoletano diventasse

una lingua ufficiale. nella fonetica dialettale varie caratteristicheportano ad un confronto con l’italiano, qui ac-cennate senza addentrarsi nei dettagli.le vocali non toniche (prive di accento) equelle in fine di parola non vengono articolatein modo distinto, tutte pronunciate con unsuono centrale che i linguisti chiamano schwae che nell'alfabeto fonetico internazionale ètrascritto col simbolo /ə/ (come la e semimuta

di petit). in mancanza di convenzioniortografiche accettate datutti, spesso le vocali propo-ste sono trascritte sulla basedel modello della lingua ita-liana, migliorando così laleggibilità del testo e ren-dendo graficamente un suonodebole, ma favorendo l'insor-gere di errori da parte di co-loro che non conoscendo lalingua di appartenenza sonoportati a leggerle come in ita-liano. talvolta si preferisce trascri-vere le vocali con una die-

resi, che nella metrica italiana s'identifica comesegno di divisione di un dittongo (ascendenteo discendente), in modo che i foni – ossia isuoni linguistici del linguaggio umano prodottidall'apparato fonatorio – siano distribuiti sudue sillabe differenti. nel caso del dittongoascendente, il primo fono (“consonante appros-simante” o “semiconsonante”) diventa un “vo-coide”, cioè un elemento del linguaggio umanocaratterizzato dall’essere acusticamente unsuono [esempio: “la somma sapïenza e 'lprimo amore” (Dante, Inferno, iii, 6); il trisil-labo sa-pien-za [/saˈpjɛn.ʦa/] diventa quadri-sillabo sa-pi-en-za [/sa.piˈɛn.ʦa/]. Come nell’italiano esiste il “raddoppiamentofonosintattico” (o “geminazione sintagmatica”o “raddoppiamento sintagmatico”) subìto nellapronuncia dalla consonante iniziale di una pa-rola legata alla precedente. esempio: jamme âcasa [jam’me ak’kaːsa]. le vocali chiuse in-vece che aperte e viceversa sono dovute all'ar-

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bitraria interpretazione di alcuni suoni.l'occlusiva velare sonora è una consonante,rappresentata con il simbolo [ɡ] nell'alfabetofonetico internazionale. in posizione inizialeseguita da consonante viene spesso pronun-ciata come fricativa postalveolare non sonora/ʃ/ (come in scena [ˈʃɛːna] dell'italiano), manon quando è seguita da una occlusiva dentale/t/ o /d/ (almeno nella forma più pura della lin-gua, e questa tendenza vieneinvertita nelle parlate moli-sane).la fricativa postalveolarepuò essere: sorda se è unaconsonante fricativa moltofrequente in numerose lin-gue, che in base all'alfabetofonetico internazionale è rap-presentato col simbolo ʃ. so-nora. nella lingua italiana,tale fono è un fonema, e lasua resa ortografica è il di-gram-ma ⟨ sc⟩ quando è se-guito dalle vocali /e/ ed /i/(come nella parola “pesce”);il trigramma ⟨sci⟩ davanti adaltre vocali (come in “asciutto”); se intervoca-lico, esso è sempre geminato. la consonantefricativa alveolare sonora è un fono realizzatonel luogo di articolazione alveolare e con mododi articolazione fricativo. Fa inoltre parte delgruppo di foni chiamati sibilanti, così definitiper la particolare stridulità del loro suono. Ciòè dovuto all'articolazione con lingua solcata,cioè con un solco longitudinale sulla superficiedella lingua. il simbolo usato dall'associazioneFonetica internazionale per rappresentare lafricativa alveolare è [z], e rispecchia il valoredel grafema <z> in inglese e francese.Parole che terminano per consonante, in genereprestiti stranieri, portano l'accento sull'ultimasillaba.la /i/ diacritica presente in certi gruppi. la /i/diacritica presente nei gruppi -cia /-ʧa/ e -gia/-ʤa/ dell'italiano, viene talvolta pronunciata:per es. na cruciéra [nɑkru'ʧjerə].Frequente è il rotacismo della /d/, cioè il suopassaggio a /r/ (realizzata più esattamente

come [ɾ]), come in Maronna.la consonante occlusiva bilabiale sonora /b/ ainizio di parola è pronunciata come la conso-nante fricativa labiodentale sonora /v/: per es.báscio [vɑʃə] (come ad esempio accade in spa-gnolo).Una preziosa fonte letteraria, prima testimo-nianza del volgare utilizzato in Campania, vasotto il nome di “Placito di Capua” (o “Placito

Capuano”). Sarebbe più cor-retto indicarla come “PlacitiCassinesi” (o anche “PlacitiCampani”), trattandosi di ungruppo compatto di quattropergamene, testimonianzegiurate registrate tra il 960 eil 963 d.C., costituite da treplaciti ed un memoratorio (re-datto a teano), vere e propriesentenze emesse da giudici indispute prevalentemente ri-guardanti beni terrieri. Si trat-tava di proprietà contese dafeudatari locali ai monasteribenedettini di Capua, Sessaaurunca e teano, dipendenti

da Montecassino. in base a testimonianze fa-vorevoli ai religiosi, i giudici confermarono iloro diritti di proprietà, pronunciati nei princi-pati longobardi di Capua e di benevento. nella letteratura dialettale e barocca prevale lafigura di giulio Cesare Cortese (napoli, 15…- 22 dicembre 1622), di cui non si sa nulla dellasua prima formazione, ma che probabilmentefu compagno di studi di giambattista basile,entrambi non laureati. Pose le basi per la di-gnità letteraria ed artistica del napoletano mo-derno, scrisse la Vaiasseide, opera eroicomicain cinque canti, dove il metro lirico e la tema-tica eroica sono abbassati a quello che è il li-vello effettivo delle protagoniste: un gruppo divaiasse, popolane napoletane, che s'esprimonoin lingua. È scritto comico e trasgressivo, dovemolta importanza ha la partecipazione coraledella plebe ai meccanismi dell'azione.nella prosa pari dignità la raggiunse giambat-tista basile (giugliano in Campania, 15 feb-braio1566 - 23 febbraio 1632), che tentò la

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carriera di cortigiano in Spagna, a Firenze, inaustria. la sua opera maggiore è il Viaggio diParnaso in cui, scrivendo in napoletano, saleal Monte Divino per veder riconosciuta daapollo stesso la dignità della sua lingua e dellasua letteratura. Da ricordareè anche Lo Cunto de li Cunti,ovvero lo trattenimiento dele piccerille, opera notaanche con il titolo di Penta-merone (cinque giornate),una raccolta di 50 fiabe editefra il 1634 e il 1636 a napoli,raccontate, sul modello delDecamerone, da 10 novella-trici in 5 giorni, che l’autorededicò all'accademia napo-letana degli oziosi e che be-nedetto Croce tradusse initaliano. Che altro c’è da aggiungereper concludere in questa rassegna? Per la let-teratura, in settori anche diversissimi tra lorosi è giunti a testi di altissimo livello nelle crea-zioni di Salvatore Di giacomo, raffaele Vi-viani, Ferdinando russo, eduardo Scarpetta,eduardo de Filippo, antonio de Curtis. a ca-vallo tra XVii e XViii secolo, nel periodo dimaggior fulgore della cosiddetta “scuola mu-sicale napoletana”, questa lingua è stata utiliz-zata per la produzione di interi libretti di opereliriche, come Lo frate 'nnammurato di gio-vanni battista Draghi detto Pergolesi (jesi, 4gennaio 1710 - Pozzuoli, 16 marzo 1736),compositore, organista e violinista italiano diopere e musica sacra dell'epoca barocca. Cisono le canzoni napoletane, eredi di una lungatradizione musicale, caratterizzate da grande li-rismo e melodicità, spesso scritte in tutta fretta

sul bordo di un pianoforte nel clima stupendodi parolieri e musicisti diventati nel mondo au-tentici classici.lo studio del napoletano è ampio ma non si-stematico. Sono vari dizionari e grammatiche

negli ultimi anni, ma non siè mai pervenuti a una norma-tiva concorde su ortografia,grammatica, sintassi, mal-grado i tanti testi classici anoi giunti e consultabili. Frai tanti cito a caso: la Gram-matica della Lingua Napole-tana di aurelio Fierro,prefazione di antonio ghi-relli; Napoletanità: arte, mitie riti a Napoli di achilledella ragione; Grammaticadiacronica di adam ledge-way; Dialetto Napoletano.Manuale di scrittura e di di-

zione di giovanni Vitale; il Dizionario napo-letano, del nostro direttore Sergio Zazzera.il linguista, glottologo e filologo giovan bat-tista Pellegrini (Cencenighe agordino, 23 feb-braio 1921 - Padova, 3 febbraio 2007) con laCarta dei dialetti d’Italia, delle varie parlatedella Penisola e delle isole ha scelto come “lin-gua guida” l’italiano, suddiviso nei cinque si-stemi: italiano settentrionale, Friulano oladino-friulano, toscano, Centro-meridionale,Sardo.

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* il direttore e la redazione di questo periodico accol-gono con grande compiacimento il ritorno di elio bar-letta alla collaborazione.

aurelio Fierro

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Buon Natale e felice Anno 2020ai lettori de

Il Rievocatore

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FERDINANDO AVEVA DUE SICILIE

di Antonio La Gala

Perché i borbone erano re di“Due” Sicilie, visto che esiste

una sola Sicilia?Per capirlo bisogna partire dal-l’anno 1139, quando i normanniunificarono tutto il sud d’italia, Si-cilia compresa, in un solo statochiamato “regno di Sicilia”, per-ché aveva come capitale Palermo.gli angioini nel 1282 persero laSicilia, ribellatasi con i Vespri si-ciliani, conservando solo la parte continentaledel regno, per cui da quell’epoca per la partecontinentale del Sud italia dovrebbe parlarsi diun regno di napoli distinto da quello di Sicilia. gli angioini, però, sperando in una riconqui-sta, pur dopo aver portato la capitale a napoli,continuarono a chiamarsi “re di Sicilia”, per-sino dopo che nel 1372, con un trattato, rinun-ciarono definitivamente all’isola. nel frattempo dopo i Vespri Siciliani la sola Si-cilia era passata agli aragonesi. Quando alfonso d’aragona nel 1443 subentròagli angioini nel governo della parte continen-tale del sud d’italia, riunì in sé, ma solo comepersona, le due corone aragonesi dei due statidiversi – quello di Palermo e quello di napoli,chiamato ancora “di Sicilia” – e assunse perciòil titolo di “re delle Due Sicilie”. Una corona era quella del regno dell’isola, l’al-tra era quella del regno continentale ma ancorachiamato “di Sicilia”, tolto da alfonso agli an-gioini.alla morte di alfonso (1458), l’unità statuale

di tutto il Sud, almeno sotto lastessa persona, si spezzò dinuovo, diviso fra isola e conti-nente, in due diversi regni rimastidivisi anche nel periodo del vice-regno spagnolo, fino a quando,quasi tre secoli dopo, Carlo iii diborbone riassunse in sé un’altravolta, lo scettro dei due regni, masolo come persona, diventandopure lui “re delle due Sicilie”, e

conservando la reciproca autonomia dei due regni.Con il congresso di Vienna del 1815 Ferdi-nando ex-“Ferdinando iV re di napoli” ed ex-“Ferdinando iii re di Sicilia”, quando tornò anapoli dopo le due fughe in Sicilia, prima cac-ciato dai giacobini nel 1799 e poi dai napoleo-nidi nel 1805, riconosciuto re complessivodello stato che comprendeva tutto il sud, fu ri-battezzato “Ferdinando i re delle Due Sicilie”. trasversalmente alle accennate vicende di se-paratezza fra napoli e Palermo, va notato chein linea di massima i Siciliani in passato malsopportavano la loro dipendenza da napolinelle fasi storiche in cui ne dipendevano, cir-costanza che suggerì a garibaldi di sbarcare inSicilia per conquistare il Sud, piuttosto chelungo le coste tirreniche per lui meno distanti.in effetti in Sicilia, superate le perdenti spara-torie dell’esercito regolare borbonico, poté rac-cogliere truppe di entusiasti volontari isolanida aggiungere al manipolo dei Mille per mar-ciare verso napoli.

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LA CERTOSA-MUSEO DI SAN MARTINO

di Orazio Dente Gattola

«Quando il tuo animo oppresso da amaritudinecerca per poco un sollievo lungi dai cittadini ru-

mori, quando attratto dalle terrene miserie tu cerchi nellasolitudine elevarti a Dio con un pensiero di pace ed unsanto raccoglimento, fatti a visitar la Certosa di napolie dopo di esserti abbandonato ad una dolce malinconiaed innalzato all’eterno la prece di conforto, non tarderàil tuo sguardo ad inebriarsi sulle stupende bellezze diarte che sono ivi raccolte».

Così Salvatore Di giacomo inizia la sua descri-zione della Certosa di San Martino in una sua

guida di napoli, riprendendo la prefazione, perla verità piuttosto sgrammaticata, scritta dalCavalier tafuri che nel 1854 ebbe a scrivereuna storia della Certosa di San Martino.in anni più vicini a noi, il cantautore Carosonescriveva in una sua canzone affidata alla vocedi gegè di giacomo: «Tu vuo’ ì’ a San Martinoa ffà ‘o priore», riferendosi ad un antico dettosecondo il quale tutti i cornuti napoletani tro-vavano ricetto nella storica Certosa per sfug-

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gire all’onta ed allo scorno caduti su di loro.Credo che al giorno d’oggi vi siano ben pochepossibilità di soddisfare l’una o l’altra delle dueaspirazioni. Della chiesa e della Certosa, fon-date nel 1325 da Carlo d’angiò, figlio di re ro-berto, nulla rimane della vecchia costruzione,in quanto entrambe furono interamente rifattea partire dalla seconda metà del ‘500, per ini-ziativa del priore Saverioturbolo che vi profusetutte le sue risorse fami-liari.Da allora la sua sagomaturrita fa parte del paesag-gio napoletano e dominal’intera città.il monumento, ridotti imonaci ad appena tre, aseguito della legge sullasoppressione degli ordini monastici, in virtùdella legge del 28 giugno 1866, fu destinato asede staccata del Museo archeologico nazio-nale.e fu uno strano destino quello dei pii padri, inquanto il 24 gennaio 1799, all’indomani dellaconquista della città da parte dei Francesi, essidiedero un pranzo cui parteciparono 40 tra pa-trioti e patriote, ed al quale fece seguito unballo nel Quarto del Priore, come ricorda ilCroce.a ben poco servì loro l’adesione alla repub-blica partenopea che li condusse ad adornarel’altare con un drappo giallo, rosso e blu, coloridell’effimera repubblica, affiancato dalla ban-diera francese, fatti questi che costarono lorola soppressione da parte di Ferdinando iV chesoppresse il convento e che solo nel 1804 ac-

consentì al ritorno dei Certosini nel complesso.Ma questo è un altro discorso.Sta di fatto che la Certosa divenne sede stac-cata del Museo archeologico nazionale e il giàricco patrimonio storico ed artistico fu consi-derevolmente accresciuto di cose ed opered’arte legate alla storia di napoli, recuperate –è ancora il Di giacomo a parlare – con «soffe-

renza e amore». È incerta la data in cui laCertosa divenne ufficial-mente un museo, sotto ladirezione del sen. Fiorelli;tuttavia, sul numero del 25giugno 1872 del Pungolosi legge che «il Comm.Fiorelli domandò ed ot-tenne dal nostro Municipiomolti ricordi che interes-

sano la storia ed il costume del paese». Ma sulnumero dell’8 gennaio 1867 si leggeva: «nonvorremmo che si esagerasse in fatto di monu-menti da conservarsi».Da una relazione del Fiorelli, risalente al 1869,si rivela che «vi si fanno (nel Museo: n.d.a.)opere non di poco conto a renderlo maggior-mente importante per novelle aggregazioni ar-tistiche» e più avanti che «aperta la Certosa alpubblico… fu indispensabile stabilirvi un guar-daroba, un inserviente giardiniere, tre guardiecustodi ed un soprastante».la Certosa costituisce oggi uno strumento in-dispensabile per conoscere ed approfondiresulla base di un patrimonio storico ed artisticola conoscenza della storia e dei costumi dellacittà.

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Dal 16 novembre al 2 dicembre scorsi, nellaGalleria Principe di Napoli, l’artista italo-rumenaLuminita Irimia (Lumi) ha esposto un ciclo diopere, sotto il titolo “ESTINZIONE”, nelle quali si ri-flettono un surrealismo alla maniera di SalvadorDalì e il pensiero del filosofo armeno GeorgesIvanovič Gurdjieff.

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ANCORA DELLE SCRITTRICI DELLA“NUOVA ITALIA”

di Guido Belmonte

1.- Si sono ricordate in questa rivista quindicinostre “donne di lettere”, nate nell’ottocento,la cui opera connotò d’una grazia femminile laletteratura della “nuova italia”, con tale ultimaespressione intendendo riferirsi a quel nuovoStato che sarebbe venuto in essere con l’annes-sione delle Due Sicilie al regno sabaudo: unevento che si continua da nostri storici a indi-care come frutto prezioso del risorgimento.Senza impegnarci su quest’ultima proposi-zione, si vuol qui integrare il novero delle com-ponenti della ricordata pattuglia letteraria,aggiungendovi dei nomi che sembra doverosonon destinare all’oblìo: quelli di laura beatriceoliva, moglie di P. S. Mancini (1821) e dellesue figlie grazia (1841) e Flora (1854), di Ca-terina Marianna Percoto (1812), Maria anto-nietta torriani (1840), Sibilla aleramo (1876),gianna Manzini (1896), Clotilde Marghieri(1897), Fausta Cialente (1898).

2.- a) napoletana di nascita, Laura BeatriceOliva trascorse l’infanzia a Parigi per l’esiliodel padre, già precettore dei figli di Murat. tor-nata a napoli dopo la morte di Ferdinando i, leconquistò fama di poetessa l’esser ammessa al-l’accademia Filarmonica. Sposò nel 1840 P.S.Mancini – assumendone così il cognome – e,

pur col peso di undici figli, continuò a scriveree a pubblicar versi, che richiamarono l’atten-zione del governo borbonico. Partecipò ai motirivoluzionari del ’48, con la conseguenza didoversi, per sfuggire a persecuzioni della poli-zia, trasferire a torino: donde ritornò a napolinel 1860. trascorse i suoi ultimi anni in to-scana, ove morì nel 1869, a Fiesole. Si ritro-vano nella sua produzione la tragedia (Ines diCastro, 1845), la poesia (Poesie varie, 1848,Patria e amore. Canti, 1861), la scrittura pa-triottica (L’Italia sulla tomba di V. Gioberti, 1853).

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b) Grazia Pierantoni Mancini, nata a napoli,

è ricordata per l’impegno profuso in favored’un incremento della cultura e del lavoro delladonna quali fattori di sviluppo sociale. Spa-ziano i suoi scritti dal Teatro delle fanciulle, del1847, pubblicato a napoli da Morano (l’editoredi De Sanctis) a Impressioni e ricordi 1856-1864 edito a Milano nel 1908. Morì a roma il12 maggio 1915.c) Di Flora Piccoli Mancini, anch’ella nata anapoli, il ricordo è legato piuttosto alla creati-vità che seppe ispirare a poeti e musicisti ospi-tati nel suo prestigioso salotto: tra i qualiFrancesco Cilea, che le dedicò una romanzaper pianoforte. ella stessa compose romanzeper canto e pianoforte e fu autrice di testi poe-tici musicati. Morì a Vicenza a soli quaranta-cinque anni.

3.- Caterina Marianna Percoto, scrittrice epoetessa friulana, era nata a San lorenzo di So-leschiano sul natisone (Udine). Di nobile fa-miglia d’avvocati, artisti, uomini di lettere(oltre che d’un noto missionario), unica donnadi sette figli, rimase a nove anni orfana dipadre; e a Udine dove s’era trasferita frequentòl’educandato delle suore di S. Chiara: ciò chefece insorgere in lei un’avversione mai sopitaper l’educazione monacale delle fanciulle. asedici anni il suo amore per un giovane d’ori-gine ebraica venne osteggiato dalla famiglia edalle suore. esigenze d’ordine economico le

imposero nel 1829 di dedicarsi alla cura del-l’azienda familiare, all’educazione dei fratelliminori e al bene degli umili. in quest’impegno– che le valse l’appellativo di “contessa conta-dina” datole dal giornalista e politico friulanoPacifico Valussi (1813-1893) – fu validamentesostenuta da un colto e generoso sacerdote, donPietro Comelli, già “fattore” dei conti Percoto,divenuto pievano del luogo. Fu il Comelli ascoprire e valorizzare la vocazione letteraria diCaterina, inviandone segretamente a la Favilladi trieste il primo scritto: il cui contenuto (uncommento alla traduzione di andrea Maffeid’alcuni brani della Messiade di Klopstoc)venne apprezzato da Francesco Dall’ongaroche, pubblicatisi nel 1841 i primi racconti dellagiovane scrittrice, la fece conoscere al mondoletterario.la produzione della Percoto, costituita in pre-valenza da novelle di contenuto campestre eschizzi dal vero, è caratterizzata dall’uso cheella fece sia dell’italiano che del friulano. tom-

maseo esaltò un maggior pregio delle prosefriulane, gran parte delle quali rinarrazione dinovelle popolari. ingenuità e difetti si denun-ciarono invece per le novelle in italiano, pur ri-conoscendosene una maggior ricchezza delcontenuto narrativo, idoneo a farne specchiodella sana popolazione rurale del Friuli.nel 1847 ebbe inizio una corrispondenza epi-

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stolare della Percoto col milanese Carlo tenca(1816-1883), letterato, giornalista, uomo poli-tico, sentimentalmente legato alla contessaMaffei, ricordato in particolare per una sostan-ziale vicinanza dei suoi principi estetici a quellidel Manzoni con riguardo al discorso sul Ro-manzo storico. Dal 1848 i suoi scritti si fecero politicamentepiù impegnati in senso patriottico, specie dopolo sconvolgimento procurato alla Percotodall’essere stata testimone d’un atto barbaricodell’esercito austriaco che, sollevatasi Udinecon altri centri friulani, aveva dato fuoco agliabitati di jalmicco, Visco e bagnara (da allora“bagnara arsa”): una barbarie – duole doverricordarlo – che l’esercito sabaudo di Cialdiniavrebbe ripetuto a Pontelandolfo e Casalduni.la morte del fratello Costantino (1852) gravòla scrittrice dell’ulteriore compito d’educarnei giovanissimi figli. Fu negli anni cinquanta che ella cominciò ascrivere in friulano; ma due volumi di quei suoiscritti videro la luce, solo dopo lunghe tratta-tive con l’editore le Monnier, timoroso che ititoli in friulano potessero infastidire gli au-striaci. Particolarmente sofferti per malanni,ma pur sempre operosi, gli ultimi anni dellavita della scrittrice, dal 1871 ispettrice deglieducandati veneti. raccolte di suoi racconti vi-dero ancora la luce nel 1878 e nel 1883. lamorte la colse nel paese natale il 15 agosto1887. È sepolta a Udine.

4.- Maria Antonietta Torriani, nata a novarail 1° gennaio 1840 e morta a Milano il 24marzo 1920, è entrata nella storia del femmi-nismo e del romanzo popolare con uno pseu-donimo, “Marchesa Colombi”, che è tratto dauna commedia di Paolo Ferrari. orfana dipadre, visse con la madre e il secondo maritodi lei fino al 1865. Maestra elementare, comin-ciò a rendersi nota con articoli pubblicati sugiornali. trasferitasi a Milano, iniziò a colla-borare con anna Maria Mozzoni (1837-1920)protofemminista lombarda. Dopo il naufragiodel suo matrimonio (celebrato il 30 ottobre1875) col giornalista napoletano eugenio to-relli Viollier, fondatore del Corriere della Sera(1876), ancor più la torriani s’adoperò a bril-

lare di luce propria, assumendo definitiva-

mente quel ricordato pseudonimo. la sua produzione letteraria, non sfuggita al-l’attenzione di benedetto Croce, include ro-manzi sociali, racconti, operette morali, libriper fanciulli. Singolare è il carattere in qualchemodo postumo della gloria che ne è derivataall’autrice. Fu nel 1973 infatti, dopo la risco-perta del suo romanzo Un matrimonio in pro-vincia da parte di natalia ginzburg e italoCalvino, che la critica cominciò a interessarsicon maggior attenzione all’opera della tor-riani. la televisione italiana adattò quel ro-manzo per il piccolo schermo nel 1980.

5.- Sibilla Aleramo è pseudonimo di MartaFelicina Faccio detta rita, nata ad alessandriail 14 agosto 1876 e morta a roma il 13 gennaio1960. Scrittrice e poetessa, l’infanzia e l’ado-lescenza ne furono intristite da eventi infausti:lo sradicamento, a dodici anni, da Milano oveaveva iniziato gli studi, il tentativo di suicidio(1888) della mamma, ricoverata poi nel mani-comio di Macerata, la violenza che – quindi-cenne – le venne fatta da un impiegatonell’azienda paterna divenuto due anni dopoquasi per fatale necessità suo marito, lo squal-lore della vita coniugale seguita a quel matri-monio. la nascita (1895) del figlio Walter –che avrebbe poi rifiutato per trent’anni d’in-contrarla – le aveva procurato l’illusione dipoter fuggire da quell’esistenza oppressiva; ma

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anche in ciò ella rimase delusa al punto da ten-tare, come sua madre, il suicidio. È peraltro ri-

saputo come alla negatività degli eventi testéricordati s’aggiungesse nell’aleramo quellad’inclinazioni, comportamenti, relazioni che nerivelavano la riluttanza ad adeguarsi a imma-gini e ruoli tradizionalmente (e non meno na-turalmente) propri della donna: ciò che leprocurò, con un pesante giudizio di Prezzolini,ulteriori durezze d’una vita contrassegnata damomenti d’angoscia: dai quali tentò di solle-varsi con una più intensa attività letteraria in-tersecata da impegni politici. nel 1925 avevafirmato il Manifesto degli intellettuali antifa-scisti. la conoscenza di anteo Zamboni, atten-tatore di Mussolini, le aveva procurato unarresto; ma, ottenuto un colloquio col “Duce”,era uscita indenne dalla vicenda, ricevendo perdi più un premio e dei sussidi dall’accademiad’italia. iscritta (dal 1933) all’associazione na-zionale fascista donne artiste e laureate, alla ca-duta del “regime” riprese quell’attività cheaveva già cominciato a svolgere decenni primaa Milano coi suoi articoli per la Gazzetta lette-raria, L’indipendente, Vita moderna, Vita in-ternazionale, d’ispirazione socialista. in questaripresa l’aleramo si ritrovò comunista e colla-boratrice de L’Unità, partecipando al Con-gresso di breslavia degli intellettuali per laPace. Vasta è la produzione letteraria dell’aleramo,

essendosi ella provata nel romanzo, nel teatro,nella lirica. la maggiore popolarità le è perve-nuta dal primo dei suoi romanzi, autobiogra-fico (Una donna, 1906). Meno riusciti ne sonapparsi i tentativi teatrali. emilio Cecchi, scri-vendo di lei sulla treccani, ne ha lodato «pa-gine lucide, nervose e delicatissime, fra le piùnuove e durevoli della letteratura femminileitaliana d’oggi».

6.- Gianna Manzini nata a Pistoia il 24 marzo1896, di agiata famiglia borghese, ebbe an-ch’ella un’infanzia e una giovinezza tormen-tate dagli esiti d’un conflitto tra i genitori,ingenerato dalle idee anarchiche del padre:verso cui gianna avvertì poi il rimorso di nonessergli stata vicina negli anni difficili chel’avevano visto confinato ed esule nell’appen-nino pistoiese fino alla sua morte, seguita nel1925 a un’aggressione fascista (una rievoca-zione del padre è nel suo Ritratto in piedi, del1971).Dal 1914 visse con la madre a Firenze frequen-tandovi all’Università i corsi di letteratura epreparandovi una tesi su Pietro aretino. Cono-

sciuto bruno Fallaci, giornalista responsabiledella terza pagina de La Nazione, lo sposò nelnatale del 1920. Dopo la pubblicazione d’unaserie di racconti arrivò nel 1928 al suo primoromanzo, Tempo innamorato, la cui recensioneda parte di emilio Cecchi richiamò l’attenzione

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su di lei di scrittori stranieri come andré gide.Divenuta collaboratrice della rivista Solaria, sitrovò introdotta in un colto ambiente letterario,ove meritò – tra i tanti – l’elogio di un giovaneMontale, preconizzatore del «molto» che laManzini avrebbe potuto «fare per il romanzoitaliano». e molto ella fece, dopo aver ritrovatoun equilibrio sentimentale con enrico Falqui eun luogo (roma) ove metter definitivamenteradici. nell’immediato dopoguerra fondò conFalqui la rivista Prosa; tenne poi (con pseudo-nimi) una rubrica fissa su La Fiera Letteraria;nel 1945 la Lettera all’Editore toccò il puntopiù alto del suo lirismo estetico; vinse nel 1956con La Sparviera il premio Viareggio e nel1971 il Campiello con Ritratto in piedi, già ri-cordato. a roma morì il 31 agosto 1974 pochianni dopo la morte di Falqui, suo compagno divita.la prosa della Manzini, già definita al suoesordio «complicata e un po’ abbagliante» dae. Cecchi, indusse anni dopo giacomo Debe-nedetti a scrivere che «certamente» ella «è riu-scita… a pronunciare parole che, finoall’attimo precedente, avevamo creduto impro-nunciabili».

7.- Clotilde Marghieri, collaboratrice di varigiornali, e tra questi Il Mattino, esordì nella let-

teratura quand’era già anziana. il suo nomeresta particolarmente legato ai premi che vinsenegli ultimi anni della vita: il “Sebeto” nel1963 per Le educande di Poggio Gherardo (ed.

ricciardi); il “Villa San giovanni” nel 1970per Il segno sul braccio (Vallecchi); il “Viareg-gio” nel 1974 per Amati enigmi (Vallecchi).Dopo la sua morte (a roma, nel 1981) se ne èpubblicato il carteggio con bernard berenson,il noto storico dell’arte statunitense morto aFiesole nel 1959, autore de I pittori italiani delRinascimento.

8.- la fama di Fausta Cialente, figlia d’un uf-ficiale abruzzese e d’una nobildonna triestina,

è legata per più aspetti all’intensa attività cheella svolse come femminista e come scrittrice.nata a Cagliari, esigenze imposte dalla profes-sione paterna l’avevano fatta vivere in città di-verse del nord e del centro italia; la suaformazione culturale era tuttavia avvenuta pre-valentemente a trieste, città di residenza dellafamiglia materna. il matrimonio (1921) conl’ebreo enrico terni, agente di cambio e com-positore, la portò in egitto (ad alessandria epoi al Cairo) ove rimase fino al 1947. tornatain italia si dedicò per qualche tempo al giorna-lismo. Separatasi dal marito, visse a roma conla madre fino alla morte di lei, trasferendosi poia trevisago sul lago Maggiore. il richiamo del-l’unica sua figlia, lily, la portò per un tempoin Kuwait. negli ultimi anni andò infine a ri-siedere in inghilterra, a Pangbourne, ove morìil 12 marzo 1994.la passione per la narrativa, avvertita fin dapiccola, la Cialente cominciò a coltivare col

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fratello renato, divenuto notissimo attore,morto nel 1943 a soli quarantasei anni per unsospetto investimento da parte d’un veicolomilitare tedesco. le prime sue opere (Nataliae Marianna) risalgono al periodo tra il 1927 eil 1930. Con Natalia la scrittrice vinse il pre-mio dei Dieci, la cui commissione era presie-duta da Massimo bontempelli; con Mariannail Premio galante (così chiamato per esser con-ferito alle sole donne). il fascino dell’egittoov’era vissuta si ritrova da lei rievocato in Cor-tile a Cleopatra, del 1931 e nel racconto Pa-mela o la bella estate, apparso nel 1935 sullarivista Occidente.Col trovarsi durante la seconda guerra mon-diale fuori d’italia, e per di più in una terra aessa nemica, le manifestazioni politiche dellaCialente vanno giudicate d’indubbia dignità.Dopo aver condotto da radio Cairo un pro-gramma di propaganda antinazista, fondò e di-resse nel 1943 il giornale Fronte Unito per i

nostri prigionieri; ed entrò in contatto con fuo-riusciti italiani, primo tra i quali togliatti. Sen-timenti antifascisti la scrittrice aveva giàrivelato anni prima: anche – com’è da credere– per esser incappata nelle maglie della censuradel “regime” alla pubblicazione del suo ro-manzo Natalia: un’opera che per veritàavrebbe riproposto nel 1982 con delle modifi-che non soltanto formali.tornata in italia pubblicò nel 1961, dopo unlungo silenzio, Ballata levantina. nel 1966,con Un inverno freddissimo, si classificò terzaal premio Strega, che vinse poi nel 1976 conLe quattro ragazze Wieselberg. Del 1972 è Ilvento sulla sabbia. nell’ultima parte della sua esistenza, vissuta ininghilterra, la Cialente si dedicò alle traduzionidall’inglese meritando un particolare ricordoper quella di Giro di vite di H. james (1986).

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BRANDING DALÌ: LA COSTRUZIONE DI UN MITO

Il vanvitelliano Palazzo Fondi (via Medina, 24),di proprietà del Demanio dello Stato, divenutosede di mostre, concerti e altre manifestazioni cul-turali, ospita, fino al 2 febbraio prossimo, la mostraBRANDING DALÌ: LA COSTRUZIONE DI UN MITO. Trale opere esposte – che spaziano dai multipli (li-tografie, xilografie, puntasecca, manifesti), alleceramiche, alle terracotte, agli argenti, ai vetri– si fanno apprezzare, in maniera

particolare, le icone dei Dodici Apostoli, le illustrazionidelle cento cantiche della Divina Commedia e del Be-stiaire di Molière e l’originale mazzo di tarocchi, signifi-cativi della cura che l’artista poneva anche nellerealizzazioni di piccole dimensioni. La sede espositiva è aperta dal martedì alla domenica,dalle ore 10 alle 20 (accesso consentito fino alle ore 19);informazioni e prenotazioni: tf. 081.18098931; [email protected].

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“QUI GIACE L’INFELICE VENOSCA”

di Raffaella Salvemini*

Presso il cimiterodell’isola di Pro-

cida esiste una lapidecon un’incisione:«Qui giace l’infeliceVenosca» cui nonmancano mai i fiori.la lapide risale allafine dell’ottocento aquando il cimiteronon accoglieva piùsolo i servi di penadel carcere dell’isola.era stato il regio decreto del regno delle DueSicilie del 17 novembre 1835 a suggellare l’ac-quisizione da parte del comune di Procida«mediante contratto enfiteutico e con talunecondizioni» del fondo di giuseppe galatola«unitamente a tutti i fabbricati adiacenti per 35ducati e 74 grana» in cui fu costruito il campo-santo per i servi di pena e reclusi dell’isola1. Quella destinazione non piacque alla popola-zione dell’isola. a ricordarlo nel 1838 è unapoesia del diacono Francesco Martello2. nelladedica al barone siciliano Vincenzo Mortillaro3

l’autore raccontava del suo viaggio a Procida:«era un giorno di ottobre, quando a diporto perle amene balze di Procida, mi venne veduto ilCamposanto che quell'isolani han fatto quiviedificare. ei giace fra due collinette, che rico-prendolo di lor ombra ne accrescono la mesti-zia, e il mare che non gli è lungi, col fremerglial piede, par che lamenti la memoria de' trapas-sati». il Martello seppe poi «che quella fossa

non si schiudeva, cheai soli servi di pena, eche gl'isolani sdegna-vano d'aver con essicomun sepoltura». lanotizia lo colpì eprovò profonda pena«per quegl' infelici,che ancora nel suondella catena, e nellosquallore della pri-gione ne’ lascian d'es-serci fratelli, e che se

in vita si fanno della nostra medesima creta,tornan del pari nostra medesima polvere inmorte». non contento di quanto aveva visto nelcimitero volle visitare i carcerati ricoverati nel-l’ospedale della prigione, Provò a quel punto«santo sdegno contro quegl'isolani, che schi-vandoli in vita, abborriscon anco d’esser rac-colti nel medesimo sepolcro»4. alla fine dellesue dure critiche allegò una poesia dedicataproprio al cimitero di Procida. il tutto accadeva negli anni che avrebbero do-vuto essere decisivi per gli “ospiti” del cimiteroe del carcere di Procida. tuttavia, nonostante ilavori di ristrutturazione che trasformarono ilpalazzo reale dei d’avalos in bagno penale, insostanza nulla cambiò. nel 1835 le condizionidel carcere e dei carcerati erano tanto dramma-tiche che si pensava di chiuderlo e trasferiretutti ad aversa dove si stava costruendo ungrande reclusorio per tutti i condannati dellaprovincia5.

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Proprio in quegli annisi segnala per la primavolta la presenza a Pro-cida del calabreseFrancesco Venoscacondannato a 20 annidi “ferri”6. trascorsidieci anni, nel 1839,Venosca partecipò conaltri 21 uomini all’in-surrezione per favorirela fuga del soldato-eroe del risorgimento, Ce-sare rosaroll che nel 1833 insieme a due mili-tari, tra cui il tenente Francesco angelotti,avevano tentato di uccidere il re. Mentre l'an-gelotti fu ucciso, Cesare rosaroll si salvò e ri-mase a Procida fino al 1848, anno in cui il reconcesse la Costituzione e l’amnistia ad alcunidetenuti tra cui rosaroll che morirà poi a Ve-nezia combattendo per la causa italiana7. Dicontro al calabrese Venosca non fu concessa lagrazia e fu, molto probabilmente, trasferito nelcarcere di Santo Stefano a Ventotene dove nel1860 partecipò ad un’altra sommossa. nel car-cere c’erano a quell’epoca all’incirca 800 con-dannati tra cui molti camorristi «pugliesi ecalabresi». approfittando della partenza deisoldati per gaeta, dove l'esercito di Francescoii si trovava sotto assedio, i galeotti riuscironoa disarmare i secondini assumendo il controllodell’isola in cui c’era uno sparuto gruppod’isolani. Fu creata una giunta denominata«Commissione per il buon ordine» le cui redinifurono offerte al detenuto più autorevole e ri-spettato proprio il calabrese Francesco Veno-sca8. nacque così tra l'ottobre 1860 e il gennaio1861 la repubblica di Santo Stefano, una sortadi stato autogestito governato all’insegna del-l’intimidazione, della violenza e della pauramafiosa-camorrista, principi ampiamente dif-fusi nei carceri borbonici9. la comunità com-pilò uno statuto costituito da 4 articoli: «1)Qualunque condannato uccidesse un suo com-pagno a tradimento sarà punito con la morte;2) Qualunque condannato offendesse i supe-riori dell'ergastolo o i guardiani, per vie di fattoo per minacce, sarà punito con la fucilazione;3) Qualunque condannato offendesse la vita e

le sostanze degli isolanisarà punito con lamorte; 4) Qualunqueisolano offendessel'onore delle famiglieappartenenti ai supe-riori, guardiani e per-sone oneste dell'isolasarà punito con lamorte»10.la vicenda non durò a

lungo e terminò quando sull'isola arrivò unaspedizione di marinai italiani che riportò l'or-dine. il processo ai rivoltosi iniziò solo nel1866. Prima che il Presidente del tribunale co-minciasse il suo intervento chiese ai cinquecondannati (Venosca, Mollo, orlandi, Picca-relli e Mairani), che avevano guidato la «Com-missione per il buon ordine» se avevanodichiarazioni da fare. Venosca calmo e sicurosi alzò e pronunciò un breve discorso che colpìmolto la Corte:

«Signori giurati: sono nato da buona ed onesta famigliacalabrese; traviato dai cattivi compagni, ho commessoin mia gioventù un grave reato, e ne ho portata purtroppola pena. Però ho avuta la sorte, durante il tempo dellamia prigionìa, di conoscere importanti uomini politici,ed essi mi hanno fatto comprendere quanto sia bello averuna patria libera. e, venuto il momento di darle libertà,non sono rimasto inerte; ho preso parte alla rivolta poli-tica avvenuta nel bagno, e capitanata dal rosaroll e dalcapitano guglielmotti. Ho sempre protetto il debole, edora sono accusato da coloro che io ho protetto! Qualun-que sia il vostro verdetto, io morrò lieto e contento diaver visto l'italia libera. a questo proposito voglio dirviun sonetto da me composto»11.

nella cronaca del processo il sonetto non è ri-portato perché fu impedito a Venosca di decla-marlo. Sarà l’Illustrazione Popolare atrascrivere quella poesia che lombroso attri-buirà genericamente a un calzolaio-analfa-beta12:

L'erGASTOLO dI SANTO STeFANO.Dante le bolge tue più non vantare: nè tu, o Maron, d'averno il nero foco, nè le Ceraste, nè l'arpie, nè l'are, tabe stillanti, di quel tetro loco, Qui, qui, si sente il gorgogliare fioco Di quell'empie perverse anime avare, e qui s'ascolta il suon tremendo e roco

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Che gorgoglia di Pluto in su l'altare. Un mostro sul canil qui s'addormenta e vien da un altro mostro divorato, e questo a un altro rabbioso addenta. Sangue gronda la terra, e l'aere spira Vendetta, strage, tradimento innato, Qui mentre muore l'un, l'altro cospira

(Francesco Venosca)13.

il processo si chiuse solo nel 1872 con la con-danna di Francesco orlando condannato a 7anni di custodia. Venosca e altri due dei cinquemembri della Commissione furono assolti per-ché «abbandonati dalla società e segregati daogni umano consorzio, fu una necessità orga-nizzarsi essi stessi in una società nuova; fu una

necessità costituire in mezzo a loro un potereche sapesse governarli»14. È chiaro che Venosca fu un personaggio singo-lare, intelligente e astuto. non passò inosser-vato finanche a Cesare lombroso che, nel suostudio su L’uomo delinquente ne ricordava lacapacità di imporsi, al pari di altri, non solocome criminale ma anche come poeta e verse-giatore15. Concludiamo queste brevi note consapevoli dinon aver fugato ogni dubbio sulla sua persona:“camorrista” e “protettore dei deboli”, difen-sore della patria libera e poeta dell’ottocentopre-unitario. non ne conosciamo l’età e le ra-gioni della sua prima carcerazione, né tantomeno è chiaro il motivo di quella lapide nel ci-mitero dell’isola. l’obiettivo era solo quello difornire un contributo all’oscuro e complesso

profilo di un “infelice” ergastolano che dopo ifatti di Santo Stefano e prima dell’assoluzionenel 1862 ritornò di nuovo nel carcere di Pro-cida16 . ___________

* primo ricercatore istituto di Studi sul Mediterraneo,Cnr, napoli.1 Leggi e decreti del Regno delle Due Sicilie, na-poli1835, p. 196. 2 Martelli fu: «accademico fiorentino, socio corrispon-dente dell’accademia tiberina, dell’accademia scienzelettere ed arti di Palermo, della Peloritana di Messina,degli Zelanti di acireale, ispettore di pubblica istru-zione, e professore di eloquenza italiana nel real Colle-gio di Marina». Cfr. F. Martello, Prose italiane, napoli1855. 3 Mortillaro fu «lessicografo e arabista. Fu un ammini-stratore scrupoloso degli enti del Comune di Palermoper diventare dopo il 1860, storico, memorialista ed edi-tore di giornali cattolici». Cfr. l’indirizzo internet:http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-mortil-laro_(Dizionario-Biografico).4 Giornale di scienze, lettere, arti per la Sicilia, del ba-rone V. Mortillaro, vol. 63, Palermo 1838, pp. 285-287. 5 F. assante, La regina delle galere. Storia e storie delcarcere di Procida, napoli 2015. 6 L’Illustrazione popolare, 2 giugno 1872, p. 72.7 l. Settembrini, Ricordanze della mia vita, Parte prima(1813-1849), Milano 1964. 8 e. Forni, Dei criterii d'investigazione nei segreti deireati racconti e considerazioni, napoli 1877, pp. 98-101; V. Paliotti, La repubblica di Santo Stefano in Storiadella camorra1, roma 1993; F. gargiulo, Ventotene unacomunità per decreto, Camogli 2017, pp. 143-145. 9 a. Santilly, L’Ergastolo di Santo Stefano in epoca li-berale. Fonti e prospettive di ricerca (1861-1922), inBiografia di una prigionia. L’ergastolo di Santo Stefanoin Ventotene (secc.XVIII-XIX), recco 2018, pp. 58-62.10 e. Forni, Dei criterii d'investigazione nei segreti deireati cit., p. 100.11 I galeotti di Santo Stefano in Rivista di discipline car-cerarie in relazione con l'antropologia, col diritto pe-nale, con la statistica ecc,, diretta da M. beltrani, a.ii,roma, 1872, pp. 204-209. 12 C. lombroso, L'uomo delinquente: studiato in rap-porto alla antropologia, alla medicina legale ed alle di-scipline carcerarie, Milano 1876, p.115. 13 L’Illustrazione popolare, 2 giugno 1872, p. 72.14 I galeotti di Santo Stefano, cit., p. 208.

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L’uomo desidera l’arte come desidera Dio: l’arte avvicina a Dio. Dioha creato gli Universi (due Universi sono collegati dai “buchi neri”)e la Terra, che sono stupende opere d’arte. (A.F.)

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Il nome di Francesco Mastriani ci ricorda lanapoli di ieri: la napoli di un secolo fa.

nato nella città di Partenopeil 23 novembre del 1819, ilMastriani fu, senza dubbio al-cuno, il più fecondo roman-ziere della sua epoca.Scrisse 107 romanzi d’appen-dice che, se non gli diedero lagloria e la ricchezza, gli fe-cero conquistare una grandenotorietà che dura tuttora.Piccolo di statura, calvo, conbaffi e pizzo, Francesco Mastriani abbandonòla facoltà di medicina e poi l’impiego presso laDogana per fare lo scrittore.Poi si sposò ed ebbe quattro figli con i qualiabitò nel rione Sanità (ove era nato) per tuttala vita. e fu proprio la Sanità che gli fece co-noscere tutti quei personaggi che popolano isuoi umani ed avvincenti romanzi.Per provvedere ai bisogni familiari, Don CiccioMastriani dava lezioni private di francese, in-glese e d’italiano, perciò tutti gli abitanti delquartiere lo chiamavano “il professore”.Per 2 lire al giorno scriveva per i giornali del-l’epoca la puntata del suo romanzo d’appen-

dice, e questo compenso in seguito fu portatoa 5 lire giornaliere.

Quindi il Mastriani non vissemiseramente (come moltihanno detto); ma modesta-mente e laboriosamente.i romanzi che gli diederol’enorme popolarità, che an-cora dura, furono i seguenti:La cieca di Sorrento, La se-polta viva, I vermi, I misteridi Napoli, Ciccio il pizzaiuolodel Carmine, I figli del lusso,

Il Conte di Castelmoresco e tanti e tanti altri.Francesco Mastriani, popolarissimo e caratte-ristico personaggio partenopeo dell’ottocento,si spense a napoli il 7 gennaio del 1891. aveva72 anni.l’amministrazione Comunale gli ha dedicatouna stradina della zona di Piazza Carlo iii eprecisamente un vicolo che porta da Via ber-nardo tanucci in Via S. eframo Vecchio.i napoletani, però, ricordano e ricorderannosempre il nome ed i romanzi di Francesco Ma-striani, il quale fu con la sua penna il difensoredei deboli, dei poveri e dei derelitti.

Pagine vive. 1

FRANCESCO MASTRIANIromanziere del popolo

di Franco Scozio

In occasione del bicentenario della nascita di Francesco Mastriani, ripubblichiamo la brevenota apparsa sul numero di febbraio 1976 di questa rivista.

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NATALE 1910:GIOVANNI CAPURRO A S. GREGORIO ARMENO

di Giovanni De Caro

Erano i giorni che precedono il natale, ilnatale napoletano che rende ancora più

chiassoso ed euforico il popolino,che fonde quasi sempre nelle suecredenze religiose e nelle secolaritradizioni il sacro ed il profano.in ogni casa fervevano i prepara-tivi per il presepe che presso gliumili conserva, ancora oggi, in-tatta la sua suggestività e la suapoesia anche se insidiato dal nor-dico alberello che ricorda altriclimi ed altri paesaggi.anche nella modesta casa delpoeta di ‘O sole mio, al vico SanMandato1, ci si apprestava consughero, cartone, pastori degli anni precedenti,alcuni dei quali mutili ed anneriti, muschio estelline d’argento, alla ricostruzione della

grotta di betlemme.Don giovanni, tra gl’ingenui gridi dei suoi

bambini, esaltati per il miracoloche si doveva rinnovare, comeogni anno, alla mezzanotte del 24dicembre, tenendo mezzo sigarospento in bocca, come d’abitudine,lavorava di martello, sega e for-bici. Ma si rendeva necessariocomperare dei pastori nuovi; ed unpomeriggio un po’ umido e freddoil Poeta decise di recarsi, accom-pagnato da armando, il più pic-colo ma il più vivace dei suoifigliuoletti, a San gregorio ar-meno.

in San biagio dei librai già la gente facevaressa nei negozi zeppi di pastori di ogni tipo,grandezza e prezzo.

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Pagine vive. 2

L’arcivescovo di Napoli, S. Em. Crescenzio Sepe, ha conferito l’or-dinazione diaconale, il 6 ottobre scorso, nellaCattedrale cittadina,al giovaneprocidano DONGIUSEPPECONSALVO (2° da sinistra nella foto),al quale Il Rievocatore formula vivissimi auguri, nell’attesa dellaprossima tappa dell’ordinazione sacerdotale..

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«Papà, voglio ‘e Magge a ccavallo!... I’ voglio‘o cacciatore!... Uh, papà ‘o ciaramellaro: ac-c a t t a m -millo!...», siudivano ibambini chie-dere al geni-tore.arrivati a Sangregorio ar-meno, questacaratteristicavia della vec-chia napoli,vera serra difiori di cartadai colori ac-cesi, che sporgono a mazzi dai vani in cui dellefigliolelle lavorano alacremente a confezio-narli, si fermarono davanti ad una delle nume-rose bancarelle sulle quali erano ammucchiati

cumuli di pastori di prezzo economico ma dibuona fattura.il Poeta si mise a scegliere i pastori che gli oc-correvano; ma ogni tanto sentiva una fastidiosatoccatina al cappello: era una appesa di sal-cicce che oscillava ad ogni più piccolo urtodato alla bancarella.egli, pazientemente, si scostò un poco, ma laressa lo costrinse ad accostarsi di nuovo allabancarella, e la appesa, oscillando più forte, glitoccò come un pendolo una, due, tre volte la fronte.Don giovanni, innervosito, alza di scatto latesta, vede la appesa e sorride subitamente rab-bonito; poi esclama: «Vulevo dì ca me passa-vano cierti sasicce p’’a capa!»__________1 in realtà, Capurro abitava all’incrocio tra le vie Salva-tor rosa, girolamo Santacroce e battistello Caracciolo,a poca distanza dal vico San Mandato (n.d.r.).

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LA “PARLATA NAPOLITANA”

Due importanti iniziative aventi per oggetto la“parlata napolitana” hanno segnato il correntemese di dicembre.Il giorno 3, infatti, la Società napoletana di sto-ria patria ha ospitato, nella propria sede in Ca-stelnuovo, la presentazione dell’edizione inte-

grale del Vocabolario del dialetto napolitano (1882-1891) di EmanueleRocco, a cura di Antonio Vinciguerra e edita dall’Accademia della Crusca (4 vo-lumi, Firenze 2018). Insieme con il curatore dell’opera, sono intervenuti i pro-fessori Renata De Lorenzo, Rosario Coluccia, Nicola De Blasi e FrancescoMontuori.Il giorno 6, poi, nella sede della Confraternita diSant’Antonio di Padova, si è svolto il convegno sultema: ‘O pparlà cu ‘o chiummo e cu ‘o cumpasso,curato da Pierfrancesco Del Mercato e UmbertoFranzese con Liliana Mastropaolo, che ha vistola partecipazione dei professori Nicola De Blasi,Francesco Montuori e Domenico Scafoglio, e dei napoletanisti Davide Brandi,Pietro Lignola, Franco Lista e Sergio Zazzera – gli ultimi due, rispettivamente,redattore e direttore di questo periodico –, nonché del poeta Enzo De Simone,coordinati da Claudia Palazzolo Olivares.

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LA “LINGUA DI BUE”dolce tipico procidano

di Antonio Ferrajoli

Sì, negli anni 40 l’isola di Pro-cida era uno spicchio di Pa-

radiso caduto nello stupendomare turchino del golfo parteno-peo fra le due sorelle, Capri edischia. in quell’epoca, cammi-nare per l’isola era una delizia:si annusava un profumo di gel-somini e fiori d’arancio.il vaporetto in ferro, di nome“ischia”, della compagnia SPan, era l’unicoche collegava ischia e napoli, con fermata aProcida. in quel tempo il mare antistante alporto di Procida non era dragato, per cui il va-poretto ancorava lontano dalla banchina e ipasseggeri scendevano e salivano con barcheche accompagnavano a terra e viceversa, allequali si aggiungevano altre barche piene di li-moni, che si vendevano ai turisti. il vaporettosi fermava all’altezza del Cristo della banchinadi Sancio Cattolico, mentre dall’altra parte, alevante, detta “lingua”, vi era un cancelloverde che chiudeva un lungo pontile ligneo, diproprietà dell’armatore Maurizio Scotto, doveattraccavano dei vaporetti di legno – la “li-bera”, il “Delfino” –, che quasi in continua-zione facevano rotta per Pozzuoli e viceversa.ed era simpatico ascoltare all’orario di arrivodei vaporetti il rumore delle ruote delle carroz-zelle sul selciato.Uno dei più importanti sindaci dell’isola era ilchirurgo Mario Spinetti, al quale ora è intito-lato il campo sportivo, che abitava nel suo pa-lazzo – detto “il Mamozio”, perché sovrastante

al portone vi è un mascherone, eora abitato d’estate dalla figlia,professoressa Marisa –. Dietro alpalazzo vi era un magnifico giar-dino, con pergolati di campanulesovrastanti a due piscine, unapiena di ninfee, l’altra con moltipesci. il munifico sindaco donòal Municipio questo giardino,per aprire una strada, in modo

che si alleggerisse il traffico sulla strada anti-stante al suo fabbricato.la signora anna, moglie dello Spinetti, avevaper dama di compagnia la giovane Maria espo-sito, che sposò il pasticciere Pasquale Maz-ziotti, del bar Scaturchio di piazza SanDomenico Maggiore, a napoli, il quale inventòun dolce ellissoidale, la “lingua di bue”, chechiamò così perché ha la forma di una linguadi vitello. e questo dolce continua a essere pro-dotto nell’isola da tutte le pasticcerie, ma la ri-cetta originale trova applicazione da parte delfiglio di Pasquale, Michele, nel suo laboratorioal “Parco Margherita”, e del pasticciere ignaziorighi del bar “roma”, e viene ancora gustatodai turisti, che vengono nell’isola da tutte leparti del mondo.

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LA MODERNITÀ DEL “PASTICCIACCIO”DI CARLO EMILIO GADDA

di Monica Florio

Quer Pasticciacciobrutto de via Merulana

di Carlo emilio gadda (Mi-lano 1893 - roma 1973) sipuò annoverare tra le opere“senza tempo”, quei classiciche hanno sconfitto l’oblio,il nemico più pericoloso perun libro. a distanza di anni,il Pasticciaccio (Milano,garzanti, 1957) appare diuna modernità sorprendentegià sul piano linguistico, es-sendo un testo innovativo, senon addirittura sperimentale,un autentico impasto di stilie gerghi. Questo romanzo, con cui loscrittore milanese scardinagli stereotipi di un genere tradizionale e con-servatore quale il giallo, è lo specchio di un mi-crocosmo, il mondo borghese, e di un’epoca,gli anni trenta, lontanissima eppure così vicinaalla nostra, se si pensa alle modalità, spesso di-scutibili, con cui è amministrata oggi la giusti-zia. il tema della giustizia disattesa è centrale ingadda1, il cui moralismo non è mai greve o pe-dante, perché in lui l’intransigenza si traducein una difesa di quei valori etici che il fascismo

aveva contraddetto invece dirafforzare. Da fustigatore dei costumigadda intese la scritturacome testimonianza dellaverità e atto di denunciadella corruzione esistente,conferendole così una fun-zione civile. tutta la produzione gad-diana2 è permeata da un’iro-nia dissacrante che è fruttodella disillusione e del di-stacco da quel regime a cui,inizialmente, lo scrittore mi-lanese aveva aderito. Questo sarcasmo si riversanella lingua, strumento affi-latissimo con cui gadda de-

ride l’ideologia fascista nel “pamphlet” Eros ePriapo, scritto tra il 1944 e il 1945 e pubblicatosolo nel 1967 in un’edizione rivista per aggi-rare la censura. nel Pasticciaccio, apparso sulla rivista Lette-ratura tra il 1946 e il 1947, gadda ridicolizzail Duce con appellativi come «mascelluto»,«mascellone», «testa di morto in bombetta»,«emiro col fez e col pennacchio»3.lo scrittore trae ispirazione da quei fatti di cro-naca che il regime fascista avrebbe preferito re-

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legare al passato, mostrando un delitto, quellodi via Merulana, la cui efferatezza è a più ri-prese sottolineata:

«Un profondo, un terribile taglio rosso le apriva la gola,ferocemente… Er sangue aveva impiastrato tutto ercollo, er davanti de la camicetta, una manica: la mano:una spaventevole colatura d’un rosso nero…»4.

il cadavere di liliana balducci viene trovato inun lago di sanguenel suo apparta-mento, nel pa-lazzo dell’oro5,dove in prece-denza aveva avutoluogo una rapina. la violazione delcorpo della donnasimboleggia pro-prio l’irrazionale(la violenza) e ilrimosso (il sessoma anche l’omo-sessualità non vis-suta) che la società perbenista dell’epocatentava di occultare: la balducci giaceva

«stesa de traverso, co le sottane tirate su, come chi di-cesse in mutanne. il capo rigirato un tantino… Co la golatutta segata, tutta tajata da una parte»6.

l’omicidio in questione non può essere archi-viato semplicemente come delitto passionale,essendo la conseguenza non di una causa ap-parente bensì di una molteplicità di causali emotivi, un “groviglio” o “uno gnommero”7 comedirebbe il commissario ingravallo. il finale aperto all’interpretazione del lettoredimostra, da un lato, come la scoperta del col-pevole sia secondaria e, dall’altro, quanto siavana la stessa ricerca della giustizia perché ilmale risiede in ogni individuo, indipendente-

mente dall’esito burocratico e ufficiale diun’indagine poliziesca8. testimone impotente e scettico di una deca-denza che non ha confini sociali e tocca sia laborghesia che le borgate, è il commissario in-gravallo, simbolo dell’uomo comune che alcaos imperante può opporre solo la razionalitàe il senso di giustizia che lo anima. Questo funzionario meridionale è il garante di

un ordine sovver-tito quotidiana-mente da queimisfatti – il «pa-sticciaccio», ap-punto – rivelatoridi un disagio pro-vato dallo stessogadda, fiduciosonella giustizia manon nelle istitu-zioni preposte agarantirla. già il dialetto diingravallo, frutto

di una contaminazione tra napoletano, moli-sano e italiano, rivela il peso decisivo assuntonel romanzo dalla lingua. eppure non è solo il dialetto ad essere trasgres-sivo9 quanto la vicenda in sé. le tendenzeomosessuali di liliana balducci, celate dietrol’inappagato desiderio di maternità, si palesanonel suo rapporto ambiguo con le giovani presea servizio e spacciate per nipoti. Questo“omoerotismo latente”10 della vittima emergenel capitolo quinto, quando Don Carpi informaingravallo e il Dottor Fumi11, dell’atteggia-mento morboso e aggressivo di Virginia versola sua “padrona” liliana.

«la baciava come po bacià una pantera, dicennole: –Sora mia bella liliana, voi site ‘a Madonna pe mme! –

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Vuoi sapere se qualche scintilla brucia in te? Corri,vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di LeonardoLeo, Francesco Durante, Niccolò Jommelli e GiovanBattista Pergolesi.

JEAN JACQUES ROUSSEAU

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poi, basso basso, in un tono di ardore anche più soffo-cato: – Ve vojo bene: bene te vojo: ma una vorta o l’an-tra me te magno –: e le strizzava il polso, e glie lostorceva, fissandola: je lo storceva come in una morsa,bocca contro bocca, de sentisse er fiato der respiro inbocca, l’una co l’altra, zinne contro zinne. Don Carpi ret-tificò, è naturale: – Vojo dì, accostandosi a lei cor senoe col volto – »12.

anche l’epilogo è all’insegna dell’ambiguità,in quanto l’affermazione di non colpevolezzada parte di tina13, la più bella delle figlie “adot-tive” di liliana, attesta semmai il contrario. e così, quando la matassa sembra sbrogliarsi,nuovi dubbi insorgono, impedendo al lettore digodere del piacere liberatorio dato dalla solu-zione certa del caso come è di prammatica nelgiallo.l’attualità del Pasticciaccio risiede, dunque,nella centralità del discorso metaforico, nel suointerrogarsi incessantemente sul senso dellavita e sul confine, talvolta labile, che separa ilbene dal Male14. __________________

1 tale questione si ritrova anche in la Madonna dei fi-losofi (1931), Il castello di Udine (1934), L’Adalgisa(1944). 2 Si veda La cognizione del dolore (torino, einaudi,1963) romanzo incompiuto ambientato in una villa iso-lata, lugubre scenario dello scontro tra un uomo avaro espietato e la madre anziana, in lutto per la morte dell’al-

tro figlio. nell’istituto di Sorveglianza notturno, checontrolla gli abitanti di un immaginario paese sudame-ricano modellato sulla brianza (segno di come sia forteil legame fra vita e letteratura in gadda), si può coglierel’allusione al fascismo. 3 Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana (torino,garzanti, 1990), pp. 44 e 61. 4 Ibidem, p. 47. 5 Così definito perché vi abitavano i “pescicani”, i com-mercianti senza scrupoli: ibidem, p. 7. 6 Ibidem, p. 45.7 gomitolo nel dialetto romanesco. 8 in a. Cacopardo, Gadda e la giustizia ingiusta, in Ri-scontri, gennaio-giugno 2008.9 in g. Pinotti, nota a Quer pasticciaccio… cit., p. 270. 10 Ibidem, p. 270. rispetto alla versione apparsa in Let-teratura quella del libro è priva del capitolo iV, nel qualele tendenze omosessuali di liliana balducci appaiono inmodo esplicito. 11 a riprova di come il romanzo sia un pastiche letterario,il Dottor Fumi si esprime in napoletano. 12 Quer pasticciaccio… cit., p. 125. 13 Si tratta di assunta che ingravallo aveva conosciuto acasa dei balducci nel corso di un pranzo a cui era statoinvitato. 14 la distanza fra i colpevoli e coloro che riescono a ca-varsela riflette la sfiducia di gadda nella giustizia ter-rena, avvicinandolo al Manzoni che ne I promessi sposiaveva rappresentato la corruzione dell’italia seicentesca.nel romanzo manzoniano la giustizia è “rovesciata” per-ché l’autorità non è imparziale ma favorisce potenti, inobili, a svantaggio di tutti gli altri, i contadini come ilclero locale (Don abbondio è, infatti, succube dei bravi).

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A DACIA MARAINI IL PREMIO “MATILDE SERAO”

Dacia Maraini si è aggiudicata la terza edizionedel premio letterario organizzato dal quotidianoIl Mattino e intitolato a Matilde Serao, cofonda-trice del quotidiano. La premiazione è avvenutail 6 novembre scorso, nella Sala “Matilde Serao”del Palazzo di Poste Italiane a Napoli, durante unevento condotto dall'attrice Miriam Candurro, al

quale hanno partecipato numerosi scrittori, artisti e operatori delmondo dello spettacolo, intervistati dai giornalisti del quotidiano.Il riconoscimento è stato assegnato alla Maraini «nel segno dellacoscienza civile e della denuncia», come recita la motivazione.

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EREDITÀ IN BILICORicerche ed esperienze artistiche tra memorie del passato e temperie del presente

di Franco Lista

Parlare* dell’eredità, contestualizzandolanell’ampio percorso delle arti visive, signi-

fica soppesarla sin dal suo inizio con l’homosapiens e la sua insopprimibile esigenza di co-municare per figure con rilevanti e indicativetracce segniche, fino all’incoerente e indistintotempo presente; signi-fica, soprattutto, pren-dere in attenta consi-derazione lo statod’incertezza sempreattuale quando si ri-flette e si valuta il rap-porto tra passato epresente.Un rapporto segnato,quasi sempre, da unasorta di equilibrio in-stabile del fenomenoartistico, osservato sulfilo diacronico dellasua storia. Da qui prendono avvio alcuni miei spunti di ri-flessione e alcune angolature, su questa “ere-dità in bilico”, fatti di attingimenti esegnatamente di quei prelievi stilistici chehanno dato luogo a manierismi e conformismi.Un equilibrio che ha comportato, altre volte,trasformazioni radicali e il corrispondente su-peramento delle eredità artistiche.

Diversamente, questi lasciti sono stati avvertiticome retaggio negativo e da qui l’aperta, di-chiarata rinuncia all’eredità stessa.inizierei proprio da quest’ultimo atteggiamentoperché si mostra più vivacemente attraente esuscitatore di polemiche quando a una eredità

stilistica se ne sosti-tuisca un’altra.e dovremmo dire chedietro qualsivogliastile o gusto è semprepresente quella condi-zione che riegl defi-niva Kunstwollen,cioè volontà d’arte.Una spinta, un motodell’animo, dunque,che agisce come unasorta di abbrivio col-lettivo che sottostàalle metamorfosi e al-l’intima natura dell’arte.

Hans belting, poi, acutamente, mette in direttarelazione ogni «volontà d’arte» con una speci-fica Weltanschauung, ossia una concezione delmondo, della vita. Un modo di guardare le coseche diventa stile di vita e anche «fenomeno sti-listico». Così, «gli stili artistici – scrive – di-ventarono stili di vita o di pensiero».Pensiamo, in proposito, all’influenza che ebbe

Franco lista, L'eco di Worms(Caprarola, Palazzo Farnese - “Pittura di Storia”,

a c. di giuseppe gatt - 1984)

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il saggio di Wilhelm Worringer, Astrazione eempatia, sul pensiero di artisti e intellettuali delprimo novecento. le avanguardie, in qualchemodo, lo fecero proprio: quasi una sorta di ma-nifesto, una esplicita dichiarazione di “intimaaffinità” tra concezione del mondo (Weltan-schauung) e idem sentire dell’espressione arti-stica: una forte connessione, un profondolegame tra “anima collettiva e stile”.e, forse per questo, gli stili un tempo duravanosecoli e non come accade oggisi estinguono nel giro di unabreve stagione.

* * *Sarà il caso di accennare a qual-che considerazione storica, dilungo periodo, per rendere me-glio l’idea di eredità stilistica.alcuni termini, con i quali sonostati indicati periodi artistici,hanno una spiccata origine po-lemica e dunque di riprovazioneindiscriminata per tutte le mani-festazioni artistiche di un’epoca.l’arte del Duecento e del tre-cento, ad esempio, fu marchiatacon intento dispregiativo col ter-mine gotico. È Vasari che tira fuori il terminegotico. nelle sue Vite, con forte espressività,definisce l’architettura come «lavori tede-schi…mostruosi e barbari». ai suoi occhi, diclassico protagonista rinascimentale, l’archi-tettura gotica che invade l’italia è una verasventura e ne auspica l’oblio:

«Questa maniera fu trovata dai gotti che riempieronotutta italia di questa maledizione di fabriche, che per nonaverne più, s’è dismesso ogni modo loro. iddio scampiogni paese da venir tale pensiero, et ordine di lavori, cheper essere eglino talmente difformi alla bellezza dellefabbriche nostre, meritano che non se ne favelli più chequesto».

nel Settecento, poi, con l’emergere e il conso-lidarsi delle idee e del gusto neoclassico, le ar-chitetture e le sculture seicentesche furonochiamate barocche, col chiaro intento polemicodi giudicarle bizzarre e stupefacenti. analoga repulsione vi fu tra romanticismo che

segue al neoclassicismo e così via nel tempo,fino alla forte avversione e all’intransigenzadelle cosiddette avanguardie storiche nei con-fronti dell’ottocento e dei suoi impianti for-mali. Che è cosa relativamente recente!Una situazione in bilico tra continuità e discon-tinuità dell’arte italiana che tuttavia convoglia,da una parte, sentimenti di forte identità cultu-rale, di senso artistico, di Italian style (di-remmo con una abusatissima locuzione) e,

dall’altra, all’assuefazione allabellezza, spesso sentita come in-gombrante eredità, una sorta dicondizionamento, di restrizionestorica. Cosa, questa, avvertita con largoanticipo da goethe, sin dagliinizi del suo memorabile viag-gio in italia.l’eredità del passato, senza dub-bio, implica la capacità di ricor-dare, la memoria, la rammemo-razione. Paolo rossi, in propo-sito, ha approfondito questo ri-levante tema in quel suobellissimo saggio dal titolo em-blematico, Il passato, la memo-ria, l’oblio, dove mette inrelazione memoria e immagina-

zione che, come sostenevano Hobbes e Vico,vanno considerate quali facoltà gemelle.«la memoria, dice Paolo rossi, ha a che farecon l’idea – attiva pure nella biologia, nella fi-losofia, nella letteratura, nella psichiatria – chepezzi del passato si riaffaccino o riemerganonel presente».ed è questo il tipico processo dell’individualitàcreatrice dell’artista: rivedere il passato, assu-merlo come stimolo, trasformarlo, decostruirloper ricomporlo in forme nuove o decontestua-lizzarlo per risemantizzarlo; risignificarlo, perpoterne fare variazioni di senso. ecco l’imma-ginazione che accompagna quel fare che è pursempre un rifare, come saggiamente sostienenelson goodman.al riguardo, le categorie di storia e attualitàsono state sperimentate da chi scrive in gruppidi lavoro, negli anni ’70 con la Prop Art di

Franco lista, Prop art(napoli, Saletta rossa dellalibreria guida - a c. di luca[luigi Castellano] – 1972)

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luca (luigi Castellano) che aveva presso dinoi partecipanti, il significato di arte di propa-ganda politica e la “Pittura di storia” (1984)che faceva capo a giuseppe gatt, attingendoalla nostra grande storia artistica.

* * *nell’epoca che ancora viviamo della benjami-niana “riproducibilità” dell’arte, della scom-parsa della sua connotazione “auratica”, dellafilosofia delle rovine, l’insofferenza verso ilpassato si avverte maggiormente. oggi, vi-viamo chiusi, per non dire reclusi, in un pre-sente enormemente dilatato: una societàsincronica, non più diacronica e dunque conrapporti deboli con il passato e conseguente in-capacità di esprimere progetti e congetture peril futuro. gli artisti producono “feticci arti-stici”, si rivolgono alle «merci semiotiche», percitare Mario Perniola; il banale è assunto comevalore se produce stupore e compiacimento. Si verifica la «trasfigurazione del banale», percitare arthur Danto!Conseguenze della rinuncia all’eredità, perdirla francescanamente, sono da vedersi nellaevidente inclinazione di gran parte dell’artecontemporanea verso processi di appiattimentoe di conformismo, in direzione di una estremaframmentazione di contenuti e comportamenti:una babelica “eteroglossia” (se così si può de-finire) dei linguaggi artistici, ormai governaticon efficienza economica dal cosiddetto “si-stema dell’arte”.Hans belting, non saprei se per impassibile econcreto realismo o per fatalistica accettazione,ha scritto: «bisogna convivere con il plurali-smo degli stili e dei valori che caratterizzanola nostra società, anche per il fatto che non è invista nessuna via d’uscita».l’arte ora appare come se fosse priva di ele-menti aggreganti, pure presenti nelle neoavan-guardie; una sorta di rinuncia a elementistilistici e linguistici comuni, quasi che si esau-rissero nella stessa mobilità dell’artista chepassa, con estrema disinvoltura, da un linguag-gio all’altro, da una ricerca all’altra.

eppure a questa frammentazione, pari a ungioco di specchi infranti che genera una piog-gia di schegge espressive, corrisponde parados-salmente una sorta di culto delle immagini, lacosiddetta “imagomania”.Una complicata prospettiva della contempora-neità sulla quale l’eredità, intesa come sensibi-lizzazione della coscienza dell’artista, puòavere un suo nuovo ruolo. l’artista non rinun-ciando ad essere testimone e critico del mo-mento storico che vive deve tentare, con la suaricerca, di dar forma e, soprattutto, autentica“interpretazione” (Auslegung) al suo Dasein,al suo “esserci”; riscattare, come voleva Hei-degger, il suo Geworfenheit, il suo “essere-get-tato” nel mondo.temi dunque di forte peso specifico che invi-tano a una connessione sempre più stretta tral’individualità creatrice e il mondo sociale; auna ricognizione concettuale su quanto accade. allora, chiediamoci: vi sono, oltre all’invitoalla convivenza, suggerito da belting, e aipunti da me sottolineati, cenni, segni, tracciatidi esperienze che possono essere di sostegnoalle nuove stagioni dell’arte?Penso, per questo, a quell’insieme di azioni ar-tistiche che favoriscono relazioni e rapporti traartisti e pubblico. alle forme di coinvolgi-mento, sperimentate al “ramo d’oro” di na-poli, non più statiche come vuolel’organizzazione museale e il tradizionale rap-porto tra l’opera e l’astante. Penso a fruizionipiù dinamiche fondate sull’interazione, la so-cialità, la convivialità. a un rapporto coinvol-gente, non più passivo ma agente epartecipativo. in sostanza, come già avviene inpiù parti, a relazioni, legami e confronti con gliartisti nel vivo dei loro atelier: legami dunqueche portano a far coincidere i due termini diarte e vita._________

* Sintesi della conversazione tenuta il 19 ottobre 2019al Macro asilo, Stanza delle parole (Museo di arte con-temporanea di roma), a cura di Daniela Materazzi.

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“CARTA DI PROCIDA - 2013”

Documenti

l’amministrazione Comunale di Procida (na)la Chiesa locale di Procida (na)l’ordine Francescano Secolare della Campania [oFS]la gioventù Francescana di Campania e basilicata [giFra]l’associazione “gocce di Fraternità onlus”riuniti a Procida (na) il giorno 1 settembre 2013 in occasione della Viii giornata nazionaleper il Creato, indetta dalla Conferenza episcopale italiana, al fine di:a) testimoniare l’attenzione per i temi ambientali,b) manifestare la volontà di dare avvio ad un impegno comune per la tutela del paesaggio cam-pano,sottoscrivono il presente documento denominato “Carta di Procida - 2013” col quale si impe-gnano, ciascuno per le proprie competenze a:Promuovere la conoscenza dei beni ambientali e delle tematiche di tutela ambientale;Diffondere la cultura del rispetto e della cura dell’ambiente;Favorire la diffusione di stili di vita sobri e rispettosi degli equilibri ecologici;

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L’8 settembre scorso, i sindaci dei comuni di Aversa e di Casal di Principe hanno aderito alla“Carta di Procida”, che fu sottoscritta, per la prima volta, nell’isola, in occasione della Gior-nata per la Custodia del Creato, sei anni fa, su iniziativa dei Francescani campani. Ne pubbli-chiamo, qui di seguito, il testo originale.

* * *

“LA REPUBBLICA NAPOLETANA 1799-2019 E IL SOGNO DI UNA PATRIA EUROPEA”

Dal dicembre 2018, la Curia arcivescovile di Napoli ha assegnato la quattro-centesca chiesa di San Bartolomeo all’Associazione Amici Archivi onlus, chevi ha allestito, nei giorni 29 e 30 novembre scorsi, la mostra documentaria“LA REPUBBLICA NAPOLETANA 1799-2019 E IL SOGNO DI UNA PATRIA EUROPEA”,curata da Giulio Raimondi e Daniela Menafro. Il tema della mostra ha costituitoanche l’argomento di un Convegno di studi, svoltosi nella stessa sede, nellaprima delle suddette giornate, con la partecipazione dell’on. Flavia Piccoli-Nar-

delli, nonché di Massimiliano Marotta, Piero Craveri, Paolo Iorio, Paolo Mascilli Migliorini, Ame-deo Lepore, Ugo De Flaviis, Arturo Martorelli, Diodato Colonnesi, Daniela Menafro, FrancescoStarace, Mariarosaria Di Leo, Stefania Raimondi, Pasquale Del Vecchio e Francesco Di Vaio,moderati da Giulio Raimondi. Nell’occasione, Il Rievocatore ha ricevuto in omaggio una copiadei quattro tomi del Catalogo ragionato dei libri registri e scritture dell’Archivio municipale diNapoli, curato da Bartolommeo Capasso e Raffaele Parisi.

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adottare, secondo le proprie competenze, nelle scelte che hanno incidenza ambientale, il prin-cipio di precauzione così come definito dalla “Dichiarazione di rio” (principio 15);Favorire la sottoscrizione di analoghe carte di impegno con altre amministrazioni Pubbliche econ associazioni ed organizzazioni impegnate su temi ambientali e sociali.gli impegni oggi sottoscritti potranno trovare attuazione tramite le seguenti azioni, da condurresingolarmente o in modo congiunto:organizzazione di corsi, mostre, convegni e rappresentazioni artistiche che contribuiscano a dif-fondere la conoscenza dei beni e delle tematiche ambientali;promozione di dibattiti, confronti pubblici e presentazione di testimonianze atti a divulgareesempi e modalità di rispetto e cura dell’ambiente;organizzare escursioni e visite per approfondire la conoscenza dei paesaggi;promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sui temi ambientali;proporre, tramite la presentazione di testimonianze e l’adozione di specifiche politiche socialied economiche, nuovi stili di vita ecosostenibili;favorire la più ampia circolazione di informazione e notizie circa i temi ambientali.

Vincenzo Capezzuto (Sindaco di Procida) Michele ortaglio (Ministro regionale oFS) Don raffaele Ponticelli (1° Decanato Chiesa di napoli) antonio obid (Presidente regionale giFra) Carlo tucciello (Presidente gocce di Fraternità onlus)

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LE “NEMESIACHE”

Il nostro redattore Franco Lista ha presentato, in-sieme con la giornalista Rita Felerico, il saggioLa nemesi di Medea, di Silvana Campese (ed.L’Inedito), che ricostruisce la storia di 50 anni(1968-1918) dello storico gruppo femminista napo-letano de “Le Nemesiache”, nato nel pieno della ri-volta femminista, al quale aveva partecipato

l’autrice medesima. La manifestazione, introdotta da Marina Melogli, direttricedella sede napoletana della Fondazione “Humaniter” e coordinata da MaurizioVitiello, si è svolta, il 6 novembre scorso, nell’Aula Magna “Massimo della Campa”della Fondazione stessa, e ha visto la partecipazione delle attrici Clara Bocchino eTeresa Stesy Raiano, che hanno letto alcune pagine del volume.

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«DIO È CON NOI». 2Considerazioni su alcuni fenomeni di pietà popolare

di Sergio Zazzera

4. Gli “ex-voto”.Per ex-voto (< lat. ex voto suscepto = «in se-guito al voto fatto»37) s’intende qualsiasi og-getto offerto a una chiesa o a un santuario, chesia destinato a esservi esposto, a testimonianzadi una grazia ricevuta38. la sua differenza dal votum del diritto ro-mano39 consiste nel fatto che, questo, in quantofonte di un vero e proprio rapporto obbligato-rio, era produttivo di effetti giuridici, laddovel’altro si risolve in un impegno di natura esclu-sivamente morale verso la Divinità (o la Ma-donna, o un santo) del promittente, del qualeesprime la riconoscenza verso costoro e l’ in-tenzione di testimoniare la grazia ricevuta40.Questa, dunque, è l’unica maniera legittimad’intendere il concetto di “contrattualità” delrapporto fra l’uomo e il patrono, che taluno in-dividua41. nell’ex-voto, però, è ravvisabile, disolito, e sia pure in maniera indiretta, anchel’altra importantissima funzione di documen-tazione nel tempo di avvenimenti che possonoavere una rilevanza sul piano della storia42.originariamente, gli ex-voto erano costituiti damodellini – di cera o di metallo (argento oaltro) –, raffiguranti la parte del corpo umanomiracolata; successivamente, e già da epocanon tanto recente43, il tipo sicuramente più co-mune di ex-voto è divenuto, però, quello pitto-rico, definito da Francesco Mastriani comequelle «dipinture colle quali vien rappresentatoa’ riguardanti quel caso particolare di malattia

o di altra sciagura, a risanar dal quale si fa ilvoto»44. e proprio questa è la tipologia di ex-voto che meglio di ogni altra assolve la fun-zione di documentazione storica degli avve-nimenti: per quanto, infatti, trasfigurata dallafantasia e dall’estro pittorico dell’autore, la ta-voletta dipinta rappresenta sicuramente, nellasua immediatezza e nella sua essenzialità, lascena culminante dell’avvenimento che deter-minò la promessa da parte del protagonista,

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con l’immagine della Madonna o del Santo in-tercessore (c.d. “spazio divino” o “sacro”)45.

5. Il tatuaggio.Col sostantivo “tatuaggio” (< samoano tatau,attraverso il francese tatouage) s’intende siauna particolare tecnica di decorazione pittoricadel corpo umano – tanto permanente, quantotemporanea –, sia la decorazione stessa46. Una particolare tipologia di tatuaggio è quellaraffigurante un soggetto religioso (Cristo, Ma-donna, santi, anime del Purgatorio, simboli re-ligiosi, come la Croce), che presenta un’affinitàcol tatuaggio etnico, quando la figura rappre-sentata costituisce l’oggetto di un culto lo-cale47: fra gli esempipiù significativi, inproposito, si possonocitare quelli del VoltoSanto, della SantaCroce e della Crocepisana, in uso, rispet-tivamente, a lucca,livorno e Pisa48, men-tre un tipo particolareera praticato a loreto,dalla fine del sec. XVifino al primo ventennio del secolo scorso, so-prattutto da parte dei pellegrini contadini dellazio, dell’abruzzo e delle Marche49. né lapratica è limitata alla religione cristiana, poi-ché, già nell’antichità classica, i sacerdoti eu-nuchi di attis si facevano tatuare una foglia diedera50; oggi, poi, essa è diffusa, fra l’altro, inindia, in seno al culto di rama51, laddovel’islām, per lo più, la vieta, come in turchia,dove la Direzione affari religiosi del governoha lanciato una fatwa contro la stessa52.È il caso di ricordare anche come il divietoposto dal levitico53 non concerna il tatuaggioin sé, ma piuttosto la sua riferibilità al culto deimorti, ritenuto incompatibile con la fede nel-l’unico Dio d’israele. Del resto, secondo Pro-copio di Cesarea, i primi cristiani si facevanotatuare sul corpo il simbolo della loro religione,per assicurarsi la possibilità di sepoltura eccle-siastica in caso di morte54.già nel corso del sec. XiX la pratica del tatuag-gio religioso era diffusa perfino tra i camorristi:

scrive abele De blasio: «nessuno dei sangui-nari e nessuno dei ladri lascia, prima di com-mettere il delitto, di raccomandarsi o ai santi oalle anime del purgatorio. i segni consistono incroci variamente eseguite, in sacramenti con osenza raggi, in nomi di santi e in disegni raffi-guranti santi e madonne»55.

6. Considerazioni conclusive.tutte le pratiche religiose fin qui consideraterispondono all’esigenza dal soggetto che lepone in essere di poter affermare: «Dio è conme».Quanto alla reliquia, l’idea ch’essa “sia” ilsanto, spinta alle estreme conseguenze, nel

senso che il possessodell’una equivarrebbea quello dell’altro, in-duce, di fatto, il pos-sessore a proclamare:«il santo “è conme”», fino a determi-nare – in qualchecaso, magari, real-mente – deprecabilimanifestazioni di feti-cismo, volte all’ap-

propriazione d’un preteso “potere sacro”56. le ipotesi dell’edicola devozionale e dell’ex-voto pittorico, poi, vanno prese in considera-zione congiuntamente. la differenza dell’unadall’altro, infatti, risulta evidente, per la consi-derazione, da una parte, che in quest’ultimo, adifferenza dalla prima, la raffigurazione del-l’evento miracoloso prevale, in maniera asso-luta, sul c.d. “spazio divino”, fortementelimitato (di solito, a un angolo del dipinto), e,dall’altra, che l’ex-voto costituisce per l’offe-rente il mezzo per “entrare”, attraverso l’im-magine donata, nel luogo sacro al destinatario,laddove, per converso, la costruzione dell’edi-cola attua l’“ingresso” di quest’ultimo nellacasa dell’offerente (o, quanto meno, nelle suepertinenze), così assumendo una funzione pro-tettiva ben più incisiva57.in altri termini, – ed estendendo il concettodalla Divinità al santo patrono –, il significatoattribuibile alla collocazione dell’oggetto of-ferto nel luogo di culto dedicato a quest’ultimo

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è sicuramente quello di porre l’immaginedell’offerente, raffigurata nel dipinto, “sotto gliocchi” del santo (ma il discorso può valereanche per la Vergine), perché egli “si ricordi”di lui e lo protegga. in tal senso, dunque, l’ex-voto costituisce, con piena evidenza, l’omo-logo inverso dell’edicola devozionale, la cuirealizzazione consente all’offerente di “porreaccanto a sé” (= “stare con lui”) l’immaginedel patrono, il quale, perciò, lo avrà “sotto ilproprio sguardo”, “si ricorderà” di lui e lo pro-teggerà58.Più pregnante, infine, è il senso del tatuaggioreligioso, che, impresso sul corpo dell’indivi-duo, gli fa ritenere più immediata, diretta e co-stante la protezione: il soggetto raffigurato,infatti, non si “distaccherà” mai da lui, finoall’ipotesi limite, nel caso di omicidio, dellacommorienza – che, si badi, in tutti i casi, masoprattutto quando la rappresentazione con-cerna la Divinità, si risolverebbein una bestemmia –. (2. Fine)_______37 Cfr. D. Meldi e aa. (a c.), Dizionario etimologico cit.,p. 372. 38 Cfr. C. Ciano, Le manifestazioni votive monteneresi,in Riv. Marittima, giugno 1982, p. 57. 39 Sul quale cfr. a. guarino, Diritto privato romano7, na-poli 1984, p. 846.40 Cfr. P. giannino, Napoli. Un’esperienza da vivere, na-poli 1986, p. 129 s. in realtà, benché il codice di dirittocanonico istituzionalizzi il voto, disciplinandolo me-diante i cann. 1191-1198, tuttavia, la dottrina più affer-mata tende a limitare la connotazione di giuridicità allesole società umane che abbiano struttura statuale (cfr. a.guarino, o. c., p. 19 s.), e tale non è la Chiesa, in sé con-siderata, come entità distinta dallo stato-Città del Vati-cano.41 Cfr., ad es., M. niola, I Santi patroni, bologna 2007,p. 9; contra, però, cfr. g. Provitera, Dinamica culturale,in g. Provitera - g. ranisio - e. giliberti, o. c., p. 18,56, nel senso che il fedele accetta con rassegnazioneanche il mancato accoglimento delle sue istanze da parte

del patrono, cui si è rivolto.42 Cfr. C. Ciano, o. c., p. 60.43 la metà del sec. XV, secondo l. rebuffo, Ex voto ma-rinari, roma 1961, p. 13.44 Cfr. F. Mastriani, La messa votiva, in Usi e costumi diNapoli e dintorni, a c. di F. de bourcard, Milano r. 1977,p. 536; v. pure D. Ferraris, Ex voto. Tra arte e devozione,Padova 2016, p. 63 ss.45 Ma si v. le perplessità di l. Mazzacane, Forma e strut-tura dell’ex voto marinaro, in La cultura del mare nel-l’area flegrea, roma-bari 1989, p. 116 ss.46 Cfr. l’indirizzo internet: https://it.wikipedia.org/wiki/Tatuaggio. Si tratta, peraltro, di una consuetudine vistacon disfavore dagli ambienti militari, nei quali l’a. 3della Direttiva sulla regolamentazione dell’applicazionedei tatuaggi da parte del personale dell’esercito ne ri-mette la valutazione della liceità al giudizio del coman-dante di Corpo per il personale in servizio e a quellodella commissione concorsuale in sede di selezione: cfr.a. Fuccillo, Diritto religioni culture2, torino 2018, p.233 ss.47 Cfr. g. Falco, “Identità”, roma 1922, p. 233. 48 Cfr. a. Severi, Il tatuaggio nei pazzi, in Archivio dipsichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, 6,1885, p. 61.49 Cfr. i. tanoni, Il tatuaggio sacro a Loreto, in Ricerchedi storia sociale e religiosa, 1977, p. 105 ss. 50 Cfr. j.-g. Frazer, o. c., p. 402.51 Cfr. K.-H. golzio, Who’s Who delle religioni, tr. it.,roma 2003, p. 141.52 Cfr. a. giangrande, Governopoli. L’Italia del malgo-verno, 2, s.i.t., p. 109.53 «non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, névi farete segni di tatuaggio. io sono il Signore» (lev.19,28).54 Cfr. a. De blasio, Il tatuaggio cit., p. 38.55 Cfr. a. De blasio, Usi e costumi dei camorristi, napolir. 1897, p. 57.56 Sul “potere sacro” delle reliquie potrà giovare la let-tura di C. augias - M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Milano200714, p. 232 sg.57 g. Provitera, o. c., 50 s., vi ravvisa una sorta di «pro-lungamento nel tempo» del rapporto col divino.58 in tal senso cfr., sostanzialmente, S. Zazzera, Edicoledevozionali procidane, in Bollettino flegreo, marzo2000, p. 130.

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Dall’intervento di Carla Nespolo, presidente nazionale A.N.P.I., per il 50°anniversario della strage di piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 2019::«...finalmente si farà a Milano, dove la Resistenza è nata*, un vero e im-portante Museo Nazionale della Resistenza».Ma, allora, le Quattro giornate di Napoli (28 settembre-1° ottobre 1943)?

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* corsivi nostri

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E SE FOSSIMO NOI NAPOLETANIA FARE IL MIRACOLO A SAN GENNARO?

L’inesorabile “buco nero” che fagocita il grande sognodi ridare a napoli quella fascinosa immagine che nei

tempi passati l’aveva resa “città capitale” è alimentato daquattro piaghe: il degrado, la volgarità, l’ignoranza e il di-sinteresse totale per il bene pubblico. Se noi napoletani, nelnome di san gennaro, riuscissimo a sanarle queste piaghe,il nostro santo patrono – e non solo lui – esulterebbe!Ma cosa dovremmo fare? Secondo me è abbastanza sem-plice se davvero vogliamo dimostrare che napoli l’amiamocon il cuore e non con vuote parole! Dovremmo capire che la medicina efficace è la cultura,essa può sanare ogni male ma, purtroppo, sono ancora pochi, molto pochi, coloro che hannocompreso il problema e che agiscono quotidianamente per il bene della nostra terra. la stra-grande maggioranza dei napoletani è assente! Quindi, dove ci sono queste piaghe, e a napoli ci sono e sono ancora vincenti, l’esempio dipochi non basta. a tutti coloro che si chiedono perché mai né san gennaro, né alcun sindaco,governatore o prefetto siano riusciti a far “volare” napoli come meriterebbe ribadisco che perfare il salto di qualità, oltre ai santi, ai governanti illuminati e all’esempio dei grandi figli dellanostra amata terra, occorre anche un appassionato lavoro di squadra, e per squadra intendo nonsolo gli amministratori, bensì l’intera cittadinanza. Se non c’è la collaborazione di tutti – ed èevidente che non ci sia – ogni cosa diventa ancora più difficile, quasi irrealizzabile. Probabilmente ci sono forze malefiche talmente radicate nel territorio che né san gennaro, néalcuna autorità, pur se dotata di tutta la buona volontà, può essere capace di contrastare. Solocol costante impegno di ogni famiglia, della scuola, dei docenti, dei campioni dello sport, deisacerdoti, dei netturbini, degli autisti dei bus, insomma dell’intera cittadinanza, nessuno escluso,napoli potrà trovare la spinta verticale per “riemergere” e riappropriarsi del ruolo che le spetta:tornare “capitale” e diventare quella metropoli europea che tutti gli uomini di buona volontà so-gnano!

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di Raffaele Pisani

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Riceviamo ora la notizia della morte, avvenuta in Cernobbio, diITALIA GAETA NICOLARDI

figlia del poeta E.A. Mario e vedova dello scrittore Ottavio Nicolardi. Allafamiglia giungano le condoglianze del direttore e della redazione di questoperiodico.

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In memoriam.1

CARLO CROCCOLO

di Mimmo Piscopo

Le struggenti note dell’Adagio di albinoni,sotto le antiche volte della chiesa di S. Fer-

dinando in piazza trieste etrento, hanno reso l’estremosaluto ad un napoletano che,come ad illustri predecessori,hanno reso la scoppiettantenatura partenopea, l’amore-vole passione per il lazzo e lalevità dei paradossi di una in-decifrabile parodia dell’es-sere.Carlo Croccolo, la cui verveha lasciato profondi segni diuna ironia rispettosa, umile epersonale, dalla carrieracolma di rappresentazioni incompagnie illustri e carisma-tiche, nato a napoli il 9 aprile1927, sin dall’infanzia ha nu-trito la passione per il teatro dai copioni ilaried anche impegnativi.nel 1945, lasciando gli studi di medicina, aradio napoli ha svolto ruoli diversi ed in dop-piaggi, come quello di oliver Hardy, vantan-dosi, tra l’altro, della particolare amicizia diMarilyn Monroe. in rubriche radiofoniche ha interpretato la fa-mosa figura del marmittone tonto, e tra cinema

e teatro ha svolto ruoli con Macario, nino ta-ranto, totò, i De Filippo, giacomo Furia. la

sua attività cinematograficaè stata intensissima, dai ruolicomici a quelli malinconici.Ha lavorato per la rai daglianni ’50 con Gran Varietà,Rosso e Nero e, quale ultimo,con la serie televisiva Capri.alternava questi ruoli impe-gnativi con l’attività di scul-tore quotato, partecipandoanche alla prestigiosa Qua-driennale di roma (1955). Chi scrive ha avuto l’onoredella sua presenza in occa-sione di una personale di pit-tura nel 1994 presso ilSalotto tolino, ricordando lasua frequentazione ai Sale-

siani, con i fratelli giuffrè, giacomo Furia edaltri.l’inesorabilità del tempo costringe al saluto diun personaggio amato, che a 92 anni, il 12 ot-tobre 2019 è andato tra le stelle, accompagnatodal commovente, semplice cartello di un am-miratore: «Ciao Carlo, salutami totò».

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Vivere con gli altri e per gli altri: il ricordo diGENNARO DI VAIO

In memoriam.2

di Antonio Grieco

Quando qualche settimana fa, improvvisa-mente, ettore Massarese, storico protago-

nista dell’avanguardia teatrale napoletana,sconvolto, mi telefonò comunicandomi lamorte di gennaro Di Vaio, stentai a crederci esolo di fronte al manifesto funebre posto ac-canto al portone della sua abitazione ai Colliaminei, dovetti arren-dermi alla realtà e con-statare che il mio ami-co, lo scrittore degliumili, presenza fonda-mentale della mia vita,ci aveva lasciati a 72 anni. Per chi lo ha conosciu-to, parlare di gennaronon è semplice. Perchélui era unico da tantipunti di vista. innanzitutto dal punto di vistaumano e morale. nella mia vita infatti rara-mente mi è capitato di incontrare una personacome lui, così aperta all’altro, così solidalecon i poveri, con i deboli, con chiunque vive esoffre ai margini della comunità. Questa bontàsenza confini lo aveva spinto molti anni fa adadottare con sua moglie anna, prematuramentescomparsa, due splendidi bambini brasiliani,

Daniela e Francesco, ai quali il nostro amicodedicò tutto sé stesso guidandoli verso un fu-turo certo e orientandoli a superare gli ostacolipiù ardui della vita. e si capisce perché, oggi,il loro dolore è davvero incommensurabile equella ferita resterà aperta per molto tempo,anche perché gennaro viveva, felice, con Da-

niela, suo marito e le trenipotine che lo adora-vano e ascoltavano in-cantate le sue storie. Questo suo sguardo,che aveva il dono dellaleggerezza, gennaro lotrasferiva anche nelleopere letterarie, nellesue commedie come neisuoi romanzi (per gran

parte inediti). Quando li terminava, dovevo es-sere io, probabilmente con Ciro De novellis,poeta e suo grande amico, tra i primi a leggerlie commentarli. tra le storie, le favole e i rac-conti non pubblicati (in napoletano o in ita-liano) si segnalano testi esilaranti legati allatradizione popolare – come A pàpera 'o furnoe 'E cunti 'e zi Innàro cientanne – ma ancheopere drammatiche che, come Galileo, evo-

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cano momenti cruciali della lotta per il pro-gresso dell'umanità; oppure testi (sempre conmolti personaggi) che denunciano l'ingiustizia,la violenza e gli inganni dell'uomo contempo-raneo: per esempio I cani di Hasson, suo terzoromanzo, che racconta la storia di un uomo cheva in carcere per un delitto mai commesso; o,ancora, l'elenco: quasi un monito per le comu-nità del terzo millennio a non ricadere negli or-rori e negli errori del passato. Ma poi vi sonoalcuni volumi editi – come Via Soffritto, Nei-willer, un poetaper amico, Caro“Cardarelli” tivoglio racconta-re... – che hannotutti uno stretto le-game col suo vis-suto, con la me-moria stessa dellacittà e delle nostretradizioni. ViaSoffritto (edizioniScientifiche e ar-tistiche, 20112),per esempio, ciparla di una piccola comunità contadina – dicui i suoi genitori sono parte integrante – chevive nella campagna dei Camaldoli, tra cupaMandracchio e Pianura. È un mondo povero,quasi dimenticato, questo pezzo della periferiadi napoli, dove la vita scorre con i suoi tempilenti nei cortili, e gli anziani, a sera, raccontanodi un mondo non ancora corrotto dal consumi-smo. il testo ha un forte accento autobiograficoe ci consente di seguire sin dall'infanzia quellasua “povertà gioiosa”, ed anche di conoscere“dall'interno” questo piccolo mondo rurale,composto di artigiani, braccianti, muratori, per-sonaggi stravaganti come Eugenio cu 'e llente,comico ambulante che aveva la capacità, conun linguaggio popolare, di “mettere in ridicoloi politici e la politica”. Uno dei capitoli più in-

tensi di Via Soffritto è dedicato a La Nevicatadel '56, dove si ricorda come quell'evento cosìinconsueto per napoli ebbe effetti drammaticiin tutta l'area agricola dei Camaldoli impove-rendo l'intera comunità contadina. Più in gene-rale, noi crediamo che Via Soffritto sia allostesso tempo un fondamentale testo sulla me-moria dispersa della nostra comunità e unostrumento indispensabile per studiare e appro-fondire, sia dal punto di vista antropologicoche della stratificazione sociale, una parte del

nostro territorio dicui si conosce an-cora troppo pocola storia.Da quel “mondo aparte”, gennarotentò lentamentedi affrancarsi masenza mai disper-derne la memoria:prima come ope-raio edile e poif r e q u e n t a n d ol'istituto tecnicoa. Volta, dove in-

contrò e divenne amico di antonio neiwiller,regista, poeta e attore d'avanguardia, scom-parso giovanissimo nel '93. a lui gennaro de-dica il volume Neiwiller, un poeta per amico,edito da alessandro Polidoro (con delle bellis-sime fotografie di Mauro abate), che presen-tammo con Sergio Zazzera nel 2014, nella sededella Municipalità vomerese. oltre dell'amicoregista che lo introdusse nel mondo del teatroe dell'arte, gennaro ci parla qui anche di come,nonostante le frequenti crisi d'asma che sin dabambino lo hanno tormentato, egli sia riuscito,facendo i mestieri più umili e attraverso lo stu-dio, a riscattare la sua triste condizione sociale.il libro di gennaro ci consente, tra l'altro, discoprire, negli anni della sua formazione, unodei più grandi artisti napoletani del novecento

alla “Fondazione F. de Martino”; da sinistra: antonio grieco,Sergio Zazzera, gennaro Di Vaio e alessandro Polidoro

Prova a guardarti dentro: c’è in te del Cielo e della Terra!

Hildegard von Bingen

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ancora poco noto nella sua città ma amatissimoda una nuova generazione di attori e registi ita-liani che continua a ispirarsi a lui e al suo teatrodi poesia lontano da ogni tentazione omolo-gante o mercantile. Con lui gennaro incontraeduardo nel suo camerino del teatro San Fer-dinando ed autori attori come il grande leo deberardinis. nel racconto scorrono poi le imma-gini della scuola; una scuola ancora di stampotradizionale, che spesso spinge sia lui che nei-willer ad evadere da quello che per loro eranient'altro che un carcere oppressivo senza vied'uscita. Una delle parti più commoventi delsuo ricordo riguarda il momento in cui, attra-versando una corsia di un reparto del Carda-relli, scopre, quasi per caso, che il suo amico,che non vede da qualche anno, è ricoverato lìin una condizione di salute di estrema gravità,e, per distrarlo, inizia a leggergli alcune partidel suo Galileo, una commedia che intendevamettere in scena col suo aiuto. l'ultimo suotesto (edito nel 2016 da Filo refe) Caro “Car-darelli” ti voglio raccontare... racconta dellasua lunga vita lavorativa nell'ospedale collinaredi napoli, dal primo giorno di lavoro – quando,assunto come infermiere, alle sette di mattinasi reca dal professor Vittorio Monteleone, pri-mario del reparto di ortopedia – agli ultimianni, dopo essersi laureato, da “ispettore tur-nista e, nel contempo, a titolo gratuito, capodell'“equipe Controllo infezioni ospedaliere”.la storia del Cardarelli di gennaro – che de-dicò molta parte della sua esperienza profes-sionale per debellare le infezioni posto-peratorie – è molto emblematica delle gravi di-

storsioni e del degrado in cui versa la Sanitàdel nostro Paese. “la politica – scrive ripren-dendo le parole del professor Pusateri – si è ab-battuta sulla Sanità come un ciclonesull'oceano... un'ondata disastrosa arriverà pianpiano sulla costa... e verremo tutti travolti “.Per impedire che questa ondata sommerga i piùdeboli e crei una Sanità di classe – una per iricchi e l'altra per i poveri – gennaro non smisemai di lottare. Una lotta senza tregua che lospinse a partecipare direttamente all'attivitàsindacale e politica nella sinistra e ad impe-gnarsi nel tribunale per i diritti del cittadino edel malato. al Cardarelli, gennaro incontra lucia, compa-gna dolcissima, che lo aiuterà insieme ai suoifigli a superare i momenti più difficili della suavita. gennaro – che è stato anche uno straor-dinario artigiano del cuoio e attore in una pic-cola compagnia di teatro amatoriale – non eraconvinto di vivere nel migliore dei mondi pos-sibili. Per questo, in filigrana, tutti i suoi scritti,che, come abbiamo visto, ripercorrono i trattipiù significativi della sua esistenza, ci sonosempre apparsi come un invito ad andare con-trocorrente per riscoprire quella perduta armo-nia tra la natura e gli uomini come fondamentodi un mondo nuovo. aveva il dono dell'inno-cenza, gennaro: quell'allegria dei poveri che lofaceva vivere con gli altri e per gli altri. Perquesto, caro gennaro, ti saremo per sempregrati e mai potremo dimenticare la tua grandelezione di umiltà, di vita, di poesia, di amore.

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TESTATE AMICHE

BUONGIOrNO NAPOLIvia g. jannelli, 346, 80131 napoli

[email protected]. resp. gennaro giannattasio

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NAPOLI TRA VICERÉ E CAPIPOPOLO

di Nico Dente Gattola

Dal dopoguerra ad oggi napoli ha sempreavuto una classe politica che ha esercitato

una forte leadership, di sovente anche a livellonazionale, a partire da achille lauro, sindacodi napoli negli anni cinquanta e poi nel 1961nonché parlamentare italiano per svariate legi-slature, con un ruolo che a tratti a livello citta-dino è stato preminente sia pur tra millecontraddizioni e che però a livello nazionalenon è riuscito ad imporre un segno evidente.Vi sono poi stati altri politici provenienti inbuona parte dalle file della Democrazia Cri-stiana, quali per esempio Paolo Cirino Pomi-cino, enzo Scotti, che hanno avuto un ruolo digoverno prima a livello locale e poi nazionaleo non ultimo Francesco De lorenzo ministrodella salute nella c.d “prima repubblica”, perpoi passare ad antonio bassolino e agli esempiattuali ovvero il presidente della Camera ro-berto Fico e luigi de Magistris attuale Sindacodi napoli o altri che hanno un ruolo nella vitapolitica napoletana. Senza contare l’attuale go-vernatore della regione Campania, VincenzoDe luca che, pur non essendo napoletano e puravendo svolto buona parte della sua carrierapolitica a Salerno, negli ultimi anni, si vogliaper motivi politici (napoli è comunque il ca-poluogo della regione dove svolge il suo ruolodi presidente) o pratici (necessario affermarela propria egemonia in una città con visibilitànazionale), non ha mancato di far sentire la sua

voce nelle vicende cittadine, recitando un ruolosulla scena spesso in antitesi ma non troppodifferente da quello del sindaco de Magistris.Un elenco di personalità politiche, che sono ac-comunate dall’aver governato o dal governarea napoli, dall’avere avuto o avere ancora unruolo e un peso politico nazionale che si fondasulla base elettorale di napoli e dall’influen-zare direttamente ed indirettamente le vicendelocali con il loro peso politico, che spesso haportato per il passato a parlare non a torto diveri e propri viceré, nel senso che avevano unpeso ben maggiore di chi esercitava il governodella città.Un quadro descrittivo, che però negli anni èmutato perché a mutare è stato il ruolo e, in uncerto senso, la funzione ed il modo in cui il po-tere politico viene ad essere svolto dalle perso-nalità politiche locali ed innegabilmente il loropeso e la loro influenza sullo scenario politiconazionale.nella napoli degli anni 10 del nuovo millenniola situazione è leggermente diversa e pare op-portuno non parlare più di viceré ma di possi-bili leader o capipopolo: ancora non è datosapere…: tutto risente del ruolo ormai defilatoe secondario della città nello scacchiere nazio-nale e della forza che avrà la classe politica at-tuale di imporre la questione napoletana alivello nazionale.la città è spesso diventata un ring per lo scon-

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tro tra due distinte figure: il presidente dellaregione, ieri bassolino, Caldoro, oggi Deluca, ed il sindaco dell’epoca, iervolino primae poi luigi de Magistris, con i primi in unacompetizione in cui, al di là del proprio rispet-tivo ruolo istituzionale, lo scopo per lo menodall’esterno non appariva tanto quello di dareun contributo allo sviluppo della città, quantoquello di cercare di ac-quisire visibilità, quasicome se la città fosseuno strumento per ac-crescere il proprio pre-stigio. in poche parole,con frequenza (al di làdel colore politico) visono state svariate “in-vasioni di ruolo” in cuiabbiamo assistito a vi-cende in cui il presi-dente della regione hainteso rimarcare il proprio ruolo di supplentealle mancanze dell’amministrazione locale edil sindaco ha tentato di sostituirsi al ruolo dellaregione.Questo per rimarcare come nel tempo sia pro-fondamente cambiato il ruolo svolto dalle sin-gole istituzioni nella vita della città e comenapoli suo malgrado sia coinvolta e risenta delprocesso di personalizzazione della politica, incui non ha tanto importanza ciò che si fa ol’ideologia che ci guida, quanto piuttosto ren-dere l’idea di un uomo politico protagonista.in tal senso, risulta evidente come i leader cit-tadini o di estrazione locale, oggi non abbianopiù tanto “legioni” di elettori da muovere e perottenere consenso siano costretti a rivolgersiancor di più del passato all’esterno (con tutti irischi che ne derivano), ma siano più che altroportatori di idee, di parole o meglio di opinionee siano tutto sommato dei politici meno radi-cati sul territorio, con possibilità di muovereopinioni in città ma con minori possibilità dicambiare il destino della stessa, perché con mi-nore possibilità di incidere sui destini di quellache un tempo era la capitale del Mezzogiorno.in passato la questione era più o meno similesia pur partendo da un piano differente: infatti

i politici della c.d. “prima repubblica”, sia puravendo un maggiore peso ed una maggiore in-fluenza, hanno sempre privilegiato il consenso,il cercare di dare risposte alle istanze primarieche gli venivano rivolte, perdendo di vista allalunga, in nome del consenso personale, ogniesigenza di governo del territorio.Siamo, quindi in una fase di passaggio dalla

figura di un tempo,quella per intendercidella “prima repub-blica”, ovvero del c.d.“viceré”, che aveva inmano il destino dellametropoli partenopea eche pur essendo aroma metteva voce inogni vicenda cittadina(avendo dalla sua mi-gliaia di voti), ad unafigura politica ancora

non definita oggi un capopopolo: sarebbe in-giusto definire i politici di oggi populisti, me-glio con tutto il rispetto e senza voler darealcun valore dispregiativo alla parola definirlicapipopolo.Dove si andrà a finire e con che classe politicae con quali prospettive politiche per il territorioè purtroppo un qualcosa ancora difficile da pre-vedere, data l’estrema mutabilità del quadropolitico (ad ogni livello) e il carattere estrema-mente breve di vita di una carriera politica algiorno d’oggi in cui le leadership nascono emuoiono nello spazio di un mattino a livellointernazionale (figuriamoci a livello napole-tano).i politici locali al di là del colore politico hannoinfatti la qualità di riuscire ad arringare le folle,ad alzare i toni della vita politica, esasperandolial fine di ottenere visibilità ogni problematica.Certo è evidente che siamo in un momento ditransizione e quindi per questo il ruolo e glistessi leader locali sono instabili e ciò giustificala continua esigenza di visibilità, con leader-ship che rispetto al passato sono meno durevolie molto più mutevoli.Dall’assenza di una leadership chiara e forte alivello locale, deriva per forza di cose, come è

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evidente ed incontestabile, la mancanza di unruolo forte per la città di napoli e di politicheche possano avere una rilevanza anche a livellonazionale, con alla fine ricadute economiche esociali sul territorio.tutto sommato, le personalità politiche cheoggi dominano la scena politica napoletananon riescono adacquisire unruolo nazionale equesto di riflessole rende, loromalgrado, menostabili a livellolocale con scelteche mirano più afare opinione emeno al governo della città: in poche parolenon si avverte più come primaria l’esigenza digovernare ma quella di evidenziare la propriapresenza. allo stato non è dato sapere come la politicanapoletana a livello locale evolverà; di sicurocome in passato è incontestabile che non vi siaalcun tentativo di voler impostare la benchéminima strategia di governo del territorio, chein parole povere si dovrebbe estrinsecare inscelte politiche, in strategie nel medio lungoperiodo e che alla lunga sta portando la città adun ruolo sempre più marginale come mai av-venuto nella “prima repubblica”, epoca storicain cui napoli era sia pur in maniera fatua alcentro della vita politica cittadina.Certo nessuno intende riabilitare del tuttoquella fase politica che, si è visto, anche comeesperienza napoletana, ha rivelato più ombreche luci, ma è innegabile che oggi abbiamocome protagonisti dei politici con un ruolo di

minor peso rispetto al passato; che allora comeoggi vi sia una totale mancanza di governo delterritorio e della cosa pubblica è innegabile epurtroppo incontestabile.importante segnale di cambiamento sarebbe sefinalmente si recuperasse come elemento por-tante di ogni azione di governo a livello locale

l’esigenza di go-vernare il territo-rio e se questafosse finalmentemessa al primoposto. governodel territorio cheovviamente puòesplicarsi in variomodo con scelte

di varia e differente sensibilità, ma che oggimanca del tutto e che, lo ribadiamo, progressi-vamente può essere sostituito da forme di go-verno sempre meno positive, con conseguenzealla lunga negative per tutto il territorio.Si può, in conclusione, senza possibilità di er-rore, affermare come la stagione dei leader c.d“viceré” per l’enorme potere che esercitavano,sia stata estremamente negativa, perché non hafavorito la nascita di una classe politica, por-tando in incubazione l’attuale classe dirigentelocale, che con la crisi della politica, delle ideo-logie e dei partiti è molto più vicina a formelarvate di populismo.la crisi della politica e della classe politica na-poletana è ancor più evidente che altrove e sidenota nella pressoché totale mancanza di ideee di programmazione, ma è indiscutibile chetragga origine da molto lontano.

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Il 24 settembre scorso, nella libreria vomerese “Iocistò”,Sergio Zazzera, direttore di questa testata, ha pre-sentato il quaderno Autoisoimmunizzazione, deldr. Vincenzo Esposito (v. recensione a p. 55),dialogandone con l’autore; è seguito un dibattitocon il pubblico presente in sala.

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NAPOLETANI PROTAGONISTIAL PREMIO MASANIELLO

di Pangloss

Nel 1996 fu esperito un sondaggio tra glialunni delle scuole primarie di quartiere

Mercato per saggiare quale personaggio storicoprediligessero tra Corradino di Svevia e Masa-niello. risultò di netto il più votato Masaniello.Con Masaniello risultava vincente quellapiazza che in più epoche è stata il centro di vi-cende che nella vita della Città hanno lasciatotracce incancellabili. Col premio che ne è sca-turito, in Masaniello siè ravvisata la quintes-senza dell’anima na-poletana, l’audacia, laprepotenza, la genero-sità, la trasgressione,la risolutezza, l’irre-quietezza, la passiona-lità. il PremioMasaniello napoletaniProtagonisti per “ri-bellarci con lui”, contutte le nostre forze, a chi offende la nostra ci-viltà, la nostra cultura, le nostre tradizioni. ilPremio Masaniello per tornare a stupirci dellanostra bellezza, per tornare a incantarci quandoarriva primavera, per incontrare il sacro e ilprofano e cantarlo.la XiV edizione, si è svolta al Sannazaro, dove

il teatro napoletano non risente degli arrovel-lamenti di dinamiche proprie di basso mercatoné di semplici rituali aggreganti, ma vive diproposte allettanti, veraci, nostrane, d’élite.il premio ugualmente entusiasmante, stimo-lante come le precedenti edizioni, proponeva,come tema: “le meraviglie dell’antiquariato”.l’amore, la passione per le rarità, per le cosebelle del tempo passato, come: mobili e arredi

ottocenteschi, maioli-che orientali, vasi divetro, orologi in oro esmalto policromo,libri antichi e rari, chefanno bella mostra disé in fini botteghed’arte, laboratori, cased’asta, gallerie allamoda. Vicino a unostipo o a uno scaffale,accanto a una men-

sola, al di là del banco, esperti e avveduti re-stauratori, rifacitori, proponitori come ernestobowinkel, Vincenzo Porcini, gaetano bonelli,annalisa Mignogna, Carlo regina, segnalano,indicano, espongono. le opere d’arte dellegrandi occasioni ve le offrono antonio lebroe Paolo iorio. a loro, artigiani o artisti, direttori

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di museo, galleristi o espositori è toccato “ilMasaniello” dello scultore Domenico Sepe.Premio e spettacolo. napo-letani Protagonisti del Pre-mio Masaniello per ladirezione artistica di Um-berto Franzese. Dello spet-tacolo per la regìa attenta espigliata di Sasà impera-tore. la canzone di napoliregina ha trionfato grazie adanna Maria bozza e junaoki, a Francesca Marinied olga De Maio, a linda airoldi, luca lu-poli, nazareno Darzillo. nel pieno della fe-stosa e calorosa serata un premio di sentitagratitudine alla ricercatrice Fabiana Perna. a

gigi Di Fiore, storico controcorrente, il Masa-niello del ribellismo sudista. l’intera manife-

stazione è stata condotta congrazia e avvedutezza da lo-renza licenziati, affiancatadai due giovani, eleganti eraffinati lettori bruno Caric-chia ed eleonora Migliac-cio. Da sottolineare lagrazia, la genuinità e la fri-volezza dei ballerini Do-minga andrias, ChiaraCusano, ginevra e Virginia

De Masi, Federica e giacomo Colletti, Silve-stro russo e Martina Vollero, che hanno datoforma e sostanza a momenti d’incanto e bel-lezza.

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INTERNET compie 50 anni: ilsuo progenitore, Arpanet(sigla di Advanced Rese-arch Projects Agency Net-work, dalla denomina-zione dell’ente militare sta-tunitense che lo finanziò;nell’immagine la sua rete

di collegamenti), trasmise, infatti, il suo primo messaggio il 29 ot-tobre 1969, dopo che il suo primo nodo era stato installato all’UCLAil 30 agosto precedente. A trasmettere quel messaggio fu il pro-fessore d’informatica dell’UCLA, Leonard Kleinrock. Il Rievocatoreintende partecipare idealmente alla celebrazione, ricordando aisuoi lettori che, se il periodico può essere diffuso oggi con le moda-lità in atto, ciò si deve proprio all’invenzione di Internet.

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DON GIUSEPPE GABANA

di Walter Iorio

L’opera narrativa di lodovicogalli, intesa nella sua attuale

totalità di scrittura e finalizzata allaconoscenza di fatti di cronaca bre-sciana inerenti all’esperienza dellar.S.i., preventivamente e faziosa-mente elusi dalla vulgata storiogra-fica resistenziale, si arricchisce diun tassello affatto nuovo, originalee poco osservato dalla storia nazio-nale ufficiale: la presenza di espo-nenti del clero nelle vicendefratricide di quella guerra civile chetra l’8 Settembre 1943 e la prima-vera del 1945, hanno sacrificato il fiore di esi-stenze umane numerose e feconde di tanta altrapossibile vita. Dopo un articolato preambolo introduttivocampeggia infatti, nella narrazione, la nobile e

generosa figura del cappellano mi-litare della guardia di Finanza re-pubblicana don giuseppe gabana. l'autore ne fornisce pochi ma signi-ficativi dati biografici, talvolta peròripetendoli presso più destinatariistituzionali del suo progetto didat-tico inteso a creare quanto meno unprecedente di memoria presso mae-stranze territoriali, storiche e cultu-rali di quell’esempio di assolutaabnegazione cristiana e di totale of-ferta di sé che furono i riferimentidella sua giovane esistenza.

infaticabile benefattore di bisognosi, appassio-nato educatore di giovani, si è prodigato perl’assistenza dei poveri e per la costruzione diedifici di cultura, essendo animato da un tota-lizzante ardore di fede; e da sempre operando

Letture.1

È deceduto in Napoli, il 17 settembre scorso,GENNARO BORRELLI

che vi era nato il 19 settembre 1921. Dall’attività iniziale di pittore e scenografo,Borrelli approdò, negli anni 40 del secolo scorso, al “Gruppo Sud”, per passare, poi,all’approfondimento della storia del presepe napoletano, al quale ha dedicato nu-

merosi saggi. Tra i suoi meriti, va annoverata la scoperta dello scultore Carmine Lantriceni, au-tore, fra l’altro, del Cristo morto di Procida. Alla famiglia e, in particolare, al figlio, prof.Giangiotto, Il Rievocatore porge le proprie vivissime condoglianze.

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al servizio di chi, fra i soldati, ne avesse neces-sità e dove potesse essere utile, anche a rischiodella sua stessa vita esponendosi al fuoco ne-mico o fratricida di chi perseguisse ideali dif-ferenti dai propri, don giuseppe gabana, purdecorato da più personalità dello Stato italianonel corso del conflitto e in epoca ormai post-bellica, non ha ricevuto tutti gli onori e i rico-noscimenti che gli sarebbero stati tributati dauna comunità nazionale degna dei suoi uominimigliori. la pubblicazione del professor lodovico galli,strutturata, per l’occasione, come progetto mo-nografico, persegue invece lo scopo rievoca-tivo e rivalutativo di una personalità infer-vorata di spirito religioso e di amore di Patriache ha sempre anteposto gli interessi supremidi questa alle ambizioni personali, non solo ar-ruolandosi volontario fra coloro che partecipa-rono alla conquista africana ma anche of-frendosi alla salvaguardia di quanto restassedella dignità nazionale mortificata dallo sban-damento politico e dall’umiliazione morale: ecioè delle Forze armate della r.S.i. i dettagli biografici basterebbero da soli a giu-stificare e motivare un'operazione del generese la solita ratio politica e la consueta pregiu-

diziale ideologica non ostacolassero l’impresa:vari comuni, infatti, in cui abbia operato dongabana, hanno reso omaggio alla sua memoria– qualcuno anche tardivamente, peraltro – maqualcun altro insiste su questo tenace atteggia-mento di resistenza che di fatto si prefigge unsolo ormai vieto scopo: corroborare nelle ge-nerazioni contemporanee e giovanili, la con-vinzione manichea che fra quelli della partesbagliata, non ci potessero, anzi, non ci doves-sero essere màrtiri ma solo carnefici. il professor lodovico galli, però, da semprealieno da interessi di fazione, intende renderegiustizia a un personaggio di così alto spessoreumano e spirituale, ottenendo risultati già si-gnificativi ma di certo si batterà per conse-guirne ancora migliori. e c’è da credere che con la voce sommessa maprofonda e appassionata dell'educazione e del-l'intelligenza, riuscirà nell’intento anche questavolta.__________

LOdOVICO GALLI, Don Giuseppe Ga-bana (Brescia, s.i.e., 2017), pp. 160, s.i.p.

© Riproduzione riservataIl 7 settembre scorso, in Procida, nelgiardino di Villa Pagliara, sede del-l’associazione “Vivara”, SergioZazzera e Franco Lista, rispettiva-mente direttore e redattore di que-sto periodico, hanno presentato ilvolume La lingua procidana, dizionario del dialetto del-l’isola, redatto dall’ammiraglio Michele Martino (v. la recen-sione nel n. 2/2019, p. 45); ha fatto seguito un intervento diMaria Grazia Cacciuttolo, che ha collaborato alla stesura delvolume con l’autore, assente per motivi personali. Ha intro-dotto la discussione il prof. Roberto Gabriele, presidentedell’associazione ospitante.

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STORIA LETTERARIA DI UNA CITTÀ

di Anna Di Corcia

Quando si parla di lettera-tura italiana, quella che

riguarda il filone degli scrit-tori napoletani tra gli anni ’50e ’70 vede innanzitutto lamenzione di alcuni autoriquali raffaele la Capria chein Ferito a morte raccontò ilsogno di un giovane Mas-simo De luca che lascia lasua città negli anni in cuil’abusivismo edilizio fascempio della natura, ilquale, ritornando dopo seianni da roma, ove si era tra-sferito, come unica possibilerisoluzione all’annichili-mento del presente, non la ri-conosce più; o annamaria ortese che con Ilmare non bagna Napoli ha raccontato con sen-sibilità incompresa per l’epoca, la retorica diuna città che uscita dalla guerra, non seppe farei conti con il suo disorientamento. Della napolilittoria hanno invece parlato l’autore del cele-berrimo Il Resto di niente, enzo Striano inGiornale di adolescenza e Michele Prisco neLa dama di piazza, «due opere che», comescrive l’autrice nel saggio letterario Napoli

Boom: «tentano di emanci-parsi dai modi della letteraturaneorealista percorrendo la tor-tuosa strada del realismod’ispirazione storica medianteil racconto della napoli Fasci-sta». il ritratto della periferia indu-striale di napoli e in partico-lare dell’area di Santa Maria aPozzuoli ove nacque l’indu-stria olivetti, attigua a quelladi bagnoli (Castello) dovevide la luce l’acciaieria che nedeturpò e ne segnò per semprel’indole, viene raccontata daottiero ottieri in Donna-rumma all’assalto, mentre la

periferia campagnola di napoli viene disegnatadal romanzo di Domenico rea Una vampatadi rossore che ne delinea la grettezza del pic-colo centro di provincia, le beghe, il vociare ela sensazione di smarrimento di assuero chefugge al malcontento dei propri giorni incasto-nati tutti uguali nel piccolo centro di nofi, rin-novato nei pensieri solo dall’ansia per lamalattia della moglie. l’indolente immobilismo della città e i suoi

Letture.2

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farraginosi meccanismi burocratici che intrap-polano l’intraprendenza del professor orlandorughi riflettono la volontà di bernari di scom-mettere su un rilancio del Sud in Era l’annodel sole quieto, mentre L’amara scienza diluigi Compagnone ripercorre la vicenda deglialinei e del reticolo di vicoli che dal centro dinapoli «il budello» della città conduce finoalla nuova periferia cementificata.La Compromissione di Mario Pomilio raccontala resilienza del suo protagonista, il professorberardi che con l’atteggiamento di “compro-missione” risolve in sé il dilemma di chi vivenella provincia annoiata ma si nutre al con-tempo delle attese disillusioni della metropolinegli anni del boom economico. Dalla periferianascono i romanzi ambientati negli anni ’60 e’70 a napoli e da lì percorrono un filone cheabbraccerà poi la realtà industriale, di cui piùnota sarà quella legata all’italia Settentrionalee di cui la letteratura del mezzogiorno pur nu-trendosi, non arriverà mai a parlare con lastessa risonanza che ebbe quella nazionale. er-manno rea chiude il cerchio sulla narrazionedella napoli degli anni ’60 e ’70 con la trilogia

Mistero Napoletano del 1995, Napoli Ferrovia(2007) e Rosso Napoli (2008) che racconta illegame ancestrale dell’autore con la sua grandeprotagonista ove rientra dopo quaranta anni diassenza constatando il declino della contempo-raneità dopo le speranze della ricostruzionepost-bellica. Con il saggio letterario Napoli Boom, lauraCannavacciuolo tesse le trame che sottendonoalla letteratura partenopea dagli anni ’50 aglianni ‘70 in cui napoli è sublimata nel ricordodegli affetti da chi per scelta o per necessità oanche per troppo amore la ha lasciata. Unicanarrazione possibile di una città che entra den-tro e non lascia più e unico modello che per-metta agli autori di tacerne i mali che neabbiano provocato il dolore per trasfigurarlanella sua suprema bellezza come una donnaamata.__________

LAUrA CANNAVACCIUOLO, NapoliBoom (Napoli, Polidoro, 2019), pp. 238, €.14,00.

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“COSE DI NAPOLI” A “ETHOS E NOMOS”

Nello storico Palazzo Minutelli, al Vomero, in viaBernini, 50 (scala B), opera, fin dall’anno scorso, laBIBLIO-MEDIATECA “ETHOS E NOMOS”, alla quale hannodato vita Giustino Gatti e Marisa Lembo. Qui è in corso,fra le tante attività, una serie d’incontri mensili su argo-menti di Napoletanistica, curati dal nostro direttore, Ser-gio Zazzera, e dal nostro collaboratore Ennio Aloja.

Gl’incontri futuri, con ingresso libero, si svolgeranno secondo il seguente programma:

10 gennaio 2020, ore 17: Orione, S. Onofrio e Cola Pesce (S.Z.) - Il colombario di Soccavoe la via dei Canapi (E.A.);

14 febbraio 2020, ore 17: “‘A cap’’e Napule” (S.Z.) - L’oasi mariana di via Case Puntellate(E.A.);

13 marzo 2020, ore 17: I “Misteri” di Procida (S.Z.) - Memorie ianuariane nel “praediumAntinianum” (E.A.);

3 aprile 2020, ore 17: “Séccia” e “quadrillo” (S.Z.) - Il ramo della via Antiniana verso isiti monastici acropolitani (E.A.).

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LIBRI & LIBRI

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VINCeNZO eSPOSITO, Autoisoimmunizzazione (Lecce, Youcanprint, 2019), pp.48, €. 7,00.esperto di quella che, in maniera impropria, qualcuno definisce “altra medicina” – e, inparticolare, di omeopatia e di diagnosi e terapia Mora –, esposito prova a diffondere, informa divulgativa, i concetti fondamentali della prevenzione omeopatica, della autoi-soimmunizzazione e della sindrome da intossicazione chimica multipla, offrendo, infine,una spiegazione dei meccanismi della terapia Mora. e, per quanto la natura della materiatrattata imponga l’uso di un minimo di terminologia tecnica, tuttavia, la padronanza della

materia stessa da parte dell’a. rende comprensibile l’esposizione anche da parte del quivis de populo.Peraltro, non sarebbe inopportuna la lettura del quaderno, anche da parte di coloro – medici, farmacisti,ma pure pazienti – che praticano la medicina allopatica, i quali potrebbero capire tante cose.

LUCIO MILITANO, La Marina Mercantile delle Due Sicilie (Napoli, Il Giglio, 2017),pp. 80, €. 10,00.al netto dei non pochi refusi, nei quali ci s’imbatte, e della parzialità del glossario (p. 70s.), il volume affronta, in maniera estremamente sintetica e con tono non di rado assertivo,un tema che avrebbe meritato una più ampia analisi. la tesi che, in conformità del pro-posito dell’a., risulta dimostrata, è quella del primato della marina mercantile duosicilianacome estrinsecazione dell’identità del regno. in particolare – primato nel primato – nellarete di collegamenti marittimi attuata dalla politica della monarchia borbonica è indivi-

duata una forma ante litteram di quelle “autostrade del mare”, che da tempi recentissimi viene propostaquale alternativa al traffico per via di terra.

MArIA SIrAGO - STeFANIA CHIOCCHIO - MArIO rOVINeLLO (a c.), Me-morie del Liceo Sannazaro 1980-2019 (Napoli, Guida, 2019), pp. 280, s.i.p.Dei tre volumi che delineano la storia del liceo vomerese (i primi due pubblicati alcunianni fa), non c’è dubbio che questo, apparso in occasione del centenario della fondazione,sia il meno riuscito: troppo spazio dedicato agli adulti (capi d’istituto, docenti, organismirappresentativi), rispetto a quello occupato dalle storie personali degli studenti, con un’ec-cessiva attenzione per i profili burocratici e amministrativi; poche foto e, soprattutto, nes-suna o quasi delle classi. Per fortuna, i (non molti) ricordi di alcuni docenti e, soprattutto,

quelli degli studenti rappresentano in maniera vivace la vita scolastica e fanno cogliere il rapporto positivoistituitosi, per lo più, fra gli uni e gli altri.

ArNALdO CASALI, Zombi, strane storie di santi (Perugia, Graphe.it, 2019), pp. 90,€. 7,50.il concetto di “zombi” è enormemente dilatato nel volume, che narra storie, nonsoltanto di “morti viventi”, ma anche di fantasmi, di vampiri e, soprattutto, di santi(e non), i cui corpi, anche dopo la morte, manifestano segni di moto corporeo, nondi rado frutto di suggestione da parte dell’osservatore. a concludere il discorso èla figura di Cristo, che, in ogni caso, l’autore riconosce essere «risorto» e, quindi,

“ri-vivente”.

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ZYGMUNT BAUMAN, Oltre le nazioni, tr. it. (Bari-roma, Laterza, 2019),pp. VIII+48, €. 3,00.Scritto nel 2012, a integrazione del volume che raccoglieva le sue riflessioni sull’europa,il saggio di bauman critica la nascita dell’europa economica non supportata da quella po-litica. l’a. individua, altresì, nella solidarietà l’“antidoto” al sovranismo e teorizza la ne-cessità di superare la “paura della diversità”, attraverso la collaborazione informale e apertacon lo straniero. la “diversità culturale” trova in questo scritto la propria esaltazione, in

quanto risorsa, anche mediante l’auspicio dell’incremento della circolazione della cultura per mezzodella traduzione delle opere nelle lingue di tutti i paesi dell’Unione.

eUGeNIO SCALFArI, Alla ricerca della morale perduta (Torino, einaudi,2019), pp. 144, €. 11,00.Mediante il ricorso all’artificio letterario di un “dialogo impossibile” con Vol-taire, il Maestro del giornalismo italiano delinea il suo concetto di “morale”,come prodotto dell’opinione pubblica, imprescindibile per l’istituzione di unacorretta relazione interpersonale. al dialogo è intervallato un monologo, nel qualel’a. analizza il medesimo concetto, secondo il pensiero di talleyrand, Pascal,

Kant, Schopenhauer e nietzsche.

ALBerTO JANNUZZeLLI (a c. di), Pionieri di arditezze sociali - Antici-pating the Future2 (Milano, raccolto edizioni, 2019), pp. 208, s.i.p.Pubblicato, in riedizione ampliata e in sole 250 copie, il volume ripercorre lastoria della benemerita Società Umanitaria di Milano, dalla sua fondazione(1893) ai giorni nostri, con testimonianze di personalità di prestigio del pano-rama culturale e politico, fra le quali, quelle di giuseppe Saragat e di Carlotognoli, che ne illustrano la molteplicità di attività svolte “al servizio del po-

polo” e “della classe lavoratrice”.

PAOLO rUMIZ, I l f i lo inf ini to (Milano, Feltrinel l i , 2019) , pp. 174, € .15,00.in una sorta di pellegrinaggio laico attraverso i monasteri benedettini d’europa,rumiz descrive/narra/analizza ambienti e personaggi e la loro interazione (ovverola loro vita), provando a immaginare l’incontro fra la civiltà europea odierna e leabbazie, sottolineandone la funzione storica di creatrici di un’europa ante litteram,

che persiste, pur fra liti e divisioni (tentate o attuate).

VINCeNZO deLL’ArIA, A vela nella culla della nostra civiltà (Napoli, Car-pediem, 2018), pp. 60, f.c.il volume, in edizione fuori commercio destinata alle scuole, sintetizza l’espe-rienza velica dell’a., medico della Marina militare in congedo, nel golfo di napoli(lo «Stadio del mare»), a bordo dell’Asso di bastone, costruito a Posillipo neglianni 60 del secolo scorso, e successivamente sul Carpediem, acquistato a genova nel 1969,

con tutte le «avventure e disavventure», fino alle coste della grecia e del Mediterraneo orientale

CLAUdIO MArAZZINI con CLAUdIA ArLeTTI, Elogio dell’italiano(roma, GedI, 2019), pp. 160, €. 9,90.l’auspicio dell’amore e del salvataggio della nostra lingua ha dato impulso al-l’intervista della arletti al presidente dell’accademia della Crusca. ne emerge,in primo luogo, lo sconcertante quadro di una lingua italiana messa in crisi dalla«sudditanza psicologica alla colonizzazione» da parte di quella inglese, maanche il biasimo verso l’ossequio a errori tralatici instillati dalla scuola di altri

tempi, allo stravolgimento di regole grammaticali consolidate, alla creazione di neologisminon sempre giustificati e, infine, all’“italianizzazione” dei dialetti.

Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

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ANTONIO LA GALA, L’antico borgo di Antignano (Napoli, rogiosi, 2019),pp. 168, €. 18,00.il volume ricostruisce le vicende che hanno visto protagonista, nel tempo, il ca-sale di antignano, fra i meglio conservati di quelli della città di napoli, giun-gendo fino ai nostri giorni. tuttavia, a fronte di un testo ricco di spuntiinteressanti e, soprattutto, di notizie pressoché inedite, messi insieme dalla

penna di un autore ampiamente collaudato, qual è il nostro redattore la gala, l’apparato ico-nografico affianca a poche – ma preziose – immagini d’epoca una congerie di foto dell’at-tualità, dotate di una marcata connotazione oleografica. in definitiva, però, è proprio lacompletezza del testo a far apprezzare il volume dal lettore.

COrrAdO AUGIAS - GIOVANNI FILOrAMO, Il grande romanzo dei Van-geli (Torino, einaudi, 2019), pp. 268, €. 19,50.eUGeNIO SCALFArI, Il Dio unico e la società moderna (Torino,einaudi, 2019), pp. XIV+192, €. 16,00.Due scrittori atei per due colloqui con personalità qualificate – uno storicodella Chiesa, per augias; un cardinale e, addirittura, un papa, per Scalfari –;e, se l’ateismo di quest’ultimo è evidentemente sofferto, viceversa, quellodel primo è vistosamente compiaciuto. augias, dunque, con una tecnica che

ricorda quella delle “selezioni di colore” dell’offset, riscrive alcuni brani dei Vangeli, pre-mettendoli al dialogo col suo interlocutore. al contrario, Scalfari scambia domande e risposte col cardi-nale Martini e con Papa Francesco, col quale ultimo intrattiene anche una corrispondenza attraverso lacarta stampata. e, mentre augias presta maggiore attenzione alla “storia” narrata dai Vangeli, lamentan-done l’assenza nelle coeve fonti storiche laiche (ma qui il discorso critico sarebbe troppo lungo), vice-versa, Scalfari è attratto soprattutto dall’attualizzazione del racconto neotestamentario. entrambi, infine,prospettano, sia pure ciascuno in maniera diversa, una rivalutazione delle Scritture apocrife.

GIUSePPe SCArAFFIA, L’altra metà di Parigi (Milano, Bompiani, 2019),pp. 416, €. 32,00.la Rive droite di Parigi è, ormai da tempo, la parte meno apprezzata della città,a dispetto del fatto che vi si trovino, fra l’altro, il louvre, gli Champs-elysées,place Vendôme e Montmartre. a rivalutarla ha provveduto, ora, Scaraffia, affi-dando la narrazione dei luoghi alla penna di scrittori di diverse epoche e diverseprovenienze. ne emerge un ritratto originale di quella parte della città, col con-

seguente impulso ad approfondirne la conoscenza anche in maniera diretta.

GIOVANNI POLArA - FULVIO TeSSITOre (a c.), Letture dedicate a sociillustri (Napoli, Giannini, 2019), pp. 82, s.i.p.LeONArdO MerOLA (a c.), L’imperativo di ricordare: a 80anni dalle leggi razziali (Napoli, Giannini, 2019), pp. 72, s.i.p.l’accademia Pontaniana e la Società nazionale di Scienze, lettere e artihanno curato la pubblicazione dei due quaderni che qui si segnalano. Delprimo, che raccoglie i testi di una serie di conferenze dedicate a soci illustri

del passato, i lettori interessati alle “cose di napoli” potranno apprezzare, in maniera par-ticolare, il saggio di rosanna Cioffi, sugli “scheletri” della Cappella Sansevero, e quellodi Francesco rossi ed enrico lampa, sulla Scuola farmacologica napoletana. nel secondo quadernosono pubblicati gli atti del convegno sulle leggi razziali, svoltosi il 12 febbraio scorso nella sede acca-demica, costituiti, oltre che dai saluti di leonardo Merola, Fulvio tessitore e giovanni Polara, dalle re-lazioni di andrea D’onofrio, luigi labruna, guido D’agostino, tullio Foà e noemi Di Segni.

S.Z.

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Ottobre-Dicembre 2019Anno LXV n. 4

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Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

LA POSTA DEI LETTORI

Ho letto l’articolo sui due Carafa di Maddaloni del primo ‘600 a Napoli. Sta-vano di casa nel loro palazzo, all’attuale Via Stella 120, dove abito da 30

anni. Palazzo poi comprato dai principi di Sannicandro nel tardo ‘600, dopo unpassaggio al ricchissimo mercante e banchiere olandese Gaspare Roomer che nefecce uno scrigno d'arte, come si legge nella relativa scheda del palazzo in Wiki-pedia. Fino alla guerra era ancora ben abitato. Poi, dopo i bombardamenti del ‘43 e la finedelle ostilità, i principi di Sannicandro incassarono i danni di guerra e fittarono (e svendetterotutto) ai sagliuti dalla Sanità. La portiera declassata pare che coniò questo epitaffio: «Se ne so’ andati ‘e Sannicandre e hannolasciato ‘e cantere». Da allora il palazzo è un rissoso condominio decaduto. Fortunatamentetutto l’immobile è stato beneficiato dal terremoto ‘80, è stato vincolato con apposito strumentoministeriale e ha ricevuto pertanto vincolo totale, in base alla legge 219, sette miliardi di vecchielire per metterlo a posto. Più o meno. Sempre meglio di prima è.Eduardo Alamaro (e-mail)

risponde il direttore:l’architetto alamaro è uno tra i maggiori esperti di arte ceramica; apprendiamo che abita (beatolui!) in uno dei palazzi di maggiore interesse storico di napoli, del quale si è occupato, fra glialtri, aurelio De rose (I palazzi di Napoli, roma r. 2004, p. 183 ss.). Il Rievocatore gli è gratoper le notizie – e, in maniera particolare, per il gustoso aneddoto della portiera – che con la sualettera gli ha fornito.

* * *

Un grazie di cuore agli amici lettori Fortunato Danise, alberto Del grosso, antonino Demarco,gabriella Fiore, Claudio Pennino e giulio tarro, per gli apprezzamenti positivi che hanno volutorivolgerci.

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A conclusione delle manifestazioni celebrative dell’anniversario delle Quattro Giornate diNapoli, il 2 ottobre scorso si è svolto il corteo commemorativo del funerale dei caduti dellamasseria Pezzalonga, che, con partenza dal liceo Sannazaro, si è snodato per le stradedel Vomero, fino a piazza Quattro Giornate, con la partecipazione del presidente del Co-mitato provinciale ANPI di Napoli, partigiano Antonio Amoretti, del presidente della 5a Mu-nicipalità Vomero-Arenella, Paolo De Luca, e dell’assessore comunale AlessandraClemente, nonché di rappresentative di studenti e docenti di numerose scuole cittadine.

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CRITERI PER LA

COLLABORAZIONE

La collaborazione a Il Rievocatore s’intende a ti-tolo assolutamente gratuito; all’uopo, all’attodell’invio del contributo da pubblicare ciascun col-laboratore rilascerà apposita liberatoria, sul mo-dulo da scaricare dal sito e da consegnare o farpervenire all’amministrazione della testata in ori-ginale cartaceo completamente compilato.Il contenuto dei contributi - che la rivistapubblica anche se il contenuto non è condi-viso dalla redazione, purché non contenganoestremi di reato - impegna in maniera prima-ria e diretta la responsabilità dei rispettiviautori.Gli scritti, eventualmente corredati da illustra-zioni, dovranno pervenire esclusivamente informato digitale (mediante invio per e-mail oconsegna su CD) alla redazione, la quale se ne ri-serva la valutazione insindacabile d’inserimentonella rivista e, in caso di accettazione, la sceltadel numero nel quale inserirli. Saranno restituitiall’autore soltanto i materiali dei quali sia stata ri-fiutata la pubblicazione, purché pervenuti me-diante il servizio di posta elettronica.L’autore di un testo pubblicato dalla testata potràfar riprodurre lo stesso in altri volumi o riviste,anche se con modifiche, entro i tre anni successivialla sua pubblicazione, soltanto previa autoriz-zazione della redazione; l’eventuale pubblica-zione dovrà riportare gli estremi della fonte.La rivista non pubblica testi di narrativa,componimenti poetici e scritti di criticad’arte riflettenti la produzione di un singolo arti-sta vivente. Gli annunci di eventi saranno inseriti,sempre previa valutazione insindacabile da partedella redazione, soltanto se pervenuti con un an-ticipo di almeno sette giorni rispetto alla datadell’evento stesso. I volumi, cd e dvd da recensiredovranno pervenire alla redazione in dupliceesemplare.È particolarmente gradito l’inserimento di note apie’ di pagina, all’interno delle quali le citazioni dibibliografia dovranno essere necessariamentestrutturate nella maniera precisata nell’appositasezione del sito Internet (www.ilrievocatore.it/col-labora.php).

La stupidità è come unamadre premurosa, non lasciache alcuno si senta trascu-rato.

Peter Kraevski

Anno LXV n. 4 Ottobre-Dicembre 2019

UN PO’ DI STORIA

alla metà del ventesimo secolo napoli an-noverava due periodici dedicati a temi distoria municipale: l’Archivio storico per leprovince napoletane, fondato nel 1876 dallaDeputazione (poi divenuta Società) napole-tana di storia patria, e la Napoli nobilissima,fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi chegravitava intorno alla personalità di bene-detto Croce e ripresa, una prima volta, nel1920 da giuseppe Ceci e aldo De rinaldise, una seconda volta, nel 1961 da robertoPane e, poi, da raffaele Mormone.in entrambi i casi si trattava di riviste re-datte da “addetti ai lavori”, per cui Salva-tore loschiavo, bibliotecario della Societànapoletana di storia patria, avvertì l’esi-genza di quanti esercitavano il “mestiere”,piuttosto che la professione, di storico, dipoter disporre di uno strumento di comuni-cazione dei risultati dei loro studi e delleloro ricerche. nacque così Il Rievocatore, ilcui primo numero data al gennaio 1950, chegodé nel tempo della collaborazione di fi-gure di primo piano del panorama culturalenapoletano, fra le quali mons. giovan bat-tista alfano, raimondo annecchino, p. an-tonio bellucci d.o., gino Doria, FerdinandoFerrajoli, amedeo Maiuri, Carlo nazzaro,alfredo Parente.alla scomparsa di loschiavo, la pubblica-zione è proseguita dal 1985 con la direzionedi antonio Ferrajoli, coadiuvato dal com-pianto andrea arpaja, fino al 13 dicembre2013, quando, con una cerimonia svoltasi alCircolo artistico Politecnico, la testata èstata trasmessa a Sergio Zazzera.

Ricordiamo ai nostri lettori che i nu-meri della serie online di questo perio-dico, finora pubblicati, possono essereconsultati e scaricati liberamentedall’archivio del sito:

www.ilrievocatore.it.

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