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Wine Food Festival

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Associazione ItalianaSommeliers

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Cantava Giorgio Gaber che «libertà è partecipazione». Canzone che aveva colpito l’immaginario collettivo, all’avanguardia, all’epoca. Nell’oggi complesso del nostro Paese – polemiche politiche un po’ surreali,

drammi epocali nel cimitero mediterraneo, crisi economica e soprattutto mentale –, si parla tanto di innovazione per indicare la via d’uscita dal vicolo cieco. Ma le parole si sprecano, i fatti seguono a distanza, un po’ affaticati già in partenza. Pare che la nostra mente sia annebbiata da qualche sconosciuto morbo che ci impedisce di guardare oltre, di dare il giusto valore alle parole, di cogliere le occasioni offerte da una globalizzazione ormai reale, di esprimerci liberamente senza demonizzazioni reciproche. La vitalità e la creatività del nostro Paese, bello e unico, emerge però da una società civile che comunque continua a essere più che vivace. Penso alle recenti Giornate di Bertinoro, dove l’economia civile s’è esposta con coraggio; penso a LoppianoLab in cui siamo implicati direttamente; penso anche ai tanti festival organizzati dalle città (il Festival della spiritualità a Torino, il Festival della mente a Sarzana, il Festival dell’economia a Trento, il Festival della fi losofi a a Modena...); e non dimentico i meeting organizzati da entità mediatiche come Internazionale e la Repubblica,così come le riunioni dei grandi movimenti ecclesiali. E potrei continuare.

Un nuovo nato si aggiunge a questa lista di esposizioni della creatività dell’italica società civile: il 5 ottobre si è svolta infatti la prima edizione di Città Nuova Day, “La giornata di Città Nuova”, che ha visto implicate più di 60 città dello Stivale e delle Isole, da Trento a Catania, con un coinvolgimento di circa 5 mila persone. Che cosa c’è di originale in questa nascita? Se ne possono individuare tre: in primo luogo il fatto che questi incontri non sono stati concentrati in un posto preciso, ma hanno spaziato dal Nord al Sud,

dall’Est all’Ovest del nostro Paese; in secondo luogo, si può notare come questi appuntamenti siano stati ideati e organizzati non da potenti organizzazioni centralizzate e ben foraggiate di sponsor, ma da comunità locali più o meno grandi legate alla nostra rivista e alla galassia di persone e iniziative che traggono ispirazione dai Focolari; in terzo luogo, s’è potuto notare come nella varietà delle proposte – dalla presentazione di libri della nostra editrice a proposito di legalità, famiglia, spiritualità e multicultura ai forum su argomenti legati alla tragedia delle migrazioni, alla necessità di una comunicazione sempre più umana, alle presentazioni dei nuovi nati del Gruppo editoriale Città Nuova, le riviste per bambini (Big) e per adolescenti (Teens), o ancora ad iniziative sociali come SlotMob – emerga la voglia e l’impegno a costruire dal basso una società creativa e innovativa. Grazie allo strumento che tutti noi cittadini abbiamo nelle nostre mani, quello della partecipazione. Non siamo numeri, non cediamo all’ineluttabilità del declino. Avanti!

I l p u n t o GIORNATA DEL GRUPPO EDITORIALEdi Michele Zanzucchi

CREATIVITÀÈ PARTECIPAZIONE

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In copertina: Il trasporto delle bare di bambini morti a Lampedusa. (pagg. 16-17)

Foto A. Fragapane/AP

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OpinioniIl Punto di Michele Zanzucchi

Editorialidi Iole Mucciconi,Pasquale Ferrarae Simona di Ciaccio

Ping Pongdi Vittorio Sedini

Se possodi Piero Coda

Penultima fermatadi Elena Granata

45 Cinquant’anni fa su Città Nuova a cura di Gianfranco Restelli Invito alla lettura di Elena Cardinali

52 Grasso non è più bello di Sara Fornaro

60 Una trama di solidarietà di Giovanna Pieroni

62 Media di Claudia Di Lorenzi

24 I pozzi di Margherita di Aurelio Molè

25 Cittadinanza di Paolo De Maina

26 Lo psicologo di Ezio Aceti A tu per tu con i giovani di F. Châtel

14 No alle armi chimiche di Pietro Parmense

18 In cerca di una sanità per tutti di Aurora Nicosia

28 Economia in blue di Maddalena Maltese

30 La carne di Cristo a Mae Sot di Luigi Butori

32 Dare la parola agli altri di Piero Coda

34 Solidarietà a cura di Tomaso Comazzi Guardiamoci attorno

A t t u a l i t à

Legalità Maggiore contrasto alle mafi e nel Nord Italia, serrati i controlli territoriali di P. Lòriga ed E. Granata

Omofobia Una legge travagliata, con rischi per libertà di espressione di Adriana Cosseddu

F a m i g l i a e s o c i e t à

Sommario

Quindicinale di opinione del Movimento dei focolarifondato nel 1956 da Chiara Lubichcon la collaborazione di Pasquale Foresi

DIRETTORE RESPONSABILE – Michele Zanzucchi

CAPOREDATTORE RIVISTA – Paolo Lòriga

REDAZIONE Sara Fornaro – Maddalena Maltese - Giulio MeazziniAurelio Molè - Aurora Nicosia – Oreste Paliotti

EDITORIALISTI – Vera Araújo – Gianni Bianco - Luigino Bruni – Vincenzo Buonomo - Gianni Caso – Roberto Catalano – Fabio Ciardi - Pietro Cocco Piero Coda – Paolo Crepaz – Michele De Beni – Pasquale Ferrara - Alberto Friso – Lucia Fronza Crepaz - Alberto Ferrucci - Anna Granata - Elena Granata - Gennaro Iorio - Alberto Lo Presti – Iole Mucciconi - Nedo PozziAlessandra Smerilli

COLLABORATORI – Ezio Aceti – Chiara Andreola - Raffaele Arigliani Paolo Balduzzi – Mariagrazia Baroni - Giovanni Bettini - Maria Chiara Biagioni – Riccardo Bosi – Elena Cardinali – Cristiano Casagni – Giovanni Casoli – Marco Catapano – Francesco Châtel – Giuseppe Chella – Franz Coriasco – Mario Dal Bello - Paolo De Maina – Raffaele Demaria – Claudia Di Lorenzi - Giuseppe Distefano – Costanzo Donegana - Marianna Fabianelli Luca Fiorani – Daniele Fraccaro - Tonino Gandolfo – Annamaria Gatti Michele Genisio - Letizia Grita Magri - Benedetto Gui - Annalisa Innocenti Pasquale Ionata - Walter Kostner - Maria Rosa Logozzo - Pasquale Lubrano – Andrea F. Luciani – Roberto Mazzarella - Fausto Minelli Tanino Minuta – Eleonora Moretti – Enzo Natta - Cristina Orlandi - Maria Rosa Pagliari – Vito Patrono – Vittorio Pelligra - Lauretta Perassi - Maddalena Petrillo Triggiano – Giovanna Pieroni – Adriano Pischetola - Stefano Redaelli - Daniela Ropelato - Caterina Ruggiu – Lorenzo Russo - Maria e Raimondo Scotto - Vittorio Sedini – Lella Siniscalco – Loreta Somma

CORRISPONDENTI IN ITALIA – Loreta Somma (Campania) – Tobia Di Giacomo (Piemonte) - Silvano Gianti (Lombardia) – Patrizia Labate (Calabria) – Emanuela Megli (Puglia) – Tiziana Nicastro (Emilia–Romagna) Stefania Tanesini (Toscana)

CORRISPONDENTI DALL’ESTERO – Alberto Barlocci (Argentina) Michel Bronzwaer (Olanda) – Luigi Butori (Thailandia) - Ed Herkes (Belgio) – Antonio Faro (Brasile) – Carlo Maria Gentile (Filippine)Frank Johnson (Gran Bretagna) – Silvano Malini (Uruguay)Javier Rubio Mercado (Spagna) Jean–Michel Merlin e Alain Boudre (Francia) - Liliane Mugombozi (Kenya) – Djuri Ramac (Slovenia)Joachim Schwind (Germania) - Clare Zanzucchi (Stati Uniti)

GRAFICA E FOTOGRAFIA – Umberto PaciarelliPriscilla Menin - Domenico Salmaso - Raffaella Pediconi

SEGRETERIA DI REDAZIONE – Carlo Cefaloni (responsabile)Edoardo Mastropasqua – Luigia Coletta – Luciana Cevese - Roberta Ruggeri

ABBONAMENTI, PROMOZIONE E DIFFUSIONE – Antonella Di Egidio Silvia Zingaretti – Desy Guidotti – Marcello Armati - Marta Chierico PROGETTO GRAFICO – Umberto Paciarelli

COLLABORATORI SITO – Elena Cardinali – Paolo Friso – Paolo MonacoValentina Raparelli – Franco Fortuna - Antonella Ferrucci

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Reportage La comunità di Pomigliano d’Arco tra legalità,Fiat e globalizzazione di Carlo Cefaloni

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27 Vita in famiglia di Letizia Grita Magri

36 L’ospite di una notte di Maria Pia Di Giacomo

38 25 anni piantando semi di pace a cura di Oreste Paliotti

41 Il codice etico di una pace attiva di Enrico Roselli

42 Parola di vita - Novembre di Chiara Lubich

44 Alla scuola della Trinità di frère Christian de Chergé

64 Televisione di Paolo Balduzzi Radio di Aurelio Molè

65 Cinema di Giovanni Salandra, Raffaele Demaria e Cristiano Casagni Teatro di Giuseppe Distefano

66 Musica leggera di Franz Coriasco CD e DVD novità

67 Musica classica di Mario Dal Bello Appuntamenti a cura della Redazione

C u l t u r a e t e n d e n z e

78 La posta di Città Nuova

79 Incontriamoci a Città Nuova...

81 Riparliamone a cura di Gianni Abba

71 Vita come misericordia di Giovanni Casoli

72 Sessualità e santità di Michele Genisio

74 Il piacere di leggere a cura di Gianni Abba

75 In libreria a cura di Oreste Paliotti

I n d i a l o g o

Questo numero è stato chiuso in tipografi a il 14-10-2013. Il numero 19 del 10-10-2013 è stato consegnato alle poste il 7-10-2013.

CITTÀ NUOVA ADERISCE ALLA CAMPAGNA SLOT MOB E INVITA I LETTORI A PARTECIPARE AI PROSSIMI EVENTI:

25 ottobre – Napoli e Benevento8-9-10 novembre – PalermoDicembre – CataniaGennaio - Trento

Per saperne di più vai allo speciale CN7su cittanuova.it e su nexteconomia.org

Doping Intervista all’ex ciclista Tyler Hamilton, amico fi dato di Lance Armstrong di Giovanni Bettini

Scienza Lotta per l’esistenza o altruismo? Idee e modelli sulla cooperazione di Giulio Meazzini

Dal v ivo e spir i tual i tà

A r t e e s p e t t a c o l o

V i t a s a n a

55 Il Sud del mondo è più “green” di Lorenzo Russo

PAGINA

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DIREZIONE e REDAZIONEvia Pieve Torina, 55 | 00156 ROMAtel. 06 96522200 - 06 3203620 r.a. | fax 06 [email protected]

UFFICIO PUBBLICITÀvia Pieve Torina, 5500156 ROMA | tel. e fax 06 96522201uffi [email protected]

UFFICIO ABBONAMENTIvia Pieve Torina, 55 | 00156 ROMAtel. 06 3216212 - 06 96522200-201 | fax 06 [email protected]

58 Buon appetito con… di Cristina Orlandi

59 Alimentazione di Giuseppe Chella Educazione sanitaria di Andrea F. Luciani

76 Fantasilandia | A lezione di stupore di Annamaria Gatti

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A t t u a l i t à

Città Nuova - n. 20 - 2013 6

E d i t o r i a l i

Come ai tempi della linea rossa tra Mosca e Washington durante la fase più acuta della guerra fredda, la diplomazia pas-sa ancora sul filo? Certo è che la telefonata tra il nuovo presidente iraniano Rouhani e Obama ha effetti-vamente un significato storico: è il primo serio contatto ufficiale (a parte gli scambi di lettere “pubblici” e i mes-saggi mediatici) tra i due Paesi dopo la crisi degli ostag-gi all’ambasciata americana a Teheran nel 1979. Rouhani si è presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York lo scorso settembre con un argomento certamente incoraggiante, anche se non si sa quanto effettivamente fondato: e cioè che, eleggendolo, il popolo iraniano gli avrebbe conferito anche un im-plicito compito di negoziare con l’Occidente (e con gli Stati Uniti in generale) sulle diverse questioni sospese, a cominciare dal programma nucleare, e nel senso della “moderazione”.Si tratta, in ogni caso, di una interpretazione del manda-to presidenziale basata sulla buona volontà. Quanto que-sto discorso risulti convincente per i fautori della linea dura – a cominciare dalla guida suprema Khamenei – è tutto da verificare. Ma anche Obama ha il suo “fronte interno”. Gli scettici si rinvengono non solo tra i repubblicani, ma anche tra i molti amici di Israele che militano nel Partito demo-cratico. Dovrebbe far riflettere, almeno questa volta, la lezione della storia recente. Quando il presidente iraniano era il moderato Khatami, l’Occidente ha sostenuto che la sua posizione non fosse del tutto convincente e lo ha in so-stanza ritenuto inaffidabile. Bene: ci siamo trovati alle prese con il suo successore, Ahmadinejad, che sicura-mente moderato non era. Ora che si presenta una nuova finestra di opportunità per un “dialogo critico” con l’Iran, non chiudiamola troppo frettolosamente. Certamente la buona volontà va provata nei fatti: sulle minacce a Israele, sulla stabilizzazione in Iraq e in Afghanistan, sul dossier siriano, sul programma nucleare. La verifica è d’obbligo, i pregiudizi dannosi.

Politica internazionale

La fi nestrairanianadi Pasquale Ferrara

Alla fine, la burrasca della crisi di gover-no passò, anche con il voto di tutto il Pdl che l’aveva provocata. Il risultato è stato generalmente valutato in modo positivo: il governo è uscito rafforzato e le posizioni più aggressive ridimen-sionate. Non resta che la verifica della prova dei fatti, e l’occasione è la legge di stabilità. Dopo i tira-e-molla su Imu e Iva, speriamo che sull’annunciata riduzione del cuneo fiscale, almeno, la compagine governativa riesca a parlare con un’unica voce, e altrettanto faccia la mag-gioranza parlamentare che la sostiene. Non ci si può na-scondere però che la stabilità rimane minacciata, a causa del travaglio che interessa entrambi i maggiori partiti. Dopo i fatti del Senato, nel Pdl sembra essersi avviata un’operazione chiarificatrice: consolidare l’identità del partito di centro-destra nel senso della “moderazione”, per usare un concetto spesso frainteso, ovvero nel senso del radicalismo populista che anche in altri insospettabili Paesi europei sembra prevalere. Il perno di questa opera-zione ruota tutto, al momento, attorno al tema dell’inter-pretazione del rapporto tra politica e magistratura, con il caso Berlusconi a fare da amplificatore. Nel Pd invece è appena partita la campagna per le pri-marie che dovranno eleggere il nuovo segretario, con quattro candidati e temi caldi sui quali dire qualcosa “di sinistra”. Tra questi, la proposta del capo dello Sta-to di rispondere alle condanne europee sulla condizione dei detenuti in Italia con l’amnistia e un nuovo indulto. Per tutti i partiti, però, nessuno escluso, e per l’emer-gente generazione dei leader quarantenni, sarà ben al-tro a consentirci di conoscere la visione dell’uomo e della società che ciascuno promuove. È il fatto di cui i libri di storia parleranno: il genocidio di umanità che continua a consumarsi nel mar Mediterraneo, tra l’Ita-lia e il Nord Africa. Esso costringe la politica ad espri-mersi. Ad ogni coscienza di cittadino la responsabilità di lasciarsi convincere dalle argomentazioni ragionate, non già dai moti viscerali, dei vari partiti. A tutti, pe-rò, qualsiasi tesi sostengano, chiediamo di ragionare di fraternità.

Politica italiana

L’identità di Pd e Pdldi Iole Mucciconi

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Janet Yellen piace a tutti, dagli operato-ri finanziari alla sinistra democratica. La sua sarà una politica monetaria accomo-dante, tesa a favorire la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Yellen, 67 anni, sarà la prima donna a guidare (da gennaio) la Federal Reserve degli Stati Uni-ti. Succederà all’attuale governatore Ben Bernanke, di cui è stata la vice. Sembra che Christine Lagarde, anche lei prima donna a coprire il ruolo di direttrice genera-le del Fondo monetario internazionale, abbia esclamato con entusiasmo: «C’est super!». Sì, è straordinario, per-ché non ci sono molte donne a capo di istituzioni così importanti e di banche centrali in particolare. E tuttavia non mancano del tutto: dal 24 giugno 2013 è donna il governatore della Banca di Russia, Elvira Nabuillina, e da ben 14 anni il presidente della Banca centrale del Botswana, Linah Mohohlo, uno dei Paesi economica-mente più sviluppati dell’Africa.Esiste un’estesa letteratura sulla “mascolinità” dell’eco-nomia. Nel XX secolo si credeva che l’approccio com-petitivo e gerarchico del capitalismo fosse tipico di una economia gestita al maschile. Seguendo lo stesso crite-rio, l’azienda cooperativa è stata spesso percepita come il modo femminile di gestire un’attività economica. E poi c’è la cosiddetta “economia femminista” che si po-ne in alternativa al modello economico convenzionale di indirizzo neoclassico – considerato appunto maschilista – e pone l’accento sulla dimensione umana, sociale ed ecologica delle attività economiche.Personalmente, non condivido l’uso di un approccio di genere all’economia come a nessun altro settore. Cre-do, invece, che quando una donna arriva ad assumere una posizione di potere, normalmente è solo perché so-no state riconosciute le sue capacità. E mi pare che sia questo il caso. Yellen sostiene che «la Federal Reserve deve aiutare tutti: troppi americani ancora non trovano lavoro e la Banca centrale può contribuire a dare una vita migliore a chi lavora duramente». Mi pare un vero capovolgimento di prospettiva, una speranza; anche per l’Europa.

Fibrillazioni all’interno di Pd e Pdl. Quale futuro?

Il presidente iraniano Rouhani ha avviato il disgelo con gli Stati Uniti.

Il nuovo governatore Fed, Yellen, con Obama e Bernanke.

Donne al comando

Federal Reservein rosadi Simona Di Ciaccio

Città Nuova - n. 20 - 2013

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Se oltre 150 episodi sono avver-titi come un nulla, cos’altro de-ve succedere a Milano? In me-no di due anni sono scoppiate bombe, scomparsi autocarri,

cresciuti gli attentati intimidatori, ovvero chiare manifestazioni del-la presenza e del potere delle mafi e nel capoluogo lombardo. Eppure al-berga ancora in tanti cittadini quello che il sociologo Nando Dalla Chiesa defi nisce «pregiudizio etnico», una certezza che fa ritenere che «a Mi-lano queste cose non succedono». Anche in fatto di beni confi scati alla criminalità organizzata, la città am-brosiana si trova ai primi posti della graduatoria nazionale.

Allo stesso tempo non manca-no segnali in controtendenza. Basti pensare, per esempio, a quanto sta avvenendo in via Leoncavallo, do-ve hanno trovato sede associazioni e cooperative sociali, nonché il primo minimarket del sociale, dove perso-ne in diffi coltà possono acquistare generi alimentari di prima necessità con sconti del 35-40 per cento. Eb-bene, in precedenza quegli apparta-

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MAGGIORE CONTRASTO ALLE MAFIE, PIÙ SERRATI I CONTROLLI DEGLI ENTI TERRITORIALI, MA È LA SOCIETÀ CIVILE A REAGIRE. INTERVISTE A DALLA CHIESA, FRIGERIO, GRANELLI

LEGALITÀMILANOSI SVEGLIA

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QUESTIONE NAZIONALEa cura di Paolo Lòriga ed Elena Granata

P r i m o p i a n o

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menti erano stati la base per traffi co di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, usura e riciclaggio di denaro sporco.

Milano sta acquisendo consa-pevolezza in varie sue componen-ti e proprio il tema della legalità è stato scelto dai lettori meneghini del Gruppo editoriale Città Nuo-va per farne tema di rifl essione (e di successivo impegno collettivo) in occasione del CN day lo scorso 5 ottobre. Di particolare aiuto gli interventi del magistrato Giuseppe Gatti, sostituto procuratore della Di-rezione distrettuale antimafi a di Ba-ri, e Gianni Bianco, giornalista Rai, autori del libro La legalità del noi(Città Nuova), utilizzato come punto di partenza per un’analisi sulla città con il docente Nando Dalla Chiesa, l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli, il rappresentante di Libera, Lorenzo Frigerio.

Prof. Dalla Chiesa, lei ha scrit-to che «il lungo sonno è fi nito. Il Nord, o almeno la sua parte più at-tiva, non dorme più. Finalmente si sta facendo strada una convinzio-ne rivoluzionaria: i clan sono sotto casa nostra». Che connotati hanno le mafi e nelle città del Nord?

«La mafi a non si dichiara, a dif-ferenza del terrorismo. La mafi a gioca in silenzio: una condizione che l’aiuta a passare inosservata. La mafi a è forte, forte anche della nostra indifferenza, della nostra in-capacità di vedere; è forte a motivo di forme di connivenza, a volte di collusione esplicita. Pertanto biso-gna essere allenati a riconoscerla, soprattutto bisogna informarsi per conoscere il modo con cui si va diffondendo. Ormai disponiamo di informazioni copiose relative alla mafi a del nostro territorio. Abbia-mo perciò la possibilità di renderci conto di quello che accade. E ab-biamo purtroppo costatato come

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Foto grande: milanesi a passeggio in Galleria. A sin.: posti di blocco dei carabinieri. Sopra: il sociologo Nando Dalla Chiesa, fi glio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafi a a Palermo nel 1982.

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l’impunità delle organizzazioni mafi ose si produca nella mancan-za dei controlli, non nell’assenza delle leggi o dei protocolli. Questo ha permesso lo sviluppo delle ma-fi e in Piemonte, Liguria, Emilia, Lombardia e qui a Milano. Così abbiamo suggerito al sindaco (che ha accolto il consiglio) di rendere sistematici i controlli, di utilizzare la polizia locale».

Nando Dalla Chiesa è docente di sociologia della criminalità orga-nizzata all’università Statale e pre-sidente del Comitato antimafi a del Comune di Milano.

Quali sono gli obiettivi e le strate-gie delle mafi e al Nord?

«Prima di tutto i lavori pubblici e l’edilizia, entrando nella costruzio-ne della metropolitana, di diverse reti autostradali e dell’alta velocità. Hanno cercato di arrivare agli appal-ti relativi all’Expo. Si avvalgono poi

Città Nuova - n. 20 - 2013 10

LEGALITÀ, MILANO SI SVEGLIAP r im o p iano

Per anni il termine “sicurezza” è suonato all’orecchio dei milane-si sinonimo di micro-criminalità e di immigrazione, senza il dovuto rimando a quella macro-criminalità che si stava radicando in città. Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e coesione sociale, polizia locale, protezione civile, volontariato, sta realizzando quanto fi nora mancato: una fi tta rete di controlli.«La scommessa che si sta facendo è quella di lavorare su una visione più ampia di sicurezza, utilizzando gli strumenti di cui dispone l’amministrazione comunale, ad incominciare da un più efficace utilizzo della polizia locale. Con i vigili urbani è possibi-le stare sul territorio, conoscerlo e cogliere segnali che possono risultare utili alla Procura della Repubblica. Poco fa, ad esempio, in un quartiere di Milano, dopo prolungati controlli sono state for-nite alla Procura informazioni precise su un’autofficina che gesti-va furti di auto. È un risultato che parte dal territorio e arriva a protocolli definiti».

Quali controlli sull’Expo?«Abbiamo realizzato con le amministrazioni interessate, e concordato con la Prefettura, tutta una serie di controlli per i lavori sull’Expo, realizzando procedure ben precise. Il problema vero, però, è che poi ci siamo accorti che queste procedure non avevano portato a un au-mento effettivo dei controlli. Allora abbiamo costituito una squadra di trenta persone con il compito specifi co di creare una rete di controlli veri sul territorio. Passa così un messaggio alla criminalità: guardate che i controlli ci sono. In questo contesto, i comandanti delle polizie locali si incontrano periodicamente per esaminare il materiale rac-colto ed è stato avviato lo scambio di informazioni tra gli assessorati dei comuni».

Forse c’è bisogno anche di un’effi cace comunicazione verso i cittadini per ridurre la distanza tra insicurezza percepita e insicurezza reale.«Questo è un terreno su cui stiamo facendo ancora fatica. Abbiamo comunque organizzato il Festival dei beni confi scati con l’intento di far conoscere i beni e l’utilizzo che se ne sta facendo nel territorio. Non basta che un edifi cio diventi la sede di un’associazione, di un doposcuola, di una comunità per disabili. È importante che venga reso noto che si tratta di bene sequestrato e che ora è patrimonio della città».

L’assessore comunale Marco Granelli

Controlli fi nalmente reali in città

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della classica tecnica degli attentati a esercizi commerciali, cantieri, bot-teghe artigianali. Quando scoppiano le bombe, quando si rubano gli au-tocarri nei cantieri, i segnali sono chiari. È un modo per farsi capire da qualcuno».

Quei segnali non dovrebbero par-lare a tutti?

«Eh, sì. Sembra impossibile che negli ultimi due anni ci siano stati oltre 150 attentati senza che la città abbia capito cosa stava accadendo».

Non pensa che sia pure effetto di una cattiva comunicazione?

«Si tratta di informazioni che bi-sogna saper dare, indubbiamente, ma sono pure notizie che bisogna essere disposti ad ascoltare senza scuotere la testa con quel pregiu-dizio etnico che fa dire: “A Milano queste cose non succedono”. Pur-troppo succedono. E più noi ci con-vinciamo che non succedono e più sono incoraggiati a farle».

Qual è la giustifi cazione più ricor-rente fornita da chi ha responsabi-lità collettive?

«Ci sentiamo ripetere: “Noi non sa-pevamo. Noi non potevamo capire”. A me è successo di sentirlo dire anche in riferimento ad una realtà emblematica come Buccinasco (località alle por-te di Milano, denominata la Platì del Nord per la consistente presenza del-la ’ndrangheta, ndr). Eppure gli inse-gnanti mi sono venuti a riferire che i loro allievi, già anni fa, sapevano con quali compagni in classe o a scuola es-sere deferenti, con chi non era il caso di litigare; i bambini avevano appreso chi erano i fi gli dei boss e che c’erano i boss. I bambini sapevano quello che la classe dirigente della città sosteneva di non sapere».

Tanti cittadini vanno maturando la consapevolezza che “insieme si

può”. Di quale Noi (volutamente maiuscolo) c’è bisogno?

«Di un Noi che non sia la somma di individui, ma esprima una società, una comunità che si sa difendere, che non lascia solo nessuno che abbia bi-sogno. L’imprenditore palermitano Libero Grassi, ad esempio, e molte altre persone uccise non hanno po-tuto contare su un Noi. Erano sole. Attraverso quelle tragiche esperien-ze abbiamo scoperto l’importanza di questo pronome e di vedere questo pronome come tessuto di relazioni, di capacità di aiutarsi reciprocamen-te, di lavorare insieme, di rassicurarci gli uni gli altri. Il Noi infatti espone di meno, tanto da costatare che chi si impegna contro le mafi e – tranne al-cune particolarissime fi gure di inve-stigatori e di amministratori che sono costrette ad agire da sole – può infl ig-gere sconfi tte alle organizzazioni ma-fi ose senza rischiare. È doveroso far sapere che con il Noi non si rischia».

La situazione sta allora cambiando?«Stiamo assistendo ad una tra-

sformazione. È il Noi predicato da don Ciotti: si tratta di un grande cambiamento di prospettiva. Anche i mafi osi parlano al plurale: “Siamo la ’ndrangheta”. Ebbene, dobbiamo proporgli un Noi altrettanto forte, convinto e più ricco di ragioni».

Vede già una comunità civile non più intermittente sull’antimafi a?

«Certe volte le manifestazioni antimafi a acquistano qualcosa di circense. L’impegno contro la cri-minalità organizzata deve essere una cosa seria, con una sua continuità nel tempo. Rendiamoci conto che loro fanno i mafi osi 24 ore al giorno, mentre noi ogni tanto facciamo gli antimafi osi organizzando un conve-gno contro la mafi a.

«Ovvio che non basta. Noi dobbia-mo incominciare ad avere una capacità di pensare a loro ogni momento: si fa

11 Città Nuova - n. 20 - 2013

Manifestazioni a Milano contro le mafi e, di cui si teme l’ingresso nei lavori dell’Expo. Per i beni confi scati, la Lombardia è al quarto posto dopo Sicilia, Calabria e Campania.

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una legge sulla giustizia, si chiude una scuola in un quartiere di periferia, si decide una procedura d’appalto, ecco che bisogna non dimenticare che loro ci sono. Insomma, non si può avere un grande problema nazionale e poi, quando ci si misura con la politica e con l’amministrazione, fare come se non ci fosse la mafi a. Invece non do-vremmo mai prescindere dal fatto che i mafi osi ci sono e hanno precisi interes-si. A quel punto il Noi funzionerebbe davvero e non diventerebbe soltanto sistema di relazioni sociali, ma dareb-be vita – usiamo una parola importante – allo Stato, con la S maiuscola».

Come riuscire a migliorare la ca-pacità di leggere i comportamenti apparentemente indifferenti alla criminalità organizzata e che in realtà la sostengono?

«Dobbiamo far funzionare la ca-pacità collettiva di analisi e di denun-cia che si è formata. Siamo arrivati a questo livello con l’aiuto reciproco delle conoscenze, grazie agli esperti dei problemi legati alla gestione dei beni confi scati e delle criticità relati-ve all’amministrazione della giusti-zia. Il libro stesso pubblicato da Città Nuova insegna le cose che si possono fare. Ritengo, inoltre, che cogliere i rischiosi effetti di certi provvedimenti governativi possa infl uire sempre di più sulla politica. Com’è possibile non riuscire a fare capire che le sale giochi sono un potentissimo strumento nelle mani delle mafi e e che un governo do-vrebbe intervenire nel modo giusto?».

Un tema che è diventato da Lop-pianoLab una campagna per CittàNuova nell’ambito dell’impegno per la legalità.

Paolo Lòriga ed Elena Granata

LEGALITÀ, MILANO SI SVEGLIA

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Lorenzo Frigerio, in prima fi la, con i giovani di Libera. In basso: fi nanzieri in un locale di slot machine, il nuovo avamposto delle mafi e.

«“Insieme si può”. La vicenda dei beni confi scati dimostra che insieme è possibile togliere alle mafi e quello che hanno sottratto ai territori ed è possibile restituirlo agli stessi territori. Si tratta di beni immobili e di aziende che non sono stati trasferiti altrove». Lorenzo Frigerio, giornalista e scrittore, è coordinatore nazionale della Fondazione Libera Informa-zione, un osservatorio sull’informazione contro le mafi e. «I beni confi scati smettono di essere proprietà criminale e diventano strumenti di produzio-ne, di lavoro, di dignità per tante famiglie in diffi coltà. Danno modo di fare scommesse nuove, come quella in via Leoncavallo».Lo motiva una consapevolezza: «Non basta più l’opera delle forze dell’ordine, dei magistrati più determinati, dei prefetti più attenti. Libera raccoglie la sfi da, facendo propria l’intuizione di uomini come Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre. Quest’ultimo aveva capito che la forza della mafi a poggiava sulla ricchezza: “Togliamo alla mafi a le proprietà, quelle per cui si è disposti a fare anni di carcere”».Da qui, un’intuizione. «Il passaggio che fa Libera è restituire alla collettività i beni sottratti alla mafi a. Per troppi anni abbiamo pensato che la Lombardia e Milano fossero immuni da questi problemi. Il tema dell’antimafi a purtroppo non è al centro della politica. Anche dietro la tragedia di Lampedusa ci sono organizzazioni criminali transnazionali che fanno i propri affari sulla pelle delle persone».

Lorenzo Frigerio (Libera)

La svolta con la confi sca dei beni

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di Vittorio Sedini

ANCHE I SASSI PENSANO P i n g P o n g

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Da qualche anno i rifl ettori dell’opinione pubblica internazionale sono concentrati sul Premio Nobel per la pace che, come si sa, viene

attribuito da una giuria norvegese. È diffi cile, infatti, che tale premio accontenti tutti. Questa volta forse il giudizio favorevole sarà unanime, perché viene premiato un organismo, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), che combatte contro armamenti tra i più odiosi esistenti al mondo. Forse solo i produttori di armi chimiche saranno scontenti! L’Accademia di Oslo ha deliberato giustifi cando la sua scelta per «l’impegno dell’Opac a favore dell’eliminazione delle armi e degli arsenali chimici». Certamente il caso siriano – con la soluzione alla crisi dovuta agli sforzi diplomatici – è stato il motivo principale a spingere gli accademici a premiare l’Opac, che ha sede a L’Aia (foto) ed è l’organo esecutivo della Convenzione sulle armi chimiche (Cwc), entrato in vigore nel 1997. Ad oggi conta 189 Stati membri. Per questo suo ruolo, è stata incaricata dal Consiglio di sicurezza Onu di controllare le operazioni di distruzione degli arsenali chimici del regime di Assad entro il 30 giugno 2014.

Pietro Parmense

C o n t r o l e g u e r r e

No alle armi chimiche

Città Nuova - n. 20 - 2013 14

P. D

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L’OPACPREMIATA COL NOBEL, UNA GIUSTA BATTAGLIA

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A t t u a l i t àLAMPEDUSAdi Maddalena Maltese ed Enza Billeci

Città Nuova - n. 20 - 2013 16

Che odore ha la speranza? Che odore ha una vita? Non può es-sere lo stesso odore, o meglio, l’olezzo penetrante che già a venti metri dall’hangar si in-

colla alle narici e alla pelle. La mor-te e il mare mescolano i loro odori a Lampedusa, il tanfo del lutto e il profumo della salsedine. Dalle 300 e più bare allineate in questo immen-so loculo di cemento allestito alle spalle dell’aeroporto sale un odore che è un grido straziante all’Europa, all’Italia: il grido della guerra, della miseria e della speranza assieme.

La tragedia del 3 ottobre sulle co-ste di Lampedusa non è l’ennesima: i morti non sono mai ennesimi, sen-za volto e senza storia. In questi 300 e passa corpi abbracciati nella stiva, aggrovigliati dalla paura, uno ancora legato con il cordone ombelicale al-la sua mamma, c’è l’odore della vita, la vita negata. La vita che Domenico il pescatore – tra i primi ad aver da-to l’allarme alla Guardia costiera per chiedere soccorso – si è visto sfuggi-re dalle mani. «I corpi era unti di ga-solio, erano senza vestiti, scivolavano via. Lanciavamo i salvagente ma non erano suffi cienti», racconta concita-to. Ne ha salvati 18 e ha recuperato due cadaveri, ma non dimentica quel-li che, impotente, vedeva inghiottiti dalle onde senza pietà.

Dentro l’hangar, intanto, la scien-tifi ca, gli infermieri e i vigili del fuoco in un silenzio sacro continua-no a comporre le salme. C’è dedi-zione nei loro gesti, c’è rispetto, c’è umanità. Vogliono identifi carli e re-stituirli ai loro cari, anche se il mare assieme alla loro esistenza si è por-tato via anche alcuni dei loro tratti. Le salme dei bambini resteranno qui, su questo scoglio, che invece di accogliere le grida dell’infanzia, fa casa al loro silenzio. Lo ha deciso il sindaco Giusi Nicolini: i piccoli ap-parterranno per sempre ai lampedu-

sani, saranno seppelliti nel cimitero che sovrasta Cala Pisana, altro luogo di approdo per le carrette del mare. I bambini sopravvissuti, intanto, po-tranno trascorrere almeno qualche giorno con le famiglie dell’isola.

Non potranno dormirvi, ma potran-no giocare, mangiare un pasto de-cente, respirare la normalità.

Quella che anche in queste trage-die manca al nostro Paese, dove con fulminea rapidità ci si àncora alle

CRIMINEMEDITERRANEO

NON È PIÙ TEMPO DI COMMOZIONE, SERVONO LEGGI, ACCOGLIENZA, DIRITTI

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convenienze partitiche sulla can-cellazione della Bossi-Fini o sulla spaccatura tra il capo dei 5Stelle e i senatori del suo partito che hanno proposto e votato l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, senza verifi che interne. E questo mentre i 155 sopravvissuti al nau-fragio sono stati iscritti nel registro degli indagati perché, appunto, clan-destini e gli oltre 21 mila arrivati in questi primi otto mesi in Italia vivono da reclusi in centri di iden-tifi cazione, dove continua ad essere vietato l’accesso ai giornalisti. Im-possibile, o quasi, documentare cosa succede dentro. Lo ha espresso be-ne il presidente del Consiglio Letta, uscendo da quello di contrada Im-

briacola, visitato con la contrarietà del servizio di sicurezza: «Indegno di un Paese civile».

Intanto in giugno è stato modifi -cato il Regolamento di Dublino, per cui un migrante arrivato in un Pae-se Ue può fare richiesta di asilo non solo nella nazione di arrivo, come accadeva in precedenza, e questo dovrebbe alleggerire i fl ussi di mi-granti che a seguito delle transizio-ni arabe sono arrivati in massa sulle coste italiane.

«In Germania e in altre nazioni del Centro e Nord Europa è stato attivato un progetto d’accoglienza diverso dove i profughi forniscono i loro documenti ai consolati, indivi-

duano famiglie d’accoglienza e uti-lizzano il denaro per viaggi aerei si-curi e non per i contrabbandieri della morte». Antonello Ferrara, siracu-sano e presente nella delegazione delle Caritas siciliane, che proprio sull’isola ha tenuto il suo appunta-mento annuale, lavora per trovare vie alternative ai viaggi della morte. «Vorremmo contattare i blogger per diffondere notizie reali sulle traver-sate e sulle possibilità di accoglien-za e non lasciare il monopolio solo agli scafi sti. Vorremmo offrire al go-verno un vero progetto di accoglien-za che permetta ai nostri volontari di entrare nei centri e offrire sul serio un supporto umanitario». In Italia il sistema del diritto all’asilo, come in altri Paesi europei, necessita una se-ria riforma, non limitabile solo all’a-bolizione della legge Bossi-Fini.

Intanto l’Ue si prepara a stanziare nuovi fondi – si parla di 210 milioni di euro – per il programma Frontex, istituito per proteggere le frontiere e che fi nora è costato un miliardo e 668 milioni con l’intento di limita-re e controllare gli ingressi ma con il risultato fi nale di migliaia di morti e un proliferare di impresari di clan-destini che li consegnano alla fi ne all’emarginazione, qualora soprav-vivano. L’Europa continua a restare fortezza anche davanti alle lacrime dei sopravvissuti, che non emanano odore, depositati nell’hangar in atte-sa del funerale di Stato. Urgono nor-me per i vivi.

17 Città Nuova - n. 20 - 2013

Le foto ormai consuete della tragedia di Lampedusa: bare, immigrati stipati nei centri di accoglienza, pescatori piccoli grandi eroi.

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A t t u a l i t àSALUTE GLOBALEdi Aurora Nicosia

Città Nuova - n. 20 - 2013 18

Una radiografi a della qualità delle cure in Italia conferma la sanità a macchia di leopar-do che caratterizza da anni il nostro Paese, con un divario

ben lontano dall’essere colmato: Lombardia, Toscana, Veneto, Emilia e Piemonte mantengono le posizioni di testa, con sei ospedali lombardi tra i primi dieci, mentre le regioni del Sud rimangono fanalino di coda. Questo emerge dalla ricerca sugli “esiti” dell’attività sanitaria del 2012 realizzata dall’Agenas (Agenzia na-zionale per i servizi sanitari delle Re-gioni), una classifi cazione dei 1440 ospedali pubblici e convenzionati italiani elaborata in base a una qua-rantina di indicatori comuni.

Se dal piano nazionale, poi, pas-siamo a quello internazionale, il diva-rio fra i vari Paesi non è da meno e le prospettive per la popolazione mon-

diale elaborate dall’Onu lo scorso giugno non inducono, in questo sen-so, a ottimismo. L’incremento previ-sto per il 2025 di quasi un miliardo

di persone, che riguarderebbe soprat-tutto la popolazione dei 49 Paesi me-no sviluppati (entro il 2050 dovrebbe addirittura passare dagli attuali 5,9 a

IN CERCA DI UNA SANITÀPER TUTTI

COME GARANTIRE NEL NOSTRO PAESE, E NON SOLO, SOSTENIBILITÀ DELLE CURE, EQUITÀ, INNOVAZIONE

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8,3 miliardi, con un’aspettativa di vi-ta di circa 81 anni), impone una revi-sione delle politiche sanitarie nazio-nali in un orizzonte mondiale.

«Cogliere tutta la complessità della medicina moderna – nonché dei suoi obiettivi, delle sue pratiche, del personale che la esercita e delle sue istituzioni – è tutt’altro che fa-cile, anche quando si fa riferimento a un solo Paese; ma quando il ter-mine di riferimento è la scena in-ternazionale, la diffi coltà aumenta», commenta la dott.ssa Flavia Caretta, del dipartimento di Geriatria dell’U-niversità Cattolica del Sacro Cuore a Roma. «A tutt’oggi – aggiunge – c’è ancora un enorme divario tra la qualità dell’assistenza medica of-ferta nei vari contesti, che fa sì che i benefi ci derivanti dai successi scien-tifi ci non siano distribuiti in modo omogeneo».

Proprio da queste sfi de prende le mosse un convegno promosso da Medicina, dialogo e comunione – associazione interdisciplinare e in-

terculturale nata a Roma nel 2003 –, che vede riuniti a Padova il 18 e 19 ottobre 200 operatori sanitari da diversi Paesi del mondo, dal titolo “Quale medicina: tra globalizzazio-ne, sostenibilità, personalizzazione delle cure”.

«Gli enormi sviluppi nel campo tecnologico applicato alla medicina hanno comportato un progresso im-pensato nelle capacità diagnostiche e terapeutiche – sostengono gli orga-nizzatori –, con biotecnologie sempre più sofi sticate e costose. Nello stesso tempo, un’ampia parte di umanità ancora soffre e muore per cause che sono assolutamente prevedibili e pre-venibili». Ma anche nei Paesi più ric-chi i problemi non mancano. Qui «i limiti sempre maggiori delle risorse pubbliche inducono i sistemi sanita-ri a rivedere l’erogazione dei servizi, con il rischio di ridurli, renderli più costosi per l’utente, maggiormente burocratizzati e spersonalizzati. L’or-ganizzazione sanitaria e ciascun atto clinico sono considerati appropriati

se rispondono a criteri di effi cacia ed effi cienza».

«Nessuno è contrario all’innova-zione, all’effi cacia e all’effi cienza – commenta in particolare il dott. Spartaco Mencaroni, dirigente me-dico presso l’Ausl1 di Massa Carra-ra –; sottolineiamo però la necessità di una rifl essione più ampia, perché non è detto che aumentare l’offerta o perseguire l’innovazione tecnolo-gica coincida necessariamente, in un dato contesto, con quello che è giu-sto realizzare nell’ottica dell’equità e della sostenibilità».

La dimensione internazionale del convegno di Padova è dunque un valore aggiunto, anche perché, co-me commenta il dott. Mencaroni, «i sistemi sanitari di quasi tutti i Pae-si del mondo stanno affrontando le conseguenze di una serie tumultuosa di cambiamenti che portano inevita-bili conseguenze sull’insieme delle relazioni fra la popolazione assistita e i professionisti che vi operano».

Oggi più che mai è necessario coniugare sostenibilità delle cure ed equità sociale. A questo propo-sito aggiunge il dirigente toscano: «Esistono concretizzazioni portate avanti da singoli o da gruppi, in di-versi contesti culturali internazionali (Italia, Brasile, Camerun, ecc.), che hanno il sapore della sperimenta-zione e possono costituire la base di una metodologia in grado di in-fl uenzare sia la programmazione dei servizi sanitari che le scelte dei diversi operatori». E prospetta: «Ci proponiamo di elaborare tale meto-dologia considerando il più possibi-le tutti i punti di vista degli operatori dei diversi Paesi, in quanto parte del sistema salute globale, inteso come l’insieme delle relazioni fra i servi-zi sanitari dei singoli Paesi sui quali si ripercuotono i fenomeni planetari (crisi, globalizzazione, cambiamenti culturali)». Della serie, si vince o si perde insieme.

19 Città Nuova - n. 20 - 2013

L’innovazione tecnologica non può che accompagnare un’attenzione crescente al rapporto medico-paziente.

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A t t u a l i t àOMOFOBIAdi Adriana Cosseddu

Città Nuova - n. 20 - 2013 20

L’approvazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge recante “Disposizioni in ma-teria di contrasto dell’omo-fobia e della transfobia”, con

precedenza su altri provvedimenti particolarmente attesi dai cittadini, sembra mantenere alto il livello di confl ittualità nel nostro Paese.

Il testo, peraltro rivisto rispetto a quello precedentemente approvato in Commissione, introduce alcune mo-difi che alla Legge Mancino che detta disposizioni in materia di discrimina-zione razziale. Tali norme vengono estese e rese applicabili anche ad atti discriminatori, condotte di istigazio-ne, violenza, dettati da motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia.

Si dà vita dunque a un reato che diventa punibile con la reclusione, stabilendo che le condotte di omo-fobia siano equiparate a quelle poste in essere per motivi di discrimina-zione razziale o religiosa.

Si prevede inoltre, più in genera-le, per qualsivoglia reato comunque fondato su omofobia o transfobia, l’applicazione della circostanza ag-gravante che ne comporta l’aumento della pena fi no alla metà.

Da più parti si è guardato alla stra-da intrapresa con il timore che il con-trasto a tali forme di discriminazione si traduca nella previsione di un “re-ato d’opinione”. E vicende ultima-mente approdate agli onori della cro-naca paiono darne conferma. Barilla difende la sua idea di famiglia per co-sì dire “tradizionale” e, pur senza re-care offesa ad alcuno, viene additato come “fautore” di una “omofobia ali-mentare”. Non andrebbe dimenticato che la nostra Costituzione, all’art. 29, tutela la famiglia come «società natu-rale fondata sul matrimonio». Si rico-nosce dunque alla natura la capacità di inscrivere nell’antropologia l’es-sere uomo e donna, in una relazione essenziale alla generazione della vi-

RISCRIVEREL’UMANITÀDELL’UOMO?

UNA LEGGE TRAVAGLIATA, CON RISCHI PER LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DISUGUAGLIANZA DI TUTELE. IL VALORE DELLA PERSONA NON DIPENDE DALLA LEGGE

B. G

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ta umana. Salvaguardare un’identità non può pertanto costituire un’offesa, né si può dimenticare che l’art. 21 della Costituzione garantisce la liber-tà di espressione e manifestazione del pensiero. Il caso recente costituisce un esempio per tutti: le opinioni o le iniziative volte a riconoscere e difen-dere la famiglia basata sul matrimo-nio tra un uomo e una donna rischia-no di essere considerate per legge discriminatorie e come tali punibili?

In sede di approvazione si è intro-dotta nel testo un’ulteriore previsione per escludere le condotte di omofobia rispetto a «convincimenti ed opinio-ni riconducibili al pluralismo delle idee» o «conformi al diritto vigente».

Ma il confi ne fra libertà di espres-sione e istigazione alla discrimina-zione può nel merito non essere così chiaro e tracciabile; ed è qui che oc-corre, mi sembra, creare il necessa-rio spazio per la rifl essione.

Oggi è diffuso il convincimento che basti una nuova legge per decide-re anche del rispetto e della tutela de-gli altri; ma non è così e non può esse-re il diritto penale l’unico strumento.

La persona va sempre riconosciuta e accolta come tale e innanzitutto; in questo senso il nostro Paese offre già oggi segnali positivi. È noto che l’Ita-lia, nell’indagine svolta a livello mon-diale dal Pew Research Center, si col-

loca per tolleranza e accettazione nei confronti degli omosessuali ai livelli più alti della classifi ca realizzata per 39 Paesi dei diversi continenti.

Perché dunque dipingere ancora una volta il nostro Paese con l’imma-gine dell’aggressività e della violen-za, tanto da pensare alla necessità di un reato per omofobia assimilabile a quello dettato dall’odio razziale?

Una rifl essione pacata, che non può mai essere ideologica quando si tratta della persona umana, indu-ce a considerare che un bene prima-rio e inestimabile, come la libertà, non può essere limitato dalle norme penali se non a fronte di fenome-ni gravi e diffusi nel tessuto socia-le. La sanzione penale è infatti da considerare l’extrema ratio, ovvero l’ultima delle soluzioni praticabili e dinanzi a offese di rilevante gravità. Non solo. I limiti della punibilità, proprio perché sacrifi cano la libertà dell’uomo, vanno sempre tracciati in maniera certa e proporzionata, come del resto la Costituzione esige.

Altro principio su cui rifl ettere: l’eguaglianza. Se, per dettato co-

stituzionale, siamo tutti uguali di fronte alla legge, quale la ragione per far emergere a livello normativo una diversità della persona legata al-la condizione omosessuale? Non si fi nirebbe con l’introdurre per legge una differenza che nella realtà della dignità di ogni persona umana non esiste o non dovrebbe esistere?

La persona – va detto a voce alta – ha valore in quanto tale, e non per legge.

Introdurre una tutela giuridi-ca rafforzata, fi no alla previsione di una sanzione penale o di un ag-gravamento della stessa a favore di talune categorie di persone, non ri-schia forse di impoverire una cultu-ra chiamata piuttosto a considerare le persone nella pari dignità sociale che la nostra Costituzione prevede?

Nel testo approvato, l’orientamento sessuale, componente intima e perso-nalissima del soggetto, diventerebbe elemento determinante per una tutela penale rafforzata anche dalla presen-za dell’aggravante; altre categorie di persone, pur nella loro debolezza e fragilità, penso agli anziani (così spes-

21 Città Nuova - n. 20 - 2013

Il sindaco gay di Parigi, Bertrand Delanoe. Sotto: una delle tante manifestazioni in Francia contro i matrimoni omosessuali. A fronte: dopo la cerimonia a Parigi.

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so oggetto di aggressioni e morte), ai disabili, ai malati e ai bambini, non godrebbero di analoga tutela.

Forse il contrasto a una forma di discriminazione, quale omofobia e transfobia, perseguito attraverso il ricorso a un provvedimento come quello fi nora approvato, può genera-re il rischio di altre discriminazioni, mentre il diritto avrebbe proprio la funzione di escluderle, salvaguar-dando al contempo il rispetto delle diversità proprie di ciascuno.

Eguaglianza, del resto, non coin-cide con egualitarismo, come la Corte costituzionale da sempre ri-conosce, ammettendo la diversità di disciplina per situazioni che «non possono considerarsi omogenee».

È la ragione per cui già oggi ogni offesa alla persona, senza particolari attributi e qualità, trova nell’ordina-mento la necessaria tutela, a ricor-darci che ognuno nella sua esistenza è degno e meritevole della più alta considerazione e protezione.

Adriana Cosseddu

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Città Nuova - n. 20 - 2013 22

Alcuni amici mi hanno chiesto un commento sulla vicenda Barilla-mondo gay. Appartenendo, per storia personale e culturale, ad una “minoranza”, sono geneticamente predisposto ad essere sempre vicino ai deboli e ai vessati: neri, gay, ebrei, baschi, amish, walser. Non ho mai considerato il mondo gay un problema, così come quello del colore della pelle. Per trasparen-za, confesso una unica nota razzista verso l’ignoranza.Pur non conoscendo i fratelli Barilla (stimavo il padre), so molto dell’azienda, della loro pro-fessionalità, del modo spartano con cui fanno gli imprenditori, della loro interpretazione intelligente e riservata del concetto di solidarietà verso i più deboli. Ne ho quindi grande considerazione. Di conseguenza, lo stupore è stato maggiore.Noi euro-americani viviamo un momento storico curioso: i rapporti interpersonali (fi sici) so-no in caduta libera; nel contempo abbiamo un disperato bisogno di comunicare. Per farlo disponiamo di una tecnologia di potenza inusitata, ma purtroppo siamo spesso carenti di spessore culturale, quindi non sappiamo individuare i temi alti da dibattere, ci scanniamo sui temi triti della bassa politica, del gossip, dello sport. Prendete un pubblico emblematico, quello dei talk show. Viene selezionato secondo il crite-rio imperante del politicamente corretto, osservatelo come applaude, come dissente, come si esprime; la miseria dei suoi processi logici, analizzate il suo linguaggio, troverete solo una sommatoria di slogan banali. Ebbene, quel pubblico siamo noi: personalmente mi vergogno per loro ma, come vecchio cittadino di una certa generazione, so di aver fallito, non avendoli educati all’approfondimento, alla rifl essione, al rispetto.Guido Barilla ha fatto un errore manageriale grave. Nel contesto attuale, un imprenditore (fi gura etichettata, in successione, come: affamatore del popolo, evasore, detentore di capitali neri in paradisi fi scali, etc.) deve parlare in pubblico esclusivamente di business. Aggiungo io, soltanto una volta all’anno, in occasione del bilancio (come fa, da tempo immemorabile, il Ceo di Nestlè). Barilla, che è nel business dei beni di largo consumo, dovrebbe sapere che la comunità gay mondiale vale sul mercato globale un trilione di dollari. La pink money, che misura la capa-cità di acquisto dei gay, è in costante crescita; si pensi che è raddoppiata in 12 anni, in Italia vale 25 miliardi di euro solo per abbigliamento, accessori, turismo. Ad esempio, le società più orientate al consumatore, tipo Ikea (in Italia si difende bene anche Eataly, dello scaltro Farinetti), hanno capito da tempo il potenziale immenso del gay-market, e lo cavalcano. Quando arriveranno anche da noi i matrimoni gay, si apriranno molte altre possibilità nell’ho-telleria, nella ristorazione, nel catering, nella gioielleria, etc. Per non parlare dei comuni, che potranno fare business con i matrimoni gay, affi ttando location prestigiose, eventi chiavi in mano ad alto valore aggiunto.Caro Barilla, lei è ovviamente libero di pensarla come vuole sui temi sensibili, di parlarne coi suoi amici; ma in pubblico taccia, come imprenditore e manager lei è servo dei suoi clienti, non lo dimentichi mai. Anna Paola Concia ha scritto un tweet che dovrebbe incorniciare e tenere sulla scrivania. Se le fosse sfuggito, lo riporto: «Non fi rmo appelli a #Barilla non chiedo di scusarsi. Siamo in un Paese (libero): lui di non volere i miei soldi, io di #boicottabarilla». Una notazione ad Anna Paola Concia: tolga pure, cara amica, quel “libero” tra parentesi. Molti di noi non sono per nulla liberi di esprime le loro idee, se sono controcorrente rispetto al pensiero dominante delle élite intellettuali e fi nanziarie oggi al potere, costretti come siamo a vivere costante-mente in una nuvola di cipria, molto fastidiosa per gli occhi e per il naso.

Giovanni Arletti, imprenditore

La crescita irresistibiledella “pink money”

Jodie Foster ed Elton John, due personaggi famosi che hanno pubblicamente dichiarato il loro essere lesbica e gay.

LA PAROLA AI LETTORI

Cosa ne pensate? Qual è la vostra esperienza?

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il nostro giornalinoÈ arrivato

è un mensile per “Bambini in gamba” fino agli 8 anni

con tante storie, giochi, favole, curiosità... e altre sorprese.

vuole scoprire insieme ai suoi lettori quanto di positivo

esiste nel mondo: la solidarietà, la pace e l’amore che promuove

la fraternità tra tutti.

Inviaci foto e disegni: ti divertirai e vivrai tante

avventure con altri bambini in gamba.

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Inizio pubblicazioni: dicembre 2013

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Dieci anni dopo la seconda guerra del Golfo, l’Iraq è tra-volto dalla corruzio-ne della classe politi-

ca, da una ricostruzione mai iniziata, da divisioni pro-fonde tra sunniti e sciiti, da continui attentati terroristici. Un’altra inutile strage che ha aggravato la situazione del Paese e destabilizzato l’intera area geopolitica. Il peccato originale delle fi nte prove sulle armi chimiche di Saddam, fornite dal go-verno Usa per poter accen-dere la miccia della guerra, ha gettato ulteriore discredi-to internazionale sulle scelte degli Stati Uniti.

Dieci anni fa, il 10 no-vembre del 2003, erano le 8 e 40 in Italia, le 10 e 40 in Iraq. Un tremendo atten-tato terroristico kamikaze contro il quartier generale

delle forze italiane a Nasi-riyah lascia sul terreno 19 italiani: dodici carabinieri, cinque militari dell’eserci-to e due civili. È la più gra-ve perdita di uomini dopo

la seconda guerra mondia-le. Tra le vittime Giuseppe Coletta, vicebrigadiere, il corpo annerito dal calore emanato dai 300 chili di tritolo esplosi dentro il ca-mion bomba.

La strage sveglia l’Ita-lia che scopre Margherita Coletta, vedova da poche ore, prendere il Vange-lo in mano in diretta tv e leggere uno dei brani più rivoluzionari. «Troppo fa-cile − disse Margherita −amare chi ci fa del bene. La vera sfi da è riuscire a perdonare chi ci persegui-ta. Lo dice il nostro Signo-re, ama il tuo nemico. Se adesso che mi hanno tolto Giuseppe io non ne fossi capace, tradirei anche lui e tutto ciò per cui è andato in Iraq».

Fino ad allora Marghe-rita non aveva avuto una vita semplice. Nel giugno del 1997 aveva perso il primogenito Paolo: per un tumore all’età di sei anni. È un colpo da “ko” che metterebbe chiunque al tappeto. Il marito Giusep-pe si rialza solo donandosi agli altri. In ogni bambino povero che incontra nelle sue missioni in Albania, Kosovo, Bosnia, rivede suo fi glio Paolo. Supera il dolore portando cibo, vestiario, medicine, gio-cattoli e ogni cosa pur di

F a m i g l i a e s o c i e t àIRAQdi Aurelio Molè

Città Nuova - n. 20 - 2013 24

I pozzi di Margherita

Giuseppe e Margherita Coletta a Durazzo, in Albania, nel 1999.

Dalle ceneri dell’attentato a Nasiriyah nascono progetti umanitari per i più poveri del mondo

Fa m i g l i a e s o c i e t à

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alleviare la sofferenza dei più piccoli e indifesi.

Il testimone è raccolto da Margherita e dalla sua Associazione Coletta che trasforma il suo dolore in amore per gli altri. Una donna sola, senza risor-se, con la secondogenita Maria di soli due anni da crescere e mantenere, co-mincia con il portare ge-neri di prima necessità in Albania e fi nisce per rea-lizzare progetti umanitari nelle Filippine, in Iraq, in Africa. Nel Burkina Faso l’obiettivo più ambizioso: la costruzione di una Cit-tadella della speranza. Il primo mattone è un poz-zo per l’acqua potabile a cui si aggiungono un cen-tro per orfani dedicato al “Brigadiere Giuseppe Co-letta”, il dispensario che porta il nome del medico Carlo Urbani e il refettorio dedicato al fi glio Paolo.

Altri pozzi sono nati dedicati a Eluana Englaro, Chiara Luce Badano, Sal-vo D’Acquisto, alla Prov-videnza e ad Andrea, un ragazzo lombardo morto a 17 anni di leucemia.

«Non basta dire “pove-ri” − racconta Margherita nel libro Nasiriyah fon-te di vita − e poi girarsi dall’altra parte e compra-re il telefonino di ultima generazione. No, questo è solo sentimentalismo, l’e-mozione del momento che poi passa. Il bene non co-nosce razza, religione, lin-gua o fede. L’altro siamo noi, l’altro sono tutti colo-ro che attendono il nostro aiuto».

«Si parla solo di Imu in un clima di grande confusione perché non si sa ancora se si dovrà pagare la seconda rata sulla prima casa. Esistono, invece, provvedimenti a favore della casa?». P.C. – Salerno

In tutto il mondo si paga una tassa sulla prima casa tranne che in quattro Paesi tra cui l’Ecuador e la Mongolia. In Italia si vorrebbe, almeno, avere la certezza su cosa dover pagare. Siamo, ancora, in piena bagarre per cercare di capire se la seconda rata dell’Imu sul possesso della prima casa si pagherà o meno entro il 16 dicembre. Forse molti sarebbero “contenti” di pagarla al solo al pensiero di possedere una casa, ma nonostante siano molti gli italiani, piùdel 70 per cento, ad avere un bene così importante, non tutti la posseggono. Il vero problema è che da un po’ di tempo latita una seria e completa politica per la casa nel nostro Paese. Per altro la platea dei soggetti che necessitano di una casa si è andata in questi anni della crisi ampliando sempre più, comprendendo non solo le tradizionali categorie svantaggiate, quali disoccupati, pensionati ed immigrati, ma anche le nuove, composte da lavoratori atipici, studenti, anziani, giovani coppie, famiglie monoreddito e genitori separati. Ora col “decreto del fare” ed altri provvedimenti si è cercato di dare qualche risposta e recentemente il Consiglio dei ministri ha rifi nanziato alcuni fondi già esistenti, per un totale di 200 milioni. In particolare:1. Fondo della Consap per la sospensione del mutuo per 18 mesi di 40 milioni

di euro2. Fondo di garanzia (DL 112/2008) per accensione mutui di giovani coppie,

famiglie con minori, lavoratori atipici di 60 milioni di euro3. Fondo di sostegno per il pagamento dell’affi tto di 60 milioni di euro4. Fondo di copertura della morosità incolpevole di 40 milioni di euroPer informazioni in merito consigliamo di rivolgersi alle associazioni di consumatori. Per il punto 4, al proprio Comune.

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di Paolo De MainaCITTADINANZA

Fondi per la casa

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«Dal punto di vista psi-cologico l’egoismo si può considerare una malattia?».

Lucia - Palermo

Il vocabolario Treccani, alla voce “egoismo” reci-ta: «Atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità tendendo a escludere chiunque altro dalla parte-cipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possie-de e a cui è gelosamente attaccato». Già nella defi -nizione identifi chiamo due atteggiamenti che si posso-no considerare problema-

tici. Il primo quando dice: «Si preoccupa unicamente di sé stesso», in quanto va contro la dimensione pro-fonda dell’essere umano. La persona è un “essere re-lazionale” e non può fare a meno degli altri, si realizza pienamente nella misura in cui fa partecipi gli altri del-la propria vita.

Gli studi psicologi-ci in questo campo sono molteplici e, a proposito dell’egoismo, concorda-no sul fatto che al fondo della persona egoista vi è un “narcisismo” che tende a vedere sé stesso come unico artefi ce del proprio

destino, utilizzando tutta la sua energia psichica al ser-vizio del proprio appaga-mento, spesso anche a di-scapito di quello altrui. In questa dimensione i limiti sono riscontrabili in ter-mini di sviluppo emotivo,

con conseguenti carenze sulla sfera emozionale che consiste nella incapacità di mettersi nei panni dell’al-tro e di partecipare della sofferenza del prossimo.

Il secondo quando dice: «Beni spirituali e materia-

«Mi ha molto colpito il viaggio di papa Francesco a Lampedusa, ma già prima, pensando alle centinaia di persone che muoiono in mare mentre fuggono dai loro Paesi in guerra o da situazioni di povertà, mi chiede-vo cosa potevo fare. Io, però, non abito su quell’isola, non ho mezzi per fare qualcosa e mi sento impotente. Tutto ciò che mi viene in mente mi appare poco e qua-si ipocrita e ho paura di trovarmi come tutti a relegare questa situazione a poche immagini nei tg».

Giovanni - Torino

Grazie, Giovanni, per averci fatti partecipi di questo tuo “viaggio” a Lampedusa, aiutandoci a non fermarci a poche impressioni di tristezza davanti alla tragedia o di commozione seguendo i passi del papa. Pur stando a casa e senza avere risorse, mi pare infatti che vera-

mente tu ti sia messo in viaggio verso quella situazio-ne e anche il sentirsi impotente e il provare per questo sofferenza, è già un primo importante passo.

Tante volte, infatti, ci passano davanti immagini – dal vivo o attraverso i media – di persone che soffrono senza per questo provare qualcosa di particolare, se non magari un automatico volgere lo sguardo altrove. Il permettere alla sofferenza altrui di toccarci, di ferirci, di disturbarci forse nella nostra ricerca di tranquillità fa crescere in noi il senso di appartenere alla medesima vicenda, di far par-te della stessa famiglia umana. Troppe volte manchiamo proprio in questo: non permettiamo all’altro di entrare nella nostra sfera di vita e lo osserviamo da lontano.

Fatto il primo movimento verso gli altri, ricono-scendo nei loro volti dei fratelli, pur diversi da noi, sa-rà più facile trovare quel poco o tanto che la fantasia dell’amore ci suggerirà di fare per loro. Cominciamo da chi incontriamo per la strada, da chi soffre magari anche nella nostra famiglia, dalle piccole cose, ma non temiamo di puntare anche alle grandi, magari con un serio impegno nel sociale e nel politico dando il nostro contributo a cambiare, forse negli anni, qualcosa an-che su più larga scala.

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LO PSICOLOGOdi Ezio AcetiF a m i g l i a e s o c i e t à

L’egoismo è una malattia?

A TU PER TU CON I GIOVANIdi Francesco Châtel

La mia Lampedusa

Città Nuova - n. 20 - 2013 26

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li… a cui è gelosamente attaccato», perché è evi-dente un’“ansia di sepa-razione dalle cose”, cioè la paura che, perdendo le cose, perda sé stesso. In-fatti la gelosia delle cose è evidentemente segno di immaturità e di chiusura al mondo e alle persone.

Occorre essere chiari: l’egoismo ha fatto molti danni e procurato molte sofferenze! C’è uno stretto collegamento poi fra egoi-smo e potere, in quanto l’egoista che tiene tutto per sé, a lungo andare, seduce chi ha attorno aumentando il suo potere di decisione nei confronti delle cose, a discapito spesso delle per-sone più fragili e deboli. Ma si crea un circolo vi-zioso, perché l’egoista più accumula, più vorrebbe accumulare, perché prigio-niero del suo stesso opera-to, trovandosi così alla fi ne della vita, con molti beni materiali, ma con una tri-stezza infi nita in termini di esistenza e di rapporti pro-fondi. Purtroppo tutto ciò a scapito degli altri.

Insomma, è arrivato il tempo ove parole co-me solidarietà, altruismo, pro-socialità, non sono più appannaggio dei buoni di turno o dei martiri, ma condizioni normali delle persone. Ha proprio ra-gione il fi losofo Lévinas quando dice: «Non c’è più l’Io, ma è l’altro che mi fa esistere». La normalità del-la persona allora è la co-munione con l’altro. Que-sto è il benessere!

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«Come si fa a parlare con questi fi gli adolescenti? Quando chiedo a mia fi glia cosa ha fatto a scuola o perché sta tanto spesso al computer, se va bene risponde borbottando».

Graziella - Trieste

Recentemente ho avuto la felice opportunità di essere invitata, insieme a mio marito, ad un meeting di giovani dai 14 ai 16 anni provenienti da tutta Italia, impegnati all’ideazione di Teens, il nuovo giornale “dei ragazzi per i ragazzi”, che presto si presenterà ai lettori di Città Nuova.Tra i vari argomenti sui quali hanno discusso tra loro e con alcuni adulti, c’erano anche i rapporti in famiglia.Inaspettatamente, la prima cosa su cui hanno puntato il dito è stata l’“assenza” dei genitori, dovuta sia alla scarsità di tempo per i vari impegni lavorativi e non, sia alla distanza nel linguaggio e nelle aspettative, che porta alla mancanza di confi denza.Anche noi abbiamo sommessamente fatto presente che i tentativi di mamma e papà di stabilire una qualche comunicazione con loro il più delle volte sembrano naufragare in mezze risposte, alzate di spalle, a volte reazioni più rumorose.Continuando nel dialogo, ci è sembrato di capire che il bisogno di comunicare con i genitori è in realtà molto vivo nei ragazzi, che preferiscono comunque ricevere da noi segnali di interessamento, piuttosto che silenzi che scavano distanze pericolose.Abbiamo capito una volta di più l’importanza di mantenere attivi, anche se apparentemente a singhiozzo, i canali di trasmissione con i nostri fi gli giovanissimi, per prevenire comportamenti gravi, come il bullismo (esercitato o subìto, a volte silenziosamente) o lo sprofondamento nell’isolamento in Internet, per non parlare delle diffi coltà di dialogo nelle famiglie in cui i genitori sono separati.Conclusione: non smettiamo di far sentire la nostra presenza accanto ai ragazzi, mettendo in conto l’apparente fallimento dei nostri sforzi, senza demoralizzarci, con il coraggio di reinventarci giorno per giorno, consapevoli che in fondo è proprio questo che anche i fi gli si aspettano.

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di Letizia Grita MagriVITA IN FAMIGLIA

L’assenza dei genitori

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Le spugne marine con i loro fi lamenti sanno creare delle fi bre di vetro che trasmettono la luce in maniera più effi ciente rispetto alle nostre fi bre ottiche. Sono resistenti,

fl essibili, chimicamente poco complesse e quindi riproducibili, con notevole riduzione dell’impatto ambientale. I ricci di mare sono ottimi spazzini. Mettono in atto un’azione di pulizia naturale dell’ambiente circostante con riduzione di sprechi e inquinamento. Un giovane ricercatore di Lavagna (Ge) ne studia e ne cura un allevamento. Dalle alghe marine poi è possibile ricavare 40 tonnellate a ettaro di biofuel, un carburante ottenuto da materie biologiche. Questi sono solo alcuni esempi della nuova frontiera dell’economia: l’acqua. La blue economy, teorizzata dall’economista e imprenditore belga Gunter Pauli, ha incontrato il favore di non poche aziende che hanno deciso di investire nel settore: Pauli parla di 100 milioni di nuovi posti di lavoro. La trentina Aquafi l si inserisce in questa fi liera: ricicla infatti il nylon delle reti da pesca e ne produce di nuovo, evitando che ne fi niscano in discarica fi no a quattro milioni di tonnellate all’anno. Tenendo conto che tre quarti del nostro pianeta è ricoperto d’acqua, si prospettano ottimi affari senza depredare l’ambiente.

Maddalena Maltese

I n n o v a z i o n e

Economiain blue

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NUOVI POSTI DI LAVORO CON ALGHE, RICCI, SPUGNE MARINE

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Pochi giorni fa con alcuni amici ho distribuito cibo e vestiario a un gruppo di persone (quelle ri-maste vive) dopo l’alluvione di quest’estate alle porte di Mae

Sot, una cittadina a nord della Thai-landia, nella provincia di Tak. È sta-to commovente vedere che chi aveva perso tutto ed era rimasto con i soli vestiti che aveva addosso al passag-gio dell’acqua, con grande dignità e pace ha aspettato il proprio turno per scegliere e prendere qualcosa, preoc-cupandosi che anche gli altri avesse-ro già preso qualcosa tra i vestiti che avevamo portato, dono dei nostri ami-ci buddhisti e cristiani di Bangkok.

L’espressione usata da papa Fran-cesco – «carne di Cristo» – ha co-minciato a risuonare come un mo-nito nella mia testa: «Quella roba appartiene a loro, non è vostra… Quei conventi vuoti non sono per far soldi come alberghi, ma appar-tengono alle membra di Cristo…».

Chi mai raccoglierà il pianto di questa gente? Quella mamma il cui bimbo è stato travolto e spazzato via dall’acqua del torrente ed è sparito nel nulla: chi raccoglierà il suo do-lore? Chi asciugherà le sue lacrime? E dell’altra mamma che si è vista falciare le sue due bambine dall’auto

di una scuola? Nessuno l’ha risarci-ta in alcun modo, nemmeno con un centesimo né una parola di conforto; neanche i cani sono trattati così, al-meno in Thailandia! Già, qui se sei di etnia karen vali ancora meno di un cane; t’ammazzano e ti lasciano lì, per strada, incustodito.

LA CARNEDI CRISTOA MAE SOT

VIAGGIO TRA I PIÙ POVERI DEI POVERI A NORD DELLA THAILANDIA

A t t u a l i t à DOPO L’ALLUVIONEdi Luigi Butori corrispondente

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Quello che portiamo avanti è un progetto che dura da molti anni: l’a-iuto ai più poveri dei poveri, a quel-li che non hanno né casa, né uno straccio di documento e tantomeno una paga minima giornaliera pur la-vorando; a coloro che abitano vicino ai rigagnoli in modo da poter lavare i panni e magari potervi pescare an-che qualche pescetto; a coloro che quando arrivano in una misera cli-nica abusiva si trovano la polizia ad aspettarli. Questi sono i miei, i nostri amici: voglio che sia la mia gente!

Siamo andati in un paio di posti, davvero “di fortuna”. C’è fango, un caldo opprimente e manca l’aria: non si smette mai di sudare. Intorno spaz-zatura, capanne di paglia, pochi strac-ci appesi e due bagni pubblici. Due anni fa abbiamo dato 150 euro per la loro costruzione. Questo è davvero un lusso. A questa gente abbiamo portato generi di prima necessità come pesce in scatola, vestiti usati, latte, olio per cucinare, riso, sale, detersivo. Uno di loro ha commentato: «Oggi per noi è una festa!». Ad un tratto m’è venuto dal cuore dire a tutti di dividere tra loro quanto avevano ricevuto, di aiu-tarsi: «Non saremo sempre qui con voi, e non potremo venire spesso a

portarvi da mangiare. Ma ricordatevi questa frase: “Date e vi sarà dato”». Dapprima la gente mi guarda con oc-chi sospetti che, poi, s’illuminano len-tamente. Davvero il Vangelo è com-prensibile da ogni uomo, di qualsiasi razza o religione. Chi avevo davanti non era cristiano: era un uomo e ha sorriso perché ha capito!

L’ultima tappa di questo viaggio è stata la visita al campo profughi di Mae La, a un passo dal confi ne con il Myanmar. Potevamo muoverci in una area limitata: quella della chie-setta cattolica. Anche qui, quanta miseria, quanta sofferenza!

Ho incontrato alcuni scolari ka-ren che aiutiamo ormai da tempo. Mae La è piena di bambini karen: grassocci alcuni, con una pelle color ocra data da una crema naturale, ri-cavata macinando i rami di un albe-ro: si chiama thanaka.

Anche qui a Mae La siamo riusci-ti a donare cibo e vestiti provenienti dagli amici della capitale. La distri-buzione sembra una festa, soprattutto quando appare qualche vestito dav-vero carino, magari koreano: tutti ri-dono e poi lo danno alla più povera. Prendo il microfono e dico: «Io, noi, non non possiamo fare la moltipli-cazione delle scatolette di pesce, né tantomeno dei jeans o delle magliet-te, ma possiamo pregare insieme che Dio ci aiuti a condividere tutto quan-to riceviamo e che ci amiamo come fratelli di un’unica famiglia». E così è stato: il miracolo c’è stato davvero e la gente s’è messa a scambiarsi e do-narsi quanto aveva ricevuto. Anche i karen poi ci hanno riamato: un pran-zo davvero buono, penso con il me-glio che avevano trovato in giro. Uno di noi faceva il compleanno e festeg-giarlo in un campo profughi davvero non è da tutti!

Ormai siamo sulla strada del ritor-no: il primo tratto di viaggio, circa 60 kilometri, l’ho percorso sdraiato sul vano bagagli del camioncino pick up,guardando il cielo… dentro di me. Sopra di me, infatti, avevo un azzurro telo di plastica che mi riparava dal-la pioggia, ma contemplavo in me la gioia infi nita che si prova nell’amare.

La vita continua. Nel mio cuore i volti di quella gente: li rivedrò anco-ra? E il bimbo down con la magliet-tina verde: sua madre avrà del cibo stasera? E domani avrà il latte? Dio, non far piovere troppo su quelle teste stanotte, fai piovere su di me piutto-sto! Domani stesso manderò cibo, poi altro ancora la settimana prossima; vorrei scatenare una “guerra santa del cibo” per sfamare tutta questa gente. Finché mi darai vita, Signore, dammi la grazia di spenderla amando. T’assi-curo che hai ragione tu: c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Posso chie-derti qualcosa: dammi la gioia di da-re cosa ti manca in quei miei fratelli. Perché quella è la mia gente!

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Profughi sfollati senza tetto e senza documenti che vivono nei campi a ridosso dei rigagnoli.A fronte: il nostro corrispondente, Luigi Butori, al campo profughi di Mae Sot.

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Il principe del giornalismo ita-liano. Così lo ha defi nito Indro Montanelli, altra stella di prima grandezza nel fi rmamento della carta stampata di casa nostra. Lo

scorso 21 settembre, Sergio Zavo-li, ora senatore della Repubblica, ha felicemente tagliato il traguardo dei novant’anni e per l’occasione la sua Rai, con affetto e gratitudine, l’ha vo-luto festeggiare nella storica sede di viale Mazzini. Alla presenza di Gior-gio Napolitano, si è stretta attorno a lui una scelta e qualifi cata rappresen-tanza del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo.

È stata la prima volta di un capo dello Stato alla Rai, quasi a sottoli-neare, con l’omaggio reso a Zavoli, la strategica rilevanza del servizio pubblico radiotelevisivo nella con-fi gurazione e nella crescita civile e democratica della società italiana, e insieme il ruolo di primo piano in ciò svolto da Zavoli. Tanto da risul-tare pressoché impossibile ripercor-rere la storia della Rai senza far rife-rimento alla sua straordinaria fi gura e alla sua instancabile opera: dal mi-tico Processo alla tappa all’insupe-rata La notte della Repubblica.

Conosco Zavoli da quando, una ventina d’anni or sono, partecipai a una delle puntate di Credere non cre-dere, in onda in prima serata su Ra-iuno. Si parlò, con vivacità, del rap-porto tra fede e ragione. Non si è più interrotto, da quel momento, il fi lo del dialogo che Zavoli ha voluto pro-seguire con l’instancabile curiosità e l’inesauribile desiderio d’attingere insieme, per quanto possibile, l’espe-rienza di una verità che, essendo do-nata per grazia, corrisponde al tem-po stesso, con nostro grato stupore, a ciò che più intimamente ci muove a ricercare e a costruire. Non scrive Agostino, che Zavoli considera in ciò, senza confessionalismi di sorta, esempio e guida impareggiabile: «È perché è nascosto che si deve cercare

DARE LA PAROLAAGLI ALTRI

I 90 ANNI DI SERGIO ZAVOLI, UNA LUNGA ESISTENZA DEDICATA AL GIORNALISMO E ALLA RICERCA DI «CIÒ CHE DEVE ESSERE TROVATO»

A t t u a l i t à PERSONAGGIdi Piero Coda

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ciò che dev’essere trovato, ed è per-ché è immenso che si deve cercare ancora ciò che già si è trovato»? Ne è venuto, tra l’altro, nel 2000, il vo-lume a quattro mani Se Dio c’è, pub-blicato da Rai-Mondadori e da anni domiciliato nella collana degli Oscar.

Fu da questa frequentazione che nacque spontanea l’idea di un in-contro con Chiara Lubich. Entrambi, Zavoli e Chiara, ne uscirono tocca-ti e da allora non furono poche, né di piccolo peso, le occasioni in cui le loro strade si sono incrociate. Co-sì nella cerimonia del conferimento della cittadinanza onoraria di Rimini a Chiara, quando il discorso uffi ciale fu tenuto da Zavoli che, con l’ami-co di sempre, Federico Fellini, da Rimini era partito alla volta di Ro-ma nell’immediato dopoguerra, con il cuore e la mente aperti al grande sogno della ricostruzione d’Italia. Altrettanto, e ancor più memorabile, non foss’altro che a motivo dell’eco internazionale conosciuta dall’even-to, il dialogo tra Zavoli e Chiara al Teatro Quirino di Roma, nel 2001, in occasione della presentazione del loro La dottrina spirituale, che rac-coglie scritti e conversazioni della fondatrice dei Focolari.

Ma tanti altri, nel corso di que-sti decenni, sono stati i protagonisti dell’avventura spirituale e scientifi -ca, sociale e artistica, storica e poli-tica del nostro tempo cui Zavoli ha dato parola: da Paolo VI ad Albert Schweitzer, da Madre Teresa a Wer-nher von Braun, dall’Abbé Pierre a Jean Rostand. Sì, perché «dare la parola all’altro» è stato ed è, per Za-

voli, l’obiettivo inteso, il principio etico perseguito, l’arte dispiegata del fare giornalismo. Con lo sguar-do sempre in avanti e oltre, come si evince dai suoi bellissimi saggi, per-vasi da sincero affl ato e non di rado da lungimirante slancio profetico, e ancor più, forse, dai versi nitidi e vi-sionari delle sue poesie. «La chiave del rapporto con Dio – così si con-chiude il suo La questione (2007) –,

cioè la scelta di illuminarne l’imma-gine o di oscurarla, è nella condotta dell’uomo, non fuori di lui. Non c’è eclissi di Dio se non nella coscienza umana. Né può esservi, neppure co-me metafora, un’eclissi della Storia, ma soltanto dell’uomo nella Storia, quando per ignavia, stanchezza o delusione si illudesse di potersene separare con il silenzio sul passato e la rinuncia ad agire per il futuro».

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Due momenti della lunga vita di Zavoli: con Chiara Lubich, al Teatro Quirino nel 2001 (sopra), e, qui accanto, al Senato, dove è stato eletto nello stesso anno.

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A t t u a l i t àSOLIDARIETÀa cura di Tomaso Comazzi

Città Nuova - n. 20 - 2013 34

BasilicataLotta al caporalatoÈ l’isolamento uno dei maggiori fattori che alimentano il caporalato, lo sfruttamento dei migranti africani nei terreni agricoli del Meridione. Per questo, una rete di associazioni e cittadini di Boreano (Pz) ha rimesso in funzione vecchie biciclette e le ha donate ai migranti per facilitarne gli spostamenti. Hanno anche avviato corsi di italiano ed è persino stato necessario chiedere sedie ai comuni vicini per permettere a tutti di seguire le lezioni. Fonte: www.osservatoriomigrantibasilicata.it

Ringraziamenti e segnalazioniRingraziamo tutti i lettori e quanti hanno contribuito generosamente con le loro of-ferte a soccorrere chi soffre; a sua volta chi è stato aiutato sentitamente ringrazia. Inoltre segnaliamo brevemente alcuni ca-si di persone che si rivolgono a noi nella speranza di ottenere un sollievo.

Debiti per accudire il padre«Per assistere mio padre nell’ultima sua malattia, ho dovuto interrompere il mio lavoro di collaboratrice domestica. Sen-za stipendio per alcuni mesi, mi trovo ora con un sacco di debiti per affi tto arretra-to e bollette valide. Non ho altri parenti che mi aiutino, sono angosciata e non so dove sbattere la testa in questo momen-to così diffi cile…».

Lettera fi rmata - Abruzzo

Abbandonata con due bambine«Mamma con due bambine, abbandonata dal marito, è rimasta senza alcun reddito».

Lettera fi rmata

Sfratto, debiti e malattie«Sono una famiglia di tre persone: dopo lo sfratto sono rimasti senza dimora, con debiti e malattie».

Lettera fi rmata

Ha solo di che pagare l’affi tto«Anziano, usufruisce di una pensione mi-nima appena suffi ciente per pagare l’af-fi tto; per il resto deve arrangiarsi».

Lettera fi rmata

Senza fi ssa dimoraTuristi a Berlino A Berlino vivono diecimila senza fi ssa dimora. Grazie al progetto “Querstadtein” molti di essi offrono visite turistiche... dal loro punto di vista. È così possibile scoprire quali parchi ospitano le panchine più comode, quali quartieri offrono le migliori opportunità di sopravvivenza, o semplicemente le loro storie e le ragioni di una tale scelta. Un’occasione per una visita originale e alternativa, ma anche per i senzatetto, che possono così raccontarsi e mettersi in gioco. Fonte: www.nienteansia.it/forum

MessicoLa casa del migranteSono migliaia i migranti centramericani che ogni anno attraversano lo Stato messicano di Chiapas per raggiungere l’America settentrionale. Per dare loro assistenza nel 2004 è nata la casa del migrante “Hogar de la Misericordia”. Gestito dalla pastorale cittadina, il centro offre ai migranti pasti caldi, cure mediche, assistenza legale e spirituale. Per info: www.migrantes.webgarden.es

Guardiamociattorno

Gli aiuti per gli appelli di Guardiamoci attornopossono essere inviati a:Città Nuova via Pieve Torina n. 5500156 Roma - c.c.p. n. 34452003.

Le richieste di aiuto si accettano solo se con-validate da un sacerdote. Verranno pubblica-te comunque a nostra discrezione e nei limiti dello spazio disponibile.

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STORIEAPPROFONDIMENTI

ATTUALITÀ

CONTATTACIper abbonamenti o copie [email protected] - www.cittanuova.it06.96522.231/233/245

I titoli del 2014 Cercando amore (Emanuela Megli) Klaus Hemmerle (Viviana De Marco) Fiabe di scienza (Luca Fiorani) La coppia nella Bibbia (Michele Genisio) Social media (Matteo Girardi) Invecchiare in forma (Valter Giantin)

Amici miei di strada (Oreste Paliotti) Alzheimer (Tamara Pastorelli) Dire amore senza parole (Barbara e Paolo Rovea) Sterilità (Daniela Notarfonso) Sorelle (Elena Granata) Scontro generazionale (Raimondo Scotto)

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Per farti scoprire tutto il bene sommerso

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Perchè la morte di una persona cara?

non c’è piùdi Emanuela Megli

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Avevo conosciuto Fabienne quando da bambina frequentava l’asilo in cui insegnavo ed era rimasta impressa nella mia memoria per la sua grande vivacità. Dopo ci eravamo perse di vista: lei era cresciuta, si era sposata e per il lavoro

di suo marito aveva vissuto anche in altri continenti. Ci siamo riviste quando, tornata in Svizzera, abitava a Losanna ed aveva già quattro bambini fra gli otto e i due anni. A distanza di anni, ho ritrovato una persona delicata, fi ne, sensibile, impegnata come me a percorrere la strada della fratellanza universale: non più maestra e allieva, ma due sorelle unite nello stesso ideale di vita evangelica.Il dialogo con lei va subito all’essenziale. Con semplicità mi racconta cosa le è capitato di vivere ultimamente: «Sai, ho passato un brutto periodo in cui ho molto sofferto a causa di una sentenza del tribunale che mi sembrava ingiusta e che minacciava la nostra situazione familiare. Mi sono molto preoccupata e un giorno sono andata in chiesa con i miei bambini per affi dare ogni cosa a Dio. Anche se i bambini non erano tranquilli, sono riuscita a raccogliermi e a ritrovare la fi ducia nel suo amore di Padre che sa tutto. Era come se mi dicesse: “Solo da me puoi trovare la vera giustizia”. Con una nuova pace interiore sono uscita dalla chiesa. Pioveva. Eravamo quasi arrivati a casa, quando, per strada, una signora con un sacco da montagna sulle spalle e una piccola valigia mi ha fermata, chiedendomi se i bambini erano tutti miei. Abbiamo incominciato a parlare e, vedendola vestita in quel modo, le ho chiesto se era di ritorno da un viaggio. “No – ha risposto –, io non ho una casa. Di giorno vado da un luogo all’altro e di notte per lo più dormo nelle toilette pubbliche…”. «Questa sua confi denza mi ha toccata. All’idea che anche in quella notte piovigginosa non aveva un rifugio, mi son sentita subito spinta ad invitarla da noi, anche se avevo un po’ di timore. Ma come potevo fare altrimenti, dal momento che in chiesa avevo appena detto a Gesù che volevo amarlo in ogni prossimo? I bambini erano tutti contenti. Mentre Cristiane faceva la doccia, ho preparato la cena e intanto mi chiedevo come avrebbe reagito mio marito di ritorno dal lavoro. Avevo preso una decisione senza consultarlo, ma ho affi dato anche questa preoccupazione al Padre affi nché lo preparasse ad accettarla bene.

D a l v i v o INCONTRIdi Maria Pia Di Giacomo

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D a l v i v o

L’ospite di una notte«Di fronte alla sua vita così dura la mia sofferenza per il torto subito impallidiva»

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«Ed eccolo arrivare a casa stanco, dopo una settimana di lavoro, proprio mentre la signora usciva dal bagno. Gli ho presentato Cristiane così come avrei voluto essere presentata io stessa e ci siamo seduti a tavola. Mentre la nostra ospite ci raccontava la sua dura vita, di fronte alla quale la mia sofferenza per il torto subìto impallidiva sempre di più, sentivo nascere in me il desiderio di colmarla di tutto ciò che era possibile per restituirle un po’ di quella giustizia di cui era stata privata.«Ci siamo poi augurati una buona notte e il giorno dopo Cristiane ci ha detto di aver dormito così bene come quando da piccola era dalla nonna. Volevamo che restasse ancora da noi per il weekend, ma lei preferiva ripartire per non abituarsi ad una vita confortevole, al

caldo, altrimenti dopo sarebbe stato più duro per lei. Prima però abbiamo fatto colazione insieme ai bambini e poi abbiamo cercato ciò che poteva servirle: scarpe, t-shirts, e qualcosa da mangiare. Non riuscivo più a frenare i miei fi gli dal desiderio di riempirla dei loro piccoli doni: per loro tutto era così naturale! Cristiane aveva le lacrime agli occhi e li ha abbracciati ad uno ad uno. Mio marito ha aperto il portafoglio e le ha dato tutto ciò che c’era dentro, mentre io le ripetevo che sarebbe stata sempre la benvenuta da noi. L’ho abbracciata e sono rimasta con grande gioia in cuore per essere riuscita a volerle bene come ad una cara amica». Nel salutare Fabienne anch’io mi sono sentita ripiena della sua gioia comunicativa.

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Moldova Recandomi da Chi inau verso la Transnistria – era il mese di ottobre 2009 –, ho avuto occasione di conversare con un’amica dei Focolari, Galina, assistente sociale. Mi ha incantato per la coscienza della gravità della

situazione economica e sociale locale, ma anche della speranza che nasce dal desiderio di coesione del Paese. «Nel mio lavoro – mi aveva detto –, incontro un’in nità di situazioni drammatiche. Cerco di non giudicare nessuno, anche se forse ne avrei i motivi, perché mi sostiene il ricordo di Chiara che ci diceva di non notare

quello che non va, ma di risvegliare nelle persone la creatività, la capacità di ribaltare situazioni dif cili mettendo amore là dove non c’è. M’è capito anche l’altro giorno: una donna non riusciva a capire come portare avanti i suoi due gli, abbandonata com’era dal marito e senza lavoro. Dandole coraggio, ha trovato lavoro e già in poche ore ha ripulito casa e ha rivestito i bambini».

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Emergenzanel pollaio

In che modo l’eredità di Chiara Esempi raccolti in viaggio

Mons. Anton Cosa è il vescovo della Moldova: «Sono diventato sacerdote per l’Ideale.

PAROLA VISSUTA NEL VICINO ORIENTEa cura di Oreste Paliotti

Non è la prima volta che su queste colonne scriviamo di Vittoria Salizzoni detta Aletta, tra le prime ragazze a seguire Chiara Lubich nella sua avventura spirituale, a Trento. Questa volta l’occasione ci è data dalla recente pubblicazione di un suo libro autobiogra co

(edito da CNx) – Aletta racconta… – nel quale questa quasi novantenne trentina di Martignano rievoca gli inizi e sviluppi del Movimento dei Focolari vissuti accanto a Chiara. Parte di questo documento di vita dallo stile semplice e spontaneo riguarda il periodo in cui Aletta fu il collegamento, a Istanbul, tra Chiara e il patriarca ecumenico Athenagoras I, nella cornice degli importanti

25 anni piantando semi di pace

GLI ANNI “EROICI”DELLA DIFFUSIONE DEI FOCOLARI NEL BACINO MEDITERRANEOE NEI PAESI ARABI NARRATIDA VITTORIA SALIZZONI UNA DELLE PRIME COMPAGNE DI CHIARA LUBICH

D a l v i v o

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rapporti ecumenici intrattenuti da entrambi per cinque anni a partire dal 1967. Istanbul però è solo la prima tappa di un itinerario che per un quarto di secolo porterà Aletta a viaggiare in lungo e in largo nei Paesi del Vicino Oriente per dare impulso, con altre focolarine e focolarini, al Movimento in quelle zone. Ed è proprio su questo periodo d’intensa, feconda attività, ricca di episodi avventurosi e drammatici, che si concentrano le mie domande.

Aletta, comincia a raccontarci di quegli inizi in Turchia… «Inizi da pionieri. Eravamo solo in tre: le due focolarine Agape e Meta, con me; non sapevamo da dove incominciare. Era il nostro primo impatto con l’Islam, un universo completamente ignoto, che ci risultava incomprensibile. Non eravamo preparate, non sapevamo il turco, i cristiani erano tollerati. Cosa fare, date le circostanze? Studiare la lingua fu il primo nostro atto per amare il popolo turco. E poi, cercare di vivere bene la volontà di Dio di ogni momento, amando chiunque, a partire dai nostri vicini di casa musulmani o pregando per tutti quelli che incontravamo per strada: “Nessuno deve passarci accanto invano”, ci ripetevamo, in modo da testimoniare anche nel silenzio il nostro essere Chiesa. Ci sentivamo così un pezzetto di Chiesa viva.Ogni tre mesi eravamo costrette a uscire dalla Turchia perché, non avendo un permesso di lavoro, risultavamo come turiste. Quando rientravamo, ottenevamo sul passaporto un timbro che equivaleva a un nuovo permesso di soggiorno per altri tre mesi».

Cosa facevate una volta uscite dalla Turchia? «Ci recavamo a trovare quanti ci avevano conosciuto o avevano sentito parlare del Movimento in Medio Oriente, in qualunque posto si trovassero: Grecia, Cipro, Siria, Libano… Dopo il nostro passaggio, rimaneva un piccolo gruppo di persone che viveva la spiritualità».

In quei viaggi, immagino, eravate piuttosto allo sbaraglio… «Proprio così! Quando, ad esempio, dovevamo recarci in Libano, attraversavamo in auto tutta la Turchia con sosta in Siria, dormendo nei motel, benché donne e sole: per certuni non era prudente per noi, anche giovani, attraversare da sole tutta l’Anatolia, regione di montagne, deserti e piccoli villaggi. Ricordo tanti incidenti su quella strada (spesso gli autisti dei pullman o dei camion guidavano in maniera spericolata), ma noi ne fummo sempre preservate. E anche dal Libano in guerra continuammo a spostarci nei Paesi dell’area mediorientale per mantenere i contatti con i nostri. Si partiva e si arrivava quando le bombe lo permettevano ed era possibile far scorta di benzina».

Il Libano… Ha quasi del miracoloso il fi orire del Movimento tra le diffi coltà di quella guerra iniziata nel 1975 e durata ben quindici anni…«Dopo la morte del patriarca Athenagoras, nel luglio 1972, da Istanbul ci eravamo trasferite in Libano, dove già esisteva un focolare maschile e la comunità si faceva sempre più vivace. Conseguenza del con itto fu che molti dei nostri cominciarono a sfollare ad Aïn Aar, un piccolo centro in montagna, a nord di Beirut, trovando rifugio presso una struttura di rieducazione, specializzata per bambini e giovani sordi o con problemi di apprendimento. La vasta casa-scuola di Janine Safa e Souad Ballita, due coraggiose donne libanesi, contribuì non poco al sorgere di una cittadella dei Focolari ad Aïn Aar, costituendone il primo nucleo.

1988: Vittoria Salizzoni con una famiglia algerina. Accanto: sul Monte Nebo, con un gruppo della comunità giordana, 1999. A fronte: scorcio di Istanbul, anni Sessanta.

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«I semplici incontri attorno alla Parola del Vangelo si rivelarono la sola azione possibile e la più adatta a dar forza e orientamento agli sfollati come una bussola nel mare in tempesta. Si andò così formando una comunità che ricordava quelle dei primi cristiani».

Momenti di smarrimento ci furono?«Di sicuro. Tanti non riuscirono a farcela e fuggirono dal Libano, a causa delle sofferenze subìte. Molta gente cadde vittima della depressione… Passarono gli anni. Le riprese frequenti delle ostilità facevano saltare all’aria buona parte dei nostri programmi e delle attività. Ma non impedirono nel 1978 una Mariapoli con più di settecento partecipanti e nel 1981 un’altra riunione con circa ottocento persone arrivate da lontano, da città assediate o attraverso strade appena riaperte. Af nati dalla sofferenza, ci ritrovammo più radicati in Dio e più capaci di comunicare profondamente tra noi. Come ai primi albori a Trento, l’Ideale dell’unità si dimostrava più forte della guerra».

E poi in Terra Santa…«Sì, per desiderio di Chiara si volle cominciare il dialogo interreligioso anche con gli ebrei e fu aperto un focolare femminile a Gerusalemme nel 1977, dapprima nella parte araba cristiana della Città Santa, ma ben presto anche nella parte ebraica. Il Movimento iniziò tra i cristiani palestinesi, una minoranza nella popolazione. Nel 1980 arrivarono anche i focolarini».

Quale altra terra t’è sembrata particolarmente pronta a ricevere il carisma dell’unità?«Senz’altro l’Egitto, dove le massime autorità delle Chiese presenti al Cairo erano favorevoli, molti ci chiedevano di continuare i contatti e molti erano i giovani ben disposti a conoscerci. E nel gennaio 1981, nel quartiere popoloso di Shoubra, le suore del Buon Pastore ci misero a disposizione un appartamento dismesso, con annesso un dispensario. Ricordo con riconoscenza quelle religiose, perché la loro casa

fu come un’oasi che circondava e proteggeva il nostro primo focolare in quella metropoli che non conoscevamo».

In Algeria, dove i focolarini erano presenti fi n dal 1966, è stato fruttuoso il dialogo con l’Islam…«Questo perché, liberi da pregiudizi, con le persone con cui instauravamo un rapporto profondo, ci sentivamo fratelli desiderosi di andare a Dio insieme, ognuno fedele alla propria religione. Per l’attenzione all’altro e l’ospitalità, la concretezza nell’amare e il forte sostegno reciproco in famiglia, i popoli arabi sono quasi naturalmente predisposti ad accogliere la spiritualità dell’unità. In genere non vedevano nel Movimento un’iniziativa occidentale. Noi annunciavamo l’amore, e di ciò rimanevano appagati. Solo l’amore ha portato nel Maghreb il frutto della presenza anche di membri musulmani del Movimento, del resto contemplata nei nostri Statuti. Così in maniera discreta, ma rapida, ci siamo diffusi in tutto il Medio Oriente tra musulmani, ebrei e cristiani di vari riti e denominazioni».

Dal 1967 fi no al 1990 hai vissuto e viaggiato nei Paesi del bacino mediterraneo. Come sintetizzeresti la tua esperienza di quegli anni?«Spesso ero malata e, a causa della poca salute, a volte non mi sentivo all’altezza delle situazioni, senza nessun talento organizzativo e in circostanze veramente dif cili da affrontare, se non ci fosse stata la protezione del Cielo. Ma Dio sceglie i deboli proprio perché sia evidente il suo operare».

a cura di Oreste Paliotti

Istanbul, marzo 1971: Vittoria Salizzoni con Chiara Lubich e il patriarca ecumenico Athenagoras I.

Da l v iv o 25 ANNI PIANTANDO SEMI DI PACE

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Noi vogliamo la pace fra gli uomini, la pace sica per gli affamati di pane e di lavoro, per i sofferenti, per i perseguitati, i profughi, i senza tetto; per i genitori in ambascia, per gli orfani. Pace fra i popoli, fra i governi, fra i soldati di tutto il mondo, pace fra gli avversari, pace e non pianto, non tortura, non percossa, non

preoccupazione. Pace per il corpo di ogni uomo: pace passiva.Ma chi può reggere di fronte al dolore che ti è prossimo? Chi non sente vivo, forte, obbligatorio consolare il dolore, sfamare l’affamato, consolare l’af itto, sostenere la vedova, istruire l’indotto, curare l’ammalato? La pace attiva non è che il maturare della pace. (…) La pace si alimenta, nel suo perfetto orire, di amore: produce amore (…); l’amore a Dio, l’amore all’uomo. Questo è il codice etico della pace (…). Non ucciderai l’uomo d’un altro popolo, d’un altro partito, d’un’altra razza, d’un’altra religione. Non mentirai circa la verità in te, circa la verità in sé stessa, circa la Verità Dio. Non ruberai ricchezze e beni altrui, non ruberai l’innocenza e la pace, non ruberai il territorio nazionale altrui, la libertà altrui, il diritto alla vita, il diritto al lavoro, all’istruzione,

il diritto alla sapienza, alla fede, il diritto d’amare. Non adultererai, nel gioco degli istinti, il rispetto dovuto alle creature come a te stesso, non consentirai alla cupidigia di devastare l’amore umano. (…)La pace è rigorosa e non molle, semplice e non astuta, profonda, sincera, impegnativa come la libertà. Puoi scriverne il vocabolo sulla carta e coprirlo di molte parole, ma l’anima e la storia te la chiedono oggi così come sarà giudicata domani, seria e solenne nei suoi effetti vitali, poiché la pace è la vita, non la pace-morte. Né la pace può dichiararsi soggettiva, ma la pace ricade su me stesso soltanto dopo: quando avrò fatto pace con gli altri, data la pace agli altri, amata e promossa la pace negli altri. (…)La pace richiede, prima che il dono delle armi deposte, il dono dell’anima; (…) è dono scambievole, chi lo porge ne riceve il centuplo, chi l’afferma sinceramente si apre la via verso la verità. (…)Non barattate la pace con il silenzio sul dolore dell’uomo ovunque esso esista. Fate la pace, ma non misconoscete la

realtà e con essa la verità. Fate la pace, ma dalla parte del perseguitato, non del persecutore.

Da: “Distensione sì no” in Città Nuova n. 5/1960. L’autore (1909-1964) è stato tra i fondatori della Dc bresciana. Membro dell’Assemblea costituente nel 1948, fu rieletto nella prima, seconda e terza legislatura, tra i primi uomini politici ad aderire alla spiritualità dei Focolari.

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S p i r i t u a l i t àVERSO L’UNITÀdi Enrico Roselli

La pace richiede, prima che il dono delle armi deposte, il dono dell’anima

Il codice etico di una pace attiva

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Concreto ed essenziale questo programma di vita. Basterebbe da solo a creare una società diversa, più fraterna, più solidale. Esso è tratto da un ampio progetto proposto ai cristiani dell’Asia Minore. In quelle comunità si è raggiunta la “pace”

tra giudei e gentili, i due popoli rappresentanti dell’umanità fi no ad allora divisi.L’unità, donata da Cristo, va sempre ravvivata e tradotta in concreti comportamenti sociali interamente ispirati dall’amore reciproco. Da qui le indicazioni su come impostare i nostri rapporti:

«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo»

Benevolenza: volere il bene dell’altro. È “farsi uno” con lui, accostarlo essendo vuoti completamente di noi stessi, dei nostri interessi, delle nostre idee, dei tanti preconcetti che ci annebbiano lo sguardo, per addossarci i suoi pesi, le sue necessità, le sue sofferenze, per condividere le sue gioie.È entrare nel cuore di quanti accostiamo per capire la loro mentalità, la loro cultura, le loro tradizioni e farle, in certo modo, nostre; per capire veramente quello di cui hanno bisogno e saper cogliere quei valori che Dio ha disseminato nel cuore di ogni

persona. In una parola: vivere per chi ci sta accanto.Misericordia: accogliere l’altro così come è, non come vorremmo che fosse, con un carattere diverso, con le nostre stesse idee politiche, le nostre convinzioni religiose, e senza quei difetti o quei modi di fare che tanto ci urtano. No, occorre dilatare il cuore e renderlo capace di accogliere tutti nella loro diversità, nei loro limiti e miserie.Perdono: vedere l’altro sempre nuovo. Anche nelle convivenze più belle e serene, in famiglia, a scuola, sul lavoro, non mancano mai momenti di attrito, divergenze, scontri. Si arriva a togliersi la parola, ad evitare di incontrarsi, per non parlare di quando si radica in cuore l’odio vero e proprio verso chi non la pensa come noi. L’impegno forte ed esigente è cercare di vedere ogni giorno il fratello e la sorella come fossero nuovi, nuovissimi, non ricordandoci affatto delle offese ricevute, ma tutto coprendo con l’amore, con un’amnistia completa del nostro cuore, ad imitazione di Dio che perdona e dimentica.La pace vera poi e l’unità giungono quando benevolenza, misericordia e perdono vengono vissuti non solo da singole persone, ma insieme, nella reciprocità. E come in un caminetto acceso occorre di tanto in tanto scuotere la brace perché la cenere non la copra, così è necessario, di tempo in tempo, ravvivare di

NOVEMBREdi Chiara Lubich

P a r o l a d i v i t a

Più fraterni,più solidali

«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4, 32)

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proposito l’amore reciproco, ravvivare i rapporti con tutti, perché non siano ricoperti dalla cenere dell’indifferenza, dell’apatia, dell’egoismo.

«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo»

Questi atteggiamenti domandano di essere tradotti in fatti, in azioni concrete. Gesù stesso ha dimostrato cos’è l’amore quando ha sanato gli ammalati, quando ha sfamato le folle, quando ha risuscitato i morti, quando ha lavato i piedi ai discepoli. Fatti, fatti: questo è amare.Ricordo una madre di famiglia africana: aveva dovuto subire la perdita d’un occhio della propria bambina Rosangela, vittima di un ragazzino aggressivo che l’aveva ferita con una canna e continuava a farsi burla di lei. Nessuno dei genitori del ragazzo aveva chiesto scusa. Silenzio, mancanza di rapporto con quella famiglia la amareggiavano. «Consolati - diceva

Rosangela, che aveva perdonato -, sono fortunata, posso vedere con l’altro occhio!».«Una mattina – la madre di Rosangela racconta – la mamma di quel ragazzino mi manda a chiamare perché si sente male. La mia prima reazione è: “Guarda, ora viene a chiedere aiuto a me, con tanti altri vicini di casa, proprio a me dopo quello che suo fi glio ci ha fatto!”.Ma subito ricordo che l’amore non ha barriere. Corro a casa sua. Lei mi apre la porta e mi sviene tra le braccia. L’accompagno in ospedale e le sto vicino fi no a quando i medici non se ne prendono cura. Dopo una settimana, uscita dall’ospedale, viene a casa mia per ringraziarmi. L’accolgo con tutto il cuore. Sono riuscita a perdonarla. Ora il rapporto è tornato, anzi è iniziato tutto nuovo».Anche la nostra giornata può riempirsi di servizi concreti, umili e intelligenti, espressione del nostro amore. Vedremo crescere attorno a noi la fraternità e la pace.

Pubblicata su Città Nuova n. 14/2006

| Ravvivare i rapporti con tutti |

Turkmenistan, Dashoguz, mercato della frutta e verdura

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Cos’è la carità? Abbiamo verifi cato che è più facile dire cosa non è… (…) non si identifi ca con nessuna legge, con

nessun comandamento, con nessuna osservanza, anche se tutti li contiene e li compie.Non stupiamoci di tanta ignoranza (…). La prima scuola di carità – veramente, l’unica – è l’ambiente trinitario, l’ambiente divino. In Dio, amore reciproco e contemplazione sono perfettamente simultanei. (…) L’ambiente trinitario è “scuola” di contemplazione, alla sequela del Figlio eternamente rivolto verso il Padre, è proprio questa la sua forma di obbedienza: Dio che obbedisce a Dio. E il Padre stesso non è che sguardo: «Vede – vide – che tutto era buono». Cuore puro del padre che vede Dio in tutto! In tutti…L’ambiente trinitario è anche “scuola” di carità, certo, scuola di comunione, di comunicazione, di relazioni. «Il padre ama il Figlio, e gli dona lo Spirito, senza calcoli…». Quella carità non è l’unità fusionale di cui certuni sognano: ciascuno in essa resta sé stesso, nella meraviglia di una comunità di persone liberamente e totalmente accordate. Meravigliosa ricchezza di ogni nostra comunità!...

Quella carità non è nemmeno una semplice unità superfi ciale. (…) Quello che cerchiamo tra noi, nelle nostre comunità, non è a fi or di pelle, e nemmeno a fi or di cuore. Finiamo per sapere che questa realtà ci coglie nel profondo!Così è possibile la contemplazione solo là dove c’è apertura alla comunità di vita, alla comunione, all’intera famiglia umana… E c’è comunità possibile solo là dove c’è disponibilità alla contemplazione delle meraviglie di Dio nascoste in ciascuno, dei segni dell’Unico che vengono scritti sui nostri volti come altrettante differenze promesse alla comunione dei santi. Anche se è ancora necessario, per un po’ di tempo, che questo sia per noi diffi cile da vedere.

Da: Più forti dell’odio,Qiqajon, 2010. L’Autore era il priore del monastero trappista di Notre-Dame de l’Atlas in Algeria. Assieme a sei suoi confratelli venne rapito da fondamentalisti islamici il 26 marzo 1996: furono tutti sgozzati il 21 maggio seguente. Ora riposano nel piccolo cimitero di Tibhirine, vegliati dagli amici musulmani che essi non avevano voluto abbandonare negli anni più violenti della barbarie in Algeria.

E COMUNITÀdi frère Christian de Chergé

Città Nuova - n. 20 - 2013 4 4

S p i r i t u a l i t à

Ciascuno resta sé stesso nella meraviglia di una comunità di persone accordate

Alla scuola della Trinità

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50 ANNI FA SU CITTÀ NUOVAa cura di Gianfranco Restelli

Secondo il critico d’arte Pubblio Dal Soglio, è inconsistente l’affermazione di chi sostiene essere intrinsecamente profano il linguaggio dell’arte contemporanea. Esso può essere sacro, se l’artista conosce il suo mestiere e vive una vita spirituale. Pubblichiamo qui l’inizio di un suo articolo pubblicato su Città Nuova n. 20 del 25 ottobre 1963.

“Ministerium Artis” a L’Agostiniana di Roma

Varcare la soglia di una mostra d’arte comporta, ai nostri giorni, un atto di coraggio, perché nel piccolo o nel grande, nelle rassegne o nelle retrospettive, tutti suonano la tromba annunciando la terra promessa, il genio incompreso, l’ultimo grido della moda o della scoperta critica; l’ultimo grido che tanto spesso diventa il penultimo, e dopo una settimana, al massimo dopo un mese, è roba da sclerosi o da antiquariato.Con queste idee che ci giravano per la testa mentre sostavamo davanti alla scalinata di Santa Maria del Popolo, siamo entrati a vedere la rassegna d’arte sacra contemporanea che s’intitola “Ministerium Artis” e che è curata dai padri agostiniani di Roma, proprio lì accanto a quella chiesa, impegnativa quanto mai per un patrimonio di capolavori del passato. Ma ci siam ricreduti.È vero: a considerare il ridotto numero e formato dei soggetti presentati non è certo una quadriennale d’arte, L’Agostiniana; ma in compenso dà la possibilità di vedere le opere raccolte con un po’ di calma. E questo è importante, perché l’opera d’arte ha bisogno di un tempo e di una disposizione alla contemplazione di cui certo non giovano quelle estenuanti esposizioni in uso ai nostri giorni. (…)Entrati, leggiamo sul catalogo-presentazione che «questa è l’ora cristiana degli artisti. A loro è dato da Dio di tradurre la parola celeste in immagine facilmente decifrabile anche dall’umile gente che illumina l’intelletto e commuove la volontà». Noi aggiungeremmo, guardando ai soggetti esposti, non solo la parola celeste, ma anche tanta storia che quella parola ha vivifi cato e santifi cato attraverso la vita della grazia. E la mostra, specie in alcune delle opere presentate, riesce a trasmettere questo senso dei valori cristiani.Guardando, ad esempio, al piccolo San Sebastiano di Goffredo Verginelli o al suo Battesimo di Gesù, ci è venuto un gran desiderio di vederne di altrettanto belli, ma di dimensioni maggiori, nei fonti battesimali o sugli altari di tante chiese contemporanee nelle quali spesso si assiste all’incoerente convivenza di strutture architettoniche moderne, sottolineate da vivaci illuminazioni, con pale d’altare o sculture, in cui alla bellezza dell’arte è sostituita una standardizzata espressività d’effetto.

Pubblio Dal Soglio

di Elena CardinaliINVITO ALLA LETTURA

CIBO E SALUTELo confermano tutte le ricerche mediche. Un corret-to stile alimentare incide positivamente sulla nostra salute ed è più sostenibile dal punto di vista am-bientale ed energetico. Cosa mangiare? Quali cibi evitare? Paolo e Barbara Rovea offrono un utile va-demecum sull’argomento con pratici suggerimenti.

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pagg. 52-54

Per chi vuole approfondire alcuni degli argomenti di questo numero con i libri di Città Nuova

LETTERE DALLA TURCHIAL’avventura umana e spirituale straordinaria di don Andrea Santoro raccontata in prima persona ne Lettere dalla Turchia. La scoperta del popolo turco; la conoscenza del mondo musulmano con le sue luci e ombre, i suoi problemi, le sue ric-chezze spirituali; la vita delle piccole comunità cristiane. Dopo l’uccisione a Trebisonda nel 2006, le lettere ne diventano il testamento spirituale.

pag. 44

ROVESCIARE L’ANIMA DEL MONDOFrutto di un lungo percorso di letture e incontri con fi losofi , testimoni e intellettuali del nostro o di ogni tempo, Zavoli in Rovesciare l’anima del mondo si interroga sulla fede e invita a guardare al Vangelo come fonte di una speranza nuova sul futuro. Una rifl essione che lascia trasparire l’intensa e varie-gata attività intellettuale di Zavoli, espressione di un molteplice e instancabile impegno civile.

pagg. 32-33

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Si racconta che Aldo Moro, nel 1968, inaugurato lo stabilimento del’Alfa a Pomigliano d’Arco, se ne andò da solo a cammina-re tra le vie delle palazzine co-

struite, negli anni del regime, per le famiglie dei lavoratori chiamati a co-struire i potenti mezzi dell’aviazione di una guerra imminente. Quel fi ne intellettuale meridionale, icona del-la storia della Repubblica, custodiva in sé, come amava dire, il «princi-pio dell’inappagamento» verso ogni realizzazione politica, quel senso di sana inquietudine che contrassegna i cristiani nell’impegno sociale. Negli anni Settanta si agitava lo scontro tra la strategia di un’industria di Stato e la famiglia Agnelli che considerava la fabbrica del Sud come «un bastone gettato tra le gambe della Fiat».

Ad inizio ottobre del 2013, nella cittadina campana arrivano dalle tv le immagini di una guerra che miete nuove vittime nel mare di Sicilia che raccoglie centinaia di corpi di migran-ti che cercano di scappare dalla mise-ria. Le regole infl essibili di un certo modo di governare l’interdipendenza delle nazioni producono questa “ver-gogna” assieme all’impoverimento progressivo dei ceti popolari occiden-tali esposti alla disgregazione di ogni legame sociale. Lo sviluppo industria-le segna il passo, mentre la Fiat ha in-serito, da tempo, l’ex Alfa nel gioco della competizione senza fi ne della sovrapproduzione mondiale dell’auto. Pomigliano d’Arco si trova nell’e-picentro di questo sisma del «dopo Cristo», per usare l’espressione im-piegata da Sergio Marchionne, nuovo amministratore delegato della Fiat, per defi nire l’avvento della globalizzazio-ne in atto. Il controllo della divisione ex Avio della Fiat è passata, in pochi anni, da un hege fund ad un altro. Im-prese in crisi o chiuse, negozi aperti in forte diminuzione, agricoltura da rei-ventare come alternativa sostenibile. Sembra non ci sia partita tra il potere

Città Nuova - n. 20 - 2013 46

IMMAGINI DELLA «DINAMICA POPOLARE» DI UNA COMUNITÀ CRISTIANA DENTRO LA CITTÀ CAMPANA AL CENTRO DI UNA GLOBALIZZAZIONE DA GOVERNARE

CRISTOA POMIGLIANO

LEGALITÀ, FIAT E ALTRO ANCORAdi Carlo Cefaloni inviato - servizio fotografi co di Domenico Salmaso

R e p o r t a g e

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del denaro circolante nel mondo alla ricerca del massimo profi tto e le sin-gole comunità locali, incapaci di un rapporto solidale tra loro. Eppure, tra gli scossoni, si registra un sorprenden-te fattore di resistenza.

Saracinesche chiuse

Ciro Esposito, presidente dell’Ai-cast, l’associazione indipendente dei commercianti, ci accompagna a ve-dere gli effetti della crisi per le vie della città tra le troppe saracinesche destinate a restare chiuse. Sappiamo che tra operai e “bottegai” esiste una storica diffi denza reciproca; ciò no-nostante è emersa una naturale soli-darietà di alcuni negozianti, che pure non se la passano bene, nel sostenere la spesa delle famiglie operaie sempre più in diffi coltà per licenziamenti e

cassa integrazione. Anche chi ha do-vuto chiudere il negozio pagando le imposte fi nali con gli ultimi risparmi, non potendo accedere ad altre forme di ammortizzatori, continua ad andare avanti grazie al sostegno di vaste reti familiari che ancora esistono.

Questo è solo uno dei tanti ri-verberi di quel “miracolo di san Gennaro” che vede una circolarità perenne di sostegno reciproco, co-me il sangue del santo che continua a sciogliersi nella “zona rossa” del Vesuvio. Qui si comprende il tessuto fertile che nel Settecento ha genera-to il pensiero originale di quell’eco-nomia civile del campano Antonio Genovesi, che si sta riscoprendo tra le macerie mondiali del capitalismo fondato sul dogma dell’inesistenza della società e quindi del prossimo.

A pochi chilometri di distanza, a Caivano, bruciano i fuochi dei rifi u-ti tossici interrati dalle imprese del Nord con la complicità della camor-ra. Solo l’ostinazione della comu-nità parrocchiale di don Patriciello sta facendo emergere un sistema di omissioni e responsabilità a livello nazionale. Come ha affermato papa Francesco nell’intervista su Civiltà Cattolica, «nessuno si salva da solo,

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Presidente e vicepresidente nella sede dell’associazione antiracket di Pomigliano. Sotto: incontri di preparazione al parto nei locali della rettoria del Carmine; palazzine costruite negli anni Trenta per i lavoratori del polo aeronautico.

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come individuo isolato, ma Dio ci at-trae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si rea-lizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare».

Pizzo e ritorsioni

Bisogna attraversare lo spazio tra la rettoria del Carmine e la chiesa di San Felice in Pincis, nel centro sto-rico di Pomigliano, per toccare con mano questa contagiosa «dinamica popolare» dove la santità del padre e della madre di famiglia si associa, citando ancora il papa, non solo al «farsi carico degli avvenimenti e del-le circostanze della vita, ma anche alla pazienza come costanza nell’an-dare avanti, giorno per giorno». Sa-rebbe incomprensibile altrimenti Sal-vatore Cantone, quando afferma che «bisogna essere fi duciosi». Nel 2006 ha cominciato da solo, come impren-ditore, a denunciare il pizzo subendo ritorsioni di ogni genere; ma, a pochi anni di distanza, ha organizzato mar-ce della legalità dentro quartieri un tempo proibiti; distribuisce una guida con l’elenco di aziende ed esercizi che hanno detto “no” alle estorsio-ni e può srotolare, come presidente dell’associazione antiracket, l’inse-gna di apertura di un cantiere edile a Napoli libero dall’ipoteca mafi osa.

“Fiducia” viene da fi des, che si-gnifi ca anche corda che, a differenza delle catene, come afferma l’econo-mista Zamagni, anche se spezzata può essere riannodata. Di queste cor-de dicono che la piccola suor Rosetta sia capace di tesserne una trama infi -nita dentro e oltre la città (la rete dei rapporti arriva in Perù e nel Congo). Ci tiene a dire che non appartiene ad alcun convento, ma a quel diffu-so servizio da poco riscoperto nella Chiesa con riferimento alle donne del Vangelo che seguivano Gesù con radicalità. Ascolta e sa vedere le ne-

cessità che incontra, stando in mezzo alla gente, e facendo un mare di bene senza alcuna pretesa.

«La sua è una presenza terapeu-tica», afferma la psicologa Silvana Caiazzo, che, da parte sua, offre vo-lontariamente la propria attività pro-fessionale di consulenza oltre i corsi prematrimoniali. Si tratta di coprire una fascia di bisogni che il servizio pubblico non riesce a soddisfare proprio mentre avanza la precarietà sociale ed esistenziale. Talvolta, ci dice Silvana, si tratta solo di incon-trare il “dolore puro” senza poter dare risposte. Eppure, le due chiese, che costituiscono la parrocchia dif-fusa di 15 mila residenti, traboccano di vita: dalle numerose confessioni e celebrazioni alla lectio divina curata da don Pasquale Cervone, al dopo-scuola gratuito, al servizio Caritas, che dai pacchi di pasta alle bollette scadute arriva a prendersi carico con rispetto delle vicende di ognuno col-

pito da vecchie e nuove povertà, im-migrati come lavoratori rimasti sen-za reddito. La parrocchia non accetta il contributo dell’amministrazione per non ingenerare alcuna delega da parte degli enti locali richiamati, in-vece, ad affrontare autonomamente i nodi della politica sociale.

Irene 95

Lo si comprende meglio a partire dalla storia della cooperativa sociale Irene 95, nata a Pomigliano e trasfe-rita nella vicina Marigliano per biso-gno di nuovi spazi resi necessari dal-la crescita di un’esperienza nata degli

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obiettori di coscienza della Caritas regionale campana, che hanno rice-vuto la formazione da don Giuseppe Gambardella, il moderatore (una sor-ta di priore tra pari) dei tre “parroci in solido” di San Felice in Pincis.

Bisogna visitare la struttura di questa casa di accoglienza di tipo

familiare dedicata ai minori con si-tuazioni diffi cili per cogliere la bel-lezza degli spazi che si associa alla pretesa di accompagnare il recupero effettivo dei ragazzi e assicurare agli operatori un trattamento conforme al contratto collettivo. Le rette giorna-liere arrivano dallo Stato tramite gli

enti locali con ritardi di anni, dopo tante proteste inascoltate, fi no allo sciopero della fame e alla costitu-zione del movimento nazionale “Il welfare non è un lusso”. I gestori, come Fedele Salvatore, arrivano ad ipotecare la propria abitazione pur di non mettere i bambini in strada. Alla fi ne è intervenuta Banca etica, che ha fatto da garante ad un prestito popolare, permettendo la sopravvi-venza di una attività che si estende alla consulenza per le famiglie del territorio e all’attivazione di circuiti

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Scene di colloquio giornaliero con don Peppino Gambardella. Sotto: dopo-scuola nei locali della parrocchia di San Felice in Pincis; la caratteristica cupola della chiesa. A fronte:assemblea dei metalmeccanici Fiom al palazzo dell’Orologio.

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virtuosi, come la riscoperta di an-tiche attività artigianali da parte di donne altrimenti escluse dal lavoro.

“Fides”, “corda”, “fatti di Vange-lo”, come direbbe Luigi Accattoli, che non nascondono le tribolazioni e i dubbi. Tutto parte dall’annuncio di un fatto. Come ci spiegano i tanti giovani catechisti, la proposta della Parola di vita apre alla comprensio-ne della fede a partire dall’esperienza concreta. Una questione di metodo e di sostanza, proposta a tutti una volta al mese, e che sfocia nella festa del Vangelo con musiche, giochi, espe-rienze e danze che coinvolgono cen-tinaia di persone e famiglie intere.

L’originalità irriducibile di questo popolo si esprime nel canto di dolore, di lotta e di festa. Lo spiega don Mim-mo Iervolino, un musicista che non si defi nisce un cantautore, magari con il bollino “cristiano”, ma qualcuno che sente l’esigenza di comunicare la vi-ta nel solco creativo della tradizione partenopea (cfr. intervista integrale su cittanuova.it). In questo senso la par-rocchia usa tutti i social media, fi no ad una webtv, non come un sostituto all’incontro personale che, invece, è ricercato e accompagnato dall’abbrac-cio, da quel tratto gentile che rimanda alla nobiltà originaria del dono e che si palesa nell’offerta, ricorrente da queste parti, del caffè.

Diavoli in paradiso?

Sappiamo bene che i libri di Savia-no hanno tolto il velo di ipocrisia sulla spietatezza della realtà criminale cam-pana proiettata a livello transnaziona-le. Ma una certa lettura dei fatti, inve-ce di alimentare la lotta al malaffare dai tratti insospettabili, potrebbe con-solidare l’immagine di un Meridione come «paradiso abitato dai diavoli» e perciò costretto a subire qualsiasi intervento dall’esterno come una con-cessione senza condizioni.

Per questo motivo è importante l’Osservatorio politico nato fi siologi-camente da questa esperienza di co-munità cristiana dentro la città. Uno strumento di formazione e di analisi della realtà per capire come agire. Ne parliamo con Amelia Cacace, Tom-maso Rea e Ciro Lieto. Ai princìpi generali si giunge attraverso la parte-cipazione alle istanze vive della città e perciò, nell’assemblea del 4 ottobre dei metalmeccanici Fiom nell’antico palazzo dell’Orologio è atteso l’inter-vento di don Peppino. Siamo alla vi-gilia della scadenza di marzo, quando terminerà la cassa integrazione per migliaia di lavoratori rimasti fuori dalla fabbrica. È chiara la percezione dell’abbattimento dei costi per l’a-zienda che ha continuato a distribuire gli utili agli azionisti.

Nei cortei, lo spezzone di Pomi-gliano è sempre salutato come un simbolo di orgoglio; e, tuttavia, si no-tano tutti i segni della stanchezza di chi vive il timore, fondato, di restare senza lavoro. Colpiscono le parole della moglie di un cassintegrato a no-me del marito scoraggiato. La propo-sta della rotazione del lavoro tra tutti i dipendenti, piuttosto che l’esclusio-

ne di alcuni, è una richiesta avanzata già nel 2002 dalla pastorale sociale di Torino e dal cardinal Poletto. L’ha fatta propria anche il vescovo di No-la, Beniamino De Palma, ricevendo la censura dei vertici Fiat.

La comunità di San Felice in Pincis era ben visibile durante le manifesta-zioni notturne organizzate, con lo stes-so fi ne, davanti ai cancelli dell’azien-da. Già a dicembre l’Osservatorio ha promosso un dibattito pubblico tra i sindacati per «non entrare nella spirale della logica della divisione», creden-do di potersi salvare da soli. Cionono-stante, la tentazione di lasciarsi andare davanti ad un destino già scritto, è pal-pabile, proprio mentre recentemente papa Francesco, recandosi in Sarde-gna, ha pregato con l’invocazione: «Insegnaci a lottare per il lavoro!».

Arriva la notte e nella rettoria del Carmine cala il silenzio per l’ora di adorazione che vede ancora la parteci-pazione di tanti. Scorrono le immagini del giorno mentre le piazze si popo-lano di giovani abituati a far tardi. La chiesa non è un fortino assediato ma “la fontana del villaggio” per il cam-mino di ognuno. Perché non ripartire da Pomigliano? Il tocco della campa-na di San Felice si può udire da lonta-no, dai non pochi che “cercano anco-ra” un modo giusto di stare al mondo.

Carlo Cefaloni

CRISTO A POMIGLIANORepor tage

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Foto di gruppo di alcuni impegnati nella vita della comunità.

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LE IDEE FORZA DEL CONCILIOdi Piero Coda

Il principio della dignità umana è fondamentale per la fede cristiana. E come altrimenti potrebbe essere, essendo essa imperniata sull’evento del Figlio di Dio che s’è fatto uno di noi? E tuttavia, se è fuor di dubbio che di una verità sacrosanta

si tratta, una verità che lungo i secoli ha conosciuto innumerevoli e luminose attuazioni di vita e di pensiero, è altrettanto fuor di dubbio che occorre giungere al Vaticano II per trovarla dichiarata a chiare lettere e nella luce della sua espressione più radicale: la libertà religiosa. Porta infatti questo titolo, Dignitatis humanae, una dichiarazione assai breve del Concilio (15 paragrafiappena), promulgata per giunta quasi in extremisil 7 dicembre 1965, vigilia della celebrazione conclusiva. Eppure, «questo documento – dichiarava Paolo VI in un’udienza privata nell’imminenza del voto fi nale a mons. De Smedt, vescovo di Bruges, cui ne era affi data la presentazione in aula – è capitale. Fissa l’atteggiamento della Chiesa per parecchi secoli. Il mondo l’attende…».Per il Concilio, in prima battuta, la libertà religiosa è un diritto che s’inscrive nella sfera della società civile e politica e, come tale, va sancito e perseguito nell’ordinamento giuridico. Ogni uomo e ogni donna, senza distinzione di sorta, vanno riconosciuti come soggetti del diritto di esprimere, a partire dal giudizio della loro coscienza e nella sfera pubblica del suo manifestarsi, la loro personale scelta e appartenenza religiosa. E tale inalienabile diritto – ecco la seconda cosa sottolineata dal Concilio – non è un fatto meramente soggettivo: perché scaturisce dalla natura e vocazione a esser persona di ogni essere umano, chiamato a entrare in relazione esistenziale, con tutto se stesso, con il Bene, la Verità, la Giustizia. In una parola – in termini religiosi – con Dio stesso. «La verità – insegna dunque il Concilio – non s’impone se non in forza della verità stessa». Perché, in defi nitiva, altro non è se non il dono con cui Dio si comunica alla persona umana, in sé e nelle cose create, invitandola ad aprirsi a sua volta in libertà

al compito affascinante e impegnativo di realizzare la verità e la giustizia del suo rapporto con lui e con tutti, uomini e cose. È ciò che Gesù ha realizzato e insegnato con perseveranza e senza sconti con uno stile segnato dalla compassione e dalla tenerezza che si piegano anche sull’errante, per non spezzare la canna infranta e non spegnere il lucignolo fumigante. «Il regno di Gesù non si difende con la spada, ma si costituisce testimoniando e ascoltando la verità e cresce in virtù dell’amore, con il quale egli, esaltato in croce, attira a sé tutti gli uomini». È lo stile che papa Francesco c’invita a far nostro.

«Ogni uomo e ogni donna vanno riconosciuti come soggetti del diritto di esprimere la loro personale scelta e appartenenza religiosa».

S e p o s s o

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Ad ogni controllo di mio fi glio, nei primissimi mesi di vita, la litania era sempre la stessa. «Signora – mi diceva con aria severa la pediatra –, non met-

to a dieta il bambino soltanto perché lo allatta al seno. Altrimenti...». La sospensione mi faceva prevedere tristissime immagini di Emanuele affamato e urlante con la forza dei suoi 9 chili per tre mesi di vita. Do-po i primi passi, però, si è scrollato di dosso in poco tempo le braccia di noi genitori e i chili di troppo.

I timori della pediatra, tuttavia, erano fondati. In Italia, secondo “Ok-kio alla salute”, uno studio del mini-stero della Salute e del Centro per il controllo e la prevenzione delle ma-lattie (Ccm) che ha riguardato oltre 46 mila bambini di 2.623 classi terze della scuola primaria, i dati sono al-larmanti. Nel 2012 il 22,1 per cento dei piccoli scolari era in sovrappeso, mentre il 10,2 per cento era obeso. I numeri, anche se leggermente in-feriori rispetto agli anni precedenti, preoccupano gli esperti. L’Italia, in-fatti, è ai primi posti in Europa per l’abbondante ciccetta dei nostri bam-bini, provocata, soprattutto, da un’a-limentazione sbagliata, dalla sedenta-rietà e dalla scarsa attività fi sica.

Complessivamente, come confer-mato dall’ospedale pediatrico Bam-bino Gesù di Roma, nel nostro Pae-se un bimbo su tre è in sovrappeso o

obeso: un problema allarmante, non solo per le implicazioni fi siche e psi-cologiche, ma pure per le possibili patologie a cui potrà andare incontro il piccolo una volta diventato adulto.

«L’obesità infantile – afferma Giuseppe Morino, responsabile dell’Educazione alimentare dell’o-spedale pediatrico romano – ha or-mai i numeri di una vera e propria epidemia». Che però può essere contrastata e sconfi tta con le armi giuste. Morino, nel promuovere il progetto Nutribus del Bambino Ge-sù, sottolinea anche l’importanza di un’azione congiunta a favore dei bambini, che veda in campo le fa-miglie e tutti «i soggetti istituziona-li che a vario titolo sono impegnati nella salute e nell’educazione a cor-retti stili di vita, dalla prevenzione all’intervento riabilitativo».

Tornando alla ricerca “Okkio al-la salute”, le percentuali più elevate di sovrappeso e obesità si riscon-trano soprattutto al Centro-Sud: in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata l’eccesso di peso riguar-da più del 40 per cento del campio-ne esaminato, mentre in Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige si scende sotto il 25 per cento. Ad incidere, spesso, sono vecchi (e sba-gliati) retaggi culturali, per cui se un bimbo è in carne è automaticamente in buona salute. Un problema con-fermato dai dati del ministero, visto

GRASSONON È PIÙ BELLO

IN ITALIA UN BAMBINO SU TRE È OBESO. L’ALLARME DEI PEDIATRI, I CONSIGLI PER I GENITORI

A t t u a l i t à BAMBINI E SALUTEdi Sara Fornaro

AP

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che tra le madri di bambini in sovrap-peso o obesi, il 38 per cento ritiene che il proprio fi glio sia in forma e in salute. «Mi trovo tra due fuochi – mi racconta Angela, una mamma napo-letana –. Da un lato, c’è mia madre, che tiene mia fi glia con sé quando esce da scuola e la rimpinza di ci-bo. Dall’altro, c’è la pediatra, che ad ogni controllo mi dice che la bambi-na è in sovrappeso e dovrebbe man-giare di meno o mangiare meglio. Io ci provo a spiegarlo a mia madre, ma è una battaglia persa. Forse un giorno la porterò con me dalla dottoressa...».

A far aumentare il girovita, con-corrono vari fattori. A partire dall’a-limentazione. Sono troppi i bambini che al mattino non mangiano (9 per cento) o che fanno una colazione inadeguata (il 31 per cento) perché sbilanciata in termini di carboidrati e proteine. Al contrario, sono troppi (67 per cento) i piccoli che a metà mattina fanno una merenda troppo

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Per essere in forma, i bambini devono muoversi e giocare, magari svolgendo un’attività sportiva come il nuoto e consumando cibi sani, non ipercalorici,e bevande non gasate.

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abbondante. E se è vero che indurre la maggior par-te dei bambini a mangiare verdure o frutta può ri-velarsi un’impresa titanica, è indubbio che, dopo i primi rifi uti, sono troppi i genitori che si arrendono e propongono sempre le stesse (ipercaloriche) pie-tanze, senza sperimentare ricette diverse (frullando, ad esempio, le verdure, dalla zucca alla verza, per creare paste o risotti colorati, piacevoli da vedere e da gustare) o alimenti più salutari.

Tra gli alimenti sotto accusa, oltre alle merendine confezionate, ci sono le bevande zuccherate o gas-sate, consumate abitualmente dal 43 per cento dei bambini intervistati. E se i pediatri avevano gioito quando l’ex ministro della Salute, Balduzzi, aveva ventilato una tassa sulle bollicine, sperando che se ne potesse così scoraggiare l’uso, hanno dovuto ri-credersi quando la proposta è stata bocciata anche grazie alle lobby che lucrano con questo business.

Dall’alimentazione si passa agli stili di vita sba-gliati. Sono sempre meno i bambini che, dalle ele-mentari in poi, possono trascorrere qualche ora al parco o in giardino. Sono tanti, invece, quelli che dopo lo studio guardano la tv o giocano con i video-giochi per più di due ore al giorno (il 36 per cento).

L’ideale sarebbe svolgere un’attività sportiva: una buona pratica che però, in tempo di crisi, soprattut-to per chi ha più fi gli, può rivelarsi economicamente insostenibile. Lo sport ideale per i bambini, comun-que, è il nuoto. Si svolge in acqua, un ambiente con-geniale anche per i più piccoli, consente uno svilup-po fi sico armonioso, favorisce la crescita cognitiva e relazionale e richiede resistenza alla fatica, capacità di concentrazione e senso di responsabilità. Per i più piccini (3-4 anni) va bene anche la ginnastica, men-tre dai 7 anni sono consigliabili pallavolo e pallaca-nestro, utili anche per prevenire o correggere atteg-giamenti sbagliati della postura.

L’importante, secondo gli esperti, è muoversi, per allontanare il rischio della sedentarietà, che può impigrire lo scolaro e «condizionarne il benessere e l’equilibrio psicofi sico presente e futuro». Secon-do i dati del ministero della Salute, inoltre, «i bam-bini che svolgono una regolare attività fi sica (sport di gruppo o individuali, giochi all’aria aperta, gin-nastica) dimostrano una maggior fi ducia nelle pro-prie possibilità, sono portati a una maggior autosti-ma, alla facilità nei rapporti sociali, a una maggior sopportazione dello stress, e sono in un certo senso più “al riparo” dall’eventuale propensione a distur-bi come ansia e depressione».

Sara Fornaro

GRASSO NON È PIÙ BELLOAt t u a l i t à

Città Nuova - n. 20 - 2013 54

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Per la prima volta il Sud supera il Nord. Stiamo parlando dei Paesi in via di svi-luppo (la maggior

parte al Sud del mondo) che promuovono fonti di energia alternative. At-tualmente sono 127 i Pae-si che hanno registrato un forte miglioramento sulle politiche per la sosteni-bilità. Un dato molto alto se si pensa che nel 2005 erano solo 48. Uno studio del Worldwatch Institute ha fatto emergere le diffe-renze tra il Sud del mondo e il Nord reso meno green dalla crisi economica.

Nel 2005 il 58 per cen-to degli Stati che fi nanzia-vano le energie sostenibili

risiedevano in Europa e Asia centrale, nel 2013 i Paesi di questa area sono solo poco più di un terzo del totale.

L’Africa sub-sahariana è ai vertici dei Paesi green.Negli ultimi otto anni sono stati 25 gli Stati africani che hanno investito sulle energie sostenibili, mentre 17 riguardano l’area carai-bica e 12 l’area tra il Medio Oriente e il Nord Africa. Questi Paesi spesso devono fare i conti con la carenza

di risorse energetiche. Per questo motivo hanno deci-so di puntare sulle rinno-vabili che comporterebbe non solo una maggior in-dipendenza energetica, ma anche un’importante ridu-zione dell’inquinamento ambientale.

La crisi economica è il motivo principale che ha arrestato la crescita dell’e-nergia pulita in Europa e in America, causando la drastica riduzione dei fi -nanziamenti destinati alle

rinnovabili. In alcuni Pae-si, come la Grecia, la Spa-gna e la Bulgaria, le fonti rinnovabili sono state an-che tassate.

La tendenza fra il Nord e il Sud, quindi, si sta in-vertendo. Le economie sviluppate investivano in media 2,5 volte le risorse messe a disposizione dai Paesi in via di sviluppo: ma il 2012 potrebbe es-sere stato l’“anno soglia”. Gli investimenti totali del-lo scorso anno, compreso il mini idroelettrico, am-montavano a 244 miliardi di dollari. Negli anni pre-cedenti, invece, la quota toccata era di 279 miliar-di di dollari nel 2011, 227 nel 2010, fi no alla quota di partenza, 100 miliardi di dollari nel 2006. La ca-pacità a livello mondiale ha superato 1470 GW nel 2012, in crescita dell’8,5 per cento rispetto al 2011. In particolare, l’energia eo-lica ha rappresentato circa il 39 per cento della capa-cità di energia rinnovabile, seguita dall’idroelettrico e dal solare fotovoltaico, che hanno rappresentato cia-scuno il 26 per cento circa. Sia l’instabilità delle poli-tiche energetiche dei vari Paesi coinvolti, sia la con-correnza asiatica, hanno rappresentato due ostacoli importanti alla crescita delle rinnovabili.

di Lorenzo Russo

55 Città Nuova - n. 20 - 2013

Il Sud del mondo è più “green”

V i t a s a n aAMBIENTE

Pannelli solari termici istallati su modeste abitazioni, segno di un’inversione di tendenza.

I Paesi emergenti, in particolare in Africa, puntano sulle energie rinnovabili

V i t a s a n a

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V i t a s a n a SPORTdi Giovanni Bettini

Città Nuova - n. 20 - 2013 56

Si dice che il ciclismo con le sue biciclette sarà ricostruito sulla verità, quella verità che Émile Zola de-

fi nì come «potenza che travolge tutti gli ostacoli» al punto che, quando le si sbarra il cammino, essa fi -nisce «per esplodere facen-do saltare con sé tutto».

Questa storia comincia dalle pagine del libro Lacorsa segreta (ed. Limi-na), scritto dall’ex ciclista professionista statuniten-se Tyler Hamilton con la complicità di Daniel Coyle, giornalista del New

York Times. Hamilton non è una persona qualsiasi nel mondo del ciclismo. In 14 anni di carriera, dal 1995 al 2009, ha conquistato diverse corse vincendo la Liegi-Bastogne-Liegi 2003 e arrivando secon-do al Giro d’Italia 2002, quarto al Tour de Fran-ce 2003, diventando poi campione nazionale nel 2008 e campione olimpico della cronometro ad Atene 2004 (medaglia poi revo-cata). Ma, ancor di più, Hamilton è stato compa-gno di stanza e amico fi -dato di Lance Armstrong.

Un altro colpodi pedale

Da amico fi dato a testimone chiave nell’inchiesta antidoping su Lance Armstrong. Parla Tyler Hamilton: «Solo la verità rende liberi»

P. D

ejon

g/AP

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Cresciuto a Boston, ca-pitale dello Stato del Mas-sachusetts da una famiglia della classe media ameri-cana, Tyler sale in bicicletta negli anni dell’università per riprendersi da un infor-tunio rimediato durante un allenamento di sci. Lui, gio-vane promessa alle soglie della Nazionale di discesa libera, continua a spingere forte sui pedali al punto da mettere scarponi e racchette in cantina fi no a diventare un professionista.

Nel 1999 Armstrong vince il primo dei suoi set-te Tour de France e Tyler è al suo fi anco. Condivide tutto con Lance, anche le sostanze proibite custodite in gran segreto e traspor-tate nei giorni di gara dal giardiniere della casa di Armstrong a Nizza. Il rap-porto con Armstrong però prende una brutta piega e Tyler nel 2002 cambia squadra, ma non sistema.

A questo punto arriva-no gli inquietanti viaggi a Madrid presso lo studio del dottor Fuentes (poi impli-cato nell’Operacion Puerto n.d.r.) per depositare il san-gue da reinfondere duran-te le corse a tappe. Finché il giocattolo si rompe 29 giorni dopo la vittoria olim-pica di Atene: ad Hamilton viene notifi cata la positivi-tà per trasfusione omologa con la conseguente squa-lifi ca di due anni. Il resto è solo il racconto di una carriera in declino che fa a pugni con la depressione. Ad inizio 2009 Hamilton viene trovato nuovamente positivo, questa volta ad un principio attivo contenuto in un farmaco usato per cu-rare il suo disagio, e fi nisce

così per appendere la bici al chiodo.

Quando l’Agenzia An-tidoping degli Stati Uniti (Usada) nel 2010 comincia ad indagare sulle vittorie di Armstrong, Tyler capisce che è arrivato il momen-to di saldare il conto con la sua coscienza. Chiede un’udienza e deposita la sua testimonianza all’au-torità competente. Sarà la prova incontrovertibile che Armstrong è il personaggio chiave del «programma do-ping più sofi sticato, profes-sionale e di successo che lo sport abbia mai visto».

«Quando cominciai con il ciclismo – spiega Hamil-ton –, non avrei mai pensa-to che un certo tipo di scelta era lì ad aspettarmi dietro

l’angolo. È sempre diffi cile pensare a quello che ho fat-to passare specialmente alla mia famiglia. Non c’è cosa peggiore del far star male i genitori. Purtroppo non posso cambiare il passato. Tutto ciò che posso fare è aiutare me stesso, il cicli-smo e tutto lo sport.

«Ai ragazzini che sogna-no di primeggiare vorrei chiedere: “Cosa signifi ca diventare campioni?”. Una certa mentalità cambierà solo quando i giovani non accetteranno più il sistema del doping. La bicicletta regala delle sensazioni bel-lissime, ma nell’ambiente ci sono parecchi “ex” che si sono dopati per tutto l’ar-co della loro carriera e che oggi occupano posti da di-rigenti. Così, mentre i test antidoping migliorano, ci sono ancora delle scappato-ie, anche se la lista di cose da fare per eludere un con-trollo si è allungata».

Se guarda le foto dei tre Tour de France corsi al fi anco di Lance Armstrong, Tyler nei suoi occhi rivede la tensione. Oggi è un uo-mo libero: «Quando si vive dentro ad una bugia, questa ti fa pagare un prezzo mol-to pesante sia dal punto di vista fi sico che psichico. Io sono grato per tutto quello che è successo e per le cir-costanze che mi hanno for-zato ad abbracciare la veri-tà. C’è bisogno della verità per rimarginare le ferite. È la verità che rende liberi».

L’intervista integrale di Bettini su Tyler è pubblica-ta su www.cyclemagazine.it

57 Città Nuova - n. 20 - 2013

L’ex ciclista statunitense Tyler Hamilton (un primo piano, a fronte), alla partenza della seconda tappa dell’Étoile de Bessèges nel 2007, con il suo compagno di squadra, sulla sinistra, Vasil Kiryienka.

C. P

aris

/AP

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V i t a s a n a BUON APPETITO CON...di Cristina Orlandi

Dolcetti da gustare sin dal-la prima colazione, per il tè delle cinque e per la merenda di grandi e piccini, ma anche in abbinamento a del gelato o a della crema inglese per un dessert veloce e gustoso. I muffi n sono semplici da realizzare e hanno un sapore molto particolare che potrete rendere più vicino ai vostri gusti aumentando o dimi-nuendo la polvere di tè verde.

Ingredienti (8 persone)250 gr di farina, 180 gr di burro ammorbidito, 15 gr di polvere di tè (Matcha), 15 gr di lievito per dolci, 1 mela e mezza, ½ bicchiere di latte, 2 uova, 2 tuorli, scorza di

mezzo limone, 100 gr di zuc-chero semolato, 1 pizzico di sale, zucchero a velo.

PreparazioneLavorare il burro con lo zuc-chero semolato e la scorza di mezzo limone, aggiungere uno alla volta i tuorli e le uo-va e unire un pizzico di sale. Quindi incorporare la mela sbucciata e tagliata a dadini e la farina setacciata, la pol-vere di tè verde e mezzo bic-chiere di latte in cui avrete fatto sciogliere il lievito.Imburrare e infarinare gli stampini da muffi n, togliere la farina in eccesso e riem-pirli solo per i tre quarti, in modo che cuocendosi e lievi-

tando, non fuoriesca dal bor-do il composto.Cuocere nel forno preriscalda-to alla temperatura di 180°C per circa 20 minuti, fi no a quando la loro superfi cie di-venterà dorata. Per controllare la cottura inserire uno stec-

chino di legno in un dolcetto; se questo rimarrà asciutto, i muffi n saranno pronti. Lascia-re i muffi n negli stampini fi no a quando saranno ben freddi, quindi sformarli e, prima di servirli, spolverarli di zucche-ro a velo.

Muffi n alle mele e tè verde

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59 Città Nuova - n. 20 - 2013

di Giuseppe ChellaALIMENTAZIONE

Secondo una ricerca condotta recentemente in Giappone, che ha interessato circa 80 mila persone tra i 45 e i 74 anni, seguiti per 13 anni, sembra che il tè verde e il caffè proteggano il cervello dal rischio di ictus. Questo studio avrebbe dimostrato, in maniera signifi cativa, che chi beve una tazzina di caffè al giorno o 2-3 tazze di tè verde avrebbe un minore rischio di ictus e di emorragia cerebrale.Il motivo di questo effetto sembra sia dovuto alla presenza delle catechine e degli antiossidanti dei quali è ricco il tè verde. Per il caffè il potere benefi co sarebbe dovuto soprattutto al suo contenuto di acido clorogenico, potente antiossidante ed antiglicemico.C’è da dire però che l’acido clorogenico è parzialmente distrutto dalla torrefazione e per assumere tutte le sostanze benefi che del caffè sarebbe da preferire il caffè verde, caffè non tostato, che in Italia, purtroppo, è poco conosciuto.La ricerca è stata condotta dal National Cerebral and Cardiovascular Center del Giappone ed è stata pubblicata sulla rivista Stroke. Yoshihiro Kokubo, autore della ricerca, ipotizza che bere entrambe le bevande amplifi cherebbe ulteriormente l’effetto anti-ictus e darebbe una protezione rinforzata.

Caffè e tè verde

La crisi economica ha costretto i governanti a tagliare la spesa per la sanità, per non incorrere nelle procedure d’infrazione con la Comunità europea. A farne le spese sono i malati che, già gravati da una profonda crisi economica, devono rinunciare alle cure o sopportare aumenti di ticket per visite e/o medicinali.L’urgenza dei tagli necessari non ha consentito provvedimenti per combattere la corruzione esistente nella sanità che ruba denaro ai cittadini che rinunciano o hanno rinunciato a una parte del loro salario per fi nanziare questo settore. Da tempo si parlava di “malasanità”, ma soltanto di recente è comparsa la prima seria indagine italiana condotta da tre organismi noprofi t sull’argomento (www.quotidianosanita.it 20/9/2013), che i cittadini e i responsabili delle istituzioni farebbero bene a leggere. I suoi risultati, anche se importanti, sono inferiori a quanto effettivamente avviene. La corruzione riguarda tutti i campi: dai farmaci alle nomine; dagli appalti di edilizia a quelli di beni e servizi; dalla sanità privata alla negligenza medica. Riguardo alle nomine è il personale politico a servirsi della sanità. Qui lo scambio è: un direttore generale amministrativo e/o sanitario in cambio di voti e di fi nanziamenti occulti. Molto diffusa la pratica corruttiva per la fornitura dei farmaci e per gli appalti di beni e servizi che rappresentano il 20-30 per cento dei bilanci. Gare tagliate su misura, fi nanziamenti per ampliamenti di ospedali mai terminati o inutili, rischio d’infi ltrazioni mafi ose per servizi di bassa specializzazione, come le pulizie o la vigilanza.Più pericolosa la corruzione nella sanità privata, dove si cerca di intervenire sugli accreditamenti e sulle diagnosi di dimissione per maggiorare il valore delle prestazioni erogate.Tra gli 87 casi di corruzione rilevati nel 2012, quattro soltanto le regioni virtuose (Val d’Aosta, Trentino, Friuli, Basilicata). In Piemonte, Liguria, Marche e Abruzzo sono stati rilevati 2-4 casi. Dieci i casi di corruzione invece in Campania. A seguire la Calabria, la Puglia, la Sicilia, con 8-10 casi censiti e la Lombardia insieme all’Umbria con 6-8 casi individuati. Seguono le restanti regioni. Un bilancio che pesa come un macigno su tutti i malati meno difesi per motivi di censo e di cultura.Speriamo che il futuro Senato per le regioni, composto di persone oneste e capaci, elimini questa piaga, rivitalizzando una spesa sanitaria già ridotta all’osso.

di Andrea F. LucianiEDUCAZIONE SANITARIA

Crisi e malasanità

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Nuova veste grafi ca e contenuti editoriali per il settimo numero dell’inserto Spazio Famiglia, curato da AFN Onlus in collaborazione con Città Nuova in uscita con il

prossimo numero della rivista. Racconta con stile immediato e vivace la vita dei progetti di cooperazione allo sviluppo, le storie delle famiglie, le esperienze di adozione internazionale e gli sforzi dei sostenitori che operano con AFN con le più varie iniziative.Spazio Famiglia vuole essere lo strumento editoriale per creare una trama di solidarietà che metta in rapporto mondi lontani; è anche un’opportunità di aggiornamento, condivisione di idee, formazione per offrire un contributo positivo alla società attuale. L’inserto si riceve in quanto sostenitori di AFN o anche sottoscrivendo l’abbonamento a Città Nuova. Vi arriverà allegato nei numeri della rivista di novembre e di marzo. Nel prossimo numero troverete articoli su: la scuola di Acatzingo in Messico, la storia di Mago Frac e un approfondimento dei laboratori di AFN a LoppianoLab.Se anche tu senti questo “S.O.S. solidarietà” per il mondo di oggi, queste 16 pagine sono a tua disposizione: leggile, diffondile e scrivici a [email protected].

Giovanna Pieroni

61 Città Nuova - n. 20 - 2013

N o v i t à e d i t o r i a l i

Una tramadi solidarietà

NUOVA VESTE GRAFICA PER “SPAZIO FAMIGLIA”

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A t t u a l i t àMEDIAdi Claudia Di Lorenzi

Città Nuova - n. 20 - 2013 62

La politica passa per un tweetAgorà digitaliLa diretta streaming dall’Aula del Senato nel giorno della richiesta di fi ducia al governo Letta, il 2 ottobre, ha visto un seguito da record sui social network: sono circa 116.500 i tweet postati nel corso della trasmissione, 3 al secondo, stando alle rilevazioni di Blogmeter. Il picco durante l’intervento del leader del Pdl, Silvio Berlusconi, che a sorpresa ha confermato la fi ducia all’esecutivo, con circa 900 tweet al minuto. Numeri che raccontano di una curiosità e di una crescente voglia di partecipazione al dibattito politico, seppur la maggior parte dei cittadini viva ancora con sentimenti di distacco, sfi ducia e talvolta anche di rabbia tutto ciò che accade nei “palazzi del potere”. Un disincanto che segue le promesse mancate dei leader politici, i proclami altisonanti ma privi di seguito e le manovre che affossano provvedimenti virtuosi nelle trappole nascoste fra i passaggi d’Aula. Ma forse un incentivo alla trasparenza viene oggi proprio dai social network: buona parte dei parlamentari e dei ministri italiani ha un proprio account su Twitter e il cittadino può verifi care la linearità nel tempo delle argomentazioni e delle scelte politiche. Gli ashtag #opencamera e #opensenato aggregano i tweet di deputati e senatori che pubblicano informazioni sui lavori d’Aula mentre le discussioni sono in corso, e lo strumento del fact checking, inaugurato dal sito Pagella politica, controlla se le affermazioni sono vere o false e permette di smascherare i “bugiardi”. Il governo ha poi inaugurato un portale, www.opencoesione.gov.it, che consente di verifi care in quali progetti e per quali scopi vengono spesi i soldi pubblici, e in Rete sono presenti siti – Termometro politico, Openpolis, Il SocialPolitico – dove reperire informazioni e pubblicazioni della politica italiana, e insieme contribuire al dibattito in corso con proposte concrete. Perché la buona politica la fa una casta “redenta” anche grazie agli input costruttivi di cittadini responsabili.

48A GIORNATA DELLE COMUNICAZIONI SOCIALILa comunicazione luogo d’incontro con l’altro“Comunicazione al servizio di un’autenti-ca cultura dell’incontro” è il tema scelto da papa Francesco per la 48a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si terrà il 1 giugno 2014. Lo riferisce una nota del Pontifi cio consiglio per le Comu-nicazioni sociali che spiega che «nella comunicazione e attraverso di essa espri-miamo noi stessi, il nostro pensiero, quel-lo in cui crediamo, come vorremmo vive-re», e nel dialogo pertanto «impariamo a conoscere le persone con cui siamo chia-mati a vivere». Tale comunicazione richie-de dunque «onestà, rispetto reciproco e impegno per imparare gli uni dagli altri», perché spesso la diversità dell’altro «ri-vela la ricchezza della nostra umanità e nella scoperta dell’altro incontriamo pure la verità del nostro essere».

DAGLI USA UNA FICTION SUL GIORNALISMOL’informazione che fa discutereI retroscena del giornalismo americano sono raccontati nella serie tv The New-sroom, dal 17 ottobre in prima serata su Rai3. La fi ction racconta la quotidiani-tà del lavoro in un canale tv, quando in redazione arriva una notizia e bisogna decidere se e come darne conto. Nelle maglie del racconto a confrontarsi sono modi diversi di intendere il giornalismo, fatto di idealità per alcuni e molto cinico per altri, ma anche vecchi e nuovi media, portatori di culture e tecniche diverse. Negli States la serie ha ottenuto succes-so perché – spiega uno degli attori del cast – ha suscitato un grande dibattito sulla qualità e il ruolo dell’informazione. In Italia, in occasione del lancio della fi ction, il direttore di Rai3, Andrea Via-nello, ha detto che la serie mostra «come possiamo diventare cittadini e giornalisti migliori». Di certo può rivelarsi uno stru-mento utile per accrescere la consapevo-lezza dei telespettatori sui meccanismi che regolano l’informazione.

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STORIEAPPROFONDIMENTI

ATTUALITÀ

CONTATTACIper abbonamenti o copie [email protected] - www.cittanuova.it06.96522.231/233/245

I titoli del 2014 Cercando amore (Emanuela Megli) Klaus Hemmerle (Viviana De Marco) Fiabe di scienza (Luca Fiorani) La coppia nella Bibbia (Michele Genisio) Social media (Matteo Girardi) Invecchiare in forma (Valter Giantin)

Amici miei di strada (Oreste Paliotti) Alzheimer (Tamara Pastorelli) Dire amore senza parole (Barbara e Paolo Rovea) Sterilità (Daniela Notarfonso) Sorelle (Elena Granata) Scontro generazionale (Raimondo Scotto)

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Per farti scoprire tutto il bene sommerso

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Perchè la morte di una persona cara?

non c’è piùdi Emanuela Megli

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TELEVISIONEdi Paolo Balduzzi

Prima di tutto sveglia l’Italia. Dalle 5 e 05 del mattino alle 9, dal lunedì al venerdì, su Radio 1 è possibile seguire e capire i commenti ai prin-cipali fatti del giorno, le analisi e le tendenze dei nostri tempi. Non è necessario alzarsi così presto al mattino perché basta intercettare, tra un notiziario e l’altro, uno dei segmenti a misura del proprio sonno e trovare la possibilità di ap-profondire, con interviste ai protagonisti della cronaca o esperti del settore, cosa si cela dietro le notizie per comprendere meglio il fl usso conti-nuo di informazioni da cui siamo inondati sui vari mezzi di comunicazione. Nonostante Radio 1 abbia perso il primato degli ascolti – ora si attesta poco sopra i 4 milioni di ascoltatori al giorno – e lo scettro, con oltre 7 milioni, sia stabilmente in mano a Rtl 102,5, il programma Prima di tutto, nonostante i seri argomenti affrontati, ha riscosso, in controten-

denza rispetto alla rete, un notevole successo e un incremento di pubblico. È stata una scom-messa vinta, sin dagli esordi due anni fa, dalla direzione di Radio 1, con Antonio Preziosi, e dal Giornale Rai con un’idea abbastanza semplice e un format consueto che ha trovato un suo interessato bacino d’utenza. Niente di innova-tivo, insomma, ma un fortunato incontro tra la domanda di approfondimento e l’offerta della paludata classe dell’ammiraglia Rai.

Striscia la notizia

di Aurelio Molè

Striscia la notizia è un telegiornale satirico, in onda dal 1988 su Canale 5 intorno alle 20.30. Fin dai suoi esordi, Striscia si colloca tra informazione e varietà, genere quest’ul-

timo al quale gli autori hanno sempre dichiarato di ispirarsi.

Due showgirl si muo-vono nello studio in modo provocatorio e tramite alcu-ni stacchi musicali portano

la “velina”, cioè la notizia, ai conduttori, solitamente attori, showgirl o show-man. La scelta delle news si muove su un doppio bi-nario: ci sono le notizie più leggere, che trovano spazio in una sola puntata, e le no-tizie di inchiesta seguite per diverse settimane.

Tutto viene trattato esa-sperando alcune sfaccet-tature per creare comicità e satira, confezionando servizi a volte molto utili per dare voce ai cittadini che subiscono ingiustizie. Eclatanti sono i casi lega-ti alle truffe ai danni dei telespettatori, allo sperpe-ro di denaro pubblico per opere mai realizzate, alla denuncia sociale per un’I-talia che non va.

Alcuni elementi lascia-no però perplessi: il pri-mo di questi è l’essere un programma perennemen-te “contro”: analizzare un fatto da tutte le sue ango-lature, senza creare facili bersagli da perseguire, sarebbe un ottimo eser-cizio per aumentare l’ef-fetto comico senza pren-dere abbagli. Il bianco e il nero in questo mestiere a volte non esistono, ma non sempre Antonio Ric-ci e i suoi autori se lo ri-cordano.

Inoltre, anche Strisciaè sottomessa alle logiche degli ascolti, per cui, co-me ha denunciato recen-temente anche il Moige, «non disdegna, pur di alzare il proprio share,di studiare sempre nuovi mezzi, al limite del codi-ce, per mostrare video im-proponibili a un pubblico costituito in prevalenza da famiglie».

In questo senso, il continuo richiamo ero-tico delle veline, oltre che a costituire un conti-nuo svilimento del corpo della donna (i velini di quest’anno sono solo uno specchietto per le allodo-le), fa passare in secondo piano la denuncia, pur le-gittima, appena ascoltata: essa perde così il peso che potrebbe avere. È satira, è vero, non è informazio-ne, eppure i paladini della trasparenza dovrebbero operare una vera scelta di lealtà e pulire un po’ casa propria, prima di proporre una morale che non serve proprio a nessuno.

Prima di tutto

RADIO

Città Nuova - n. 20 - 2013 64

ANTONIO PREZIOSI

A r t e e s p e t t a c o l o

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CINEMA

Diana, la storia segreta di Lady D.Naomi Watts è perfetta nella vicenda sentimentale e drammatica della principessa, ormai oggetto di culto mediatico. La ricostruzione di ambienti, di scene e costumi è realistica. Gli attori professionali, la fotografi a luminosa. Una agiografi a da fotoromanzo, che rischia, nei momenti drammatici, il clichè.Grandi assenti: i membri della famiglia reale, i fi gli in sordina. Il fi lm piacerà a chi ama le commedie patinate, con un po’ di dolore, e la regia di Oliver Hirschbiegel l’accontenta, raccontando l’infelice amore per il medico pakistano a cui sembra la storia con Dodi sia stata solo uno “schermo”. Vero?Regia di Oliver Hirschbiegel; con N. Watts, N. Andrews, D. Hodge.

Giovanni Salandra

di Giuseppe DistefanoTEATRO

VALUTAZIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE FILM

Diana: consigliabile, semplice.

Gravity: consigliabile, problematico.

Anni felici: complesso, scabrosità.

Non occorre essere necessariamente laziali – intendendo della squadra della Lazio – per apprezzare lo spettacolo Tommaso Maestrelli. L’ultima partita. La storia del famoso allenatore legato alla squadra biancoceleste è anzitutto una vicenda umana. Che va oltre lo stereotipo dell’uomo di calcio. Dalla passione degli autori – Giorgio Serafi ni Prosperi, Roberto Bastanza, Pino Galeotti – è nato un testo per il palcoscenico che sintetizza in fl ashback emblematici la vicenda del tecnico toscano e la parabola dei “suoi ragazzi”. Dalle avvisaglie della malattia ai passaggi più importanti alla guida della Lazio, passando per la gioventù, la guerra, la carriera da calciatore; per arrivare all’ultima battaglia contro la malattia e all’ultima panchina – la partita col Como per la salvezza dalla retrocessione –, giorno dell’addio. Accanto a Nello Mascia, bravissimo nel ruolo del protagonista, la moglie Lina (una credibile e appassionata Aglaia Mora nel ripercorrere le varie tappe della loro vita insieme); Chinaglia (Massimiliano Vado), il biondo Re Cecconi (Carlo Caprioli); Ziaco, il medico e amico (Gino Nardella). I fondali colorati, l’agevole struttura lignea, le suggestive musiche, ricreano l’atmosfera degli anni Settanta, e il rapporto di quella “banda”, dissoltasi poi in pochi mesi dopo la morte del “maestro”. Che nelle ultime parole ai suoi riconosce loro il merito di averlo fatto diventare un grande allenatore.

Al teatro Ghione di Roma.

GravityìFin dall’inizio siamo introdotti nello spazio immenso e silenzioso, dove la gravità non si avverte, ma è l’agognata meta cui tornare. Ci troviamo quasi sempre fuori dalle stazioni orbitanti a volteggiare in vuoti vertiginosi. Tra scenari meravigliosi di misteriose costellazioni e di continenti nitidi e familiari. Ma all’improvviso arrivano sciami di frammenti velocissimi. I due sopravvissuti si aiutano in maniera eroica, svelandosi verità segrete. Il loro dialogo risulta autentico, legato intimamente, com’è al sentirsi sull’abisso e di fronte alla morte. Film apprezzabile per l’ottima grafi ca e per la sensibilità nel trattare l’animo umano.Regia di Alfonso Cuarón; con S. Bullock, G. Clooney.

Raffaele Demaria

Anni feliciNel cinema italiano il fi lone del revival sembra non esaurirsi mai e l’ultimo fi lm di Luchetti lo conferma con questo racconto, di ispirazione autobiografi ca, delle vicissitudini della famiglia Marchetti nell’estate 1974. Lui sedicente artista d’avanguardia, lei casalinga, con due fi gli, vivono un amore tormentato in cui i sentimenti appaiono incompatibili con il concetto di famiglia (borghese, si sarebbe detto all’epoca), destinata necessariamente a scontrarsi con l’oltranzismo socio-affettivo imperante a quei tempi. Al di là di un buon impianto generale (sceneggiatura, attori, regia), non convince una certa fragilità dei personaggi, che faticano a trovare un vero spessore.Regia di Daniele Luchetti; con K. Rossi Stuart, M. Ramazzotti.

Cristiano Casagni

La partita di Maestrelli

susa

nna

cesa

reo

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rock de Il Testamento, da menzionare sono anche il brianzolo Lorenzo Mon-guzzi e il suo elegante Portavèrta, il promettente Emanuele Belloni e lo spe-ricolato gruppo dei Marro-ne Quando Fugge. E sor-prese non meno intriganti sono arrivate da interpreti di canzoni altrui: Zibba & Almalibre a citare i sem-preverdi anni Sessanta in E sottolineo se, l’ex La Crus, Mauro Giovanardi, con Maledetto colui che è solo, Andrea Tarquini a riesumare il compianto

Stefano Rosso, Patrizia Ci-rulli a reinventare Battisti, Gerardo Balestrieri che in Quizàs spazia da Carosone a Tom Waits, e pur fuori dalle nomination, anche la grintosa Sarah Stride con Canta ragazzina.

Insomma, un’edizione che ancora una volta ha ri-badito il buono stato di sa-lute della nostra canzone d’autore, capace di galleg-

giare tra i marosi della cri-si meglio di tanti altri set-tori. In gran parte si tratta di personaggi abituati alla vita grama e ai bassifon-di dello show-business; il benemerito “Club Tenco” serve, se non a conquistar-gli un posto al sole delle classifi che, almeno quel po’ di visibilità necessaria al loro talento per poter continuare ad esistere.

Come ogni autunno le prestigiose Targhe Tenco (da quasi trent’anni il pre-mio più prestigioso della canzone d’autore italiana) hanno messo in mostra tanti dischi e talenti altri-menti destinati a passare inosservati ai più.

Al di là dei vincito-ri uffi ciali, dove spicca l’ottimo Ecco di Niccolò Fabi, votato come album dell’anno davanti ai Bau-stelle, val la pena segnala-re alcune produzioni par-ticolarmente interessanti. Per la categoria riservata alla canzone dialettale, la Targa è andata all’o-monimo ritorno già noto catanese, Cesare Basile, ma le opere di alto livello sono state davvero mol-te, dall’intimo Tal cil des acuilis, della giovane friu-lana Giulia Daici, al raf-fi nato Ammâscâ, del col-lettivo siciliano Dedalus; dalla Pizzica Indiavolata,del Canzoniere Grecani-co-Salentino, al pugliese Tonino Zurlo, fi no alle contaminazioni medio-rientali dell’Orchestra Bailam e alle bizzarrie dell’ensemble genovese dei Gatti Mézzi.

Tra gli esordienti, oltre al toscano Appino, vinci-tore con il notevole folk-

A r t e e s p e t t a c o l o

CD e DVD novitàKURT WEILL, DARIUS MILHAUD, IGOR STRAVINSKIMusiche varie. Tre compositori del ‘900 diretti

da Jeffrey Tate con l’orchestra del San Carlo di Napoli. Gabriele Pieranunzi nel “Concerto per violino e orchestra” di Weill, op.12 fra sussurri e tonfi . Enrico e Gabriele Pieranunzi, Alessandro Carbonare sono con Stravinski, l’“Histoire du soldat”. Clarinetto e piano, cioè Pieranunzi e Carbonare nella “Suite op. 157 b” di Milhaud. Ecco il ‘900. Multimedia Concerto (m.d.b.)

Targhe Tenco 2013: il vecchio, il nuovo e il sempiterno

PAUL SIMONOver the bridge of time (Sony Music)Una bella retrospettiva (dal ‘64 al 2011) per un grande del cantautorato statunitense. Venti perle inanellate dagli anni del connubio col compare Garfunkel, fi no ai capolavori più recenti. Un compendio per capire una delle voci imprescindibili dell’America, da Kennedy ad Obama. (f.c.)

TRAVISWhere You Stand (Red Telephone Box)Sembravano destinati a un grande futuro, ma han dovuto accontentarsi di restare marginali. Eppure questa band scozzese sa offrire ottimo pop-rock e lo conferma con questo settimo album: folk-rock ingentilito da melodie pop di pregevolissima fattura, perfette per il relax. (f.c.)

MUSICA LEGGERAdi Franz Coriasco

Città Nuova - n. 20 - 2013 66

NICCOLÒ FABI

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a cura della RedazioneAPPUNTAMENTI

DIGITAL LIFE 2013Installazioni multimediali, ambienti sonori, opere interattive, in un percorso in cui denominatore comune è il paesaggio, nei suoi mutamenti ed evoluzioni. “Liquid Landscapes”, per Romaeuropa Festival. Al Macro Testaccio e al Maxxi, fi no al 10/12.

MOVIMENTI DI LUCELe opere ripropongono, attraverso nuove tecnologie, le ricerche espresse dal Gruppo MID (A. Barrese, A. Grassi, G. Laminarca, A. Marangoni), fra i protagonisti della tendenza dell’arte cinetica degli anni Sessanta. Como, Pinacoteca Civica, fi no al 12/1/14.

JOHN LENNON Gli esiti del multiforme talento dell’ex Beatles, in questa occasione solo di rifl esso considerato nella veste di musicista. “All You Need Is Love.

John Lennon Artista, Attore, Performer”, Modena, Galleria civica, fi no al 3/11.

UN RE UMANISTAMattia Corvino re d’Ungheria è una novità assoluta per conoscere un monarca intellettuale. “Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re d’Ungheria”, Firenze, Museo di San Marco, fi no al 6/1/14 (cat. Giunti).

ANTONELLO DA MESSINAStraordinaria mostra sul pittore siculo-veneziano in un confronto anche sull’arte contemporanea. Rovereto, Museo Mart d’arte contemporanea, fi no al 12/1/14.

RODINLa prima rassegna completa in Italia sul grande scultore francese in oltre 60 opere. “Rodin, il marmo, la vita”, Milano, Palazzo Reale, fi no al 26/1/14.

di Mario Dal BelloMUSICA CLASSICA

13° Festival Pergolesi Spontini. Jesi, Teatro Pergolesi.

Capelli e barba neri, faccia da ragazzo, Giacomo Sagripanti, 31 anni, è un direttore marchigiano di nuova generazione. Quella dei Mariotti, Battiston, Matheuz, per intenderci. Studi seri, cordialità di tratto, piedi per terra, nessun divismo, gioia di far musica insieme. Gesto chiaro, aereo, energico ma pure dolce.Al Pergolesi ha diretto un concerto verdiano per basso e baritono – cosa rara oggi – con la Filarmonica Marchigiana, orchestra assai migliorata, specie nei violini. Tempi giusti nei brani orchestrali: Attila, Nabucco, Vespri siciliani, colori equilibrati e canto. Accompagna con intelligenza due giovani cantanti dalla bella voce, Julian Kim e Luca Tittoto nei brani a due da Attila, Falstaff, Don Carlo, Simon Boccanegra sullo sfondo delle videoscenografi e ricercate di Benito Leonori. Serata giovane e fresca con una orchestra che canta, una musica appassionante e un direttore che ci crede. Fra poco sarà a Dresda per la Cenerentola, poi in Messico, poi in giro per il mondo. Speriamo l’Italia non si perda questo talento…Il festiva jesino continua con la 46a stagione lirica culminante nel Falstaffil 20 novembre. Per informazioni: uffi [email protected].

Giacomo Sagripanti

BENVENUTO PRESIDENTE!Di Riccardo Milani. Con C. Bisio, K. Smutniak, B. Fiorello. Un montanaro disoccupato e ingenuo è presidente della Repubblica. Cast perfetto e humour. Extra con backstage, scene tagliate e foto. In italiano con sottotitoli. 01 (m.d.b.)

WORLD WAR ZDi Marc Foster. Con B. Pitt, M. Enos, D. Kertesz. Un padre di famiglia contro gli zombi, e non è horror, anzi un mix tra fantasy e guerra, ovvio negli Usa, godibile e avventuroso. In italiano e inglese. Extra ottimi. Universal (m.d.b.)

IO NON HO PAURA Di N. Ammaniti. La voce di Michele Riondino materializza quell’estate del Sud, la campagna, l’omertà dei grandi all’ombra delle persiane e la libertà di sei bambini in bici a scoprire un segreto che tale doveva restare. Emons audiolibri (g.d.)

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A t t u a l i t àTREND EVOLUTIVIdi Giulio Meazzini

Città Nuova - n. 20 - 2013 68

Ifurbi sono sempre in attività. A volte sembra proprio che la so-cietà sia quasi soffocata, alla mercé di coloro che, con inganno o astuzia, ricavano per sé vantag-

gi immeritati. Scaltro, dritto, mar-pione, intrallazzatore, imbroglione, mascalzone senza scrupoli: tante sono le parole usate per indicare chi inganna la fi ducia degli altri, per un disonesto tornaconto o perché “così fan tutti”.

In effetti, da quando nell’Ottocen-to Darwin pose il concetto di “lotta per l’esistenza e competizione per la riproduzione”, al centro della sua te-oria dell’evoluzione, l’antica espres-sione latina homo homini lupus ha ricevuto dignità scientifi ca. Secondo questa concezione non c’è niente da fare, siamo tutti solo “scimmie egoi-ste” che vivono in un pianeta domi-nato dall’aggressività. Molte disci-pline moderne si sono sviluppate proprio sulla base di questo assunto: per esempio la teoria economica di solito considera il consumatore co-me un singolo che opera razional-mente solo per il proprio vantaggio personale. Nient’altro.

Altruismo

Eppure qualcosa non va in que-sta concezione: c’è un dettaglio fa-stidioso che i biologi non riescono ad eliminare. Già Darwin se n’era accorto: è il comportamento altrui-stico, la cooperazione che, apparen-temente, va contro il proprio interes-

se egoistico. Ma perché gli uomini si aiutano l’un l’altro, a volte fi no a “dare la vita”? Sembra proprio un comportamento irrazionale, che of-fre un vantaggio a potenziali rivali. Un comportamento, tra l’altro, che sembra diffuso anche tra gli organi-smi inferiori.

Egoismo mascherato

I sostenitori della competizione ribattono che gli organismi “sem-brano” cooperare tra di loro, ma in realtà è solo egoismo mascherato: infatti, se aiuto un parente che poi genera dei fi gli, ho comunque un vantaggio perché il profi lo geneti-co dei suoi fi gli sarà simile al mio.

Quello che conta, insomma, sarebbe la sopravvivenza dei geni (del singo-lo o del gruppo o della famiglia). Da 40 anni a questa parte, il libro Il ge-ne egoista (Mondadori) del biologo inglese Richard Dawkins è punto di riferimento nel sostenere che sono i geni del singolo a competere per l’e-sistenza. Recentemente, però, l’altro grande vecchio Edward O. Wilson, fondatore della sociobiologia, nel li-bro La conquista sociale della Terra(Cortina) ha sostenuto che il van-taggio di gruppo supera l’egoismo individuale. In pratica, la lotta per la sopravvivenza avviene anche tra gruppi, e questo favorisce l’emergere di «tratti cooperativi ereditabili dal gruppo». È già una mezza rivoluzio-ne, ma c’è di più.

I FURBIE I COOPERATORI

COME LA SCIENZA STUDIA I COMPORTAMENTI SOCIALI. IDEE E MODELLI SULLA COLLABORAZIONE TRA UMANI

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Cooperazione

Sulla spinta dell’evidenza che nel-la società umana “abbonda” la colla-borazione (anche fra non parenti!), si stanno affacciando teorie completa-mente nuove. Oltre a mutazione e se-lezione naturale ci sarebbe un terzo motore dell’evoluzione: la cooperazio-ne. Sarebbe lei il vero architetto della vita, la spinta creativa ed innovativa generatrice di cultura, «il lato co-struttivo» che permette all’umanità di andare «oltre i limiti della selezione naturale» (Martin Novak, Superco-operatori, Codice edizioni). Per que-sto è così diffusa e sempre presente nella storia. Una collaborazione e un altruismo che però non sono garantiti, in quanto noi uomini siamo sempre combattuti «tra ciò che è buono per la società nel suo insieme e quel che è desiderabile per l’individuo». Insom-ma ognuno deve scegliere, ogni gior-no, se essere furbo o cooperatore, se credere negli altri ricambiando la loro fi ducia o cercare di fregarli.

Matematica e modelli

Le teorie che cercano di capire come la gente si incontra e coope-ra si basano su modelli matemati-ci capaci di prevedere l’evoluzione della società umana a seconda della sua composizione. I risultati sono interessanti: una società di coope-ratori cresce e si sviluppa, mentre una società di soli furbi prima o poi declina e muore. Dove però c’è molta cooperazione, i furbi possono infi ltrarsi e moltiplicarsi sfruttando la fi ducia degli altri. Dunque è un equilibrio instabile, con alcune re-gole e comportamenti tipici messi in evidenza dai modelli matematici elaborati da Novak:

1 – occhio per occhio. Il compor-tamento più tipico è questo: se tu mi tratti bene, anch’io faccio lo stesso

69 Città Nuova - n. 20 - 2013

Ognuno deve scegliere ogni giorno se essere furbo o cooperatore, se credere negli altri, ricambiando la loro fi ducia, o cercare di imbrogliarli.

Gius

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col prossimo che incontro; se inve-ce qualcuno tradisce la mia fi ducia, anch’io farò il furbo la prossima vol-ta. È chiaro che, per chi vuole usci-re da questa logica, le regole sono invece: “Non tradire mai per primo la fi ducia altrui” e “non ricambiare il torto subìto”. In questo modo la società potrà passare lentamente da occhio per occhio diffuso ad alcuni che perdonano, fi no a maggioranza di cooperatori e pochi furbi. Suc-cessivamente però, i furbi tenderan-no ad approfi ttare della situazione e quindi ad aumentare di nuovo, a meno che non ci siano regole che li scoraggino;

2 – il mio comportamento verso di te dipende anche dalla tua “repu-tazione”, cioè da come tu ti sei com-portato con gli altri. Il linguaggio, che distingue la specie umana dal resto della natura e permette lo scam-bio di informazioni, aiuta a conosce-re la reputazione degli altri: «Alla gente piace essere vista quando fa la cosa giusta». Non solo: «Quanto più le persone sanno di essere osserva-te, tanto più caritatevoli diventano». Quindi i comportamenti positivi an-drebbero messi in evidenza;

3 – il modo in cui la società è strutturata può favorire l’emergere della cooperazione e la riduzione dei furbi. Per esempio, i cooperato-

ri possono prevalere, anche se asse-diati da furbi, se formano gruppi in cui si aiutano tra loro. Questi gruppi, poi, «hanno maggiore probabilità di durare a lungo rispetto a quelli con-notati da comportamenti egoistici»;

4 – la felicità è più contagiosa della depressione. Infatti la vita me-dia di una “infezione” di felicità è circa un decennio, mentre è solo di 5 anni nel caso dell’infelicità;

5 – per aiutare la società a miglio-rare bisogna non tanto punire i furbi, quanto incoraggiare e premiare gli altruisti;

6 - la cooperazione è alla base della vita. Un esempio evidente è il nostro corpo, organismo complesso che si è sviluppato e funziona solo grazie alla collaborazione tra i va-ri tipi di cellule che lo compongo-no. Quando, con l’avanzare dell’età o per altri motivi, alcune cellule cominciano a ribellarsi, arriva il cancro. Un obiettivo della ricerca medica potrebbe allora essere non tanto quello di distruggere le cellule cancerose, quanto di «ripristinare la collaborazione».

Futuro

Arrivati a questo punto, di fronte alle turbolenze politiche e alla crisi economica che attanaglia la società italiana, qualche lettore potrebbe pensare che questi modelli siano solo banalità o astruserie scientifi -che. Non è così. Abbiamo visto che nella società l’equilibrio tra furbi e cooperatori è molto instabile. E siccome la vita dipende (in parte) dalla cooperazione, la nostra stessa vita intelligente è instabile. Dob-biamo dunque “aiutare” la selezio-ne naturale a far emergere sempre più la cooperazione, se vogliamo andare avanti con la nostra società e non perire.

I modelli matematici di Novak ci dicono chiaramente che “conviene” essere «generosi, ottimisti e dispo-sti a perdonare». Ci indicano che «la cooperazione rende l’evoluzione co-struttiva e senza fi ne». Addirittura ci fanno intuire che «potremmo essere sulla soglia di una profonda transi-zione nell’organizzazione sociale, paragonabile all’emergere della pri-ma cellula». A noi la scelta.

Giulio Meazzini

I FURBI E I COOPERATORIAt t u a l i t à

Città Nuova - n. 20 - 2013 70

Partendo da una base analitica, quantitativa e matematica si arriva a idee che dovrebbero sembrare altrettanto familiari a studiosi di etica laici e ai seguaci di religioni. Varie fedi sono unite dalla reciprocità della regola aurea. L’evoluzione, che a prima vista sembrerebbe presentare problemi per la fede, in realtà affi na comportamenti generosi, altruistici e forse addirittura santi.Gli insegnamenti delle religioni possono essere visti come ricette per la cooperazione. Ora, per la prima volta, alcuni aspetti di queste potenti idee sono stati quantifi cati in esperimenti, catturati in equazioni e accolti nella scienza.

Martin Novak – Supercooperatori – Codice edizioni

Il prossimo passo avanti per l’umanità

“La folla”, opera di Momò Calascibetta.

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Nella nostra società assistiamo ad una sorprendente pola-rizzazione tra pietà e spietatezza, solida-

rietà e indifferenza, e ne viviamo la contraddizione. Magnifi che opere di volon-tariato, piccole e grandi, di credenti, non credenti e agnostici; e dall’altra parte non solo violenze efferate ma anche chiusure ermeti-che e lontananze irriducibi-li e cieche, sembrano cre-scere parallelamente le une alle altre. Che cosa manca

per una riduzione e un av-vicinamento delle diversità inconciliabili?

È interessante ricorrere ai signifi cati più profondi e meno noti della paro-la “misericordia”, che è sempre stata sinonimo di compassione e pietà, e so-prattutto di perdono. Ma non è questo lo spessore

originario del pensiero che la parola contiene, pre-sente nella Bibbia e che oggi è rivelato in modo abbagliante, direi, da una frase riportata nel Dia-rio di Faustina Kovalska (29/9/1936): «Tutto quello che esiste è uscito dalle vi-scere della Mia Misericor-dia». Dunque misericordia signifi ca amore viscerale (in ebraico Rahamim).

La grande mistica non è solo portatrice di verità su-periori ai tempi, ma anche di risposte dirette o indi-rette alle domande espli-cite o implicite, o persino dissimulate o negate, che vengono formulate delle povertà spirituali dei diver-si momenti storici. Spesso infatti i tempi chiedono ciò che ignorano o respingono, e questo mi pare uno di tali casi. Dice infatti, quella fra-se, che la misericordia non è anzitutto una riparazione, un rimedio, ma è fonte di esistenza per ricchi e po-veri, sani e malati; e lo ve-diamo in mille casi e modi, soprattutto nei volti di quel-le madri angeliche che si curano totalmente dei fi gli affamati o malati o disabili.

Quanto più la miseri-cordia risplende in quei volti sofferenti, tanto più dovrebbe apparire nella vi-

ta dei sani e dei “normali”, ma spesso viene dimen-ticata o minimizzata. Ciò dimostra che la misericor-dia, riconosciuta o meno, si esprime nella vita stessa, in ogni vita, la spiega e la esalta. E allora tutti posso-no essere misericordia gli uni per gli altri.

Questo fa ben vede-re che in ogni vita, sana o malata, risalta anche la fragilità morale di ogni essere umano. Dunque vi-vere signifi ca accogliere, godere della misericor-dia nel riceverla e darla. E in conseguenza ultima la morte stessa («sora no-stra morte corporale») è il culmine dell’effusione della misericordia. Per-ciò il genio di Agostino, sottolineato da Paolo VI, ha racchiuso la sintesi del rapporto tra l’uomo e Dio nelle due parole “miseria e misericordia”. E per questo lo stesso papa scriveva nel suo testamento, citando un salmo, «Canterò senza fi ne le misericordie del Signo-re». Quelle della vita anche per chi non ne sa l’origine.

A pensarci bene, nono-stante le contraddizioni dei tempi, quale terreno comu-ne per ogni differenza è questa terra, ignota e notis-sima, della misericordia.

di Giovanni Casoli

7 1 Città Nuova - n. 20 - 2013

Vita come misericordia

C u l t u r a e t e n d e n z eAPPELLI

Come avvicinare diversità apparentemente irriducibili e cieche?

C u l t u r a e t e n d e n z e

«Vivere signifi ca accogliere, godere della misericordia nel riceverla e nel darla».

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Frugando nello scri-gno della Qabbalah, la mistica ebraica che ha avuto un’ef-fervescente fi oritura

nel Medioevo, si trova un gioiello prezioso: la Let-tera sulla santità. Si tratta d’una breve composizione letteraria, scritta in forma di lettera, sul tema dell’at-to sessuale coniugale. Nella Qabbalah non è pre-sente la visione negativa della sessualità, che aveva messo solide radici nel ra-zionalismo ebraico, ed era anche presente nell’am-biente cristiano medio-evale. In essa ricompare lo sguardo generalmente positivo proprio della vi-sione biblica, dove la di-mensione erotico-sessuale è profondamente ancorata alla dottrina della creazio-

ne compiuta da Dio, nella quale tutto è «buono». In quest’ottica l’unione fi si-ca sponsale riacquista la dignità e la purezza origi-naria.

La Lettera sulla santi-tà, probabilmente compo-sta tra il 1290 e il 1310, conobbe una larghissima

fortuna. L’autore è scono-sciuto, anche se si ipotiz-za che possa essere Yosef Giqatilla, un noto cabali-sta vissuto in Castiglia. Fu stampata per la prima volta nel 1564. Pur risen-tendo del linguaggio e della mentalità medioeva-le – e dominata dal tema

della generazione dei fi gli per perpetuare Israele nei secoli –, questa lettera è d’una modernità sorpren-dente. Per essa l’unione fi sica tra gli sposi, lungi dall’allontanare l’uomo dalla divinità, è uno stru-mento potente per richia-marla vicino alla realtà umana.

La Lettera sulla santitàè un’opera spirituale basa-ta sul concetto che il cre-dente deve santifi care ogni sua azione, quindi anche l’atto coniugale, secondo il precetto: «Santifi catevi, dunque, e siate santi, per-ché io sono Santo».

In quest’ottica, com-piere l’atto carnale si-gnifi ca accrescere la so-miglianza con Dio, la divinità dell’uomo e della donna: «Quando l’unione carnale è nel Signore, non c’è cosa santa né innocen-te che le sia superiore… La congiunzione carnale fra l’uomo e la sua donna, se è condotta nel modo giusto, è il segreto dell’e-difi cio del mondo e del suo insediamento, e con essa l’uomo diviene socio del santo, sia Egli bene-detto, nell’Opera della creazione».

La Lettera sulla santi-tà si rifà alla concezione biblica che, con una ben nota metafora, intende l’atto sessuale come co-noscenza: «Non bisogna affatto pensare che l’u-nione carnale sia di per sé qualcosa di scabroso e di brutto, anzi, quando

MISTICAdi Michele Genisio

Città Nuova - n. 20 - 2013 72

Sessualità e santità

Un gioiello della letteratura ebraica medioevale. L’atto sessuale come conoscenza

C u l t u r a e t e n d e n z e

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avviene nel modo giusto si chiama conoscenza… Ma se nell’atto non c’è grande santità, l’unione carnale non può chiamar-si conoscenza».

Il valore della cono-scenza è uno dei leitmotivdella complessa elabora-zione della Bibbia ebraica fatta dalla Qabbalah. Le cui interpretazioni – per certe versi astruse e di diffi cile comprensione – non mancano di genuine suggestioni e di profonde intuizioni spirituali di ca-rattere universale. Perno di questa concezione è l’idea secondo la quale il pensiero dell’uomo, ca-pace di accogliere in sé il divino, sia in grado di dominare la sfera fi sica e di determinarne le carat-teristiche: ne consegue la convinzione che il pen-siero rivolto al cielo sia in grado di attingere alla luce divina e che l’inten-zione dell’uomo sia per-ciò in grado di modellare la realtà.

Pertanto la Lettera sot-tolinea il potere dell’in-tenzione e dell’immagi-nazione nel favorire la qualità dell’atto coniu-gale, e la loro capacità di accentuarne il rifl esso mistico, per renderlo un momento autentico di rapporto con Dio: «Ogni-qualvolta ti unisci carnal-mente alla tua donna, non comportarti con legge-rezza... Dovrai dapprima invitarla con parole toc-canti e distensive, dovrai metterla di buon umore al

fi ne di legare la tua mente alla sua e la tua intenzio-ne alla sua, dirle paro-le per un verso invitanti al desiderio, all’unione carnale, all’amore, alla voluttà e alla passione, e per un altro che l’attirino verso il timore del Cie-lo… Conviene attrarre

il suo cuore con parole di seduzione e di grazia, oltre che con altre degne e compiacenti, affi nché l’intenzione di entrambi sia una cosa sola verso il Signore dei Cieli».

Ma la Lettera avver-te: «Se l’unione carnale avviene senza tanta pas-

sione, senza amore né desiderio, la Shekinah(presenza divina) non vi assiste». Quando invece l’atto sessuale viene com-piuto con l’intenzione rivolta al Cielo, «allora i due saranno insieme nel precetto, perché i loro pensieri saranno una cosa sola, e la Shekinah dimo-rerà in mezzo a loro».

Sebbene siano inseriti in un contesto a noi distante e risentano di espressioni datate, alcuni concetti della Lettera sulla santità riman-gono spunto di ispirazione anche ai nostri giorni, so-prattutto per quelle persone che sentono vivo il deside-rio di portare tutta la realtà umana del matrimonio nel recinto del sacro.

73 Città Nuova - n. 20 - 2013

Klimt, “Il bacio” (particolare). Sopra: Canova, “Adone e Venere”. A fronte: Chagall, “La nascita”.

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C u l t u r a e t e n d e n z e IL PIACERE DI LEGGEREa cura di Gianni Abba

Città Nuova - n. 20 - 2013 74

Femminile e maschile

Come “recensione”, pub-blichiamo parte della prefa-zione di Maria Voce, presi-dente dei Focolari: «Dodici donne, diverse per i conte-sti in cui si situano, la scelta personale, le problematiche a cui provano a dare rispo-sta. L’elemento che tutte le accomuna è un amore che non vede ostacoli, che in-tuisce soluzioni imprevedi-bili, che sa mettere in gioco la vita, che sa spingersi ol-tre. È l’amore di una madre.

«Senza dubbio la ma-ternità è elemento chiave dell’identità femminile, anche dove non c’è genera-zione fi sica. E queste storie ne sono una testimonianza eloquente. Sono storie di “madri”: in una casa fami-glia, tra le strade del Cairo, in un monastero o nella re-dazione di un giornale.

«Nei mutamenti del mondo di oggi, questa qua-lità d’amore testimoniata da tante donne come loro è segno permanente dell’A-more di Dio. E presenza di Maria, la Madre di ogni uomo, che si china amore-volmente sui suoi fi gli.

«La prerogativa di Ma-ria è aver donato Gesù agli uomini. Oggi torna a farlo in un mondo attraversato da una profonda crisi che, prima di essere economi-ca, è culturale, generata da un’incapacità di costruire rapporti veri. E anche il rapporto uomo-donna è sta-to investito in pieno da que-sta crisi. Le nostre società sembrano andare allo sban-do perché hanno rifi utato Dio e hanno perso quindi la sorgente di quell’amore che nelle relazioni è sincero e pieno dono di sé.

«È nell’unità fra la com-ponente femminile e ma-schile che si può esprimere in pienezza l’umano.

«Nella Chiesa, mi sem-bra, siamo ancora all’inizio di questo cammino e una nuova consapevolezza deve penetrare tutti e diventare prassi, anche negli organi-smi decisionali.

«Credo che in una Chie-sa che si vuole specchio delle aspirazioni dell’u-manità, la donna ha la sua funzione importante per ri-portare e mostrare, insieme all’uomo, la Bellezza e la Verità sull’Uomo».

Gianni Abba

C. CARICATO – A. BUZZETTI

Tenacemente donnePaolineeuro 13,00

Un delicato lavoro d’il-lustrazione per un’opera prestigiosa, fi nalista in im-portanti concorsi nazionali e per questo oggetto di re-cente ristampa.

Attira l’attenzione questo bel libro per bambini dai 5 anni in su, o per adulti cu-riosi un po’ poeti, anche per un titolo intrigante che gio-ca sull’equivoco geniale dei colori e dei nomi: Viola è rossa come una fragola, Ne-rina è bianca come la neve.

In un tempo che pare viaggi solo con persone determinate e forse sfron-tate, ecco sbucare in un’au-la qualunque un bambina insignifi cante, timida, che regge malamente le risate dei compagni: arrossire è per Viola la norma, deside-rare di sparire o essere un camaleonte è un sogno!

Viola “starà bene” solo quando arriverà in aula Nerina, dalla pelle bian-chissima, fragile al suo pari, perché «due bam-bine timide sono meglio di una», penserà Viola. Lei si prenderà cura del-la nuova compagna stra-niera e sarà l’unica a non ridere di lei e a correre sempre in suo aiuto!

Il fi nale è una tenera sorpresa, dalla parte dei timidi, intelligenti e sen-sibili bambini che popo-lano le nostre così uma-namente ricche aule.

Annamaria Gatti

Chi era Giulia Schucht? Una di quelle donne che, avendo scelto di non ama-re un uomo qualunque, accetta di questo ménage tutti i vantaggi e, più spes-

L. FARINA – M. MARCOLIN

Viola non è RossaKiteeuro 16,00

LUCIA TANCREDI

La vita privata di Giulia SchuchtEV Editriceeuro 20,00

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so, gli svantaggi. Nel suo caso, l’uomo a cui si era legata in matrimonio era il fi losofo, linguista e diri-gente comunista Antonio Gramsci. Giulia l’aveva conosciuto in un sanatorio alla periferia di Mosca, nel 1922, ed era stato su-bito amore. Amore che le frequenti assenze di lui, dovute al suo impegno politico nel Partito, resero più saldo e purifi cato. La fedeltà, da parte di entram-bi, a questo amore “dif-fi cile” è il tema centrale del libro. L’Autrice ama cimentarsi in ricostruzioni dell’anima, e la sfi da rap-presentata da questa don-na contemporanea vissuta all’ombra del politico sar-do era troppo stimolante per non risultare vincente.

Oreste Paliotti

«Cambiamo tutto!», scrive l’autore, giornalista appassionato di storie a lie-

to fi ne. Un libro sul perché dobbiamo essere ottimi-sti. Un manifesto d’azio-ne per cambiare il mondo attraverso tre parole: tra-sparenza, partecipazione, collaborazione. «È la rivo-luzione degli innovatori. Non la fanno riempiendo le piazze o dando l’assalto ai palazzi del potere. Ma cambiando le nostre vite: il modo in cui si fa scienza, si fa impresa, si creano po-sti di lavoro, si producono beni, si amministra la co-sa pubblica. Non sono casi isolati. È un movimento. Ci sono migliaia di star-tupper che il lavoro non lo cercano perché provano a crearselo inseguendo un’i-dea innovativa. E artigiani digitali che hanno aperto una fabbrica di oggetti sul proprio computer».

Fermi, fermi… sì, ho avuto anch’io il dubbio che Luna si faccia prendere la mano. Le storie che scandi-scono il libro, fatte di opere di ingegno che parrebbero alla portata di tutti, spesso nate da menti giovani, ci paiono «troppo belle per essere vere». Eppure, basta vedere quale movimento reale stia promuovendo il libro nel Paese, quanti ra-gazzi lo leggano con mera-viglia e voglia di attivarsi, quante serate vengano or-ganizzate per discutere di lavoro che non c’è e che po-tremmo inventare, per farsi passare ogni ragionevole dubbio. Oggi promuovere tra i ragazzi un pensiero positivo è una speranza da sostenere con ogni mezzo. Leggere per credere!

Elena Granata

RICCARDO LUNA

Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatoriLaterzaeuro 14,00

IN LIBRERIA a cura di Oreste Paliotti

SPIRITUALITÀRowan Williams, “Azione e contemplazione”, Qiqajon, euro 14,00 – Senza dimensione contemplativa la vita cristiana è incompleta. Incontri con Thomas Merton: saggi di uno dei più acuti teologi dell’anglicanesimo.

EVANGELIZZAZIONEGiovanni Nervo, “Testimonianza e bene comune”, EMP, euro 10,50 – Chiesa e scelta preferenziale dei poveri, evangelizzazione e promozione umana. Il testamento spirituale del fondatore della Caritas Italiana.

ARTE E FEDEClaudia Corti, “La croce nei primi quattro secoli”, San Paolo, euro 7,90 - Excursus storico-artistico sul simbolo cristiano per eccellenza dai primi secoli alla prima grande diffusione nell’epoca di Costantino.

TESTIMONIANZEClaudio Bagnasco (cur.), “Dato il posto in cui ci troviamo”, Il Canneto, euro 14,00 - La quotidianità dei detenuti del carcere di Marassi (Genova), voci da un mondo sommerso che torna fi nalmente alla luce.

NARRATIVACharles Péguy, “Véronique”, Marietti 1820, euro 14,00 – La grazia e la carne. La prima opera di Péguy dopo aver ritrovato la fede: vi lavorò, senza terminarla, fi no al 1914, anno della sua morte.

BAMBINILara Albanese, “Tutti i numeri del mondo”, Sinnos, euro 12,00 – Internet, computer, economia, smartphone, giochi… Un libro per chi crede che la matematica non possa essere anche divertente.

CRISI EPOCALIGuido Vignelli, “Fine del mondo?”, Fede & Cultura, euro 12,50 – Fallimento della modernità e rinascita della società. La speranza che anima la lotta per una nuova epoca cristiana passa per Maria.

STORIAAriel Toaff, “Storie fi orentine”, Il Mulino, euro 16,00 – L’universo del ghetto di Firenze, microcosmo emblematico della vita diffi cile condotta dagli ebrei italiani nei secoli passati.

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Giornata di scuola nel bosco. I leprotti guardavano un po’ spazientiti le anatrelle che arrancavano dietro

il saggio gufo Saverio. «Dove andate?», chiese l’orsetto.

«A lezione», rispose serio il gufo. «E di cosa? Posso venire

anch’io?», insistette l’orsetto. «Vieni e vedrai!», concluse Saverio.Entrarono nel bosco e gli allievi ad un suo cenno si fecero attenti e immobili, con gli occhi chiusi.Passarono alcuni lunghi minuti fatti di fruscii di foglie e di trilli di uccelli curiosi. Sembrava possibile ascoltare il battito del cuore di ciascuno! Il profumo della resina degli abeti e dei pini poi faceva il solletico alle narici allenate.Il canto goffo di un urogallo scosse la scolaresca, che spalancò gli occhi e sciolse l’incanto. «Che spavento!», protestò un leprotto infastidito. «Era tutto così bello».«Siete stupiti, vero? Avete

scoperto quanto è abitato il silenzio! Ora guardate!». I raggi del sole si erano tuffati fra i rami creando fasci di luce che ricamavano la poesia di quel momento, quando il maestro ordinò: «Attenti! C’è qualcuno che ci spia. Ma non tremate di paura, piuttosto state zitti e all’erta!».Quando dalle umide felci sbucò un cerbiatto reale, con grandi occhi neri, tutti lo guardarono con ammirazione, eccitati e felici!«Bene, per oggi basta. La lezione è fi nita, torniamo alle tane», ordinò il gufo, mentre il cerbiatto si accodava alla fi la. «Finita? E cosa abbiamo imparato?», chiese l’orsetto incredulo. «Avete imparato lo stupore», concluse gufo Saverio.Tutti fecero un cenno di approvazione, guardando l’orsetto con un po’ di impazienza.«Dovresti venire a scuola più spesso! – lo consigliò Saverio, guardandolo dritto dritto negli occhi – Abbiamo bisogno di te».

PER BAMBINI DA 3 A 99 ANNIdi Annamaria Gatti

77 Città Nuova - n. 20 - 2013

F a n t a s i l a n d i a

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«Non basta l’Africa, ora la Cina sembra si interessi anche all’Europa. Ha com-prato in effetti tre milioni di ettari di terreno (!?!) in Ucraina, una superfi cie, per intenderci, vasta quan-to il Belgio. Vuole produr-re cibo per i suoi abitanti».

Livio LiveraiViareggio (Lu)

L’espansionismo cine-se è sotto gli occhi di tutti. Approfi ttando dell’enorme disponibilità di liquidità determinata da un decen-nio di crescita al 10 per cento, sta comprando im-mense regioni nel mondo intero per poter avere ri-sorse energetiche, minerali e alimentari suffi cienti per non arrestare l’impetuoso sviluppo industriale e com-merciale che sta conoscen-do l’enorme Paese asiatico. Il timore della comunità internazionale è che questo espansionismo nei fatti si traduca in un nuovo colo-nialismo. Bisogna vigilare.

«Oggi non riesco a togliermi dagli occhi le immagini degli ultimi ar-rivati (e non arrivati) alla spiagga di Lampedusa. E mi domando perché non posso fare di più per l’u-manità. Mi sento dal lato sbagliato del mare. E mi brucia dentro la voglia di fare di più, di stare lì ac-canto a quelle persone di-sperate, in mezzo agli ulti-

mi. Fare di più, ma come? Il cuore mi porta là, in Tu-nisia, in Siria a morire con loro tra le bombe, nei Pa-esi dell’Africa più povera a cercare di aiutare queste persone prima che non ci sia più niente da fare. E mi dispero, Gesù. Mi sem-bra di assistere alla Shoah e non fare nulla, niente per evitare il massacro. Niente. Nulla. Guardare, soffrire, piangere, magari pregare. Ma non posso! Questo vuoto sei anche tu, Gesù, nell’abbandono più crudo. E amarti qui nel nulla è anche fare tutto. Sì, tutto perché in quel po-co o nulla che mi sembra di fare amo te, e davanti ai miei occhi ho sempre quei fratelli, e muoio accanto alle loro bombe, affogo con loro nel mare. E muo-io in ogni presente, davan-ti ad ogni fratello di que-sto lato del mare che cerco di amare, di capire, di per-donare. E vorrei anch’io dare alla mia vita questo senso: risvegliare l’uma-nità, sciogliere il ghiaccio dell’indifferenza, scuotere le coscienze addormentate da questo lato del mare».

Inés HernandezPalermo

«Leggo che in Francia sono 250 le scuole o ma-schili o femminili, 200 in Germania, 400 in Giap-pone e addirittura 1500 in Australia. In Gran Breta-gna, poi, nove delle dieci migliori scuole sono quelle

monogenere. In Italia con-cernono solo 3 mila alunni. Non sarebbe da sviluppare questo tipo di scuola?».

P.L.

Credo che ci sia da rifl ettere sui dati da lei proposti. Sull’onda ses-santottina, in Italia, dove quasi tutte le scuole era-no monogenere, si è pas-sati a una scuola quasi totalmente mista. Senza atteggiamenti “talebani”, sarebbero da capire bene le motivazioni positive di una scuola monogenere, così come i vantaggi di una scuola mista. Farebbe bene anche alla discussio-ne sulla cultura del genere che sta ormai invadendo il Vecchio continente.

«Il tema della prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in-detta dalla Chiesa catto-lica mette l’accento sulla cultura dell’incontro. Si torna finalmente alle basi della comunicazione, an-che quella mediatica, che ha bisogno di basarsi sulle vere relazioni umane per essere anch’essa umana».

Paolo Prini - Milano

Lei ha perfettamente ra-gione. La tecnica deve es-sere a servizio dell’umano, non il contrario. Sommersi dalle novità sconvolgenti della rivoluzione digitale, presi da tablet, telefonini e computer, ci dimentichia-mo che la comunicazione

LA POSTA DI CITTÀ NUOVAdi Michele Zanzucchi

I n d i a l o g o

Città Nuova - n. 20 - 2013 78

Espansionismo cinese

Dal lato sbagliato del mare

@ Scuola monogenere

@ Cultura dell’incontro

@

Si risponde solo a lettere brevi, fi rmate, con l’indicazione del luogo di provenienza.

Invia a:[email protected]:via degli Scipioni, 26500192 Roma

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umana ha delle regole ben precise che, se dimenticate o tralasciate consapevol-mente, minano la stessa convivenza umana. Il papa parla spesso di una cultura del dialogo e dell’incontro che sarebbe indispensabile per mantenere alto il livello di umanità della nostra so-cietà. I mezzi di comunica-zione, anche i più sofisticati, debbono tenerne conto per non diventare armi in ma-no al nemico dell’umanità, quel “diabolon” che è divi-sione.

«Credo che si stia rag-giungendo un livello gra-ve di ipocrisia nella nostra società mediatica. Guido Barilla dice che negli spot della sua ditta non proporrà mai coppie gay e si scatena un incredibile tiro al piccio-ne, accusato com’è di omo-fobia. Grave, gravissimo. Cosa ne pensate?».

Paolo Rossi - Firenze

«L’indegna e strumen-tale gazzarra suscitata

intorno alle considerazio-ni di Guido Barilla sulla famiglia rappresenta nel modo più chiaro ciò che certe lobby intendono per libertà di pensiero ed espressione. È, di fatto, una “libertà condiziona-ta”. Condizionata, ov-viamente, all’adesione ai nuovi modelli familiari che una minoranza vor-rebbe far passare come unici ammissibili. Guido Barilla sta provando sulla sua pelle quanto costi, di questi tempi, esprimersi a

favore della famiglia tra-dizionale. Questo è solo un pallido esempio di ciò che attende ciascuno di noi, se una legge, furbe-scamente presentata come anti-omofobica, venisse approvata. Allora, i “casi Barilla” potrebbero assu-mere rilevanza penale».

Ivan Devilno

Immediatamente dopo la sfortunata intervista di Guido Barilla, Buitoni, Misura, Garofalo e altre ditte concorrenti si sono

79 Città Nuova - n. 15/16 - 2013

@ Barilla e i gay

In occasione del Città Nuova day che si è svolto in 60 città italiane, alcuni lettori hanno intervistato Maria Voce, presidente dei Focolari.

Possono un giornale, un libro o un sito aiutare a far qualcosa per il nostro Paese? (Chiara, Milano, 16 anni)

Tutte le pubblicazioni del Gruppo editoriale Città Nuova sono al servizio di un’idea, quella della frater-nità universale, del lavorare per un mondo unito. Ogni rivista, ogni libro lo fa secondo il suo specifi co. In par-ticolare la rivista Città Nuova è un mezzo privilegiato perché ha la possibilità di aiutare a scoprire che esiste un mondo di persone concrete che stanno lavorando in questo senso e di cui poco si parla. Trasmettere notizie

positive, trasmettere ideali, trasmettere la possibilità di un mondo migliore già mi sembra un grande compito.

Nello stesso tempo proprio perché Città Nuova deve raccogliere la vita che c’è e farla conoscere, mi sembra che ne siamo responsabili un po’ tutti. La rivista può esprimere questa vita, raccoglie e trasmette, ha il compito di far vede-re che non è vero che tutto va male. È un mezzo di comu-nicazione, non tanto un mezzo di produzione di pensiero.

Può aiutare il bene comune dell’Italia? Certamente perché può seminare in tutto il Paese dei sentimenti che spingono ad agire concretamente. Di fronte alle tragedie, al disorientamento politico non basta fare volantinaggio o comizi nelle piazze. Un mezzo come Città Nuova, che tra l’altro non è solo la rivista stampata ma tutte le sue espressioni (libri, web, manifestazioni), ha mille possi-bilità di entrare a contatto con persone che possono es-sere aiutate ad aprirsi a questo messaggio di fraternità.

Quale il criterio di “Città Nuova” nel prendere posi-zione? (Orietta, Calabria)

Non è vero che Città Nuova non prenda posizione: bi-sogna saperla leggere. Certo, la rivista non prende parti-to per una parte, perché non è un giornale fazioso, anche se è espressione di un Movimento; vuole essere aperta a qualsiasi opera, a qualsiasi pensiero, a qualsiasi azione di bene. Riesce a mettere in evidenza tale bene proprio perché, nel prendere posizione, cerca di esprimere l’o-pinione di un corpo che insieme valuta le situazioni ed esprime un giudizio il più obiettivo possibile.

Incontriamoci a “Città Nuova”, la nostra città

LA NOSTRA POSIZIONE

@ Virtuale

[email protected]

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DIRETTORE RESPONSABILEMichele Zanzucchi

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affrettate a dire che loro, invece, sono per i gay. Ipocrisia di queste ditte, in una guerra commer-ciale in cui sicuramente la Barilla ha perso un bel po’ di clienti! Li ritrove-rà e ne guadagnerà altri. Che non si possa più nem-meno dire nulla sulla pro-pria visione della famiglia è frutto di un’intolleranza alla rovescia che lascia allibiti. Nessuno mette in dubbio il diritto di ogni persona di esprimersi per quello che è o quello che crede di essere. Ma biso-gna rispettare anche le opinioni altrui!

Un solo appunto ho da fare a Barilla: in un’epoca in cui tutti dicono di tutto, non credo che sia stata la mossa più felice esprimer-si su argomenti così deli-cati con un’intervista. Per avere una visione più am-pia del problema, vi con-siglio comunque di leg-gere l’articolo di Adriana Cosseddu e l’intervento dell’imprenditore Giovan-ni Arletti a pag. 20.

«Ho letto, tra gli altri, alcuni articoli di Giuliano Ferrara, Marcello Venezia-ni e, pur con dei distinguo, di Vittorio Messori. Tutti e tre rappresentanti di punta di un pensiero tradiziona-lista. Mi sembra che accu-sino Bergoglio di essere un uomo che sta vendendo la Chiesa alla sinistra. Cosa ne pensate?».

Paolo Rumi - Genova

Mi sembra che le cri-tiche a cui va oggetto il papa facciano parte del “sistema” da lui stesso messo in atto: la Chiesa e i suoi rappresentanti non debbono avere paura del-le critiche se queste sono legate alla proclamazione del Vangelo. Di cosa si cri-tica papa Francesco? Di desacralizzare il cristiane-simo, di strizzare l’occhio-lino alla sinistra perché la Chiesa tornerebbe a difen-dere gli ultimi e a parlare di giustizia, perché si sta-rebbe perdendo la forza della tradizione. Inviterei tuttavia a leggere nel suo insieme la grande opera pastorale messa in atto in questi sei mesi di pontifi-cato dal papa: così ci si accorgerà che il papa par-la pure di aborto, di difesa della vita e della famiglia, di matrimonio tra un uomo e una donna... Il Vangelo è scomodo per tutti.

«Scrivo con sentimenti di gratitudine per l’espe-rienza vissuta a Loppiano per l’inaugurazione della Scuola di economia civile. Già negli anni universitari, all’inizio degli anni 2000, ho cominciato a studiare il mondo dell’economia civi-le, del no profi t e il pensiero genovesiano anche grazie agli spunti di rifl essione che Luigino Bruni e Stefano Zamagni pubblicavano su Vita. Visitare quel luogo in cui l’economia del noi pre-vale sull’economia odierna

legata solo a fattori econo-mico-fi nanziari ha riempito il mio cuore di gioia. Quel luogo in cui l’economia mette al centro l’uomo con il proprio carisma capace di essere strumento utile alla realizzazione del be-ne comune. Soprattutto in questo momento storico in cui l’attuale crisi ha le sue radici nella trasformazione del sistema economico, non più basato sull’economia re-ale ma sempre più su quella fi nanziaria. Ne è emerso un sistema fragile, vuoto, che accentra la ricchezza nelle mani di pochi e scarica i co-sti sulla collettività. Il vento impetuoso, che dalla Pente-coste non si è fermato, con-tinua a travolgere la vita de-gli uomini, anche la mia».

Andrea Pastore

«Scrivo da Rosolini, ridente cittadina in provin-cia di Siracusa, la bella e greca Siracusa. Mi pre-sento: sono la sig.ra Giusi Oddo Scirè e vivo la mia laicità vera e profonda, magari in maniera imper-fetta, ma convinta. Ebbe-ne, pongo una domanda: perché chi si dichiara cre-dente e praticante, costui è solo defi ciente e cretino? Cosa avrei dovuto rispon-dere ad un’affermazione pronunciata da una mente “intelligente”: “Per grazia di Dio sono ateo”?. Non ho risposto per un’inquie-tudine dolorosa che agita-va il mio cuore».

Giusi - Rosolini (Sr)

Città Nuova - n. 20 - 2013 80

Critiche a papa Francesco

Vantarsi di essere ateo

@ LoppianoLab

LA POSTA DI CITTÀ NUOVAI n d ia log o

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«Ho visto con piacere che Città Nuova si occu-pa di un tema che in Italia mi sembra poco trattato. Fino a un anno fa ho fat-to l’architetto a Vienna e la maggior parte dei no-stri progetti erano (e sono tutt’ora) ristrutturazioni di quartieri antichi e, appun-to, di case ottimizzate dal punto di vista energetico. Da qualche anno si è ag-giunta anche la combina-zione di questi due campi, cioè ottimizzare palazzi che sono sotto la tutela delle belle arti.

«Ultimamente abbia-mo realizzato un progetto pilota, seguito anche su scala europea, che, in via elettronica, fornirà per i prossimi cinque anni da-ti sul consumo reale e su eventuali problemi tecnici nei punti esposti. Aggiun-go ancora che esiste anche una classe energetica A++, e che in Austria edifi ci nuovi devono raggiungere già ora almeno la classe B

mentre tutto va nella dire-zione di A+.

«Posso quindi dare qualche consiglio conso-lidato dall’esperienza plu-riennale, senza entrare in dettagli pur importanti:

• La cosa più redditizia è puntare sull’isolamento termico della superfi cie esterna (pareti U=0,15, fi -nestre U=0,85).

• In secondo luogo ven-gono i panelli termosolari (non fotovoltaici!) per l’ac-qua calda e per contribuire al riscaldamento.

• Bisogna far attenzio-ne alla realizzazione nei dettagli.

• Tenendo conto dell’e-nergia “grigia” della pro-duzione e dei trasporti, i pannelli fotovoltaici ancora non sono in grado di di-minuire il consumo ener-getico nella sua globalità. Le sovvenzioni alterano il quadro reale.

• Risanando singoli elementi conviene puntare sempre sulla soluzione mi-gliore: quando si cambia-no alcune fi nestre, prende-

re sempre le migliori sul mercato (vetro triplo con gas) anche se non si tocca il resto».

Franz

Gentile sig. Franz, la ringrazio per i suoi consi-gli, frutto di un’esperienza professionale consolidata. È vero, in Italia i temi am-bientali hanno poco spazio sui mass media. Ma que-sto, mi permetta, non vuol dire che l’Italia non stia facendo nulla per salva-guardare il nostro piane-ta. Anzi: si può dire che il

Belpaese ha una posizione di leadership nell’Unione europea. Lo stesso ministro dell’Ambiente, Orlando, ha affermato che «dalle rin-novabili sfruttiamo già il 12 per cento dell’energia consumata, ben oltre gli obiettivi europei su energia e clima». Il governo Letta ha inoltre prorogato gli eco bonus e le agevolazioni sul-le ristrutturazioni edilizie. Quello che però veramen-te manca, secondo noi, è l’investimento nella ricerca per trovare soluzioni an-cora più rinnovabili, per il bene di madre natura e anche nostro. E c’è bisogno soprattutto di professioni-sti come lei, aggiornati e preparati, che sanno con-sigliare la scelte green più giuste. I nostri lettori fa-ranno certo tesoro dei suoi consigli. (l.r.)

81 Città Nuova - n. 20 - 2013

Ottimizzazioneenergetica A proposito dell’articolo “Energia quasi zero” di Lorenzo Russo, apparso su “Città Nuova” n. 9/2013

RIPARLIAMONEa cura di Gianni Abba I n d i a l o g o

Soluzioni

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P e n u l t i m a f e r m a t a CURA DEL CREATOdi Elena Granata

Di api, lucciole,lombrichi e altro

L’ immagine è di quelle che non si dimen-ticano. Campi fioriti si estendono a perdita d’occhio nell’infi nita campagna cinese, e tra i campi, come fossero api, centinaia di uomini e donne con piccoli

contagocce impollinano manualmente, salendo su piccole scale, accostate agli alberi e passan-do di fi ore in fi ore. Sono scomparse le api e i contadini devono ottem-perare al lavoro d’impol-linazione in vece loro. La scena surreale è ritratta con maestria nel docu-mentario “Un mondo in pericolo” di Markus Imhoof, che racconta la moria delle api e le im-plicazioni devastanti per l’intero ecosistema. Sen-za le api, non avremo più cibo. Senza le api la no-stra stessa sopravvivenza sarà a rischio. Tornano in mente le pa-role attribuite ad Albert Einstein, «se un giorno le api dovessero scompa-rire, all’uomo restereb-bero soltanto quattro anni di vita»: a ricordar-ci che questi piccoli animali sono le sentinelle della salute del nostro pianeta. Oppure viene da pensare alle lucciole di Pier Paolo Pasolini, che scomparendo dall’agro romano hanno sancito la fi ne di un’Italia civile e della sua cultura con-tadina. O ancora ai lombrichi, esseri così umili e insignifi canti descritti con ammirazione dallo scienziato Darwin, perché, nel loro inesauribile rivoltare e vagliare la terra, rigenerano i suoli,

contribuiscono alla formazione dell’humus e al dissodamento della terra, rendono possibile la trasformazione del paesaggio.Api, lucciole, lombrichi ci raccontano di noi, di come viviamo, di come produciamo, di come la-voriamo, di come abitiamo la Terra. Raramente la nostra attenzione si posa su queste creature. Siamo soliti pensare all’uomo come all’unico

essere vivente in grado di prendersi cura delle altre creature. Entro una visio-ne titanica e un po’ pa-ternalista pensiamo solo all’uomo come custode del creato, anche quan-do ci troviamo di fronte gli effetti devastanti della sua incuria. Mentre non ci accorgiamo di quan-te siano le creature in natura che si prendono cura di noi e che con il loro incessante lavoro ci consentono di abitare la Terra.E se fossimo invece noi le «mosche chiuse nella bottiglia» di cui parla lo scrittore Raffaele La

Capria, incapaci di vedere quello che ci acca-de attorno, di comprendere le relazioni tra gli elementi della natura? Facciamo fatica, stan-do nella bottiglia, a capire cosa ci sia fuori, non riusciamo a intravvedere l’uscita, forse perché la «trasparenza del vetro ci inganna e ci dà l’illusione di stare fuori». Solo uscendo dalla bottiglia scopriremo il nostro posto in questo mondo meraviglioso e i modi per pren-dercene cura.

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www.cittanuovaeditrice.it

CUSTODI DEL DONO DI DIOITINERARIO PER VIVERE L’AVVENTO E IL NATALE 2013 IN FAMIGLIA

OPUSCOLO

ALBUM

POSTER

SALVADANAIO

ENCICLOPEDIA DEI SANTI / TERZA APPENDICE

TESTIMONI DELLA FEDE NELLE CHIESE DELLA RIFORMA

ENCICLOPEDIA DEI SANTI / LE CHIESE ORIENTALI/1 (A-GIO)

ENCICLOPEDIA DEI SANTI / LE CHIESE ORIENTALI/2 (GIP-Z)

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Chiedo che i dati personali da me forniti vengano utilizzati esclusivamente da Città Nuova della P.A.M.O.M. per presentare iniziative editoriali. Acconsento al trattamento e alla comunicazione dei miei dati personali (Informativa legge 675/96) per ricevere ulteriori informazioni e proposte. Se intende rinunciare a tale possibilità, barri questa casella.

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papa Francesco

Custodi del dono di Dio2013 | A V V E N T O | N A T A L E

per una risposta a te, nostro fratello,profugo a Lampedusa, Otranto...dalla Siria e da altri conflitti.

Page 84: Anno LVII | n. 20 | 25 ottobre 2013 |  · 8-9-10 novembre – Palermo Dicembre – Catania Gennaio - Trento Per saperne di più vai allo speciale CN7 su cittanuova.it e su nexteconomia.org

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