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2 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

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soffocare per un soffio di libertà

un cmpleanno all’insegna del tangoun tuffo nel futuro

chi è #alexfromtarget?

contro i falsi miti di progresso

la camminata della mia vita

la buona scuola |“sono solo carezze”

franca rame: una vita per il teatro

capitano, mio capitano

bisogna dire sempre quello che si pensa?

doctor who

non è un paese per vecchi

il giovane favoloso

mad soundsthe artpop ball tour

big brother is watching you

colazione da tiffanynoi, i ragazzi dello zoo di berlino| novecento

scappato

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CHI È CAUSA DEL SUO MAL

don abbondio timeless

nelle tasche della gente

l’oroscopo

alla scoperta di nerdville

retro copertina

di Letizia Foschi

L’editoriale

La redazione dell’oblòredattori | Cleo Bissong IIIB, Alice De Gennaro IIB, Bianca Carnesale IIIA, Giulio Castelli IIID, Letizia Foschi IIB, Margherita Ghiglioni IC, Giulia Caramella IB, Giorgia Mulè IE, Alice de Kormotzij IIIA, Martina Locatelli VA, Beatrice Penzo IIIE, Francesca Petrella VC, Rebecca Daniotti IIF, Cristina Isgrò IIIA, Valeria Galli IIIA, Federica Del Percio IIIB, Julia Cavana IIID, Marta Piseri IIIE, Giulia Casiraghi IVC, Tatiana Ebner IF, Davide Recalcati IB, Olivia Manara IF, Filippo Lagomaggiore VA, Giulia Pasquon VA, Sara Sorbo IIIB, Marco Recano VA, Federico Placanica IV C, Linda Del Rosso IIC, Isabella Marenghi IF, Emma Cassese IB, Maria Chiara D’Agruma ICDISEGNI DI | Olivia Manara, Federico Placanica, Cleo BissongDIRETTRICE | Alessandra Venezia VBCapo redattore | Beatrice Sacco IVDDocente referente | Giorgio GiovannettiCollaboratori esterni | Emanuele Caporale IVD, Alessandro Matone IIIC, Stefano Biasoni IIIC, Isadora Seconi VB, Giovanni Bettani IIIDimpaginatori | Beatrice Sacco, Rebecca Daniotti, Bianca Carnesale

28 top e flop

Buongiorno carducciani! Siete pronti per il Natale? L’albero, i regali, il calen-dario dell’avvento e, ov-viamente, sedersi a tavola a mezzogiorno e alzarsi in-

torno a mezzanotte dopo aver mangiato per un reggi-mento! Eh già, il Natale è proprio una bella fes-tività, e ci si accorge anche su-bito di quando sta per arrivare: in televisione ci sono “Il Grinch”, “Una poltrona per due”, “Mamma ho perso l’aereo” e tutti quei film che si associano in qualche modo al Natale. Anche la pubblicità dell’Ikea, che arriva un mese prima per darti tutto il tempo necessario per andare a fare un giro nel negozio e comprare cin-quanta di quelle lampadine gommose a forma di fantasmino e per met-terle in giro per la casa alla vigilia. Insomma, cose molto natali-zie. Cosa mi sto dimenticando? Ah già, i compiti. Tutti gli anni ci si

prepara un programma per suddivi-dere equamente i compiti durante tutti i giorni delle vacanze e poi, in qualche modo, si trova sempre una buona scusa per evitarli: “No, è il 27, il giorno dopo Santo Stefano, non

posso studiare oggi!” oppure “Ca-volo, è il 2 di gennaio e sono in-dietrissimo… giuro che da domani

studio” fino ad arrivare al cinque mattina a studiare come de-gli invasati e a fare versioni su versioni senza nemmeno ricordarsi l’alfabeto greco. Ma questa è la tipica vita di uno studente qualsiasi.

Il sette si torna a scuola, e que-sto sì che è un trauma. Parto-no i corsi di recupero delle materie, le attività pomer-idiane, gli sport, lo studio frenetico… e in tutto ques-to bisogna anche trovare

il tempo per respirare. L’unico lato positivo è che si restringe la distanza dalle

vacanze estive e, ahimè, dagli esami per i maturandi; ma di-ciamocelo, prima finisce meglio è. In fondo, dopo il Natale, non si

fa altro che aspettare l’estate, ma mi auguro che prima del suo arrivo avrete letto le pagine di questo numero!

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3 Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Attualità

la demagogica scuoladi Giulia Pasquon

Presuntuoso il titolo, simpatico il font, amichevole il linguaggio, layout che ricorda il mio sussidiario delle elementari. A prima vista, questa nuova

riforma è uno smacco per il cittadino, al quale viene presentata la proposta come una roba di marketing (cit. Prof. Giovannetti), in cui vengono esposti i concetti salienti in grassetto (in una riforma decido io cosa è saliente, grazie) ai quali reagire con un banale e svilente “I like” o “I don’t like”.

Ho un brividino quando vedo evidenziate in prima pagina le parole democrazia, innovazione, sviluppo, equalità... Demagogia per allocchi. Ma mi faccio coraggio e vado oltre il font (che comunque è importante), e dopo una lettura completa mi sento in grado di dare pro e contro riguardo al contenuto, concentrandomi sull’aspetto che è piu di mia competenza in quanto studente.

I problemi della scuola esistono (docenti precari, stagnazione burocratica e, a volte, formativa/culturale, piano formativo debole per lingue straniere e altri che ne derivano), dunque ben venga che il governo si rimbocchi le maniche e sia propositivo e ottimista, meglio la presunzione di riuscire e agire piuttosto che essere guidati da pigrizia e inerzia.

Si propone l’inserimento di discipline nuove come computing, economia e più lingue straniere, ma attenzione: l’inserimento di nuove discipline è un’arma a doppio taglio dal punto di vista formativo: infatti più materie significa meno tempo per approfondirle. Dal mio punto di vista di studentessa di liceo classico, il greco e il latino sono formazioni a cui non rinuncerei e che richiedono apporofondimento, andando contro la, a mio avviso cieca in questo caso, opinione comune: servono, come servono matematica fisica e filosofia, sono “strutturatori” del cervello, studiare queste discipline aumenta le capacità cognitive, lo dicono innumerevoli

studi, e lo dico io che l’ho vissuto.

Dunque è gradito il computing come supporto alla matematica, in quanto permette di concretizzare una materia che spesso risulta difficile perché troppo astratta, ma senza perdere di vista l’importanza della capacità di concentrazione e di studio approfondito. Inoltre si insiste sul metodo di insegnamento CLIL -Content and Language Integrated Learning- (che a me piace definire Content and Language Impressionistic Learning) per l’inglese, che nei fatti consiste in uno “studio” della lingua senza grammatica (magia?), o meglio, cercando un approccio intuitivo di apprendimento. Ma è lampante l’ossimoro intuito/apprendimento. Io, personalmente, non ho mai tratto grandi vantaggi da questo metodo, se non in situazioni disperate, ad esempio in paese straniero, ma non certo per studiare la letteratura o la lingua stessa.

Il Professor Sponton soleva dire che siamo una “generazione multimediale”, il che può essere un bene in certi

ambiti, ma non certo nello studio. Non sono d’accordo sul fatto che il liceo debba prevedere tante materie quante sono quelle dei vari ambiti accademici per dare allo studente gli strumenti per capire cosa vuol fare da grande, per questo è bene che ci siano attività extracurricolari, ma lo studio di base non può essere dispersivo, altrimenti viene meno la formazione di capacità di studio e di concentrazione che prima si impara più è facile da applicare.

Dunque è bene che si muovano le acque. Sono molto ottimista nei confronti del cambiamento perché tutto sta in piedi grazie a un equilibrio dinamico e tutto ciò che è fermo e inerte muore, ma la consapevolezza che ogni sistema, ogni riforma avrà sempre qualche falla non giustifica che sia fatta in modo superficiale o frettoloso: il governo, forse, dovrebbe premurarsi di ascolatare i pareri di chi è dentro la scuola per valutare cosa fare dal punto di vista didattico, essendo il loro pane, e non con metodi statistici ridicoli come scegliere tra “I like” o “I don’t like”.

commento alla proposta di riforma del governo renzi

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4 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

Attualitàsoffocare per un soffio di libertà, la grecia di ieri e la grecia di oggidi Isadora Seconi

Le nostre lezioni sono incentrate sulla Grecia antica un giorno sì e l’altro pure. Nonostante ciò, raramente viene fatto un cenno o un collegamento alla situazione

della Grecia attuale, a cosa accada nei territori abitati dagli autori che analizziamo sui banchi di scuola, a come si sia evoluta la storia che studiamo. Dal 2008 lo Stato ellenico è stato colpito da una fortissima crisi economica, tale da costringere la Grecia a dichiarare il rischio di bancarotta a fine 2009. Le manovre di austerity del governo hanno dato origine a forti tensioni politiche e sociali in tutto il Paese, con manifestazioni, scioperi e occupazioni. Il 6 dicembre 2008 uno studente di 15 anni, Alexis Grigoropoulous, si stava recando con degli amici ad una festa nel quartiere di Exarchia, ad Atene. I ragazzi passarono oltre una pattuglia di polizia, scherzando fra loro sulla presenza delle forze dell’ordine, ma gli agenti reagirono eccessivamente, cominciando a inveire contro il gruppo. Un poliziotto sparò tre colpi ad altezza uomo e un proiettile raggiunse Alexis al petto, uccidendolo. L’avvenuto venne inizialmente giustificato dai media e dal governo come legittima difesa della polizia in una situazione di scontro fisico, tuttavia emerse un video che provava la testimonianza dei presenti, ovvero che era avvenuto l’assassinio ingiustificato di un giovane incolpevole. Con l’omicidio di Alexis scoppiarono nell’intera Grecia disordini e manifestazioni che chiedevano giustizia e cambiamento ma ebbero anche inizio politiche statali di forte repressione. Sono passati sei anni e nel resto dell’Europa questa notizia è stata ricoperta dagli innumerevoli fatti di cronaca che leggiamo ogni giorno. Ad Atene Alexis non è stato dimenticato, soprattutto non è stato dimenticato da Nikos Romanos, l’amico e coetaneo che quella sera ha assistito impotente al suo assassinio, che l’ha trascinato sul marciapiede dopo gli spari, che ha tentato inutilmente di soccorrerlo, che ha portato il suo feretro sulle spalle. Nikos, a quindici anni, al processo per la morte di Alexis dichiarò al giudice: “Il mio amico non è stato ucciso, è stato

giustiziato a freddo”. Dopo il funerale dell’amico se ne andò da Atene e fece perdere le sue tracce per due anni. Nel febbraio 2013 Nikos è stato arrestato con l’accusa di furto e di terrorismo, quest’ultima poi rivelatasi infondata. In carcere ha subito trattamenti repressivi durissimi, come dimostrano le foto del suo volto reso quasi irriconoscibile da tagli e lividi. In un comunicato affermò che non avrebbe sporto denuncia ma che sperava che i maltrattamenti nei suoi confronti sensibilizzassero l’opinione pubblica e aprissero gli occhi alla popolazione sulla situazione degli arresti e delle carceri. Ora Nikos ha 21 anni e, nonostante il segno che gli ha lasciato quella sera di dicembre di sei anni fa, nonostante le percosse ricevute durante l’arresto, nonostante la condanna ad anni di carcere, ha deciso che, come afferma lui stesso, “vuole continuare a vivere”. Ha deciso di voler riprendere i suoi studi e si è applicato per gli esami di ammissione all’università per la facoltà di amministrazione delle aziende sanitarie, qualificandosi tra i primi. In novembre le autorità carcerarie hanno respinto la sua richiesta di permessi per frequentare l’università, nonostante l’articolo 58 del codice di detenzione affermi che, a norma con le indicazioni europee sul diritto allo studio, i detenuti possono usufruire di licenze per

presenziare alle lezioni e agli esami. Per questo motivo il 10 novembre Nikos ha iniziato uno sciopero della fame, spiegando le sue ragioni e le sue speranze in una lettera aperta intitolata: “Soffocare per un soffio di libertà”. Dopo aver perso 17 chili, è stato ricoverato in ospedale ma ha persistito nel voler continuare la sua lotta. Ad Atene, 10000 persone sono scese in piazza per solidarietà con Nikos, ma anche per ricordare Alexis, per il diritto allo studio e per denunciare le condizioni della Grecia. Sugli striscioni si legge: “Giustizia per Alexis, futuro per Nikos”. Dopo più di un mese di sciopero della fame, dopo più di un mese di lotta e difficoltà, il 10 novembre, Nikos, insieme al movimento greco, ha vinto la sua battaglia. E’ riuscito a far valere il diritto allo studio e a farsi concedere i permessi scolastici, non solo per sé ma anche per altri 200 detenuti che si erano visti rifiutare la richiesta. “Ognuno può arrivare ad una risposta ai dilemmi e fare le proprie scelte. Sia gli spettatori seduti in poltrone isolate che conducono una vita castrata, che gli attori degli eventi che modellano il corso della storia”, ha affermato Nikos nel comunicato in cui dava inizio alla sua protesta. La sua risposta a tutte le vicende che ha subito e vissuto è stata essere protagonista e lottare. È riuscito nel suo intento.

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5 Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Un compleanno all’insegna deldi Martina Locatelli

Per i suoi settantotto anni Papa Francesco non si sarebbe mai aspettato un regalo così. Lo scorso mercoledì pomeriggio, all’ingresso di piazza

S. Pietro, migliaia di appassionati tanghèri provenienti da tutta Italia, Europa e Argentina hanno indossato le scarpe da ballo e hanno danzato per festeggiare il Papa in uno spettacolo mozzafiato durato due ore. Il tango è una danza che non può annoiare, perché la sua caratteristica fondamentale è l’improvvisazione e anche chi non se ne intende sa apprezzare la rapidità dei passi e la complessità delle pose. E’ un ballo argentino, ma le sue origini sono liguri. Infatti, furono gli emigranti genovesi dell’Ottocento, che, una volta trasferitisi in Sud America, contribuirono in buona parte alla diffusione della musica e del ballo argentino. Il tango è una danza che il Papa Bergoglio, lui stesso figlio di emigranti liguri, apprezza molto, come ha esplicitamente dichiarato nel libro- intervista “Il gesuita” . L’idea di creare un grande flash mob

in suo onore è nata quest’estate da un gruppo di ballerini professionisti di Ravenna, che condividendo la stessa passione del Papa e pensando a una grande dimostrazione di street- tango, hanno creato su Facebook il gruppo Un tango per Papa Francesco a cui hanno aderito in moltissimi. Tra i vari generi del tango il prescelto è stato la milonga, che è quello più popolare e dal ritmo marcato e sostenuto, adatto al clima di festa della ricorrenza. Un’iniziativa spontanea, autogestita e di liberissima adesione che davvero si può definire la più grande milonga del mondo, se si pensa che in piazza del Risorgimento a Roma erano presenti tra i 7.000 e gli 8.000 appassionati di tango, e che contemporaneamente anche a Milano si è ricordato il Papa; in piazza Duomo, dalle 16.00 alle 18.00, si sono esibiti nella milonga tangueros di ogni età, ripresi dai fotografi e dal telegiornale. Danza e affetto insieme hanno unito ballerini italiani e stranieri giunti nella capitale e nel capoluogo lombardo per qualcosa di speciale e mai visto prima. L’iniziativa aveva come scopo anche quello di

avvicinare il pubblico a un genere artistico con una storia e una forte tradizione. Il tango è nato come un ballo popolare nei sobborghi di Buenos Aires ed è emblema della fusione di ritmi e tradizioni di popolazioni diverse (nativi argentini, emigrati italiani, francesi, ebrei, ungheresi e slavi). Il canto e il ballo erano momenti di sfogo e condivisione delle sofferenze e delle aspirazioni umane e rappresentavano l’integrazione tra le comunità più povere ed emarginate e l’identità multietnica dell’Argentina dell’Ottocento. Spesso musica e contenuto non corrispondono; le canzoni possono anche essere tristi ma la musica è comunque intensa, ritmata e allegra. Il tango è sempre stato uno strumento per esprimere sentimenti di gioia e di dolore, ma soprattutto per manifestare la libertà degli uomini. E questa importante condizione umana è espressa nella danza, perché i ballerini non seguono uno schema fisso, ma inventano continuamente, possono invadere lo spazio del partner con le gambe, che sono libere di muoversi e di creare intrecci coreografici. Il tango è azione ma anche ascolto: è vero che è l’uomo a guidare, ma rimane essenziale che vi sia armonia e gioco di coppia, che la donna abbia lo spazio per creare e rispondere. Il tango rappresenta l’incontro di tante culture e mercoledì ha dimostrato di essere, ancora una volta, un momento d’incontro tra migliaia di persone.

tango

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6 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

Attualità

di Alice De Kormootzij

Tutti, almeno una volta, abbiamo desiderato una macchina del tempo, forse spesso per scoprire che cosa la vita avesse in serbo per noi nel futuro.

Per noi uomini il futuro delle nostre vite è ancora oscuro, ma non possiamo affermare lo stesso riguardo alla nostra Terra, per la quale una macchina del tempo esiste; è sufficiente un tuffo nei pressi di Ischia, immersione che rivela un futuro assai inquietante, che purtroppo presto sarà presente. Il mare che circonda l’isolotto del Castello Aragonese di Ischia è, infatti, un vero e proprio laboratorio naturale, che consente ai biologi marini di osservare quale sarà la possibile evoluzione dei mari del mondo. Si tratta di una finestra unica al mondo sul futuro climatico degli oceani; vi sono altri tre luoghi in Papua Nuova Guinea e uno in Giappone con caratteristiche simili, ma non identiche. Le acque oceaniche, che costituiscono il 70% della Terra, assorbono ogni anno circa 25 tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera e questo processo naturale sembra aver subito una brusca accelerazione negli ultimi decenni, innescando il progressivo aumento dell’acido

carbonico nei mari, l’abbassamento del loro pH verso una maggiore acidità e la profonda alterazione di tutta la chimica marina. Le acque dell’isolotto del Castello Aragonese vengono acidificate naturalmente da camini vulcanici sotterranei che pompano costantemente anidride carbonica nell’acqua, alterandone la composizione chimica. È dunque possibile osservare gli effetti a medio e lungo termine degli organismi a esposizioni crescenti di anidride carbonica. Dall’inizio dell’era industriale, il pH degli oceani ha subito un abbassamento di 0,1 unità, mentre un ulteriore abbassamento di 0,3-0,4 unità è previsto entro l’anno 2100, con valori che passeranno dalle attuali 8,1-8,2 unità alle 7,7-7,8 unità, corrispondenti a una debole acidità. Questa trasformazione sta avvenendo troppo rapidamente e non lascia tempo agli organismi marini di adattarsi a un ambiente diventato improvvisamente ostile. Le ricerche condotte dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e dalla Hopkins Marine Station presso la Stanford University hanno evidenziato una diminuzione della biodiversità di flora e fauna con l’aumentare dell’acidificazione. La vegetazione è pressoché azzerata e

sono comparse delle specie aliene che colonizzano rapidamente gli ambienti dove attecchiscono. In particolare, vi sono solamente alghe filamentose e organismi privi di guscio calcareo, che viene eroso dall’acidificazione. Addirittura, i numerosi gamberetti che si nutrono delle alghe acidificate cambiano sesso per adattarsi all’ambiente modificato. La variazione di pH influenza la competizione tra gli organismi, sfavorendo quelli calcificati a crescita più lenta, come le alghe calcaree, a vantaggio delle alghe a tallo molle, a crescita più veloce e favorite anche dalla minore presenza di erbivori a guscio calcareo, come molluschi e ricci. Di conseguenza, tutte le dinamiche dell’ecosistema marino variano in una reazione a catena che modifica l’intero ecosistema terrestre. Tutto ciò avrà come prima conseguenza una diminuzione della biodiversità e una omogeneizzazione degli organismi. Non solo si rabbrividisce al pensiero di questo futuro incombente, ma ci si vergogna, poiché è indiscusso che la causa prima della lenta morte del Pianeta sul quale viviamo siamo noi stessi che, invece di alleggerire il carico di una nave quasi affondata, lo aumentiamo senza sosta.

un tuffo nel futuro

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7 Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

chi è #alexfromtarget?di Cristina Isgrò

Questa è la domanda che la maggior parte del “popolo di twitter” si è posto il 4 Novembre 2014, quando l’hashtag #AlexFromTarget è stato

twittato da più di 250.000 persone provenienti da tutto il mondo, conqui-standosi il primo posto nelle tendenze mondiali come “hashtag più twittato” per più di 24 ore consecutive. Tutto è partito da una foto-grafia scattata ad Alex Lee, un sedicenne di bell’aspetto, mentre lavorava come commes-so in uno dei negozi Tar-get (nota c a t e n a di grandi magazzini a m e r i -c a n a ) . Q u e s t a foto, che m o s t r a v a il ragazzo con addosso la divisa rossa di Target e la targhetta con il nome in vista, ha scat-enato il delirio in rete: adolescenti di tutto il mondo hanno iniziato a parlare di lui, us-ando il famoso hashtag sopracitato, e hanno reso questo semplice ra-gazzo texano una celebrità del web. Alex è infatti passato dall’avere 144 followers su Twitter ad averne 765.000, dall’essere un ragazzo nor-male all’essere invitato a trasmis-sioni televisive, come quella della famosa conduttrice Ellen DeGeneres. Nel giro di un giorno tutto il mondo ha parlato di lui, senza però un appar-ente motivo, e lui per primo, quan-do è stato intervistato, non poteva credere a quello che fosse successo. “Un collega mi ha mostrato la foto dicendomi che ero famoso: ho pen-

sato fosse un falso” ha raccontato. Ma Alex Lee non è né il primo giovane ad essere diventato famoso sul web senza un motivo particolare, né sarà l’ultimo; il web infatti ha modificato il concetto di “fama”: non serve più avere talento, l’unica cosa che conta è la cosiddetta audience. Per audience si in- tende il

numero di persone che viene a con-oscenza di un individuo, cioè il pub-blico che questo riesce ad ammali-are con ciò che fa online. Prendiamo l’esempio di un video: diventa virale quando ha molte visualizzazioni, quindi più gente lo guarda, più pos-sibilità ci sarà che il creatore diven-ti famoso, di qualsiasi cosa si tratti. Solitamente le persone che hanno ot-tenuto fama online possiedono carat-teristiche ben precise, e una di queste è l’essere di bell’aspetto. Infatti il motivo principale (se non l’unico) che ha reso famoso Alex Lee e molti

altri è proprio il loro “bel faccino” e quell’aria da ragazzi della porta accan-to, che fanno impazzire le ragazzine. Personalmente ritengo la questione squallida e triste; ormai il talento pas-sa in secondo piano, superato da ele-menti futili come l’aspetto esteriore. Oggi le persone diventano famose dopo aver postato video insensati o volgari sul web; tutti sono ossessiva-

mente attratti dal mondo della fama online e cercano in

ogni modo di farne par-te. Il fatto spaven-

toso è che, pur di ottenere popo-

larità in rete, molti sareb-bero capaci di perdere la propria d i g n i t à . Ma d’altra p a r t e , c o m e dar loro torto?! E’

senz’altro un mondo

affascinante: è quasi incredi-

bile pensare che una fotografia scat-

tata ad un bel ragazzo sia riuscita a fare il giro

del mondo in meno di 24 ore e ad essere vista da migliaia di occhi.

Di questo episodio si possono analiz-zare aspetti negativi e positivi: grazie a internet le barriere fra un paese ed un altro sono state abbattute; tutte le notizie, importanti o futili che siano, navigano ad una velocità impressionante e ciò permette di ve-nirne a conoscenza quasi “in diretta”. Nelle nostre tasche non abbiamo un semplice telefonino: abbiamo una fin-estra sul mondo, della quale dobbiamo far uso con assennatezza; questo sig-nifica anche essere capaci di non esag-erare e di non mettere a repentaglio la propria immagine solo per inseguire la “dea del successo”.

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8 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

In Francia a gennaio 2013 il ricorso all’interruzione di gravidanza è passato da eccezione a diritto e ora, a quarant’anni della legalizzazione dell’aborto, ci si prepara a discutere una risoluzione

parlamentare nella quale si definisce tale pratica un “diritto fondamentale”. Sulla stessa linea è anche l’Onu che in molti documenti ufficiali elenca l’aborto tra gli ingredienti essenziali della salute femminile. In Belgio, così come in altri Paesi europei, il suicidio assistito e l’eutanasia sono legali, quest’ultima, secondo una risoluzione votata dal parlamento belga il 13 febbraio scorso, non conosce limiti di età. Oltre al diritto alla morte a diffondersi nella cultura e nelle legislazioni europee è un non meno inquietante diritto al figlio, che con una indefinita fecondazione eterologa e con la pratica dell’utero in affitto soddisferebbe il desiderio di genitorialità di coppie sterili o omosessuali. È questa l’Europa della liberté, egalité, fraternité? Un’Europa dove è considerato normale gettare embrioni nella spazzatura in una fredda e spietata indifferenza di prassi e legalità? Dove assistiamo di fatto ad una selezione eugenetica nei confronti di bambini affetti da sindrome di down o di albini? Dove la risposta alle sofferenze umane è da cercare nel procurare e ricevere morte? Un’Europa che riduce il corpo della donna in oggetto e i bambini in prodotti per soddisfare i desideri di ricche coppie? Lo scorso 27 giugno è nato in Canada il piccolo Milo, il bambino che potete vedere nella foto; civilmente ha due padri, i signori Nelson e Barone, secondo natura no: la madre, ignota, definita “surrogata”, è anch’essa visibile, così come il suo sguardo verso la creatura che ha appena partorito, portata in grembo per nove mesi ed ora così violentemente e amorevolmente strappata. Elton John racconta spesso che il piccolo Zachary (due anni, ottenuto tramite la pratica dell'utero in affitto) ha passato giorni interi a piangere cercando il

seno materno. È giusto privare un bambino, la creatura più indifesa, del suo legame originario, quello con la madre, per il desiderio di genitorialità di ricche coppie naturalmente impossibilitate? È giusto che una donna riceva 20/30mila euro, che un organo venga affittato, che un figlio venga comprato? A Gujarat (India) esiste una vera e propria “fabbrica di bambini”, una città in cui ricchi occidentali vengono, pagano e si portano via il prodotto, pardon bambino. L’India è la “scelta low cost” per la Gpa (nel giro, “gestazione per altri”): con 20mila euro ti prendi la creatura. Le alternative sono Ucraina e Russia (il prezzo gira tra i 30mila e i 70mila), quelle americane Stati Uniti e Canada (100mila). La pratica dell’utero in affitto mette in luce solo una conseguenza dell’attuale deriva culturale e sociale in cui ci troviamo, riconducibile alla perdita di dignità della persona umana. Questa deriva si riscontra in modo più drammatico nell’aborto, diritto ormai sancito da tutti i paesi europei. Ogni volta che si parla di aborto subito vengono elencati i problemi di natura economica, familiare e sociale per cui la donna non può affrontare l'impegno di diventare madre, cioè di mettere al mondo e crescere un figlio, e viene ribadito il suo indiscutibile diritto a sopprimere il nascituro prima che diventi un problema. Invece, raramente qualcuno considera il dritto del bambino a nascere, anche se il diritto alla vita dovrebbe essere l’unico e vero diritto non rinunciabile, senza il quale crollerebbe tutta la scala dei diritti. Possiamo già parlare di bambino perché l’embrione non è altro che un essere umano ai primi stadi della vita, infatti, appena poche ore dopo la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo, sono attivati ben 46 geni. Ciò significa che l’embrione ha, da subito, la direzione del proprio progetto di vita, la sua individualità, ovvero tutte le caratteristiche per diventare quello che ciascuno di noi oggi è, e quindi per

essere considerato un essere umano. Non bisognerebbe poi dimenticarsi che l’aborto è un atto molto sofferto dalla donna e che non è vero che tutto finisce in sala operatoria. Sarebbe doveroso, invece di considerare l’aborto una cosa normale e sponsorizzarlo, mettere a disposizione tutte le risorse affinché la donna possa superare le difficoltà e diventare madre, veder nascere invece che morire il proprio figlio. E quando a richiedere la morte è il paziente stesso, cosa propone la società odierna? Nulla, semplicemente accondiscende alla richiesta, con una pratica che di fatto introduce quel diritto sancito nell’aborto, il diritto di togliere la vita. Per quest'azione è stato coniato il termine di “eutanasia”. “Dolce morte”. Come se la morte di una persona che affronta la propria sofferenza fino in fondo, che vive nella malattia con coraggio fino alla fine sia una morte “cattiva”. L'idea che sta alla base di questa pratica aberrante è che di fronte alla sofferenza tutto ciò che si può fare è smettere di vivere, invitare al suicidio il malato invece che curarlo. Ma chi è che stabilisce quando una vita è degna o no di essere vissuta? In cosa consiste la dignità o meno della vita umana? È umano uccidere una persona malata (anche se è lei stessa a richiederlo)? Significativa è la frase tratta dal film Patch Adams: “Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia”. C’è un ultimo punto da toccare riguardo a questi movimenti culturali definiti progressisti ma che in realtà azzerano la dignità umana e ci riportano indietro di millenni, ed è il tema dei matrimoni gay o più in generale della gay culture. Oggi chi crede che il matrimonio sia l’unione tra un uomo e una donna e che i bambini debbano crescere con una madre e un padre è tacciato di omofobia, di stupidità reazionaria e per questo, quando verrà approvata la legge Scalfarotto contro l’omofobia,

Attualità

contro i falsi miti di progressodi Giulio Castelli, Alessandro Matone e Stefano Biasoni

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9 Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

potrà persino andare in galera con buona pace della libertà di pensiero e di espressione. Le battaglie per i “nuovi diritti” sono in realtà frutto del diffondersi della cultura gay, dell’esaltazione dell’omosessualità come se fosse un pregio, qualcosa di cui andare orgogliosi. Tuttavia queste tendenze sono sbagliate e vanno affrontate per quello che sono: l’omosessualità non è una malattia genetica ma una scelta spesso condizionata dall’ambiente esterno che rimane comunque negativa perché rinnega la natura, la relazione naturale di amore tra un uomo e una donna, ovvero il modello archetipo da cui proviene innegabilmente ogni singolo individuo, e su cui si fonda non solo ogni relazione sociale, ma l’esistenza stessa. Il problema è molto serio e tocca in profondità la realtà umana. L’ideologia gay infatti pretende di negare il dato naturale dell’essere uomo o donna, per cui la differenza sessuale non è più qualcosa di oggettivo ma è frutto di scelte personali e mutabili. Si vuole eliminare la differenza attorno a cui gira il mondo dai secoli dei secoli, una differenza naturale ineludibile contro

la quale le uniche armi sono quelle della menzogna, dei genitori uno e due, dell’orgoglio gay, delle felici famiglie arcobaleno, falsità appunto, perché il generico termine “genitore 1” non elimina la realtà: chi può eliminare il padre e la madre? Purtroppo le conseguenze di questa deriva culturale sono evidenti in tutti i paesi che hanno adottato legislazioni volte alla regolamentazione delle unioni omosessuali. Infatti dalla concessione di alcuni diritti si è passati all’equiparazione di coppie gay ed etero e quindi all’allargamento del concetto di famiglia. Così è avvenuto che, in nome sempre di quell’ideologia iniziale per cui la mascolinità e la femminilità si scelgono e non sono insite per natura, è stato tolto al bambino il diritto al papà e alla mamma, ovvero alle sue radici, a quel rapporto naturale ineludibile che lo ha generato. In ultima analisi è caduto il concetto originario e autentico di matrimonio e famiglia, perché se per contrarre matrimonio e per “fare famiglia” basta che ci sia l’amore, le conseguenze sono quei bambini che vedono riconosciuti come genitori due donne lesbiche e l’uomo che ha

permesso alla coppia di avere un figlio col proprio seme. Se questo è il futuro che vogliamo la strada è il cieco progressismo che abbiamo descritto fin ora, l’alternativa invece è quella indicata da Papa Francesco nel discorso all’Unione Europea, quando ha esortato l’Europa a riaffermare “gli ideali che l'hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona” contro la terribile concezione dell’uomo come oggetto, “come ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.” Ecco allora che torniamo all’esortazione iniziale per un Europa più umana,“che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili” diventando nuovamente “punto di riferimento per tutta l'umanità”.

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II10

Attualità

la camminata della mia vitadi Margherita Ghiglioni

3 novembre 2014. Nik Wallenda, trentacinquenne americano appassionato di equilibrismo, percorre la distanza tra due grattacieli di Chicago camminando su

un filo senza reti di protezione. La fune, lunga 138 metri, è tesa tra la Marina Tower West e il Leo Burnett Building. La performance dura sette minuti, durante i quali tutta Chicago rimane col naso all’insù e col fiato sospeso, guardandolo appoggiare, passo dopo passo, i piedi sulla fune. Non soddisfatto dell’impresa, subito dopo, con gli occhi bendati, prosegue la performance tra due torri del Marina City a un’altezza di 179 metri da terra. In un’intervista rilasciata ai giornalisti dichiara: «Sono nato per esibirmi davanti a un pubblico. Quando ho sentito per la prima volta sessantacinque mila persone che urlavano per me, è stato incredibile». Nik è nato e cresciuto in una famiglia di acrobati che per generazioni ha portato nel sangue l’amore per le vertigini. Basti pensare a suo nonno, Karl Wallenda, il quale, durante un’esibizione, perse l’equilibrio schiantandosi al suolo per via del vento che aveva scosso eccessivamente la fune. Quella del tre 3 Novembre non è l’unica performance mozzafiato di Nik: infatti nel 2012 percorre 642 metri di fune sospeso sopra le cascate del Niagara, definendo il percorso “la camminata della mia vita”. Pare

evidente, allora, che questo paragone indichi la perseveranza e l’instancabile ricerca dell’impossibile che scotta sotto la sua pelle. Il continuo voler superare se stessi sta a rappresentare il desiderio di mettersi alla prova e di migliorarsi, e, come ogni buona medicina, ha i suoi effetti collaterali. L’ideale sarebbe raggiungere ogni giorno un nuovo record personale, ma senza perdere il senso della realtà e senza mettersi in pericolo. Da questo punto di vista, però, Nik si può ancora definire consapevole dei rischi che corre: infatti due giorni prima della traversata sul Gran Canyon (2012), durante i preparativi, rivolge un commento alla sua famiglia in un’intervista: «Darò un abbraccio a mia moglie e ai miei figli e dirò loro che ci vediamo fra poco». Scruta il panorama che da lassù pare solamente uno spigolo di cielo. Le calzature che indossa sono le stesse che ha sempre usato nelle performance: gliele ha cucite sua madre con grande cura, in modo tale che il piede aderisca il più possibile alla fune. Osservare Chicago dall’ultimo piano della Marina Tower West ha qualcosa di affascinante, oltre alle vertigini, che da sempre lo attraggono, anche per l’atmosfera di tranquillità che l’altezza crea. Quello è un luogo isolato dal traffico della città. In questo momento si trova in una bolla in grado di ovattare il vocio della folla trepidante e di amplificare la voce dei

suoi pensieri e del battito cardiaco sempre più incalzante. Un attimo dopo appoggia la pianta del piede destro sulla corda robusta, i suoi polmoni si riempiono e svuotano d’aria con ritmo regolare. Lo sguardo fisso sul palazzo di fronte: il suo traguardo. A un tratto una figura bianca, quasi trasparente, simile a una nuvola, si materializza a pochi metri davanti a lui nascondendogli la visuale del Leo Burnett Building. Un po’ scosso continua a camminare fino a raggiungere la strana figura: pare un fantasma. Con un attimo di esitazione mette a fuoco l’immagine, credendola un difetto di vista, ma poi la riconosce: suo nonno. Cammina sulla sua stessa fune, anche lui con l’asta tra le mani per mantenere l’equilibrio, è di spalle e barcolla appena, un passo, un altro passo… Nik continua a camminare con lo sguardo fisso sulla figura che la sua mente genera. Poi quel momento, quell’attimo di tragica perdita del controllo: una folata di vento e il nonno che precipita giù, tentando di aggrapparsi con un dito alla fune. Con l’orrore negli occhi Nik continua a camminare: il fantasma non c’è più, ma sa per quale motivo gli si è presentato. Un pensiero fugace alla famiglia e poi la piena consapevolezza di cosa quell’impresa possa comportare. Tutto questo lo sa bene, ma per un sogno si lotta e si rischia, perché a volte è meglio morire vivendo i propri sogni, che desiderarli tutta la vita.

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 11

cronache carducciane

LA BUONA SCUOLA

Fiato sul collo e minuti con-tati. Come due corridori si preparano a partire per una gara di velocità, così il Pre-side e il professor Giovan-netti si preparavano al di-

battito tenutosi durante la plenaria di venerdì 21 novembre. “La scuola non può star ferma, necessita di un con-tributo” testuali parole del Preside, che apre l’assemblea esponendo la sua posizione in merito al documento La Buona Scuola. Il suo discorso si svilup-pa in più punti. I principali sono tre: la stabilizzazione del precariato, che consiste nell’ammissione in ruolo di tutti i docenti precari, l’introduzione alla valutazione del singolo docente, che comporta un giudizio meritocrati-

co dell’insegnante, e il problema della sostenibilità economica della scuola, che si potrebbe risolvere ricorrendo a finanziamenti di privati. “Lo Stato vu-ole convincerci che stiamo lavorando insieme per un progetto importante sulla scuola. Ma è vero? No.” Sono le parole del discorso antitetico di Gio-vannetti, che si concentra su un punto chiave, ossia di come questa riforma sia finalizzata a un’operazione di mar-keting. A partire da questa premessa il professore sostiene che nel complesso il documento liquidi in modo superfi-ciale la maggior parte dei temi trattati. Concludiamo sostenendo la nostra opinione a riguardo. Concordando con il professor Giovannetti, pen-siamo che il documento in questione

sia stato ideato fondamentalmente per illudere le persone, facendo loro credere che ci sia una forte intenzione da parte del Governo di rinnovare la vecchia scuola, basata su un modello tradizionalista. Il messaggio che noi percepiamo dietro a pagine e pagine colorate è di finzione e di sfarzo. È un’inutile esaltazione di un progetto lungi dall’essere realizzato.

21 novembre: si avvicina la Giornata internazion-ale contro la violenza sulle donne e il Carducci non ne vuole proprio sa-pere di farsi trovare im-

preparato. In questa data si è in-fatti tenuto un incontro illuminante condotto dalla sociologa Lia Lom-bardi - presidente dell’associazione Blimunde - con la partecipazione dell’attrice e doppiatrice Francesca

Perilli. Alla fine dell’assemblea sono riuscita a rubare qualche minuto per una breve intervista a Lia, che ancora ringrazio per il tempo concessomi.

Come mai ha deciso di dedi-care il suo tempo a questa causa? Essendo una sociologa mi occupo prevalentemente delle disuguaglianze di genere e anche delle conseguen-ze legate alla salute; scrivo e faccio ricerche, perché in fondo questa è

anche una for-ma di giustizia, una forma di gi-ustizia sociale.

Oggi il femminis-mo viene tal-volta visto come un movimento che punta esclu-sivamente ad at-tribuire il potere alle donne, lei cosa ne pensa? Il femminismo è stato ed è an-cora un insieme di movimenti

politici: si può essere più o meno d’accordo, ma si tratta in ogni caso di movimenti che bisogna rispet-tare; perché sono questi i movimenti che dagli anni Sessanta a oggi hanno portato all’acquisizione di diritti sul-la carta. Gli stessi diritti che ti per-mettono di dire: “Posso denunciarti; poi magari non lo faccio, ma posso”.

Ha qualcosa da dire alle nos-tre lettrici (e lettori)? Che dire: sensibilizziamoci. Scriv-ete su queste tematiche, organiz-zate gruppi, anche sulle discrimi-nazioni di genere. Fate conoscere cosa accade in Italia e nel mondo, perché, quali sono le radici, anche nelle normali attività scolastiche.

Perciò questo articolo è per te. Sì pro-prio per te. Che stai leggendo e sei una madre che ancora giustifica gli schiaffi del marito. Un ragazzo che ogni notte si addormenta ascoltando come ultima cosa la madre che pi-ange e che si sveglia vedendo come prima cosa i lividi e i tagli sul suo viso. O un uomo che sta usando questo stesso giornale per colpire la moglie.

“SONO SOLO CAREZZE”

di Beatrice Sacco e Rebecca Daniotti

di Alice De Gennaro

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

Il 25 novembre scorso si è celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Simbolo di questa giornata negli ultimi trent’anni è stata Franca Rame, attrice e intellettuale italiana, protagonista di numerose lotte

sociali e culturali, a Milano e in tutta Italia. Franca nasce il 18 luglio del 1929 a Parabiago. È figlia d’arte: padre, madre e fratello sono attori di teatro. Lei stessa muove i primi passi sul palcoscenico che è appena una bambina, interpretando piccoli ruoli nella compag-nia familiare. Giovanissima sposa Dario Fo e fra i due si instaura un’intesa che non è semplicemente affet-tiva ma anche lavora-tiva. Accomunati dalla passione per il teatro, fondano una compag-nia “Compagnia Dario Fo-Franca Rame” gra-zie a cui ottengono i primi successi. Franca partecipa attivamente al Sessantotto attra-verso la fondazione di collettivi, Nuova Scena e La Comune, con i quali presenta spetta-coli nelle scuole occu-pate, nelle fabbriche, nelle case lavoro e nei circoli ARCI. Negli anni settanta inizia il suo im-pegno nel movimento femminista con la lotta per l’approvazione della legge sull’aborto e quella sul divorzio. Franca interpreta anche dei testi scritti da lei, come per esempio “Tutta casa”, “Grasso è bello!” e “La madre”. In questo clima di violenza e rivolte, Franca si trova ad essere vittima di uno stupro da parte di esponenti dell’estrema destra. è la sera del 9 marzo 1973 quando Franca viene costretta a salire su un furgoncino bianco, violentata e mal-trattata perché è di sinistra, perché è intel-lettuale e soprattutto perché è donna. La grandezza di Franca Rame è il suo immenso

altruismo e la sua capacità, tipica dei veri artisti, di rendere universali alcuni pensieri e alcune esperienze personali: nel 1981 de-nuncia pubblicamente la violenza recitando un suo monologo: “Lo stupro”. Diventa così un punto di riferimento per tutte le donne che si trovano a vivere situazioni simili. Il processo si conclude solamente nel 1998 con l’assoluzione degli imputati. In quello stesso anno Biagio Pitarresi, militante dell’estrema destra, rivela che l’ordine dello stupro partì da alcuni ufficiali dei carabinieri e nomina alcuni degli stupratori. L’accusa viene subito

smentita, sebbene lo stesso generale dei ca-rabinieri affermi che la notizia dello stupro fu accolta con brindisi e festeggiamenti. Alle umiliazioni della violenza si aggi-ungono quelle dei “mezzi sorrisi” dei poliziotti, degli sguardi indiscreti delle persone e del fallimento della giustizia. Una donna, il cui corpo viene violato da uomini che non sono uomini ma bestie, si sente priva-ta della sua libertà e della sua intimità. Fran-ca è l’esempio che una donna, anche dopo un’esperienza così dolorosa, non perde la dig-nità. Lo dimostra proprio trasformando la sua

tragedia personale in capolavoro teatrale, su-perando lo sgomento e la vergogna, metten-do nero su bianco gli avvenimenti e trovando la forza di rivivere ogni sera l’incubo, con la certezza però di trovarsi in un luogo sicuro, nel suo tempio: il teatro. È facile immaginare che Franca dopo l’accaduto sia stata forte-mente sostenuta, dalla famiglia, dagli amici, da un compagno solido qual è Dario Fo, ma è altrettanto facile pensare che la passione per il teatro sia stata per lei determinante nel processo di elaborazione della violenza. Un gesto ancora una volta sociale. Rappresent-

ante di tutte le donne, portando la sua denun-cia sulla scena, Franca lancia un messaggio di speranza. Sembra dire che le donne non sono state sconfitte, sono in piedi e resistono. La vita di Franca Rame ha avuto tre grandi costanti: l’impegno sociale, sostenuto fino agli ultimi giorni, come lo stesso figlio ricorderà al funerale, l’amore per Dario e il teatro. Il gior-no del suo funerale Dar-io recita un monologo inedito scritto da Fran-ca, una rivisitazione dell’Antico Testamen-to, le cui parole desc-rivono bene quella che

era la visione della vita di Franca: “Se devo essere sincera, Signore, a me dell’eternità non interessa più di tanto. Invece l’idea di conoscere, sapere, avere dubbi mi gusta as-sai. Il fatto che mi toccherà morire, davanti a tutto quello che ci offri in cambio, la possibil-ità di scoprire e di conoscere vivendo, mi va bene anche quello. Pur di aver conoscenza, coscienza, dubbi e provare amore, ben ven-ga anche la morte!”. E’ il 29 maggio 2013. Ciao Franca.

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CulturaFRANCA RAME: UNA VITA PER IL TEATROdi Alessandra Venezia

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Da sempre gli uomini si chiedono quanto convenga e sia giusto dire sinceramente ciò che si pensa. Molte volte infatti capita di trovarsi davanti a un bivio: bisogna decidere se tacere o

esprimersi liberamente. Si potrebbe in un primo momento pensare che l’unico com-portamento da seguire sia parlare sempre e comunque in tutta onestà. Ciononostante, sarà capitato a tutti di accorgersi che il saper tacere in determinate circostanze è tutt’altro che una spregevole capacità. Ritengo infatti che talvolta sia opportuno non dico negare i propri pensieri, ma perlomeno tacerli. A vincolarci sono le conseguenze che le nostre parole potrebbero avere nei con-fronti dell’interlocutore: poiché temiamo di offendere o urtare la sua sensibilità, ci risul-ta a volte difficile esprimerci liberamente. Ciò che voglio sottolineare è il valore stesso che, più o meno consciamente, diamo alla facoltà di saper tacere. Quante volte, per esempio, un’amicizia si basa sulla complicità dei diretti interessati? Quante volte gli amici sopportano i nostri difetti senza farceli pesare? E quante volte lo facciamo noi? Insomma, il segreto di un rapporto sereno tra due per-sone sta anche nell’esser in grado di tacere

delle piccolezze che, se venissero sempre fatte notare, lo renderebbero più pesante. Con tutto questo non intendo però sostenere che si debba essere falsi con chi ci sta at-torno; anzi, il sapersi tranquillamente accet-tare senza che uno faccia necessariamente pesare all’altro ogni suo minimo difetto è a mio avviso una forma di maturità con la quale si vuole rendere il più pacifica pos-sibile la relazione con una persona cui si tiene molto: insomma, si tacciono piccole cose per preservarne altre più importanti. Pur essendo fermamente convinta che nessuno abbia la “ricetta” perfetta che ci mostri quando e come parlare, sono altret-tanto sicura che ci sia qualche interessante dritta da seguire affinché si possa opportu-namente filtrare ciò che si pensa. Un buon metodo, secondo me, è quello di ricorrere alla legge dei tre setacci, una sorta di teoria esposta in un breve racconto tratto dal libro “I viaggi di Socrate” pubblicato nel 2006 dallo scrittore statunitense Dan Millman: “Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse: Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico? Un momento - rispose Socrate. - Pri-ma che me lo racconti, vorrei far-ti un test, quello dei tre setacci. -I tre setacci?- Ma sì, - continuò Socrate. - Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene

prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero? - No... ne ho solo sentito parlare... - Molto bene. Quindi non sai se è la ver-ità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dir-mi sul mio amico, è qualcosa di buono? - Ah no! Al contrario- Dunque, - continuò Socrate, - vuoi rac-contarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setac-cio, quello dell’utilità. E’ utile che io sap-pia cosa mi avrebbe fatto questo amico? - No, davvero. - Allora, - concluse Socrate, - quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo? Se ciascuno di noi potesse medi-tare e metter in pratica questo piccolo test... forse il mondo sarebbe migliore.” In conclusione ritengo che il dire sempre ciò che si pensa sia innegabilmente una qualità ammirabile ma che, nel momento in cui vi si ricorre in maniera assoluta ed indiscrimina-ta, divenga controproducente e, proprio per questo, anche meno ammirabile. Insomma, per esser realmente consapevoli del rap-porto che si ha con se stessi e con gli altri, bisogna parlare e tacere seguendo il buon senso e la propria coscienza.

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BISOGNA DIRE SEMPRE QUELLO CHE SI PENSA?di Maria Chiara D’Agruma

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco. Chi meglio del professor Keating, interpreta-to da Robin Williams rappresenta questa frase di Montaigne? Quasi non si distinguono la figura reale

dell’attore da quella dell’insegnante di letteratura inglese nell’austero col-legio maschile di un’ America conform-ista e perbenista degli anni Cinquanta. A causa di questa identificazione – ol-tre che di altre interpretazioni come quella del deejay militare di Good Morning, Vietnam (1987) o del senza-tetto Perry ne La leggenda del re pes-catore (1991) – il suicidio dell’attore nello scorso agosto colpisce in modo particolare. E’ come se a sceg-liere di morire sia stato anche il pro-fessor Keating, il professore che molti di noi (non tutti) vorrebbero, un professore che invita -anche fi-sicamente- i suoi allievi a vedere il mondo da an-golazioni diverse, che trasmette la passione per il sa-pere e per la vita. Keating si de-scrive con alcuni versi di Frost: Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno bat-tuta. Ed è per questo che sono diver-so. L’orgoglio della diversità, del cer-care la propria vocazione, nonostante tutto e tutti, è il centro del suo inseg-namento: il film mostra le storie di un gruppo di adolescenti che ridanno vita alla Setta dei poeti estinti (Dead poets society – titolo originale del film)– di cui faceva parte Keating quando era studente. La scelta più radicale viene compiuta da Neil Perry, che realizza il proprio sogno di diventare attore, re-citando nel ruolo di Puck del Sogno di una notte di mezz’estate, all’insaputa del padre, che non avrebbe mai

permesso al figlio di deviare dal desti-no per lui stabilito. Il film ha dialoghi e soprattutto monologhi di Williams, con lunghe citazioni poetiche e primi piani intensi. La poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore: sono queste le cose che ci tengono in vita: è una delle prime cose che Keating dice ai suoi allievi. Nel film, accanto ad un’ importante presenza della parola, non manca un sapiente uso della fotografia e della musica. In molte scene descrit-tive, dove la voce è sostituita dalla musica,lo sfondo è quello dell’edificio scolastico, che si contrappone con la sua immobilità, alle azioni dei raga-zzi, incombendo quasi su di loro. La

storia è narrata in ordine cronologico, scorrendo parallela al cambiare delle stagioni: l’inizio dell’autunno, quan-do i ragazzi parlano col professore si contrappone all’inverno in cui, nello stesso cortile, i ragazzi corrono nella neve per raggiungere Tod, compagno di stanza di Neil, distrutto dal suicidio dell’amico, in una sorta di circolarità scenografica. Nella scena del suicidio Neil è dapprima solo un’ombra -con una precisa ripresa dall’opera shakes-pereana- ma la sua carnalità è seg-nata dal corpo che si denuda, da quel corpo adolescente che non diverrà adulto. La scena al rallentatore,prima

quella del suicidio, poi quella della scoperta del corpo da parte del pa-dre, occupa un tempo reale , come se la realtà della morte, provocata da adulti incapaci di comprendere il sogno e la passione,interrompesse la finzione cinamatografica. Morto Neil , cacciato Keating, si ricomincia a studiare letteratura con un grafico, che riduce la poesia ad una somma di fattori, escludendone la vera comprensione. Ma sarà proprio il timido Todd ad avere il coraggio di alzarsi e salutare il professore, appel-landolo col nome di Capitano, salendo sul banco. Altri lo seguiranno in questo omaggio che è anche un’assoluzione

per il profes-sore: ma non pochi resteranno chini sui banchi, nell’inquadratura che li vede come anonimi, a fronte dei primi piani dei raga-zzi che si alzano. Il Capitano saluta i suoi ragazzi ed esce di scena, con un sorriso e lo sguardo consape-vole: consapevole di non aver sapu-to trasmettere ad uno di loro la forza per resist-ere, consapevole

anche che altri non dimenticheranno la passione, il carpe diem. Non è fac-ile vivere in saggezza e con profon-dità succhiare il midollo della vita per non scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Neil ci ha provato e ha perso; anche Robin William alla fine ha scelto di uscire di scena con un gesto estremo. Lo vorrei ricordare con i versi di Shakespeare, quelli che recita Neil, degno epitaffio di ogni attore: Se noi ombre vi siamo dispi-aciuti /immaginate come se veduti /ci aveste in sogno, e come una visione /di fantasia la nostra apparizione. Grazie Capitano, grazie.

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CINEMACAPITANO, MIO CAPITANOdi Bianca Carnesale

OMAGGIO A ROBIN WILLIAMS: L’ATTIMO FUGGENTE

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Spesso ci si domanda per quale ragione un fenomeno mediatico diventi tale, quali siano le cause del suo successo, quali contenuti lo rendano amato da un così ampio

pubblico. Abbiamo voluto analizzare da questo punto di vista la celebre serie TV britannica prodotta dalla BBC “Doctor Who”. La trama non gode di un primo impatto gradevole a tutti, perciò ci si chiede come sia diventata tanto nota. Vorremmo condividere le soluzioni che abbiamo trovato durante un’analisi al riguardo. Prima una premessa: la serie “Doctor Who” è conosciuta principalmente come serie televisiva fantascientifica più lunga mai prodotta, che compie quest’anno 51 anni. La serie è stata però interrotta più volte: nel 1989 sembrò persino che non avrebbe più rivisto la luce. Nonostante un episodio pilota del 1993, fu realizzato un tentativo solo nel 2005, il primo episodio di quella che viene chiamata la “nuova serie” di “Doctor Who” e che tutt’oggi è in corso. La nostra esperienza si restringe solamente alla Nuova Serie, e quindi sarà di quella che tratteremo. La trama di base è semplice: il Dottore –come lui stesso si fa chiamare- è un alieno dall’aspetto a umano che viaggia per il tempo e lo spazio con la sua astronave, che ha le sembianze di una cabina della polizia britannica degli anni ’60. In questa analisi iniziamo concentrandoci sui compagni del dottore, ragione a nostro parere principale del successo della serie: sono infatti da esso spinti,

seppur inconsciamente o per necessità, ad agire in maniera straordinaria. Il Dottore potrebbe essere visto da un classicista come un Socrate che estrae la sapienza e la ragione celata negli animi delle persone. I compagni del dottore sono spesso persone del tutto ordinarie, indaffarati con i problemi di tutti i giorni: trovare un lavoro stabile, passare gli esami del proprio corso di studio, sistemarsi e simili. Hanno tutti quanti il desiderio istintivo di fuggire, da qualcuno o da qualcosa, desiderio tipico di chiunque sia insicuro riguardo al proprio futuro e desideri solo un po’ di tempo in più per non pensare. La serie ha preso piede in Italia principalmente dalla quinta stagione che trova come Dottore Matt Smith –infatti a ogni sua rigenerazione (sostituzione di tutte le cellule quando si è sul punto di morire) corrisponde l’assunzione di un nuovo aspetto fisico- e la cui sceneggiatura è stata scritta da Steven Moffat. Ci sono non poche differenze tra lo stile di Davies -principale sceneggiatore dalla prima alla quarta stagione della nuova serie- e il suo, come per esempio la personalità dei vari companion, i cui tratti vengono delineati dai due in maniera molto diversa, e il modo nel quale la trama mantiene continuità negli episodi. Molto elaborata è anche la creazione di una miscela di più generi cinematografici: se volete una storia d’amore, intrisa di fascino e passione tanto da sciogliere il cuore anche al più inespressivo degli esseri umani, non vi mancherà,

e verrà trattata con attenzione, a volte ricevendo un primo piano, altre svanendo. Ma se anche il solo pensiero di una trama simile vi fa stare male (come alle sottoscritte), il problema non si presenta, risolto dalla quantità e qualità di avventura, fantascienza, azione e suspance presente per tutta la serie. Altro elemento causa di successo della serie è il carattere del protagonista: Il Dottore è un misto di simpatia, mistero e intelligenza, un concentrato di potenza la cui capacità di viaggiare nel tempo e nello spazio non costituisce l’interezza del suo personaggio. Gli attori che lo interpretano, rigorosamente Britannici, sono spesso rinomati per le innumerevoli interpretazioni (principalmente teatrali) e la professionalità che li caratterizza: dal genio comico di Christopher Eccleston all’espressività di David Tennant, dalla spontaneità di Matt Smith alla serietà di Capaldi. Il Dottore non è mai lo stesso, continuamente in evoluzione, e a questo punto non è neanche più alieno quanto umano, nei sentimenti e in ciò che ne deriva. Quindi, fra le varie possibilità analizzate, la conclusione è la seguente: il motivo per cui è impossibile abbandonare la serie una volta iniziata è la continua evluzione degli avvenimenti e dei personaggi. Ogni cosa si sviluppa e genera conseguenze i cui risultati si possono vedere tranquillamente saltando da una stagione all’altra, e questo, a nostro parere, è fantastico.

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di Alice De Gennaro e Cleo Bissong

DOCTOR WHO

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II16

CINEMA

di Bianca Carnesale

Il primo film selezionato dal nostro cineforum è “Non è un paese per vecchi” (USA 2007): una scelta non facile perchè i fratelli Coen “o li si ama o li si odia”. Di certo non sono registi i

cui film possano lasciare indifferenti. In “Non è un paese per vecchi “i Coen sirifanno, a volte in modo quasi letterale, all’omonimo romanzo di McCarthy (“No country for Old Man”, 2001, vincitore del premio Pulitzer), col quale i Coen hanno affinità evidenti: McCarthy racconta un’America al limite del grottesco, che ha perso -o non ha mai avuto- i valori sui quali ha costruito i propri miti, un’America raccontata prima nella “Trilogia della frontiera”, in cui i personaggi attraversano l’America del Sud fino a spingersi in Messico in un crescendo di violenza e, quasi a conclusione di un epopea negativa, ne “La strada”, dove ormai l’umanità è ridotta a pochi sopravvissuti, circondati da morte e distruzione. La trama del film è riassumibile in breve. Pur nel complicarsi della vicenda, un reduce dal Vietnam, Ileayn Moss, che vive con la giovane moglie in una roulotte ai confini col Messico, trova nel deserto un furgonicino circondato da cadaveri e una valigetta contenente due milioni di dollari. Nonostante la sua onestà, la stessa che lo conduce a portare da bere ad uno dei messicani morente, decide di tenersi il denaro, consapevole dei pericoli ai quali andrà incontro: dovrà fuggire, lasciando la moglie, inseguito dai narcotrafficanti e soprattutto dal sicario Anton Chigurh (interpretato

da Javer Bardem, già visto in Fargo). In una narrazione che scorre veloce tra uccisioni e riflessioni, lo sceriffo Ed Tom Bell (interpretato da Tommy Lee Jones), cerca di salvare Moss e di fermare Chigurh. Ma Chigurh è un demone che non può essere fermato -nel film e nel libro ha una serie di tratti che lo rendono quasi irreale, come lo stesso strumento, grottesco, col quale uccide- e neppure lo sceriffo, con la sua strenua difesa del confine tra il Male e il Bene, può fermarlo. Anche se si tratta di un film in cui la violenza è al centro, violenza aggravata dall’essere legata al mito del denaro, la visione dei Coen si concentra su un’umanità che si è lasciata sedurre dalla ricchezza, andando incontro alla morte, superando quella zona di frontiera che solo il vecchio sceriffo è rimasto a difendere coi suoi valori così alieni dalla realtà in cui agisce. Anche da un punto di vista cinematografico, i Coen non si concentrano sull’evento violento, ma, come nell’uccisione della moglie di Moss, mostrano con minuzia il dialogo che ne precede la morte e lasciano quasi solo intuire la sua uccisione. Man mano che il film avanza, la figura e le riflessioni dello sceriffo acquistano importanza, conducendo lo spettatore ad identificarsi con l’eroe ormai più che solitario, consapevole di aver perso la propria battaglia. Significative le inquadrature parallele di Chigurh/Bell, il primo mancato incontro tra Chigurh e Moss, presentatate con montaggio alternato, l’incontro tra i due in cui il sicario è solo un’ombra, che uccide Moss. Il titolo stesso rimanda ad

una connotazione del termine “vecchio”comprensibile solo se si guarda il film attraverso gli occhi dello sceriffo Ed Tom Bell, che si sforza di perseguire un’ideale di giustizia, negato da una realtà caotica, il cui unico filo conduttore è la sete di ricchezza. Vecchio, però, è inteso anche come contrapposizione al mito americano, tutto rivolto alla modernità, fin dalla nascita: la critica di McCarthy (e quindi dei Coen) sembra mostrarci che le fondamenta stesse del mito americano non sono mai state “per vecchi”. La conquista del west, la caccia all’oro, gli avventurieri, i pionieri, i cowboy che hanno reso grande l’America hanno di fatto sempre avuto come movente essenziale la ricchezza, non la giustizia: lo sceriffo coi suoi ideali di giustizia è sempre stato vecchio in questa terra di confine, tra un mondo di valori ormai lasciato alle spalle, e un nuovo mondo senza ideali se non il denaro. Chigurh, il fantasma, il sicario grottesco, con la sua arma abnorme, è la raprresentazione di una modernità deformata da un desiderio di ricchezza che ha perso ormai qualsiasi connotato umano, così come lo sceriffo diviene il simbolo di un’umanita ormai morente nei suoi valori. Un discorso che in fondo non si limita all’America, ma coinvolge tutta la modernità, nella sua folle corsa al profitto, noncurante dell’ambiente, dell’uomo, del futuro. Accorrete numerosi al prossimo cineforum!

NON È UN PAESEPER

VECCHI

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Una colata lavica sta scendendo fluida sulle sponde dello “sterminator Vesevo”, il Vesuvio; ma guardando attentamente, non c’è solo lava, l’occhio

dello spettatore si posa su una macchia gialla situata sui versanti del vulcano, piccola ma pur sempre visibile: la ginestra, il “fiore del deserto”. Con questa immagine tragica che, tuttavia, non può far altro che affascinare, il regista Mario Martone mostra la canzone-testamento, La Ginestra, di un poeta che è stato un gigante per la letteratura italiana moderna: Giacomo Leopardi. Questa è l’ultima scena del film, il soggiorno napoletano di Leopardi, oltre a rappresentare l’opera che maggiormente incarna gli ideali della sua poetica. Tuttavia credo sia necessario ripercorrere le tappe più salienti della biografia per comprendere fino in fondo le sue poesie. Il film, infatti, verte principalmente sulla vita del letterato originario di Recanati, che egli stesso definisce “natio borgo selvaggio”, a causa dell’ambiente familiare soffocante che non gli permette di esprimersi. Perciò matura l’idea di allontanarsi da Recanati per svolgere l’attività di poeta e ciò sarà possibile grazie all’influenza del suo amico Pietro Giordani. L’aspetto però che mi ha colpito profondamente è che il regista napoletano non ha tanto mostrato le fasi artistiche della produzione letteraria, quanto la dimensione interiore del poeta stesso. Nel corso del film, a mio parere, è più facile notare le sofferenze sentimentali che la pubblicazione o l’approfondimento di qualche opera. Il nostro letterato recanatese soffre pene d’amore, prova un forte sentimento non ricambiato per l’amica di infanzia Silvia, alla quale dedica la canzone A Silvia, e per l’affascinante nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti, alla quale dedica il Ciclo di Aspasia. Queste non corrispondenze amorose incidono profondamente sia sulla psiche che sulla produzione letteraria

del poeta, improntata alla malinconia e alla depressione; infatti sia A Silvia che il Ciclo di Aspasia, anche se sono componimenti dedicati alle donne amate, tuttavia si concludono con visioni pessimistiche della vita. Pare proprio che il Leopardi sia un istrione silenzioso che uccide e analizza con lo sguardo, esprimendo disagi esistenziali; l’attore che lo impersona, Elio Germano, s’ immedesima perfettamente nel ruolo, ben mostrando i dolori fisici e interiori del poeta. La sua è un’interpretazione fatta di mezzi toni e mezze tinte, capace di svelare i segreti di un uomo che, anche se afflitto da vicende personali spiacevoli, ha prodotto poesie tra le più famose nella letteratura, nostra ma non solo. Spesso egli viene classificato come esponente del Neoclassicismo, vista la sua amicizia con il neoclassicista Pietro Giordani e i frequenti studi sui latini, ma è davvero cosi? Quando leggiamo una poesia di un animo così sensibile e osservatore della realtà che lo circonda, che percezioni ci vengono trasmesse? Non certo emozioni legate al culto degli ideali eroici né al rigore morale, forse sotto sotto nei suoi componimenti serpeggia un sentimento romantico, come è evidente ne La quiete dopo la tempesta e La sera del dì di festa. Sicuramente però il poeta mostra una

dimensione tanto sensibile ed umana ne L’Infinito, reso bene nel film grazie alla fotografia di Renato Berta che mette in luce i chiaroscuri di una personalità a volte contraddittoria, “un animo irrequieto” lo definisce Mereghetti, noto critico cinematografico. In questo film, infatti, noi vediamo non solo il Leopardi poeta ma anche il Leopardi uomo, che soffre per disagi fisici, per un breve periodo della sua vita infatti è afflitto da cecità e permanentemente da tubercolosi ossea, che gli provoca in seguito una gobba che tristemente lo contraddistingue. Nonostante questi dolori che spesso gli impediscono di affrontare lunghi viaggi, si potrebbe dire che il Leopardi sia una figura dinamica, un individuo che nella sua vita ha vissuto in realtà differenti dall’ambiente recanatese: infatti ha soggiornato a Bologna, Firenze, Pisa, infine Napoli. Il capoluogo campano rappresenta una fase significativa: infatti è il periodo in cui vive con Ranieri, il suo migliore amico, che gli rimane a fianco tutta la vita; compone La Ginestra ed infine è anche la città in cui muore a causa del colera che imperversa per le vie napoletane. Morte che nel film viene solo intuita. “Il Giovane Favoloso” è un film che può piacere o non piacere, ma di sicuro non può lasciarvi indifferenti!

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di Francesca Petrella

IL GIOVANE FAVOLOSO

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musica

Mad Sounds

Titolo: Mmm mmm mmm mmm Artista: Crash Test DummiesAlbum: God Shuffeled his Feet Anno: 1994

1994, Canada. Nell’anno in cui moriva Kurt Cobain, nas-ceva questo album, con cui la band di origine canadese arrivò all’apice del suo suc-cesso. Ogni strofa dipinge con

rapidi tratti l’isolamento e lo sconforto di alcuni bambini, davanti una realtà che accade loro senza che possano comprenderne il significato. Il primo a causa di un incidente soffre di invec-chiamento precoce, la seconda, una ragazzina, non vuole mostrare i segni di una malattia sul suo corpo, ma “Both girl and boy were glad / ‘Cause one kid had it worse than that” il loro dramma sembra svanire rispetto alla situazi-one di un bambino, che ha i genitori appartenenti ad una setta religiosa. Brad Rogers inizia a cantare una storia semplice, quasi surreale, “Once there was this kid who / ...”, che avvolge con un ingegnoso crescendo di accordi l’ascoltatore, ma piano piano, diventa la vera rappresentazione della realtà, che Brad non sembra essere in grado di spiegare: così si può interpretare il titolo del brano, come un silenzio pro-fondo e meditativo. Esiste un vero sig-nificato nella vita? O il destino/Dio è

semplicemente una marionetta mossa dal caso (come sembra suggerire il ti-tolo dell’album)? Tuttavia l’autore non trae delle conclusioni, quasi avesse una visione pessimistica della vita. E la canzone procede: lineare, senza sbal-zi, salvo l’entrata dell’armonica e del banjo che donano una venatura folk. E ci facciamo trasportare dalla dolcezza e unicità di questa ballata pop-rock. Il tutto parte con un’introduzione di pi-ano e chitarra acustica che entra in tes-ta subito, con l’ingresso in scena quasi immediato di una voce solista cupa, ma seducente, che dona carattere alla canzone, in cui Rodger funge quasi da cantastorie malinconico. L’ottimo ar-rangiamento del coro eseguito dalla pianista Ellen Reid e dal bassista Dan Rogers (fratello di Brad) facilita e flu-idifica l’ascolto. L’aggiungersi di un ot-timo comparto di archi che si insinua nella melodia lentamente, completa l’opera nel finale, emergendo con po-tenza. E il finale, con un lento disgre-garsi dei suoni, lascia nell’ascoltatore un senso di nostalgia e mestizia, come se tutte le domande si dissolvessero con essa. (Dedicato a Elisa Covassi)

di Federica Del Percio

di Giovanni Bettani

Titolo: Iron ManArtista: ParanoidAlbum: Black SabbathAnno: 1970

1970 la band, dopo aver esor-dito con “black sabbath” e la sua famosa triade del diavolo, esce con “Paranoid”, che nel giro di poco tempo diventa l’album simbolo del gruppo

anglosassone ritenuto ormai il fon-datore dell’heavy metal. “Iron Man” quarta traccia del disco si distingue particolarmente per l’eccezionale base ritmica e il riff di chitarra meg-lio riuscito della storia del metal. “I’m the iron man/ Has he lost his mind?/can he see or is he blind?/...is he alive or dead?/ has he thoughts within his head?/ we’ll just pass him there/ why should we even care?” Il testo racconta di un uomo che ha subito, in seguito ad un viaggio nel tempo, una mutazione diventando d’acciaio e per questa mal-formazione viene ignorato e maltratta-to dalle persone; ma egli presto avrà la sua vendetta. “Nobody wants him/ He just stares at the world/ Planning his vengeance/ That he will soon unfurl.”Il brano presenta ritmi ripetuti dai toni bassi e la mancanza di un vero e pro-prio ritornello, che propabilmente rom-

perebbe l’armonia cupa e cadenzale del brano, lasciando così l’ascoltatore perso in un turbinio di note che rim-bombano sulle pareti della stanza. “Now the time is here/ For Iron Man to spread fear/ Vengeance from the grave/ Kills the people he once saved/ Nobody wants him/ They just turn their heads/ Nobody helps him/ Now he has his revenge.”Così prosegue la canzone per poi esplodere in un assolo magis-trale, dove chitarra, batteria e basso si contrappongono squisitamente senza mai annularsi l’un l’altro.“Heavy boots of lead/Fills his victims full of dread/Running as fast as they can/Iron Man lives again!” Con un urlo Ozzy termina l’allegorica storia dell’uomo d’acciaio lasciando spazio all’ultimo bramato as-solo che porterà alla perfetta conclu-sione del brano. Tuttavia nonostante la bravura del cantante e il messaggio re-alistico del testo ciò che rimane nella testa dell’ascoltatore è l’imponente sound della base , poiché per fare un pezzo heavy non basta una chitarra ci vuole la ritmica e questo i Sabbah lo sapevano bene.

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

Le luci si spengono. L’emozione sale e il Forum di Assago esplode in un urlo mozzafiato. Ed ecco che, dopo un anno dalla notizia del

concerto,Lady Gaga fa la sua comparsa a Milano,più eccentrica che mai. La prevendita dei biglietti dell’Artpop ball Tour era iniziata il 14 febbraio, ed in quel momento del 4 Novembre io ed il mio migliore amico eravamo tra il pubblico a coronare il nostro sogno: vedere dal vivo la nostra cantante preferita. Le esibizioni sono state cariche di energia e questa serata resterà un ricordo indelebile per molti little monsters(nome con il quale sono indicati i fan di Lady Gaga). Riassumendo l’evento in un acronimo: Arte Risate Travolgente Pianoforte Obbiettivi Passione. Il vero spirito di Artpop. Arte: il concerto è stato un vero e proprio incontro di effetti speciali, danza e musica. Sul palco era stato costruito una specie di palazzo marino bianco, ricco di porte, finestre e cupole. Inoltre,durante la performance di Venus,sono “sbocciati” ai lati del palcoscenico dei fiori di plastica alti circa due metri! Inutile dirlo: la cantante ha indossato circa 7 costumi,tutti particolari ed eccentrici. Tra i più insoliti,una lunga parrucca rosa e gialla fluorescente,un abito da polpo a pois bianchi e neri e dei tacchi vertiginosi. Risate: uno dei momenti più comici del concerto è stato quando Lady Gaga si è divertita a “fare la doccia” al pubblico con la lattina di birra di uno spettatore. Con un buffo accento americano, ha accennato qualche parola in italiano,facendo notare il perfetto uso del congiuntivo. Travolgente: l’artista ha aperto la

serata con la canzone “Artpop” ed ha proseguito eseguendo tutti i pezzi del suo ultimo album. Naturalmente non sono mancati i brani che hanno reso celebre la cantante a livello mondiale,come “Poker Face”, “Bad Romance”, “Judas” e “Alehandro”. Pianoforte: sapevo già prima del concerto che Lady Gaga suona abi lmente q u e s t o

s t r u m e n t o , frequente nelle sue canzoni. Ma ascoltarla suonare dal vivo, credetemi,è completamente diverso dal sentire un suo pezzo in versione acustica sul cellulare. La cantante ha dimostrato al pubblico, con la performance “Born This Way”, di possedere un’eccezionale abilità

col pianoforte e,contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, di possiedere una voce magnetica e melodiosa. Obbiettivi: Lady Gaga, come molti sanno, è un’icona gay. Ad un tratto sul palco è stata lanciata una lettera scritta da un fan. La cantante l’ha raccolta e l’ha letta ad alta voce, chiamando il mittente sul palco,permettendogli di sedersi vicino a lei per tutta la durata della canzone “Born This Way”. Jake, autore del messaggio, è un ragazzo omosessuale che ha trovato la forza di dichiararsi gay alla società anche grazie ai messaggi di uguaglianza che lancia spesso l’artista con la sua musica. In quel momento ho riflettuto sulla grande influenza che ha Lady Gaga nel mio quotidiano: per tutti i suoi fan lei non è solo una cantante,è soprattutto una maestra di vita. Grazie a lei e alle sue canzoni ho appreso valori quali l’uguaglianza e la tolleranza verso le diverse culture che mi circondano. Questo infatti è l’intento della cantante: insegnare ai giovani a non essere razzisti, infondendo loro ideali di solidarietà. Passione: uno degli aspetti che più mi ha colpita è stato essere

circondata da persone accomunate dalla stessa passione, la musica di

Lady Gaga. Il pubblico acclamava la popstar, cantando all’unisono le sue canzoni una dopo l’altra. Sono certa che non mi dimenticherò mai di questo concerto: oltre ad aver realizzato il mio grande sogno di vedere la cantante da vivo,è stata un’esperienza divertente e strabiliante,da un punto di vista canoro e di effetti speciali. Le parole pronunciate ad un certo punto dalla cantante mi resteranno a lungo scolpite nella mente: “Siamo diversi, ma abbiamo la stessa idea di amore e di uguaglianza…quindi,cosa aspettiamo a creare la libertà?”

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#artRave: “The Artpop ball Tour” fa tappa a Milanodi Giorgia Mulè

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II20

LibriIn libro libertas

di Giulia Casiraghi

Big brother is watching youCome Orwell predisse il futuro nel 1948

“Era una luminosa e fred-da giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredi-ci colpi”. Così comincia “1984” (“Nineteen Eighty–Four”), il capolavoro quan-

to mai attuale che George Orwell scrisse nel 1948, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. E’ ambientato a Londra nel 1984, quando il mondo era diviso in tre “Su-perstati”, in perenne lotta tra loro, ciascuno governato da un regime to-talitario: Eurasia (Neobolscevismo), Oceania (Socing o Socialismo Inglese) ed Estasia (Culto della Morte o Annul-lamento dell’Io). Londra si trovava in Oceania, e precisamente in Pista Uno, quella che, prima del regime dittatoriale del Grande Fratello, si chiamava Inghilterra o Gran Bretagna. Il Socing, fondato dal Grande Fra-tello - “un uomo di circa quarant-acinque anni, con folti baffi neri e lineamenti sottili ma belli”- capo di un unico partito, il Partito, appun-to - si basava su tre slogan agghiac-cianti: “La guerra è pace. La libertà

è schiavitù. L’ignoranza è forza”. Il potere era amministrato attra-verso quattro organi di governo, ciascuno con una determinata fun-zione: il Ministero della Verità, che si occupava dell’informazione, dei divertimenti, dell’istruzione e delle belle arti; il Ministero della Pace, responsabile della guerra; il Minis-tero dell’Amore, che manteneva la legge e l’ordine pubblico; il Ministero dell’Abbondanza, che gestiva gli af-fari economici. Ovviamente, ognuno di questi Ministeri aveva una funzione esattamente opposta a quella che il suo nome poteva suggerire: il Minis-tero della Verità si occupava di falsi-ficare le notizie, le fotografie e qual-siasi altro genere d’informazione che potesse compromettere il regime del Grande Fratello (secondo l’ideologia del Partito, infatti, “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi cont-rolla il presente controlla il passato”); il Ministero dell’Amore provvedeva all’arresto (operato dalla Psicopoli-zia) e all’uccisione, senza processo, di chiunque si fosse macchiato di qual-siasi reato, vero o presunto che fosse, contro il Partito: questi venivano va-porizzati, ovvero della loro memoria era persa ogni traccia ed essi veni-vano completamente cancellati dalla storia. Il Ministero dell’Abbondanza, invece, si occupava del taglio delle ricchezze del Paese, così da manten-erlo sempre nella diffusa povertà. Nonostante il Grande Fratello fosse una presenza invisibile, egli era onnipres-ente: controllava i cittadini attraverso un sistema di spionaggio capillare e li condizionava gestendo a proprio piaci-mento i mezzi d’informazione. Nes-suno poteva sfuggire al suo controllo: egli ne spiava ogni atto e pensiero attraverso i teleschermi, grandi sch-ermi posti nelle strade, nelle case, nei bar, i quali trasmettevano inin-

terrottamente messaggi propagandis-tici che divulgavano cifre inventate su sviluppi economici inesistenti e false notizie di vittorie in guerra, per sotto-lineare l’eccellenza e l’efficienza del regime del Grande Fratello. Essi con-trollavano ogni minima espressione e movimento del viso, anche impercet-tibile, cosicché davanti ai teleschermi bisognava assumere un’espressione di “sereno ottimismo”. Non era pos-sibile spegnerli completamente, ma solo abbassarne il volume. “Natural-mente non era possibile sapere se e quando si era sotto osservazione”. Manifesti del dittatore erano affissi da ogni parte e su tutti era stampata la scritta di minacciosa ammonizione: “BIG BROTHER IS WATHCING YOU” (“IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA”). L’obiettivo del Grande Fratello era rendere gli uomini degli esseri privi di autocoscienza e incapaci di pensare, e le strategie messe in atto erano varie: ogni forma d’individualismo era osteggiata; anche il poco tempo libero era gestito dal Partito. Per distruggere totalmente la mente e disabituarla al pensiero, venne crea-

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 21

ta la Neolingua (Newspeak), linguag-gio ufficiale di Oceania: “Lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero”, cosic-ché a una diminuzione del numero delle parole corrispondesse una “con-trazione ulteriore della coscienza”.

Questo romanzo è sicuramente dis-topico, ma anche profetico di ciò che sta davvero accadendo oggi con il progresso, la tecnologia, il mondo di Internet, specialmente se si considera che è stato scritto esattamente sessantasei anni fa. Diversi sono gli spunti di riflessione e altrettanto numerosi sono i dati di verità storica che sono contenuti in questo libro. Orwell, infatti, lo scrisse in un momento in cui il mondo era an-cora sconvolto dalla Seconda Guerra Mondiale e dai regimi totalitari che si svilupparono contemporaneamente ad essa (fascismo, comunismo, na-zismo), con tutto ciò che tali regimi comportarono e comportano tuttora. Ma quello che più colpisce sono pro-prio i “teleschermi”: la prima televi-sione, anche se non come la intendia-mo noi uomini del XXI secolo, nacque nel 1926 a opera dell’ingegnere scozzese John Logie Baird. Da allora in poi, la sua diffusione e il suo svi-luppo divennero inarrestabili. Oggi ci

accompagna in qualunque momento della giornata, persino in metro-politana, nei bar, nei ristoranti, e il suo ronzio incessante di sottofondo è un rumore che le nostre orecchie sono ormai abituate ad ascoltare. Tuttavia è con l’avvento di Internet che la vita di ciascuno di noi è stata “sem-plificata” parecchio. Con un semplice click, si può essere aggiornati su qual-siasi novità; si possono soddisfare tutti gli interrogativi che ci poniamo ogni giorno, dai più banali ai più complessi, e fare nuove amicizie, comunicando con persone anche lontane in tempo reale. Si può ascoltare la musica, fare addirittura la spesa e altri miliardi di cose che, se dovessi elencarle tutte, esaurirei i caratteri che ho a dispo-sizione per scrivere questo articolo! Recentemente ho letto un articolo di Roberto Cotroneo intitolato così: “Cosa succede se Internet si spegne”. E viene data questa risposta: si spen-gono la possibilità di sapere senza voler attendere, si allunga il tempo delle risposte alle continue domande che facciamo a questo “oracolo sot-to forma di algoritmo”. Stare senza Google per qualche ora ci porterebbe a fare domande nuove a persone vere. L’avere sempre uno strumento così po-tente tra le mani porta a un progres-sivo esaurimento del valore della con-oscenza, che viene sempre più ridotta

a un gesto meccanico e parzialmente inconsapevole: nonostante si possano consultare contemporaneamente più siti Internet, più o meno accreditati, ci si limita ad accontentarsi del primo risultato che appare sullo schermo e a pensare che quanto trovato non solo sia sufficiente per avere una con-oscenza adeguata di un determinato argomento, ma anche che sia veriti-ero, senza che ci si pongano dubbi al riguardo. Per non parlare, poi, della riduzione del bagaglio lessicale di cias-cuno: per una maggiore immediatezza di comunicazione, si tende ad abbrev-iare le parole e a “ridurre il linguaggio all’osso” (per citare lo stesso Orwell). La tecnologia ha annullato la coscienza dell’uomo, che non è più consapevole del suo agire e i cui pensieri sono sem-pre più soggetti a una manipolazione dall’esterno. Siamo costantemente controllati, non abbiamo più una vita privata; ogni nostro, anche minimo, movimento virtuale viene monitorato e i nostri gusti accuratamente registrati. E se Internet fosse il Grande Fratello del nuovo millennio, presenza in-visibile ma onnipresente? Penso che anche i più famosi motori di ricerca avrebbero delle difficoltà a rispond-ere a questa domanda, dato che quasi sicuramente ne conoscerebbero la ris-posta.

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II22

Libri

di Valeria Galli

In un pomeriggio di inizio inverno, in un momento di pausa tra le interminabili ore di studio e qualche acquisto natalizio, vi potrà accadere di essere alla ricerca di una buona

lettura. In tal caso, nell’imbarazzo della scelta della libreria di casa, potrebbe capitare anche a voi di pescare un libricino apparentemente insignificante alla vista, dato il numero di pagine, per poi scoprire che si tratta di un intramontabile classico: “Colazione da Tiffany”. Noto anche per l’omonima rivisitazione cinematografica diretta da Blake Edwards del 1961, “Colazione da Tiffany” è un romanzo breve di Truman Capote del 1958. Paul Varjak, aspirante scrittore in cerca di successo, si incontra con il suo amico barista Joe Bell e inizia a raccontare insieme a lui di Holly Golightly, loro amica e sua ex vicina di casa in un palazzo dell’Upper East Side. Inizia così la storia, costituita interamente da un flashback, di cui

Paul è io narrante e coprotagonista e nel quale egli porta alla luce i ricordi indimenticabili della vita trascorsa negli anni precedenti con Holly. La trama, caratterizzata da un ritmo sconnesso e imprevedibile, coincide in gran parte con l’indole e il carattere della protagonista. La New York della fine degli anni Cinquanta fa da sfondo a tutto il romanzo. Holiday Golightly, storicamente identificata con l’incantevole volto di Audrey Hepburn, è una ragazza estroversa e stravagante, dalla vita senza regole e dal passato incerto e buio. Holly non ha ancora trovato il suo posto nel mondo e si autodefinisce “in transito”, così come scrive sulla sua casella postale; cade spesso nella superficialità e finisce per identificare il suo luogo ideale con la boutique di Tiffany, elemento richiamato nel titolo e simbolo di una società altolocata. Si circonda, infatti, della ricca borghesia con la quale svolge una vita mondana e festaiola. Corteggiata da tipi irregolari, intrattiene relazioni

equivoche con ognuno di loro. Il suo passato segreto e la sua reale identità verranno alla luce grazie alla improvvisa comparsa del suo ex marito, e, per colpa di un gangster mafioso suo amico, verrà coinvolta senza colpe in una vicenda di spaccio di stupefacenti. Fragile e volubile, affronta tuttavia la propria vita con voluta leggerezza e incolmabile sete di vitalità. Fuori da ogni convenzione sociale, rappresenta un affronto al finto perbenismo e al conformismo dell’epoca. Ibrido tra eterna bambina e donna vissuta, è un personaggio che o si ama o si odia. Lo stesso Paul, a seguito di una litigata, la definisce “una volgare esibizionista, una perdigiorno, un’assoluta montatura”. Tuttavia, c’è qualcosa in Holly che lo affascina e durante tutta la narrazione è sottinteso un suo amore nei confronti di lei. Scorrevole e frizzante, è un libro consigliabile a tutti coloro alla ricerca di una lettura leggera ma significativa, percorsa dal fil rouge della denuncia civile, tipica di Capote.

da TiffanyColazione

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 23

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlinodi Letizia Foschi

Novecentodi Letizia Foschi

Tutto comincia con l’hashish, per poi passare agli acidi e direttamente a bucarsi di eroina. Questa è la storia accelerata della prima adolescenza

di Christiane F., una ragazza che, dopo essersi trasferita a Berlino con la famiglia, inizia intorno ai dodici anni ad entrare in quelli che oggi si definiscono “giri sbagliati” ma che allora erano del tutto normali. Attenzione, non sto dicendo che la gente accettasse la droga negli anni settanta, solo che era molto più comune caderne in tentazione, vista la semplicità con cui ce la si poteva procurare. Quando la madre di Christiane scopre che sua figlia è una bucomane, tenta subito di disintossicarla in casa, e appena le sembra di esserci riuscita, non passano nemmeno due

giorni che è già tutto come prima. È un libro che fa arrabbiare in continuazione: per almeno sei volte sembra sempre che Christiane riesca a disintossicarsi definitivamente e quindi a smettere di battere per guadagnare i soldi per l’eroina, ma poi tutto torna immediatamente come prima. È un continuo tira e molla, desideri di suicidio, morti premature a causa della droga, tentativi di disintossicazione… è monotono, per così dire, ma resta il fatto che è una terrificante storia vera. Il semplice fatto che una persona di quindici anni, la mia stessa età, debba prostituirsi per comprare droga, mi fa rabbrividire. Sono cose che, purtroppo, succedono ancora oggi. Da questo libro è stato tratto un film che non merita assolutamente, dal quale non si riesce nemmeno a capire quello che accadde nella realtà, ed è

per questo che io, a chiunque me lo chieda, consiglio il libro. So di aver detto che è monotono, ma solo per quanto riguarda i fatti: è l’unico libro sulla droga che mi ha fatto “vedere” con la mente gli effetti che può avere anche una semplice pastiglia. Una storia che fa capire molte cose.

Si chiamava Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, ed era il più grande pianista del mondo, o meglio dell’Oceano. Era nato clandestinamente

sul piroscafo Virginian, e lì era stato abbandonato senza un nome e ritrovato da un uomo, Danny

Boodmann , in una scatola di limoni T.D. Lemon nel primo anno del v e n t e s i m o secolo, nel Novecento. Su quella nave ci era nato e da essa non era mai sceso,

ma, seduto al pianoforte, che aveva imparato a suonare da solo a otto anni, vedeva le tigri, sentiva i profumi delle strade di tutto il mondo, visitava viali e vicoli di Parigi, che nemmeno un parigino poteva conoscere. Ma non solo di Parigi! Anche di New York, Londra e di tutti i porti in cui la nave attraccava durante i suoi abituali viaggi transatlantici. Vedeva tutto questo senza mai scendere a terra. Alessandro Baricco crea il suo primo testo teatrale sotto forma di monologo, facendo raccontare le vicende di un pianista sensazionale a bordo di un piroscafo da un ragazzo che con lui suonò la tromba e che lo conobbe meglio di chiunque altro. Ironia, magia, commozione, il tutto accompagnato da un pianoforte incredibile. Si può dire, leggendo questo libro, che per tutte le settanta pagine in cui è scritto si senta

Novecento suonare e accompagnare il lettore nella sua storia, nelle sue avventure. Uno di quei pochi libri da leggere e rileggere centinaia di volte fino a che non lo si è imparato a memoria, fino a che non si riesce persino a suonarlo.

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II24

Racconti

Nebbia. Campane. Cinque rintocchi. Dopo silen-zio. Un cane che abbaia. Fuoco. Fumo. Nebbia. Si-lenzio. I compagni sono indistinguibili. Dormo-

no ancora. Lui è l’unico sveglio. È solo. Sempre. Compagnia che non è compagnia. Compagni che non sono amici. Lui e la nebbia, sciolta nel fumo. Lui e il fumo. Lui e basta. Un rumore. Sirene. Lontane. Si avvici-nano. Un respiro. Inspirazione pro-fonda. Soffio. Fumo di nuovo. Nero. Occhi chiusi. Nero. Come sempre. Tutto tranquillo. Suoni sempre più distinti. Un altro tiro. Tutto sempre più calmo, surreale. Il mondo attor-no a lui è inafferrabile. Macchine blu delineate. Certo! Sgombero. Ques-tione di minuti. Casino degli spari e dei lacrimogeni. Il suono di passi che si stanno allontanando: i suoi passi. Paura. Rimorso. Il dovere di avvertire tutti. Troppo tardi. Cinquanta metri già percorsi. Cinquanta metri. La voglia di scappare. L’afflizione di non poter tornare. La sua paura di abban-donare. La voglia di sopravvivere. La paura del dolore. Non voler rischiare. Cento metri. Forse duecento. Non capisce. Non vuole capire. Sa solo di

essere troppo lontano per poter tornare indietro. La polizia è lì. Sta per entrare. La faccia di un compagno. La sua voce. “Gli sbirri” urla. I m p r o v v i s a -mente tutto si trasforma. Non capisce. Con fu s i one , urla, grida, rumori sempre più forti. Il suono di colpi pesanti. Passi che si trasformano in corsa. I compagni escono, gli sbirri li inseg-uono. Tutte urla che riconosce. L’urlo di Jasmine. Lei sì, avrebbe voluto avvertirla in tempo, o forse no. La sigaretta è finita. Lui non ha fatto in tempo a fumarne metà. La lascia cadere. Corre. Sempre più lontano. Verso l’infinito. Il parco e l’altalena bagnata dalla pioggia. L’umidità della notte passata, ormai finita. Il sole che sorge. Dopo la corsa si siede. Affan-no. Fatica. Occhi chiusi. Spera. Che cosa? Che tutto scompaia. Li riapre.

Tutto è ancora lì. Sempre lì. I suoni sono confusi. Tutto è lento. È un sogno? Sempre più gente. Una cami-onetta. Manganelli. Gente che si ac-cumula. Stanno a guardare. Alcuni ur-lano e protestano. Altri si mettono in mezzo. Botte. Sangue. Violenza. Poi ci sono quegli schifosi che non escono dalle loro case. Sbirciano i loro visi dalle finestre, schifati. Anche se si credono assolti sono lo stesso coinvol-ti. Sono lì: nelle loro luride case. Non fanno niente. Fermi. Lui non è lì, ma fermo su un’ altalena. I suoi compag-ni cercano di scappare o di far scap-pare. Nessuno abbandona nessuno. Prende una cartina. Prepara un’altra sigaretta. La mano in tasca. Dov’è l’accendino?. Nell’erba fangosa. Lo prende. Un filo d’erba. Lo guarda im-bambolato. E poi fumo. Di nuovo. Fi-nalmente respira. Tutto è sempre più strano. Si siede a terra. Basta. Troppa luce. Ha dormito troppo. Cos’è suc-cesso? Si alza. È ora di andare. Corre. Arriva dove tutto è accaduto. Non c’è nessuno. Una porta rotta. Si gira. Gente. Urla. Manifestazione. La voce di giovani uomini. Megafono. Corse. Cori. Proteste. Cosa sarebbe cam-biato se li avesse avvertiti? Niente. Forse tutto. Qualcosa sarebbe cam-biato. Sente la voce al megafono. La notizia. I suoi compagni portati via. Gli cedono le gambe. Cade a terra.

S c a p pat odi Tatiana Ebner e Emma Cassese

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 25

Non si ricordava niente che potesse in alcun modo riguardare la notte precedente, o almeno nulla che valesse la pena ricordare: una strada,

un lampione la cui luce lampeggiava a intermittenza, un cappotto nero, duecento euro in tagli da cinquanta, una chioma corvina, un corsetto rosso, niente di memorabile. Alcune rimangono in strada, altre per paura degli stranieri preferiscono ricevere i clienti nei loro appartamenti. Credeva fermamente che esistesse ancora quella differenza, una sottile linea che separa le prostitute dalle escort: le prime offrono un “gioco di ruolo” che entrambe le parti, servizio e cliente, sanno benissimo essere una mera bugia, ma che perpetuano allo scopo di trarne benefici; le seconde, sosteneva, inscenano un intero spettacolo, degno del migliore dei teatri. Pretendono di essere attrici nate, dame di compagnia o qualunque altra cosa, un gioco al quale il cliente vuole credere, vittima di un desiderio che nulla ha a che fare con il desiderio vero e proprio. E lui amava crederci, ogni notte. Non che le utilizzasse per scopi diversi da quello meramente sessuale. La sua era semplicemente una questione di principio, l’idea perversa che tutte le donne fossero cagne a modo loro e che alcune fossero migliori di altre. Chi tradendo, chi vendendosi, chi privandosi dei piaceri della vita; chi rifiutando, chi provocando, chi evitando tutte queste cose, così come gli uomini sono bestie, bestie deboli, di quella debolezza che lo portava a cercarsi una compagna, se così la si può chiamare, quasi tutte le notti da oltre 3 anni; Le donne sanno di questa debolezza maschile, e la sfruttano, così fanno gli uomini a loro volta, in una continua guerra di potere

a n t i c h i s s i m a ed eterna, combattuta per un fattore talmente astratto che esiste solo nella mente dell’essere umano. Si trascinò verso la sedia dove giaceva il suo cappotto. Era arrivato il momento di affrontare di nuovo la sua vita, rovinata dalle donne e dall’alcool, distrutta da scelte che continuava ad attribuire ad altri. Le donne erano la causa del suo male, così come gli uomini, gli annunci sul giornale, le strade, il pub in fondo alla via e tutta quell’accozzaglia di materia a cui la gente cerca ancora di dare un senso; come se l’oblio si potesse evitare, come se un po’ di fama nei suoi anni migliori potesse rendere l’uomo immortale. Ma non è così: l’uomo è polvere, così è nato, e la donna è cenere. Tutto il resto è il nulla assoluto, in una società dove l’antropocentrismo è subdolamente nascosto nelle azioni di ogni giorno e nei pensieri più oscuri, quelli che sostituiscono il sonno nelle calde, tormentate notti d’agosto. E in quelle notti ti divampa una fuoco davanti agli occhi, breve e intenso, la promessa di un obiettivo. Peccato che l’uomo non sia fatto per provare fatica, e allora dà la colpa all’alcool, alle donne. Ah! L’alcool e le cagne, sempre a braccetto vanno! La tentazione, inutile svago, flagello dell’umanità. Umanità! Una parola così piena di responsabilità, troppo per un ammasso di corpi che

più delle pietre hanno solo la vita, un'altra parola importante, perché di questo abbiamo bisogno! Abbiamo bisogno di parole, con i loro significati contorti, per farci credere di non essere insignificanti, di non essere schiavi del nostro stesso egoismo e della tracotanza che si annida nelle nostre menti! Così si sentiva, mentre si allacciava i bottoni del cappotto: schiavo di un ostacolo che lui stesso aveva creato, pur di poter autocommiserarsi. Non c’era nulla per cui provava più piacere del dolce dolore che lo straziava dall’interno, la gioia di essere causa del suo male. C’è forse gioia migliore? Forse. Ma anche se ci fosse, dov’è? E poichè le cose stanno così, non è forse la gioia ciò che più di vicino al piacere possiamo raggiungere, alcool o non alcool, cagne o non cagne? Non era forse gioia, quel dolore insostenibile che ogni giorno provava? A ciò pensava, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

CHI È CAUSA DEL SUO MALdi Alice De Gennaro

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II26

Racconti

C’era quell’atmosfera che c’è sempre prima che qualcosa di importante accada. L’aria pesante, i passi che rimbombavano nel vicolo, la pioggia che

cadeva. Camminava velocemente, tenendo aperto Il manuale del buon poliziotto che sua moglie gli aveva regalato per il compleanno, più per scherzo che per altro. Fu quando ormai era alla fine della strada, con il lampione che illuminava fiocamente la strada, che li vide, lì davanti, appoggiati al cancelletto di casa sua con uno sguardo minaccioso. Deglutì. Non era mai stato una persona coraggiosa e adesso lo era ancora meno, tutte le forze si prosciugarono in un secondo e arrivare al cancello fu una grande impresa. «Detective Fiorello» disse uno dei due, scrutandolo attentamente. «Signori, come state?» rispose il detective, mostrando finta spavalderia e sollevando gli occhi dal libro, come se, di quei due, se ne fosse accorto solo ora. «Ci par di aver capito» continuò l’altro parandosi davanti e togliendogli la possibilità di entrare in casa «che lei abbia intenzione di raccontare tutto al procuratore». «Allora...» rispose con voce tremula il detective Fiorello «allora, in verità...voi sapete come vanno queste cose. Io non c’entro, è il dovere che mi spinge a farlo e penso che voi già lo sappiate. Per un poliziotto il dovere prima di tutto, anche se questo significa...». La voce gli morì in gola, gli occhi del secondo uomo parevano essersi fatti più minacciosi. «Ma certo, ma certo» riprese il primo «comprendiamo bene, non è vero?». Tirò una gomitata amichevole nel fianco al compare, che annuì

sorridendo con sguardo eloquente. “Capiamo anche però, che questo suo, come posso dire... atteggiamento da bravo poliziotto possa portare molti danni alla società. La società che lei stesso ha promesso di proteggere. Capisce? Ci preoccupiamo di questo: che ciò che vuole fare non vada contro i suoi principi morali».

«Certamente capisco. Comprendete bene che non cerco di fare ciò per me, ma per tutti gli altri, e non penso che questo andrebbe a discapito della società, anzi le...farebbe un favore». Il tono del detective era esitante, come quello di chi è convinto di qualcosa ma ha paura di dirlo. «Mi ascolti bene, così sarò sicuro di

aver capito, denunciare il capo della polizia di corruzione non farebbe bene alla società. Se togliessimo di mezzo uno dei pochi punti di riferimento cittadini, come andremo avanti poi? La gestirà lei la situazione?». «Io non avevo intenzione... credo che lo sappiate bene: non farei mai una cosa del genere!».

«Certo che lo sappiamo, non si deve preoccupare signor Fiorello, se lei non farà rapporto andrà tutto bene. Ci siamo intesi?». «Penso di sì» mormorò tremante il pover’uomo, che malediceva il giorno in cui si era avvicinato all’ufficio del suo capo e aveva udito quella conversazione, così come il momento in cui aveva deciso di sporgere denuncia. «Siamo lieti che abbia capito in fretta e velocemente. Almeno abbiamo chiarito la faccenda senza spargimenti di sangue». Rise, come se avesse fatto una battuta divertente. Fiorello, mentre pregava in cuor suo che quei due uomini si allontanassero, pensò che quella appena fatta dall’uomo non era una battuta, ma un avvertimento. Deglutì e attese che i due uomini se ne andassero. Ma questi due non accennavano a muoversi «Mi raccomando» iniziò a parlare il secondo uomo «se farà denuncia dovremo tirare in ballo anche la sua famiglia...». «Io farò il possibile per dimenticare...» balbettò il detective. «Si spieghi meglio”. «Io non

dirò nulla” concluse brevemente Fiorello, imponendo alle sue gambe di cessare di tremare. I due sorrisero aspramente. «Buona serata e omaggi alla sua signora». Fiorello ringraziò con un cenno del capo e, quando ormai i due uomini erano ormai in fondo alla strada, entrò in casa con le mani che tremavano.

Don Abbondio timelessdi Rebecca Daniotti

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 27

Buio. È tutto ciò che mi cir-conda. È il buio che precede la nascita e che ti avvolge come un abbraccio; ma un momento…io sono già nata! Eppure, che cos’è questa

sensazione? Perché i miei occhi ve-dono solo oscurità? Accendete la luce! Sono qui; venitemi a prendere. Ma che cos’è “qui”? È solo una parola. Io, in realtà, non so dove sono. Un mo-mento: qualcosa si sta muovendo. Sto scivolando e vedo la luce! Sto forse raggiungendo il Paradiso? La moneta cadde su un cumulo di neve e guardò l’uomo, che l’aveva tenuta in tasca, mentre si allontanava. I rumori le pen-etrarono le orecchie, riportandola alla realtà. Il rombo dei motori e il vociare delle persone le riempirono l’animo di gioia, facendola sentire viva, ma la grande città in cui si trovava fece riaf-fiorare in lei anche i ricordi. In pas-sato, infatti, aveva già avuto modo di viaggiare per il mondo e di vedere sia il lato positivo che quello nega-tivo dell’uomo: un’esperienza che le aveva fatto capire molte cose. Men-tre questi pensieri le annebbiavano la mente, si accorse che i suoi piedi non toccavano più terra: qualcuno la stava sollevando. Incuriosita, si volse, e di fronte a lei apparve una macchia in-distinta di colore rosa; la moneta capì di trovarsi di fronte a un uomo. Giacca di pelle, capelli arruffati, sguardo fe-lice; un quarantenne la fissava con in-teresse, pensando a quanto fosse for-tunato nell’averla trovata. La mano si chiuse attorno a lei e, in un attimo, la moneta si ritrovò nuovamente in

una tasca. Il viaggio non fu lungo e ben presto l’uomo arrivò a casa. Non fece in tempo a varcare la soglia che venne travolto dal figlioletto. «Papà, papà, ho perso un dente!» gridava il bambino. Il padre sorrise. «E bravo il mio ometto, ma ora vai a nanna, altri-menti stanotte non arriverà la fatina». Il bambino corse in camera ridendo. Passò un’ ora prima che la moneta abbandonasse la tasca della giacca. La stessa mano che l’aveva raccolta si infilò sotto il cuscino del figlio ad-dormentato, lasciando la moneta sul materasso. «Sogni d’oro mio tesoro» disse il padre «è arrivata la fatina». La mattina dopo, la moneta fu svegliata dalle grida di gioia del bambino, che la prese e la portò dal padre trionfan-te. Dopo tanto tempo si sentì di nuovo speciale; almeno per qualcuno non era più solo una moneta tra tante. Era così presa dai suoi pensieri però, che non si accorse del bambino intento a met-terla in cartella. La zip della tasca si chiuse sopra di lei: era ora di andare a scuola. Le prime due ore passarono ve-locemente e ben presto si sentì il trillo della campanella, che segnava l’inizio dell’intervallo. Raccolta la cartella, il bambino uscì dalla classe e si dir-esse alle macchinette. Stava per pren-dere la merenda, quando sentì una voce tristemente familiare: «Guarda chi c’è», disse il bullo. «È arrivato il pivello! Vediamo cosa mi hai portato oggi». Sotto lo sguardo attonito del bambino, il bullo prese la cartella, rovesciandola sul pavimento. «Oh, ma che bella mela!», disse, esaminandone il contenuto. «È per me giusto? Ma non

è finita qui: mi hai portato anche dei soldi! Come sei gentile!. La mano del bullo si chiuse attorno alla moneta. «Ci vediamo, marmocchio», disse. «Mi raccomando, domani portami un altro regalo». La scuola era finita. Il bullo uscì dalla classe e con la sua banda di amici si diresse in piazza. Salì sul bordo della fontana. «Ascoltatemi tutti» urlò, fingendosi oratore «oggi ho compiuto un’azione “onorevole”». Le risate dei compagni inondarono la pi-azza. «Oggi» disse, alzando al cielo la moneta come un trofeo, «ho sottrat-to al pivello tutti i suoi averi!». Così dicendo, però, le sue scarpe persero presa sul bordo della fontana. Il bul-lo cadde all’indietro e grandi schizzi si levarono in alto. Vedendolo i suoi amici si piegarono in due dalle risate. Quando si riprese dallo shock iniziale, il bullo fu preso da grande vergogna,e per la rabbia scagliò la moneta nella fontana. Quindi si alzò, grondante d’acqua, e lasciò con passo spedito la piazza. «E così sono di nuovo sola» pensò la moneta «dimenticata da tut-ti. Ho compiuto un lungo viaggio, con-osciuto tante vite, e ora so più cose di chiunque altro. Ma per l’uomo non sono niente, se non un piccolo pezzo di metallo. L’essere umano, certe volte, è davvero stupido, anche se non se ne rende conto: quale essere vivente oserebbe mai fare violenza su un suo simile? Certamente, io non posso cam-biare la situazione, ma è importante che l’uomo cominci a ragionare sulle conseguenze delle proprie azioni. Spero un giorno di potervi raccontare questa trasformazione».

di Olivia Manara e Isabella Marenghi

Nelle tasche della gente

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L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II28

Sport

di Filippo Lagomaggiore e Marco Recano

TOPJUVENTUS vs ROMACambia l’allenatore, ma non cambiano i ri-sultati: checché ne dica Garcia, la Juve è sempre prima, e guarda tutti dall’alto in basso. È rimasta una vera e propria macchina da guerra, e i tifosi di tutte le altre squadre non possono che invidiare i suoi talenti. Subito dietro, la Roma regge l’urto: sempre pronta a macinare gioco e spettacolo, cercherà di non farsi scappare nemmeno un punto, pur di negare la quarta gioia consecutiva agli odiati rivali juventini. Dominio assoluto. SAMP&GENOANella città di Sampdoria, tra scimmie parlanti e unicorni volanti, il presidente Ferrero continua a festeggiare i successi della sua squadra. Mer-ito soprattutto del Miha, di quel giapponese di Okaka e, più in generale, di una formazi-one che ha nella continuità e nella solidità i suoi punti di forza. L’atmosfera è ottimistica anche in casa Genoa, dove, tra lo stupore generale, ci si ritrova a navigare tra le prime della classe, grazie anche al notevole tasso di ignoranza calcistica presente in rosa (Burdisso, il macellaio; quel carpentiere di Roncaglia; il tombeur de femmes, Matri…). Liguri fenici. DI NATALEDuecento in quattrocento: a 37 anni continua a metterla dentro con la regolarità di un qualsia-si Leo Messi, dall’alto dei suoi 167 centimetri. E’ ormai sesto nella classifica dei marcatori di ogni epoca della Serie A, e se avesse voglia potrebbe giocare altri dieci anni e andare a stracciare l’epico record di Piola. Dopo-tutto, Totò serve all’Udinese come nessuno a nessun’altra squadra al mondo. Insostituibile, indispensabile, implacabile. Specialmente al Friuli, e non da oggi, vale e varrà sempre la dura

legge del Maradona di Pomigliano. Infinito. DYBALAClasse ‘93, tecnica abbacinante e un mancino che canta come quello di pochi al mondo. Lui e Franco Vazquez stanno salvando una squadra di fabbri ferrai come il Palermo a suon di gol e giocate da zone alte del calcio europeo. Paulo piace, lo vorrebbe anche Conte, che farebbe carte false per averlo in Nazionale (nonostante il suo sogno argentino): citofonare Zapata se vi state chiedendo perché venga tanto celebrato. Hanno detto di lui che è “due pagine avanti nel manuale del calcio”: il campo dice 6 centri in tredici apparizioni, e un incremento nella ven-dita di Moment per le difese avversarie. Joya.

FLOP TORRESMolto probabilmente, il Niño sarà il protago-nista di una delle prossime puntate di “Chi l’ha visto?”... Dov’è finito il suo talento? Non può essere scomparso senza lasciare traccia! Quello che gioca nei campi di Serie A non può che essere un suo sosia. Con 1 gol siglato in 9 presenze, lo spagnolo incide sul campi-onato italiano quanto Del Piero in panchina in India: i tifosi milanisti sperano che il tem-po aggiusterà le cose, oppure che, con un grande gesto di umiltà, decida di dimezzarsi lo stipendio. L’appuntamento è comunque mercoledì, alle 21:05, su Rai 3. Disperso. M. GOMEZI medici hanno stabilito che le prestazioni poco convincenti di Gomez non sono dovute al fatto che sia irrimediabilmente scarso, come prima si credeva, ma alla tremenda sfortuna che porta Giuseppe Rossi anche ai suoi compagni di reparto (vedi anche Bernardeschi). Ormai, infatti, se si vanno a consultare le statistiche di Pepito su Wikipedia, non sono più riportati

i gol a stagione, ma gli infortuni (#Pato), e così accade anche sulla pagina del bomber te-desco. Da quando è arrivato a Firenze si sono susseguite una lesione parziale al legamento del ginocchio destro, un’infiammazione al tendine della zampa d’oca e una lesione di I grado del legamento collaterale del ginocchio sinistro. Coincidenze? Io non credo. I tifosi viola non possono far altro che sperare che il gol alla pur discutibilissima difesa del Cagliari lo abbia risvegliato. Il rimpianto dei fantallenatori. BERARDIIl ragazzo di talento ne ha sempre avuto: tito-lare inamovibile in U21 da anni e nel Sassuolo da tre stagioni, nelle quali ha sempre fatto ve-dere colpi da prodigio (chiedere a Max Allegri per conferme). Eppure, quest’anno ha iniziato col freno a mano tirato: pochi gol, non troppe giocate indimenticabili, comportamenti più che discutibili e squalifiche in serie. Mimmo ha la piena fiducia del mister Di Francesco, ma non più la mia, che ad inizio anno ho speso 35 milioni per prenderlo all’asta del fantacalcio. La mentalità è rimasta quella che aveva a Car-iati, il che non è per forza un bene. Immaturo. IL PARMALa stagione scorsa il rigore fallito da Cerci li aveva mandati al sesto posto e quindi in Eu-ropa League, ora invece, dopo il mancato accesso alla competizione per questioni fi-nanziarie, Ghirardi ha speso tutto in tortel-lini, Donadoni si trova a far giocare titolari Rispoli, Ristowski e Palladino. Una squadra allo sbando, senza capo né coda, nella quale Cassano, a furia di predicare nel deserto, si sta intristendo. Dicono che dopo tredici partite è presto per sputare sentenze, ma con la rosa a disposizione e una qualità di gioco veramente indegna, quest’anno la Serie B è più vicina che mai. Dalle stelle alle stalle.

#SERIEAtop e flop della serie a: giornate 1-13

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Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile 29

varie

ARIETE (21 marzo - 20 aprile)Siete decisi e testardi come al solito. Cattive notizie: i satelliti intorno al vostro pianeta hanno accelerato la velocità nell’orbita. Gli ultimi giorni di scuola

prima delle vacanze potranno sembrarvi alquanto stressanti, ma non sprecate ogni

energia! Bevete qualche tisana e cercate di rilassarvi.

TORO (21 aprile - 21 maggio)La fine del primo trimestre è alle porte. Brutti voti in vista? A tutto c’è una soluzione: per portarvi fortuna basterà offrire un sacrificio a Zeus la sera prima.

GEMELLI (22 maggio - 21 giugno)Sotto una luna magnifica e fortunata, finalmente troverete l’anima gemella. Secondo gli astri il vostro partner ideale è un leone, persona decisa ma anche romantica e seducente. Spetterà a voi non farvela scappare.

CANCRO (22 giugno - 22 luglio)Questo mese i pianeti sono allineati a vostro favore: non avete di cosa lamentarvi, tutto fila alla perfezione. Per le donne: la dea Venere è compiaciuta, ma attente a non farla arrabbiare: il “pomo d’oro” è suo! Per gli uomini: Marte è tranquillo, non provocate la sua ira.

LEONE (23 luglio - 23 agosto)E’ un periodo difficile per voi e brutte figure (cadute dalle scale, scivoloni su una buccia di banana) contribuiranno a peggiorare la situazione. Non siate avviliti, ma apritevi e parlate con

le persone più fidate (in casi estremi, anche con il vostro cane): avete bisogno

di qualcuno che vi aiuti a superare i momenti bui.

VERGINE (24 agosto – 23 settembre)“Quando il gatto non c’è i topi ballano.” I vostri genitori si iscriveranno a un corso mensile di polka al circolo dei ferrovieri e saranno assenti per qualche sabato sera. Approfittate della casa libera per organizzare feste pazze, ma mi raccomando: i genitori sono come segugi, al loro ritorno fiuteranno ogni traccia.

BILANCIA (24 settembre - 23 ottobre)La nonna si ostinerà a cucinarvi tutti i giorni la “pasta e ceci”. Attenzione a non offenderla, ma badate bene ai peti!! Lo sapete che con le flatulenze l’80 %

degli esseri umani rilascia metano, un gas infiammabile? Non vorrete mica che i vostri

pantaloni prendano fuoco di fronte al ragazzo/a che vi piace!

SCORPIONE (24 ottobre - 23 novembre)Veni vidi vici - Giulio Cesare. Previsti numerosi successi nello sport. Siete delle schiappe? Credete in voi e farete vincere la vostra squadra segnando all’ultimo minuto della partita. Preparatevi al trionfo: i Carducciani erigeranno in vostro onore una statua affianco alla cattedra della signora Elena.

SAGITTARIO (24 novembre - 22 dicembre)Occhio alla bilancia!! Con il Natale sono in arrivo tanti regali e altrettanti chili di troppo! Per rimediare ai troppi

peccati di gola che vi sarete concessi ricordate che a gennaio potrete tornare in

linea con il corso di potenziamento del prof Lo Pinto.

CAPRICORNO (23 dicembre - 20 gennaio)Omnia mutantur – Ovidio. Siate aperti ai cambiamenti: anche una brutta notizia inaspettata potrà rivelarsi positiva. La forte attrazione lunare di questo mese probabilmente renderà le vostre mani leggermente palmate. Ma su con la vita! Di certo vi saranno utili nel nuoto.

ACQUARIO (21 gennaio – 19 febbraio)Durante il Natale il freddo diventerà per voi insopportabile e passerete le ore a sonnecchiare sulla poltrona accanto al camino. Un avvertimento: non andate troppo vicino al fuoco, in questo periodo

il vostro corpo è altamente infiammabile!

PESCI (20 febbraio – 20 marzo)Lucia e Donata, le bariste, vi prenderanno in antipatia. D’ora in poi dotatevi di luminose insegne al neon, così non potranno più far finta di non vedervi. Altrimenti, rassegnatevi a patire la fame.

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30 L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° II

varie

Un “click” al polso ed è fatta: siamo dentro. Ci voltiamo con rammari-co verso i nostri compag-ni, ancora indietro. Scon-osciuti con cui abbiamo

condiviso la mattinata in attesa del fa-tidico momento. E ora che finalmente è arrivato le nostre strade sono des-tinate a dividersi. Ci rincontreremo? Contemplando la folla da cui siamo appena sfuggite, ci rendiamo conto che è assai improbabile. Quindi, senza alcun rimpianto, ce li lasciamo alle spalle per tuffarci nel sogno segreto di ogni nerd: il leggendario Lucca Comics. Ci ritroviamo subito accerchiate da schiere di personaggi che fino ad oggi albergavano soltanto nella nostra fan-tasia, dai serial killer più psicopatici ai Pokemon più kawaii. Procedendo nel nostro cammino, macchina fo-tografica sempre alla mano, da uno stretto vicolo sbuchiamo in una pi-azza, e lo spettacolo che ci si para davanti ha dell’incredibile: sotto il segno di una gigantesca ghiandaia

imitatrice, un esercito di Deadpool sta dando il meglio/peggio (sono punti di vista) di sé sfidando una mal-capitata Daenerys a resistere senza una risata ai loro attacchi di idiozie. Non facciamo neanche in tempo a stupirci, che accade qualcosa di an-cora più formidabile: quando chie-diamo ad un Loki di passaggio di po-sare per noi, questo si prosterna ai nostri piedi. Ancora scosse da questo avvenimento che per un attimo ci ha fatte sentire le regine del mondo, ci dirigiamo verso Japan Town, ergo l’apoteosi del Disagio. Ed è qui che ci rendiamo conto davvero dei peri-coli dell’impresa in cui ci siamo lan-ciate; appena il tempo di un grido, e una di noi è rimasta indietro, placcata dalla furia otaku di un’Elphaba con tanto di faccia verde e fotocamera. Una volta uscite dall’esperienza mis-tica, ci accorgiamo che il nostro corpo terreno sta morendo di fame; andiamo così in cerca di ramen, che sembra essere la principale fonte di sostentamento della popolazione lo-

cale, solo per scoprire che il nostro progetto è inattuabile, causa fila in-terminabile. Stanche e sfiduciate, veniamo portate alla salvezza da una visione divina: ci scorrazza davanti indisturbato uno splendido esemplare di Gesù Cristo, con una concezione un po’ troppo moderna di “spine”: esi-bisce infatti una corona di cavi elettr-ici; ma chi siamo noi per giudicare? Questa visione ci rinvigorisce a tal punto che troviamo la forza per raggi-ungere la nostra guida e ospite Michel-angelo (che può essere inteso come il grande pittore o la tartaruga ninja. Ispirate dall’atmosfera lucchese, noi propendiamo per la seconda.), che ci ricorda i nostri doveri di redattrici. È così che le nostre menti malate par-toriscono il gioco che sicuramente morirete dalla voglia di fare, e quindi perché prolungare la vostra agonia? Adesso tocca a voi riconoscere tutti i personaggi delle nostre avventure!

Alla scoperta di Nerdvilledi Beatrice Penzo e Marta Piseri

Un’ originale donzella in pericolo

La genialità di queta donna parla da sè!

Fann

o be

ne i

broc

coli!

Ringraziate che vostro

padre non era a Lucca...Chissà se fanno una

tariffa-ombra...

Un bonus a chi elenca tutti i titoli della pulzella!

BONUS: TROVA LA REDATTRICE!

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31 Dicembre 2014 | L'Oblo' sul Cortile

No, non gli abbiamo chiesto di

scrivere nessuno dei vostri nomi...

forse

Teenage dream

Paparazzando un 'genio, miliardario, playboy, filantropo’

Cinna we need you!

Premio 'Dolcezza’ 2014 Gente che non è mai cresciuta...

'...e una bottiglia di rum!’ 'piccola’, 'tenera’

Quando ci sentimmo le

regine di Nerdville

vestito per l’occasione!L’espressione della sanità mentale del carducciano medio dopo la sesta ora

Giusto per far capire il

disagio generale

Il sindaco di Lucca

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i vostri articoli

Sul Cortile,

Se volete scrivere

anche voi sull’Oblo’

mandateci

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BUONE VACANZE!

La redazione vi augura