Anno 9 - numero 5 (86) - Maggio 2012 Curia e pastorale per ... · un aneddoto sconosciuto sul card....

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - numero 5 (86) - Maggio 2012

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22 MaggioMaggio20122012

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Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate S.r.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, mons.Leonardo D’Ascenzo,don Dario Vitali, don AntonioGalati, Suore Apostoline Velletri, Suore MonasteroMadonna delle Grazie Velletri, don Marco Nemesi, donDaniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro, Claudio Capretti,Fabricio Cellucci, Lorena Carluccio,Rigel Langella, PierGiorgio Liverani, Antonio Venditti, Sara Gilotta, StefanoPerica, Francesco Canali, Valeriano Valenzi, Simone Valeriani,i Volontari del Museo Diocesano Velletri, Katiuscia Cipri,Antonio Giglio, Giorgio e Cinzia Safina, G. Loppa, SaraCalì, M. Assunta Civitella,Comunità parr.le Maria Ss.maImmacolata di Colleferro.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Foto Famiglia

- Come la famiglia può rispondere alla

sua vocazione, + Vincenzo Apicella p. 3

- La Chiesa e la famiglia: generare

la fede, p. Vincenzo Molinaro p. 4

- II Viaggio di Benedetto XVI in Messico e a Cuba (23 -28 marzo), S. Fioramonti p. 5

- 5.500.000 bambini abortiti e ciascuno era“ uno di noi “ , P. G. Liverani p. 8

- Elogio del Silenzio e della Solitudine, Antonio Giglio p. 9

- “Amare qualcuno per amare tutti”, Sara Gillotta p. 10

- Incontro con don Gino Rigoldi, sintesi a cura della redazione p. 11

- Zaccheo e la Misericordia, C. Capretti p. 12

- Libri sacri: possiamo essere tranquilli sul loro contenuto?, mons. Luigi Vari p. 13

- L’Eucarestia /1: fondamento biblico,don Antonio Galati p. 14

- Vie d’Uscita. Cercare Itinerari dentro le fatiche del vivere, Stefano Perica p.16

- Chiamati a ... SERVIRE!, K. Cipri p. 17

- Messagio di Benedetto XVI per la XLVI

Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali:

“Silenzio e Parole: cammino di evangelizzazione” p.18

- Silenzio e Parole: cammino di evangelizzazione,

Lorena Carluccio p. 19

- La vocazione dell’Educatore nel Documento

“Educare alla vita buona del Vangelo”,

mons. Leonardo D’Ascenzo p. 20

- La Chiesa Italiana riflette sullo sviluppo sostenibile:

esperienze d’impresa a confronto,

Rigel Langella p. 21

- Volete andarvene anche voi?,Fabricio Cellucci p. 22

- La vera crisi della chiesa occidentale,

mons. Franco Risi p.23 - Per scegliere... La Vita Consacrata.Testimonianze, Sr. Apostoline p.24 - Diaconato permanente: Una vocazionepersonale e familiare, Giorgio e Cinzia Safina p. 25

- La Madonna delle Grazie sfollata a Roma/ 1,Tonino Parmeggiani p. 26

- Morire in Cristo Gesù, il senso della morte cristiana, Suore Monastero

Madonna delle Grazie p. 27- Dalla Comunità di Segni p. 28- La Pasqua vista dai bambini, G. Loppa p. 29- Nel pensiero di San Bruno: Le Virtù cardine, don D. Valenzi p. 30

- La presenza nel tempo di eremiti a Gavignano. L’eremita e la cera contesa,

Francesco Canali p. 31- Colleferro, Parr.Maria Ss.ma ImmacolataLa Chiesa rinasce a nuova vita,

Comunità Parrocchiale p. 32- La condizione contadina a Valmontone all’inizio del Novecento/2,

S. Fioramonti p. 34- Dopo una vita intensissima e una lunga e serena degenza Padre Nicola Cerasaè tornato alla Casa del Padre,

Sara Calì p. 35- Museo Diocesano: La Croce Veliterna a Castel Sant’Angelo,

Simone Valeriani p. 36 - Il dovere della frequenza,

prof. Antonio Venditti p. 37- Nel 30° anniversario della sua scomparsa,un aneddoto sconosciuto sul card. Pericle Felici, Francesco Canali p. 38

- Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni, 1506-1508 circa, Uffizi Firenze,

don Marco Nemesi p. 40

- Il Canto nella celebraziuone delle esequie: è opportuno cantare ai Funerali?,

mons. F. Fagiolo p. 38

- Decreto Vesc. Visita Pastorale p. 39

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33MaggioMaggio20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

II l primo dono che ognuno di noi ha ricevuto, venendo al

mondo, è quello di una coppia umana, sempre e comun-

que un maschio e una femmina, che hanno, più o meno

consapevolmente, collaborato e hanno permesso alla Vita, cioè

a Dio stesso, di giungere fino a noi.

Quando questa coppia ci ha desiderato, atteso, accolto e aiu-

tato a crescere, allora il dono lo chiamiamo “famiglia” e rico-

nosciamo in esso il segno della bontà di Dio, che ha costitui-

to l’uomo a sua immagine e somiglianza proprio in quanto non

è un individuo solitario, ma “maschio e femmina”, chiamati a

donarsi reciprocamente, per essere “una sola carne”, per mol-

tiplicare, insegnare e trasmettere la logica dell’amore.

Questo è fin “da principio” (Mt.19,4), anche se la durezza del

nostro cuore in tanti modi e in tutti i tempi ha tentato di mani-

polare, di stravolgere o di sovvertire anche questo dono origi-

nario. Infatti, come ogni dono che il Signore della Vita ha mes-

so nelle nostre mani, anche la famiglia può essere strumenta-

lizzata, deturpata, calpestata, snaturata.

Non è un problema solo dei nostri tempi,anche se oggi, pro-

prio perché l’uomo è cresciuto e cresce a ritmi vertiginosi in

sapere e possibilità, ne abbiamo una coscienza più acuta e più

complessa, man mano che aumenta la complessità della nostra

stessa vita personale e di relazione.

Non si tratta, quindi, di rimpiangere la famiglia “di una volta”,

che aveva anch’essa i suoi bravi problemi, non meno gravi di

quelli di oggi, anche se il fatto che non sono più i nostri li fa

sembrare più leggeri e accettabili.

La questione è come la famiglia può rispondere alla sua voca-

zione e svolgere il suo compito insostituibile in un mondo in

piena trasformazione culturale, economica e sociale.

La famiglia, in questi tempi, diven-

ta segno di contraddizione, in quan-

to se, da una parte, aumentano

le sue responsabilità e i pesi da

portare, dall’altra diminuiscono le

risorse a sua disposizione e rischia

di essere considerata una fatto mar-

ginale.

Le si chiede di essere luogo di rifu-

gio in mezzo a un mondo distratto,

se non ostile, di trasmettere alle

nuove generazioni i valori fonda-

mentali per una convivenza civi-

le, di essere il primo e più impor-

tante tra gli ammortizzatori socia-

li, di farsi carico dei giovani che

non riescono ad inserirsi nel

lavoro e dei malati, che non han-

no strutture sufficienti per essere

curati fino in fondo, la si chiama

in causa in ogni occasione in cui

c’è bisogno di sostegno o di assi-

stenza.

Ma, allo stesso tempo, si è venu-

to creando un sistema economi-

co e produttivo che prescinde dalla famiglia,

in cui è difficile armonizzare i tempi del lavo-

ro con quelli della famiglia, in cui non viene tenu-

to in alcun conto il lavoro che comporta la stes-

sa vita familiare, in cui mancano le risorse per fornire i mezzi

e le strutture necessarie, in cui sta diventando difficile trovare

anche un solo giorno in cui si possa stare insieme, per non par-

lare delle normative fiscali e contributive spesso penalizzanti.

E’ di questo mese la protesta dei lavoratori dell’Outlet di Valmontone,

che, per recuperare le perdite causate dal maltempo, hanno

dovuto rinunciare al riposo e alla famiglia anche il giorno di Pasqua.

Da parecchio tempo, in ambito ecclesiale, si è preso coscien-

za dei problemi e dei rischi che la famiglia è chiamata oggi ad

affrontare e a questo tema è dedicata una delle più importan-

ti encicliche di Giovanni Paolo II, la Familiaris Consortio, men-

tre si cerca di promuovere tutte quelle forme associative attra-

verso le quali le famiglie possano diventare protagoniste e far

sentire la loro voce. Anche nella nostra diocesi l’interesse per

la pastorale familiare sta crescendo e sta dando vita ad alcu-

ne interessanti realizzazioni, come il punto di incontro a Segni

o il recente centro di ascolto ad Artena, tanto che si è deciso

di dedicare alla famiglia la tradizionale festa del 1° Maggio a

S. Maria dell’Acero.

In questa occasione, nel clima di un incontro gioioso per sta-

re insieme all’aria aperta, si è voluto dedicare anche un momen-

to alla riflessione per comprendere quanto sia importante tro-

vare il tempo e l’attenzione che la famiglia richiede.

E’ anche questo un modo per inserirsi nel grande evento che

si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi, il VII

Incontro mondiale delle Famiglie, che avrà come tema: La fami-glia: il lavoro e la festa , con la partecipazione di Benedetto

XVI e a cui sarà presente anche

un piccolo gruppo della diocesi, gui-

dato da P. Vincenzo Molinaro, par-

roco di Lariano.

Il senso dell’iniziativa, spiega un teo-

logo, è l’effettivo incontro delle fami-

glie con la Parola del Signore:

“Subissata com’è dalle parole che

si spendono a riguardo per dia-

gnosticarne la crisi, decretarne il supe-

ramento, imputarle responsabilità,

la famiglia attende una buona noti-

zia che, sfuggendo all’alternativa

dell’idealismo e del disfattismo, le

indichi la speranza possibile�

Il prossimo Incontro mondiale del-

le famiglie potrà allora dirsi riusci-

to se avrà saputo dare la Parola allefamiglie, il che vuol dire due cose

insieme: dare voce, con sano rea-

lismo, alla vita familiare così com’è

realmente vissuta, e lasciare che

la Parola di Dio possa illuminare la

vita di famiglia”.

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44 MaggioMaggio20122012

P. Vincenzo Molinaro o.m.d.*

NN el grande affresco che la Lumen Gentiumoffre alla Chiesa, nella sua ecclesiologiadi comunione, trova posto l’espres-

sione chiesa domestica (2 cap.11), o chiesa inminiatura, come dirà la Familiaris Consortio.Già in questo testo si afferma che i genitori devo-no essere per i figli, con la parola e con l’esempio,i primi annunciatori della fede.L’espressione “si potrebbe chiamare” riferitachiesa domestica, quasi a volerne attenuare laforza, dice che siamo all’inizio di un proficuoparagone che presto sarà ufficializzato dallateologia e troverà posto fisso nei documenti.Nella Familiaris Consortio (1981)tutte le intui-zioni annunciate dalla Lumen Gentium trove-ranno uno sviluppo ampio e organico. Questo documento rimane la magna carta del-la pastorale della famiglia per la sua comple-tezza e la sua armonia.La Chiesa italiana, a questo punto si inseriscecon originalità e incisività grandi, quando conil Direttorio di Pastorale Familiare (1993) det-ta le linee pastorali tuttora valide, e soprattut-to imprime al settore una forte accelerazionedalla quale dipendono in concreto tante scel-te delle nostre diocesi.Così siamo giunti al decennio 2010-2020 di cuisiamo tutti protagonisti. Dal cammino degli anniprecedenti noi raccogliamol’invito che si concretizza inEducare alla vita buona delVangelo.In questo documento checi sforziamo di leggere e com-mentare nelle nostre cate-chesi, le Chiese di Dio chesono in Italia, sanciscono ilprimato educativo dellafamiglia (36). Questo ruolo evidente-mente non basta affer-marlo o scriverlo, bisognaprepararlo, va propostoalle famiglie: ad esse per pri-me va annunciato comeVangelo, ossia buona noti-zia dell’amore grande cheil Signore affida loro e del-la responsabilità che portano. La famiglia, quindi, è chia-mata a dare compimento allasua vocazione specifica, ossiaquella di generare allafede. Essa è una vera cul-

la, dove il neonato alla fede riceve tutte le cure,l’alimento, la tenerezza più naturale perché pos-sa crescere e sviluppare la vita nello Spirito. Prendendo coscienza che l’accostamento allaChiesa non è solo letterario, ma teologico, ognifamiglia si prepara a questo nuovo parto. In esso,padre e madre hanno responsabilità parallele,ognuno secondo il suo ruolo genitoriale da allatestimonianza una diversa accentuazione, perconvergere nell’unità della fede, come una èla famiglia stessa. Affermare questo compito prioritario dellafamiglia, vuol dire liberare tante forze sacerdotalioggi impegnate nella catechesi: questa davveroappartiene alla famiglia. Tanto più le appartie-ne, quanto più efficace e duratura può esserequella catechesi che si fonda non tanto e nonsolo sulle nozioni ma sulla comunione: è que-sta la vera, per non dire l’unica, possibilità ditrasmettere la fede con speranza di una rice-zione profonda, appassionata, personale…Certamente ogni famiglia, presa coscienza delcompito che il vangelo le affida, sentirà la gioiae la responsabilità di questo servizio.Anzi, questo non sarà un compito in più, maga-ri tempo sottratto alle cure materiali così assor-benti, ma segnerà al contrario il senso più uma-no della educazione e quindi il risultato più ele-vato della attenzione familiare.

Altro ambito dove crescel’impegno e la testimonianzadi tante famiglie è la pre-parazione al matrimonio.Dopo l’impulso dato dal Concilio, si sono aper-te tante strade per dare modo ai giovani inten-zionati a celebrare le nozze nella fede, di rag-giungere questo obbiettivo. E’ ormai parte del programma del matrimonio,comunemente accettato senza difficoltà, vissutocon entusiasmo partecipe e costruttivo. In questo cammino c’è stata una grande varie-tà di itinerari (catechetico, biblico, psicologico…),oggi si preferisce quello testimoniale, e in gene-re tornano in campo le famiglie con più o menolunga esperienza che incontrano i giovani e silegano ad essi nella amicizia e nello scambiofraterno. Anche i Consultori familiari, molti sorti come diret-ta espressione della pastorale, rispondono alleesigenze della comunità e sono sostenuti dal-la professionalità di tante coppie che vi river-sano la loro grande fede e lo spirito di servi-zio. Nella società spesso pervasa da soli inte-ressi personali ed egoistici, la disponibilità diqueste famiglie dice che qualcosa sta cambiando.Milano 2012Davanti a noi, anche dopo l’esperienzadell’Acero del primo maggio, si staglia il 7° Incontro

Mondiale delle Famiglie, indet-to da Papa Benedetto cheha indicato il tema sulquale confrontarsi: La fami-glia: il lavoro e la festa. Essosi svolgerà dal 30 maggioal 3 giugno. Nei primi tre giorni avrà luo-go il Convegno teologico-pastorale sul tema, il 2 e 3giugno saranno destinati all’in-contro con il Santo Padre,con la Festa delle testi-monianze (2 giugno), e quin-di la santa messa con il man-dato alle famiglie (3 giugno).Cosa possiamo fare da lon-tano? Documentarsi e pre-gare, quindi seguire tramitela stampa, la TV, i siti inter-net, specialmente: www.fam-ily2012.it

*Delegato vescovile per laPastorale familiare

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Stanislao Fioramonti

PREMESSA: 23 marzo, conferenza stampa nel volo per ilMessico (Con riferimento al Messico) “Condivido le gioie e le speranze, ma condividoanche il lutto e le difficoltà di questo grande Paese.Vado per incoraggiare e per imparare, per con-fortare nella fede, nella speranza e nella carità,e per confortare nell’impegno per il bene e nel-l’impegno per la lotta contro il male”.“Noi conosciamo bene tutte le bellezze del Messico,ma anche il grande problema del narcotraffico edella violenza. E’ certamente una grande respon-sabilità per la Chiesa cattolica in un Paese conl’80 per cento di cattolici. Dobbiamo fare il pos-sibile contro questo male distruttivo dell’umanitàe della nostra gioventù. Direi che il primo atto èannunciare Dio (...).Quindi, è grande responsabilità della Chiesa edu-care le coscienze, educare alla responsabilità mora-le e smascherare il male, smascherare questa ido-latria del denaro, che schiavizza gli uomini soloper questa cosa; smascherare anche le false pro-messe, la menzogna, la truffa, che sta dietro ladroga. Dobbiamo vedere che l’uomo ha bisognodell’infinito”. “Si vede, in America Latina ma anchealtrove, presso non pochi cattolici, una certa schi-zofrenia tra morale individuale e pubblica: personalmente,nella sfera individuale, sono cattolici, credenti, manella vita pubblica seguono altre strade che noncorrispondono ai grandi valori del Vangelo, chesono necessari per la fondazione di una societàgiusta. Quindi, bisogna educare a superare que-sta schizofrenia, educare non solo ad una mora-le individuale, ma ad una morale pubblica, e que-sto cerchiamo di farlo con la Dottrina Sociale del-la Chiesa, perché questa morale pubblica dev’es-sere una morale ragionevole, condivisa e condi-visibile anche da non credenti, una morale dellaragione”.(Con riferimento a Cuba)“Oggi è evidente che l’ideologia marxista com’e-ra concepita non risponde più alla realtà: così nonsi può più rispondere e costruire un società; devo-no essere trovati nuovi modelli, con pazienza ein modo costruttivo. In questo processo, che esi-ge pazienza ma anche decisione, vogliamo aiu-tare in spirito di dialogo, per evitare traumi e peraiutare il cammino verso una società fraterna egiusta come la desideriamo per tutto il mondo evogliamo collaborare in questo senso. E’ ovvio chela Chiesa stia sempre dalla parte della libertà: liber-tà della coscienza, libertà della religione”.“ C’è una situazione comune del mondo, c’è lasecolarizzazione, l’assenza di Dio, la difficoltà divederlo come una realtà che concerne la mia vita.E dall’altra parte ci sono i contesti specifici: quel-li di Cuba con il sincretismo afro-cubano, con tan-te altre difficoltà, ma ogni Paese ha la sua situa-zione culturale specifica. E da una parte dobbiamopartire dal problema comune: come oggi, in que-sto contesto della nostra moderna razionalità, pos-siamo di nuovo riscoprire Dio come l’orientamentofondamentale della nostra vita, la speranza fon-damentale della nostra vita, il fondamento dei valo-ri che realmente costruiscono una società, e comepossiamo tener conto della specificità delle

situazioni diverse. (...) In America Latina, in gene-re, è molto importante che il Cristianesimo nonsia mai tanto una cosa della ragione, ma delcuore. La Madonna di Guadalupe è riconosciutaed amata da tutti, perché capiscono che è unaMadre per tutti ed è presente dall’inizio in que-sta nuova America Latina, dopo l’arrivo degliEuropei. E pure in Cuba abbiamo la Madonnadel Cobre, che tocca i cuori. Ma questa intui-zione del cuore deve collegarsi con la razio-nalità della fede e con la profondità della fedeche va oltre la ragione. Dobbiamo cercare dinon perdere il cuore, ma di collegare cuore eragione, così che cooperino, perché solo cosìl’uomo è completo e può realmente aiutare elavorare per un futuro migliore”.IN MESSICO: 23 marzo, aeroporto di Leon-Guanajuato“Con questa breve visita, desidero stringere lamano di tutti i messicani e raggiungere le nazio-ni e i popoli latinoamericani, ben rappresen-tati qui da tanti Vescovi, proprio in questo luo-go nel quale il maestoso monumento a CristoRe, nel “Cerro del Cubilete”, manifesta il radi-camento della fede cattolica tra i messicani,che si mettono sotto la sua costante benedi-zione in tutte le loro vicissitudini”. “Giungo come pellegrino della fede, della spe-ranza e della carità. Desidero confermare nel-la fede i credenti in Cristo, consolidarli in essae incoraggiarli a rivitalizzarla con l’ascolto del-la Parola di Dio, i Sacramenti e la coerenzadi vita. Così potranno condividerla con gli altri,come missionari tra i propri fratelli, ed esserefermento nella società, contribuendo a una con-vivenza rispettosa e pacifica, basata sulla incom-parabile dignità di ogni persona umana, crea-ta da Dio, e che nessun potere ha il diritto didimenticare o disprezzare. Questa dignità si mani-festa in modo eminente nel diritto fondamentalealla libertà religiosa”. “Insieme alla fede e alla speranza, il credente inCristo, e la Chiesa nel suo insieme, vivono e pra-ticano la carità come elemento essenziale dellaloro missione. Nessuno rimane escluso per la suaorigine o le sue convinzioni da questa missionedella Chiesa, che non entra in competizione conaltre iniziative private o pubbliche, anzi, essa col-labora volentieri con coloro che perseguono que-sti stessi fini. Tantomeno pretende altra cosa chenon sia fare del bene, in maniera disinteressatae rispettosa, al bisognoso”.24 marzo, Guanajuato, il saluto ai bambini nel-la plaza de la Paz“Voi occupate un posto molto importante nel cuo-re del Papa. E in questo momento desidero chelo sappiano tutti i bambini del Messico, partico-larmente quelli che sopportano il peso della sof-ferenza, l’abbandono, la violenza o la fame, chein questi mesi, a causa della siccità, si è fatta sen-tire”. “Sono venuto perché sentiate il mio affetto.Ciascuno di voi è un regalo di Dio per il Messicoe per il mondo. La vostra famiglia, la Chiesa, la scuola e chi haresponsabilità nella società devono lavorare uni-ti perché voi possiate ricevere come eredità unmondo migliore, senza invidie né divisioni.Per questo, desidero levare la mia voce invitan-

do tutti a proteggere e accudire i bambini, per-ché mai si spenga il loro sorriso, possano vive-re in pace e guardare al futuro con fiducia”.“Voi, miei piccoli amici, non siete soli. Contate

sull’aiuto di Cristo e della sua Chiesa per condurreuno stile di vita cristiano. Partecipate alla Messadomenicale, alla catechesi, a qualche gruppo diapostolato, cercando luoghi di preghiera, frater-nità e carità. Così vissero i beati Cristobal, Antonioe Giovanni, i piccoli martiri di Tlaxcala, che cono-scendo Gesù, al tempo della prima evangelizza-zione del Messico, scoprirono che non esiste teso-ro più grande di Lui. Erano piccoli come voi, e daloro possiamo imparare che non esiste età peramare e servire”.25 marzo, omelia alla S. Messa e Angelus nelParco Expo Bicentenario di Leòn“Cari fratelli, venendo qui ho potuto avvicinarmi

al monumento a Cristo Re, in cima al “Cubilete”.Le corone che lo accompagnano, una da sovra-no ed un’altra di spine, indicano che la sua rega-lità non è come molti la intesero e la intendono.Il suo regno non consiste nel potere dei suoi eser-citi per sottomettere gli altri con la forza o la vio-lenza. Si fonda su un potere più grande, che con-quista i cuori: l’amore di Dio che Egli ha portatoal mondo col suo sacrificio e la verità, di cui hadato testimonianza. Per questo è giusto che, innan-zitutto, questo santuario sia un luogo di pellegri-naggio, di preghiera fervente, di conversione, di

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riconciliazione, di ricerca della verità e accoglienzadella grazia. A Lui, a Cristo, chiediamo che regninei nostri cuori, rendendoli puri, docili, pieni di spe-ranza e coraggiosi nella loro umiltà”. “In Aparecida,i Vescovi dell’America Latina e dei Caraibi han-no colto con lungimiranza la necessità di confer-mare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo,radicata nella storia di queste terre “dall’incontropersonale e comunitario con Gesù Cristo che susci-ti discepoli e missionari”. La Misión Continental che si sta portando avan-ti, diocesi per diocesi, in questo Continente, haprecisamente l’obiettivo di far arrivare questa con-vinzione a tutti i cristiani e alle comunità eccle-siali, affinché resistano alla tentazione di una fedesuperficiale e abitudinaria, a volte frammentariaed incoerente. Anche qui si deve superare la stan-chezza della fede e recuperare “la gioia di esse-re cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interioredi conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per ser-vire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenzaumana, per mettersi a sua disposizione, senza ripie-garsi sul proprio benessere”. (...) “In questo senso, l’“Anno della fede”, che ho con-vocato per tutta la Chiesa, “è un invito ad un’au-tentica e rinnovata conversione al Signore, uni-co Salvatore del mondo”.“ In questi momenti in cui tante famiglie si ritro-vano divise e costrette all’emigrazione, molte sof-frono a causa della povertà, della corruzione, del-la violenza domestica, del narcotraffico, della cri-si di valori o della criminalità, rivolgiamoci a Mariaalla ricerca di conforto, vigore e speranza. E’ laMadre del vero Dio, che invita a rimanere con lafede e la carità sotto la sua ombra, per supera-re così ogni male e instaurare una società più giu-sta e solidale. Con questi sentimenti, desideroporre nuovamente sotto il dolce sguardo di NostraSignora di Guadalupe questo Paese e tutta l’AmericaLatina e i Caraibi. Affido ciascuno dei suoi figli allaStella della prima e della nuova evangelizzazio-ne, che ha animato con il suo amore materno lastoria cristiana di queste terre, dando caratteri-stiche particolari ai grandi avvenimenti della lorostoria, alle loro iniziative comunitarie e sociali, allavita familiare, alla devozione personale ealla Misiòn continental che ora si sta svolgendoin queste nobili terre. In tempi di prova e dolore,Ella è stata invocata da tanti martiri che, al grido“Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe”, hanno datouna perenne testimonianza di fedeltà al Vangeloe di dedizione alla Chiesa”.25 marzo, cattedrale di Leòn, omelia ai vespricon i vescovi messicani e latinoamericani“La situazione attuale delle vostre diocesi presentacertamente sfide e difficoltà di origine molto diver-sa. Ma, sapendo che il Signore è risorto, possiamoproseguire fiduciosi, con la convinzione che il malenon ha l’ultima parola della storia, e che Dio è capa-ce di aprire nuovi spazi ad una speranza che nondelude”.“La fede cattolica ha segnato in modo significa-tivo la vita, i costumi e la storia di questo Continente,nel quale molte delle sue nazioni stanno com-memorando il bicentenario della propria indipen-denza. E’ un momento storico nel quale ha con-tinuato a splendere il nome di Cristo, arrivato qui

per opera di insigni e generosi missionari che loproclamarono con coraggio e con sapienza”. “Leiniziative che vengono realizzate a motivodell’“Anno della fede” devono essere finalizzatea condurre gli uomini a Cristo, la cui grazia per-metterà loro di lasciare le catene del peccato cheli rende schiavi e di avanzare verso la libertà auten-tica e responsabile. In questo un aiuto è dato anchedalla Misión continental, promossa in Aparecida,che sta già raccogliendo tanti frutti di rinnovamentoecclesiale nelle Chiese particolari dell’America Latinae dei Caraibi. Tra essi, lo studio, la diffusione ela meditazione della Sacra Scrittura, che annun-cia l’amore di Dio e la nostra salvezza”.“Cari Fratelli nell’Episcopato, nell’orizzonte pasto-rale e di evangelizzazione che si apre davanti anoi, un’attenzione sempre più speciale si deve riser-vare ai laici maggiormente impegnati nella cate-chesi, nell’animazione liturgica o nell’azione cari-tativa e nell’impegno sociale. La loro formazionenella fede è cruciale per rendere presente e fecon-do il Vangelo nella società di oggi. E non è giu-sto che si sentano considerati come persone dipoco conto nella Chiesa, nonostante l’impegnoche pongono nel lavorare in essa secondo la loropropria vocazione, ed il gran sacrificio che a vol-te richiede questa dedizione”.26 marzo, discorso di commiato all’aeropor-to di Guanajuato“Davanti alla fede in Gesù Cristo, che ho sentitovibrare nei cuori, e alla devozione affettuosa perla sua Madre - invocata qui con titoli tanto bellicome quello di Guadalupe e della Luce - che hovisto riflessa nei volti, desidero ripetere con for-za e chiarezza un invito al popolo messicano adessere fedele a sé stesso e a non lasciarsi inti-morire dalle forze del male, ad essere coraggio-so e lavorare affinché la linfa delle sue radici cri-stiane faccia fiorire il suo presente ed il suo futu-ro. Sono stato anche testimone di segni di preoc-cupazione per diversi aspetti della vita in questoamato Paese, alcuni rilevati più di recente ed altriche provengono dal passato, e che continuanoa causare tante lacerazioni. In queste circostan-ze, esorto ardentemente i cattolici messicani e tut-ti gli uomini e donne di buona volontà, a non cede-re alla mentalità utilitarista, che finisce sempre colsacrificare i più deboli ed indifesi. Li invito ad unsforzo solidale che permetta alla società di rin-novarsi dalle sue fondamenta per realizzare unavita degna, giusta ed in pace per tutti. Per i cattolici, questo contributo al bene comuneè anche un’esigenza di quel-la dimensione essenziale delVangelo che è la promozioneumana ed una espressione altis-sima della carità. Per questo la Chiesa esortatutti i suoi fedeli ad essere anchebuoni cittadini, coscienti del-la loro responsabilità di preoc-cuparsi per il bene degli altri,di tutti, sia nella sfera perso-nale sia nei diversi settori del-la società”.A CUBA . 26 marzo, il ben-venuto all’aeroporto diSantiago de Cuba

“Nel venire tra voi, non posso tralasciare il ricor-do della storica visita a Cuba del mio Predecessore,il Beato Giovanni Paolo II.Uno dei frutti importanti di quella visita fu l’inau-gurazione di una nuova fase nelle relazioni tra laChiesa e lo Stato cubano, con uno spirito di mag-giore collaborazione e fiducia, benché rimanga-no ancora molti aspetti nei quali si può e si deveavanzare, specialmente per quanto si riferisce alcontributo imprescindibile che la religione èchiamata a svolgere nell’ambito pubblico della socie-tà”. “Vengo a Cuba come Pellegrino della carità,per confermare i miei fratelli nella fede e incoraggiarlinella speranza, che nasce dalla presenza dell’a-more di Dio nelle nostre vite. Porto nel mio cuo-re le giuste aspirazioni e i legittimi desideri di tut-ti i cubani, dovunque si trovino, le loro sofferen-ze e gioie, le loro preoccupazioni e gli aneliti piùnobili, in modo speciale dei giovani e degli anzia-ni, degli adolescenti e dei bambini, degli infermie dei lavoratori, dei detenuti e dei loro familiari,così come dei poveri e bisognosi”. “Molte parti delmondo vivono oggi un momento di particolare dif-ficoltà economica, che non pochi concordano nelsituare in una profonda crisi di tipo spirituale e mora-le, che ha lasciato l’uomo senza valori e indife-so di fronte all’ambizione e all’egoismo di certi pote-ri che non tengono conto del bene autentico del-le persone e delle famiglie. Non si può proseguire a lungo nella stessa dire-zione culturale e morale che ha causato la dolo-rosa situazione che tanti sperimentano. Al contrario, il vero progresso necessita di un’e-tica che collochi al centro la persona umana e ten-ga conto delle sue esigenze più autentiche, in modospeciale della sua dimensione spirituale e religiosa”.26 marzo, Santiago de Cuba, S. Messa nel 400°del ritrovamento della Virgen del Cobre“Questa Santa Messa si inserisce nel contesto del-l’anno giubilare mariano, convocato per onorarela Vergine della Carità del Cobre, Patrona di Cuba,nel quattrocentesimo anniversario della scoper-ta e presenza della sua venerata immagine in que-ste terre benedette. Non ignoro il sacrificio e la dedizione con cui èstato preparato questo giubileo, specialmente nel-l’aspetto spirituale. Mi ha riempito di emozione cono-scere il fervore con il quale Maria è stata saluta-ta e invocata da tanti cubani, nella sua peregri-nazione per tutti gli angoli e i luoghi dell’Isola”.“Cari fratelli, so con quanto sforzo, audacia e abne-gazione lavorate ogni giorno affinché, nelle cir-

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costanze concrete del vostro Paese, e in que-sto momento storico, la Chiesa rifletta sem-pre più il suo vero volto come luogo nel qua-le Dio si avvicina e incontra gli uomini. LaChiesa, corpo vivo di Cristo, ha la missio-ne di prolungare sulla terra la presenza sal-vifica di Dio, di aprire il mondo a qualcosadi più grande di se stesso, all’amore e allaluce di Dio”. “Il Mistero dell’Incarnazione, nelquale Dio si fa vicino a noi, ci mostra anchela dignità incomparabile di ogni vita uma-na. Per questo, nel suo progetto di amore,fin dalla creazione, Dio ha affidato alla fami-glia fondata sul matrimonio l’altissima mis-sione di essere cellula fondamentale della socie-tà e vera Chiesa domestica. Con questa certez-za, voi, cari sposi, dovete essere, in modo spe-ciale per i vostri figli, segno reale e visibile del-l’amore di Cristo per la Chiesa. Cuba necessitadella testimonianza della vostra fedeltà, della vostraunità, della vostra capacità di accogliere la vitaumana, specialmente la più indifesa e bisogno-sa”.27 marzo, Santiago de Cuba, visita al santuariodella Virgen de la Caridad del Cobre“Sono venuto come pellegrino fino alla casa del-l’immagine benedetta di Nostra Signora della Carità,“la Mambisa”, come la invocate affettuosamen-te. La sua presenza in questo paese di El Cobreè un regalo del Cielo per i cubani”. “Fate sapere a quanti incontrate, vicini o lontani,che ho affidato alla Madre di Dio il futuro della vostraPatria, affinché avanzi nel cammino di rinnova-mento e di speranza, per il maggior bene di tut-ti i cubani. Ho pregato la Vergine Santissima ancheper le necessità di coloro che soffrono, di coloroche sono privi di libertà, lontani dalle persone careo vivono gravi momenti di difficoltà. Ho posto, allostesso tempo, nel suo Cuore Immacolato i gio-vani, affinché siano autentici amici di Cristo e noncedano alle proposte che lasciano tristezza die-tro di sé. Davanti a Maria della Carità, mi sonoricordato anche, in modo particolare, dei cubanidiscendenti di coloro che giunsero qui dall’Africa,come pure della vicina popolazione di Haiti, chesoffre ancora delle conseguenze del ben cono-sciuto terremoto di due anni fa. E non ho dimen-ticato i molti contadini e le loro famiglie, che desi-derano vivere intensamente nelle loro case il Vangelo,e offrono anche le loro case come centri di mis-sione per la celebrazione dell’Eucaristia”.28 marzo, L’Avana, Santa Messa in plaza dela Revoluciòn“La verità è un anelito dell’essere umano, e cer-carla suppone sempre un esercizio di autenticalibertà. Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoiee cercano di evitare questo compito. Alcuni, comePonzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poterconoscere la verità, proclamando l’incapacità del-l’uomo di raggiungerla o negando che esista unaverità per tutti. Questo atteggiamento, come nelcaso dello scetticismo e del relativismo, produceun cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacil-lanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi. Personeche si lavano le mani come il governatore roma-no e lasciano correre il fiume della storia senzacompromettersi. D’altra parte, ci sono altri che inter-pretano male questa ricerca della verità, portan-

doli all’irrazionalità e al fanatismo, per cui si rin-chiudono nella «loro verità» e cercano di impor-la agli altri. Sono come quei legalisti accecati che, vedendoGesù colpito e sanguinante, gridano infuriati:«Crocifiggilo!». In realtà, chi agisce irrazionalmentenon può arrivare ad essere discepolo di Gesù. Fedee ragione sono necessarie e complementari nel-la ricerca della verità”. “La verità sull’uomo è unpresupposto ineludibile per raggiungere la liber-tà, perché in essa scopriamo i fondamenti di un’e-tica con la quale tutti possono confrontarsi e checontiene formulazioni chiare e precise sulla vitae la morte, i doveri ed i diritti, il matrimonio, la fami-glia e la società, in definitiva, sulla dignità invio-labile dell’essere umano. Questo patrimonio eti-co è quello che può avvicinare tutte le culture, ipopoli e le religioni, le autorità e i cittadini, e i cit-tadini tra loro, e i credenti in Cristo con coloro chenon credono in Lui”. “Con la ferma convinzioneche Cristo è la vera misura dell’uomo, e sapen-do che in Lui si trova la forza necessaria per affron-tare ogni prova, desidero annunciarviapertamente il Signore Gesù comeVia, Verità e Vita. In Lui tutti trove-ranno la piena libertà, la luce percapire in profondità la realtà e tra-sformarla con il potere rinnovato-re dell’amore”.“La Chiesa vive per rendere partecipigli altri dell’unica cosa che possie-de, e che non è altro che Cristo stes-so, speranza della gloria (cfr Col 1,27).Per poter svolgere questo compi-to, essa deve contare sull’essenzialelibertà religiosa, che consiste nel poterproclamare e celebrare anche pub-blicamente la fede, portando il mes-saggio di amore, di riconciliazionee di pace, che Gesù portò al mon-do. E’ da riconoscere con gioia chesono stati fatti passi in Cuba affinché la Chiesacompia la sua ineludibile missione di annuncia-re pubblicamente ed apertamente la sua fede. Tuttavia,è necessario proseguire, e desidero incoraggia-re le autorità governative della Nazione a raffor-zare quanto già raggiunto ed a proseguire in que-sto cammino di genuino servizio al bene comu-ne di tutta la società cubana”. “Il diritto alla libertà religiosa, sia nella sua dimen-sione individuale sia in quella comunitaria, mani-festa l’unità della persona umana che è, nel mede-simo tempo, cittadino e credente. Legittimaanche che i credenti offrano un contributo all’e-

dificazione della società”. “Quando la Chiesamette in risalto questo diritto, non sta recla-mando alcun privilegio. Pretende solo diessere fedele al mandato del suo divinoFondatore, cosciente che dove Cristo sirende presente, l’uomo cresce in umani-tà e trova la sua consistenza”.“Cuba ed il mondo hanno bisogno di cam-biamenti, ma questi ci saranno solo se ognu-no è nella condizione di interrogarsi sul-la verità e si decide a intraprendere il cam-mino dell’amore, seminando riconciliazionee fraternità”.28 marzo, aeroporto di L’Avana, ceri-

monia di congedo da Cuba “Il cammino che Cristo propone all’umanità, e adogni persona e popolo in particolare, non la coar-ta in nulla, anzi è il fattore primo e principale peril suo autentico sviluppo. La luce del Signore, cheha brillato con fulgore in questi giorni, non si spen-ga in chi l’ha accolta ed aiuti tutti a rafforzare laconcordia e a far fruttificare il meglio dell’animacubana, i suoi valori più nobili, sui quali è possi-bile fondare un società di ampi orizzonti, rinno-vata e riconciliata. Che nessuno si senta impe-dito a prendere parte a questo appassionante com-pito, per limitazione delle proprie libertà fondamentali,né si senta esonerato da esso, per negligenza ocarenza di mezzi materiali. Situazione che risul-ta aggravata quando misure economiche restrit-tive imposte dal di fuori del Paese pesano nega-tivamente sulla popolazione”. “Il rispetto e la cura della libertà che palpita nelcuore di ogni uomo è imprescindibile per rispon-dere in modo adeguato alle esigenze fondamentalidella sua dignità, e costruire così una società nel-

la quale ciascuno si senta protagonista indispensabiledel futuro della propria vita, della propria famigliae della propria patria.L’ora presente reclama in modo urgente che, nel-la convivenza umana, nazionale ed internazionale,si eliminino posizioni inamovibili ed i punti di vistaunilaterali che tendono a rendere più ardua l’in-tesa ed inefficace lo sforzo di collaborazione. Leeventuali discrepanze devono essere risoltericercando, senza stancarsi, ciò che unisce tut-ti, con un dialogo paziente e sincero e una volon-tà sincera di ascolto che accolga obiettivi por-tatori di nuove speranze”.

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Pier Giorgio Liverani

SSi sono verificati, in queste ultime setti-mane, diversi episodi – alcuni gravissi-mi – che hanno avuto per vittime o, per

così dire, protagonisti i concepiti: quei minuscoliesseri umani, ciascuno dei quali, anche se pra-ticamente all’inizio neppure visibile, è sempre«uno di noi».Ricordiamoli: i novantaquattro embrioni “sovran-numerari” morti nel bidone super-refrigerato del-l’ospedale San Filippo Neri di Roma; la messain commercio della pillola “Ella One”, detta piùpopolarmente “contraccettivo d’emergenza” o“pillola dei cinque giorni dopo”; un inaspettatoarticolo su l’Unità, in cui il dott. StefanoSemplici, presidente del comitato internazionaledi bioetica dell’Unesco e docente di ginecolo-gia e ostetricia all’Università di Tor Vergata, aRoma, lancia un allarme, perché tanto la pillo-la esplicitamente abortiva come la RU486 quan-to la “Ella One” e quella “del giorno dopo” (anchequeste due ultime abortive se un concepimentoè già avvenuto) sono altrettante forti spinte con-tro la privatizzazione dell’aborto, vale a dire afavore della clandestinità e quindi della totalebanalizzazione e contro la finalità della Legge194, che vuole farne un atto a gestione pub-blica.A questi episodi, di cui molto si è parlato sui gior-ni, bisogna aggiungere anche le proteste del fron-te abortista per l’iniziativa, che si va diffondendoin molte città, di destinare un angolo dei cimi-teri per il “giardino degli angeli”, cioè per la sepol-tura dei bambini abortiti spontaneamente ma soprat-tutto volontariamente (finora quei corpicinistraziati venivano considerati “rifiuti speciali ospe-

dalieri” e come tali trattati; l’iniziativa delle Chiesedegli Stati Uniti di istituire un rito di benedizio-ne dei bambini nel grembo materno come soste-gno ai genitori in attesa del figlio e riconosci-mento del prezioso dono della maternità; e, infi-ne, la notizia di quel medico australiano trasferitosia Londra dove gestisce una clinica, meglio: unafabbrica in serie di bambini da vendere.Ci sarebbe un altro “evento” che, però, deve anco-ra verificarsi e di cui si parlerà a conclusionedi questa riflessione. Perché questo elenco? Perché a 34 anni dalla legalizzazione dell’a-borto in Italia,. che ha ridotto il figlio concepitoin una cosa, un oggetto di proprietà di cui si puòdisporre a piacimento e, per di più, con l’aiutodello Stato e a spese – vale a dire con la invo-lontaria partecipazione e complicità – di tuttala comunità nazionale, quel minuscolo esserecosì pieno di futuro e colmo di speranze per sée per gli altri è tornato a essere, anche controla volontà di tanti, il centro dell’attenzione del-la società civile (e religiosa, ovviamente).Ecco dei brevi spunti di spiegazione e di rifles-sione. Se per quei 94 embrioni che hanno ter-minato i loro tristi e gelidi giorni nella tempera-tura risalita di pochi gradi dei bidoni di azoto liqui-do, molti – specialmente i genitori – li hanno pian-ti e hanno parlato di “morte”, vuol dire che quel-le creature erano vive, cioè esseri umani, cioèpersone, cioè come noi.Se un accademico di rilevanza mondiale comeil prof. Semplici ha parlato di privatizzazione ebanalizzazione dell’aborto, vuol dire che que-gli esserini meritavano di vedersi riconoscereuna dignità, che è attributo appartenente nona oggetti o ad animali, ma soltanto a uomini edonne.

Se il semplice fatto di prevedere una sepoltu-ra come quella dovuta ai resti mortali di tutti gliesseri umani solleva tanto chiasso (il gentile sin-daco di Napoli ha parlato di «provvedimento oscu-rantista e strumentale», di «un atto compiutospeculando politicamente sulla sofferenza del-le donne», e non è stato il solo a esprimersi così),vuol dire che a tanta gente fanno paura i pic-coli dolci fantasmi che girano intorno a chi li teme,perché – e De Magistris lo sa perché lo è sta-to – vengono visti come minuscoli pubblici mini-steri che in qualche modo cercano il riconoscimento,sia pure dopo la morte, venire pensati come sipensa a un essere umano.Se quei figli dalle piccolissime dimensioni car-nali vengono benedetti quando ancora sono nelventre materno, vuol dire che sono figli non sol-tanto di chi li ha generati nell’amore umano, maanche dell’amore infinito che Dio ha per ogniuomo. Ed ecco, finalmente, l’ultimo evento, peril quale abbiamo fatto tutto questo discorso. Domenica20 maggio sarà il “Life Day”, la giornata dellavita dedicata a tutti quei piccolissimi esseri uma-ni ai quali tanti, anche scienziati, politici, medi-ci, affaristi, gente comune, non vogliono rico-noscere la dignità innata di essere ciascuno unapersona: persona “come noi”, anzi, meglio: “unodi noi”.Ci sarà una folla di concepiti diventati, ormai,giovani e adulti e venuti da ogni paesedell’Unione Europea. Tutti si ritroveranno nel-l’immenso spazio dell’Aula Paolo VI in Vaticano,dove li raggiungerà un saluto di papa BenedettoXVI. Sarà una iniziativa dei “cittadini europei perla vita” promossa dal Movimento per la Vita ita-liano (che il mese scorso ha rinnovato la pro-

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pria struttura dirigente confermandoall’unanimità e per acclamazio-ne l’on. Carlo Casini presidente) La giornata del 20 maggio pre-cede soltanto di 2 giorni l’anni-versario di quel 22 maggio, chenel 1978 consegnò alla storia lalegge 194 sull’aborto e i quasi cin-que milioni e mezzo di vittime inno-centi che l’hanno seguita. La manifestazione avrà due slo-gan: «Uno di noi» e «l’Europa didomani è nelle vostre mani», que-st’ultimo rivolto alle centinaia dimigliaia di giovani studenti chein questi ultimi 25 anni hanno par-tecipato al concorso scolasticoannuale sui temi della vita e del-la famiglia. Ottomila sono stati i vincitori, tre-cento l’anno scorso, che – dopoaver tutti partecipato a un viag-gio nelle Istituzioni europee diStrasburgo – saranno simboli-camente premiati nell’Aula PaoloVI. Sarà la più grande manife-stazione europea per la vita daquando esiste l’Unione e farà par-tire la raccolta di un milione di fir-me in tutti i Paesi della UE perchiedere al Parlamento Europeoche il concepito sia finalmente rico-nosciuto come «uno di noi».

Antonio Giglio

HH o da poco ter-minato di medi-tare su un capo-

lavoro di Erasmo diRotterdam, intitolato“Elogio della Follia”, e per-tanto ho deciso di inti-tolare questo mio brevescritto con l’espressionedi cui sopra.Pensavo alle ispirateparole del profeta Oseaquando, in 2,14, ci ripe-te :”La condurrò neldeserto e parlerò al suocuore”, per concludereche, affinché la nostra vitadiventi veramente religiosa,è indispensabile cheessa entri realmente instretta relazione conDio. Egli ci invita adincontrarLo, in quella solitudine che sembra sarà nega-ta a chiunque sceglierà di vivere presso gli uomini. E’inconfutabile che la vera solitudine è spirito e che tut-te le nostre solitudini umane costituiscono solamen-te un modo di incamminarci verso la fede, che è la per-fezione della solitudine. So bene che la vera solitudi-ne non è l’assenza degli uomini, ma è la reale pre-senza di Dio, ove diventa possibile la trasformazionedella nostra vita ed attuabile l’ingresso in una regio-ne dove la solitudine ci è donata; questo ci porterà nel-la pace, consapevoli di essere profondamente uniti atutti gli uomini che sono fatti di terra, come noi Nonc’è solitudine senza silenzio, senza talvolta tacere, sapen-do sempre e comunque ascoltare; tant’è che ancheuna giornata piena di rumori e di voci può diventareuna giornata di silenzio, se il rumore diventa da noiuna eco della presenza di Dio. Mi ritorna in mente lavalidità della “sindrome delle tre p”, dove assumonovalore tre parole: ”piccolo”, “preciso” e “prudente”.“Piccolo”: è importante assumere su di sé la quali-fica di piccolo, ricordando che è tale chi spesso nonha voce da far ascoltare, perché poco o per nulla impor-tante. La Bibbia qualifica così le donne, i bambini, ipoveri derelitti, che non possono essere presi in con-siderazione, invitandoci a dare loro in prestito la “nostra”voce, ma soprattutto il nostro ascolto. Diventerà essen-ziale allora il nostro ascolto alle loro parole, magari pen-sando a quanto ci ha fatto male il non sentirci a vol-te ascoltati, senza attenderci chissà che dalle loro ester-nazioni, ma comunque dimostrandoci attenti e dispo-nibili a quanto desiderano dirci, senza esternare la nostrafretta o il nostro disinteresse. Da qualche tempo ho assunto l’impegno di ascoltarei detenuti presso la Casa Circondariale di Velletri, etale esperienza non finisce mai di arricchirmi psicolo-gicamente e spiritualmente.“Preciso”: ho imparato a non intavolare discorsi gene-rali, perché quei fratelli non hanno bisogno di teorie,ma di argomentazioni che li coinvolgono realmente;quale loro catechista, ho deciso pertanto di intratte-nerli sui temi del perdono, della misericordia divina,della giustizia e della quotidiana convivenza con i com-pagni di pena, gli assistenti carcerari, i familiari, vol-gendo sempre lo sguardo al Signore che non li abban-

dona mai.“Prudente”: tenendo sempre presente la realtà delloro stato di detenuti, che si trovano nella necessitàdi vivere ed affrontare la loro particolare situazione,consapevoli dell’importanza di pagare il loro debito neiconfronti della società, anche se non sempre equa egiusta, ma pronti e disponibili ad utilizzare il tanto tem-po a loro disposizione per impostare il loro futuro a cor-reggere e migliorare il loro stile di vita.Soltanto così si può comprendere che il silenzio, lun-gi dalle troppe parole, ci rende capaci di parlare accon-tentandoci delle parole necessarie; il silenzio è caritàe verità, mentre le parole vane sono sterile dispersionedi noi stessi. L’abitudine ad ascoltare con docilità e corag-gio la Parola del Signore ci renderà attenti alle neces-sità dei fratelli e ci suggerirà i gesti concreti che la cari-tà, di volta in volta, ci richiede.Mentre, chi da sempre ha creduto, sente rafforzata lapropria fede, i timidi ed i dubbiosi avvertono nell’inti-mo lo stesso fremito provato dai due discepoli di Emmausnel contatto con il divino Risorto. La stagione del rac-colto è probabilmente lontana, ma la fioritura è in atto;per questo siamo stimolati a credere ed a sperare, apregare, servire ed amare; a conoscere la Bibbia, ascoprirne la bellezza ed a gustarne il succo vitale.Il tempo che scorre inesorabile, suggestioni di promessedi felicità a basso costo, mancanza di punti di riferi-mento precisi, crisi dei valori e delle istituzioni, il suc-cedersi di drammi e di tragedie personali e collettivepaiono aver svuotato l’essere umano, soffocando ledomande della propria anima e riducendo drammati-camente la vita a merce di consumo e di profitto, tra-scinata da sogni irrealizzabili e segnata profondamenteda una solitudine insopportabile che ha tanto il sapo-re del tradimento e dell’infelicità. Per compiere scelte responsabili è necessario soprat-tutto il silenzio per ascoltare e riflettere, favorire la fidu-cia per un dialogo che interessi veramente la vita.Da ciò l’elogio del silenzio e della solitudine; comprenderemocosì quanto è vero ciò che ci insegna Paolo nella Secondalettera ai Corinti, al capitolo 6, versetto10 :” saremoveramente lieti, anche se afflitti, capaci di arricchire mol-ti, anche se poveri, gente che non ha nulla ed invecepossediamo tutto!”

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Sara Gilotta

II l 30 marzo u.s. presso la cattedrale di SanClemente si è tenuto un incontro importanteper meglio conoscere il mondo ed ancor

più per meglio prepararsi alla Pasqua:quello condon Gino Rigoldi, cappellano dal 1972 pressoil carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Un piccolo uomo, modesto nella figura e dal-

l’eloquio semplice, che subito ha saputo rive-lare il significato della missione, cui si dedicada una vita e che altro non è se non quella diamare Dio e il prossimo. E tra il prossimo ama-re i giovani più difficili, quelli, appunto, condannatia scontare i loro errori e talora i loro crimini pres-so il Beccaria. Una scelta impegnativa che lo ha portato ed anco-ra lo porta a ritenere che l’unica via per aiuta-re chi è in gravi difficoltà è innanzitutto quelladi saper ascoltare, per comprendere ed impa-rare a riconoscere in ciascuno ciò che di buo-no c’è in lui, come in tutte le creature anche lepiù diseredate o apparentemente le più lonta-ne dal bene e da Dio. E’questo, dice Don Gino,l’unico vero modo, per conoscere la realtà e,soprattutto, per rispondere in modo concreto allafede, che considera l’amore per il prossimo, ilprimo mezzo per costruire qualcosa di buonoanche in chi ha perso la speranza nel futuro enell’umanità. Perché ascoltare, significa entra-re in relazione profonda con chi forse non ha

mai potuto giovarsi diquesto bene fonda-mentale, che dovreb-be essere il dono piùgrande che la famigliaper prima dovrebbedonare, per educarei suoi figli. Ascoltare, infatti, signi-fica, considerare l’al-tro importante, signi-fica riconoscergli lavolontà di costruire insie-me un percorso di vita,in cui, prima ancora chegli insegnamenti mora-li, valgono l’amore e lasolidarietà reciproci.

Diversamente quel che vince è l’individualismopiù egoistico, che impedisce di riconoscere l’al-tro, per fargli comprendere che è considera-to importante e degno di essere “preso sul serio”per essere aiutato ad impostare una vita, in cuimai nulla deve far perdere la speranza. Molte sono state le storie tragiche, cui Don Ginoha fatto riferimento e che in comune hanno tut-te una realtà certa: quei giovani nella loro purbreve vita non avevano avuto mai il bene del-

l’amore e della comprensione, capa-ci di “intercettare” le loro difficol-tà, le loro angosce, le loro gridadi dolore. Grida che troppo spes-so rimangono inascoltate sia infamiglia, sia a scuola, dove la man-canza di strutture e di persona-le adeguati, insieme con il maleendemico delle classi tropponumerose, che, di fatto, impedi-scono anche agli insegnanti piùsensibili di poter davvero opera-re con qualche risultato, portanocon sé solitudine e smarrimen-to. Le cause prime che poi con-ducono tanti giovani all’alcool, alladroga e, purtroppo, al furto e al

crimine. In generale, tuttavia, di fronte a tali feno-meni le istituzioni e gli adulti appaiono totalmentedimentichi delle cause che originano tanti malie fissano la loro attenzione solo sugli effetti che

essi producono con la conseguenza, per cui siaumenta, anzi si alimenta il disagio, senza nem-meno tentare di portar fuori dal tunnel chi spes-so aveva tentato in molti modi di farsi ascolta-re, mostrando inequivocabili segni di disagio esofferenza. Eppure riconoscere questi segnali, sarebbe per-sino semplice, se si comprendesse da parte ditutti che non esistono ragazzi cattivi, se si con-siderasse che “l’ errore”affonda le sue radici nel-la solitudine e nella scarsa opinione di sé. Perchéproprio chi si considera meno di niente, può arri-vare a considerare il crimine, come un mezzoper “riscattarsi”, per tentare così, di valere qual-cosa dinanzi a sé e agli altri. Ecco perché, dice Don Gino, non bisogna maigiudicare, il giudizio, dice, tocca ai magistrati,a lui e a chiunque altro voglia aiutare chi sof-fre, tocca ben altro compito, quello di osser-vare, di discutere,per ascoltare e assentire o piùspesso anche dissentire, per indirizzare chi hasbagliato a riconoscere la realtà. Dare amore, dunque, non disgiunto dall’aiuto dichi ha le competenze necessarie , per curaredisagi psichici spesso assai gravi, che finisco-no non solo per condurre ai tragici errori puni-ti poi al Beccaria, ma che senza dubbionascondono un retroterra di povertà familiare,di insuccessi scolastici e lavorativi e, come dice-vo sopra, di solitudine ed abbandono, che appaio-no a coloro che vivono senza una guida, osta-

coli insuperabili, da “curare” con “i metodi del-la criminalità”. Ma le parole di Don Gino hannolasciato ai presenti non un messaggio di dispe-razione, ma di speranza, perché, ha detto, chei giovani da lui “intercettati”in numero assai scar-so, ( in media solo cinque su cento) ricadononegli errori del passato, mentre gli altri diven-tano capaci di lavorare, di fondare piccole impre-se, di farsi una famiglia, insomma di vivere inmodo equilibrato e sereno, seppure dopo un lun-go cammino che li conduce a “rifondare” la lorovita, perché hanno imparato a comprendere che“amare qualcuno significa amare tutti”. Quasi unmotto che mi piace considerare la sintesi piùbella dell’opera di Don Gino. Opera che ormai da anni comprende numero-se iniziative che offrono ospitalità, alloggio epersino case per giovani coppie. E in un momen-to di crisi globale come quello in cui viviamo,mi sembra davvero che tutto questo sia l’ante-fatto fondamentale, per prevenire il male e nonsemplicemente per curarlo.

“Amare qualcuno per amare tutti”

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Sintesi e foto a cura della redazione

CConsentitemi di fare una breve introduzio-ne: l’amore per gli altri, l’amore per Dioe l’amore per il prossimo è un comando,

è una scelta di fede, è una disciplina che vi si da,è un impegno che si prende, non è che si nascebuoni, capaci di voler bene, non è neanche unaqualità di alcune persone. È la virtù dei cristianiche devono coltivare intensamente, accuratamenteproprio come un impegno quotidiano, come un qual-cosa che li caratterizza.(…) Dio vuole che noi cioccupiamo di Lui, (…) è come un padre, comeun amico che dice: ”Parlatemi, guardatemi,conoscetemi, ascoltatemi”.(…) Poi dopo, l’altra parte che è quella dell’Amore delprossimo proprio come un impegno quotidiano,a partire dalle persone vicine. (…) Poi possiamoguardare più lontano impegnati a volerci bene, adecidere che ci vogliamo bene,(…)che ci guar-diamo, che ci ascoltiamo e ci diamo parole, chedecidiamo le cose da fare insieme, dove ciascu-no mette la sua parte, dove diventiamo degli Artistiperché questo fa parte della Fede nell’Amore…Non inventare ma cercare le parti buone o dei per-corsi buoni di ogni persona con la quale stabili-re dei rapporti e legami. La relazione, il parlarsi,il guardarsi, l’ascoltarsi, è il percorso normale del-la crescita, l’educazione soprattutto dei figli a sta-re con gli altri in maniera onesta; (…) è lì che nasceper ciascuno la sua identità, la sua capacità di volerbene. Poi ci sono anche i principi morali, ma que-sti se li creano poi dentro a dei rapporti (…) checi devono essere. Io credo che il primo evento chesuccede quando decido di voler bene alla genteintorno a me è la Relazione. Noi ci guardiamo,ci parliamo, ci ascoltiamo, ci accettiamo, ci per-doniamo, ci arrabbiamo, ci fidiamo … ma mai inter-rompere quello che è piuttosto da costruire!!! Quello che a me fa impressione è scoprire che -andando in molti gruppi cattolici, parlando con ragaz-zi e ragazze, e facendo anche molte assembleestudentesche - (…) fanno bellissime cose insie-me, ma raramente quella bellissima cosa che èl’abitudine a conoscersi e a riconoscersi, a faregruppo, a volersi bene. (…) Noi mandiamo in Romania a fare volontariato media-mente due cento ragazzi all’anno dove abbiamoquasi tre cento bambini abbandonati di cui ci occu-piamo. (…) C’è una bella gioventù! Noi abbiamoun problema: dobbiamo chiudere alla fine di mar-zo perché c’è troppa gente che viene lì a fare fati-ca, qualche volta correndo qualche rischio,come mangiare male... La formazione che facciamonoi è lavorare insieme, a darsi un nome recipro-camente. Quando mi dicono che gli italiani sonoindividualisti, se volessi fare un discorso da mora-lista direi: allora gli italiani sono dentro a un gra-

ve peccato! Perché l’individualismo è giusto il con-trario del volersi bene. (…)Io confesso tanta gente; ho dei clienti molto sele-zionati, sono di quelli che negano la soluzione amolte persone, ma non perché fanno dei grandipeccati. (…) Ho dato una penitenza a un gruppodi questi signori; la penitenza era: sei in uno stu-dio, in ufficio o un altro posto. Quanti colleghi hai?Dieci … Benissimo. Di due di questi cercherai del-le belle qualità e lo dirai. Sono tornati dicendo-mi: Io vorrei confessarmi da te, pero se pensi didarmi ancora una penitenza così dura, così dif-ficile, io mi alzo e vado via! Perché siamo tutti capa-ci di trovare i difetti degli altri in due secondi, madelle qualità … La Relazione nasce se tu dai valo-re all’altro! (…) Come faccio io con i ragazzini incarcere- di ogni nazione, per tentato furto finoall’omicidio - ad avere una certa facilità di dialo-go? Un po’ con l’impegno, un po’ con la preghiera,un po’ con la correzione di qualcuno... Con il tem-po sono diventato capace di trovare (è non è unacosa facile!) la parte buonadi ognuno, che si puòrilanciare quando ci si occupa dei ragazzi che han-no dei problemi, di capire alcuni dei loro comportamenti.La loro sorpresa è che ci sia un adulto che li ascol-ti, che li prenda sul serio, che dia valore alle loroparole e alle loro opinioni e che riesca a dire: “Anche tu sei bello, anche tu sei bravo, anche tuvuoi bene agli altri!” Dando loro valore, ma nonper finta perché- soprattutto i ragazzi che han-no sofferto - se fai finta … quelli non ci credonomica, sono più furbi di te! (…)Io credo di essere una persona molto fortunata.Sono, non dico innamorato, ma ho una grandestima di Gesù Cristo, sono un po’ un Fan… (…)Sono molto fortunato anche perché ho tante per-sone a cui voglio bene e che mi vogliono bene.Poi perché faccio un lavoro - chiamatelo un’im-presa, una missione come volete - che è bello:intercettare dei ragazzi che hanno sbagliato, chehanno avuto una storia brutta, (…) aiutarli a ren-dersi conto che hanno sbagliato e che devono impa-rare a chiedere scusa, (…) aiutarli a cambiare vita.(…) In questo percorso aiuto i ragazzi a trovareun sogno, un progetto, un’idea di futuro; è un bel-lissimo lavoro in cui si fa fatica, ma tutti i lavorisono faticosi. (…) Io credo che “non esistono i ragazzi cattivi”, comeha scritto nel suo libro un mio collaboratore, unprete bravissimo, il direttore della Cappella delDuomo di Milano. (…) Credo che sia proprio vero:esistono ragazzi che hanno fatto cose cattive.(…) Voi leggete nei giornali che ci sono tanti mostri,io incontro delle persone, dei ragazzetti spaven-tati e confusi … (…) Il giudizio non mi appartie-ne! Il giudizio penale spetta ai giudici, quello mora-le lo lascio fare agli altri, a me tocca fare un altrolavoro: capire bene la loro vera storia. Non c’èmai nessun reato che non abbia una storia, i famo-si raptus sono eventi giornalistici, non sono real-tà. Il mio lavoro è quello di ascoltare, osservare,guardare, capire le parole che mi vengono det-te, discuterci… (…) Quando si vuole fare del bene, una delle cose impor-tanti è puntare ad acquisire sempre la competenzae le condizioni che danno la possibilità di fare benequello che si deve fare. Se non si studia, non cisi confronta, se non ci si ragiona. Con il buon cuo-

re si va in Paradiso... forse!, ma si fanno ancheun sacco di guai! (…)Una delle caratteristiche del-la gioventù di oggi è quella di avere di sé una bas-sa opinione. (…) E’ importante dare valore e respon-sabilità a questi giovani; gli adulti hanno l’idea cheloro sono capaci di fare tutto bene, invece i gio-vani di meno… A guardare come va l’Italia nonsembrerebbe! Questi ragazzi del carcere hannopiù che mai bisogno di avere delle persone vici-no. Poi le storie che ci sono dietro… Perché? Le tre ragazze che hanno ucciso la suo-ra di Chiavenna… (Suor Maria Laura Mainetti -n.d.r.) Come hanno potuto farlo?! Queste ragaz-ze erano anni che si ubriacavano, che si taglia-vano, che impiccavano gatti e cani…e nessunoaveva visto niente?! Neanche papà e mamma…(…) C’è sempre una storia di disagio, di sconfortodietro, (…) la maggior parte delle rapine fatte daquesti ragazzi vengono fatte per dare da mangiarealla famiglia, (…) questi ragazzi hanno un vissu-to di esseri di serie B, (…) di povertà culturale,di mancanze in famiglia, poi c’è una conferma daparte della società del tipo “tu sei nessuno!”… Non sto giustificando questi ragazzi, sto solo dicen-dosemplicemente che ci sono sempre delle pre-messe alla base del loro comportamento. (…) Arrivano in carcere dopo un percorso scolasticobruciato, fallimentare, con un grande senso di soli-tudine, come se fossero senza padre e senza madre,(…) con una grande confusione mentale e conun grande bisogno di affetto, sono soli questi raga-zi! (…) Bisogna intercettare il loro desiderio di esse-re riconosciuti, di valere qualcosa, il loro bisognodi avere la possibilità di fare qualcosa che dimo-stri la loro capacità.Mi sono chiesto: “Come si fa ad amare tutti?”. È possibile forse quando sei sicuro che qualcu-no ti vuole bene sul serio. (…) Si può amare tut-ti quando vuoi bene a un po’ di persone – la fami-glia, gli amici - dalle quali sei riamato, allora puoisorridere a tanti, puoi avere quel rapporto di ascol-tare e di dare valore, di comunicare. (…) Gesù Cristo direi che era non tanto solidale, maResponsabile e Coerente. (…) Noi siamo tut-ti figli e figlie di Dio e dobbiamo essere normalmenteresponsabili, tutte le volte che c’è bisogno.

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Claudio Capretti

SSalire su questo sicomoro è sta-to facile, anche per uno di bas-sa statura come me. E’ il posto

ideale per vedere e non essere visto;nascosto tra il fogliame e i suoi frutti chinoterebbe la mia presenza? C’è un granvia vai oggi per le strade di Gerico, tut-ti vogliono vedere Gesù di Nazareth lasua fama di grande profeta è giunta finoa noi. Rammento, che la prima perso-na ad avermene parlato è stato il mioamico d’infanzia, Geremia, l’unico chemi sia rimasto. Quando lo incontravo, dopo i soliti con-venevoli, lo aggiornavo di volta in volta sull’inventario dei miei averi.Mi aspettavo commenti di ammirazione, invece lui non faceva altro cheripetermi sempre la stessa affermazione: “Bene Zaccheo, chissà allo-ra come sarai felice”. No che non lo ero e lui lo sapeva benissimo, perquesto me lo diceva. Quella battuta mi infastidiva, a malapena la tol-leravo. Come osava provocarmi in quel modo? Anche se suo amico ero pur sempre un ufficiale dell’Impero Romanopreposto alla riscossione dei tributi. La sua abilità nel cambiare discorso al momento opportuno era formi-dabile, e trovava sempre argomenti per distogliermi, seppur momen-taneamente, dall’amarezza di quella battuta. Tra i suoi argomenti, c’erano quelli che riguardavano appunto il Nazareno. Mi diceva un’infinità di cose sul suo conto e ne parlava in un modosempre più entusiasta; era palese che fosse un suo ammiratore. Tornandomenea casa, quelle notizie su Gesù affollavano non poco la mia mente. Non mi davo una spiegazione logica ai miracoli che faceva o di quel-lo che diceva. Alcuni affermavano che era il Messia tanto atteso, e adarne prova erano i suoi numerosi prodigi. Dicevano di Lui che parlava con un linguaggio comprensibile a tutti. Parlavainoltre, dell’imminenza di un nuovo Regno. Se era vero, allora l’Impero Romano sarebbe crollato e di conseguen-za i conquistatori avrebbero dovuto abbandonare questo lembo di ter-ra considerato da loro poco più di una colonia. Un dubbio mi assalì;rischiavo dunque di rimanere disoccupato? Era giunto il momento di raccogliere tutti i miei averi e di fuggire, maga-ri a Roma? Altre cose invece mi tranquillizzavano, anzi mi piacevano;come il fatto che non disdegnava la compagnia di peccatori, diceva diessere venuto per loro. Chissà come l’avevano presa i farisei…. Imiei informatori mi avevano addirittura detto che oltre a quel manipo-lo di pescatori che aveva radunato attorno a se, c’era anche un certoMatteo, un ex pubblicano ed ora un mio ex collega. La gente inizia aradunarsi sotto questo albero, segno che tra poco dovrebbe passareil Nazareno. Se mi vedessero, sai le risate? Il capo dei pubblicani, uomo immen-samente ricco, che se ne sta appollaiato su di un albero. Per conquistare quello che volevo, mi sono sempre dovuto mettere sopraqualcosa, sopra i miei averi, sopra la mia autorità, ed ora, per vederpassare il Nazareno, su quest’ albero. La gente mi obbediva mi temeva, ma per loro non ero che un rinne-gato avendo prestato giuramento a Cesare. Percepivo il Dio di Abramo,il Dio dei miei padri, lontano dalla mia vita. Io ero lontano dalla Sua?Chi lo sa. Di sicuro, gli ultimi anni li ho trascorsi dedicandomi ad un altro dio, il

denaro, con la speranza che mi dessein cambio felicità e libertà. Finora nonho avuto né l’una né l’altra. Le voci ini-ziano a farsi più forti, forse da lontanoavranno intravisto il Nazareno. Speriamosia vero, non ho più l’età per starme-ne arrampicato su questo albero,anche se la curiosità o il desiderio diguardarLo hanno avuto la meglio.Appena sarà passato farò bene a tor-narmene ai miei affari, devo anche ripo-sare. Mah, patetico che non sono altro,ho trascorso l’intera notte sveglio a capi-re se assecondare questa curiosità oppu-re no. Una parte di me non faceva altro che

ripetere: “Che cosa vuoi da me Gesù di Nazareth, che ho che fare conte, sei forse venuto per rovinarmi?”. L’altra, quella che trovandomi quiha avuto la meglio, senza darmi una spiegazione razionale sentiva lanecessità di doverLo vedere. Era come se qualcosa in me si stesserisvegliando, un grido silenzioso che reclamava la presenza diQualcuno a cui apparteneva. Alla fine eccomi qua. Era da bambino chenon salivo su di un sicomoro, ero ghiotto dei suoi frutti, mia madre dice-va che ero come il frutto di quest’albero, per renderlo gustoso deve esse-re inciso e farne uscire l’amaro succo, solo allora poteva essere man-giato. Non ho mai avuto idea di cosa avesse voluto dirmi, con quel para-gone…. “ Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Quella voce giunge come uno squillo di tromba, forte, inaspettata, s’im-pone su questo mio cuore addormentato insensibile a tutto, e lo tra-figge come solo una spada a due tagli riesce a fare. Inciso nel mio piùprofondo intimo. Improvvisamente un senso di vertigine si impossessa di me, barcolloun poco come un ubriaco, ma non di vino, che sia gioia?. In un istan-te guardo la mia vita passata ed è come se non mi appartiene più, edè come se dal più profondo degli abissi ne vengo risollevato. No, non devo cedere alla tentazione di guardare indietro, di guardarequello che sono stato, il male reclama sempre con forza e con ogni mez-zo coloro che gli sfuggono. Di colpo mi viene in mente la moglie di Lot, divenuta statua di sale peressersi voltata indietro per aver voluto guardare la distruzione di Sodomae Gomorra. Non so come, ma capisco che non devo abbassare lo sguar-do su di Lui, non per sfida, ma solo per necessità, devo, voglio guardarLo. Chi è mai Costui che è più intimo alla mia anima di me stesso, che lainvade come un trionfatore? Chi è mai Costui che avanzando con laSua Parola, con la Sua mano tesa, con il Suo sguardo fa retrocederei miei carcerieri?Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono e non tro-vo parole da proferire, mi basta la Tua. Lo precedo un poco per indicargli la mia casa, farfugliando qualcosache un nodo in gola rende appena percepibile perfino alle mie orec-chie. Gli spalanco le porte della mia casa, i miei servi capiscono sen-za ch’io parli, imbandiscono un banchetto, la sala si riempie di com-mensali. “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!” , ascolto a mala-pena l’indignazione di qualcuno. Si, è vero sono un peccatore, ma orasono dinnanzi a Lui, e tutta la mia vita passata ad accumulare denario pezzi di inutilità, sembra sia cosa passata. Crollati, in pochi minuti tutti i miei progetti di una vita errata sono crol-

continua a pag. 13

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Mons. Luigi Vari*

LL ’ultima volta si è accennato all’e-lenco dei libri del VecchioTestamento, e si è accennato

alle caratteristiche della Bibbia Ebraica.Prima ancora che sull’elenco, la curio-sità nasce a proposito del testo dei libri.Tutte le operazioni, che hanno porta-to a determinare quanti sono i libri, chedevono essere trattati come santi, lacui lettura richiede una purificazione delcuore e, secondo una tradizione ebrai-ca, delle mani, sono stati individuati inseguito alle vicende storiche cui si èaccennato. La domanda è: possiamo essere tran-quilli sul loro contenuto? Nel tempo nonhanno subito delle mutazioni, dovute,magari, alla naturale tendenza disistemare le cose come meglio con-viene, di chi scrive le vicende dell’uo-mo? La Bibbia, che si è imposta comeil libro cardine della civiltà, è restata immu-ne da manipolazioni, correzioni, frain-tendimenti? La domanda è ancora più sensata sesi pensi, che, dopo la distruzione diGerusalemme, non c’era più un tem-pio e la relativa organizzazione religiosa,che garantisse la trasmissione corret-ta del testo. Certe figure della religio-ne ebraica noi le conosciamo per i rife-rimenti polemici al loro modo di inten-dere la relazione con Dio, contenuti neiVangeli; ma categorie come quella degli scri-bi, erano fondamentali proprio per la conser-vazione del testo.La questione del testo e della sua attendibili-tà ha bisogno di essere approfondita, per il moti-vo molto evidente, che quel testo è il fondamentodella nostra fede, oltre che di quella degli ebrei.La parola, che meglio esprime la relazione degliebrei con il testo della Bibbia, è gelosia. Intendendocon questo un amore infinito, che non fa imma-ginare una sopravvivenza senza il testo sacro,e, che garantisce sulla conservazione fedeledi quelle parole. In ogni caso è possibile rico-struire la storia del testo per vedere confermatoquanto abbiamo affermato.Le odierne bibbie ebraiche riportano il tipo testua-

le derivato da un manoscritto conosciutocome il codice di Leningrado, che risale al 900d.C. Chi non pensa che è troppo recente peressere considerato attendibile? Non è un pensiero fuori luogo se si pensi chela Bibbia è la fonte della fede e chi garantisceche quelle parole.In un immaginario viaggio nel tempo ci accor-giamo che quel tipo testuale, anche se recen-te, è affidabile, poiché ripete un testo, già pre-sente al tempo di Gesù. È grazie all’archeologia, che possiamo fare del-le affermazioni così impegnative; soprattutto perla grande scoperta dei manoscritti di Qumran;località del Mar Morto in cui si era insediata unacomunità di Esseni, che vivevano forte l’atte-sa del Messia e che avevano fra le loro attivi-

tà, assimilabili, solo per una vaga ana-logia, a quelle di una comunitàmonastica, quella di trascrivere e con-servare i testi della Bibbia.In quella località, scoperta avven-

turosamente da un giovane pastore,c’è la testimonianza del testo, che èarrivato fino a noi.Questo testo è giunto a noi non in manie-ra neutra, ma ha conosciuto diversiinterventi volti alla sua conservazio-ne e migliore comprensione; l’inter-vento più importante è stato quellodei masoreti. Dopo la distruzione di Gerusalemmee la conseguente dispersione del popo-lo ebraico, il grande patrimonio deilibri sacri, rischiava di incorrere in unprocesso di degrado, dovuto alla per-dita della lingua, alla mancanza di unacatena continua d’interpreti, alla finedell’organizzazione del tempio, ecc.Una serie di pericoli, che portaronoun gruppo di giudei, a cominciare dalsettimo secolo a costruire intorno altesto una rete di note e di riferimen-ti che garantisse la sua trasmissio-ne, nel solco della tradizione), che neconservasse la pronuncia, fermassela corruzione, suggerisse l’interpre-tazione di parole di cui si era persoil significato, o semplicemente la scrit-tura esatta. Tutto questo si realizza con la costru-

zione di una specie di siepe intorno al testo, lamasora appunto. Nasce, in questo modo, il testomasoretico; quello che tutti noi conosciamo eche è il patrimonio comune da cui nascono tut-te le nostre bibbie.Certamente la storia del testo è molto più com-plessa di quanto appaia da queste parole, mal’importanza di questa sommaria descrizione stanel far toccare con mano la cura per il testo,che deve rendere consapevole il lettore di tro-varsi di fronte a parole attendibili, di essere nel-la corrente di una Tradizione che ha veneratoil testo sacro e l’ha conservato offrendoci la pos-sibilità di leggerlo oggi così com’era ai tempidi Gesù.

*parroco e biblista

lati, come secoli fa crollarono le mura della mia città. “Ecco Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho fro-dato qualcuno restituirò quattro volte tanto” . Sono le prime parole che escono dalla mia bocca, che riesco a pro-nunciare in modo chiaro, e suonano come il grido dello schiavo che vie-ne liberato dalle sue catene.

Lo guardo, mi sorride. Ricominciare, per la prima volta nella mia vita,azzerare tutto e ricominciare da Lui, per Lui, e grazie a Lui. Poi, la Suavoce risuona ancora una volta nella sala, forte, ed è il sigillo della mialiberazione: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figliodi Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salva-re ciò che era perduto”.

segue da pag.12

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Don Antonio Galati

«Mentre mangiavano prese il pane e, pro-nunziata la benedizione, lo spezzò e lodiede loro, dicendo:“Prendete, questo è il mio corpo”.

Poi prese il calice e rese grazie, lo die-de loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue del-l’alleanza versato per molti”»

(Mc 14,22-24).

NNel momento in cui il cristiano riceveper la prima volta il Corpo e ilSangue del Signore termina il suo cam-

mino di iniziazione alla vita cristiana. Da quelmomento ha ormai finito il suo cammino pre-paratorio e, attraverso i tre sacramenti, ha rice-vuto tutti gli strumenti della grazia necessariper affrontare il suo cammino, come uomo nuo-vo, nel mondo.Infatti, dopo aver celebrato, nel Battesimo, lasua morte e risurrezione nel mondo attraver-so la morte e risurrezione di Cristo e, con laCresima, vedersi confermato sia l’aiuto divinoche la sua chiamata alla vita cristiana, con l’Eucaristiail cristiano riceve quel nutrimento e quella bevan-da spirituali che lo sostengono nel camminodella vita.Nei prossimi mesi ci si concentrerà sia sugliaspetti liturgici che pastorali inerenti al sacra-mento dell’Eucaristia. Per questo mese, inve-ce, si vogliono cogliere solo due aspetti, lascian-dosi aiutare, come consuetudine, dalla Scrittura.Il primo aspetto, da sottolineare attraverso i

racconti dell’ultima cena, riguarda il rapportotra l’Eucaristia e ildono d’amore diCristo verso i suoidiscepoli. Il secon-do aspetto è il lega-me che c’è tral’Eucaristia e il nostrodono di amore ver-so gli altri.

L’aspetto del dono d’amore

Come si sa, i raccontineotestamentari chenarrano, nel conte-sto dell’ultima cena,del momento in cuiGesù istituiscel’Eucaristia, pro-nunciando quelleparole che ancora

oggi sono il centro del momento della consa-crazione del pane e del vino, sono quattro: trenei Vangeli sinottici (cfr. Mt 26,26-29; Mc 14,17-25; Lc 22,14-20) e uno nella prima lettera diPaolo ai Corinzi (cfr. 1Cor 11,23-25). Ma ancheil Vangelo secondo Giovanni narra degli even-ti successi nell’ultima cena, solo che il quartoevangelista non sente la necessità di narrarenuovamente l’istituzione dell’Eucaristia, ma pre-ferisce inserire un altro evento, che gli altri trenon avevano inserito: l’episodio della lavandadei piedi (cfr. Gv 13,1-11).Nel contesto dell’ultima cena, la lavanda deipiedi narrata dal quarto vangelo appareemblematica di quello che l’Eucaristia vuole signi-ficare e, in ultima analisi, produrre nella vitadei credenti. Mettere quest’episodio al postodell’istituzione dell’Eucaristia è servito, all’evangelistaGiovanni, per sottolineare come l’Eucaristia stes-sa sia quel dono di amore che Gesù fa ai suoie, tramite loro, a tutti i cristiani. Un amore che non è solo comunicazione a vocedi un sentimento, ma che si fa fattivo nel ser-vizio, e nel servizio più umile, e che rimandaall’amore manifestato supernamente nel donodella vita sulla croce. In altre parole, celebra-re l’Eucaristia significa permettere al Signoredi farsi nuovamente presente in mezzo ai suoidiscepoli e, attraverso questa sua presenza,fare di questi discepoli i destinatari del suo ser-vizio e del suo dono di amore.

L’Eucaristia come presenza di Dio in noi e sostegno del nostro servizio

Ma l’Eucaristia non è solo corpo e sangue perl’adorazione. I brani evangelici concordano sul

fatto che quel pane e quel vino, fatti diventa-re da Gesù il suo corpo e il suo sangue, sonostati donati perché siano mangiato e bevuto. Parlando anche solo biologicamente, ogni cosache mangiamo e beviamo noi la assorbiamoe, in qualche modo, la trasformiamo in noi stes-si, in quell’energia e sostentamento che ser-ve per affrontare la vita, ma veniamo anche tra-sformati da quel cibo che mangiamo (perchéalcuni cibi hanno delle proprietà tali da modi-ficare i nostri ritmi biologici, oppure perché deicibi ci fanno male, ecc.). Applicando questa idea all’Eucaristia scopria-mo che nel mangiare e bere quel corpo e quelsangue noi facciamo in modo che il Signoresia sempre più inserito nella nostra vita e siail sostegno per il cammino, ma, al tempo stes-so, ci lasciamo anche trasformare da Lui, inmodo da essergli più conformi nel dono e nelservizio di amore verso gli altri.

Conclusione

Riassumendo queste poche cose dette, è pos-sibile sottolineare che il sacramento dell’Eucaristiaè il segno e lo strumento con cui il Signore Gesùha scelto di rimanere in mezzo ai suoi per con-tinuare a mostrare ancora oggi il volto amo-revole del Padre.Infatti, attraverso le specie eucaristiche siamorimandati a quella sera dell’ultima cena, in cuisi stava preparando l’atto finale del momentoin cui, attraverso la croce, Gesù si sarebbe dona-to nel sacrificio per amore. E guardare al Figlio di Dio che si sacrifica peril bene dell’umanità significa scorgere il voltomisericordioso del Padre che questo Figlio l’ha

donato per lostesso motivo.Inoltre, guarda-re a Gesù nelpane e nel vinosignifica ricor-darsi che Egli vasì adorato ma,principalmente,va mangiato ebevuto perché inquest’atto pos-siamo manife-stare material-mente la nostravolontà di acco-glierlo nella nostravita e di lasciar-ci modellare sul-la sua.

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don Dario Vitali*

Più di qualche amico mi ha chie-sto come mai non avessi scritto perEcclesia in questi ultimi numeri. Duele ragioni: il fatto di aver conclusoil commento alla costituzione dog-matica Lumen gentium del conci-lio Vaticano II, che costituiva l’oc-casione per una pausa; l’impegnogravoso di consegnare all’editoreproprio il commento alla LumenGentium, che mi occupato oltremodo.Don Angelo mi ha sollecitato a ripren-dere la collaborazione con Ecclesia,e abbiamo concordato, in occasionedell’Anno della fede indetto daBenedetto XVI, un commento alCredo. L’indizione di questo annoè legata al cinquantesimo anniversariodell’apertura del concilio VaticanoII e del ventesimo anniversario dalla pubblicazione del Catechismo del-la Chiesa Cattolica.L’intenzione che il papa assegna a questo anno èdi varcare quella “porta della fede” che introduce alla comunione conDio: «Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo –equivale a credere in un solo Dio che è amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre,che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra sal-vezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e resurrezione haredento il mondo; lo Spirito santo, che conduce la Chiesa attraverso isecoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore» (n. 1). Questa fede non è più “il presupposto ovvio del vivere comune”, il sostra-to di una mentalità plasmata da una società cristiana. La “crisi di fedeche ha toccato molte persone” è un invito e una sfida a ritrovare la pro-fondità di un pensiero che si nutre della Parola di Dio viva ed eterna.Altrimenti la fede si riduce a espressione di opinioni religiose, pur rispet-tabili, ma certamente non fondata sulla forza di una Parola che pene-tra fino “al punto di divisione dell’anima e dello Spirito, delle giunture edelle midolla” (Eb 4,11) e rivela i pensieri del cuore. Proverò quindi a rileggere il Simbolo della nostra fede, tenendo pre-sente, oltre alla Sacra Scrittura, anche i documenti del Concilio e il Catechismodella Chiesa Cattolica.

Spero con questo di rendere un piccolo servizio di approfondimento deicontenuti della fede cristiana a questa nostra Chiesa di Velletri-Segni,chiamata a radicarsi sempre più nella fede in Cristo se vuol essere testi-mone della salvezza che ha ricevuto e che è chiamata a comunicare.

*Docente P.U.G. Roma

Nell’immagine del titolo: Abramo incontra i tre angeli, mosaico,1180, Monreale.

Ndr. : E’ consuetudine che Ecclesia in C@ammino in occasione di even-ti ecclesiali cerca di preparare e accompagnare il cammino della comu-nità Chiesa locale offrendo spunti di riflessione teologici, pastorali, stori-ci, artistici ecc. Anche in occasione dell’Anno della Fede la redazioneintende aprire uno spazio “speciale” per ospitare diversi contributi sul tema,questo oltre che ad accompagnare e suggerire diventa anche il nostro mododi celebrare l’evento e per lasciare una traccia di quanto fatto in diocesi. Don Dario Vitali come leggiamo sopra ha dato la sua disponibilità e lo rin-graziamo, chiediamo un contributo a studiosi, biblisti, storici ma anche sem-plici collaboratori nella vita pastorale e fedeli di contribuire facendo emer-gere spaccati di fede vissuta nella nostra diocesi raccontando cose e testi-monianze del passato e del presente anche riguardanti la fede espressain forme popolari che hanno lasciato un segno. Attendiamo fiduciosi, grazie.

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1616 MaggioMaggio20122012

Stefano Perica*

II nnanzi alla crisi la società non ha nulla da fare? Con questadomanda Padre Francesco Cultrera ha dato inizio al suo inter-vento nell’incontro organizzato dalla Caritas Diocesana di

Velletri – Segni a Colleferro presso la Sala Bachelet dellaParrocchia di San Bruno. Si è trattato del primo di un ciclo di tre incontri dal titolo “Vie d’uscita,cercare itinerari dentro le fatiche del vivere”. Il direttore della CaritasDon Cesare Chialastri ha sottolineato lo scopo di questi incontri, ossiaanimare delle riflessioni tra la società civile che, partendo dall’analisidi temi più generali, arrivino a favorire la ricerca comune di soluzioniai problemi della quotidianità.Gli incontri si pongono nell’alveo di un metodo che la Caritas Diocesanasi è data, caratterizzante tutte le iniziative formative sui temi sociali,che prevede il protagonismo delle persone comuni, dei cittadini cheaffrontano quotidianamente la fatica del vivere. Così che le esperien-ze di vita quotidiana diventino patrimonio comune cui attingere per ela-borare proposte politiche alle istituzioni che governano il territorio del-la nostra diocesi.Proprio il maggiore protagonismo della società civile è stato non soloinvocato, ma ritenuto quale indispensabile strumento di svolta nell’attualesituazione di crisi. Padre Francesco Cultrera è partito nella sua ana-lisi dalla situazione italiana attuale, che vede la volontà della societàdi appoggiare il governo tecnico nella sforzo di risanamento e di rilan-cio del nostro paese. Tale volontà però è animata dal desiderio di con-trollare maggiormente quello che accade, di “disturbare il manovra-tore” mentre governa.Pur riservandosi in futuro di cambiare un quadro politico che apparea dir poco incerto, la società, noi tutti, non siamo più disponibili ad assi-stere passivamente agli eventi. La classe politica ha raggiunto il mini-mo storico quanto a consensi, travolta dall’incapacità di governare daun lato e dalla voracità con la quale ha dilapidato risorse a proprio esclu-sivo ed egoistico vantaggio.Un modo per far sentire la propria voce è sicuramente quello di ani-mare le tante associazioni presenti nel nostro variegato panorama socia-le. I Sindacati, le organizzazioni culturali, sportive, del commercio, del-la ricerca, dell’economia. Ma la stessa opinione pubblica, sempre piùinformata e matura, può oggi avere una maggiore e più diretta inci-

denza.Uno degli strumenti più potenti messi oggi a disposizione delle socie-tà è la comunicazione digitale, ossia le forme di scambio della infor-mazione attraverso il variegato mondo di internet. Prova di ciò è la cosid-detta primavera araba, in cui popolazioni oppresse da regimi deten-tori di un potere assoluto, in grado di controllare anche ogni forma dicomunicazione ufficiale, ha potuto determinare vere e proprie rivolu-zioni civili grazie a questa nuova forma di comunicazione, praticamenteimpossibile da impedire o controllare. Ne sono prova anche i fallimentipolitici dei partiti che nelle elezioni amministrative non riescono più acontrollare le candidature. Ma la posta in gioco appare ben più altadella possibilità di incidere su singole scelte di governo.E’ in gioco il modello stesso della società. Un modello che non incar-na la mera ricchezza materiale individuale dei suoi consociati, ma chesappia fare della ricchezza sociale il suo più grosso patrimonio.Una società in cui siano superate le forme di emarginazione. In cui ladiversità culturale non ci spaventi ma diventi patrimonio comune.Una prospettiva comunitaria in ragione della quale la visione della per-sona sia quella di un soggetto in relazione, in cui la società sia pie-namente solidale e luogo di interazioni positive che dia spazio a tuttii suoi componenti quali attori e quali fine della ricchezza che vi si pro-duce. Una visione che l’interazione digitale oggi favorisce e che, inparticolare, può individuare i giovani quali protagonisti privilegiati, lato-ri di proposte oltre che di esigenze. Ma il cambiamento richiede unmutamento di atteggiamento personale.Siamo disposti a rinunciare a chiedere a quella stessa classe politicache oggi aborriamo privilegi e favori? Siamo disposti ad agire per unvero cambiamento? Padre Francesco Cultrera ha concluso il suo inter-vento proponendo all’auditorio un impegno per la riscoperta del patri-monio locale e poi sollecitando la ricerca di interventi che favorisca-no non una mera produzione di beni materiali, ma immateriali. La valorizzazione anche del nostro territorio passa attraverso la crea-zione di servizi diretti alla famiglia, agli ultimi, ai diversamente abili,agli anziani, ai malati, ai carcerati.Al rispetto dell’ambiente ed alla valorizzazione della cultura attraver-so la scuola e la formazione offerta dalle associazioni private.Il dibattito che è seguito all’intervento ha visto quali protagonisti que-sti stessi attori invocati dal relatore. Formatori impegnati nella Chiesa,quali i parroci di San Bruno e di Santa Barbara, educatori che opera-no nella scuola e nel mondo dello Sport, persone impegnate nel sin-dacato ed in varie esperienze associazionistiche, hanno proposto inter-venti propositivi ed analisi molto pertinenti e puntuali.E’ emerso il grande desiderio di partecipare agli altri le proprie espe-rienze ed il proprio punto di vista per costruire insieme delle alterna-tive. Tutti hanno sottolineato l’utilità di incontri in cui si possa propor-re anche delle soluzioni concrete per il miglioramento della società.Partendo dalla realtà locale. Si è subito concretizzato quanto espo-sto da Padre Francesco Cultrera: la nostra società è straordinariamentericca di risorse umane. Trasformare questa grande ricchezza in patri-monio comune è oggi una responsabilità che ognuno di noi può assu-mere. Il prossimo incontro si svolgerà a Valmontone il 1 Giugno 2012per riflettere sul tema della emarginazione sociale e politica.Sarà l’occasione per proseguire la ricerca di vie d’uscita dalla crisi, nonsolo economica, che attraversa la società odierna.

*Resp. Politiche sociali Caritas Diocesana

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Chiamati a …

SERVIRE!

Katiuscia Cipri*

RR icevo una mail… Quindi una telefo-nata molto amichevole… L’UfficioCatechistico mi invita a fare una testi-

monianza del nostro servizio in Diocesi comeUfficio Missionario, durante il campo dei ragaz-zi che si stanno preparando per la cresima. Penso subito che è una bella idea e occasio-ne! Un Ufficio che collabora con un altro Ufficioper un piccolo progetto comune, ma anche l’op-portunità per noi di incontrare i giovani. Accetto con entusiasmo, ma cosa dire del nostroservizio come Ufficio Missionario? E soprattutto a ragazzi così giovani? Ancor impossibilitati, data l’età, a partire per lun-ghi viaggi, a pensarli, a progettarli… ma forsenon a sognarli.Allora l’incontro si trasforma in una ricerca del-la voce che ci parla dentro e spesso ci invita afare cose di cui non pensiamo di avere il corag-gio. Ho chiesto ai ragazzi se percepivano den-tro di loro una vocina, non un sogno, ma unasensazione che li invitava a fare qualcosa, a segui-re un cammino.Inizialmente le risposte sono sempre rare, saràper timidezza, per distacco, ma insistendo unpo’ sono emerse gran-di cose! Oltre al silen-zio quello che più mi hastupito è stata la loro cer-tezza che quanto desi-deravano era impossi-bile, che non si sareb-be realizzato. Non lo condividevanoneanche, perché per loroera irrealizzabile.Chi voleva lavorarecon i bambini, chi diven-tare un avvocato edifendere i poveri, chiun camionista e lavo-rare vicino casa (?), chiaiutare gli animali maga-ri adottando tutti i caniche avrebbe trovatoper strada.Finalmente si eranosbottonati, ma rima-neva in loro la certez-za che tutto fosse trop-po difficile da raggiun-gere. Così giovani, pensavo,e già così razionali? Ma allora ai missiona-ri chi glielo dice che le

loro sceltesono viste giàdai bambinicome enormipazzie!?Ma cosameglio dell’e-sperienza mis-sionaria perconvincere igiovani che (quasi) tutto è possibile, salvo pro-va contraria? Ho parlato della mia vocina, di quel-la che già da giovane mi diceva che mi sareb-be piaciuto viaggiare, vedere il mondo, cono-scere le persone lontane. Di quella che mi ha convinto che sarebbe sta-to possibile, bastava costruire a piccoli passi. E così quando ho annunciato che ero partitaper l’Africa, c’è stato un gran stupore. Perché, ho chiesto? Cosa vedete di così difficile? Ho sparso le fotodei miei viaggi sul tavolo intorno al quale ci era-vamo riuniti e hanno cominciato ad osservar-le, prima timidamente, poi con qualche risoli-no, e infine con curiosità per quello che vede-vano: i grossi alberi, il deserto, i bambini scal-zi e le scarpe fatte di copertoni usati delle auto.Abbiamo parlato degli animali e dei bambini cosìtanto uguali a loro, delle bellezze naturali e deisorprendenti paesaggi, come se nelle loro men-ti l’Africa dovesse essere solo povertà e malat-tie. Dell’aereo, dei vaccini, dei pesce essicca-to al sole. Mi guardavano, e poi guardavano lefoto, cercando una differenza che non c’era…ero io, e avevo fatto quel viaggio.

Quindi ho chiesto loro nuovamente che cosapensassero della vocina che parlava loro den-tro. Se era così impossibile che si realizzasse.Avevano cambiato idea! Non tutti, alcuni rima-nevano dubbiosi, ma un dubbio è più vicino adun SI, che un categorico NO!Infine ho chiesto loro come avrebbero voluto ser-vire la loro parrocchia, ora che avrebbero rice-vuto la cresima. Alcuni volevano fare i chierichetti, ma le fem-minucce non potevano, altri volevano stare coni più piccoli, ma per le attività parrocchiali era-no troppo giovani, altri volevano cantare, ma ilcoro era per ragazzi più grandi.Ho capito allora che tocca a noi cogliere la vogliadi servizio, creando opportunità ed ascoltandoi più giovani a trovare un loro posto!L’incontro è stato il 24 Marzo, ricorrenza dei MartiriMissionari. Ho chiesto loro una piccola preghieraper chi, ha sentito una silenziosa vocina, l’haseguita con fiducia e coraggio, dicendo sem-pre si.

*Dir ettore Uff. Missionario Diocesano

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Cari fratelli e sorelle,

all’avvicinarsi della Giornata Mondiale delleComunicazioni Sociali 2012, desidero condivi-dere con voi alcune riflessioni su un aspetto delprocesso umano della comunicazione che a vol-te è dimenticato, pur essendo molto importan-te, e che oggi appare particolarmente neces-sario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: duemomenti della comunicazione che devono equi-librarsi, succedersi e integrarsi per ottenere unautentico dialogo e una profonda vicinanza trale persone. Quando parola e silenzio si escludono avicenda, la comunicazione si deteriora, o per-ché provoca un certo stordimento, o perché, alcontrario, crea un clima di freddezza; quando,invece, si integrano reciprocamente, la comu-nicazione acquista valore e significato.Il silenzio è parte integrante della comunicazionee senza di esso non esistono parole dense dicontenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamomeglio noi stessi, nasce e si approfondisce ilpensiero, comprendiamo con maggiore chiarezzaciò che desideriamo dire o ciò che ci attendia-mo dall’altro, scegliamo come esprimerci.Tacendo si permette all’altra persona di parla-re, di esprimere se stessa, e a noi di non rima-nere legati, senza un opportuno confronto, sol-tanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco ediventa possibile una relazione umana più pie-na. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momen-ti più autentici della comunicazione tra coloroche si amano: il gesto, l’espressione del volto,il corpo come segni che manifestano la perso-na. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni,la sofferenza, che proprio in esso trovano unaforma di espressione particolarmente inten-sa. Dal silenzio, dunque, deriva una comu-nicazione ancora più esigente, che chiamain causa la sensibilità e quella capacità di ascol-to che spesso rivela la misura e la natura deilegami. Là dove i messaggi e l’informazio-ne sono abbondanti, il silenzio diventa essen-ziale per discernere ciò che è importante daciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprirela relazione esistente tra avvenimenti che a

prima vista sembrano slegati tra loro, a valu-tare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì chesi possano condividere opinioni ponderate e per-tinenti, dando vita ad un’autentica conoscenzacondivisa. Per questo è necessario creare unambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema”che sappia equilibrare silenzio, parola, imma-gini e suoni. Gran parte della dinamica attua-le della comunicazione è orientata da doman-de alla ricerca di risposte. I motori di ricerca ele reti sociali sono il punto di partenza della comu-nicazione per molte persone che cercano con-sigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempredi più il luogo delle domande e delle risposte;anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardatoda risposte a quesiti che egli non si è mai postoe a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessariodiscernimento tra i tanti stimoli e le tante rispo-ste che riceviamo, proprio per riconoscere e foca-lizzare le domande veramente importanti. Nel complesso e variegato mondo della comu-nicazione emerge, comunque, l’attenzione di mol-ti verso le domande ultime dell’esistenza uma-na: chi sono? che cosa posso sapere? che cosadevo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulanoquesti interrogativi, aprendo la possibilità di undialogo profondo, fatto di parola, di confronto,ma anche di invito alla riflessione e al silenzio,che, a volte, può essere più eloquente di unarisposta affrettata e permette a chi si interrogadi scendere nel più profondo di se stesso e aprir-si a quel cammino di risposta che Dio ha iscrit-to nel cuore dell’uomo.

Questo incessante flusso di domande manife-sta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umanosempre alla ricerca di verità, piccole o grandi,che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplicee tollerante scambio di scettiche opinioni ed espe-rienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e con-dividiamo questo profondo anelito, tanto più nelnostro tempo in cui “quando le persone si scam-biano informazioni, stanno già condividendo sestesse, la loro visione del mondo, le loro spe-ranze, i loro ideali” (Messaggio per la GiornataMondiale delle Comunicazioni Sociali 2011).Sono da considerare con interesse le varie for-me di siti, applicazioni e reti sociali che possonoaiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di rifles-sione e di autentica domanda, ma anche a tro-vare spazi di silenzio, occasioni di preghiera,meditazione o condivisione della Parola di Dio.Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso nonpiù lunghi di un versetto biblico, si possono espri-mere pensieri profondi se ciascuno non trascuradi coltivare la propria interiorità. Non c’è da stupirsi se, nelle diverse tradizionireligiose, la solitudine e il silenzio siano spaziprivilegiati per aiutare le persone a ritrovare sestesse e quella Verità che dà senso a tutte lecose. Il Dio della rivelazione biblica parla anchesenza parole: “Come mostra la croce di Cristo,Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananzadell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nelcammino terreno del Figlio di Dio, Parola incar-nata. (…) Il silenzio di Dio prolunga le sue pre-cedenti parole. In questi momenti oscuri Egli par-la nel mistero del suo silenzio” (Esort. ap. post-

sin. Verbum Domini, 30 settembre 2010, 21).Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza del-l’amore di Dio vissuto sino al dono supremo.Dopo la morte di Cristo, la terra rimane in silen-zio e nel Sabato Santo, quando “il Re dor-me e il Dio fatto carne sveglia coloro che dor-mono da secoli” (cfr Ufficio delle Letture delSabato Santo), risuona la voce di Dio pienadi amore per l’umanità.Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, purel’uomo scopre nel silenzio la possibilità di par-lare con Dio e di Dio. “Abbiamo bisogno diquel silenzio che diventa contemplazione, checi fa entrare nel silenzio di Dio e così arri-vare al punto dove nasce la Parola, la Parola

continua nella p. accanto

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redentrice” (Omelia, S. Messa con i Membri del-la Commissione Teologica Internazionale, 6 otto-bre 2006). Nel parlare della grandezza di Dio,il nostro linguaggio risulta sempre inadeguatoe si apre così lo spazio della contemplazionesilenziosa. Da questa contemplazione nasce intutta la sua forza interiore l’urgenza della mis-sione, la necessità imperiosa di “comunicare ciòche abbiamo visto e udito”, affinché tutti sianoin comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergerenella sorgente dell’Amore, che ci conduce ver-so il nostro prossimo, per sentire il suo doloree offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio divita, il suo dono di amore totale che salva.Nella contemplazione silenziosa emerge poi, anco-ra più forte, quella Parola eterna per mezzo del-la quale fu fatto il mondo, e si coglie quel dise-gno di salvezza che Dio realizza attraverso paro-

le e gesti in tutta la storia dell’umanità. Come ricorda il Concilio Vaticano II, laRivelazione divina si realizza con “eventi e paro-le intimamente connessi, in modo che le ope-re, compiute da Dio nella storia della salvez-za, manifestano e rafforzano la dottrina e le real-tà significate dalle parole, mentre le parole pro-clamano le opere e illustrano il mistero in essecontenuto” (Dei Verbum, 2).E questo disegno di salvezza culmina nella per-sona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienez-za di tutta la Rivelazione. Egli ci ha fatto cono-scere il vero Volto di Dio Padre e con la suaCroce e Risurrezione ci ha fatti passare dallaschiavitù del peccato e della morte alla libertàdei figli di Dio. La domanda fondamentale sul senso dell’uo-mo trova nel Mistero di Cristo la risposta capa-ce di dare pace all’inquietudine del cuore uma-no. E’ da questo Mistero che nasce la missio-

ne della Chiesa, ed è questo Mistero che spin-ge i cristiani a farsi annunciatori di speranza edi salvezza, testimoni di quell’amore che pro-muove la dignità dell’uomo e che costruisce giu-stizia e pace. Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazionevuol dire imparare ad ascoltare, a contempla-re, oltre che a parlare, e questo è particolarmenteimportante per gli agenti dell’evangelizzazione:silenzio e parola sono entrambi elementiessenziali e integranti dell’agire comunicativodella Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristonel mondo contemporaneo. A Maria, il cui silenzio “ascolta e fa fiorire la Parola”,affido tutta l’opera di evangelizzazione che laChiesa compie tramite i mezzi di comunicazionesociale.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2012, Festa di san Francesco di Sales

BENEDICTUS PP. XVI

SILENZIO E PAROLA: CAMMINO DI EVANGELIZZAZIONE.

Lorena Carluccio*

BB enedetto XVI nel suo Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale delle ComunicazioniSociali che si svolgerà il 20 maggio sul tema: “Silenzio e Parola: cam-mino di evangelizzazione” ci richiama a riflettere “su un aspetto del pro-

cesso umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo moltoimportante” e cioè del “rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comuni-cazione” che “devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un auten-tico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone”. E’, quindi, la complementarità delle due funzioni che qualifica la comunicazione,rendendola un elemento irrinunciabile per la nuova evangelizzazione: “educarsialla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a par-lare e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione”.Papa Benedetto XVI ci invita a vivere il silenzio non semplicemente come una for-ma di contrapposizione al flusso costante e inarrestabile dell’informazione ma comeoccasione per entrare in noi stessi ed ascoltarci, conoscerci, approfondire il nostropensiero e decidere come esprimerlo; silenzio come occasione per educarci al rispet-to dei tempi e dei modi dell’altra persona e per acquisire una sensibilità ed unacapacità di ascolto dell’altro non più superficiale ed emozionale ma capace di coglier-ne gli aspetti più profondi ed intimi e così consentire quel reciproco arricchimen-to che solo un aperto e attento confronto può garantire. Solo dal silenzio, che ci obbliga ad ascoltarci e ad andare al fondo di noi stessiper poi contemplare “quella Verità che dà senso a tutte le cose”, possiamo esse-re educati al rispetto dell’altra persona e L’urgenza di ritornare a vivere, a fare silen-zio, in un cammino di educazione alla comunicazione, è dettata anche dal fattoche la Rete “sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle rispo-ste”. E’ sempre nel silenzio che matura la capacità di discernere tra “ciò che è impor-tante da ciò che è inutile o accessorio” e di accompagnamento nel rispondere “alledomande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosadevo fare? che cosa posso sperare?” Quanta più attenzione e cura si darà alla propria interiorità più avremo profondipensieri da veicolare con brevi messaggi. Ecco perché la necessità di creare unambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema che sappia equilibrare silenzio,parola, immagini e suoni” ricollocando al centro la persona. Il silenzio, ricorda ilSanto Padre, è anche il luogo privilegiato dove l’uomo può incontrare e contem-plare “quella Verità che dà senso a tutte le cose” e scoprire che “se Dio parla all’uo-mo anche nel silenzio (la Croce di Cristo), pure l’uomo nel silenzio ha la possibi-lità di parlare con Dio e di Dio”. La “contemplazione silenziosa” di cui parla il Papa,tuttavia, non è fine a se stessa ma “ci fa immergere nella sorgente dell’Amore,che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la lucedi Cristo”. Dalla contemplazione silenziosa fiorisce l’annuncio, la necessità impe-

riosa di “comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tuttisiano in comunione/comunicazione con Dio.

*Ufficio Comunicazioni Sociali

segue da pag. 18

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2020 MaggioMaggio20122012

mons. Leonardo D’AscenzoPremessa

II n questo piccolo contributo, vorrei propor-re un approfondimento del tema “La voca-zione dell’educatore” a partire dagli

Orientamenti Pastorali della Conferenza EpiscopaleItaliana per questo decennio, “Educare alla vitabuona del Vangelo” (OP). Utilizzo il termine edu-catore con l’intenzione di raccogliere sotto que-sta “categoria” ogni persona che sia stata chia-mata a svolgere nella Chiesa un servizio edu-cativo: catechista, animatore di gruppo parroc-chiale, educatore/animatore di Azione Cattolica,

Capo scout...Al lettore “educatore” propongo anche una seriedi domande, per un suo maggiore coinvolgimento,che lo aiutino a confrontare i contenuti dell’arti-colo con la sua esperienza personale.Così cominciò la mia storia di educatore...Come tutte le storie, anche la mia storia di edu-catore ha un inizio. Ho dato la mia disponibilitàal parroco, o forse è stato lui a propormi di impe-gnarmi come educatore in parrocchia; sono sta-to attirato da qualche persona che svolgeva que-sto servizio... Faccio memoria di questo momen-to: giorno, mese, anno, persone, circostanze, sen-timenti...

Oggi, cosa intendo per educatore/educazione?Dall’inizio di questo mio servizio è passato deltempo, ho vissuto un’esperienza, ho acquisito del-le competenze, ho maturato le mie idee. A par-tire da tutto ciò, cosa intendo, oggi, per educa-tore/educazione? Il compito educativoè un’altissima vocazione

Nella storia della salvezza, dunque, si manife-stano la guida provvidenziale di Dio e la sua peda-gogia misericordiosa, che raggiungono la pienezzain Gesù Cristo; in lui trovano compimento e risplen-dono la legge e i profeti (cfr Mc 9,2-10). «È Luiil Maestro alla cui scuola riscoprire il compito edu-cativo come un’altissima vocazione alla quale ogni

fedele, con diverse modalità, è chia-mato» (OP 19).Essere educatore, coni relativi compiti che caratterizzano que-sto servizio, è un’altissima vocazioneche è possibile riscoprire, o semplicementescoprire, alla scuola di Gesù.Guida provvidenziale e pedagogia mise-ricordiosa di Dio stanno all’origine diquesta chiamata che si concretizza inuna risposta con modalità diverse perogni tipologia di servizio educativo.Cosa intendo per vocazione?Certamente ho un mio modo di inten-dere la vocazione. Provo a confron-tarlo, e ad arricchirlo, con le indicazioniproposte dagli Orientamenti Pastorali.Chiamati da...Non è un caso se oggi sono un edu-catore. Non crediamo al caso né al desti-no, abbiamo parlato di guida provvi-denziale e pedagogia misericordiosadi Dio. C’è, dunque, una chiamata dall’”alto”che mi ha raggiunto attraverso alcu-ne mediazioni (persone, situazioni, desi-deri...). Rileggendo la mia storia di edu-catore posso provare a scorgere - oforse per me è più che evidente - la“mano di Dio” che ha orientato gli even-ti e da senso a tutto questo vissuto.Unamediazione di questa chiamata dall’altoè senz’altro la domanda che è presentenel cuore dei giovani.I giovani portano una sete nel loro cuo-re, e questa sete è una domanda disignificato e di rapporti umani auten-tici, che aiutino a non sentirsi soli davan-

ti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro,reso meno incerto da una compagnia sicura eaffidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezzae rispetto, proponendo valori saldi a partire daiquali crescere verso traguardi alti, ma raggiun-gibili. La nostra risposta è l’annuncio del Dio ami-co dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo aciascuno (Discorso di Benedetto XVI alla 61 AssembleaGenerale della CEI, 27 maggio 2010).Chiamati a …“Chiamati a...” sta ad indicare la risposta, o lerisposte, che sono invitato a dare attraverso il mioservizio educativo.La prima risposta è già delineata nella precedente

citazione degli Orientamenti Pastorali, e riguar-da l’annuncio di Dio come amico dell’uomo, lasua vicinanza a ciascuno nella persona di Gesù.Una seconda risposta consiste nell’educare allavita intesa come vocazione: L’accoglienza del donodello Spirito porta ad abbracciare tutta la vita comevocazione. Nel nostro tempo, è facile all’uomoritenersi l’unico artefice del proprio destino e per-tanto concepirsi «senza vocazione».Per questo è importante che nelle nostre comu-nità ciascuno impari a riconoscere la vita comedono di Dio e ad accoglierla secondo il suo dise-gno d’amore. Come ha affermato il Concilio VaticanoII, Gesù Cristo, manifestandoci il mistero del Padree del suo amore, ha rivelato anche l’uomo a sestesso, rendendogli nota la sua altissima voca-zione che è essenzialmente chiamata alla san-tità, ossia alla perfezione dell’amore. La nostra azione educativa deve «riproporre atutti con convinzione questa ‘misura alta’ dellavita cristiana ordinaria: tutta la vita della comu-nità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve por-tare in questa direzione» (OP 23).Questo compito educativo è importantissimo, staalla base di ogni ulteriore passaggio e specifi-cazione: solo quando si percepisce e si vive lavita come vocazione (dono ricevuto che chiede,perché è questa la sua natura, di essere ri-dona-to), è possibile prendere in considerazione par-ticolari specificazioni (le diverse scelte di vita ela scelta dello stato di vita).Infine, una terza risposta è quella di educare igiovani a scoprire la loro vocazione intesa comeorientamento della propria vita attraverso la scel-ta di uno stato di vita: È urgente accompagna-re i giovani nella scoperta della loro vocazionecon una proposta che sappia presentare e moti-vare la bellezza dell’insegnamento evangelico sul-l’amore e sulla sessualità umana, contrastandoil diffuso analfabetismo affettivo (OP 54)....Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la misu-ra alta e trascendente della vita, intesa come voca-zione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio,al matrimonio, sappiano rispondere con gene-rosità all’appello del Signore, perché solo cosìpotranno cogliere ciò che è essenziale per cia-scuno (Discorso di Benedetto XVI alla 61Assemblea Generale della CEI).C’è bisogno di padri e di madri“... ci rivolgiamo a voi genitori, da Dio chiamatia collaborare con la sua volontà di dare la vita,e a voi educatori, insegnanti catechisti e animatori,da Dio chiamati a collaborare in vario modo alsuo disegno di formare alla vita... Voi genitori siete anche i primi naturali educa-tori vocazionali, mentre voi formatori non sietesolo istruttori che introducono alle scelte esistenziali:siete chiamati voi pure a generare la vita nellegiovani esistenze che aprite al futuro” (Nuove Vocazioniper una Nuova Europa, 5, Roma 1997). “Esisteun nesso stretto tra educare e generare: la rela-zione educativa s’innesta nell’atto generativo enell’esperienza di essere figli... Si inizia da una relazione accogliente, in cui siè generati alla vita affettiva, relazionale e intel-lettuale” (OP 27). I due documenti convergono

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2121MaggioMaggio20122012

LA CHIESA ITALIANA RIFLETTE

SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE:

ESPERIENZE D’IMPRESA A CONFRONTO

Rigel Langella*

CC osa indigna italiane e italiani? Certamentela crisi economico-finanziaria e quellapolitico-istituzionale che fanno fortemente

temere per il futuro, ma soprattutto il fatto chementre i media si occupano quasi solo di spreade indici di Borsa, monta silenziosa una grandequestione sociale, determinata dal fatto che lagente comune arranca a mantenere il ritmo divita quotidiano, con l’aumento dei prezzi e i con-tinui tagli ai servizi pubblici essenziali: sanità etrasporti, tanto per fare due esempi che tocca-no tutti. Questo quanto è emerso nel Seminariodi studio sulla Custodia del creato dedicato altema Per uno sviluppo umano sostenibile: ideee percorsi capaci di futuro, incontro di riflessio-ne che si è svolto a Roma nella sede della Coldiretti. Particolarità di questo seminario la presentazionedi quattro esperienze e percorsi, realizzati da altret-tante imprese sostenibili, che hanno dato all’in-contro un taglio pratico ed esperienziale: Palmche opera nel settore degli imballaggi; Loccioni,che ha presentato un edificio a costo energeti-co “zero”, realizzato nelle Marche; Ulixes, unacooperativa sociale, creata a Bari nell’ambito delProgetto Policoro, percorso di speranza eimpegno per esplorare strade di auto-impren-ditoria giovanile e infine un’azienda agricola diTrevi, riconvertita al biologico, gestita da una gio-vane esponente della Coldiretti Umbria, comeil 35 % delle aziende agricole italiane che sonoin mano a donne. La presentazione di queste esperienze, sia dialta tecnologia e innovative o tradizionali, cheabbracciano tutto il territorio nazionale da Norda Sud, ha stimolato il dibattito sulle prospettiveaperte da un settore che può dare risposte con-crete per la tutela ambientale e prospettive occu-pazionali.In vista del summit di giugno Rio+20, il gruppodella Custodia del Creato si è riunito per fare ilpunto sullo stato dell’arte e riflettere concreta-mente sulle potenzialità della Green Economy.In continuità e nel solco della dottrina sociale ilriferimento alla responsabilità per il Creato, tro-va espressione nella Caritas in veritate. I rela-tori si sono interrogati sui valori che muovonol’azione economica, per confrontarsi con la real-tà in crescita dell’economia eco-sostenibile.In apertura dei lavori, mons. Angelo Casile, diret-tore dell’Ufficio nazionale CEI per i problemi socia-

li e il lavoro, ha ricor-dato proprio la CVche assegna allaChiesa una respon-sabilità verso ilcreato da esercitareanche in ambitopubblico. Oggi – ha ribaditoCasile – si tratta dicomprendere comerealizzare un’eco-nomia che producasviluppo umanosenza impoverirela terra e le relazioni,caratterizzata dal-la sobrietà, anchenell’uso dell’ener-gia, mantenendo una correlazione tra la tuteladegli ecosistemi e delle risorse e la lotta alla pover-tà”. Dalle relazioni (Morandini, Fusco Girard, Silvestrini,Presilla, coordinamento Mascia) è emersa l’e-sigenza di valorizzare la sostenibilità come occa-sione per trasformare la crisi in un’opportunitàdi sviluppo economico e sociale futuro, promuovendola creatività e l’innovazione. In ambito sociale i“nuovi stili di vita” riguardano la società civile,ma anche i modelli economici di sviluppo chene reggono l’organizzazione. Come credenti e come laici impegnati nel mon-do e nelle professioni dobbiamo contribuire a unopportuno cambiamento. In particolare è stataribadita l’attenzione alla gestione dei “beni comu-ni” come l’acqua, l’aria che respiriamo su cui occor-re esercitare una coscienza vigile e critica, uni-ta all’uso responsabile (sobrietà energetica e con-tenimento dei consumi).Per le comunità e le chiese locali è necessarioun percorso educativo, basato su tre pilastri: sobrie-tà, armonia e servizio, sul quale sarà opportu-no un approfondimento ulteriore. In concreto cosasi può fare a livello diocesano o parrocchiale? In ambito teologico occorre preparare meglio icatechisti, ma anche diaconi e presbiteri su unavisione più soteriologica che amartiologica: Genesi1 e 2 viene prima del n. 3, ossia, è stato riba-dito che Dio creatore, tramite il creato, si pren-de cura di noi (Benedetto XVI, Se vuoi coltiva-re la pace, custodisci il creato, n. 13). Anche mons.Apicella, nell’incontro di Quaresima, con i laiciimpegnati nel settore sociale e politico, ha volu-to esortare gli intervenuti a farsi portatori di unmessaggio evangelico, fatto di consapevolez-za delle difficoltà presenti nel tessuto sociale ein particolare delle ricadute nel mondo del lavo-

ro e della famiglia, ma di evitare la tentazionedella disperazione, del ritenere che non ci sia-no vie di uscita dalla crisi economica e occupazionale:“L’Italia non è una barca che affonda, un pae-se da abbandonare al più presto”.Sul tema è grande l’attenzione della comunitàecclesiale e per la nostra Diocesi era presenteanche Claudio Gessi, che è intervenuto incisi-vamente nel dibattito. Una spinta propulsiva èvenuta dall’istituzione del Gruppo di ricerca sul-la “Custodia del Creato”, che è molto attivo alivello nazionale. Basandosi sulla dottrina sociale della Chiesa,con una particolare attenzione alla gestione dei“Beni comuni”, acqua, aria, habitat, etc. i teo-logi che ne fanno parte esplorano, assieme adesperti, scienziati e imprenditori la possibilità diconiugare, nuovi stili di vita rispettosi dell’am-biente e green economy, un’imprenditoria che- proprio in tempi di crisi - stimoli percorsi nuo-vi capaci di coniugare creatività, innovazione tec-nologica, risparmio energetico. Una strada percorsa in Spagna, Finlandia o inDanimarca che nel 2050, grazie alle fonti rin-novabili non dipenderà più dal petrolio, come illu-strato a Roma dal prof. Silvestrini, ma soprat-tutto in Germania, dove il governo ha creato, gra-zie al buon uso dei fondi europei, oltre 40milanuovi posti di lavoro, senza calcolare l’indotto.Da noi sono stati spesi milioni di euro destina-ti alle “energie alternative” per fare pubblicità alnucleare, spazzato poi via dagli eventi diFukushima e dal referendum. Se una volta tan-to non ci dicessero che anche questo ce lo chie-de l’Europa….

*Gruppo nazionale Custodia del Creato, CEI

sullo stretto legame che esiste tra educare (voca-zionalmente) e generare. L’azione educativo-voca-zionale domanda dei padri e delle madri capa-ci di accogliere le nuove generazioni e di trasmettereloro la vita: dono uguale e contemporaneamen-te diverso per ogni persona, dono da accoglie-re e al quale responsabilmente rispondere in unamodalità originale da parte di ciascuno. C’è biso-

gno, allora, di adulti che abbiano vissuto e con-tinuino a vivere una esperienza di vita bella, signi-ficativa, appagante e, per questo, sentono il biso-gno/desiderio di donarla, di trasmetterla. È que-stione di fiducia nella vita e di passione educa-tiva: “La passione educativa è una vocazione chesi manifesta come un’arte sapienziale acquisitanel tempo attraverso un’esperienza maturata allascuola di altri maestri” (OP 29).

ConclusionePer concludere propongo queste ulteriori due doman-de: Dal momento in cui ho iniziato la mia espe-rienza di educatore fino ad oggi: Quale è statala mia risposta?Da oggi in poi, pensando al miofuturo vocazionale di educatore:Quale è la risposta che sento di dare a que-sta chiamata?(Potrei esprimere queste risposteanche con un numero, oppure con un simbolo...)

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Fabricio Cellucci*

Volete andarvene anche voi? (Gv 6,67)

II l signore con questa domanda, ieri comeoggi, ci chiede di prendere una posizione.Prendere una posizione rispetto alla chia-

mata che ognuno di noi ha davanti. Il Signoreci chiede una risposta concreta nel cammino voca-zionale che stiamo percorrendo. Il signore ci invi-ta ad essere protagonisti responsabili.Mi incuriosisce molto questa scena in cui imma-gino i discepoli che tentennano oppure che han-no nel cuore alcune angustie che li porta nel pro-prio cuore ad essere indecisi e presi da tanti pen-sieri. Immaginare un Gesù che nella sua gran-de attenzione per l’uomo coglie i tanti segnalie invita ad essere concreti, invita a dare una rispo-sta concreta. Il signore non da una risposta pre-confezionata, ma presenta una domanda mol-to concreta e importante Volete andarvene anchevoi? (Gv 6,67).I discepoli sono in un momento di crisi, non man-cano questi momenti nella storia della loro voca-zione e il Vangelo ce ne ricorda diversi, questodi Giovanni è un esempio, ma come lo è l’epi-sodio della tempesta sul lago. I discepoli comenoi hanno provato lungo il loro camminomomenti di crisi nella loro vocazione e Gesù li

ha mostrato loro una via alternati-va alla sola rassegnazione. Sceglieredi seguire Gesù è scegliere un anda-re contro corrente alla luce del Vangeloche porta ad essere diversi, portaa formare una nuova civiltà quellache guarda con gli occhi dell’amo-re che fa vedere luce anche dovenon c’è, porta vivere in un impegnodove tutto è dono ricevuto e in cuiDio dona sempre la sua grande bene-dizione, anche se questi momentichiedono sacrificio, perseveranza efiducia sempre nuova e più profonda,ma tutto alla fine per gustare la bel-lezza della gioia che si raggiunge,che ha già oggi il sapore di eterni-tà che un domani gusteremo in pie-no nella gioia senza fine del regnodi pace e di giustizia del Signore. Un momento quello della crisi cheè un ambito che fa parte della vitadi ognuno di noi e che non ci chie-de rassegnazione, come di solito sia-mo portati fare, ma che se presoper mano anche attraverso l’aiutodi amici e compagni i viaggio chesono nostre guide lungo il caminodella vita può rappresentare un momen-to di svolta, può diventare unmomento di forte stimolazione posi-tiva di crescita spirituale e umana.Gesù presentando quella doman-da appunto chiede che ci si attivi esi scelga e non che ci si fermi e basta,magari delegando il tempo a risol-vere il problema che noi viviamo.La crisi nel cammino vocazionale rap-

presenta l’ora provvidenziale di Dio, il tempo nelquale la grazia divina è fortemente all’opera. Un’oradi Dio che deve diventa anche l’ora dell’uomo,un momento critico, evidentemente, ma prov-videnziale, perché la libertà viene sollecita e nonsoppressa anche se così sembra, in quanto puòessere passaggio per un salto di qualità nellapropria esistenza e nella vita di fede rinnovan-do e rimotivando una nuova alleanza tra due pro-tagonisti della storia: Dio e l’uomo, il creatoree la creatura.1Momento in cui, il problema della crisi non è né

l’uomo né Dio, ma solo l’accorgersi ed il pren-dere coscienza della vera realtà della crisi stes-sa, cogliere cioè ciò che Dio si aspetta in quel-la determinata situazione per gestirla nel modogiusto. Il Signore nella domanda che pone ai suoidiscepoli ne è segno: Volete andarvene anchevoi? (Gv 6,67). Siamo davanti ad un invito par-ticolare, ovvero quello di renderci sempre piùconto che siamo in runa relazione viva con il Signoree che in quel momento particolare della crisi,magari non siamo davanti al fallimento più nero,ma che in realtà dobbiamo accorgerci che sia-mo davanti alla nostra seconda chiamata di fidu-cia e sequela di colui che ci ha scelto e ha pen-sato per noi un progetto tutto particolare, uni-co ed originario come ognuno è davanti ai suoiocchi di Padre provvidente. Un momento quel-lo della crisi, nella quale l’esperienza che si fac-ciamo è quella dell’impossibilità umana e natu-rale di vivere in pienezza il progetto di Dio, evi-dentemente, nella tensione tra una carne sem-pre più forte ed uno spirito che si indeboliscemagari, ma scegliendo di passare dal proprioprotagonismo di risposta vocazionale all’abbandonototale nelle possibilità e nei sogni di Dio sullapropria vita, senza fughe nell’ esteriorità, ma nel-la fiducia in un progetto. Il progetto di Dio sul-la mia vita, nella certezza che Lui compie sem-pre la Parola data , sicuramente non come voglioo vorrei io, secondo i miei tempi, ma secondoil suo tempo e il suo piano di salvezza e allaluce del suo progetto d’Amore per me che sonosuo figlio, sempre nella liberta del poter scegliere.Se vuoi vieni e Seguimi, il Signore invita alla seque-la non obbliga, pone chiamate a cui aspetta pazien-temente una risposta e la domanda verso i disce-poli ce lo dimostra: Volete andarvene anche voi?(Gv 6, 57).

*Seminarista diocesano

1 Cf. A. CENCINI, l’ora di Dio. La crisi nella vita cre-dente, EDB, 2010 in cui vede nella crisi una straor-dinaria oppurtinità per l’uomo credente.

Nell’immagine:“Signore, da chi andremo?

Tu hai parole di vita eterna”, icona, Gerusalemme

Chiesa di San Pietro in Gallicantu. Foto A.M.

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Mons. Franco Risi

OO ggi si sente parlare tanto di crisi eco-nomica, ma nel fondo la crisi che vivia-mo è prima di tutto morale. A cau-

sa di questa situazione, il Papa ha voluto indi-re col Motu Proprio “Portae Fidae” l’anno del-la fede, che inizierà l’11 ottobre 2012 e si con-cluderà il 24 novembre 2013, in occasione delcinquantesimo anniversario del Concilio VaticanoII e nel ventesimo della pubblicazione del Catechismodella Chiesa Cattolica. Con la celebrazione di questo anno di fede, ilPapa desidera che esso sia: “un invito ad unaautentica rinnovata conversione al Signore,unico Salvatore del Mondo” (Portae Fidae n.6);e continua il Papa, che oggi è necessario in tut-ta la Chiesa: “un più convinto impegno eccle-siale a favore di una nuova evangelizzazioneper riscoprire la gioia del credere e risco-prire l’entusiasmo nel ritrovare la fede”. Fatta questa premessa doverosa e fondamentale,è necessario che tutta la Chiesa riprenda, conl’aiuto di Dio, a chiedersi con quali valori affron-tiamo la vita nel mondo in cui oggi viviamo. Conesso ci invita, a ricominciare il nostro vivere quo-tidiano nell’organizzare la nostra esistenza, permigliorare la qualità della vita di tutti. Prima ditutto è necessario che tutti gli uomini, creden-ti e non, rispettino il creato, perfezionandolo,custodendolo e non usandolo per scopi di pro-fitto, raggiunti magari con mezzi illeciti. Questo richiede che l’impegno di tutti non puòessere mosso da una fede solo teorica o di fac-ciata (alla fede), ma di una fede vissuta nellacoerenza di scelte significative fatte alla lucedel Vangelo (nella fede). In altre parole, non posso io essere credentee andare in Chiesa e poi vivere nella società,senza nessun principio morale e sociale,sganciato dall’esempio di Gesù.Molti pensano che basta andare la domenica

in chiesa e con questo avere assolto ogni com-pito della vita cristiana; poi nella vita pratica pos-so fare qualunque scelta, anche compiendolaa scapito e a danno di altri. La costruzione di un mondo più giusto, più rispet-toso degli equilibri naturali da estendersianche a tutto il creato, è compito di ogni uomo.Solo se l’uomo moderno sa rispettare con digni-tà il creato, poi sarà in grado di amare la per-sona umana, come l’ha amata Gesù. In questa prospettiva i Vescovi italiani in occa-sione della VI Giornata della Salvaguardia delcreato hanno affermato che: “solo educare all’ac-coglienza a partire dalla custodia del crea-to, significa condurre gli uomini lungo un tri-plice sentiero: quello anzitutto di coltivareun atteggiamento di gratitudine a Dio per ilcreato, quello poi di vivere consapevolmentedi render sempre più bella la creazione; quel-lo, infine, di essere sull’esempio di Cristo,testimoni autentici di gratuità e di servizionei confronti di ogni persona umana”; sem-pre in questa linea continua, la Conferenza EpiscopaleItaliana, è necessario per tutti: “ritrovare le radi-ci della solidarietà, partendo da Dio, che creòl’uomo a sua immagine e somiglianza, conil mandato di fare della terra un giardino acco-gliente che rispetti il cielo e prolunghi l’operadella creazione”.Tutto ci fa comprendere che siamo chiamati avedere la crisi che sta attraversando il mondo,in positivo, come una opportunità, come tem-po propizio per individuare ciò che è superfluoe magari liberarsi. E’ una modalità questa checi aiuta a guardare i nostri bisogni, per esem-pio ciò che è necessario per vivere, fare unascala di valori e usare le risorse con intelligenza,a bene nostro e degli altri, perché non dobbiamodimenticarci dell’attenzione da dare ai poveriche continuano a esserci sempre di più nel nostromondo attuale. Alcuni esempi molto semplici: chiudere il rubi-

netto quando ci si lava i denti, senza far scor-rere inutilmente l’acqua; usare lampadine a bas-so consumo; fare un digiuno; servirsi dell’au-tomobile quando è strettamente necessario; nonfarsi prendere dalla mania del “gratta e vinci”per inseguire il sogno di facili ricchezze. Tutto questo richiede uno stile di vita sicura-mente più sobrio, ma rimanendo fedeli alle neces-sità dell’uomo. Si contribuisce alla conservazione della crea-zione, promossa dalla Chiesa italiana, negli orien-tamenti pastorali per i prossimi anni: “favorendocondizioni e stili di vita sani e rispettosi deivalori dell’individuo della famiglia, della socie-tà, è possibile promuovere lo sviluppo inte-grale della persona, educare all’accoglien-za dell’altro al discernimento della verità,alla solidarietà, al senso della festa, alla sobrie-tà, alla custodia del creato, alla mondialitàe alla pace, alla legalità, e alla responsa-bilità etica dell’economia e dell’uso saggiodelle tecnologie”. Si comprende allora che la necessità dell’educazionenon solo alla fede, ma anche all’impegno respon-sabile ad educarci nella fede che ci rende capa-ci di rispettare il creato e la dignità della per-sona umana. In riferimento a ciò, Paolo VI affermava: “cheil dramma dei cristiani di oggi è quello di accet-tare Dio con l’intelligenza ma rifiutarlo neifatti”. Il beato Giovanni Paolo II affermavache: “una fede che non diventa cultura è unafede non pienamente accolta, non intensa-mente pensata, non fedelmente vissuta”. Da queste affermazioni molto chiare e costrut-tive del Magistero della Chiesa, sorge l’invitoa tutte le comunità cristiane e in esse a tutti icristiani, a riscoprire la fecondità della propriafede, con la testimonianza: con linguaggi uma-ni comprensibili e con la coerenza della pro-pria vita di fede su Dio, su Gesù Cristo, sullasalvezza e sul bene dell’intera umanità.

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2424 MaggioMaggio20122012

PER SCEGLIERE… LA VITA CONSACRATA

Testimonianze

a cura delle Sr. Apostoline Velletri

II n questo numero vogl iamo lasc ia-re la paro la a due nost r i conter ra-nei che hanno scoperto che la v i ta

consacrata era la s t rada per rea l izza-re p ienamente la loro v i ta ne l l ’amore:M a d r e I l d e f o n s a , i l c u i n o m e d iBat tes imo è Patr iz ia Paluzz i d i Segni ,Abbadessa del Monastero del le mona-che Benedettine “San Giovanni Battista”in Roma e Fra Mario Si lv io Ricci tel l i d iArtena, dell’Ordine francescano dei Fratiminor i .

M. Ildefonsa, cosa significa per te essere consacrata?

Prima di tutto ogni cristiano è consacrato! peril Battesimo ricevuto. Io ho scelto di seguire Cristopiù da vicino, più profondamente, come me anchele altre Suore, anche se con carismi diversi! (unabattuta: “ si dice che neanche lo Spirito Santosappia quante sono le congregazioni!” per quan-

te ce ne siano!) Pensare più alle cose che riguardano Dio, esse-re distaccata da tante cose futili e inutili, pen-sare di più alle cose di lassù, dove regna Cristoseduto alla destra di Dio. a conseguenza viene da sé: pregare di più pertutta la Chiesa, infatti la nostra vita è per la Chiesa,nella Chiesa e con la Chiesa. Attenzione per Chiesa non intendo i muri ma lepersone! Infatti quelle che si rivolgono a noi perchiedere preghiere sono tantissime, questo vuoldire che nel mondo d’oggi si crede alla forza del-la preghiera più di quanto pensiamo!

Fra Mario. per te cosa significa essere consacrato?

Pace e bene! Non troverei altro modo che rimandare a unamodalità, tra le tante che siamo chiamati a valu-tare come per esempio il matrimonio,con cui rispon-dere a un incontro con la Vita. Nasce tutto da una esperienza in cui ci si sen-te amati... veramente amati... esageratamenteAmati! Consacrarsi è “rispondere” nella moda-lità, per me, più “normale”. Ma questa “normalità” rimane comprensibile soloper coloro che si riconoscono creature voluteper Amore,ansi direi proprio desiderate per amo-re. La normalità di una risposta dipende dal con-testo che la custodisce: è naturale per ogni uomovoler essere amato ed amare. Ma l’amore è qualcosa di grande: L’amore è daDio e lui ci ama nonostante tutti i nostri limiti.

M. Ildefonsa, come hai capitoche questa era la tua strada?

Sono entrata giova-nissima in Monastero. Ho frequentato lascuola elementare emedia qui a Roma.Il Monastero gestivain quel tempo una scuo-la Materna, elemen-tare e media, tutta privata. Spesso sen-tivo la campana suo-nare, vedevo le

Monache che si dirigevano tutte nello stesso pun-to. Così mi interessavo e mi chiedevo il perché ditutto ciò. La Madre Assistente mi spiegava e miraccontava con linguaggio semplice la loro vita.Mi sono incuriosita, ho chiesto di partecipare allaloro preghiera, alla Santa Messa e ai Vespri del-la Domenica. Allora era tutto in latino e cantato. Una liturgia che mi elevava alle cose celesti, chemi prendeva il cuore. Stavo così bene quandoero lì con le Monache a pregare, poi aiutavo volen-tieri nei piccoli servizi la monaca che lavoravain lavanderia e altri piccoli lavori domestici delCollegio. Ho chiesto così di cominciare una pro-

va, sono entrata come “postulante” e da lì sonopartita, mi sono innamorata sempre di più, misentivo felice di questa scelta. La gioia è il primo distintivo per capire se vera-mente sei chiamata alla vita monastica.

E te, fra Mario, come lo hai capito?

Ho capito la mia strada rileggendo più volte lapresenza di Dio (tramite persone e fatti) che lun-go la mia storia man mano ho compreso esse-re sempre più un dono da restituire... non è faci-le per nessuno capire cosa Dio ci chiede, masimilmente ad una passeggiata in montagna, dovesolo camminando si vede la Bellezza del cam-mino, così solo rispondendo si cresce nella com-prensione della risposta!

M. Ildenfonsa, i consigli evangelici dicastità, povertà, obbedienza sono per teun cammino di…?

Un cammino di conversione per il Regno dei Cieli,configurazione a Cristo Signore, per diventare“cristiforme”. Nonostante la mia debolezza e i miei peccati.Non perdiamo affatto la nostra natura, ma cer-chiamo di trasfigurarla.

E per te, fra Mario?

Certamente i consigli evangelici della castità, delnulla di proprio, e dell’obbedienza fanno parte

del mio cammino. Queste espressioni di donazione sono semprepiù convinto che sono veramente un dono perimparare ad amare: amando con tutto me stes-so (corpo e anima) tento di donarmi sempre più,e senza riserve al prossimo; mi scopro esserepovero e bisognoso come chiunque ma consapevoleche nell’ascolto della Parola. Posso vivere una vita in cui... anche te che staileggendo diventi un dono per la mia stessa esi-stenza. Ti auguro ogni pace e sollecitudine nelricercare la volontà di Dio per te! Se vuoi contattarmi puoi scrivermi all’indirizzomail: [email protected] oppure su facebook cercandomi:fra Mario Silvio Riccitelli.

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Giorgio e Cinzia Safina

RRitengo molto utile, per divulgare e, per quan-to possibile, sempre meglio focalizzarela figura del diacono, l’inserimento nel men-

sile della nostra Diocesi: “Ecclesia” articoli scrit-ti dai diaconi stessi coadiuvati dalle proprie con-sorti in quanto lo spirito con cui ci sono stati richie-sti è proprio quello di parlare della vocazionepersonale e familiare. Ciascuno dei diaconi presenti nella nostra Diocesi,così come ritengo di tutti i diaconi presenti nel-le varie Diocesi del mondo, ha seguito un per-sonale percorso che lo ha portato a risponde-re all’invito che il Signore gli ha fatto di anda-re a “lavorare nella Sua vigna”, perché in fon-do è di questo che si parla della chiamata delSignore, non al Sacerdozio, ma al servizio. Servizio che nella Chiesa pur essendo riservatoa tutti i suoi membri, dall’ultimo dei battezzatial Papa, che non a caso è definito il “Servo deiservi”, per il diacono il servizio è insito nella suanatura, è il “carisma” che lo contraddistingue all’in-terno della comunità ecclesiale, è il motivo percui è stato ordinato. Il Concilio Vaticano II nel1964 ha creato, anche se tra notevoli difficol-tà, i presupposti per il ripristino del diaconatopermanente. Paolo VI nel 1967 con il motu pro-prio “Sacrum diaconatus ordinem”, avviò il cam-mino per il ripristino del diaconato permanentefacendo perno sulle richieste scaturite dal ConcilioVaticano II. La maggior parte delle Conferenzeepiscopali, stimolate da questa scia di entusiasmo,chiesero alla Santa Sede di poter ripristinare ildiaconato permanente tanto che già nel 1968ci furono le prime ordinazioni. In Italia la CEI matu-rò questa decisione nel 1972 con la pubblica-zione del documento: “La restaurazione del dia-conato permanente in Italia”. La pubblicazione di questo documento ha datoil via ad una vasta produzione di scritti sul dia-conato permanente per quanto riguarda l’aspettopastorale, mentre si lamenta uno scarso sviluppodell’aspetto teologico che è stato preso in esa-me quasi esclusivamente nel periodo a ridos-so del concilio Vaticano II. La mutata situazio-ne ecclesiale ed in particolare quella odierna met-te in risalto una nuova figura di diacono impe-gnato a diffondere il messaggio evangelico. Infattila carità che il diacono è chiamato ad attuare,

oltre a quel-la di soppe-rire alle esi-genze mate-riali dei fratelliin difficoltà, èanche quel-la di diffon-dere la buo-na novella,tentare, cioè,di far com-p r e n d e r el’Amore cheDio ha pertutti i suoifigli senza

escludere nessuno. Nella realtà complessa nel-la quale ci si trova a vivere come Chiesa, il dia-cono permanente assume un ruolo di frontierae di animazione della vocazione missionaria del-la Chiesa intera interpellata dall’imperativo evan-gelico a raggiungere ogni uomo per annuncia-re la salvezza a chiunque in qualunque conte-sto sociale, economico, politico, religioso,morale… Nella situazione attuale specie del mondo occi-dentale che necessita di una “nuova evange-lizzazione”, spetta in modo particolare al diacono,visto che è inserito nel mondo del lavoro, incar-nare la tensione missionaria che deve essereovviamente di tutta la Chiesa, la quale è chia-mata ad annunciare il vangelo come primo e fon-damentale atto di carità verso l’uomo.Questo è il vero servizio insostituibile per ogniuomo. Lo specifico diaconale potrebbe esserevisto nella sua opera di una nuova evangeliz-zazione di una realtà quale è quella odierna cheha dimenticato o finge di aver dimenticato il van-gelo. In questo senso il diacono si rivolgereb-be a coloro che sono i più poveri e bisognosiin assoluto: i lontani, i non credenti e recherebbeil massimo dono che è l’annuncio della salvez-za donata in Cristo. In questo compito il diacono dovrà porsi non sol-tanto come un infaticabile artefice, ma soprat-tutto come un animatore instancabile all’inter-no della Chiesa, di un rinnovato spirito missio-nario, come un suscitatore di un intenso amo-re alla verità e alla suaricerca, e come gene-ratore di fermenti nel-la comunità ecclesia-le attraverso il crearele condizioni per l’an-nuncio e la reazionefeconda del vangelo. Mi chiamo GiorgioSafina, sono stato ordi-nato diacono il 5 Ottobre1996 da Mons. AndreaM. Erba insieme al dia-cono Carlo Mattozzi nel-la Chiesa del S. Rosarioad Artena, dopo un lun-go periodo di studiche mi ha portato a fre-

quentare prima l’Istituto di Scienze Religiose del-la nostra Diocesi dove ho conseguito prima ilDiploma in Scienze Religiose e poi il Magistero,al termine del corso di studi che ha coinciso,purtroppo, quasi contemporaneamente allachiusura dell’Istituto mi sono iscritto presso l’IstitutoTeologico Leoniano di Anagni aggregato alla PontificiaFacoltà Teologica Teresianum, luogo dove si for-mano i Seminaristi dell’alto Lazio, qui ho con-seguito il Baccelierato ed ho proseguito gli stu-di completando il ciclo d’esami necessario a con-seguire la Licenza ma, per vari motivi tra cui enon per ultimo l’esiguo tempo a disposizione dadedicarvi, non sono ancora riuscito a comple-tare la tesi finale, cosa che mi sono ripropostodi fare, speriamo, entro un tempo ragionevol-mente breve. Accanto a questi lunghi anni dedi-cati allo studio mi è particolarmente gradito ricor-dare gli incontri settimanali con Mons FernandoDe Mei, vero padre del Diaconato nella nostraDiocesi, che non poco hanno influito sulla miadecisione di procedere sulla strada del diaco-nato. Recentemente, esattamente il 14/02/2012,abbiamo festeggiato i suoi 70 anni di sacerdo-zio nella sua natia Norma, dove è tornato da qual-che anno e da dove continua ad incrementarela sua già ricca produzione di libri. Penso di inter-pretare il pensiero di tutti gli altri diaconi dellanostra Diocesi rinnovando, con tutto il cuore, aMons De Mei gli auguri per questo evento cosìgioioso. Per quanto riguarda la mia vita priva-ta sono sposato con Cinzia da 32 anni con laquale ho due figli: Andrea e Anna Maria; dal 1973lavoro presso il Convitto Principe di Piemontedi Anagni dove per molti anni sono stato edu-catore, in seguito mi sono occupato della biblio-teca ed attualmente mi occupo della segrete-ria. Sono inserito nella parrocchia nella qualesono stato ordinato, S. Stefano Protomartire adArtena, dove con il parroco, il neo vice parro-co don Sandro ed altri sacerdoti che di volta involta celebrano la S. Messa nelle varie chiesedislocate nella parrocchia e a laici impegnati neivari ambiti: catechistico, caritas, gruppi famiglia…ci impegniamo a portare avanti una pastoraleche sia in grado di venire incontro alle semprecrescenti esigenze delle persone che vivono nel-l’ambito della parrocchia.

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Tonino Parmeggiani

UUna copia, trovata per caso, della prima pagi-na de “L’OSSERVATORE ROMANO”, del24 settembre 1944, riportante nel titolo prin-

cipale la notizia dell’Udienza concessa, il giornoprecedente, dal Santo Padre Pio XII alle autori-tà religiose e civili della diocesi veliterna “dinnanzialla venerata immagine della Vergine Ss.ma del-le Grazie”, ci ha spronato a ricordare i sei mesiin cui l’Immagine dovette allontanarsi da Velletri.Il quadro della Madonna delle Grazie, infatti, erastato trasportato a Roma nel mese di marzo del-lo stesso anno,due mesi dopo ilsecondo bom-bardamento del-la città che ave-va causato graviperdite umanenella popolazionee consistenti distru-zioni nel patri-monio edilizio edanche artistico.Le notizie cheriportiamo sonoattinte quasi perintero da opere distoria locale, come«Tra le rovine diVelletri» di P. ItaloLaracca, somasco, edito per la prima volta nel 1964,«La Madonna delle Grazie di Velletri, storia e cul-to» di Mons. Fernando De Mei, edito nel 1987, ilquale riporta ampi stralci di un articolo dell’Ing.Felice Remiddi, apparso sul settimanale locale “LaTorre” del maggio 1979, e del quotidiano“L’Avvenire”, preziosi questi due per le notizie roma-ne. Innanzitutto la data: nel volume del Laracca, svi-luppato secondo una cronistoria giornaliera, l’e-pisodio del trasporto a Roma è riferito al giornodi Lunedi 20 marzo ma, è da avvertire, nell’edi-zione successiva, pubblicata nel 1975 con il tito-lo di «Tragedia di Velletri e del suo Popolo: 1943-1944», per un qualche refuso tipografico l’indicazionedel giorno è saltata per cui chi legge quest’ulti-mo testo sarebbe portato ad attribuirlo erronea-

mente al giorno precedente, Domenica 19 mar-zo, inesattezza in cui è caduto anche Mons. DeMei nel successivo «Il Vicario vita ed opere di MonsignorEttore Moresi» dato alle stampe nel 2003; il 20marzo era stato già riportato anche nell’opusco-lo «Ave, Maria» scritto da Renato Guidi nel 1954,così come in altre pubblicazioni successive.Ancora un errore tipografico deve essere acca-duto nell’altro volume del Guidi «Sul fronte di Velletri»del 1964 dove, a p. 71, viene riportata la data del29 marzo. Il trasferimento a Roma venne deciso dall’alloraCardinal Vescovo, Sua Em.za Enrico Gasparri (1933-

46), evidente-mente preoccu-pato di ulteriorigravi sviluppidel conflitto bel-lico (continua-va una forte resi-stenza tedescaallo sbarco deglialleati ad Anzio,nella pianurapontina, c’erastato il tragicoevento dellad i s t r u z i o n edell’Abbazia diMontecassinoda dove, fortu-natamente, le

opere d’arte erano state in precedenza trasferi-te in Vaticano) che aveva inviato una sua letteraal parroco della Cattedrale di S. Clemente, Mons.Ettore Moresi, tramite il Padre Gesuita Bitetti, arri-vato a Velletri quel giorno “con un furgone vati-cano a prelevare le orfanelle, le vecchie, le Suorericoverate a vigna Berardi … Mal volentieri accon-sentiamo (era presente anche lo stesso P.Laracca) a lasciar partire il quadro della Madonna:si cede al comando scritto del Cardinale”. Avvoltoin un drappo tricolore, il quadro venne posto sulfurgone, alla volta di Roma, dove prese posto ancheil Canonico Don Giuliano Dettori.A Roma l’immagine venne posta sull’altare dellaSagrestia attigua alla Chiesa del Gesù, tenuta daiPadri Gesuiti, dove “rimase fino alla prima dome-nica di maggio, officiata e venerata dai velletra-

ni sfollati a Roma, in numero sempre piùcrescente a mano a mano che si diffu-se la notizia e aumentò lo sfollamento. Tutti i giorni al mattino e nel pomeriggiofurono celebrate SS. Messe e svolte fun-zioni di preghiera dagli stessi Padri Gesuitie dai sacerdoti di Velletri e diocesi sfol-lati o di passaggio per Roma”.In quell’anno la Festa della Madonna ven-ne celebrata in entrambe le città: a Velletriil Triduo si svolse in Cattedrale ed al saba-to, in sostituzione della tradizionale pro-cessione dei ceri, si recitò il Santo Rosariolungo il percorso solito: “Nel pomeriggio

… è arrivato S.E. Mons. Rotolo(Salvatore Rotolo, Vescovo Ausiliaredel Card. Gasparri) da Norma apiedi … nonostante la stanchez-za del lungo cammino ci invita a

percorrere le stesse vie per le quali passava laprocessione … dovunque mucchi di macerie, casedemolite, vie ingombre; dovunque silenzio e rovi-na”; ed il giorno successivo, domenica 7 maggio:“Grande avvenimento. E’ la festa della Madonnadelle Grazie. Da ogni contrada, i fedeli si muo-vono per accorrere ad onorare la Madonna neivari punti ove si celebra la S. Messa. … Posso dire che tutti oggi son corsi a venerare laMadonna, forse solo gli impediti non son venuti:alle due Messe ho parlato accoratamente dellaMadonna esortando alla fiducia in questa buonaMadre che certamente non ci abbandonerà. …La Madonna ci sorride e ci benedice. E’ una gior-nata di festa, sembra che siano finite anche le penee la fame!”. A Roma la festa venne celebrata “in un trionfo diluci e di preci; la Madonna fu collocata sull’alta-re maggiore e ricevette l’omaggio di migliaia e migliaiadi romani”. Anche «L’Avvenire» riportò una cro-naca dell’avvenimento: “Nello splendido TempioFarnesiano dedicato al SS.mo Nome di Gesù chei Padri Gesuiti hanno messo con nobile slancio,a disposizione dei veliterni, si è svolto nei giorni4, 5 e 6 un solenne triduo in onore della Madonnadelle Grazie, Patrona di Velletri, che ha accom-pagnato i suoi fedeli nella triste via dello sfolla-mento a Roma. Alla magnifica riuscita di questa celebrazione …hanno concorso l’entusiastico affetto dei veliter-ni per la loro Celeste Protettrice, le loro cospicueofferte in denaro, la presenza compatta di tuttala cittadinanza nel vasto tempio“. Vi parteciparono anche molte rappresentanti delclero e delle autorità civili: “S. Em. Il cardinale Gasparri,intorno al quale si è di nuovo riunito il gregge giàdisperso, l’insieme degli addobbi e delle luci, labellezza e la perfetta esecuzione delle musichedirette dal Comm. Maestro Armando Antonelli, di

continua nella pag. accanto

Nelle foto: Immagini di archivio relative al ritorno dell’icona da Roma a Velletri, in Piazza Garibaldi; si rigrazia l’archivio fotografico dell’Università del Carnevale.

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Sr. Monastero “Madonna delle Grazie” di Velletri

«Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo, bisogna “andarein esilio dal corpo e abitare presso il Signore” (2 Cor 5,8). In questo “esse-re sciolto” (Fil 1,23) che è la morte, l’anima viene separata dal corpo. Essasarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti».«La morte è il termine della vita terrena. Le nostre vite sono misurate daltempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tut-ti gli esseri viventi della terra, si presenta la morte come la fine normaledella vita. Questo aspetto della morte comporta un’urgenza per le nostrevite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarciche abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esisten-za. “Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza […] primache ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio chelo ha dato” (Qo 12,1.7)». «Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un signi-ficato positivo. Così l’hanno vissuto e insegnato con le loro parole e i loroesempi tutti i santi: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno”(Fil 1,21). “Per me è meglio morire per Gesù Cristo, che essere re finoai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui cheper noi risuscitò. Il parto è imminente. […] Lasciate che io raggiunga lapura luce; giunto là sarò veramente un uomo”. Nella morte, Dio chiama a sé l’uomo. Per questo il cristiano può prova-re nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: “ildesiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (Fil 1,23); epuò trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amo-re verso il Padre, sull’esempio di Cristo (Lc 23,46) e dei santi: “Ogni miodesiderio terreno è crocifisso; […] un’acqua viva mormora dentro di mee interiormente mi dice: ‘Vieni al Padre!’” (Sant’Ignazio di Antiochia). “Vogliovedere Dio, ma per vederlo è necessario morire” (Santa Teresa di Gesù).“Non muoio, entro nella vita” (Santa Teresa di Gesù Bambino).La visione cristiana della morte è espressa in modo impareggiabile nel-la liturgia della Chiesa: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma tra-sformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, vienepreparata un’abitazione eterna nel cielo”. La morte è la fine del pellegri-naggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della miseri-cordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il dise-gno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è “finito l’unicocorso della nostra vita terrena”, noi non ritorneremo più a vivere altre viteterrene. “È stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta” (Eb 9,27).Non c’è “reincarnazione” dopo la morte. La Chiesa ci incoraggia a pre-pararci all’ora della nostra morte (“Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore”:antiche Litanie dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere pernoi “nell’ora della nostra morte” (“Ave Maria”) e ad affidarci a san Giuseppe,patrono della buona morte: “In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti com-portarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza ret-ta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal pec-

cato che fuggire la morte.Se oggi non sei prepara-to a morire, come lo saraidomani?” ». San Giovanni Bosco, patro-no della gioventù, consigliavaai suoi giovani di medita-re frequentemente sulla mor-te: «Adesso il demonio perindurti a peccare, si sfor-za nel distrarti da questopensiero, nel coprire escusare la colpa, dicendotiche non c’è un gran malein quel piacere, in quella dis-obbedienza, nel mancarea Messa nei giorni festivi,ma nel momento dellamorte ti farà conoscere lagravità delle mancanze ete le ripresenterà tutte al vivo.Che cosa gli risponderai tuin quel terribile istante? Guai a colui che in quelmomento si trovi senza lagrazia di Dio!... Tutto ciò lo vedrai nelmomento in cui si apriràdavanti a te la via dell’eternità.Sì, da quell’istante dipen-de un’eternità di gloria o ditormento, comprendi ciò cheti dico?». I santi ci danno un esempio di come dobbiamo vivere prepa-rati per partire nel momento meno pensato. San Francesco d’Assisi can-tava poco prima di morire:«Laudato si’, mi’ Signore,per sora nostra morte corporale,da la quale nullo homo vivente po’ skappare.Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;beati quelli ke troverà ne le tue santissime volutati,ka la morte seconda nol farà male».Concludiamo con il desiderio di tene-re sempre presenti queste importanti realtà che accompagnano la nostraesistenza, affinché possiamo essere preparati per affrontare cristianamenteil gran momento della nostra morte!1

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 1005-1007; 1010-1014.

Nell’immagine del titolo: Transito di san Giuseppe, Cesare Ligari

cui specialmente ammirata lastupenda composizione del-la Messa, la valentia dei can-tori tra i quali i concittadini Colella,Viola, Tagliaferri, la presenzae l’attività spiegata dal clerodi Velletri presente a Roma;l’in-tervento del CommissarioPrefettizio di Velletri e delle altreautorità cittadine. La parola commovente ed effi-cace del predicatore, PadreMisserville S.I. ha inondato ladolcezza e ha riconfermato icuori oppressi da tanti dolorie preoccupazioni, incitandolia sperare e a confidare nel-la Madre comune che mai hadimenticato il suo popolo.

Nella giornata di domenicamigliaia di fedeli si sonoaccostati alla Mensa Eucaristicadurante la S. Messa celebratada S. E. Mons. ClementeMicara ed hanno poi assisti-to alla solenne Messa Pontificaleofficiata da S. E. Casaroli,Arcivescovo di Gaeta. La sera solenne BenedizioneEucaristica impartita dall’Em.moCardinale Gasparri. In queste commoventi cerimoniei veliterni si sono stretti fortementeintorno alla loro Madre Celesteed hanno offerto in olocaustoal Signore i sacrifici passatie quelli che ancora Egli vor-rà mandare per provare di piùla loro fede, unico sostegno

dei tristi momenti. Ai cittadini di Velletri si sono uni-ti molti fedeli di Roma che fin dal primo momen-to hanno circondato con il loro affetto i fratelli chetanto hanno sofferto e che hanno perduto ogni ave-re e spesso, ciò che è più crudele, qualche per-sona cara. Tutti in uno slancio d’amore hanno gri-dato il loro profondo affetto alla Vergine in comu-nione di spirito e di fede, invocando ancora unavolta: «Mostra te esse matrem». Terminata la festa, il quadro venne esposto in unacappella nella retrostante via degli Astalli dove tut-ti i giorni si celebrava una S. Messa e si recita-va il Rosario e fu costituito un comitato di fede-li per coordinare sia le funzioni religiose che unaassistenza spirituale e materiale ai veliterni. Anchea Roma la sacra Immagine mariana continuavaad essere il riferimento della comunità veliterna.

continua

segue da pag. 26

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Ambasciatore Silvio Fagiolo:

grande europeista, figlio della nostra terra

Valenzi Valeriano

SS ilvio Fagiolo appartiene a quella nutri-ta schiera di personaggi, originari del nostroterritorio, che hanno lasciato impronte

significative in vari ambiti: dalle alte gerarchieecclesiastiche alla diplomazia, dalla medicinaalla politica, dall’arte, nelle sue diverse formeespressive, alle opere missionarie.Non sempre, purtroppo, la nostra città ha datoil giusto riconoscimento a coloro che con ono-re hanno portato il nome di Segni nel mondo:la scomparsa, nelgiugno dello scorsoanno, di una figura emi-nente della diploma-zia e dell’europeismoitaliano come il Dott.Fagiolo, le cui originifamiliari e culturalierano profondamen-te radicate nella nostrastoria locale, è rima-sta pressoché ignoratae lo spessore intel-lettuale e diplomaticodell’uomo risulta esse-re quasi del tutto sco-nosciuto alle nuovegenerazioni.Pertanto, essendomiassunto, un po’ arbi-trariamente, il compi-to di sollecitare i mieiconcittadini a nonsmarrire le memoriecomuni del nostro passato e a mantenere vivoil ricordo di coloro che in settori diversi hannomeritato la nostra stima, ritengo doveroso richia-mare, seppur sinteticamente, le tappe della pre-stigiosa carriera di un personaggio che ha rap-presentato nel modo più degno l’Italia in nume-rose importanti sedi, da Washingthon a Berlino,da Mosca a Bruxelles e “che – come ha osser-vato il Presidente Napolitano nella commemo-razione – ha dato un’inestimabile contributo all’e-laborazione dei Trattati Europei e, in generale,alla costruzione dell’Europa unita”.Silvio Fagiolo, nato a Roma il 15 luglio 1938,figlio di Emilio, apparteneva ad una delle più illu-stri famiglie segnine, che aveva dato, nel seco-lo scorso, alla compagine ecclesiastica, illustrefigure come il cardinale Vincenzo e mons. Silvio,sottogretario alla Congregazione per il clero neldicastero della Curia Romana e ancor prima l’ar-civescovo Ettore Felici e il cardinale Angelo Felici,imparentati ai Fagiolo per via materna.

Laureatosi in giurisprudenza pres-so l’Università “La Sapienza” nel1970, aveva frequentato nel bien-nio 1965-’66 la Freie Universitat

di Berlino, per passare nell’anno successivo aBruxelles come funzionario della Commissionedella CEE. Nel 1969 inizia la carriera diploma-tica come addetto di legazione in prova pres-so l’Ufficio IX degli Affari Politici, con particola-re riguardo alla questione africana.Erano anni difficili per l’Africa dove le indipen-denze, raggiunte troppo in fretta, rischiavano dinaufragare in una situazione di perenne agita-zione e di problemi irrisolti: Francia e Gran Bretagnaavevano perso il loro ruolo imperiale pur man-tenendo un’influenza preponderante, gli Stati Uniticercavano di contrastare, non sempre con suc-cesso, la penetrazione del Blocco comunista;l’Italia tentava di acquistare un ruolo al di fuoridel Corno d’Africa.Il nuovo Addetto si distingue per la lucida capa-cità di analisi degli interessi contrastanti presenti

nel continente africano;a lui va il merito di unsostanziale contri-buto alla prepara-zione della visita diStato dell’imperatoreHailè Selassiè, chesegna la riconciliazionetra l’Italia e l’Etiopia.Nel 1972 viene nomi-nato segretario d’am-basciata a Mosca. I tre anni trascorsi nel-la capitale sovieticasono per lui un’e-sperienza stimolante,non solo come iniziodi una brillante car-riera in ambito inter-nazionale, ma ancheoccasione di arric-chimento culturale:impara rapidamenteil russo e approfon-

disce la sua analisi del mondo comunista attra-verso la lettura della stampa nazionale.Frutto di questo interesse è la pubblicazione, nel1977, di un saggio sui “Gruppi di pressione inURSS”, una radiografia lucida e puntuale del pote-re nell’Unione Sovietica. Lo spessore dell’uomo, la cifra della sua luci-dità intellettuale si colgono proprio in questa capa-cità di analisi, nell’ampiezza delle prospettive concui si pone nei confronti delle realtà sociali e poli-tiche che conosce da vicino nel corso delle suemissioni diplomatiche: se i tre anni di segreta-riato all’ambasciata di Mosca sono l’occasioneper studiare l’evoluzione del comunismo a set-tant’anni dalla Rivoluzione d’ottobre, quando, nel1975, viene nominato console a Detroit, scoprela realtà industriale americana e ne analizza imeccanismi, che delinea con incisività e chia-rezza nell’opera “L’operaio americano: fabbri-ca e sindacato negli USA”.Dopo tre anni di lavoro presso l’Ufficio Nato del

Ministero degli Esteri, nel 1982 è Consigliered’Ambasciata a Bonn: sono gli inizi del’era diHelmut Kohl ed è in questo ambiente che si raf-forza il suo impegno per assicurare all’Europacomunitaria istituzioni efficaci a realizzareun’Unione coesa; quest’esperienza fornisce lelinee guida della sua partecipazione ai negoziatiper il trattato di Maastricht.Attento al mutare dei rapporti tra le grandi poten-ze e vigile nel coglierne le motivazioni e gli svi-luppi, tornato a Washington, nel 1992 come MinistroConsigliere presso l’Ambasciata, analizza i nuo-vi rapporti di forza dopo la “caduta del muro”,individuando differenti punti di criticità dopo il supe-ramento del sistema bipolare, come risulta dal-l’opera “La pace fredda”, pubblicata nel 1996.La produzione scientifica di Silvio Fagiolo, infat-ti, risulta intrecciata con la sua biografia e conla sua attività diplomatica, originata essenzial-mente dal desiderio di capire le dinamiche degliambienti in cui, di volta in volta, si trovava a rap-presentare il suo Paese: parlava, infatti, correntementesette lingue, compreso il cinese.Della sua esperienza diplomatica e della vastaconoscenza dei problemi internazionali si avval-se ripetutamente anche il Presidente Andreotti,anche egli di origine segnina.Dopo essere stato rappresentante del ministroSusanna Agnelli e, successivamente, Capo diGabinetto del Ministro Dini, raggiunto formalmente,nell’aprile del 2000, il grado di Ambasciatore, vie-ne assegnato come rappresentante permanentepresso l’unione Europea a Bruxelles; europei-sta convinto, partecipa attivamente al negozia-to per il Trattato di Nizza.Dal 2001 al 2005 il Dott. Fagiolo è ambascia-tore a Berlino, dove promuove la riapertura del-la vecchia Ambasciata italiana, che GaleazzoCiano aveva voluto come simbolo dell’asse ita-lo-tedesco. Restaurato dall’architetto Vittorio DeFeo, l’edificio acquista nuova vita come centrodi incontri politici e culturali all’insegna dell’in-tensa collaborazione tra i due popoli per la rea-lizzazione dell’Europa unita.Conclusa la brillante carriera diplomatica, eglidiviene professore di “Relazioni internazionali”alla LUISS.Il 28 giugno 2011 la morte ha prematuramen-te spento la sua personalità ancora ricca d’in-teressi, apprezzata per l’eccezionale curiositàintellettuale, e per la passione dell’approfondi-mento, riconosciuta in ambito internazionale comefigura eminente dell’europeismo italiano.Diplomatico, colto e brillante, ma anche efficaceeditorialista, egli ha dedicato all’Europa una del-le sue ultime opere “L’ideale dell’Europa nellerelazioni internazionali”, con introduzione del PresidenteMario Monti.Silvio Fagiolo è stato un intellettuale globale, chenei numerosi saggi e attraverso l’attività giornalisticaè riuscito a spiegare con chiarezza e semplici-tà i problemi centrali dell’attualità internaziona-li di cui è stato testimone e protagonista, per ven-t’anni al crocevia dell’integrazione europea: unvanto per la nostra terra e un punto di riferimentoper le nuove generazioni, impegnate a costrui-re il loro futuro in una prospettiva europea.

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Parrocchia S. Maria Assunta – Segni“...ero straniero e mi avete ospitato.”

Mt.25,35M.Assunta Civitella

LL e migrazioni fanno parte del futuro dell’Italia e dell’Europa alme-no quanto il loro passato. L’esperienza degli ultimi decenni hamostrato quanto sia pericoloso dare per scontato che l’integra-

zione sia un processo facile e spontaneo. “Non si integrano” è il luogocomune sugli immigrati che sentiamo ripetere spesso, quasi avoler mettere a tacere le nostre coscienze chiamate adare una risposta al fenomeno del “diverso”.Che cosa fare concretamente? Quale la rispostache si può dare come Parrocchia, come com-paesani di tanti immigrati?Queste e molte altre domande ci sia-mo posti in sede di ConsiglioParrocchiale, sentendoci interpella-ti come individui e come comunità.Anche se piccolo, Segni ospita ormainumerose persone arrivate attra-verso le più diverse rotte dell’im-migrazione, i bisogni sono semp-re gli stessi: trovare un lavoro, unacasa, vestiti...Consapevoli delle nostre possibilità,consci del fatto che le istituzionipubbliche e molte associazioni di volon-tariato sono certamente più attrezzate dinoi per fornire questi servirzi di prima nces-sità, abbiamo voluto porci il problema dell’inte-grazione, dare una risposta concreta per favorire l’in-serimento di queste persone nella nostra comunità. Dopoaver raccolto informazioni e ascoltato le richieste di diverse inseg-nanti della scuola elementare e media, abbiamo constatato che il seg-nale più vistoso della mancata integrazione per molti bambini, ma soprat-tutto per molte mamme, era dovuto alla scarsa o nulla conoscenza del-la lingua italiana, anche a distanza di mol-ti mesi, in alcuni casi anni, dall’arrivo nelnostro paese.Di qui l’idea di fare una “scuola d’italia-no” per stranieri, una sorta di “pronto soc-corso” della lingua, dove poter acquisiregli strumenti linguistici necessari e sufficientia “riorganizzare” la propria vita in un nuo-vo paese. Alla base del corso d’italiano,che è ormai partito da più di un mese, eche sta avendo un ottimo successo,soprattutto con le mamme, c’è la convin-zione di fornire uno strumento in grado diincidere notevolmente sulla sfera del rico-noscimento personale e collettivo.L’apprendimento della lingua italiana comeprimo elemento essenziale di inclusione,possibilità di esprimersi, di entrare in rela-zione, di capire e farsi capire.Servizio che il Parroco Don Franco Fagioloha voluto, nell’ottica della corresponsabi-lità, affidare ad alcuni volontari (ragazzi,madri di famiglia, ex insegnanti in pensione)che si rendono disponibili a venire incon-tro alla necessità di altri, facendosi loro pros-simi secondo lo spirito del Vangelo di Matteo25.35 “...ero straniero e mi avete ospi-

tato”. La scuola è ormai ben avviata, gli alunni sono stati divisi per grup-pi: c’è un’aula per i bambini-ragazzi ed una per le mamme; queste ulti-me sono divise per grado e conoscenza della lingua, a loro volta for-mano quindi altri due gruppi.Le lezioni si svolgono tre volte a settimana presso i locali di Palazzo Conti.E’ una piccola cosa, ma pur sempre un principio di risposta alla richie-sta d’aiuto di questi nostri fratelli. Non so se riuscirò nell’intento, ma cer-

cherò di chiudere questo breve articolo cercando di trasmette-re a te, che stai leggendo, un’emozione molto forte che

ho provato qualche giorno fa mentre facevo la spe-sa... Il mese scorso ho assistito alla prima lezio-

ne del corso d’italiano. Erano presenti diver-se donne. Alcune non avevano neanche

il coraggio di ripetere le semplici frasiche l’insegnante proponeva. Altre dove-vano ricorrere ai figli che faceva-no loro da interpreti.Avevano soggezione. Dovevano met-ter da parte tutto, buttar giù ognibarriera, mettersi in gioco, ricominciarechi a 20, chi a 30, chi a 40 anni...Per diversi giorni mi son portata den-tro quegli sguardi pieni di timore, preoc-

cupazione, soggezione, pudore,imbarazzo, incertezza... chiudevo gli

occhi, pensavo ai loro e una morsa strin-geva il mio petto!

L’altro ieri dal pizzicagnolo della piazza è ent-rata una di loro, mi ha salutata, ha chiesto ciò

di cui aveva bisogno, ha tirato un sospiro di sollie-vo, si è voltata e mi ha strizzato l’occhio sorridendo... Come

erano diversi i suoi occhi dal mese scorso! Uno sguardo colmo digioia, di soddisfazione, di gratitudine, di orgoglio, di voglia di vivere, vog-lia di ricominciare... uno sguardo capace di sciogliere la morsa che strin-geva il mio petto!

LA PASQUA VISTA DAI BAMBINI

Giovanna Loppa*

IIbambini di una sezione diScuola dell’Infanzia diColleferro (Petrarca, sez.

B) con la schiettezza e la disarmantesemplicità tipica di questa età,hanno elaborato e tradotto gra-ficamente la Pasqua di Gesù. Gli avvenimenti evangelici cheessi hanno appreso attraversoi racconti evangelici, i canti, lepoesie e anche i cartoni animati,hanno avuto come prodottofinale questi disegni che mostra-no come i bambini vedono,ascoltano e apprendono tutto; han-no sete e voglia di conoscere;fanno domande a cui, cerco, conle parole giuste, di dare loro del-le risposte.

*IdR

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3030 MaggioMaggio20122012

Don Daniele Valenzi

LLe virtù ci consentono di avere un’identità,un proprio segno. Uno stile. Un grande sti-le, quando si riesce a mantenere la cal-

ma di fronte alle grandi lotte della vita, i grandi impre-visti che di volta in volta ci assalgono e richiedo-no la capacità di una risposta. Nella grande tra-dizione filosofica occidentale, già in Aristotele, neglistoici, e poi nella tradizione cristiana, le virtù sonoconsiderate i cardini della strutturazione delcarattere. Quattro virtù hanno funzione di «cardi-ne». Per questo sono dette «cardinali»; tutte le altresi raggruppano attorno ad esse. Sono: la prudenza,la giustizia, la fortezza e la temperanza. Se unoama la verità, le virtù sono il frutto delle sue fati-che. Essa insegna infatti la temperanza e la pru-denza, la giustizia e la fortezza. Il valore delle vir-tù risiede nella loro capacità di dare un’improntastabile alla nostra personalità. Dante nel XXXI canto del Purgatorio le descrivecome quattro lucenti stelle che gli porgono il brac-cio e danzano leggiadre con lui. Le virtù cardina-li lo conducono al grifone, animale dalla doppianatura, allegoria della natura divina ed umana delCristo e assieme alle tre virtù teologali, fede, spe-ranza e carità, le quali sapranno aguzzare lo sguar-do di Dante, lo portano ad incamminarsi verso lacomprensione del mistero del Cristo. Dopo aver ampliamente sviluppato il tema delletre virtù teologali il vescovo di Segni brevementetratta insieme delle quattro virtù cardinali dispo-sizioni stabili dell’intelligenza e della volontà; cheregolano i nostri atti orientandoli verso il bene. Eccola prima parte del testo.Quattro sono le virtù, per le quali è governato tut-to il mondo, così unite tra di loro che non posso-no esserci le une senza le altre. Chi ne possiedeuna, le possiede tutte, e a chi ne manca una qual-siasi, non ne possiede nessuna. Tra queste la pri-ma è la prudenza, la seconda la giustizia, la ter-za la fortezza, la quarta poi è chiamata temperanza.La prudenza, tuttavia, è la conoscenza delle cosedivine ed umane, che anche in altri luoghi è chia-mata con il nome di sapienza. Ma non dico la sapien-za di questo mondo, che è stoltezza presso Dio,di cui anche l’Apostolo dice: poiché “Dio reso stol-ta la sapienza di questo mondo (1 Cor 1, 20.),”ma dico quella sapienza, che appartiene all’one-stà dei costumi e alla salvezza di anime. Non quella che insegnano filosofi e oratori, ma quel-la che predicarono gli Apostoli e i dottori. E que-sti uomini hanno, infatti, hanno la conoscenza del-le cose divine; così come il Signore stesso dice:“Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’iolo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14, 21).” Maquesta è la vera conoscenza della divinità, o quelconoscere, che è la vera sapienza, e senza la qua-

le non vi è alcuna sapienza.“Ogni sapienza viene dal Signore Dio, e con luifu sempre, ed è prima di ogni tempo (Sir 1,1).” Tale è la sapienza tra le altre virtù, quale è l’orotra tutti i metalli. Quindi non è senza ragione chenella pagina sacra per lo più con l’oro è signifi-cata la sapienza .Guarda la tenda della testimo-nianza; guarda il tempio di Salomone, e vedrai comeogni cosa sia composta da oro purissimo, allorafinalmente capirai che il massimo decoro e la mas-sima bellezza dei santi è la sapienza. Se è assente, cieche, cupe e oscure sono tuttele cose. Chi, allora, sarà in grado di reggere o gover-nare il suo regno e la sua provincia, la sua terra,la sua famiglia, o anche se stesso senza di essa?Comprendete o potenti del mondo e date alla sapien-za attenzione. Quanto sia necessaria la giustizia lo mostrano suf-ficientemente le stesse leggi degli imperatori e icanoni e i decreti dei santi, che sono stati fatti percustodirla. Togli la giustizia, e il mondo è perdu-to. Dove non c’è giustizia, l’iniquità domina; lag-giù, truffe, rapine, furti, omicidi, paura e angoscia,e non vi è alcuna sicurezza. Paura degli iniqui èla giustizia, essa è sicurezza dei buoni. Allora, dim-mi di cosa si tratta? “ La giustizia è la volontà costan-te e perpetua di dare ognuno il proprio diritto.” Chi ha sempre questa volontà, al fine di dare adognuno il proprio diritto, e permette che nessunousurpi quelle cose che sono soggette ad un altrodiritto, costui è a ragione giusto. Ma il diavolo nonha alcun diritto sulla natura umana. Dio, e non ildiavolo, ha fatto l’uomo. Di diritto, quindi, l’uomo è di Dio: Egli deve regna-re in noi, Egli deve possedere le nostre membra.Così infatti l’Apostolo dice: «Non regni il peccatonel vostro corpo mortale, così da obbedire ai suoidesideri; (Rm 6, 12)”. È un ladro, è un predatore, non appartiene al suodiritto ciò che egli possiede, allontanalo da te, ren-di a Dio il suo possesso, e sarai giusto. Se, infat-ti, egli è giusto, perché ha dato ad ognuno il pro-prio diritto, per questo motivo questo nome è comu-ne a tutti i santi, e tutti i santi sono detti giusti, poi-ché tutte queste cose praticano in loro la giusti-zia, e tolti i vizi rendono al Signore ciò che è suo.Altrimenti, come sarebbero chiamati giusti quelliverso le cui opinioni nessuno venisse? Perciò l’Apostolodice: “Se noi giudichiamo noi stessi, non dovrem-mo essere giudicati (1 Cor 11, 31.)”. Ma più di tutto per amore della giustizia sono sta-ti costituiti fin dall’inizio gli imperatori, i re, e gli altripotenti, per dare ad ognuno il proprio diritto, e proi-bire che siano fatti torti, per punire gli ingiusti, persostenere i buoni e per disporre tutti in modo equo.E se lo faranno, essi saranno beati. Di costoro infatti sta scritto: “Beati quelli che osser-vano giudizio, e osservano la giustizia in ogni tem-

po (Sal 115, 3). E ancora: “Amate la giustizia, voiche giudicate della terra (Sap 1, 1).” Ma che diròdella fortezza? Senza cui la sapienza e la giusti-zia sembrano essere inutili. Vi è, tuttavia, una for-tezza non del corpo, ma una costanza della men-te, per cui superiamo le ingiurie, sopportiamo tut-te le cose avverse, e non siamo allontanati dallecircostanze favorevoli. Chi non ha questa fortez-za è vinto da superbia, dall’ira, dall’avarizia, dal-la lussuria, dall’ebbrezza e da queste simili cose.Anche quelli forti non sono quelli che posti nelleavversità hanno lottato per essere liberati controla salvezza dell’anima. Perciò il Signore ha det-to: “. Non temete coloro che uccidono il corpo, manon possono di uccidere l’anima (Mt 10, 28)” Allostesso modo, anche quelli che sono nella prosperitàsi levano in alto e si rilassano nella gioia super-flua, non si può dire che siano forti. Per quantosiano forti, chi può nascondere e ritenere l’impe-to del cuore? La fortezza non viene sconfitta, ese è stata sconfitta non è fortezza. Questa fortezzahanno avuto i santi, perché né con vizi, né contormenti, né con lusinghe poterono essere vinti.Non ci resta ora che parlare della temperanza chenelle proprie azioni non eccede nel modo, poichénon cerca nulla di superfluo. Questa sia, dunque, la sua definizione, e questa,in effetti, è così necessaria, che il mondo non puòstare senza di essa. Infatti, poiché l’uomo è com-posto di elementi contrari, se non ci fosse una talenatura, che moderasse le cose contrarie ed oppo-ste, in tanta confusione non potrebbe esserci unalotta tanto grande per un così lungo tempo. Maquesta è discussione dei filosofi e non è possi-bile che sia concluso così un sermone. In tutte leoccupazioni è utile la temperanza. Ascolta ciò cheil beato Paolo circa la stessa sapienza dice, e comemostra che questa ha bisogno della temperanza.“Non sapere più, dice, di quanto sia necessariosapere, ma sapere in modo conveniente, (Rm 12,3).” “. Non voler essere molto giusto, altre voltetroppo” Anche il Beato Benedetto la cui autoritàè grandissima: come per esempio in lui parlavalo Spirito Santo, ha comandato in modo analogo:così da non avere qualcosa di eccessivo rispet-to la fortezza. Chi stringe con forza i seni per far emergere il lat-te, fa il burro: e colui che soffia violentemente ilnaso, tira fuori il sangue. E dunque questa tem-peranza è necessaria. Stringe i seni violentementecolui che, dopo che sono stati svuotati dal latte,non cessa di premerli ancora e di esigere da lorociò che non hanno. Chiunque, quindi, con digiu-ni, con veglie, e con altre afflizioni di se stesso,può essere in grado di sostenere o gli altri più chese stesso, o la loro natura, si sforza di premeree affliggere, costui senza dubbio preme i seni vio-lentemente, e da dove spera il frutto della vita, dalì molte volte trae il frutto del peccato e della mor-te. Quindi, l’Apostolo dice: “Mi appello a voi, perla misericordia di Dio, di presentare i vostri corpiin sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, è que-sto il vostro culto spirituale (Rm 12,1).” Per que-sto è spirituale quel culto per il quale non la natu-ra stessa, ma i suoi vizi vengono uccisi. Ecco, inbreve è stato detto abbastanza delle quattro vir-tù principali, di che tipo, e come esse siano neces-sarie per tutti, soprattutto, ai potenti, per i quali iregni del mondo sono governati.

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3131MaggioMaggio20122012

Francesco Canali

UU no dei personaggi più sconosciuti e miste-riosi dell’antichità è stato certamente l’e-remita. La figura dell’eremita rievoca

infatti ancora oggi l’immagine di un individuo soli-tario, entro una grotta nel deserto, o su una mon-tagna in compagnia di qualche animale domesti-co cibandosi di bacche e dei frutti spontanei del-la terra. Se questo era il ritratto dell’eremita vis-suto nei primi secoli del cristianesimo e nel medioe-vo, a partire dal XVII sec. si sviluppa un altro tipodi eremitismo che dalla montagna si spinge fin ver-so la pianura, “colonizzando” vecchie chiese e san-tuari rurali come nel caso di Gavignano con l’oc-cupazione della chiesolina campestre di S. Roccoe del Santuario Mariano di Rossilli. Pertanto, da uomo solitario che viveva ai margi-ni della società, a soggetto che conquista un suospazio nella vita economica e sociale di una comu-nità. Ma, come si diventava eremita, quali eranogli obblighi, quali i privilegi? Gli eremiti proveni-vano generalmente da esperienze conventuali, ex

frati tornati allo statolaicale e per questodotati di una discretacultura. Oltre ad impar-tire rudimentali nozio-ni scolastiche, mette-vano a frutto le loroesperienze acquisite“sul campo” in quali-tà di ortolani, giardinieri,barbieri e come “chi-rurghi” medicando pic-cole ferite ecc. Potevadiventare eremita sol-tanto un soggettogeneralmente cono-sciuto e ritenuto degnodi rivestire tale caricae solo dietro autoriz-

zazione del vescovo diocesano. Solo allora all’e-remita veniva consegnata una “patente”, ovverola facoltà di vestire un abito speciale, di questuaree occupare un eremo. Compito dell’eremita era quello di custodire il luo-go sacro dove risiedeva con la massima cura, tene-re in ordine gli arredi ed i paramenti sacri ed ese-guire, se necessari, piccoli lavori di manutenzio-ne dell’edificio. L’eremita, oltre alla questua o cer-ca, integrava il suo sostentamento non solo comecustode dell’edificio e pertanto beneficiario delleofferte dei fedeli, ma coltivando anche un orto eallevando piccoli animali domestici, attività chegli garantivano un’esistenza dignitosa. Per quanto riguarda la provenienza, c’è da sot-tolineare che la vita eremitica fu spesso largamentepraticata da individui stranieri provenienti solita-mente dal Regno di Napoli, in numero minore dailuoghi di origine, come nel caso di Gavignano, dovesi contano soltanto due o tre casi. Per quanto riguar-da la permanenza nello stesso eremo, essa erageneralmente di non lunga durata anche se nonmancavano eccezioni come nel caso dell’eremi-ta Rocco Frausono presente a Rossilli ininterrot-tamente per oltre venti anni. Chi era veramentel’eremita? Così scrive in proposito lo storico MarcelloStirpe: ”L’eremita è un laico, ma la sua posizionegiuridica non è ben definita. Come gli ecclesiastici

gode del privilegium fori, purnon facendo parte dell’ordoclericorum; questua come ilaici degli ordini mendicanti,ma non ha un superiore névive in convento ed il dove-re della castità è richiesto, manon con voto formale. La sua posizione giuridica èanaloga a quella dei Terziari,ma da essi si differenzia perla vita solitaria. Non è un “reli-gioso” ma ad esso si avvici-na non tanto per l’abito cheindossa, che è un elementoesteriore, quanto per gli obblighi che lo legano alvescovo della diocesi, al curato del luogo, alla chie-sa di cui è responsabile”1. Personaggi dunque glieremiti, un po’ laici e un po’ religiosi con una posi-zione giuridica non sempre ben definita. carse le notizie sul fenomeno eremitico nel Laziomeridionale e in particolare nel versante dei mon-ti Lepini almeno fino alla metà del XVII sec..A metà dell’Ottocento sono presenti nel territo-rio di Gavignano due eremiti, il primo nella chie-sa di S. Rocco, “custodis habitatione munita”, doveè documentata la presenza di un eremita a par-tire dalla metà del ‘500 quando, in ringraziamen-to per essere stati preservati dalla peste “aeris cor-ruptione”, i gavignanesi eressero nell’anno 1551una “chiesolina” in onore dei “Beati MartirjConfesorj Sebastianj et Rochi” con annesso romi-torio e l’altro nel Santuario Mariano di Rossilli. Nel 1840 fu costruito un altro romitorio attiguo allachiesa del Calvario, eremo però mai occupato.Se risultano scarse le notizie sul romitorio dellachiesa di S. Rocco, più numerose invece le noti-zie sugli eremiti presenti a Rossilli. Situato a cir-ca due miglia da Gavignano lungo l’antica Via Latina,già monastero medievale benedettino e sede dell’Ordinedegli Antoniani, nella seconda metà del ‘600 tut-to il complesso fu trasformato in un importante SantuarioMariano dove si venerava l’immagine dellaMadonna Rifugio dei Peccatori, devozione intro-dotta dal grande missionario gesuita il Beato AntonioBaldinucci. Risale proprio a questo periodo l’in-sediamento del primo eremita, Antonio Gorga ori-ginario di Gavignano, presente a Rossilli a parti-re dal 1668 cui succede un certo Giovanni Bonomodi cui non si conosce la provenienza. A quest’ultimo succede Rocco Frausono origina-rio di Benevento, eremita prima nella chiesa di S.Maria di Piombinara e poi custode del Santuariodi Rossilli per oltre un ventennio, cui subentra anco-ra un altro eremita beneventano, di nome RoccoAngioni che muore e viene sepolto a Rossilli nel-l’anno 1744. Tra la fine del Settecento ed i primi annidell’Ottocento abbiamo notizia di tre eremiti, il pri-mo fra’ Marco Ponza e gli altri due originari di Morolo,tali Giacomo Messercole che muore il 28 dicem-bre 1794 e Vincenzo Cecilia, deceduto a sua vol-ta nel 1822. Nel 1829 troviamo un nuovo eremi-ta gavignanese di nome Domenico Cenciarelli figliodi Giacinto, giovanissimo di appena diciannove anni.Nell’anno 1869 si susseguono due eremiti, il pri-mo Domenico Fosconi anch’esso di Gavignano eun altro “molto giovane” di cui non si conosconole generalità, protagonista di un caso piuttosto sin-golare! Era infatti scoppiata una controversia tra

il cappellano della chiesa e questo giovane ere-mita riguardo il “godimento” della cera colata daicandelabri il giorno della festa della Madonna diRossilli, che cadeva il martedì seguente la festadella Pentecoste, cera bianca d’api allora moltoricercata e pertanto riutilizzata come fonte di gua-dagno. Ritenutosi ingiustamente “defraudato”della cera, il giovane eremita riconsegna le chia-vi del Santuario per non farvi più ritorno. Uno degli ultimi eremiti di cui si hanno notizie èun certo Antonio Risceglie che però lascia l’ere-mo per “prender moglie”. In sua sostituzione, nel1876 viene chiamato un “ buon soggetto per custo-dire la chiesa e mantenere viva la devozione deigavignanesi e segnini”. Da questa data non si han-no più notizie sulla presenza di un eremita a Rossilli. D’altro canto i tempi erano profondamente muta-ti. Con la perdita d’importanza del sito ed in segui-to alla vendita del fondo da parte della Mensa Vescoviledi Segni ai facoltosi “agenti di campagna”, i fra-telli Tomassi di Segni: tutto il complesso venne adi-bito a fattoria anche se ancora per oltre un seco-lo, il Santuario resterà aperto al culto grazie allapresenza di un sacerdote appartenente al clerodi Gavignano. Scompare così per sempre anchel’umile e preziosa figura degli eremiti che per seco-li, come scrive ancora lo storico Stirpe:“Nello stato di totale abbandono sia spirituale chesociale in cui versava gran parte della popolazionedi campagna, contribuirono a mantenere viva ladevozione dei fedeli verso il santuario in cui dimo-ravano” e, aggiungiamo noi, in luoghi molto spes-so poco accessibili e poco appetibili al clero. Per concludere, non sapremo mai a chi spettas-se di diritto di recuperare la cera colata dai can-delabri, se al giovane eremita o al cappellano, nor-ma non contemplata nei pur ponderosi e cavillo-si Codici di Diritto Canonico. Il problema in com-penso è stato da tempo superato! Al posto delle vecchie candele di cera bianca sim-bolo della pietà e del sentimento religioso dei fede-li, oggi di fronte agli altari e alle statue dei Santi“ardono” moderne candele alimentate ad elettri-cità, fredde, senza anima che non permettono piùal fedele di scegliere ed accendere la “propria” per-sonale candela atta ad implorare la grazia e posi-zionarla in un determinato punto… e soprattuttonon emanano più quell’inconfondibile odore pro-prio delle candele di cera, prodotta dalle laborio-sissime api.1 M. Stirpe, Verulana Ecclesia, Eremi ed eremiti, Biblioteca di Latium,(16), Anagni 2001, pp.137-156. Lo storico Marcello Stirpe di Veroli,autore di numerose pubblicazioni in particolare su aspetti di vitareligiosa, è uno dei pochissimi studiosi ad essersi interessato delfenomeno eremitico nel Lazio Meridionale.

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3232 MaggioMaggio20122012

Comunità parrocchiale

CContinua nella Parrocchia Maria S.S.Immacolata di Colleferro l’opera di abbel-limento della Chiesa. Dopo averla tinteg-

giata, dando profondità e ampiezza alla struttu-ra architettonica con giochi di colori diversi, e unposizionamento dell’impianto di illuminazione, èstato arricchito il presbitero con quattro grandi mosai-ci (circa 60 metri quadri)raffiguranti : S. Francesco,Santa Chiara e un volo di Angeli sulle basilichedi S. Pietro in Vaticano e S. Paolo fuori le mura.

Sono stati sostituiti i vetri cadenti ai quattro fine-stroni con scene raffiguranti i misteri del rosario.Si è dotato poi di un artistico ambone, sotto il leg-gio un Angelo opera del compianto Domenico Sarti.Sono state tolte le formelle anonime della via cru-cis sostituite con dipinti su tela drammaticamen-te attuali. L’opera di abbellimento non è finita quiperché è stata postal’immagine (Icone)di S.Giuseppe di grandi dimensioni. Per l’amministra-zione del battesimo, si è creato un angolo con unartistico battistero, contornato da cinque icone digrande spessore e dimensioni raffiguranti l’alle-goria del battesimo: Giovanni Battista battezza Gesù;Mosèfa scaturire l’acqua dalla Roccia, Maria Fontedi vita, le Mirofore, e la discesa agli inferi di Gesù.Sotto l’altare un trittico di rara bellezza sempre del-l’iconografa Fernanda Molle raffigurante l’annun-cio dell’Angelo a Maria, l’ultima cena e la croci-fissione. Dopo aver sostituito i banchi di ferro conbanchi nuoviè stato riportato all’origine anche il pavi-mento. Ora si è arrivati alla sostituzione di due por-toni di legno e resina con portoni di bronzo conotto formelle, disegnate dall’artista FernandaMolle e eseguite dalla ditta Domus Dei.Raffiguranti: l’annuncio a Maria, la visita di Mariaa S. Elisabetta, la nascita di Gesù, Gesù fra i dot-tori nel tempio, le nozze di Cana, l’ingresso di Gesùa Gerusalemme, la crocifissione e l’Ascensionedi Gesù al Cielo.La domenica delle palme, alla pre-senza del sindaco di Colleferro, dell’Architetto Angelo

Mattia e di una moltitudine di fedeli, la SignoraFernandaha illustrato il significato e l’origine deivari disegni poi il parroco, P. Antonio Scardellaha proceduto alla benedizione dei portoni, da dovei fedeli hanno fatto il loro ingresso con le palmein mano. “Non abbiate paura! Spalancate le por-te a Cristo” Così ci esortava il Beato Giovanni Paolo.Spinto da questo grido il parroco ha voluto i dueportoni laterali di bronzo, abbelliti con otto iconeche raccontano il progetto di salvezza operato daGesù per l’umanità. E’ il modo più semplice perparlare a tutti, bambini e adulti, ed è anche una“finestra” che Dio apre all’uomo per far intravedereil mondo trascendente.

La prima icona: L’Annunciazione(foto a sinistra)E’ il momento in cui si attua il primo passo versola salvezza. L’Angelo Gabriele annuncia a Mariache avrà un bimbo di nome Gesù e lei sarà il grem-bo che conterrà l’Incontenibile. Sarà la Madre diDio.La testa reclinata di Maria è la piena accet-tazione di questo misterioso evento.

Seconda icona: La visita di Maria alla cugi-na Elisabetta (foto sotto)

Maria corre a comunicare e condividere la sua gioiaa chi è già stata visitata dalla grazia di Dio. L’Arcangelo Gabriele aveva annunciato a Maria:“ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anchelei un figlio, nella sua vecchiaia, lei che era rite-

nuta sterile ed è già al sesto mese, perché nullaè impossibile a Dio”. Da qui l’incontro tra Mariaed Elisabetta: le loro braccia sembrano più lun-ghe del normale per potersi avvolgersi a vicen-da. C’è già la protezione di Maria verso gli uomi-ni con quel suo semplice e splendido gesto di toc-care e accarezzare il ventre di Elisabetta. Dio ini-zia a insegnare agli uomini che dobbiamo pregarlotramite Maria; Lei intercede per noi.

La terza icona : La nascita di Gesù.(foto sotto)

Maria è distesa su una mandorla accanto alla “cul-la” di Gesù. Il suo sguardo non è rivolto verso ilBimbo, ma è già proteso verso gli uomini a inter-cedere per loro. Maria rappresenta l’umanità ricon-ciliata. Gesù giace in una culla che è in realtà unsepolcro ed è avvolto in fasce come un morto: que-sti aspetti simboleggiano la missione per la qua-le Egli è venuto nel mondo. La grotta nera che loavvolge rappresenta, gl’inferi, dove Gesù scenderàvittorioso rompendo le sue porte e riportando l’uo-mo a Lui. Sullo sfondo i tre magi che rappresen-tano il mondo dei pagani, dell’uomo che è alla ricer-ca di Dio. Più in là il pastore, simbolo di tutti gliuomini semplici che per primi accolgono il VerboIncarnato senza farsi domande.In basso il primobagno di Gesù secondo i vangeli apocrifi. Infineil dubbio personificato dal pastore Tirso, che ten-ta invano di confondere Giuseppe e indurlo a ripu-diare Maria. Gesù vince su tutti.

Quarta icona: Mesopentecoste - Gesù fra i dottori del tempio. (foto sotto)

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È chiamata così perché nella liturgia bizantina èuna vera e propria festa che cade all’incirca a metàdel periodo che intercorre tra la festa della Pasquae quella della Trinità (nella Chiesa d’Oriente la festadella Trinità coincide con la Pentecoste). Questo giorno, coincideva con la metà della festavetero testamentaria delle “capanne” che duravapiù giorni. Il centro compositivo ideale dell’icona è il rotoloche l’Emmanuele tiene in mano, esso indica la Paroladi Dio, la sua dottrina, cioè l’incarnarsi della Sapienzadivina del Creatore, che, attraverso il Figlio, la donaagli uomini.

Nel portone di destra quinta icona: Le nozzedi Cana.(foto sotto)

Al centro ci sono gli sposi che hanno le mani incro-ciate davanti a loro nell’atto di custodire il donoricevuto e con i loro corpi formano una mandor-la, simbolo di fecondità.

Al di sopra e al centro di tutta la scena c’è Maria.E’ lei l’Invitata, dritta davanti alla colonna, comesarà in piedi sotto la croce. Accanto a lei, crocefisso e glorioso, il Vincitore,posto “come colonna nel tempio di Dio, per nonuscirvi mai più” (Ap. 3,12). Maria ha le mani incrociate perché annunciano ilmistero della croce; la palma aperta verso di noiesprime il suo “fiat” al disegno divino. Gesù con il suo braccio teso, taglia perpendico-larmente la colonna, simbolo del palo della cro-ce, il braccio teso indica la liberazione dalla schia-vitù (es. 6,6) ma è anche, simbolicamente, archi-trave della nuova casa, della nuova famiglia chesta per nascere. I personaggi sono avvolti in ungrande cerchio che abbraccia tutta la scena. I grappoli ubertosi della vite evidenziano questacircolarietà, come grembo fecondo che custodi-sce e genera la vita. Di lato e alla base ci sono le idrie contenenti l’ac-qua che sarà trasformata in vino. Sono solo seied esprimono l’inadeguatezza, ma anche tutto l’im-pegno e lo sforzo che la persona umana può farecon la sua volontà decisa ad essere a disposizionedel Regno, in obbedienza perfetta al Padre.

Ecco perché le sei idrie dell’insufficienza vengo-no comunque trasformate in vino, e vuole rappresentarel’infinita misericordia di Dio verso l’uomo.

La sesta icona: L’ingresso di Gesù aGerusalemme (foto sopra)

Al centro della composizione Cristo su un’asinabianca che sembra quasi sospesa da terra. Davanti a Gesù dalle porte della città gli vengo-no incontro i giudei che acclamano il Figlio di David,il nuovo re di Gerusalemme, stendendo sulla stra-da le proprie vesti e i rami di palma. Dietro Gesùi dodici apostoli guidati da Pietro e Giovanni. Mentrebenedice gli abitanti che lo accolgono, Gesù si rivol-ge ai discepoli preannunciando gli avvenimenti futu-ri. Le balze scoscese della montagna introduco-no una sfumatura d’inquietudine. ’albero che ripren-de la sua espressiva curvatura, quasi fosse pie-gato da una raffica di vento, simboleggia l’avvici-narsi della tragedia della passione di Cristo.

Settima icona: La Crocifissione(foto sotto)

La croce è conficcata sul Golgota, raffigurato informa di colle, in cui si apre la fenditura nera del-la grotta, dove è sepolto il teschio di Adamo. E’ sul Golgota infatti che, secondo la tradizione,era stato sepolto il progenitore, Adamo. Secondo l’interpretazione degli autori cristiani del-le origini, il sangue del Salvatore sparso sulla sepol-tura di Adamo era il segno simbolico della reden-zione dal peccato originale dell’uomo. Assume quindi il significato di Gesù che discen-de agli inferi e sfonda le sue porte liberando i giu-sti per portarli con sé in cielo. Gesù è il nuovo Adamocome Maria è la nuova Eva che portano salvez-za all’uomo.Maria è silenziosa ai piedi della croce, stringe lespalle con una mano e con l’altra indica l’agnel-lo immolato: esprime dolore, stupore e fiducia inGesù. Giovanni è letteralmente piegato su se stesso, pro-vato dal dolore cocente, la mano sulla guancia qua-si in segno di resa, e contemporaneamente di ribel-lione a ciò che sta succedendo. I due angeli in altohanno le mani coperte in segno di rispetto e di scon-certo che ha colpito anche il mondo celeste. Gesùcrocefisso rappresenta il culmine della sua mis-sione terrena.Sulla croce la carne di Cristo si trasfigura in edi-ficio della Chiesa terrena che rende gloria al DioUno e Trino.

Ottava icona: L’Ascensione (foto sotto)

Il compiersi della presenza visibile di Cristo sullaterra è il preludio della seconda venuta. Secondo le disposizioni della Sapienza divina, Cristocominciò la nuova vita nella gloria di Dio per pre-parare un posto ai suoi eletti (“ritornerò e vi pren-derò con me”). Cristo è immerso in una mandor-la raffigurante il mondo celeste ed è sorretta dagliarcangeli. Maria, che impersona la Chiesa, è circondata eprotetta dagli angeli che indicano che Gesù saràsempre con lei e quindi con la Chiesa. Tutti intor-no si stringono agli apostoli come il popolo di Dioattorno alla Chiesa di oggi.

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Stanislao Fioramonti

RR accontavano i vecchi contadini che anti-camente il territorio comunale valmontoneseera vasto 13.000 ettari e che per difen-

derlo la comunità chiese al Papa soldati comeguardiani delle terre. Il Papa incaricò il Laterano(riferimento all’epoca – XII secolo - in cui Valmontoneera possesso dei Canonici Lateranensi?), checoncesse le guardie chiedendo come contropartitaun quarto del ricavato e lasciando gli altri tre quar-ti al lavoratore. A Valmontone dunque la divisione dei prodottiagricoli al quarto (“alle quattro”) sembra risalisseai tempi in cui il paese era feudo della Chiesa;e tale rimase anche sotto le baronìe dei Conti,degli Sforza, dei Barberini e forse dei Pamphily,mentre i Doria – abusando della loro autorità,raccontavano sempre i vecchi contadini –alzarono le quote ottenendo prima la spartizio-ne al terzo, poi quella a metà (“alla mezza”) epretendendo dagli affittuari anche altri diritti (tas-se): entratura, colonìa, guardianìa, topinari ecc.Abbiamo visto come alla fine dell’Ottocento, subi-to dopo l’unità d’Italia, queste condizioni portasserola classe contadina – che a Valmontone la mag-gioranza assoluta, con 800 famiglie - alla dispe-razione, alla fame o all’emigrazione: proprio nelfebbraio 1898 c’era stato un ammutinamento deicontadini, frenato appena in tempo da una com-pagnia di soldati e dal comune, che aveva for-

nito sussidi e cucine economiche e distribuitogranturco.Il ritorno alla divisione “al quarto” si ottenne aiprimi del ‘900, quando l’amministrazione comu-nale di Valmontone passò al partito dei conta-dini, grazie all’azione di Giuseppe Ballarati (1864-1919), consigliere comunale di maggioranza che- in sintonia col sindaco Serafino Bernardi (suocognato) e col segretario comunale Giovanni Zaccarinie contando anche sull’appoggio dell’avv. CarloScotti in Consiglio Provinciale - aprì una vertenzasugli usi civici col principe Doria, il principaleproprietario terriero del paese (si narrava chefosse padrone di 18 feudi!). Ballarati aveva svol-to ricerche per supportare le sue rivendicazio-ni, e grazie a uno zio o prozio monsignore dell’ArchivioVaticano, poté disporre delle carte necessarie(nella sua relazione cita documenti del 1618, del1624, del 1820...). Perché la popolazioneriavesse i suoi diritti sul territorio intentò dun-que innanzi alla Giunta d’Arbitri di Velletri tre cau-se contro il principe Doria Pamphily su questioniagrarie come il supplemento dell’affrancazionedel pascolo, il diritto di semina e gli usi civici,la divisione al quarto anziché alla mezza e l’a-bolizione degli altri abusi. Era l’anno 1901.Nel 1902 il Tribunale locale emise due sentenzefavorevoli al Ballarati. Il principe Doria allora fecericorso presso la Corte d’Appello di Roma, laquale però nel 1903 – con sentenza delcomm. Tommaso Mosca - confermò l’esito favo-

revole per il nostro Comune. E mentre il principe minacciava il ricorso in Cassazione,i contadini invasero le sue terre valmontonesicantando “Eviva jò re e la reggina, (il sacco) jòvolemo ritto comme prima”. Il 9 luglio in Consiglio Comunale Giuseppe Ballaratitenne una storica relazione sugli usi civici e il16 luglio 1903 – data indimenticabile per i con-tadini del paese – nella caporalìa di Prato Sacco-Colle Acciarino per la prima volta si tornò a divi-dere il prodotto al quarto. In ricordo della vitto-ria fu organizzato un grande pranzo con una lun-ghissima fila di tavoli apparecchiati sotto gli ippo-castani di via Casilina, e ogni anno, la notte diCapodanno, i contadini si ritrovavano in casadi Ballarati per gli auguri prima del cenone. Ementre i maschi stornellavano: “E Ballarati checi ha fatto a nùne? Ci ha fatto vempì casa depappone (polenta)!”, le donne rispondevano: “EBallarati che ci ha fatto a nùne? A quindici annici ha fatto maritàne!”. L’attesa della sentenza della Corte di Cassazionedopo il ricorso del principe provocò però preoc-cupazione e malumori tra la popolazione con-tadina, che si espressero con tumulti, scioperidi coloni e adunate di protesta davanti al palaz-zo Doria, liti con i partigiani del principe, botteai crumiri ecc.Il 15 febbraio 1906 usciva intanto, dapprima quin-dicinale poi settimanale, il primo numero della“Difesa del Contadino”, giornale fondato e diret-to da Giuseppe Ballarati, che per 17 anni (saràchiuso dal Fascismo) ebbe il compito di accom-pagnare e orientare le rivendicazioni contadi-ne in tutta la regione.La sentenza della Cassazione invece non ci fu,perché il 9 maggio 1906 tra principe e Comunesi giunse a una transazione (contratto con cuile parti, facendosi reciproche concessioni, pon-gono fine amichevolmente a una lite già inizia-ta) che chiuse la vertenza sugli usi civici. La transazione fu avallata da un referendum deicontadini valmontonesi, riuniti in assemblea conil sindaco Bernardi e il consigliere Ballarati dome-nica 24 giugno 1906 presso la chiesa del Gonfalone.Anche per questo il 6 luglio 1908 Ballarati fon-dò la Lega dei Contadini di Valmontone, con GustavoPetricola presidente, Bielli bidello e 404 soci ini-ziali, divenuti ben presto più di 600.In virtù della transazione il principe Doria con-cesse il ripristino degli antichi usi civici su ogniporzione di terreno (quota) ceduta, cioè il dirit-to di semina ai contadini, di pascolo agli alle-vatori, di legnatico agli artigiani e farmacisti (cioèdi tagliare nelle sue macchie legna e cese = sco-pe, scopigliere); e cedette in enfiteusi al paese1500 ettari di terreno, dei quali 800 furono asse-gnati al Comune e 700 all’Università Agraria (U.A.).Gli 800 ettari al Comune (500 rubbia; 1 rubbio= 1600 mq), tutti destinati ai contadini, furonochiamati cànnoli (canoni) perché venivano datiin affitto annuo, al prezzo (cànone, appunto) di39 lire a rubbio (lire 24,86 centesimi l’anno, piùuna lira al mese per spese di amministrazione):cifra piuttosto modesta, se si pensa che primasi dovevano pagare 40-60 lire solo per la tas-

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sa di entratura. I canoni (“cànnoli”), terreni del Comune, erano assegnatinella misura di circa 1 ettaro (10.000 mq) a capofamiglia. Venivano sorteggiati (“’mbussolati”) periodicamente, ogni 15 anni circa, persostituire gli utenti nel frattempo deceduti, e ridistribuirli ai nuovi richieden-ti. In pratica però un canone restava sempre alla stessa famiglia perché,morto il padre, passava alla moglie o all’ultimo figlio maschio se contadino(che aiutava più a lungo la famiglia, mentre i fratelli più grandi, sposando-si, potevano fare domanda per un altro canone o proprietà). Solo se in casa non restavano contadini esso veniva nuovamente “’mbus-solato”. Con i canoni, ognuno dei quali era diviso in 7 porzioni (“partenze”),si assegnò dunque terra a 800 contadini, a partire dal 1910: il 2 giugno diquell’anno era pronto l’istromento (atto notarile) sulla transazioneDoria/Comune; del 19 luglio è la delibera del R. Commissario Comm. SalvatoreGiannone di dare in affitto i 795 ettari ricevuti dai Doria; del 16 settembreè l’approvazione di tale delibera da parte della Giunta Provinciale. Gli affitti dei terreni duravano dal 1° ottobre 1910 fino al 30 settembre 1939.Dei 700 ettari assegnati all’Università Agraria, 480 (300 rubbia) furono peri contadini, in proprietà dell’U.A. e 240 (150 rubbia) erano per il diritto dipascolo a favore degli allevatori di bestiame (s.t. bovino da carne e da lat-te), cioè bovattieri, vaccari e pastori. Su questi terreni, localizzati tutti al Pascolaro, si effettuava il pascolo col-lettivo e ogni anno si pagava la quota di affitto all’U. A., dividendola un tan-to a bestia. Se il bestiame era poco, una zona poteva essere “ristretta” (recin-tata) per la semina di grano ecc. Le proprietà (“propetà”) furono assegnatenella misura di mezzo ettaro a capofamiglia (500 mq = 1 quarta); si detteterra quindi ad altri 800 contadini. Nelle quarte il contadino seminava ogni anno, a rotazione, grano grantur-co e lupini. Anche la proprietà, in caso di morte dell’assegnatario, restavain usufrutto all’ultimo figlio maschio. L’utente doveva pagare anche in que-sto caso una piccola tassa annua all’U. A. Le ridistribuzioni (“imbussolamenti”)si sorteggiavano ogni 3-6 anni. Uno stesso utente poteva avere solo 1 canone e 1 proprietà; non potevaperò appartenere all’utenza dei bovattieri, cioè non poteva portare le suebestie, se ne aveva, a pascere al Pascolaro; allo stesso modo un bovat-tiere non poteva concorrere né per un canone né per una proprietà . Canoni

e proprietà eranosituati soprattuttoverso la Cacciata(“Quarto de sopre”)e verso la via diGenazzano e il fiu-me Sacco (“Quartode sotto”). In quest’ultimo soprat-tutto, una sessanti-na d’anni fa, avven-nero le permute deiterreni del principeDoria (che ora li havenduti tutti) conquelli dei contadini,per tenerli più con-centrati. Ogni colle dove c’e-rano questi terreni datiin affitto si chiama-va “caporalìa” e capo-rale era il primo con-tadino sorteggiatoin quella zona; iltitolo però non com-portava alcun privi-legio rispetto aglialtri.

Sara Calì

LL a primavolta cheho visto

P. Nicola Cerasa(Rieti 15 aprile1920- Artena 1°aprile 2012) eragià ridotto alsilenzio dall’ic-tus subito nel2001. Nella suastanzetta, doveera accuditissimo,sorrise a me e aMatteo che anda-va a portargli lacomunione e ten-tava poi di farlocantare. L’impressione piùforte era data

dalla consapevolezza di avere davanti un uomo che aveva dedi-cato l’intera vita al Signore, con 76 anni di professione e 68 disacerdozio, una persona di profonda cultura che parlava diver-se lingue correntemente e improvvisamente si trovava nell’im-possibilità di comunicare, ma sembrava sereno e per niente indi-spettivo dalla malattia che gli impediva anche di deambulare.Eppure, nella vita, di strada ne aveva percorsa parecchia. Si rimane meravigliati a leggere la sua biografia: dopo gli studiliceali a Palestrina e a Shiachwangtse (Taiyuan), emise la pro-fessione solenne e gli studi di Teologia a Taiyuan (Shansi), luo-go a noi artenesi caro, perché ci ricorda P. Ginepro Cocchi cheegli conosceva di persona e contribuì, a sua volta, a far cono-scere. Ordinato sacerdote l’8 dicembre 1944, compie gli studisuperiori presso l’Università Cattolica di Pechino, dove frequentaanche la Facoltà di biologia e si laurea in Diritto Canonico pres-so la Pontificia Università “San Tommaso” nel 1964. Oltre agli studi è importante la sua esperienza in Cina che loha visto prima Procuratore della Diocesi di Taiyuan poi impri-gionato per due anni dei Comunisti cinesi e infine espulso. Tornato a Roma esercita il servizio presso il Segretario provin-ciale, poi parroco e difensore del vincolo presso il Tribunale delVicariato di Roma, e ancora insegnante di religione, Ministro pro-vinciale della provincia di Roma, professore di “Prassi pastora-

le” presso il Pontificio Ateneo Antonianum,poi Vicario e Procuratore Generaledell’Ordine dei Frati Minori nel CapitoloGenerale di Madrid, ancora Vice AssistenteRegionale dell’OFS e addetto nellaPontificia Commissione per le Migrazionie il Turismo, di nuovo Ministro provincialee, nel 1987, il suo arrivo ad Artena conl’incarico di Guardiano e di Responsabiledel Centro profughi.In quello stesso anno ebbe la gioia di tor-nare nuovamente in Cina dove trovò, pur-troppo, rase al suole le vecchie chiese euna comunità cattolica sofferente eaddolorata. Lui che aveva tanto predicato e comunicatocon tante persone diverse, in luoghi diver-si del mondo ha chiuso la sua lunga esi-stenza nel silenzio, raccolto in preghie-ra e rivolto, ormai, solo al Signore.

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Volontari Museo Diocesano Velletri

L’iniziativa promossa daivolontari del MuseoDiocesano di Velletri,

ormai arrivata alla seconda edi-zione, ripropone al pubblico unaserie di appuntamenti per illu-strare la bellezza dell’ArteSacra custodita nei localimuseali, prendendo come rife-rimento gli eventi del calendarioliturgico. Nell’appuntamento previstoper i pomeriggi di sabato 12 edomenica 13 maggio, in occa-sione del Mese Mariano, ver-rà dato ampio spazio alletavole di Antoniazzo Romano,opere di committenza civica, testi-monianza della devozionepopolare veliterna alla Madonna.La tavola proveniente dall’al-tare nella cripta della Cattedrale

di San Clemente è stata recente-mente restaurata dalla dott.ssa Silvana Costa, restauratrice dell’Istituto Centraledel Restauro, grazie ai finanziamenti della Provincia di Roma. Sarà un’occasione unica anche perché le due icone mariane del nostro museoe la terza, collocata nella chiesa di Sant’ Apollonia di Velletri, sono state scel-te e richieste per una mostra organizzata a Roma. Vi aspettiamo per rac-contarvi la nascita di queste icone realizzate da Antoniazzo in un periodoparticolare della storia della città. Su Facebook abbiamo creato recentementeil profilo del museo dove potete seguire gli eventi che organizziamo.

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Simone Valeriani*

LL a Croce Veliterna racchiude nella minu-zia del suo volume quasi un millenniodi storia. Un capolavoro dell’oreficeria

palermitana, realizzata nel 1100 circa, essa èil pezzo più piccolo ma sicuramente il più impor-tante dell’intera collezione del Museo Diocesanoper la preziosità artistica, la ricchezza stilistica,il valore storico. Nata come Stauroteca per contenere un fram-mento della Vera Croce, l’opera esprime il genioartistico dell’epoca; la Croce infatti proviene dal-la Corte di Federico II di Svevia e venne dona-

ta alla nostra Città da PapaAlessandro IV, già Vescovodi Velletri.Vedere da vicino la CruxVeliterna non vuol dire soloosannarne l’indubbia valen-za religiosa, ma sentirsiorgogliosi del fatto che mil-le anni di storia siano custo-diti nei locali vescovili di Velletri;è un vanto certo, ma ancheuna enorme

responsabilità poiché è d’obbligoesporre un pezzo così antico perfarne godere i visitatori. Potremmo tenerla in una cassa-forte blindata, ma che senso avrebbe? La storia della Croce nei nostri gior-ni si intreccia con un evento cul-turale che va oltre il confine Veliterno,ovvero la splendida cornice di CastelSant’Angelo celebre per esserela famosa fortezza dove nel cor-so della storia molti Papi si rifu-giarono percorrendo il passetto

segreto che partiva dai palazzi Vaticani. Nel contesto romano il Centro Europeo per ilTurismo realizzerà una mostra dedicata a

«I Papi della memoria. Il pontificato romano attraverso

l’opera di alcuni suoi protagonisti: la fede, l’arte, la politica e la cultura»che si terrà dal 27 Giugno al 10 Dicembre2012. Il Comitato scientifico nel progetto di rea-lizzazione dell’evento ha dimostrato interesseproprio per il nostro piccolo tesoro custodito nel

Museo Diocesano e non potevamoche sentirci onorati di contribui-re con la nostra testimonianza.Per questo motivo avvisiamo ilpubblico che la Croce Veliterna,prima di essere trasportata a CastelSant’Angelo, sarà visibile nei nostrilocali fino alla metà di Giugno!

*Volontario in servizioMuseo Diocesano Velletri

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Prof. Antonio Venditti

AA ndando per strada, non è raro incon-trare ragazzi e ragazze di varia età, congli zaini sulle spalle, che, al mattino,

invece di entrare nelle aule scolastiche, decidonodi recarsi altrove : se è bel tempo nei giardini pub-blici, oppure nelle sale da gioco o in altri luoghi. “Marinare la scuola” non è un’abitudine nuova,ma le modalità sono cambiate nel tempo e conmaggiore pericolosità. Se nel passato il fenomeno riguardava soprat-tutto gli studenti più grandi degli istituti superio-ri, alcuni dei quali restavano a casa o si riuni-vano nelle biblioteche, quasi fossero luoghi sosti-tutivi delle aule scolastiche, a mano a mano l’an-dazzo si è diffuso anche tra i più piccoli della scuo-la media, che spesso in gruppi misti, senza alcunfreno, sono protagonisti di scorribande oppuresi esibiscono in atti infantili come nei giochi riser-vati nei parchi ai bambini, o in impudiche mani-festazioni amorose. Nel disorientamento, se non indifferenza gene-rale, nessuno interviene; anche chi esercita nel-la società funzioni pubbliche è stranamente lon-tano dai luoghi sopraindicati e magari, passan-do per caso, è assorto in altri pensieri, senza por-si l’interrogativo : è normale che tanti ragazzi eragazze, in età scolare, siano lì? È normale che passino il tempo in attività più omeno ludiche? Non è opportuno ricercare il moti-vo e quindi segnalare l’anomalia alle scuole deidintorni? Al di là dell’auspicio di vigilanza attiva,sorgono però spontanei altri interrogativi esoprattutto due : le scuole di appartenenza deglialunni assenti non si sono attivate, almeno pren-dendo contatto con le famiglie? E le famiglie nonsi sono preoccupate di prevenire l’inadempien-za dei figli? La frequenza scolastica è un dove-re o meglio il primo dei doveri di alunni/e che devo-no sentirsi impegnati ad andare ogni giorno a scuo-la, partecipando attivamente alle lezioni e stu-diando con profitto per la promozione.Il D.P.R. n.122 del 22 giugno 2009, a partire dal-l’anno scolastico 2010/2011, impone, per la vali-dità e quindi il buon esito dell’anno scolastico,una frequenza di almeno tre quarti dell’orario annua-le di studio : il che significa che, al massimo, esempre per giustificati motivi, ogni alunno/a si puòassentare annualmente per un quarto delle oredi lezione dell’ordinamento scolastico, altrimen-ti non potrà conseguire la promozione alla clas-se successiva o l’ammissione agli esami. Sono previste poche deroghe, che riguardano lapartecipazione alle attività sportive ed agonisti-che di federazioni riconosciute dal C.O.N.I, o pro-lungate assenze per malattia, sempreché esistaugualmente la possibilità della positiva valutazionein tutte le discipline. L’intervento normativo sicu-ramente pone fine ad abitudini non consone allaserietà e profondità degli studi, con diretta riper-cussione sulla valutazione finale, condizionatadalla “validazione dell’anno scolastico”, cioè dal-la dichiarazione, che il dirigente deve firmare perogni alunno/a, della dovuta frequenza dei tre quar-ti dell’orario scolastico annuale, oppure dell’esi-stenza del certificato motivo di “deroga”; altrimenti

non si potrà nemmeno procedere allo scrutinioe si dovrà dichiarare la non promozione o la nonammissione agli esami.Soprattutto per gli istituti secondari superiori, doveè endemico il fenomeno delle assenze, in gene-re di sabato o di lunedì, come pure quello deiritardi, con frequente entrata alla seconda ora,od uscita anticipata, il rischio è per alcuni di nonessere ammessi a sostenere l’Esame di Stato.Emergono, quindi, sempre più distintamente i ruo-li della famiglia, della scuola e della società, nel-la coscienza dei doveri e nella necessità di con-formare ad essi la vita pratica.Dobbiamo, innanzitutto, auspicare un ambientesociale in cui si renda possibile il controllo deicomportamenti in luoghi pubblici, per evitare tut-ti quelli disdicevoli e negativi. Non può passare inosservato un ragazzo o unaragazza che, invece di andare a scuola, se neva in giro senza meta o a divertirsi in gruppo. Nell’evidenza dell’infrazione di una fondamentaleregola – la frequenza scolastica – il fatto deveessere rilevato da chi è preposto alla vigilanzapubblica e non è certo da considerarsi meno impor-tante del traffico o di quant’altro. Già questo sareb-be un primo deterrente al persistere del fenomeno.Le scuole, come primo compito quotidiano, dovreb-bero controllare, con opportuni raffronti, tutti gliassenti, con tempestive comunicazioni alle fami-glie. Ovviamente il compito più importante è quel-lo educativo, per cui, stroncato il fenomeno, rima-ne la necessità di rendere efficace l’educazionecivica, capace di sviluppare la coscienza dei dove-ri. Tale azione dovrebbe essere svolta insiemealla famiglia, ma, quando esistono situazioni fami-liari che rendono impossibile la collaborazione,la scuola non può arrendersi e deve agire da sola,anche controllando all’entrata alunni/e che si allon-tanano e andando a recuperarli magari nel giar-dino o nella sala giochi circostanti.Esistono scuole poco attente al fenomeno, comese non le riguardasse, chiuse in una ristretta visio-

ne educativa, ma ne esistono altre che si fannocarico di ogni singolo caso di inadempienza e amo-revolmente cercano di sanarlo, sviluppando pro-gressivamente il senso di responsabilità negli alun-ni in difficoltà e divenendo per loro un punto diriferimento sicuro. Alcune “scuole di periferia”, nella lodevole stra-tegia educativa, puntano proprio al recupero allafrequenza scolastica ed escogitano sistemi effi-caci, in assenza di validi modelli familiari e socia-li. Scuole del genere esistono a Roma, nelle suezone più degradate, ed esistono in una città noto-riamente problematica come Napoli, dove è sta-ta inventata la “scuola di strada” e cioè di inse-gnanti che escono dalle aule per andare a recu-perare alunni/e che vivono nella strada, con lafiducia che possa brillare anche nei loro occhi enel loro animo la luce dell’educazione.La famiglia, quando c’è, deve uscire dal torpo-re che troppo spesso la contraddistingue e deveavere ben chiaro il principio che l’educazione deifigli viene prima anche del lavoro, che pure garan-tisce i necessari mezzi di sussistenza. Non c’è alibi per l’abbandono a se stessi di ragaz-zi e ragazze per tante ore del giorno ed è gra-ve non accorgersi che non frequentano regolarmentela scuola ed occupano il tempo, liberi di fare ognicosa passi loro per la mente, senza limiti, per-ché non esistono i necessari controlli. Se ciò avvie-ne, significa che, più che carente, è inesisten-te l’educazione familiare. Infatti, se è stato inculcato il senso del dovere ese i genitori sono esemplari nel praticarlo, i figlicapiscono che andare a scuola e impegnarsi nel-le connesse attività è il loro dovere, proprio comeil dovere dei genitori è nel lavoro e nell’impe-gno a far fronte a tutte le esigenze familiari. Illinguaggio della chiarezza e della coerenza è neces-sario alla famiglia, per lo svolgimento oculato edefficace della funzione educativa.

Nell’immagine del titolo: i carabinieri di Travisano controllano gli studenti

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Mons. Franco Fagiolo*

LL a Conferenza Episcopale Italiana ha pub-blicato la nuova versione del Rito delleEsequie che si potrà adoperare da subi-

to; sarà obbligatoria dal 2 novembre prossimo.Questa nuova versione del Rito porta in appen-dice un’ampia parte musicale ed è corredata daun CD con i canti in lingua italiana le cui melo-die sono pubblicate nel Rito. L’obiettivo da raggiungere è di evidente naturapastorale: poche melodie, che possano impri-mersi facilmente nella memoria delle assembleee arricchire così i canti per la celebrazione ese-quiale, così è riportato nel retro del CD. Primadi tutto, una considerazione è d’obbligo: è sta-to dato grande spazio, in questo Rituale, alla par-te musicale che, oltre ai canti in lingua italiana,riporta i Canti Gregoriani più tradizionali, segnodi grande considerazione per il patrimonio musi-cale della Chiesa cattolica. È veramente una pro-posta completa, accurata e rivela un’attenzio-ne per la parte musicale mai mostrata finora inun libro liturgico. È la prima volta che accadetutto questo! Ecco allora l’occasione propizia perdedicare (in diverse puntate) alcune riflessionie suggerimenti al Canto nella Celebrazione del-le Esequie, sottolineando una affermazione ripor-tata nelle Precisazioni al Rito della C. E. I.:

“Le esequie, per quanto è possibile, siano cele-brate con il canto”. A qualcuno può sembrare strano cantare ai fune-rali, in un momento di tristezza, di sconforto, didolore (….l’ho sentito dire con le mie orecchie…),ma non deve essere così. È stato scritto (cfr. F. Gomiero, Corso diPastorale della Musica e del Canto) che i cri-stiani cantano anche con le lacrime agli occhi,se occorre, perchè il loro dolore è pieno di spe-ranza e la loro attesa è piena di consolazione. Cantano perché Cristo risorto li salva!Infatti, il canto dei cristiani non è un passatem-po, o il canto dei bontemponi o di chi deve ral-legrare una serata tra amici. È il canto dei libe-rati, come quello degli ebrei sulle rive del MarRosso; è il canto dei redenti, come quello degliesiliati che ritornano a Gerusalemme.Insomma, è il canto di chi esprime la propria fede,perché è la fede in Cristo risorto la ragione spe-cifica del canto cristiano. Così il canto sarà l’e-spressione di un cuore pieno di gratitudine e dimeraviglia per l’amore con cui Dio risponde allesue invocazioni. Senza questa ragione di fede sarà ben difficilefar cantare le nostre assemblee. Naturalmente,il compito principale è quello di educare, in gene-rale, i nostri fedeli al canto nella liturgia, in ognicircostanza, in tutte le celebrazioni.

Le nostre comunità parrocchiali sarannocosì abituate a cantare anche ai funerali,come esige il Rito. Meglio se ogni parrocchia avesse degli ope-ratori liturgico-musicali, preparati per que-sto servizio così importante! Ormai lo andia-mo dicendo da tanto tempo: il canto e lamusica nella liturgia non sono un optional,o un abbellimento per la solennità di alcu-ne celebrazioni, ma un vero e proprio mini-stero. È urgente questa opera di formazionee di educazione, e tutti dovremmo pren-dere a cuore questo problema, non lascia-re tutto al caso o all’improvvisazione. Saràla volta buona?Favorendo queste attività si eviterebbero,tra l’altro, quelle situazioni imbarazzanti e

incresciose che a volte si verificano anche neifunerali: l’agenzia delle pompe funebri, su richie-sta dei familiari del defunto, si sente in doveredi “procurare”, a pagamento, un …. suo orga-nista (…sarebbe più preciso dire un ..tastierista..)che se la suona e se la canta senza sapere cosae come, quando e perchè !!! La collaborazione dei ministri del canto e unaattenta preparazione della celebrazione dei fune-rali contribuirebbe efficacemente a realizzare quel-la presenza e partecipazione della Comunità cri-stiana tanto raccomandata al n. 5 della presentazionedella nuova versione del Rito delle Esequie:“La partecipazione della Comunità si manife-

sta in modo peculiare attraverso la presenza delsacerdote e il servizio di ministri che, con par-ticolare sensibilità umana e spirituale e adeguataformazione liturgica, si pongono accanto a chiè stato colpito da un lutto per offrire il confortodella fede e la solidarietà fraterna”. Penso che tutti i Parroci, o quasi, avranno oggiin mano la nuova versione del Rito delle Esequie,lo sfoglieranno con curiosità, cercheranno qual-che novità, troveranno antifone, salmi e respon-sori musicati e allegato un CD di canti: cosa nefaranno? Si porranno il problema? Speriamo…Alla prossima puntata, suggerimenti pratici percelebrare le esequie con il canto.

*Resp. Diocesano del Canto per la Liturgia

Nel 30° anniversario della sua scomparsaUn aneddoto sconosciuto sul Card. Pericle Felici

Francesco Canali

QQuasi certamente, il sottoscritto è stata una delle ultime personea vedere ancora vivo il card. Pericle Felici. Correva l’A.D. 1982e il mondo letterario e umanistico si accingeva a celebrare il Bimillenario

Virgiliano nel rinascimentale Palazzo della Cancelleria in Roma. Dopo una settimana, il 22 marzo, l’eminente porporato moriva improvvi-samente a Foggia dove era stato invitato per la chiusura del CongressoMariano Diocesano. Non a caso, a presiedere l’importante simposio, erastato chiamato proprio l’E.mo card. Pericle Felici, già Segretario Generaledel Concilio Ecumenico Vaticano II, Prefetto del Supremo Tribunale del-la Segnatura Apostolica e Presidente della Pontificia Commissione per larevisione del Codice di Diritto Canonico, nonché dottissimo e profondo cono-scitore della lingua di Cicerone.

In verità mi trovavo ad assistere al convegno non per meriti speciali, ma

in quanto facente parte del Coro Polifonico di Gavignano diretto dalcompianto M° Domenico Cipriani. La nostra corale era stata infatti chia-mata per eseguire alcuni mottetti, naturalmente in lingua latina, tra i qua-li i celeberrimi Sicut Cervus e Super Fulmina presi dal ricchissimo reper-torio del Principe della Musica, Pier Luigi da Palestrina. Venuto a cono-scenza della provenienza della corale, il Cardinale dopo aver ricordato bre-vemente l’opera e il carisma di papa Innocenzo III nativo proprio di Gavignano,rivolgendosi ai dottissimi interlocutori ed ai coristi con un “Eminentissimiac Reverendissimi litterarum studio dediti, Excellentissimi cantores ..”, inun elegante latino improvvisò un discorso improntato sulla secolare riva-lità tra i “segnini” ed i “gabini” tra lo stupore dei presenti. Probabilmente fui l’unico tra i pur sapienti professori a comprendere il verosignificato delle parole del porporato. Al termine, il cardinale Pericle Felicivenne personalmente a congratularsi con il Direttore elogiando la prestazionedella corale, divertito e compiaciuto di poter porre finalmente termine allasecolare rivalità con i “fratelli gabini”. P.S. Per un attimo mi balenò l’idea di salutare l’illustre “compaesano” , ora-mai riappacificato, con una piccolissima allocuzione in lingua latina… pru-dentemente me ne guardai bene limitandomi solo al bacio del Sacro Anello!

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Bollettino diocesano:

Prot. VSCA 09/2012

S.E. Rev.maMons. VINCENZO APICELLA

PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA

VESCOVO DELLA DIOCESI SUBURBICARIA DI VELLETRI-SEGNI

DECRETO DI INDIZIONE DELLA VISITA PASTORALE

Nel 2008, nel secondo anno del mio ministero episcopale nella Chiesa che è in Velletri-Segni, incontrando tutti i Consigli Pastorali par-rocchiali, ho potuto con gioia constatare la grande ricchezza di energie e di partecipazione presente nella realtà diocesana.

Questo cammino di conoscenza, sostenuto anche dalla possibilità di incontrare, diverse volte e in diverse occasioni, i sacerdoti, i dia-coni, le comunità religiose, le tante associazioni impegnate e presenti nel territorio e numerosi laici, richiede di essere intensificato attraversol’antica e collaudata istituzione della Visita Pastorale, “autentico tempo di grazia e momento speciale”(Pastores Gregis 46), che «riflette in qual-che misura quella specialissima visita con la quale il “supremo pastore” (1Pt 5,4) e guardiano delle nostre anime (1Pt 2,25), Gesù Cristo, havisitato e redento il suo popolo (Lc 1,68) » (Apostolorum Successores 220) e continua a visitarci col dono del suo Santo Spirito (Mt 28,20).

Ci accingiamo, perciò, a vivere la prima Visita Pastorale del terzo millennio, che vorrei fosse occasione per tutti di approfondire la cono-scenza reciproca, di crescere nella stima e nella corresponsabilità, coscienti che il soggetto e il centro della Visita Pastorale non è la persona delVescovo, ma il Signore stesso.

E’ Lui che ci visita e, sia permesso dire, visita anzitutto il Vescovo, cui ha affidato la cura di una porzione importante del popolo cheEgli si è acquistato «con il sangue del proprio Figlio» (At.20,28), ecco perché possiamo dire insieme «Signore ritorna!... vieni e visita la tuavigna» (cf.Sal 80,15)

Anche per questo, come scrive san Paolo: «Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori dellavostra gioia.» (2Cor.1,24)

La Visita Pastorale, infatti, offre al Vescovo la possibilità di svolgere pienamente il suo ministero: ed è «l’occasione per ravvivare leenergie degli operai evangelici, lodarli, incoraggiarli e consolarli, è anche l’occasione per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della pro-pria vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa» (A.S. 220), perché cresca la consapevolezza di partecipare e contribuire alla crescitacomune della nostra Chiesa locale.

Condividiamo, pertanto, lo stesso desiderio espresso da san Paolo «Ritorniamo a fare visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbia-mo annunziato la Parola del Signore, per vedere come stanno» (At 15,36) e, quindi, in ossequio all’insegnamento del Concilio Vaticano II, e inottemperanza ai cann. 396, 397,398 del CJC, con il presente Decreto

INDICOLA MIA PRIMA VISITA PASTORALE

NELLA DIOCESI SUBURBICARIA DI VELLETRI-SEGNI

che avrà inizio nel primo mese dell’anno 2013, secondo il calendario che sarà prossimamente pubblicato, e con la quale mi prefiggo il rag-giungimento dei seguenti obiettivi:

Il rinnovamento dell’annuncio dell’Evangelo;La crescita dello spirito missionario nelle parrocchie

La verifica dell’impostazione degli itinerari di Iniziazione alla Vita cristiana;L’impegno ad essere presenti nei luoghi e nelle realtà del vissuto quotidiano (famiglia, lavoro, riposo, sofferenza, territorio, cultura);

Nello svolgimento di questa mia attività episcopale, a norma del can. 396 §2 del CJC, intendo avvalermi dell’apporto di alcuni collabora-tori, cui conferisco ruoli specifici, inerenti al loro ufficio.

Pertanto,nomino Convisitatori:

Mons. Cesare CHIALASTRI, Vicario Generale,Mons. Luigi VARI, Vicario Episcopale per la Pastorale .

Mons. Gino ORLANDI, Vicario Episcopale per l’Economia,Mons. Angelo MANCINI, Cancelliere Vescovile,

Don Marco NEMESI, Direttore UfficioDiocesano Beni Culturali e Arte Sacrae il signor Claudio GESSI, in qualità di Segretario della Visita.

Affido il buon esito di questo mio servizio episcopale all’intercessione di Maria Santissima, Madonna delle Grazie, di san ClementeI, p.m. e san Bruno ep., nostri Patroni, e, mentre confido nella preghiera dell’intera Chiesa che è in Velletri-Segni, invoco su tutti la benedizio-

ne del Signore.

Velletri, 4 aprile 2012 + Vincenzo Apicella, VescovoMercoledì Santo

Mons. Angelo Mancini, Cancelliere Vescovile

Page 40: Anno 9 - numero 5 (86) - Maggio 2012 Curia e pastorale per ... · un aneddoto sconosciuto sul card. Pericle Felici, Francesco Canali p. 38 - Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni, 1506

Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni,

1506-1508 circa, Uffizi, Firenze

don Marco Nemesi*

LLa vicenda della commissione dell’opera è narrata da Vasari,che racconta un curioso aneddoto: Agnolo Doni, ricco banchiereche era stato artefice della sua ricchezza, richiese all’amico

Michelangelo una Sacra Famiglia in tondo, tema molto caro allora nel-la pittura fiorentina come ornamento soprattutto delle case private.Probabilmente l’occasione della commissione erano state le nozze conMaddalena Strozzi nel 1504, al cui stemma familiare alluderebbero lemezze lune nella cornice. Un’altra ipotesi invece lega il dipinto al 1507circa, in occasione del battesimo della loro primogenita Maria (8 set-tembre), come farebbero pensare le allusioni alla teologia battesima-le. Appena pronta l’opera, Michelangelo inviò un garzone per conse-gnarla, ma alla richiesta di settanta ducati come pagamento,il Doni, che era molto attento alle sue economie, esi-tò a “spendere tanto per una pittura“, offrendo-ne invece solo quaranta. Michelangelo allo-ra fece riportare indietro il dipinto e accon-sentì a recapitarlo solo a un prezzo mag-giorato di centoquaranta ducati, il dop-pio. A parte l’aneddoto, forse un po’caricato dallo storico aretino, sitratta di un primo esempio di comeun artista andasse prendendocoscienza dell’altissimo valo-re della sua creazione, stac-candosi da quella sudditan-za verso la committenzache era tipica del periodomedievale. La Sacra Famiglia è compostacome un gruppo scultoreo alcentro del tondo: la Madonna,contrariamente a tutta l’icono-grafia antecedente, non ha ilBambino in primo piano, ma si vol-ta per prenderlo da Giuseppe, cheè inginocchiato dietro di lei. Essa, acco-vacciata a terra, ha appena smesso dileggere il libro che ora è chiuso e abban-donato sul suo manto fra le gambe. Gesù staacconciando i capelli della madre. Maria ha una bel-lezza virile, con una pronunciata muscolatura delle brac-cia, che annuncia le Sibille della volta della Cappella Sistina.Il gesto di Maria le fa compiere una torsione che genera un moto aserpentina di grande originalità. Quest’ipotetica spirale di linee di for-za, unita alla composizione piramidale che ha il vertice nella testa diGiuseppe, genera un forte effetto dinamico, che si adatta perfettamentealla forma del tondo, proiettandosi anche al di fuori verso lo spettato-re. Le ginocchia di Maria in primo piano e il blocco dietro di Gesù e diGiuseppe configurano una superficie emisferica, mentre una secon-da emisfera è accennata in profondità dagli ignudi: viene così a com-porsi uno spazio pittorico perfettamente sferico contenuto entro la cor-nice circolare. In secondo piano, emergente da una cavità con davan-ti a una sorta di muretto grigio, si vede il piccolo san Giovanni Battistae più lontano una fascia d’ignudi appoggiati a un emiciclo di rocce spez-zate; sullo sfondo infine si percepisce un paesaggio definito sinteti-camente, con unlago, un prato emontagne chesfumano in lon-tananza davan-ti a un cielo azzur-

ro. L’andamento orizzontale dello sfondo contrasta con la composizioneverticale e ascendente delle figure in primo piano, bilanciandola e ren-dendo più vivace l’insieme.Gli ignudi citano statue antiche che l’artista poté vedere a Roma: il gio-vane in piedi ricorda ad esempio l’Apollo del Belvedere, mentre nel-l’uomo seduto subito a destra di Giuseppe si è visto un richiamo alGruppo del Laocoonte, rinvenuto nel gennaio 1506 alla presenza diMichelangelo stesso, citazione che confermerebbe la datazione al 1506-1507. I colori sono vivaci, luminosi, squillanti e cangianti. I corpi sonotrattati in maniera scultorea, chiaroscurati e spiccati dal fondo della tavo-la tramite una linea di contorno netta e decisa: del resto, Michelangeloriteneva che la migliore pittura fosse quella che maggiormente si avvi-cinava alla scultura, cioè quella che possedeva il più elevato grado diplasticità possibile.Il punto di vista che Michelangelo scelse per rappresentare gli ignudiè frontale e ribassato, diversamente da quello che adotta per il grup-po centrale, visto dal basso, col muricciolo orizzontale che cela il diva-rio. Ciò è particolarmente evidente se si guarda agli indizi che il pit-tore ha tracciato per suggerire le linee prospettiche di base dell’ese-dra degli ignudi: l’ombra delle rocce a sinistra e l’andamento della cro-

ce di san Giovannino a destra. Guardando a tali direttrici ci si accorge chiaramente

come un tale schema non sia pertinente con quel-lo delle figure in primo piano. Questa scel-

ta figurativa, sicuramente voluta, è lega-ta alla volontà, da parte dell’autore, di

conferire monumentalità alla SacraFamiglia, ma anche di differenziare

le zone figurative contrapposteper significato. Uno dei punti su cui la criticasi è più concentrata, è l’in-terpretazione da dare aldipinto. Una tra le propostepiù accreditate vede le figu-re sacre come un simbolo del-l’età di Cristo, che prende ilsopravvento sull’età pagana(ante legem), simboleggiata

dagli “ignudi”, ricordando i neo-fiti che si spogliano per ricevere

il battesimo. In questo senso ilmuretto sarebbe il confine tra pre-

sente e passato, con il Battista chevi si trova molto vicino perché

“Precursore”, cioè la figura più imme-diatamente anticipatoria di Gesù, alla

soglia della nuova era. Maria e Giuseppe sareb-bero emblemi dell’umanità sub lege, mentre Gesù

dell’umanità sub Gratia.La Madonna ha un libro appoggiato sulle ginocchia e, perché perso-nificazione della Chiesa, simboleggia l’attività teologica e divulgativadei contenuti dottrinari, essendo l’erede privilegiata per diffondere laparola di Dio all’umanità. La sua accentuata volumetria ricorda comeil vigore fisico s’identifica con la forza morale.Infine la cornice originale fu forse disegnata dallo stesso Michelangelo.Il raffinato intaglio è attribuito a Marco e Francesco del Tasso, legnaio-li, scultori e architetti fiorentini attivi nell’Italia centrale nel corso del XVe del XVI secolo.Tra racemi vegetali intrecciati e composti in una sor-ta di candelabra continua, emergono cinque testine a tutto tondo, cheguardano verso il dipinto, raffiguranti Cristo in alto al centro, profeti esibille. Esse ricordano le porte del Battistero di Firenze del Ghiberti.Nel settore in alto a sinistra si riconoscono le tre lune crescenti dellostemma Strozzi, tra racemi, animali e maschere di satiri.

*Direttore Uff.diocesano

Beni Culturali eArte Sacra