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NEL PROSSIMO NUMERO CELLULE STAMINALI Biologia e medicina rigenerativa • Plasticità delle staminali neurali • Staminali e rigenerazione cardiaca • Staminali e malattie autoimmuni • Terapie cellulari nei tumori solidi • Edizioni Medico Scientifiche - Pavia EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 8 Numero 1 2011 Seminari di Ematologia Oncologica Linfomi aggressivi ISSN 2038-2839

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NEL PROSSIMO NUMERO

CELLULE STAMINALI Biologia e medicina rigenerativa •

Plasticità delle staminali neurali • Staminali e rigenerazione cardiaca •

Staminali e malattie autoimmuni • Terapie cellulari nei tumori solidi •

Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

E D I Z I O N I I N T E R N A Z I O N A L I s r l

Editor in chiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Anno 8Numero 12011 Seminari

di EmatologiaOncologica

Linfomiaggressivi

ISSN 2038-2839

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Vol. 8 - n. 1 - 2011

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Edizioni Medico-Scientifiche - PaviaVia Riviera, 39 - 27100 Pavia

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Editor in ChiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Fondazione IRCCS Ca’ GrandaOspedale Maggiore Policlinico di Milano

Editorial BoardSergio Amadori

Università degli Studi Tor Vergata, Roma

Mario BoccadoroUniversità degli Studi, Torino

Alberto BosiUniversità degli Studi, Firenze

Federico Caligaris CappioUniversità Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano

Antonio CuneoUniversità degli Studi, Ferrara

Marco GobbiUniversità degli Studi, Genova

Fabrizio PaneUniversità degli Studi, Napoli

Mario PetriniUniversità degli Studi, Pisa

Giovanni PizzoloUniversità degli Studi, Verona

Giorgina SpecchiaUniversità degli Studi, Bari

Direttore ResponsabilePaolo E. Zoncada

Registrazione Trib. di Milano n. 532del 6 settembre 2007

Meccanismi patogenetici 5MARCO FANGAZIO, SILVIA RASI, ALESSIO BRUSCAGGIN, DAVIDE ROSSI, GIANLUCA GAIDANO

Linfomi non Hodgkin a grandi cellule 17ANNALISA CHIAPPELLA, DAVIDE ROSSI, UMBERTO VITOLO

Linfoma mantellare 29MARCO LADETTO, SIMONE FERRERO, SARA BARBIERO

Linfoma linfoblastico dell’adulto 47STEFANO LUMINARI, ALESSANDRA DONDI, GINO SANTINI

Linfomi non Hodgkin T/NK 61ANNALISA PELI, GIUSEPPE ROSSI

Linfomiaggressivi

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PeriodicitàQuadrimestrale

ScopiSeminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna-mento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione direndere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni suargomenti pertinenti l’ematologia oncologica.Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendo-gli in maniera esaustiva:a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in formachiara, aggiornata e concisa;

b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gliinteressi culturali degli specialisti interessati;

NORME REDAZIONALI

1) Il testo dell’articolo deve essere editato utilizzando il programmaMicrosoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro.

2) L’Autore è tenuto ad ottenere l’autorizzazione di «Copyright»qualora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie odaltro materiale iconografico già pubblicato altrove. Tale mate-riale illustrativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «perconcessione di …» seguito dalla citazione della fonte di pro-venienza.

3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguentetraccia:

TitoloConciso, ma informativo ed esauriente.Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senzaabbreviazioni.Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.

IntroduzioneConcisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chia-ra ed esaustiva lo scopo dell’articolo.

Parole chiaveSi richiedono 3/5 parole.

Corpo dell’articoloIl contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte(2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo statodell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve esserecorredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file adalta risoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, maaggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione cor-rispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numera-te con il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testoe comunque in numero non superiore a 100÷120.

BibliografiaPer lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultareil sito “International Committee of Medical Journal Editors UniformRequirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:Sample References”.

Es. 1 - Articolo standard1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:284-7.

Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, MarionDW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone mar-row transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 3 - Letter1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 4 - Capitoli di libri1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.

Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.2002; 19: (Suppl. 1): S178.

RingraziamentiRiguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizza-zione dell’articolo.

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Seminari

di EmatologiaOncologica

Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia

delle emopatie neoplastiche

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EditorialeEditoriale

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERSFondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Le neoplasie del tessuto linfatico comprendonoun largo spettro di forme che, anche se simili sulpiano morfologico, presentano aspetti clinici dif-ferenti. Pertanto, sul piano pratico, è utile distin-guere linfomi maligni indolenti e aggressivi sullabase della sintomatologia alla diagnosi e dell’a-spettativa di vita, se il paziente non viene tratta-to. Seminari di Ematologia Oncologica dedicaquesto primo numero del 2011 ai linfomi aggres-sivi la cui classificazione si basa attualmente sucriteri multidisciplinari, integrati dalla identificazio-ne di specifiche lesioni molecolari che hannoconsentito di chiarire il processo di linfomagene-si. Quest’ultimo è riconducibile ad un processomultifasico che nasce da lesioni ai proto-onco-geni ed ai geni onco-soppressori, e viene, poi,ulteriormente sostenuto dalla formazione di pro-teine di fusione. Un ruolo fondamentale sembraavere anche il microambiente che, attraversomeccanismi ancora in gran parte sconosciuti,

favorisce lo sviluppo del processo neoplastico.Queste ricerche stanno avendo un significativoimpatto clinico per la valutazione della malattiaminima residua e la formulazione di nuovi model-li prognostici, rivolti alla ottimizzazione delle stra-tegie terapeutiche.Un esempio significativo di integrazione tra bio-logia e clinica sono i linfomi a grandi cellule dovegli studi di espressione genica hanno permes-so di riconoscere due sottogruppi di pazienti aprognosi differente. Grazie a questa ricerca tras-lazionale sono stati chiariti anche alcuni aspet-ti della patogenesi del linfoma mantellare, doveè stata identificata una signature propria, indi-pendentemente dalla iperespressione di ciclinaD1. Viceversa nei linfomi T sistemici e nel linfo-ma linfoblastico, sia per la loro eterogeneità bio-logica, sia per la relativa rarità delle casistiche,gli studi sono attualmente in corso e i risultatipreliminari.

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n INTRODUZIONE

La classificazione dei linfomi aggressivi si è evo-luta nel corso degli anni e da un approccio esclu-sivamente morfologico si è passati alla odiernaclassificazione WHO (World Health Organization),che identifica entità cliniche definite in base a cri-teri multidisciplinari, in grado di combinare dati cli-nici, morfologici, istologici, immunofenotipici egenetici. Tuttavia, anche nell’ambito delle catego-rie nosologiche dei linfomi non-Hodgkin aggres-sivi identificate dalla classificazione WHO, vi è lapresenza di un’estrema eterogeneità sia per quan-to riguarda la risposta al trattamento somministra-to sia per quanto riguarda la sopravvivenza deipazienti. Deriva quindi la necessità di perseguirela ricerca di nuovi marcatori molecolari che con-sentano l’identificazione di sottogruppi di pazien-ti che possano beneficiare di approcci terapeu-tici differenziati. Ad oggi sono state identificatenumerose alterazioni genetiche, che hanno per-messo di chiarire la patogenesi della malattia.

Classicamente, la patogenesi dei linfomi non-Hodgkin aggressivi è riconducibile ad un proces-so multifasico in cui l’insorgenza in una cellula diuna particolare alterazione genetica predisponela cellula stessa all’insorgenza di altre alterazionigenetiche. Queste alterazioni sono per lo più rap-presentate da lesioni molecolari che apportanodanni a proto-oncogeni e geni onco-soppresso-ri. Nell’ambito delle lesioni molecolari dei proto-oncogeni, il principale meccanismo di deregola-zione è rappresentato dalla traslocazione cromo-somica. Mediante questo meccanismo, il proto-oncogene può essere allontanato dalle propriestrutture regolatorie ed essere posto sotto nuovielementi di controllo, che ne determinano la dere-golazione della espressione. Alternativamente, latraslocazione cromosomica può determinare laformazione di un trascritto di fusione, derivantedalla fusione dei due geni coinvolti nella rotturacromosomica. I proto-oncogeni attivati dalla for-mazione di proteine di fusione generano protei-ne chimeriche che mostrano nuove proprietà bio-logiche in grado di sostenere il processo di linfo-magenesi.Solitamente, l’inattivazione bi-allelica di genionco-soppressori avviene per mutazione inattivan-te di un allele e delezione dell’altro allele, secon-do un processo multifasico. In una minoranza dicasi, invece, l’inattivazione bi-allelica è causata dauna doppia mutazione su entrambi gli alleli o èsostenuta da una delezione in omozigosi del gene.Un meccanismo di acquisizione di mutazioni tipi-co dei linfomi è caratterizzato dalla ipermutazio-ne somatica, che fisiologicamente riguarda i geni

Meccanismi patogeneticiMeccanismi patogeneticiMARCO FANGAZIO, SILVIA RASI, ALESSIO BRUSCAGGIN, DAVIDE ROSSI, GIANLUCA GAIDANODivisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” e Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità, Novara

Parole chiave: linfomi aggressivi, patogenesi moleco-lare, marcatori biologici.

Indirizzo per la corrispondenza

Prof. Gianluca GaidanoDivisione di EmatologiaDipartimento di Medicina Clinica e SperimentaleUniversità degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”Via Solaroli, 17 - 28100 NovaraE-mail: [email protected]

Gianluca Gaidano

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6 Seminari di Ematologia Oncologica

delle immunoglobuline, ma può estendersi inmaniera aberrante (ipermutazione somatica aber-rante) anche ad altri geni. Inoltre, l’inattivazionedei geni onco-soppressori può avvenire anchemediante il meccanismo di metilazione delle regio-ni regolatorie del gene, che ne determinano unaridotta espressione. In questa rassegna, saranno considerati dal pun-to di vista patogenetico i seguenti linfomi aggres-sivi:1. linfoma diffuso a grandi cellule B (Diffuse Large

B Cell Lymphoma, DLBCL);2. linfoma mantellare (Mantle Cell Lymphoma,

MCL);3. linfoma a cellule T periferiche (Peripheral T-cell

Lymphoma, PTCL);4. linfomi aggressivi dell’ospite immunodefi-

ciente. Ampio spazio nella trattazione sarà dedicato alDLBCL, data la rilevanza epidemiologica di que-sto tipo di linfoma.

n PATOGENESI MOLECOLARE DEL LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B

A livello mondiale, i linfomi rappresentano la quin-ta neoplasia più diffusa: in particolare, il DLBCLè la variante più frequente e rappresenta il piùcomune linfoma aggressivo (1). I dati del Registrodella Fondazione Italiana Linfomi (FIL) dimostra-no che il DLBCL rappresenta in Italia circa il 40%delle nuove diagnosi di linfoma. La prevalenza del DLBCL è maggiore nel sessomaschile, e l’età mediana alla diagnosi è intornoalla sesta decade di vita (1, 2). Il DLBCL si presenta morfologicamente in modoeterogeneo, e la classificazione nel corso deglianni è stata progressivamente affinata. Secondola classificazione della WHO, il DLBCL è definitocome una neoplasia delle cellule B mature, carat-terizzate da un profilo di proliferazione diffusa eda una dimensione nucleare maggiore o ugualea quella dei normali macrofagi o più di due voltequella di un normale linfocita (1). Ad oggi, si rico-noscono tre varianti morfologiche più comuni:centroblastico, immunoblastico e anaplastico. Il DLBCL può insorgere de novo o rappresenta-

re la progressione/trasformazione di un preceden-te linfoma indolente. Nella metà dei casi di evo-luzione da linfoma indolente, i DLBCL trasforma-ti evolvono da un precedente linfoma follicolare;in altri casi, originano da una precedente leuce-mia linfatica cronica/linfoma a piccoli linfociti, pren-dendo così l’eponimo di sindrome di Richter.Nonostante questa evidenza, ad oggi non è pos-sibile definire con certezza se esista un comunepercorso molecolare alla base della trasformazio-ne in DLBCL a partire da tutte queste differenticondizioni cliniche, oppure se la trasformazioneda un disordine linfoproliferativo B indolente aduno aggressivo segua strade diverse a secondadel tipo iniziale di malattia. Tra i fattori di rischio noti per lo sviluppo di unDLBCL, vi sono le condizioni di immunodeficien-za, tra cui l’infezione da virus dell’immunodeficien-za umana (HIV), il trapianto d’organo solido e leterapie immunosoppressive prolungate.La caratterizzazione immunofenotipica del DLBCLmostra l'espressione di marcatori della linea B,quali CD19, CD20, CD22 e CD79a, mentrel’espressione del CD30 è tipica delle varianti ana-plastiche (1, 3). Nel 50-75% dei casi, si può riscon-trare l'espressione delle immunoglobuline disuperficie e/o citoplasmatiche, e nel 10% dei casidell’antigene CD5 (1). L’espressione di bcl-2 è ete-rogenea nelle diverse casistiche (25-80%).L’espressione di bcl-6 si riscontra nel 70% dei casicirca, ed è consistente con l’origine dal centro ger-minativo del linfonodo (1, 3, 4).Dal punto di vista clinico, il DLBCL è una malat-tia a decorso aggressivo, con possibilità di inte-ressamento di sedi linfonodali e/o extranodali. Lesedi nodali interessate con maggiore frequenzasono le sedi laterocervicali e sovraclaveari. I lin-fonodi sedi di malattia hanno diametro variabilee possono raggiungere dimensioni superiori ai die-ci centimetri; qualora questa soglia venga supe-rata, l’adenopatia viene definita bulky (5).

Eterogeneità molecolareDal punto di vista puramente istologico, non èpossibile rendere conto della eterogeneità delDLBCL. Il processo di trasformazione maligna èdifferente a seconda del sottotipo molecolare con-siderato, e ad anomalie genetiche differenti cor-rispondono differenze nella presentazione clinica,

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7Meccanismi patogenetici

nei tassi di guarigione dopo chemioterapia, e nel-la potenziale responsività a target therapies.Per definire l’eterogeneità istogenetica del DLBCL,è stato utilizzato lo studio del profilo di espres-sione genica (GEP). Tale approccio ha permessodi suddividere i DLBCL in due sottogruppi prin-cipali: germinal center B-like (GCB-like), a indica-re un’origine dal centro germinativo, e activatedB cell-like (ABC-like) a indicare un’origine da lin-fociti post-centro germinativo (7, 8). Il sottogrup-po GCB-like si caratterizza per elevati livelli diespressione di LMO2, BCL6, CD10, CD38 e A-myb, tutti marcatori tipici delle cellule del centrogerminativo (4, 7). Nel sottogruppo ABC-like, siritrova invece principalmente l’espressione diXBP1 (regolatore della secrezione immunoglobu-linica) (9, 10) FLIP, e BCL2. L’attivazione costitu-tiva della via di NF-κB induce i linfomi ABC-likead esprimere il fattore di trascrizione IRF4(MUM1/LSIRF), e questo potrebbe indurne, alme-no parzialmente, la differenziazione immunobla-stica (11, 12). È importante osservare, comunque, che i linfomiABC-like frequentemente acquisiscono lesionigenetiche che inattivano BLIMP-1, bloccando cosìla differenziazione del clone neoplastico a plasma-cellula (7, 14-18).Altri studi di gene expression profiling hanno sud-diviso i DLBCL secondo altri profili di espressio-ne genica delineando tre gruppi distinti:1. Oxidative phosphorylation (Ox Phos);2. B-cell receptor/proliferation (BCR);3. Host Response (HR) (19).Il primo gruppo presenta aumentati livelli diespressione di geni associati alla fosforilazioneossidativa, alla funzione mitocondriale, ed al tra-sporto degli elettroni (19). Si tratta principalmen-te di DLBCL caratterizzati da lesioni genetichecoinvolgenti i membri della famiglia di BCL2. Ilsecondo gruppo, presenta invece un’aumentataespressione di geni coinvolti nel signaling delrecettore delle cellule B, nella proliferazione e repli-cazione cellulare, nel riparo del DNA e coinvolgeanche fattori di trascrizione specifici della cellulaB, tra cui BCL-6 (19). In ultimo, il sottogruppo HR presenta un’elevataespressione di geni associati ai pathways delle cel-lule T e geni correlati alla risposta immune/infiam-matoria (19).

Meccanismi di lesione molecolare Durante la normale maturazione dei linfociti B, duedistinte modificazioni del DNA alterano il recet-tore delle cellule B: l’ipermutazione somatica e laclass switch recombination. Entrambi questimeccanismi richiedono l’intervento dell’enzimaactivation-induced cytidine deaminase (AID) (20).La class switch recombination cambia la classedella catena pesante delle immunoglobuline daIgM a IgG, IgA o IgE, mentre l’ipermutazionesomatica agisce modificando la regione variabi-le delle immunoglobuline, creando una popola-zione di cellule B con affinità aumentata (o ridot-ta) per un particolare antigene. Queste modifica-zioni genetiche sono essenziali per una rispostaimmune normale, ma sono anche una fonte didanno al DNA che può diventare patologico, omeglio patogenetico, nei linfomi. L’enzima AID gioca numerosi ruoli nella linfoma-genesi. È stato ben dimostrato in modelli muriniche lo sviluppo del DLBCL richiede AID (21), ed’altra parte la sovraespressione di AID è all’ori-gine dello sviluppo di linfomi a cellule B in model-li transgenici (22-25). I DLBCL accumulano muta-zioni AID-dipendenti in molti geni, inclusi gli onco-geni c-MYC, RhoH/TTF, PAX5, e PIM1 (26).Queste mutazioni possono accumularsi per undifetto nel meccanismo di riparazione del dannoal DNA e/o per selezione di cellule che portanomutazioni oncogenetiche (24).La class switch recombination, che è mediata daAID, introduce rotture della doppia elica del DNAnelle regioni di ricombinazione dei geni che codi-ficano per le catene pesanti delle immunoglo-buline. Queste, quindi, possono determinare traslocazio-ni con il gene c-MYC e rotture all’interno del locusc-MYC (27-32). Il sottotipo ABC-like di DLBCL nonsolo ha livelli estremamente elevati di AID, masubisce anche una class switch recombinationaberrante in cui le regioni di ricombinazione deigeni codificanti per le catene pesanti delle immu-noglobuline sostengono delezioni, inserzioni, emutazioni senza partecipare ad un evento di classswitch fisiologico (31).I normali meccanismi della ricombinazione VDJdelle catene immunoglobuliniche, della ipermu-tazione somatica, e della class switch recombi-nation possono alterare il genoma dei linfomi, cre-

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8 Seminari di Ematologia Oncologica

ando in questo modo il potenziale per trasloca-zioni in cui, conseguentemente alle rotture delDNA, i loci genici delle immunoglobuline, o di altrigeni costitutivamente espressi nelle cellule B delcentro germinativo, forniscono sequenze regola-torie che causano la deregolazione trascriziona-le dei proto-oncogeni ad esse giustapposti aseguito della traslocazione cromosomica (33).Nelcontesto del DLBCL, le traslocazioni di BCL6 sonoun valido esempio di quanto appena affermato.Queste traslocazioni avvengono in una significa-tiva proporzione di DLBCL (prevalentemente nelsottotipo ABC-like, e in minor proporzione nel sot-totipo GCB-like) e pongono il gene BCL6 sotto ilcontrollo del promotore dei geni immunoglobuli-nici o di altri geni normalmente espressi nelle cel-lule B del centro germinativo.Altri meccanismi di lesione molecolare nel DLBCLsono rappresentati da mutazioni puntiformi cheattivano proto-oncogeni o inattivano geni onco-soppressori. Molteplici geni sono colpiti da que-sto meccanismo mutazionale. Del tutto recentemente, una nuova classe di geni,rappresentata da acetiltransferasi, si è rivelataessere frequentemente inattivata tramite mutazio-ni puntiformi (34).

DLBCL GCB-like e ABC-like: aspetti fenotipici e vie oncogeneticheOltre che per eterogeneità morfologica, il DLBCLsi caratterizza anche per eterogeneità fenotipicae, come già riportato per gli studi di espressionegenica, l’espressione di specifici marcatori rivelauna diversa istogenesi delle cellule linfomatose.È stato delineato un modello fenotipico basato sul-l’analisi di tre marcatori immunoistochimici: CD10e BCL6, che fisiologicamente identificano le cel-lule B appartenenti al centro germinativo, e IRF4che invece è comunemente espresso nelle cel-lule maturate oltre il centro germinativo (35, 36). Utilizzando un algoritmo basato sulla diversaespressione di tali marcatori, è possibile identifi-care i due sottogruppi di DLBCL riconosciuti dalGEP:1. fenotipo tipico delle cellule del centro germi-

nativo (CD10+/BCL-6+/-/IRF4+/- o CD10-/BCL-6+/IRF4-), corrispondenti alla categoria GCB-like identificata dagli studi di gene expressionprofiling;

2. fenotipo non-centro germinativo (CD10-

/BCL-6-/IRF4+/- o CD10-/Bcl-6+/IRF4+), corri-spondenti alla categoria ABC-like identifica-ta dagli studi di gene expression profiling (35,36) (Figura 1).

Dal punto di vista patogenetico, i due sottogrup-pi istogenetici di DLBCL identificati in base a GEPe immunofenotipo sono caratterizzati da lesionimolecolari differenti. Nel sottogruppo GCB-like,si riscontrano traslocazioni coinvolgenti BCL2,delezioni a carico del gene oncosoppressorePTEN, amplificazioni di microRNA (miR-17-92 chereprimono l’espressione di PTEN), e mutazionipuntiformi del gene EZH2, che codifica per unenzima coinvolto nella metilazione istonica (18, 37,38). Del tutto recentemente, è stato dimostratocome l’inattivazione di CREBBP/EP300 sia asso-ciata allo sviluppo di DLBCL GCB-like e, inoltre,di una frazione di linfomi follicolari (34).Dall’osservazione che le lesioni riscontrate a livel-lo di CREBBP/EP300 avvengono nella maggiorparte dei casi in condizione di eterozigosi, si dedu-ce l’aploinsufficienza nell’attività oncosoppressi-va di queste proteine (34). Le mutazioni inattivanti di CREBBP/EP300 pro-ducono un deficit dell’attività acetilante su BCL6e TP53, che si traduce in un’attivazione costitu-tiva dell’oncoproteina BCL6 e in una riduzionedell’attività oncosoppressiva di p53, determinan-do un incremento della tolleranza cellulare al dan-no del DNA contestualmente ad una diminuzio-ne della via apoptotica e dell’arresto del ciclo cel-lulare (34).Le lesioni molecolari di acetiltransferasi, qualiCREBBP e EP300, sono di particolare rilievo comebersagli terapeutici per farmaci con attività di ini-bitori delle istondeacetilasi (HIDAC inhibitors).Nel sottogruppo di DLBCL ABC-like, le alterazio-ni molecolari più significative dal punto di vistapatogenetico sono le traslocazioni del protonco-gene BCL6, le mutazioni e/o delezioni del geneoncosoppressore BLIMP1, l’amplificazione dellocus di BCL2, che porta ad una iperespressio-ne del gene, e le delezioni del locus IRF4A-ARF,che codifica per gli oncosopressori p16 e p14ARF

(18, 39). Caratteristica del sottogruppo ABC-like è l’attiva-zione costituzionale della via di segnalazione diNF-κB, un evento patogenetico in grado di pro-

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9Meccanismi patogenetici

muovere la proliferazione cellulare e inibire l’apop-tosi. L’interferenza con il segnale di NF-κB ucci-de le cellule ABC-like ma non quelle GCB-like, eciò dimostra che il sottotipo ABC-like dipende dal-l’attività costitutiva di questa via di trasduzione delsegnale (11, 12).L’iperattivazione della via di segnalazione di NF-κB può essere secondaria a diverse lesioni gene-tiche, più frequentemente a carico del gene onco-soppressore A20, ma anche degli attivatori dellavia di signaling, come CARD11 e TRAF2, e allaattivazione cronica del B-cell receptor seconda-ria a mutazioni dei domini ITAM di CD79A eCD79B (40, 41). Le aberrazioni di A20 non avven-gono comunemente nel DLBCL GCB-like, masono presenti in altri linfomi con attività NF-κB (41,42, 44-46).

Marcatori biologici come fattori prognosticiLa prognosi del DLBCL è estremamente etero-genea e, nonostante sia sensibilmente migliora-ta negli ultimi anni, i fattori predittivi della rispo-sta alla terapia non sono ancora del tutto noti. Ilprincipale modello prognostico applicato alDLBCL è l’International Prognostic Index (IPI) che,in base alla valutazione di cinque variabili cliniche(LDH elevata, età maggiore di 60 anni, stadiosecondo Ann Arbor maggiore o uguale a III, coin-volgimento di due o più sedi extranodali, e per-formance status secondo ECOG maggiore ouguale a 2) consente di assegnare i pazienti aquattro categorie di rischio di recidiva (basso

rischio, intermedio-basso, intermedio-alto, alto)(47). Tali categorie di rischio correlano con unadiversa probabilità di sopravvivenza globale aquattro anni, variabile oltre l’80% per il DLBCL abasso rischio a meno del 60% per il DLBCL adalto rischio, e con una diversa sopravvivenza libe-ra da progressione a quattro anni, variabile tral’85% e il 50% (48).Un ulteriore indice prognostico è l’InternationalPrognostic Index assessed at time of Relapse (IPI-R), utile nell’indicare la sopravvivenza globale ela sopravvivenza libera da progressione in pazien-ti in prima recidiva. IPI-R identifica due catego-rie di rischio di fallimento della terapia di secon-da linea contenente derivati del platino, seguitada trapianto di cellule staminali emopoieticheautologhe (49).Lo stato attuale degli indicatori clinici di progno-si nel DLBCL induce la necessità di generare nuo-vi marcatori prognostici, in particolare volti a iden-tificare i pazienti ad alto rischio di fallimento del-la terapia di prima linea. I nuovi fattori prognosti-ci proposti negli ultimi anni derivano dall’analisidelle caratteristiche immunoistochimiche e mole-colari della malattia. Inoltre, è stato suggerito cheanche il profilo genetico dell’ospite possa rivesti-re rilevanza prognostica per il DLBCL. Uno dei nuovi e più semplici modelli prognosticida applicare nella pratica clinica è l’algoritmo diHans, che dimostra come la suddivisione deiDLBCL in centro germinativo-like e non-centrogerminativo-like si traduca in una sensibile diffe-

FIGURA 1 - Algoritmo di definizioneistogenetica e prognostica medianteimmunoistochimica sul tessuto biop-tico, secondo Hans (35), che permet-te di suddividere i DLBCL in centrogerminativo-like (GC) e non-centrogerminativo-like (non-GC).

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renza di sopravvivenza globale a cinque anni,variabile tra il 76% per i casi centro germinativoe il 34% per i casi non-centro germinativo-like (36).In maniera analoga, la caratterizzazione del pro-filo di espressione genica distingue due sottogrup-pi di DLBCL, GCB-like e ABC-like, con unasopravvivenza globale a cinque anni del 76% peril primo e del 16% per il secondo sottogruppo (7). Tra i marcatori molecolari, la presenza di riarran-giamento di BCL2 e BCL6 non ha rilevanza pro-gnostica (50, 51). Al contrario, alcuni studi suggeriscono che lemutazioni di BCL6 e la metilazione del promoto-re di MGMT siano correlate con un decorso cli-nico favorevole (52, 53). In particolare, la metila-zione del promotore di MGMT sembrerebbe esse-

re un indicatore di potenziale risposta alla tera-pia (52).Altri marcatori prognostici favorevoli sono rappre-sentati dall’espressione di LMO2 e di HIF1 (54,55), mentre le mutazioni di TP53 (56) e i riarran-giamenti del protoncogene c-MYC (57) correla-no con una riduzione della sopravvivenza globa-le. I riarrangiamenti di c-MYC hanno rilevanza nel-l’identificare pazienti con una prognosi particolar-mente severa, e spesso sono presenti nei casi diDLBCL cosiddetti double hit, che portano la tra-slocazione di BCL6 o BCL2 contemporaneamen-te alla traslocazione di c-MYC. Le mutazioni diTP53, come anche in altre neoplasie linfoidi, sonoun classico marcatore di refrattarietà ai farmacicontenuti nel programma terapeutico Rituximab-

FIGURA 2 - MLH1 codifica per unaproteina coinvolta nei meccanismi diriparazione del DNA. Il genotipoMLH1 rs 1799977 AA si associa a nor-mali livelli cellulari della proteinaMLH1. Questa, in caso di danno alDNA, è in grado di promuoverel’apoptosi mediata da p53 (pannelloA). I genotipi di MLH1 rs1799977AG/GG si associano a riduzione del-l’espressione di MLH1 con conse-guente riduzione della capacità di atti-vare la via apoptotica e determinan-do così farmacoresistenza (pannelloB). Sulla base di questo modello bio-logico, nel DLBCL trattato con R-CHOP21 i genotipi di MLH1 rs1799977 AG/GG hanno una probabi-lità cumulativa di sopravvivenza glo-bale a quattro anni significativamen-te inferiore rispetto al genotipo AA.

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CHOP, e impongono la necessità per il futuro didisegnare schemi terapeutici in grado di vincerela chemiorefrattarietà (R-CHOP) indotta dallemutazioni di TP53.

Marcatori molecolari dell’ospite comepredittori di farmacoresistenzaPer quanto riguarda l’impatto del profilo geneti-co dell’ospite sulla sopravvivenza e sulla rispo-sta al trattamento chemioterapico, osservazioniinteressanti stanno emergendo dall’analisi dei poli-morfismi che coinvolgono singoli nucleotidi (sin-gle nucleotide polymorphism, SNP). In particola-re, alcuni studi hanno evidenziato come SNP deigeni GSTA1 e CYBA, coinvolti nella farmacocine-tica e nella farmacodinamica dei chemioterapiciutilizzati nello schema R-CHOP comunementeimpiegato nella terapia dei DLBCL, siano fattoriprognostici indipendenti di sopravvivenza liberada eventi (58). Altri studi hanno evidenziato cheSNP del gene dell’interleuchina 10 sono correla-ti alla prognosi dei DLBCL (59, 60).Un recente studio condotto su due coorti dipazienti (una di training e una di validazione) haanalizzato 35 polimorfismi a singolo nucleotide(SNP) di geni coinvolti nella riparazione del dan-no del DNA, in base alla possibile influenza ditale meccanismo sull’attività citotossica dei far-maci utilizzati nella terapia del DLBCL (61). Sianella coorte di training, sia nella coorte di vali-dazione, il genotipo MLH1 rs1799977 AG/GG èstato selezionato come predittore indipendentedi sopravvivenza globale (61). La ridotta sopravvivenza globale associata algenotipo MLH1 rs1799977 AG/GG è espressio-ne di un aumentato rischio di fallimento del trat-tamento di prima linea (R-CHOP) e di secondalinea (schemi contenenti composti del platino).È stato dimostrato che il polimorfismo di MLH1rs1799977 mantiene un valore prognostico indi-pendente anche rispetto ai fattori prognosticistandard presenti alla diagnosi, ed è in grado didefinire due sottogruppi di rischio, sia tra ipazienti con IPI score basso o intermedio-bas-so, sia tra quelli con IPI score intermedio-alto oalto (61). MLH1 rs1799977 codifica per una pro-teina coinvolta nei meccanismi di riparazione delDNA (Figura 2), e, se validato da studi prospet-tici, potrebbe rappresentare un fattore progno-

stico indipendente di sopravvivenza globale e dirischio di fallimento della terapia con schemi con-tenenti antracicline e derivati del platino, entram-bi ampiamente utilizzati nella terapia dei DLBCL.

n PATOGENESI MOLECOLARE DEL LINFOMA MANTELLARE

Il linfoma mantellare (MCL) rappresenta appros-simativamente il 3-10% dei linfomi non-Hodgkin.È caratterizzato dalla traslocazione t(11;14) coin-volgente il locus BCL-1 (ciclina D1), un fattore dicontrollo del ciclo cellulare, ed il locus delle immu-noglobuline (1). La traslocazione provoca unasovraespressione del proto-oncogene BCL-1che determina un’alterazione del ciclo cellulare eil conseguente sviluppo tumorale.Mediante analisi GEP è stato possibile identifica-re una signature propria dei pazienti con MCL,indipendentemente dalla iperespressione di cicli-na D1. Tra questi vi sono geni che hanno un ruolo nellaregolazione dell’apoptosi, nel controllo del ciclocellulare e nella trasduzione del segnale. In particolare, sono stati riscontrati deregolati genicoinvolti nei pathways di TNF, NF-κB, TGFβ, WNTe PI3K/AKT, mentre è stata osservata una cor-relazione tra la presenza del recettore di IL10(IL10R) e una più lunga sopravvivenza deipazienti (62). Infine, l’analisi GEP ha permesso ilriconoscimento molecolare della variante blastoi-de di MCL, caratterizzata da iperespressione dicyclin-dependent kinase (CDK) 4 e di CDC28 pro-tein kinase 1. CDK4 si associa con ciclina D1 e favorisce la pro-gressione del ciclo cellulare attraverso il check-point G1/S. L’iperespressione di CDC28 protein kinase 1 bloc-ca l’inibizione del complesso ciclina D1/CDK4 daparte dell’inibitore CDK p27/Kip1 (63).

n PATOGENESI MOLECOLARE DEI LINFOMI A CELLULE T PERIFERICHE

I linfomi a cellule T periferiche (PTCL) costituisconocirca il 10-15% di tutti i linfomi non-Hodgkin. In cir-

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ca il 50% dei casi si parla di PTCL non specificato(unspecifiedPTCL, PTCL-U), mentre gli altri casi sonosuddivisi in linfoma T a grandi cellule anaplastiche(Anaplastic Large Cell Lymphoma, ALCL), linfoma Tangio-immunoblastico (Angioimmunoblastic T-cellLymphoma, AILT), linfoma e leucemia T dell’adulto(Adult T-Cell Leukemia and Lymphoma, ATLL) (1).Nei pazienti ALCL è tipica la traslocazione t(2;5) chedetermina la formazione di una proteina di fusionecodificata dai geni NPM e ALK (64). NPM codifica per una proteina nucleolare, mentreALK codifica per una tirosino kinasi normalmenteespressa nelle cellule T. Vi sono poi altre anomalie citogenetiche ricorrenti,quali la trisomia del cromosoma 3, 5, 8 e X, le dele-zioni del 6q, i riarrangiamenti del 7q, la monosomia13 o la delezione di 13q14.Mediante analisi GEP sono stati identificati duesottogruppi di PTCL: un gruppo a prognosi favo-revole, associato alla espressione dei geni dellavia di NF-κB, e un secondo gruppo a prognosisfavorevole, associato ad una alta espressione digeni coinvolti in pathways correlati alla prolifera-zione cellulare (65). Da analisi di GEP è stato anche identificatoPDGFRA come gene potenzialmente coinvoltonella patogenesi dei PTCL (66). Inoltre sono sta-ti caratterizzati tre sottogruppi prognostici di PTCLin base al profilo di espressione citochinica: pro-gnosi sfavorevole in associazione all’espressionedi CCR4, intermedia per l’espressione di CXCR3,e favorevole in associazione ad espressione diCCR3 (67).Mediante analisi GEP è stato osservato che AILTsi associa tipicamente ad un fenotipo Th1 carat-terizzato dalla espressione di citochine qualiCXCR3, TNF receptor OX40, e CXCL13. In par-ticolare, quest’ultimo marcatore è uno tra i genimaggiormente espressi da parte delle cellule Tregolatorie del centro germinativo; da qui l’ipote-si che l’istogenesi del AILT sia riconducibile a que-sto tipo cellulare. Gli ALCL sono invece associa-ti ad un fenotipo Th2 caratterizzato dall’espres-sione delle citochine CCR3 e CCR4, e dei geniIL13R, FOS e JUNB (65).Ad oggi però, l’analisi GEP nei linfomi T ha for-nito solo risultati preliminari poiché effettuata sucasistiche ridotte, e si tratta quindi di modelli chenecessitano di ulteriore validazione.

n PATOGENESI DEI LINFOMI AGGRESSIVI DELL’OSPITE IMMUNODEFICIENTE

In base alla classificazione WHO, i linfomi asso-ciati a infezione da HIV sono entità clinico-pato-logiche distinte rispetto alle malattie linfoprolife-rative dell’ospite immunocompetente (1). I linfomi HIV-correlati sono generalmente linfominon-Hodgkin (HIV-NHL) di origine B e presenta-no istologia ad alto grado di malignità, dissemi-nazione extranodale e comportamento clinicoaggressivo (1). In termini patologici, i linfomi HIV-correlati sono distinti in: DLBCL, linfoma diBurkitt/Burkitt-like (BL/BLL), linfoma primitivo delsistema nervoso centrale (PCNSL), linfoma pla-smablastico del cavo orale (PBL), linfoma primi-tivo delle cavità sierose (PEL) e linfoma diHodgkin (HL) (1). Nell’ambito dei HIV-NHL a cellule B, le informa-zioni riguardanti l’istogenesi derivano dall’appli-cazione di un modello basato su marcatori gene-tici e immunofenotipici in grado di distinguere ilinfociti B maturi in:1. cellule B vergini,2. cellule B del centro germinativo (CG),3. cellule B post-CG.Le mutazioni dei geni variabili delle immunoglo-buline (IGV) si accumulano fisiologicamentedurante il transito dei linfociti B attraverso il CG(mutazioni ongoing), per quindi rimanere stabili nel-le fasi di differenziazione post-CG (68). Pertanto,le mutazioni dei geni IGV rappresentano il più affi-dabile marcatore genotipico di istogenesi: la posi-tività per mutazioni dei geni IGV ongoing identi-fica l’origine del clone neoplastico dai linfociti Bdel CG, mentre la positività per mutazioni stabiliidentifica l’origine del clone neoplastico dai linfo-citi B post-CG (68).L’applicazione di tale modello istogenetico ai HIV-NHL ha rivelato che, a differenza di quanto avvie-ne nei soggetti immunocompetenti, solo una fra-zione di HIV-BL e HIV-DLBCL riflettono i linfociti Bdel CG in base alla presenza di mutazioni ongoingdei geni IGV e al fenotipo BCL6+/MUM1-/CD138.La maggior parte di HIV-NHL originano invece dailinfociti B post-CG, portano mutazioni stabili deigeni IGV ed esprimono il fenotipo BCL6-/MUM1+/CD38+ (69). Infine, una parte di HIV-PBL,

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pur in assenza di mutazioni dei geni IGV, espri-me i marcatori fenotipici delle cellule B post-CGe, dunque, verosimilmente origina da cellule B dif-ferenziatesi senza transitare attraverso il CG. Le differenze istogenetiche dei HIV-NHL posso-no avere rilevanza clinica. L’espressione di CD138e di altri marcatori del fenotipo post-GC è risul-tata associata a sopravvivenza libera da malattiae sopravvivenza globale, mentre l’espressione dimarcatori del CG (ad esempio, BCL6) è risultataassociata a sopravvivenza libera da malattia esopravvivenza globale inferiori più favorevoli. Ilvalore prognostico sfavorevole del profilo post-centro germinativo è stato confermato come mar-catore indipendente da fattori prognostici conven-zionali. La prognosi sfavorevole associata al pro-filo post-CG osservata nei HIV-NHL è per altrocoerente con quanto osservato nei linfomi diffu-si a grandi cellule B della popolazione immuno-competente (7).Una peculiarità dei linfomi aggressivi associati aimmunodeficienza è rappresentato dal caso del-l’infezione virale. I virus oncogeni possono agiretramite meccanismi diretti, come EBV e HHV8, eindiretti, come HIV. I virus oncogeni che agisco-no con meccanismo diretto sono in grado di infet-tare i linfociti B e indurne la trasformazione tra-mite la produzione di proteine virali. Ne sonoesempio le proteine virali di EBV:1. EBNA2, un co-fattore trascrizionale che inte-

ragisce nelle cellule umane con la via diNOTCH1, regolando la trascrizione di nume-rosi geni umani fra cui c-MYC;

2. LMP1, una proteina di membrana in grado dimimare l’azione del CD40 umano, garanten-do un segnale di sopravvivenza e proliferazio-ne tramite la via di NF-κB;

3. LMP2A, una proteina di membrana in gradodi attivare la trasduzione del segnale delle tiro-sin-kinasi associate al recettore per l’antige-ne delle cellule B e fornire un importantesegnale di sopravvivenza;

4. EBERs, RNA non tradotti in grado di indurrestimolazione autocrina da IL10.

Esempi di proteine virali di HHV8 coinvolte nellatrasformazione includono:1. LANA1, in grado di inibire la via di p53 e inter-

ferire con la via di Rb, favorendo la progres-sione del ciclo cellulare;

2. ciclina virale, in grado di mimare l’azione del-la ciclina D2 umana e tuttavia insensibile aimeccanismi regolatori della ciclina D2 umana;

3. IL6 virale, in grado di mimare l’azione anti-apoptotica e proliferativa della IL6 umana.

n CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

Numerosi esempi dimostrano come le alterazio-ni genetiche individuate nei linfomi maligni rap-presentino importanti marcatori molecolari sia didiagnosi che di prognosi e siano strumenti vali-dati e indispensabili nella pratica diagnostica. Imarcatori molecolari hanno anche un ruolo fon-damentale nella costruzione di modelli prognosti-ci che possano consentire di adattare la terapiaa ciascun paziente. Per una più completa caratterizzazione delle diver-se classi di linfomi, risulta quindi indispensabileampliare le conoscenze riguardo le lesioni gene-tiche, anche mediante l’utilizzo di nuove tecno-logie in particolare la metodica di sequenziamen-to dell’intero genoma.Sebbene il meccanismo mediante il quale il micro-ambiente possa favorire la crescita dei linfomi nonsia stato ancora del tutto chiarito, è certo cheanche questo meccanismo, oltre alla presenza dilesioni genetiche, riveste un ruolo fondamentalenella linfomagenesi. È necessario quindi comprendere meglio l’inte-razione tra linfoma e microambiente per unamigliore comprensione dello sviluppo del linfomastesso. Identificare il ruolo e le interazioni fra le diversecomponenti cellulari presenti nei linfomi potreb-be permettere l’individuazione di nuovi target tera-peutici per questo tipo di malattia.

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16 Seminari di Ematologia Oncologica

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17

n INTRODUZIONE

I linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL) rappre-sentano il 30% di tutti i linfomi non-Hodgkin nel-l’adulto e il tasso di incidenza è in costante incre-mento (Figura 1); l’età mediana di insorgenza è55-60 anni (1, 2). Lo schema CHOP (ciclofosfa-mide, doxorubicina, vincristina, prednisone) harappresentato per molti decenni il cardine dellaterapia dei linfomi. L’introduzione dell’anticorpomonoclonale anti-CD20 rituximab in associazio-ne alla chemioterapia standard ha permesso dimigliorare l’outcome dei pazienti affetti da DLBCL.Lo studio randomizzato condotto dal Grouped’Etude des Lymphomes de l’Adulte (GELA) hadimostrato un vantaggio significativo per i pazien-ti anziani affetti da DLBCL trattati alla diagnosi conR-CHOP21 rispetto a CHOP21, con un tasso diremissione completa (RC) del 75% vs 63% (3). Adun follow-up di dieci anni, l’overall survival (OS)è del 43.5% vs 27.6% e la progression-free sur-vival (PFS) è del 36.5% vs 20.1% per R-CHOP21vs CHOP21 rispettivamente (4).

Il tentativo di migliorare l’outcome dei pazientiaffetti da DLBCL e l'impiego dei fattori di cresci-ta granulocitari, ha favorito l’introduzione dei regi-mi di chemioterapia dose-dense, quali R-CHOP14(ogni due settimane), con risultati superiori al soloCHOP14 nei pazienti anziani (5).Nel tentativo di migliorare ulteriormente la progno-si, sono stati utilizzati regimi di chemioterapia adalte dosi con reinfusione di cellule staminali auto-loghe periferiche, ma i risultati sono stati contra-stanti nell’era pre-rituximab (6).Nonostante i vari schemi utilizzati il 40% circa deipazienti tende a recidivare o è refrattario alla tera-pia di prima linea. È quindi indispensabile unacaratterizzazione accurata del rischio prognosti-

Indirizzo per la corrispondenza

Umberto Vitolo, MD S.C. Ematologia 2Azienda Ospedaliera e Universitaria S. Giovanni BattistaCorso Bramante - 10126 Torino, ItalyE-mail: [email protected]

Linfomi non Hodgkin Linfomi non Hodgkin a grandi cellulea grandi celluleANNALISA CHIAPPELLA1, DAVIDE ROSSI2, UMBERTO VITOLO1

1S.C. Ematologia 2, Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliera ed Universitaria San Giovanni Battista, Torino, Italia;2Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Novara, Italia

Umberto Vitolo

Parole chiave: linfoma diffuso a grandi cellule B, R-CHOP, fattori prognostici, trattamento di prima linea,trattamento recidivati/refrattari

16%

■ Linfomi follicolari■ Linfomi indolenti non follicolari■ Linfomi diffusi a grandi cellule B■ Linfomi a cellule T■ Altri tipi di linfoma

28%

20%30%

6%

FIGURA 1 - Incidenza dei vari sottotipi istologici di linfoma nonHodgkin.

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18 Seminari di Ematologia Oncologica

co alla diagnosi, al fine di identificare i pazienti aprognosi veramente sfavorevole, per poter attua-re strategie terapeutiche mirate.

n FATTORI PROGNOSTICI

Alla diagnosi, l’identificazione di fattori clinici,radiologici e molecolari è necessaria per discri-minare pazienti a diversa prognosi. L’International Prognostic Index (IPI), basato sucinque fattori prognostici negativi (età>60, stadioIII-IV, LDH elevata, PS >1 e interessamento di piùdi una sede extralinfonodale) permette di identi-ficare quattro diversi gruppi di rischio, con una OSa 5 anni compresa tra 26% e 73% (7). L’IPI, dise-gnato per pazienti trattati secondo schemiCHOP/CHOP-like, risulta valido anche nel con-testo dei moderni regimi di immunochemiotera-pia che includono rituximab (7).La tomografia ad emissione di positroni (18F-FDGPET) si è dimostrata un ottimo strumento nel valu-tare la risposta al trattamento dei DLBCL, in con-siderazione dell’avidità di tale linfoma. La valuta-zione della risposta finale con PET è altamentepredittiva della PFS e OS nei linfomi aggressivi cono senza masse residue alla TAC. Sulla basedell’International Workshop Criteria (IWC) edell’International Harmonization Project per la PET,sono state formulate le raccomandazioni riguar-do i criteri di risposta per i linfomi aggressivi. LaPET negatività diventa quindi indispensabile perdefinire la risposta completa alla terapia (9). Il valo-re della valutazione intermedia precoce con PETcome predittore della risposta finale è invece con-troverso e argomento di dibattito (10-12).Un limite dei fattori clinici prognostici è però deter-minato dal non prendere in considerazione l’ete-rogeneità biologica dei DLBCL e i meccanismipatogenetici che ne regolano la proliferazione.La classificazione WHO del 2008 riconosce taleeterogeneità e in primo luogo sottolinea la neces-sità di determinare l’indice di proliferazione MIB1(13). I DLBCL con MIB1 >80-90% pongono unproblema di diagnosi differenziale con il linfomadi Burkitt e le nuove entità clinico-patologicheindividuate nella classificazione WHO comeunclassified aggressive lymphomas, double hitlymphomas, con caratteristiche intermedie tra lin-

foma di Burkitt classico e DLBCL. In questi casi,sono indispensabili una revisione istopatologi-ca accurata e uno studio mediante FISH al finedi individuare la presenza della traslocazione dic-MYC. Tali pazienti, infatti, hanno una progno-si infausta se trattati con la chemioimmunote-rapia standard R-CHOP. Tuttavia la miglioropzione terapeutica per questo sottotipo di lin-fomi aggressivi non è ancora stata identificatae al momento non esiste una linea guida rico-nosciuta di trattamento (Tabella 1).

TABELLA 1 - Classificazione WHO 2008 dei DLBCL.

DLBCL, not otherwise specified (NOS)• Common morphologic variants

- Centroblastic- Immunoblastic- Anaplastic

• Rare morphologic variants• Molecular subgroups

- Germinal center B cell-like (GCB)- Activated B cell-like (ABC)

• Immunohistochemical subgroups- CD5-positive DLBCL- Germinal center B cell-like (GCB)- Nongerminal center B cell-like (non-GCB)

Diffuse large B-cell lymphoma subtypes• T-cell/histiocyte-rich large B-cell lymphoma• Primary DLBCL of the CNS• Primry cutaneous DLBCL, leg type• EBV-positive DLBCL of the elderly

Other lymphomas of large B cells• Primary mediastinal (thymic) large B-cell lymphoma• Intravascular large B-cell lymphoma• DLBCL associated with chronic inflammation• Lymphomatoid granulomatosis• ALK-positive LBCL• Plasmablastic lymphoma• Large B-cell lymphoma arising in HHV8-associate

multicentric Castelman disease• Primary effusion lymphoma

Borderline cases• B-cell lymphoma, unclassifiable, with features

intermediate between diffuse large B-cell lymphomaand Burkitt lymphoma

• B-cell lymphoma, unclassifiable, with features intermediate between diffuse large B-cell lymphomaand classical Hodgkin lymphoma

ALK indicates anaplastic lymphoma receptor tyrosine kinase; and HHV8,human herpesvirus 8.

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19Linfomi non Hodgkin a grandi cellule

L’analisi tramite gene expression profiling (GEP)ha permesso di risolvere a livello massimo di sen-sibilità la eterogeneità biologica del DLBCL,identificando due categorie maggiori sulla basedi patterns di espressione genica:- una categoria di DLBCL caratterizzata da pro-

filo di espressione genica delle cellule B delcentro germinativo (Germinal Center B Cell);

- una categoria di DLBCL con profilo diespressione genica simile a quello delle cel-lule B periferiche attivate (Activated B Cell)(14) (Figura 2).

Al fine di trasferire i risultati degli studi di espres-sione genica nella pratica clinica, il gruppo di Hans(15) ha studiato mediante immunoistochimica sutissue microarray il pattern di espressione delleproteine CD10, Bcl-6, IRF4/MUM1, Bcl-2, cicli-na D2, e FOXP1, la cui espressione a livello dimRNA era fortemente associata con i gruppi GCBo ABC. I risultati sono stati usati per sottoclassi-ficare i casi di DLBCL in due sottogruppi, GCB enon-GCB (reminiscente della categoria ABC), in

base alla espressione dei tre marcatori CD10,BCL6 e IRF/MUM1 (Figura 3).La rilevanza clinica della distinzione tra GCB eABC deriva dalla osservazione che, se identifi-cato mediante GEP, il gruppo di linfomi ABC hauna prognosi più sfavorevole. Il gruppo ABC pre-senta un’attivazione costitutiva del pathway diNF-kB sostenuta da lesioni genetiche che col-piscono diversi geni apparteneti a questopathway tra cui TNFAIP3/A20, CARD11, CD79A,CD79B, MYD88. Su tale base, Dunleavy (16) hatestato l’associazione di bortezomib, inibitore diNF-kB, alla chemioterapia di prima linea (DA-EPOCH) e ha dimostrato un possibile vantaggiodell’associazione nel gruppo ABC rispetto algruppo GCB.Oltre alla biologia della cellula tumorale, rivesto-no un ruolo determinante anche le caratteristichegenetiche dell’ospite che sono alla base dello stu-dio della farmacogenetica. Studi di farmacogene-tica hanno documentato che i polimorfismi del-l’ospite sono coinvolti nel metabolismo, nelladetossificazione dei farmaci e sono responsabi-li, almeno in parte, della variabilità in termini di effi-cacia e tossicità dello stesso trattamento in sog-getti diversi (17, 18).

n TERAPIA DI PRIMA LINEA

L’aggiunta del rituximab alla chemioterapia stan-dard CHOP21 o alla chemioterapia dose-denseCHOP14 ha migliorato significativamente la pro-gnosi dei DLBCL rispetto all’era pre-rituximab.

FIGURA 2 - Tecnologia del gene array. Due patterns caratteri-stici dei DLBCL: Germinal Center B cell e Activated B Cell.

GCB (42 cases)

Non-GC (27 cases)

GCB (22 cases)

Non-GCB (61 cases)

CD10

+

-

BCL-6

MUM1+

-

+

-

FIGURA 3 - Albero decisionale di Hans per la classificazione deiDLBCL sulla base dell’immunoperossidasi/tissue microarray (15).

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20 Seminari di Ematologia Oncologica

Tuttavia, i pazienti a prognosi sfavorevole hannouna probabilità di cura solo nel 45-55% dei casi;in tali gruppi di pazienti devono essere presi inconsiderazione approcci terapeutici sperimenta-li, nell’ambito di studi clinici, al fine di incremen-tare le loro chances terapeutiche.

Pazienti giovaniNei pazienti affetti da DLBCL a basso rischio (IPI0-1), in accordo con i risultati dello studio MInT, lostandard di terapia è rappresentato da 6 cicli R-CHOP21 con consolidamento radioterapico sullemasse bulky o sulle localizzazioni extranodali (19).Nei pazienti ad alto rischio, numerosi studi di faseII hanno dimostrato che l’associazione di rituxi-mab alla chemioterapia dose-dense CHOP14-like è fattibile ed efficace in pazienti giovani affet-ti da DLBCL. Brusamolino et al. (20) hanno dimo-strato la fattibilità di R-CHOP14 con supporto diPegfilgrastin in 50 pazienti affetti da linfomaaggressivo di nuova diagnosi; la dose-intensity

del trattamento è stata del 95% con una bassaincidenza di neutropenie febbrili. Tuttavia, daquesto studio è emerso il rilevante rischio di pol-moniti da pneumocystis in corso di chemioim-munoterapia; per tale motivo, la profilassi concotrimoxazolo è obbligatoria in questo gruppodi pazienti.Al fine di migliorare la prognosi nei pazienti affet-ti da DLBCL di nuova diagnosi ad alto rischio,sono stati sperimentati schemi di chemioterapiaad alte dosi con reinfusione di cellule staminaliautologhe periferiche (HDC+ASCT). Ad oggi, l'approccio HDC+ASCT è raccomanda-to nei pazienti giovani eligibili a trapianto che nonhanno ottenuto una remissione completa al trat-tamento di prima linea o in pazienti che hanno unarecidiva chemiosensibile della malattia. Secondole linee guida della Società Italiana di Ematologia(SIE), HDC+ASCT in prima linea è indicato soloall’interno di protocolli clinici sperimentali (21). Ilrischio di recidiva a livello del sistema nervoso

TABELLA 2 - Studi clinici; DLBCL a cattiva prognosi trattati con (rituximab) dose-dense chemioterapia +/- HDC+ASCT.

Author Treatment Inclusion FFS/OS CR% TD%

Brusamolino (20) RCHOP14 <71 yr, stage II-IV 2 yr FFS 72W% OS 68% 74 2

Coso (47) RISC <61 yr, aa-IPI 2-3, 5 yr FFS 63% OS 65% 72 3stage II-IV

Glass (48) MegaCHOEP <61 yr, aa-IPI 1-2-3, 5 y FFS 62%, OS 67% 70 4.5stage III-IV

Intragumtornchai CHOP-ESHAP-HDT <66 yr, aaIPI2-3, 5 yr FFS 16% OS 24% 36 8(49) RCHOP-ESHAP stage III-IV 5 yr FFS 61% OS 61% 67 11

Rueda (50) RCHOP14 <71 yr, stage II-IV 30 m PFS 72% OS 86% 73 1

Stewart (51) CHOP+DICEP+BEAM <65 yr, aa-IPI 2-3 4 yr EFS 72% OS 79% n.a. 1.8

Tarella (52) RHDS-maps <66 yr, aa-IPI 2,3, 4 yr FFS 73% OS 76% 80 5stage II-IV

Arranz (53) MegaCHOP ± IFE 18-65 yr, low IPI with 5 yr PFS 56% OS 64% n.a. 3.5+ BEAM beta2microglobulin or

intermediate/high risk

Haioun (54) ACE + HDT+ASCT ± R 18-60 yr, aa-IPI 2-3 4 yr EFS 71-80% OS 48-53 72 4ADVBP + HDT+ASCT ± R

Vitolo (22) RMegaCEOP- <61 yr, aa-IPI 2-3, 4 yr FFS 73% OS 80% 82 5RMAD-BEAM stage III-IV

FFS: Failure-Free Survival; OS: Overall Survival; EFS: Event-Free Survival; CR: complete remission; TD: toxic death; aa-IPI: age-adjusted InternationalPrognostic Index; n.a. not applicable.

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21Linfomi non Hodgkin a grandi cellule

centrale (SNC) è circa il 5%. Per prevenire talerischio le linee guida SIE sottolineano la neces-sità di eseguire una profilassi con punture lom-bari medicate nei pazienti affetti da DLBCL arischio di tale recidiva. I pazienti a rischio sonoconsiderati quelli con coinvolgimento midollare,con LDH elevata e due sedi extranodali coinvol-te e quelli con interessamento al di sopra dellalinea pterigopalatina, orbita, seni paranasali,palato duro, in presenza di masse endocanalario paravertebrali o in caso di coinvolgimento testi-colare del linfoma. Nell’era pre-rituximab i risultati di studi randomiz-zati tra chemioterapia vs HDC+ASCT erano con-trastanti, con tassi di sopravvivenza sovrapponi-bili nei due bracci di trattamento (6).Dal 2002 al 2005 il Gruppo Italiano MultiRegionaleLinfomi e Leucemie GIMURELL, ha condotto unostudio di fase II (clinicaltrials.gov: NCT00556127)su 94 pazienti affetti da DLBCL alla diagnosi e IPIsfavorevole per valutare la fattibilità e l’efficacia diuna chemioimmunoterapia dose-dense R-MegaCEOP seguita da intensificazione con che-mioterapia ad alte dosi con citarabina ad alte dosie mitoxantrone e da consolidamento con trapian-to autologo condizionato con BEAM. I risultati sonostati incoraggianti: RC 82%, 4-year PFS 73% e4-year OS 80% (22). Diversi studi clinici sono sta-ti condotti in pazienti affetti da DLBCL a progno-si sfavorevole per testare l’efficacia di schemi di

chemioterapia dose-dense con o senza rituximabe con o senza intensificazione con HDC+ASCT(Tabella 2).Questi studi suggeriscono che uno schema dichemioimmunoterapia ad alte dosi con trapian-to autologo è efficace in pazienti giovani affetti daDLBCL a prognosi sfavorevole. Tuttavia solo stu-di clinici randomizzati di fase III potranno rispon-dere all’interrogativo se una terapia ad alte dosiè superiore alla chemio immunoterapia standardR-CHOP21/R-CHOP14. I risultati dello studio ran-domizzato di fase III condotto dal gruppo tede-sco di confronto tra dose-dense R-CHOEP14 vsdose-escalated R-CHOEP+ASCT e quelli dellostudio condotto dal gruppo francese tra R-CHOP14 e R-CEEP+HDC+ASCT hanno eviden-ziato o una superiorità del braccio standard, o unasua sostanziale equivalenza rispetto al bracciointensificato; ciò potrebbe essere dovuto all’ec-cessiva tossicità e alla non fattibilità dello sche-ma intensificato (23, 24).La Fondazione Italiana Linfomi (FIL) ha condottouno studio randomizzato di fase III(clinicaltrials.gov NCT00499018) dal 2005 al2009; 400 pazienti affetti da DLBCL a prognosisfavorevole sono stati randomizzati alla diagno-si a ricevere rituximab-chemioterapia dose-den-se R-CHOP14 o R-MegaCHOP14 con o senzaintensificazione con HDC+ASCT. I risultati dellostudio sono in fase di elaborazione (Figura 4).

FIGURA 4 - Studio randomizza-to di fase III (Fondazione ItalianaLinfomi).

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22 Seminari di Ematologia Oncologica

Pazienti anzianiIl 50% dei pazienti affetti da DLBCL ha un’etàmaggiore di 60 anni; un trattamento appropriatoè potenzialmente in grado di indurre le stesserisposte nei pazienti giovani e nei pazienti anzia-ni; è quindi essenziale trattare il maggior nume-ro di pazienti anziani con una terapia convenzio-nale adeguata. A tal fine è d’obbligo differenzia-re tra età anagrafica e biologica i pazienti anzia-ni, distinguendo tra fragili e non fragili utilizzan-do i parametri del Comprehensive GeriatricAsses sment (CGA): età ≥80 anni, capacità a svol-gere le attività quotidiane (ADL), indice di comor-bilità geriatriche cumulative (CIRS-G), sindromegeriatrica (25, 26) (Tabella 3).In base ai risultati dello studio randomizzatoCHOP21 vs R-CHOP21 (3), il trattamento stan-dard per i pazienti anziani affetti da DLBCL è R-CHOP21.Lo studio RICOVER60 coordinato dal gruppoGerman High Grade Non Hodgkin’s LymphomaStudy Group (DSHNHL), è stato condotto su 1.222pazienti randomizzati alla diagnosi a ricevere 6 o8 cicli di R-CHOP14 con o senza rituximab e suc-cessiva radioterapia di consolidamento sullelocalizzazioni bulky (5). I risultati dello studio han-no dimostrato che 6 R-CHOP14 con 8 infusionidi rituximab determinano un significativo miglio-

ramento della prognosi in termini di event-free sur-vival (EFS), PFS e OS rispetto a 6 cicli CHOP14senza rituximab (3-year OS 78.1% vs 67.7%). Nonè invece emersa alcuna differenza con l’aggiun-ta di ulteriori 2 cicli di chemioterapia CHOP14. Studi randomizzati di confronto tra R-CHOP21 eR-CHOP14 sono stati condotti dal gruppo fran-cese GELA (27) e dal gruppo inglese BritishNational Cancer Research Institute (NCRI) (28);l’obiettivo era determinare se R-CHOP14 per seicicli poteva diventare lo standard terapeutico inquesto gruppo di pazienti. Nello studio franceserandomizzato tra 8 cicli R-CHOP21 e 6 cicli R-CHOP14, i risultati di R-CHOP14 sono stati infe-riori all’atteso per scarsa aderenza alla terapia disupporto con fattori di crescita granulocitari.Tuttavia, il dato di confronto derivava dalla popo-lazione tedesca del RICOVER60, con caratteristi-che non sovrapponibili completamente al grup-po di pazienti inseriti nel trial francese. Lo studioinglese randomizzato tra 6 cicli R-CHOP14 e 8R-CHOP21, pur non avendo la potenza statisti-ca per determinare un vantaggio tra uno dei dueschemi, ha permesso di dimostrare che non cisono differenze statisticamente significative in ter-mini di tossicità tra i due schemi.In conclusione, R-CHOP21 e R-CHOP14 posso-no essere entrambi utilizzati nella pratica clinica

TABELLA 3 - Strategie terapeutiche specifiche per età nel trattamento dei DLBCL (26).

Diagnostic work-upExclusion/confirmation of EBV-positive DLBCLCNS diagnostics only for patients at high risk for CNS disease or with testicular DLBCLEchocardiogram and lung function test mandatoryExclusion of other relevant organ dysfunctionsDetermination of performance statusPrognostic assignation according to classical IPIPatients >80 y (both chronologically and biologically)Geriatric self-assessment (25)

Treatment and supportive measuresPrephase treatment mandatoryCNS prophylaxis with systemic high-dose MTX for patients at high risk for CNS disease onlyNot less than 6 x R-CHOP.14 + 2R or 8 x R-CHOP-21 outside clinical trialsG-CSF or pegfilgrastim mandatory after R-CHOPInfection prophylaxis with cotrimoxazole mandatory, with levofloxacin and acyclovir if severe neutropeniaVisit approximately day 8 after first R-CHOPHydrocortisone substitution in patients with fatigue after prednisone taperingNo radiotherapy to patients in complete remission after R-CHOP

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23Linfomi non Hodgkin a grandi cellule

per il trattamento in prima linea di pazienti anzia-ni affetti da DLBCL; la scelta tra cicli somministra-ti a due diversi intervalli di tempo può essere basa-ta sulla scelta del centro e in base alle comorbi-lità e al performance status del paziente.Il gruppo tedesco DSHNHL ha testato uno sche-ma dense-R-CHOP14, che prevede una dosesupplementare di rituximab a dosi intensificatedurante i primi due cicli R-CHOP14, per un tota-le di dodici infusioni di rituximab in associazionea sei cicli di chemioterapia, con l’obiettivo dimigliorare l’efficacia di R-CHOP14 nei pazientianziani (29). Il confronto storico tra il gruppo trat-tato con il dense-R-CHOP14 e il gruppo delloschema RICOVER60 ha evidenziato un nettoincremento dei livelli sierici di rituximab, una mag-gior efficacia per i pazienti ad alto rischio (1-yearEFS 74% vs 65%), ma anche un significativoincremento dell’incidenza di infezioni, in partico-lare polmoniti da pneumocystis jiroveci nel grup-po dense-R-CHOP14 che non si è più osserva-to dopo l’introduzione di adeguata profilassi.Un diverso approccio per migliorare l’outcome deipazienti anziani non fragili affetti da DLBCL è intro-durre nel trattamento di prima linea farmaci bio-logici, precedentemente testati in un setting dipazienti recidivati, in associazione alla chemioim-munoterapia standard. Tra questi farmaci rivesto-no particolare interesse gli agenti immunomodu-latori (IMiDs)®, quali la lenalidomide (30). Sulla base di questa ipotesi, la Fondazione ItalianaLinfomi sta conducendo uno studio pilota di faseI-II che prevede il trattamento con lenalidomidein associazione a R-CHOP21, per valutare la fat-tibilità e l’efficacia di tale associazione come trat-tamento di prima linea nei pazienti anziani affet-ti da DLBCL (clinicaltrials.gov NCT00907348).L’analisi della fase I, disegnata con il ContinualReassessment Method, ha permesso di conclu-dere che la massima dose tollerata di lenalido-mide assunta dal giorno 1 al giorno 14 in asso-ciazione con R-CHOP21 è di 15 mg (31).

n TERAPIA DEI PAZIENTI IN RECIDIVA O REFRATTARI

La prognosi dei pazienti affetti da DLBCL in reci-diva o refrattari alla terapia di prima linea è infau-

sta, con una prospettiva di sopravvivenza liberada malattia inferiore al 10% nei pazienti recidiva-ti o refrattari alla terapia di prima linea trattati consola chemioterapia di salvataggio; nei giovani inrecidiva, come dimostrato dai risultati del PAR-MA trial, la terapia standard è rappresentata dauna chemioterapia di induzione seguita daHDC+ASCT; con questa strategia, circa il 50% deipazienti può ottenere un outcome favorevole (32)(Figura 5).Fattori prognostici alla recidiva, da valutare comepredittori di risposta ad una seconda linea tera-peutica, sono la durata della risposta alla primalinea, l’IPI alla recidiva e la chemiosensibilità allaterapia di induzione di seconda linea pre-ASCT.L’IPI, infatti, si è dimostrato efficace nel predireOS e PFS anche nei pazienti refrattari e recidiva-ti (33). Un’altra analisi ha inoltre dimostrato chela recidiva della malattia a meno di dodici mesidalla diagnosi, correla significativamente con unoutcome più infausto (34). Tale dato è stato dimo-strato anche in una recente analisi condotta nel-lo studio CORAL (35), in cui l’EFS nelle recidiveprecoci (meno di dodici mesi) è 20% vs 45% nel-le recidive tardive (p<0.0001) e EFS per IPI ad altorischio alla recidiva è 18% vs 40% nel bassorischio (p<0.0001). Dallo studio emerge inoltre cheil precedente trattamento con rituximab influiscenegativamente sulla EFS a 3 anni (21% vs 47%p<0.0001).Un altro indice prognostico affidabile nel predirel’outcome del paziente in recidiva, è la negativi-tà della valutazione PET pretrapianto-autologo. Inuno studio di fase II, la PET positività pre-ASCTera associata ad una scarsa durata della rispo-sta e ad un alto rischio di recidiva; se associataad una PET-positività persistente post autologo,acquistava un ulteriore significato sfavorevole (36,37). Tale affermazione è supportata da Cheson (9),che sostiene che l’ottenimento della remissionecompleta pre-autologo, definita come PET nega-tività, è un forte fattore discriminante per l’effica-cia della HDC+ASCT.Obiettivo della terapia di salvataggio è indurre unaremissione completa prima del consolidamentocon HDC+ASCT, superando eventuali resistenzeai chemioterapici e favorendo la mobilizzazionedi cellule staminali autologhe periferiche. Moltischemi sono stati utilizzati come trattamento di

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seconda linea nei pazienti affetti da DLBCL in reci-diva. L’aggiunta del rituximab al trattamento che-mioterapico ha permesso di migliorare la progno-si dei pazienti in recidiva/refrattari. In uno studiocondotto dal gruppo HOVON in 239 pazienti conDLBCL in recidiva/refrattari, i pazienti erano ran-domizzati a ricevere uno schema di chemiotera-pia di salvataggio DHAP-VIM-DHAP con o sen-za rituximab seguito da autologo. I risultati dello studio hanno evidenziato un net-to vantaggio a favore del braccio con rituximabrispetto al braccio senza rituximab, in termini diRC (75% vs 54%) di Failure Free Survival (FFS)a 2 anni (50% vs 24%) (38).Resta tuttavia l’interrogativo su quale sia il migliorschema di chemioterapia di salvataggio. Nello stu-dio CORAL (35), studio clinico randomizzato con-dotto su 396 pazienti, i pazienti venivano rando-mizzati alla diagnosi a ricevere R-ICE o R-DHAPpre-ASCT. I risultati hanno evidenziato che non viè alcuna differenza tra i due schemi di trattamen-to. Tuttavia, in un’analisi combinata di fattori pro-gnostici clinici e biologici, si è evidenziato comenel pattern GCB si evidenzia un vantaggio nel trat-tamento con R-DHAP rispetto a R-ICE, mentre neiDLBCL con profilo ABC la prognosi è infausta siacon R-DHAP che con R-ICE (39). È quindi neces-sario studiare delle strategie che possano permet-tere di migliorare la prognosi anche in questi sot-togruppi più sfavorevoli e meno responsivi.Per migliorare l’outcome dei pazienti affetti daDLBCL in recidiva e refrattari, sono stati sperimen-tati ulteriori approcci terapeutici. Uno di questi èrappresentato dall’integrazione della radioimmu-noterapia con Zevalin nel consolidamento BEAM

per il trapianto autologo. Da questi studi è emer-so che l’associazione Z-BEAM è fattibile, con unatossicità sovrapponibile a quella del solo BEAMe una possibile maggior efficacia (40, 41).Nei pazienti con malattia refrattaria e/o recidiva-ti dopo HDC+ASCT, è da valutare l’indicazione altrapianto allogenico; i risultati di studi condotti inquesto ambito sono incoraggianti, con ottenimen-to di minori recidive e di un periodo libero damalattia più lungo per l’allogenico rispetto al tra-pianto autologo. Tuttavia, l’alta incidenza di mor-talità correlata al trapianto contrasta con i datipositivi ottenuti sull’outcome (42, 43). Dati inco-raggianti sono emersi anche da studi con l’utiliz-zo di trapianto allogenico a intensità ridotta (44).I pazienti giovani non eligibili a terapie ad alte dosicon procedura trapiantologica o i pazienti anzia-ni, in presenza di DLBCL in recidiva/refrattario,sono i candidati d’elezione per terapie sperimen-tali e farmaci biologici. Tra questi farmaci rivestono un particolare inte-resse gli agenti immunomodulatori (IMiDs)®,quali la lenalidomide, gli inibitori di m-TOR, qua-li temsirolimus ed everolimus, gli inibitori del pro-teasoma, come il bortezomib, e gli inibitori del-la istone-deacetilasi, come il vorinostat e il pano-binostat (30). In pazienti a prognosi sfavorevole,refrattari e non eligibili ad HDC+ASCT, sono sta-ti utilizzati nuovi farmaci biologici, con risultatiincoraggianti (Figura 6).La lenalidomide è stata testata come agente sin-golo in monoterapia in una serie di 73 pazienti conDLBCL recidivato/refrattario; la risposta globaleottenuta è stata del 29%, con una tossicità mode-rata (45).

0 15 30 45 60 75 90

1009080706050403020100

Eve

nt-f

ree

surv

ival

(%)

Months after randomization

P=0.001

Transplantation

Conventional treatment

0 15 30 45 60 75 90

1009080706050403020100

Ove

rall

surv

ival

(%)

Months after randomization

P=0.001Transplantation

Conventional treatment

FIGURA 5 - PARMA Trial (31).

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25Linfomi non Hodgkin a grandi cellule

In un’altra serie di pazienti affetti da DLBCL in reci-diva/refrattari, 49 pazienti fortemente pretrattatihanno ricevuto lenalidomide 25 mg/die per 21 gga cicli mensili; una risposta globale è stata osser-

vata nel 35% dei casi, con un tasso di RC del 12%e tossicità prevalentemente ematologica (46).Studi clinici che prevedono l’utilizzo di farmaci bio-logici quali lenalidomide, enzastaurin, nuovi anti-corpi monoclonali anti-CD20 e anti-CD22 inmonoterapia o in associazione a chemioterapiasono tuttora in corso.

n CONCLUSIONI

R-CHOP21 e R-CHOP14 rappresentano la tera-pia standard per il trattamento dei DLBCL alla dia-gnosi. L’identificazione di fattori prognostici per-mette di identificare classi di rischio pazienti a pro-gnosi sfavorevole. In tale gruppo di pazienti è con-sigliato l’arruolamento in studi clinici (Figura 7). Ipazienti affetti da DLBCL in recidiva o refrattariodopo R-CHOP hanno una prognosi più sfavore-vole rispetto all’esperienza passata. È necessa-rio migliorare l’efficacia della terapia di salvatag-gio con l’ausilio di nuovi farmaci sia nei giovani

DLB

CL

sing

le-a

gent

efÞ

caci

“Strength” of mechanism

Lenalidomide

mTOR inhibitors

Anti-Survivin

Bortezomib

Vorinostat Syk inhibitor

Bevacizumab Enzastaurin

SGN-40

FIGURA 6 - Nuovi agenti biologici per la terapia di DLBCL (30).

DLBCL

aa-IPI 0-1 aa-IPI 2-3 all IPI

R-CHOP 21x6 Encourage enrollementin clinical trials

If availableclinicals trials:

R-CHOP ±novel drugs

If clinical trials not available standard therapy

R-CHOP 21x8 or R-CHOP 14x6 (Rx8)

Rituximab - dose dense chemotherapy (R-CHOP like) ± R-HDC and ASCTRituximab - dose dense chemotherapy (R-CHOP like) ± novel drugs

Standard therapyR-CHOP21 x 8 or R-CHOP14 x 6 (Rx8)

≤60 years >60 years

FIGURA 7 - Algoritmo di terapia di prima linea nei DLBCL.

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pre-ASCT e sia nei pazienti non candidabili aHDC+ASCT.

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n INTRODUZIONE

Il linfoma mantellare (MCL) rappresenta un’en-tità relativamente rara tra le neoplasie ematolo-giche, con un’incidenza che si aggira intorno al6% di tutti i linfomi non Hodgkin (1) e circa 300casi diagnosticati in Italia ogni anno (2).Nonostante ciò questo tipo di linfoma è statoestremamente ben caratterizzato dal punto divista biologico, genetico, istologico, immunofe-notipico e clinico. Infatti la sua identificazionecome entità clinica distinta risale all’inizio deglianni 90 (fu inserito nella classificazione REAL nel1994 (3)).Contestualmente alla sua definizione istopato-logica sono immediatamente emerse le speci-fiche caratteristiche cliniche di questa patologia,in particolar modo la marcata chemioresisten-za che giustificava la pessima prognosi deipazienti affetti da questa patologia (4). Nel corso degli anni 90 e nella prima decade delmillennio i progressi nel campo del MCL sonostati però molto rapidi e hanno investito il cam-po biologico, biotraslazionale e clinico. A tutt’og-gi è forse il linfoma in cui si è raggiunta la mas-

sima integrazione tra questi aspetti e proprioquesta integrazione rappresenta la base deisignificativi successi ottenuti in termini di rispo-sta clinica e sopravvivenza (5). Per questi motivi il MCL è una neoplasia il cuitrattamento adeguato richiede elevata accura-tezza diagnostica, attento monitoraggio clinicoe scelte terapeutiche mirate e spesso intensiveed è pertanto meritevole di trattamento inambito specialistico assai più di altri istotipi dilinfoma di più comune riscontro. L’obiettivo principale di questa pubblicazioneè dunque quello di illustrare gli importanti pro-gressi sinora ottenuti grazie ad una efficaceintegrazione tra ricerca biologica, traslaziona-le e clinica.

n CENNI DI PATOGENESI MOLECOLARE

Fin verso la fine degli anni ’90 si pensava che ilMCL originasse da linfociti B naïve non transi-tati attraverso il centro germinativo (6).Questa ipotesi era suffragata dalla caratteristi-ca coespressione dell’antigene T-cellulare CD5insieme al tipico immunofenotipo B-cellulare:CD10–, CD19+, CD20+, CD22+, CD43+, CD79a+

(7), ma (a differenza della leucemia linfatica cro-nica) usualmente CD23– e CD200– (8). Diversistudi sul recettore immunoglobulinico hanno inparte smentito questa ipotesi, evidenziandocome almeno un’ampia porzione dei casi deri-vi da cellule B che hanno incontrato l’antigene.

Indirizzo per la corrispondenza

Divisione di Ematologia 1 U.A.O.U. San Giovanni Battista di TorinoVia Genova 3 - 10126 TorinoE-mail: [email protected]

Linfoma mantellareLinfoma mantellareMARCO LADETTO, SIMONE FERRERO, SARA BARBIERODivisione di Ematologia, Dipartimenti di Medicina e Oncologia Sperimentale, Università di Torino

Marco Ladetto

Parole chiave: linfoma mantellare, malattia minima resi-dua, chemioterapia intensificata, nuove molecole

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In effetti circa un quarto dei pazienti presenta unrecettore immunoglobulinico con più del 2% dimutazioni somatiche e anche nei casi non iper-mutati è verosimile che, per la maggior parte diessi, l’origine istopatogenetica risieda in celluleB memoria che hanno comunque avuto l’incon-tro con l’antigene, seppur non nel contesto delcentro germinativo (Figura 1) (9,10). Nonostanteciò, il ruolo ricoperto dalla stimolazione antige-nica nel MCL è ancora ben lungi dall’essere defi-nito (11, 12).La patogenesi del MCL è caratterizzata dallacontemporanea deregolazione del ciclo cellula-re e dei meccanismi di risposta al danno del DNA

(13). Infatti la caratteristica genetica fondamen-tale di questo linfoma è la traslocazione cromo-somica t(11;14)(q13;q32), responsabile del-l’espressione aberrante di ciclina D1, importan-te regolatore del ciclo cellulare (14). I pochi casidi MCL negativi per la traslocazione t(11;14) con-dividono comunque simili caratteristiche cliniche,morfologiche e di espressione genica e spessomostrano un’iperespressione delle cicline D2 eD3 (15). Ulteriori eventi genetici incrementano il poten-ziale oncogenetico delle cicline, spesso attraver-so l’inattivazione dei meccanismi di risposta aldanno del DNA: l’inattivazione delle chinasi cicli-

Precursore B cellulare

Zona mantellare

Centro germinativo

Zona marginale

Linfociti B naive

MIDOLLO OSSEO E SANGUE PERIFERICO

LINFONODI E ORGANI LINFOIDI SECONDARI

Linfociti B memoria transitati attraverso il CG

MCL non ipermutato(75% dei casi)

Linfociti B naive

MATURAZIONE EXTRA CG

MATURAZIONE INTRA CG

Linfociti B memoria non transitati attraverso il CG

MCL ipermutato(25% dei casi)

MCL???

FIGURA 1 -Ontogenesi cellulare del MCL. La maggior parte dei casi origina da linfociti B memoria che sono andati incontro a maturazioneal di fuori del centro germinativo (CG) del follicolo linfoide e pertanto non hanno accumulato ipermutazioni somatiche nel gene delleimmunoglobuline (MCL non ipermutato). Circa un quarto dei casi di linfoma mantellare origina invece da linfociti B memoria chesono andati incontro a maturazione all’interno del centro germinativo, accumulando così ipermutazioni somatiche (MCL ipermutato).Meno verosimile l’ipotesi secondo la quale il linfoma mantellare deriverebbe da linfociti B naive.

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nadipendenti (p16INK4a/p16ARF) incrementa infat-ti la degradazione della proteina pro-apoptoti-ca p53 (16, 17), così come la mutazione del geneATM (presente fino al 75% dei casi) dà come esi-to un blocco dei normali processi di arresto delciclo cellulare, riparazione del DNA e apoptosi,fisiologicamente mediati da p53 (18).L’insieme di tutti questi eventi contribuisce allaprogressione del ciclo cellulare, favorendo inol-tre una marcata instabilità genetica. Inoltre lasopravvivenza e la crescita tumorale sono pro-mosse dall’alterazione di diverse altre vie disegnalazione intracellullare: fra queste l’attiva-zione costitutiva del pathway PI3K/AKT/mTOR(19) e delle vie proliferative di WNT (20),Hedgehog (21) e NF-κB (22).

Per contro, gli studi dei profili di espressionegenica hanno recentemente identificato un pan-nello di geni proliferativi (tra i quali SOX11) in gra-do di discernere i classici casi di MCL da quelsottogruppo di pazienti caratterizzati da una pro-gnosi favorevole e definiti pertanto linfomi man-tellari indolenti (23).In conclusione, il MCL rappresenta il paradigmadi una neoplasia caratterizzata da un alto gra-do di instabilità genomica e da un numero ele-vato di alterazioni cromosomiche secondarie cheinterferiscono con la regolazione del ciclo cel-lulare, i meccanismi di risposta al danno del DNA,l’apoptosi e le vie di trasduzione del segnale. Ilcrescente interesse per le basi molecolari di que-sta patologia si sta traducendo in questi anni nel-

BCRBCRLinfocitaTLinfocitaT

Ciclina D1

ProteasomaProteasoma26S26S

MicroambienteMicroambienteMidollareMidollare

CDk4/6

FIGURA 2 - Bersagli molecolari del MCL e relativi approcci farmacologici. Nella figura sono illustrate schematicamente le principalivie proliferative che caratterizzano la cellula di MCL e alcuni bersagli molecolari colpiti da alcuni dei più importanti tra i nuovi farmaciattualmente in sperimentazione clinica (per i dettagli si faccia riferimento alla trattazione). BCR = recettore delle cellule B.

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la messa a punto di nuove strategie farmacolo-giche, che porteranno in un futuro prossimo aun miglioramento della gestione clinica deipazienti. In effetti già oggi alcuni dei più effica-ci agenti terapeutici impiegati nella terapia di sal-vataggio del MCL agiscono sui bersagli mole-colari sopracitati, in particolare il bortezomib, cheinterferisce sul pathway di NF-κB, e il temsiro-limus, che agisce sul pathway diPI3K/AKT/mTOR (Figura 2).

n FATTORI PROGNOSTICI CLINICI E BIOLOGICI

A partire dall’inserimento del MCL all’interno del-la REAL classification nel 1994 (3) molti lavorihanno descritto su serie limitate di pazienti lecaratteristiche clinico-patologiche, l’andamentoclinico e i fattori prognostici di questo tipo di lin-foma (24-29). Se in generale in quegli anni i risul-tati terapeutici non erano soddisfacenti, alcunigruppi di pazienti presentavano però un anda-mento clinico migliore di altri, e vi era un picco-lo sottogruppo di pazienti caratterizzati daremissioni cliniche di lunga durata. Nonostanteciò, per molto tempo non è stato possibile defi-nire per questa patologia un indice prognosticouniformemente accettato, a differenza di quan-to successo per il linfoma diffuso a grandi cel-lule (IPI) (30) e per il linfoma follicolare (FLIPI (31)e FLIPI2 (32)). Poiché l’applicazione di tali stru-menti al MCL presentava serie limitazioni (24, 25,29, 33), è stato costruito recentemente, grazieal supporto dello European Mantle CellLymphoma Network, un indice prognosticospecifico per il MCL, denominato MIPI (Mantle-

Cell-Lymphoma International Prognostic Index)(34). Il MIPI si basa su quattro fattori prognosti-ci indipendenti (età, ECOG performance status,LDH e numero di leucociti), facilmente disponi-bili nella quotidiana pratica clinica. Dal momen-to che il MIPI si calcola attraverso una comples-sa formula matematica, è stata sviluppata perl’uso clinico una versione semplificata del MIPIche ne riproduce molto bene il valore progno-stico (Tabella 1). Grazie all’utilizzo di questo nuo-vo strumento è possibile suddividere i pazientiin tre gruppi ben bilanciati caratterizzati da pro-gnosi decisamente differenti in termini di soprav-vivenza: (alto rischio con overall survival (OS)mediana di 29 mesi; rischio intermedio con OSmediana di 51 mesi; basso rischio con OSmediana non raggiunta) (34).Pertanto il MIPI potrà rivelarsi utile nel prende-re decisioni terapeutiche individualizzate sul livel-lo di rischio di ciascun paziente e permetterà unamigliore stratificazione dei pazienti negli studi cli-nici, fornendo così una base comune per valu-tare il ruolo dei nuovi marcatori prognostici bio-logici. Diversi studi istopatologici hanno riconosciutonell’ultimo decennio come il grado di prolifera-zione tumorale, valutato attraverso l’espressio-ne dell’antigene correlato alla proliferazione Ki-67, sia il miglior fattore biologico predittivo disopravvivenza nei pazienti con MCL (35, 36, 26,29) in maniera indipendente dal MIPI (34). Il ten-tativo di integrazione di questo parametro all’in-terno del MIPI, nell’intento di costruire un indi-ce combinato (MIPI-b, ossia MIPI biologico), nonha però sostanzialmente migliorato il potere pro-gnostico del MIPI classico (34). Pertanto, considerando anche che il valore del

TABELLA 1 - Calcolo del MIPI semplificato.

Punteggio Età (anni) ECOG LDH/massimo valore limite Leucociti (x109/L)

0 <50 0-1 <0,670 <6,700

1 50-59 - 0,670-0,999 6,700-9,999

2 60-69 2-4 1,000-1,499 10,000-14,999

3 >69 - >1,499 >14,999

Si applica un punteggio da 0 a 3 per ogni fattore prognostico, fino a un massimo di 11 punti. I pazienti la cui somma sia <4 sono classificati come bassorischio; i pazienti la cui somma sia 4-5 sono classificati come rischio intermedio; i pazienti la cui somma sia >5 sono classificati come alto rischio.

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33Linfoma mantellare

Ki-67 non è facilmente ottenibile per motivi tec-nici in tutti i pazienti e che la standardizzazionee riproducibilità di questo marcatore molecola-re necessitano ancora di essere affinate, almomento attuale il MIPI-b non è particolarmen-te utile al di fuori del contesto di studi sperimen-tali. Fra gli altri fattori prognostici biologici valela pena di ricordare la mancata espressione diSOX11, recentemente identificata come diagno-stica di quel sottogruppo di MCL indolenti, carat-terizzati da una prognosi decisamente più favo-revole (23).

La malattia minima residuaA differenza dei fattori prognostici descritti in pre-cedenza, indagati alla diagnosi e direttamentecorrelati all’aggressività del linfoma, la malattiaminima residua valuta in maniera molto precisala risposta alla terapia di ogni singolo paziente,identificando la presenza anche di una minimaquantità di malattia residuata dopo un trattamen-to efficace e in grado di dare origine a una reci-diva. Il marcatore molecolare che indaga lamalattia minima residua è costituito da un trat-to di DNA caratteristico della cellula tumorale enon presente nelle cellule sane; per quantoriguarda il MCL, anche se i primi studi di malat-tia minima residua sono stati condotti sul trascrit-to Bcl-1 (prodotto specifico della traslocazionet11;14), ultimamente il marcatore maggiormen-te utilizzato è il riarrangiamento delle catenepesanti delle immunoglobuline e le metodologiedi analisi si basano a livello tecnico su approc-ci di PCR (reazione polimerasica a catena) qua-litativi e quantitativi (37-40).Durante gli ultimi anni l’impatto clinico dellamalattia minima residua si è reso particolarmen-te importante nel campo del MCL, riflettendo iconsiderevoli progressi ottenuti nella gestione diquesta patologia. Tali successi erano già statiannunciati agli inizi del millennio da diversi stu-di di malattia minima residua, che documenta-vano come queste nuove terapie abbattesseroin maniera significativa la carica tumorale e cometale risultato si traducesse in un netto migliora-mento prognostico (41, 42, 38, 40). Sulla basedella dimostrazione dell’elevato valore progno-stico della malattia minima residua in questo tipodi linfoma, sono stati recentemente pubblicati i

promettenti risultati di studi sperimentali incen-trati sul trattamento della persistenza o della reci-diva molecolare di questa patologia (39, 43).Le attuali conoscenze derivate dagli studi clini-ci di malattia minima residua sul MCL ci consen-tono di trarre le seguenti conclusioni:- prima dell’avvento del rituximab non si riusci-vano a ottenere remissioni molecolari né con lachemioterapia convenzionale (44, 38) né conprogrammi basati sul trapianto autologo di cel-lule staminali (37). Quest’ultimo concetto si con-trappone alle remissioni molecolari ottenibiliinvece nel linfoma follicolare e sottolinea la carat-teristica chemioresistenza dell’istotipo mantel-lare (37);- l’integrazione del rituximab e della citarabinaad alte dosi in programmi autotrapiantologici haconsentito il raggiungimento di livelli di citori-duzione mai osservati in precedenza e ha dimo-strato come la risposta molecolare possa effet-tivamente essere considerata un obiettivo rag-giungibile anche nei pazienti affetti da MCL (41,45, 42);- il trapianto autologo di cellule staminali in asso-ciazione al rituximab può ridurre ulteriormente lacarica tumorale residua dopo chemio-immuno-terapia, innalzando il tasso di remissioni mole-colari fino al 70% dei casi e confermando dun-que la nota attività anti-linfomatosa della che-mioterapia ad alte dosi in questo tipo di linfo-ma. Inoltre una remissione molecolare puòessere raggiunta anche in circa il 60% deipazienti non candidabili ad un programma tra-piantologico, se trattati con chemioterapia con-venzionale supplementata da rituximab (40); - la remissione molecolare è un valido preditto-re prognostico indipendente in diversi contestiterapeutici, dal trapianto autologo alla chemioim-munoterapia convenzionale ai regimi di mante-nimento. Inoltre il concetto di remissione mole-colare supera il valore dello stato di remissioneclinica: infatti i pazienti in remissione parziale, manegativi per la malattia minima residua, mostra-no una durata di risposta superiore rispetto aipazienti in remissione completa, ma persisten-temente positivi a livello molecolare (38, 40); - nei pazienti trattati con rituximab l’aspiratomidollare è risultato essere il campione più ade-guato su cui valutare la malattia minima residua.

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Anche il sangue periferico può essere utilizzatoper simili analisi, ma il suo valore predittivo è infe-riore: pertanto il suo utilizzo deve essere limita-to a contesti terapeutici molto particolari, comead esempio per i pazienti anziani compromessida un punto di vista generale (40); - è possibile impiegare l’analisi della malattiaminima residua per offrire terapie personalizza-te ad ogni singolo paziente: infatti è stato dimo-strato come il trattamento delle recidive mole-colari con rituximab sia in grado di reindurreremissioni molecolari (46) e dai primi risultatisembra, di conseguenza, incidere in manierabenefica sull’andamento clinico (43, 39).

n ATTUALI STRATEGIE TERAPEUTICHE

Contrariamente a quanto accade per altri tipi dimalattie linfoproliferative, una strategia di wat-chful waiting non è raccomandata per il MCL,considerato il decorso clinico aggressivo e la pro-gnosi infausta nella maggior parte dei casi. Faeccezione un limitato gruppo di pazienti la cuimalattia, presentandosi con un andamentomeno aggressivo e una prognosi decisamentepiù favorevole (in qualche maniera più simile aquella di una leucemia linfatica cronica), è sta-ta definita come MCL indolente (47, 23). Questipazienti si caratterizzano in genere per la fre-quente leucemizzazione accompagnata da sple-nomegalia in assenza di localizzazioni adenopa-tiche di rilievo. Proprio per evitare un trattamen-to troppo precoce a questi pazienti è raccoman-dato di monitorare attentamente nel tempo tut-ti i pazienti asintomatici con massa tumorale limi-tata e iniziare un trattamento solo al momentodi una rapida progressione o in caso di compar-sa di sintomatologia correlata alla malattia (48).D’altra parte la maggioranza dei pazienti condiagnosi di MCL giunge all’attenzione dell’ema-tologo con la classica presentazione di malat-tia adenopatica avanzata e sintomatica chenecessita rapidamente di un trattamento cito-riduttivo. A questo punto le decisioni terapeu-tiche devono essere prese essenzialmente sul-la base dell’età, delle condizioni generali e del-le comorbilità del paziente: i soggetti di età infe-

riore ai 60 anni con un ECOG performance sta-tus (non causato dalla malattia) (49) <4 oppuresoggetti fino a 65 anni con buon performancestatus (ECOG <3) sono da considerare giovanie da avviare a una terapia aggressiva, che nel-la maggior parte dei Centri è oggi basata sul tra-pianto autologo.Gli altri pazienti rappresentano un gruppo deci-samente più eterogeneo. Sicuramente neipazienti anziani in buone condizioni generalil’obiettivo del trattamento è quello di ottenere ilmassimo livello di citoriduzione possibile, al finedi migliorare l’aspettativa di vita. Per contro, neipazienti con comorbilità importanti l’obiettivo deltrattamento è di natura palliativa. Al fine di otti-mizzare il trattamento di questi pazienti è per-tanto considerata di sempre maggior utilità lavalutazione geriatrica multidimensionale (CGA:Comprehensive Geriatric Assessment) (50), cheha l’obiettivo di identificare i soggetti in gradodi affrontare una terapia volta al controllo a medioe lungo termine della patologia (pazienti fit) edistinguerli invece dai pazienti in grado di tolle-rare solo una terapia palliativa, basata sul con-tenimento dei sintomi del linfoma (pazienti unfito fragili).

Terapia di prima linea nei pazienti giovaniRispetto al pessimismo che contraddistingueval’approccio clinico al linfoma mantellare negli anni90, la prima decade del millennio ha offerto signi-ficativi progressi. L’uso più razionale degli schemi chemioterapi-ci e l’introduzione del rituximab hanno infattiaperto nuovi e interessanti scenari di trattamen-to che hanno portato a significativi progressi nel-le possibilità di cura di questo tipo di neoplasia(5). Al momento diversi nuovi regimi terapeuticihanno dimostrato la loro efficacia nei confrontidel MCL e la maggior parte dei pazienti ottienerisposte considerevoli e spesso durature, in talu-ni casi associate a persistenti remissioni mole-colari. Nonostante ciò, occorre sottolinearecome la maggior parte dei pazienti vada tutto-ra incontro a recidiva e che pertanto il MCL rap-presenta ancora la principale causa di morte peri soggetti che ne sono affetti. Infatti, contraria-mente ad altri tipi di linfomi, nel MCL i regimi poli-chemioterapici convenzionali non garantiscono

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il controllo a lungo termine della patologia (4). Di seguito cercheremo di sintetizzare i principa-li schemi terapeutici per il paziente giovane uti-lizzati nella quotidiana pratica clinica:- tenendo conto dei limitati successi ottenibili conregimi polichemioterapici contenenti antracicli-ne (15-20% di risposte complete), classicischemi terapeutici come CHOP o MCP (mito-xantrone, clorambucile e prednisone) non sonoconsiderati adeguati di per sé per il trattamen-to del MCL in un paziente giovane (4). L’aggiuntadel rituximab allo schema CHOP ha permessodi ottenere risposte cliniche nella maggior par-te dei pazienti, anche con un discreto numerodi risposte complete (35%) (51). Infine datirecentemen te presentati suggeriscono come l’in-serimento della citarabina nei regimi di induzio-ne (cicli alternati R-CHOP/R-DHAP) possa ulte-riormente incrementare il tasso di risposte com-plete fino anche al 50-60% (52); - nonostante i tassi di risposta anche elevati otte-nibili in induzione con questi schemi, la duratadei periodi di remissione sarebbe modestasenza un’adeguata terapia di consolidamento.Partendo dai successi ottenuti con l’impiego dialte dosi di citarabina e dal trapianto autologo(45, 53, 54), lo standard terapeutico attuale peril paziente giovane è rappresentato da un regi-me immunochemioterapico di induzione segui-to da consolidamento con chemioterapia ad altedosi contenente citarabina e supporto di cellu-le staminali emopoietiche. I dati positivi di simi-li regimi sono stati confermati da differenti stu-di multicentrici che testimoniano tassi di event-free survival (EFS) e overall survival (OS) rispet-tivamente fino a 65% e 80% a quattro anni, afronte però di una non trascurabile mortalità lega-ta al trattamento (fino al 5%) (43, 55, 56, 57, 52); - in alternativa ai regimi trapiantologici sono sta-ti messi a punto negli USA schemi di induzionecon intensificazione di dose; tali schemi, basa-ti sull’impiego di alte dosi di citarabina, sempresupplementati da rituximab (R-Hyper-CVAD/MA),si sono rivelati altamente efficaci (con tassi dirisposta completa fino all’87% e tempo media-no al fallimento della terapia (TTF) di circa seianni), pur non essendo scevri da importanti tos-sicità, con un tasso di mortalità legata al tratta-mento intorno all’8% (58, 59). Il principale van-

taggio del regime R-Hyper-CVAD/MA è quello dioffrire un’elevata intensità di trattamento senzaimporre l’uso del trapianto autologo; tuttaviaoccorre considerare che tale regime non ne risol-ve le problematiche principali. In effetti la mor-talità connessa al trattamento è analoga se nonsuperiore ai programmi autotrapiantologici e ilrischio di complicanze clonali tardive rimanecomunque elevato (Tabella 2). Inoltre al momen-to l’uso del regime R-Hyper-CVAD/MA non èsupportato da studi clinici di fase III e da un’am-pia validazione su base multicentrica. In effettigli eccellenti risultati ottenuti presso l’MDAnderson Cancer Center non sono stati piena-mente confermati da uno studio multicentricosuccessivo, in cui il progression-free survival(PFS) a due anni si attestava soltanto al 60% (60); - purtroppo, nonostante le risposte cliniche(anche di media-lunga durata) ottenibili con leterapie ad alte dosi descritte, praticamente tut-ti i pazienti con MCL alla fine recidivano e muo-iono a causa della loro malattia. Per questo moti-vo vi è ancora la necessità di migliorare la dura-ta della remissione e prolungare il PFS attraver-so una terapia continuativa di mantenimento del-la risposta ottenuta grazie agli schemi ad altedosi. Al momento attuale non ci sono dati con-vincenti che dimostrino l’effettivo beneficio di unaterapia di mantenimento post-trapianto, anchese interessanti risultati potranno pervenire daglistudi in corso sull’impiego in questo ambito difarmaci non chemioterapici: in particolare all’in-terno dello European Mantle Cell LymphomaNetwork si sta indagando in due studi di fase IIIl’efficacia del mantenimento post-trapianto conrituximab (GOELAMS LyMa - Clin Trials GovNumber NCT00921414) e lenalidomide (studiodella Fondazione Italiana Linfomi attualmente incorso IIL-MCL0208: EudraCT Number 2009-012807-25).Pertanto, allo stato attuale, al di fuori di un trialclinico lo standard terapeutico per i pazienti gio-vani privi di comorbilità significative è un tratta-mento aggressivo, basato su regimi mieloabla-tivi con supporto di cellule staminali emopoie-tiche (trapianto autologo) oppure, sia pur con unaevidenza meno ampia, su regimi di induzionealtamente intensificati (come lo schema Hyper-CVAD/MA), entrambi supplementati con anticor-

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po monoclonale anti-CD20 (rituximab). Infatti,come si evince dalla Tabella 2, i trattamenti sino-ra dimostratisi più efficaci sono caratterizzati daun’elevata intensità di dose di citarabina. L’importanza di questo farmaco nel trattamen-to del MCL è stata ulteriormente dimostrata dairisultati dell’attuale trial dello European MantleCell Lymphoma Network (Clin Trials Gov NumberNCT00209222) presentati al recente congressodell’American Society of Hematology (52).

Terapia di prima linea nei pazienti anzianiI pazienti che non sono candidabili per età ocomorbilità a regimi terapeutici aggressivi pos-sono comunque essere trattati con successo condiversi tipi di chemioterapia convenzionale sup-plementata con rituximab, anche se la duratadelle remissioni così ottenute è purtroppo piut-tosto modesta (51). Quale che sia lo schematerapeutico utilizzato, per migliorare la progno-si di questi pazienti rimane cruciale il supportodi un regime di consolidamento che faccia segui-to alla prima linea di terapia. I migliori strumen-ti terapeutici al momento disponibili per l’ema-tologo sono i seguenti: - regimi di induzione: al momento non esiste unostandard terapeutico per il paziente anziano,soprattutto perché i dati di efficacia disponibiliprovengono per lo più da studi effettuati inpazienti recidivati o refrattari oppure sono estra-polati dai risultati dei regimi di induzione pre-altedosi (61, 62, 51, 63). In ogni caso gli schemi piùampiamente utilizzati nella pratica clinica sonoa base di fludarabina (FC/FCM), antracicline(CHOP) o citarabina (DHAP), sempre supplemen-tati dal rituximab. Nell’ottica di limitare al mas-simo le tossicità ricercando comunque una rispo-sta clinica il più possibile duratura, sono stati uti-lizzati anche schemi più blandi come CV P o ritu-ximab in monoterapia (64-66). Interessanti risul-tati in questo senso arriveranno dallo studio pro-spettico randomizzato dello European MantleCell Lymphoma Network che per la prima voltaparagona l’efficacia di R-CHOP vs R-FC nelpaziente anziano (Clin Trials Gov NumberNCT00209209). D’altra parte, considerando i datidi efficacia della citarabina provenienti dagli stu-di sui pazienti giovani, sarebbero da considera-re anche per pazienti anziani schemi terapeuti-

ci basati su questo farmaco, magari con ridu-zioni di dosaggio; - recentemente la sorprendente attività e la limi-tata tossicità di uno schema di induzione con-tenente bendamustina e rituximab sono statemesse in luce dallo studio prospettico randomiz-zato del gruppo tedesco StiL (67), pertantoanche questo regime è oggi da considerare frale terapie di prima linea del paziente anziano. Èprevedibile nei prossimi anni un incremento nel-l’utilizzo di questo farmaco, anche in schemi inte-grati con nuove molecole (come descritto in unasezione successiva); - la discussione su quale sia il migliore regimedi consolidamento da offrire ai pazienti anzianicon MCL è tuttora aperta: le evidenze di un pos-sibile ruolo dell’IFN-α nell’allungare la PFS sonopoco convincenti (24, 68) e in particolare in Italiasi registra meno entusiasmo per questo farma-co rispetto ad altri Paesi, anche a causa dei suoieffetti collaterali e della sua scarsa tollerabilità.Diverso è il discorso per il mantenimento conrituximab: se i primi dati in pazienti recidivatisono piuttosto favorevoli (69), i risultati del pri-mo studio prospettico randomizzato delloEuropean Mantle Cell Lymphoma Network (ClinTrials Gov Number NCT00209209) che parago-na il mantenimento con rituximab a quello conIFN-α in prima linea nell’anziano saranno pre-sto resi disponibili; - la radioimmunoterapia (RIT) con Y90 Ibritumomabtiuxetan (Zevalin®) potrebbe rappresentare un vali-do strumento terapeutico alternativo: infatti i risul-tati preliminari di uno studio sul consolidamentocon RIT dopo R-CHOP mostrano un nettomiglioramento dei tassi di risposte complete e unprolungamento della PFS (70), ma al momentodati più solidi a sostegno di questo tipo di trat-tamento non sono ancora disponibili. Pertanto allo stato attuale al di fuori di un trialclinico lo standard terapeutico per i pazienti noncandidabili per età o comorbilità a regimi tera-peutici aggressivi dovrebbe essere basato o suun regime R-CHOP-like oppure su un regimecontenente fludarabina e rituximab (R-FM o R-FC). Un discorso diverso deve essere fatto invece perquanto riguarda i soggetti anziani con moltepli-ci comorbilità, giudicati unfit o fragili da una valu-

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tazione geriatrica multidimensionale. Per questosottogruppo di pazienti le armi a disposizionesono al momento davvero poche e il trattamen-to deve essere inteso in senso meramente pal-liativo e di controllo a breve-medio termine deisintomi del linfoma. In questo senso sono sta-te proposte terapie per via orale a limitata tos-sicità con clorambucile, monoterapie con ritu-ximab oppure, tenendo conto dei recenti datitedeschi, schemi a base di bendamustina a dosiridotte (71). Infine alcuni di questi pazienti potrebbero gio-varsi in prima linea delle nuove molecole nonchemioterapiche, valutate al momento attuale dadiversi protocolli clinici in fasi più avanzate dimalattia (e descritte più dettagliatamente in unasezione successiva).

Terapia di salvataggioIl MCL è una malattia non eradicabile, pertantoil verificarsi della recidiva è purtroppo la regola.La criticità della recidiva è evidenziata dal diffi-cile approccio terapeutico a questo momentoinevitabile della storia naturale della patologia,caratterizzato da un’aumentata chemioresisten-za e dall’assenza di validi strumenti farmacolo-gici in grado di controllare a lungo termine la pro-liferazione neoplastica. Inoltre un’ulteriore pro-blematica può essere rappresentata dalle con-dizioni generali di questi pazienti al momento del-la recidiva, tenendo presente che l’età, lecomorbilità e le sequele delle tossicità determi-nate dalla prima linea di trattamento (general-mente aggressiva) possono limitare di molto lescelte terapeutiche successive. Non esiste al momento attuale una terapia stan-dard di salvataggio per il MCL in recidiva o refrat-tario: molti regimi terapeutici inducono ottime rispo-ste nei confronti del tumore ma quasi nessuno èin grado di eliminare le successive ricadute dimalattia, responsabili nella maggioranza dei casidella morte del paziente. Appare importante sot-tolineare come per questi pazienti l’arruolamentoin studi clinici di ricerca possa rappresentare unascelta estremamente appropriata, poiché consen-te di metter loro a disposizione gratuitamente eprecocemente farmaci efficaci, costosi e in molticasi non ancora prescrivibili.Cercheremo di seguito di sintetizzare il difficile

approccio terapeutico a questa fase critica del-la patologia, mettendo in evidenza i punti suiquali vi è maggiore accordo tra i clinici:- il trapianto allogenico di cellule staminali, gra-zie all’effetto graft-versus-lymphoma rimanel’unica opzione in grado di controllare a lungotermine il MCL recidivato. Pertanto tale approc-cio va considerato per ogni paziente giovane cherecidivi in seguito a una terapia di prima lineaappropriata (71). Grazie all’impiego dei regimi di condizionamen-to a intensità ridotta e alla selezione di pazien-ti chemioresponsivi, sono stati ottenuti, nel con-testo di esperienze unicentriche, tassi di rispo-sta completa molto elevati (superiori al 90%) euna PFS che sfiora il 50% a 6 anni, a prezzo diuna mortalità legata alla procedura di circa il 10%e di un’incidenza di graft-versus-host-diseasecronica in circa il 60% dei pazienti (72, 73).Rimane però da considerare come il trapiantoallogenico di cellule staminali possa essere appli-cato solo ad una minoranza di soggetti affetti daMCL, in dipendenza dall’età del paziente, dalladisponibilità di un donatore e dalla presenza diuna malattia non chemiorefrattaria; - i regimi di reinduzione sono vari e molto effi-caci, con tassi di risposta che raggiungono il 60-80% (con un 30-50% di risposte complete): glischemi più utilizzati comprendono il rituximab esi basano su fludarabina (R-FC/R-FCM), benda-mustina (R-B), citarabina-platino (R-DHAP) egemcitabina-platino (R-GEMOX) (62, 74, 75); - nei pazienti non allotrapiantati, risulta essenzia-le offrire un consolidamento o un mantenimento,a causa dell’elevato rischio di successiva recidi-va a breve termine. A questo scopo il manteni-mento con rituximab ha dimostrato la propria effi-cacia (69), mentre sono meno convincenti i datisulla radioimmunoterapia (RIT) (76). È ormai evi-dente invece come un regime autotrapiantologi-co in seconda remissione non offra garanzie ade-guate che ne controbilancino il costo in terminidi tossicità (73). Numerosi nuovi farmaci, poco tos-sici e di promettente attività, potranno in futuroentrare a far parte di efficaci programmi di man-tenimento della risposta, ma al momento sonoancora in fase di sperimentazione (e sarannodescritti in dettaglio più avanti); - per le recidive successive alla prima si può

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semplicemente considerare la ripetizione di unaterapia precedente, qualora questa abbia garan-tito un periodo di remissione prolungato (71). Inalternativa dovrebbe essere considerato unapproccio molecolare all’interno di uno studio cli-nico controllato, qualora disponibile. Al momento attuale i dati più maturi che sonostati pubblicati sui nuovi farmaci riguardano inparticolare il bortezomib, la lenalidomide e il tem-sirolimus e verranno descritti più dettagliatamen-te nella sezione successiva.

n NUOVI APPROCCI TERAPEUTICI E FUTURE POSSIBILITÀ DI SVILUPPO

Nonostante i successi terapeutici che negli ulti-mi anni hanno migliorato di molto la prognosi deipazienti affetti da MCL, questa malattia è con-siderata ancora oggi non eradicabile e il proble-ma di come evitare/posporre la recidiva e dicome trattarla una volta che si sia verificata rima-ne ancora del tutto aperto. Le conoscenze che si vanno accumulando sullabiologia e sulla patogenesi hanno consentitol’ideazione e lo sviluppo di nuovi approcci tera-peutici mirati a differenti bersagli molecolari, i piùimportanti dei quali sono semplicisticamente rap-presentati nella figura 2. Questi nuovi farmaci nonchemioterapici, grazie alla loro efficacia sulla

malattia e ai profili di tossicità relativamente favo-revoli, sono stati sperimentati sia nell’intento diincrementare il tasso di risposta alle terapie diinduzione, sia all’interno di regimi di mantenimen-to della risposta, sia per trattare recidive di malat-tia non più responsive alle terapie convenziona-li. Abbiamo cercato di schematizzare nella parteseguente e nella Tabella 3 le principali nuoveopzioni terapeutiche già sperimentate in trial cli-nici controllati e attualmente in corso di studio suserie numerose di pazienti; infine offriremo un rapi-do excursus sulle più promettenti molecole sin-tetizzate di recente in grado di rivestire in futuroun ruolo clinico significativo (77).1) Bortezomib (Velcade®). È un potente inibito-re selettivo e reversibile del proteasoma 26S cheha mostrato fin dalle prime applicazioni inmonoterapia risultati incoraggianti nei confron-ti del MCL recidivato o refrattario (78); tali rispo-ste obiettive sono verosimilmente legate all’ini-bizione della via di segnalazione del fattorenucleare NFκB, costitutivamente attivata inquesta neoplasia (79). La limitata tossicità di que-sta molecola (essenzialmente moderata trombo-citopenia, neuropatia e diarrea) e le evidenze invitro di sinergia farmacodinamica con agenti che-mioterapici (80) ne hanno favorito la sperimen-tazione in associazione alla citarabina e al ritu-ximab (R-DHAB) in seconda linea di terapia, contassi di risposta obiettiva nella metà dei pazien-

TABELLA 2 - Confronto efficacia/tossicità fra i più comuni regimi ad alte dosi per pazienti con MCL <65 anni.

Regime di Numero di CR Follow-up PFS OS Quantità di TRM Incidenza trattamento pazienti mediano citarabina di secondi

(anni) somministrata tumori(mg/mq)

R-Hyper 65 89% 8 52% 64% 36000-48000 8% 5%CVAD/R-MAa a 10 anni a 10 anni

R-HDSb 27 100% 10 46% 72% 24000 4% 3,7%a 10 anni a 10 anni

NLGc 160 90% 3,9 66% 70% 8000-12000 5% 1,3%a 6 anni a 6 anni

EuMCLNet 195 65% 2,3 65% 80% 18000 4% nd(exp.arm B)d a 3 anni a 3 anni

CR = tasso di risposte complete; PFS = progression-free survival; OS = overall survival; TRM = tasso di mortalità legata al trattamento; R-HDS = terapiasequenziale ad alte dosi supplementata da rituximab; NLG = Nordic Lymphoma Group; EuMCLNet = European Mantle Cell Lymphoma Network; nd = nondisponibile. aRomaguera et al., BJH 2010; bMagni et al., BMT 2009; cGeisler et al., Blood 2008; dHermine et al., Blood abstr 2010.

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ti (81). Il bortezomib dunque sembra pronto peressere lanciato in prima linea nel MCL in asso-ciazione con la chemioterapia, come suggeritodai brillanti risultati di uno studio appena pub-blicato (tassi di risposta completa fino al 70%indotti dall’associazione di bortezomib con che-mioterapia R-CHOP) (82).2) Talidomide e Lenalidomide (Revlimid®). La tali-domide, farmaco dalle note attività sull’angioge-nesi e sul microambiente midollare, è attiva con-tro il MCL se utilizzata in combinazione col ritu-ximab (83). In maniera ancora più marcata lalenalidomide, molecola immunomodulatoria diseconda generazione, determina in monotera-pia tassi di risposta fino al 50% in casi di MCLplurirecidivato (84, 85). Basandosi su questi dati,sulla limitata tossicità (neutropenia e tromboci-topenia moderate, lieve anemia) e sulla maneg-gevolezza della formulazione per os, la lenalido-mide potrebbe rivelarsi un ottimo farmaco peril mantenimento post-trapianto autologo, comeindagato dallo studio in corso della FondazioneItaliana Linfomi IIL-MCL0208 (EudraCT Number2009-012807-25).3) Temsirolimus (Torisel®). Il suo meccanismo diazione è piuttosto complesso: sinteticamentequesta molecola blocca la traduzione dell’mRNAdella ciclina D1 attraverso l’inibizione del media-

tore mTOR (bersaglio della rapamicina neimammiferi). Gli studi su pazienti plurirecidivatiriportano risultati interessanti, paragonabili in ter-mini di efficacia agli inibitori del proteasoma, contossicità prevalentemente di tipo ematologico(86, 87). Per questo motivo in Germania è sta-to attivato uno studio di fase II sull’utilizzo di tem-sirolimus in combinazione con bendamustina erituximab (BeRT - Clin Trials Gov NumberNCT01078142) per MCL o linfoma follicolare inrecidiva. Infine un composto simile ma in formu-lazione orale (everolimus/ rad001) ha dato risul-tati incoraggianti in diversi tipi di linfomi ed è incorso di sperimentazione anche nel linfoma man-tellare (88, 89).4) Nuovi farmaci in corso di sviluppo (Figura 2 eTabella 3):a) il flavopiridolo inibisce in maniera diretta le

CDK (chinasi ciclina-dipendente) 4 e 6,determinando una deregolazione della cicli-na D1: in uno studio di associazione con flu-darabina e rituximab ha fornito interessantirisultati su un ristretto gruppo di pazienti (90);

b) il CAL-101, un inibitore del PI3Kd (fosfatidi-linositolo-3-chinasi d) che blocca il signalingB-cellulare, ha dimostrato un’impressionan-te attività soprattutto nel linfoma mantellare(91, 92);

TABELLA 3 - Nuovi farmaci a bersaglio molecolare attualmente in corso di sperimentazione nel MCL.

Farmaco Meccanismo di azione Referenza Fase di studio Numero di pazienti ORR CR

Bortezomib Inibitore proteasoma (78) II 141 33% 8%

Talidomide* IMiD (83) II 16 81% 31%

Lenalidomide IMiD (85) II 39 41% 13%

Temsirolimus Inibitore mTOR (87) III 54 22% 2%

Everolimus Inibitore mTOR (88) II 19 36% 11%

Flavopiridolo** Inibitore CDK4 e 6 (90) I 10 80% 70%

Cal-101 Inibitore PI3Kd (92) I 8 75% nd

PCI-32765 Inibitore Btk (94) I 4 50% 0%

GA-101 Mab anti CD20 (95) II 15 27% 13%

Blinatumomab Mab anti (97) I 7 43% 14%CD3/CD19

ORR = tasso di risposte globali; CR = tasso di risposte complete; IMiD = farmaco immunomodulatore; mAb = anticorpo monoclonale; nd = non disponibile.*in associazione a rituximab; **In associazione a fludarabina e rituximab.

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c) gli inibitori della cascata di trasduzione delsegnale del recettore delle cellule B (BCR),come l’enzastaurina (inibitore della PKCβ: pro-teina chinasi Cβ) (93) e il PCI-32765 (inibito-re della Btk: tirosina chinasi di Bruton) (94);

d) tra i nuovi anticorpi monoclonali sono inte-ressanti i primi dati relativi al GA101, un anti-corpo anti-CD20 umanizzato di secondagenerazione (95) e dal blinatumomab, un anti-corpo monoclonale bispecifico anti-CD19/anti-CD3, che agisce reclutando linfo-citi T citotossici sulla superficie delle celluleB di linfoma (BiTE: Bi-specific T-cell-engaging)(96, 97).

n CONCLUSIONI

La passata decade ha registrato considerevolisuccessi nel campo del MCL, legati ad una for-te integrazione tra biologia, ricerca traslaziona-le e ricerca clinica. È stato possibile superare almeno in parte le pro-blematiche relative alla rarità di questo tipo isto-logico, grazie allo sviluppo di fruttuose sinergieinternazionali tra cui la più significativa è rappre-sentata dallo European Mantle Cell LymphomaNetwork. I principali elementi di progresso pos-sono essere così riassunti:a) sono stati chiariti alcuni aspetti essenziali del-

la patogenesi molecolare di questa patologia(98);

b) la miglior conoscenza biologica ha consen-tito di identificare alcune nuove molecolepotenzialmente sfruttabili a livello clinico chesono attualmente oggetto di attiva sperimen-tazione e alcune delle quali sono già impie-gate nella pratica clinica (77);

c) sono stati sviluppati degli efficaci marcatoriprognostici, in particolare lo score clinico MIPIe la valutazione della malattia minima residuain PCR, attualmente utilizzati nell’ambito disvariati studi clinici (34, 39, 40);

d) sono state definite le strategie terapeuticheottimali per la terapia di prima linea in parti-colare nel paziente giovane (71).

Grazie a questi importanti successi la prognosidel MCL è decisamente migliorata negli ultimianni (5). È importante notare che tale spinta pro-

pulsiva non sembra essersi affatto esaurita: glistudi attualmente in corso vedranno una sem-pre maggiore integrazione dei nuovi farmaci bio-logici nel contesto dei programmi terapeuticidisponibili e un sempre maggiore ricorso adapprocci risk-adapted. È quindi lecito attender-si un ulteriore significativo miglioramento dellasopravvivenza globale sia nei soggetti giovani siain quelli più anziani. Il più importante dei fattoricapaci di condizionare la velocità di questo pro-cesso in una patologia comunque non comunesarà la volontà degli onco-ematologi di inserirei pazienti con MCL all’interno di studi clinici con-trollati soprattutto di tipo multicentrico.

Ringraziamenti:Gli autori ringraziano Antonella Fiorillo e laDott.ssa Odetta Antico per il supporto segreta-riale e iconografico.

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43Linfoma mantellare

CHOP and 3x DHAP plus Rituximab followed by ahigh dose ARA-C containing myeloablative regimenand autologous stem cell transplantation (ASCT) issuperior to 6 courses CHOP plus Rituximab followedby myeloablative radiochemotherapy and ASCT inmantle cell lymphoma: results of the MCL youngertrial of the European Mantle Cell Lymphoma Network(MCL net) (Abstract). Blood. 2010; 116: 110.

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n INTRODUZIONE

Il linfoma linfoblastico (LBL) costituisce, insiemealla leucemia linfoblastica acuta (LLA), il gruppodei linfomi/leucemie dei precursori linfocitari (1).Con il termine di LBL si fa generalmente riferimen-to a malattie con interessamento prevalente deilinfonodi. La distinzione tra LBL e LLA è puramen-te clinica, generalmente arbitraria e basata sullapercentuale dei blasti midollari che nel caso deiLBL non dovrebbe superare il 25% (2). Da un pun-to di vista istomorfologico invece il LBL non èdistinguibile dalla LLA e in entrambi i casi la malat-tia può originare da un precursore della linea cel-lulare T o B. Anche da un punto di vista terapeu-tico i trattamenti del LBL e della LLA sono simi-li, basati sull’utilizzo di trattamenti polichemiote-rapici sequenziali ed intensivi. Pur in assenza diun razionale ben documentato sull’esistenza dichiare differenze biologiche tra LBL e LLA esistetuttavia un piccolo gruppo di pazienti con T-LBL,che peraltro rappresenta la maggioranza dei LBL,

per i quali si apprezzano maggiori differenze dipresentazione e di andamento clinico rispetto allacontroparte leucemica e per i quali è più verosi-mile mantenere una distinzione tra forma linfoma-tosa e leucemica.Il trattamento dei LBL non si discosta molto daquello della LLA, e deve prevedere programmi dichemioterapia intensificata diversi da quanto pre-visto per i linfomi non-Hodgkin (LNH) di tipo peri-ferico. La risposta completa ai trattamenti inizia-li è in genere buona aggirandosi attorno all’80-90%. Il problema maggiore della gestione di unpaziente con LBL è tuttavia l’elevato rischio di reci-diva che determina una sopravvivenza globale del50-60% a 5 anni di osservazione.Oggetto di questo lavoro di revisione è quello difornire un inquadramento generale dei LBL del-l’adulto. Verranno descritti gli aspetti epidemio-logici, biologici, clinici e le principali conoscenzesui trattamenti di questa rara patologia.

n EPIDEMIOLOGIA

Il LBL rappresenta una malattia molto rara nei sog-getti adulti (con un’incidenza inferiore al 2% deilinfomi non-Hodgkin), e colpisce prevalentemen-te gli adolescenti e i giovani adulti di sessomaschile. L’incidenza di LBL/LLA presenta unandamento bimodale con un primo picco com-preso tra i 2 e i 5 anni, in cui si registrano tra i 4e i 5 casi per 100.000 bambini ed un secondo pic-co che inizia dopo i 50 anni di età e raggiungeun tasso annuo di circa 2 casi per 100.000 per-

Indirizzo per la corrispondenza

Dr. Stefano LuminariRicercatore Universitario, Oncologia medicaDipartimento di Oncologia ed EmatologiaUniversità di Modena e Reggio EmiliaC/O Centro Oncologico ModeneseVia del pozzo, 71 - 41124 ModenaE-mail: [email protected]

Linfoma linfoblasticoLinfoma linfoblasticodell’adultodell’adultoSTEFANO LUMINARI1, ALESSANDRA DONDI1, GINO SANTINI2

1Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, Università di Modena e Reggio Emilia; 2Divisione di Ematologia Ematologia I, Azienda Ospedaliera San Martino, Genova

Stefano Luminari

Parole chiave: linfoma linfoblastico, chemioterapia, lin-foma dell’adulto, linfoma dei precursori

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sone (3). Relativamente ai pazienti adulti il tassoregistrato negli Stati Uniti per i soggetti di età com-presa tra i 25 e i 50 anni è di 0,4-0,6 casi per100.000, e aumenta di 2-3 volte nelle persone oltrei 60 anni.Complessivamente il fenotipo T è il più comune,rappresentando oltre l’80%-90% di tutte le for-me di LBL. Generalmente il rischio di ammalarsidi LBL è più elevato nei soggetti di razza biancarispetto ai neri e nei maschi rispetto alle femmi-ne. La maggiore prevalenza di LBL nei maschi èosservata in particolare nei casi a fenotipo T(4).In Italia i dati di incidenza sono sovrapponibili aquelli osservati per gli altri Paesi occidentali conun tasso complessivo di 1,6 casi/100.000 per imaschi e di 0,9 casi/100.000 per le femmine. Complessivamente, in base ai dati prodotti dalregistro tumori della provincia di Modena, si sti-ma che in Italia, nel corso del 2011, verranno dia-gnosticati circa 700 nuovi casi di LBL/LLA.Attualmente non sono noti fattori eziologici o dirischio specifici per i linfomi/leucemia linfoblasti-ci e in particolare per il LBL. Nei casi pediatriciun ruolo importante è sicuramente svolto da fat-tori genetici che invece sono meno od affatto notinell’adulto. Relativamente ai fattori ambientali, ènoto che il rischio di LLA è aumentato per effet-to dell’esposizione a radiazioni ionizzanti (3). Ilrischio di LLA può inoltre aumentare in seguito adesposizione a sostanze chimiche quali il benze-ne o ad agenti chemioterapici, in particolare aglialchilanti, agli inibitori delle topoisomerasi II e, piùraramente, alle antracicline (5, 6). Infine manca-no evidenze dirette sul possibile ruolo eziologicodegli agenti virali con l’unica eccezione rappre-sentata dai rari casi di leucemia/linfoma a cellu-le T dell’adulto associati ad infezione da virusHTLV1. Quanto sopra riportato potrebbe essereragionevolmente vero anche per il LBL dell’adul-to, anche se mancano dimostrazioni dirette sul-l’argomento.

n ANATOMIA PATOLOGICA ED IMMUNOFENOTIPO

Come già detto non esistono caratteristiche cito-logiche, fenotipiche e biologiche che consenta-no di distinguere un LBL da una LLA. Vale tutta-

via l’osservazione di casi relativamente più diffe-renziati per i LBL rispetto alle LLA (T-LBL timici,corticali o midollari, e LBL a cellule B più matu-re). La diagnosi morfologica di LBL e LLA è tut-tora basata sul sistema classificativo FAB (FrenchAmerican British) che distingue gli elementi cel-lulari in tre classi: L1, L2, L3. In base agli studiimmunofenotipici più recenti la distinzione tra L1e L2 ha perso molto significato; si conferma inve-ce l’importanza dell’identificazione dei casi conmorfologia L3 per la correlazione di questo cito-tipo con il linfoma di Burkitt (7).Nel LBL a cellule T, che rappresenta la maggio-ranza dei LBL dell’adulto, la morfologia è quelladel corrispondente linfoma a cellule B e della LLA(in genere FAB L1). Le cellule, di grandezza mediao piccola, hanno rima citoplasmatica per lo piùsottile, con positività focale paranucleare delle rea-zioni per la fosfatasi acida; il nucleo è rotondo odovoidale oppure variamente convoluto, con cro-matina finemente dispersa, nucleoli piccoli e pocoappariscenti o anche assenti. L’aspetto a nucleoconvoluto può essere presente solo in poche cel-lule oppure in più dell’85%: tali casi vengono con-siderati un sottotipo di T-LBL. Un’ulteriore varian-te del T-LBL è costituita dai casi a cellule grandie pleomorfe, simili a quelle della LLA FAB L2, connucleo convoluto e uno o più grandi nucleoli.L’attività mitotica è elevata in tutte le varianti diLBL. La proliferazione linfomatosa, di tipo diffu-so, spesso cancella del tutto l’architettura linfo-nodale, talora coinvolge solo aree T paracortica-li e interfollicolari. Si possono osservare aree diiperplasia di cellule epitelioidi a cielo stellato, adistribuzione focale. Capsula, tessuti molli peri-linfonodali, pareti vasali sono abitualmente infil-trati. In circa il 15% dei casi alle cellule linfoma-tose sono frammisti granulociti eosinofili e plasma-cellule. Nel timo, frequentemente interessato, soloi reperti immunofenotipici permettono di distingue-re il LBL dal timoma (1, 7, 8).Nel raro linfoma linfoblastico B (B-LBL) i linfobla-sti hanno una grandezza media, sottile orletto cito-plasmatico debolmente basofilo, nucleo rotondooppure convoluto, a rete cromatinica fine e condistinta membrana; i nucleoli sono piccoli e pocoappariscenti. I fini caratteri morfologici sono meglioapprezzabili nelle apposizione che nelle sezioni.Nel 10% circa dei casi i linfoblasti presentano

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nuclei più grandi, spesso convoluti, nucleoli pro-minenti, simili a quelli delle leucemie linfatiche acu-te di tipo L2: la presenza di una struttura croma-tinica finemente dispersa è l’unico reperto checonsenta di distinguere il linfoblasti di un LBL dal-le cellule dei linfomi indifferenziati non-Burkitt eda alcuni linfomi a grandi cellule B. La sub-clas-sificazione morfologica dei LBL in sottotipi anucleo convoluto, non convoluto, pleomorfo, nonha valore clinico. Negli organi infiltrati i linfoblastiappaiono uniformemente stipati. La struttura lin-fonodale è del tutto cancellata. Capsula e tessu-ti peri-linfonodali sono infiltrati e la presenza dimacrofagi può talora dar luogo ad immagini a cie-lo stellato. Nei linfoblasti si osserva intensa posi-tività citoplasmatica granulare delle reazioni cito-chimiche per il PAS, l’ATPasi e la 5-nucleotidasi.Le reazioni per la fosfatasi acida e per le estera-si non specifiche sono quasi sempre negative, maidi tipo focale. La diagnosi differenziale deve tene-re presente la variante blastica del linfoma man-tellare, le cui cellule tuttavia mostrano positivitàper la ciclina D1 e per la traslocazione cromoso-mica t(11;14) (1, 7).Il LBL è facilmente studiabile con analisi citofluo-rimetrica di cellule in sospensione ottenibili dalsangue periferico o midollare e/o da tessuto. Unaprima distinzione deve essere posta tra LBL a cel-lule B o T(9). Le caratteristiche fenotipiche dei T-LBL sono più complesse rispetto alle forme B. Ingenere i pazienti con T-LBL esprimono TdT e CD7,quest’ultimo presente nel 95-100% dei casi, varia-bilmente associati con altri antigeni quali il CD2,CD1, CD3, CD4 a seconda della fase di differen-ziazione cellulare. In una minoranza di casi èdescritta l’espressione di CD10. L’espressione delCD7 è attualmente considerata un requisitoessenziale per porre diagnosi di T-LBL; tuttavia,poichè CD7 può essere espresso anche da alcu-ni casi di B-LBL/LLA e da alcune leucemie mie-loidi, è necessario dimostrare una coespressio-ne con altri marcatori T (CD2, CD3 e CD5). Altremolecole variabilmente espresse sono CD99 eCD34. Nel 29-48% dei casi vi è espressionenucleare di TAL-1 (10). Per il T-LBL esistono alcu-ni sottotipi fenotipici: la forma pre-T che rappre-senta il 7% dei casi dell’adulto, la forma timicache costituisce il 13% circa dei casi ed è asso-ciata all’espressione di CD1a e la forma a cellu-

le T mature che rappresenta il 7% dei casi e pre-senta espressione di CD3. I T-LBL possono esse-re ulteriormente classificati in base alla tipologiadi riarrangiamento del T-cell receptor.Tra i pochi casi a fenotipo B sono identificabili ulte-riori sottotipi in analogia a quanto descritto perle B-LLA. La forma più frequente, diagnosticatanel 50% dei casi è il cosiddetto common-LBL,caratterizzato dall’espressione di TdT, CD19 eCD10. In una percentuale inferiore pari a circal’11% la diagnosi è di pro-B-LBL (altrimentidescritto come pre-pre-B o early pre-B), in cui latrasformazione neoplastica avviene in una fase piùprecoce dell’ontogenesi linfocitaria, caratterizza-ta dalla presenza di riarrangiamento del gene del-le catene pesanti delle immunoglobulina (IgH) madall’assenza di espressione di linea B; in questicasi è comunque presente l’espressione di TdTe di HLA-DR. La presenza di immunoglobulinecitoplasmatiche in un paziente con caratteristichedi common-LBL identifica i rari casi di pre-B-LBL.In un 4% dei casi è possibile porre diagnosi diLBL a cellule B mature, caratterizzato dall’espres-sione di TdT e di antigeni di superficie B maturiquali il CD19, CD20, CD22, e CD23; questo sot-totipo in particolare corrisponde più frequente-mente alla forma linfomatosa. Espressioni antige-niche aberranti sono infine descritte in una per-centuale variabile dal 30 al 45% dei casi pedia-trici e, in misura minore, dell’adulto. Tra gli anti-geni aberranti quelli mieloidi sono più frequentidegli antigeni della linea T.Nonostante siano state descritte numerosevarianti fenotipiche sia per i T-LBL che per i B, nonesistono attualmente dati che siano utilizzabilicome fattore prognostico in termini di sopravvi-venza. Si è solo osservato che più frequentemen-te i casi di T-LBL presentano fenotipi più maturi(corticali e midollari) rispetto alle forme T-ALL chesono più spesso pro-T e pre-T (11).

n ANOMALIE GENETICHE E CARIOTIPICHE

Sia nei LBL a cellule B che nelle forme T i genidelle immunoglobuline e del T-cell receptor (TCR)risultano riarrangiati e la presenza del riarrangia-mento è documentabile con diverse metodiche

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di biologia molecolare ed utilizzabile in fase di dia-gnosi e in corso di trattamento per monitorare larisposta alle cure. A differenza dei casi pediatri-ci per i quali sono descritte numerose variantigenetiche in base alle quali i pazienti sono divisiin gruppi ad alto, intermedio o basso rischio, peri LBL dell’adulto, molto più rari, alterazioni cro-mosomiche aggiuntive sono presenti nella mag-gioranza dei casi, ma ognuna è ripetuta in menodel 10% dei casi rendendone impossibile una veri-fica del ruolo prognostico (12, 13). Nella LLA cosìcome nel LBL l’alterazione cromosomica più fre-quente è rappresentata dal cromosomaPhiladelphia (Ph), risultato della traslocazionet(9;22) tipica della leucemia mieloide cronica(LMC). I casi Ph+ presentano un fenotipo B, han-no età più avanzata e si manifestano con contaleucocitaria più elevata. La maggior parte deipazienti adulti presenta il trascritto p190 del genedi fusione BCR-ABL prodotto dalla traslocazio-ne t(9;22) diversamente dai casi di LMC che pre-sentano il più comune trascritto p210, presentenel 25% dei LBL. È stato suggerito che l’espres-sione di p190 identifichi i casi di de novo LBL dif-ferenziandoli dai casi che si manifestano nella faseblastica della LMC. In uno studio in 304 pazienti con LBL condottoper identificare ulteriori lesioni geniche presenti inaggiunta al cromosoma Ph, sono state identifica-te frequenti delezioni del gene Ikaros (14). In par-ticolare le alterazioni di Ikaros, un fattore di tra-scrizione fondamentale per l’ontogenesi B-linfo-citaria, erano descritte solo nei casi di LBL pedia-trico e dell’adulto e mai nei casi di LMC. Anchenei casi non esorditi de novo tuttavia il gene Ikarosrisultava deleto nel passaggio alla fase blasticadella malattia (14). Lo stesso gene Ikaros nelle suediverse isoforme sembra avere un ruolo impor-tante nel determinare la resistenza ai trattamen-ti con inibitori delle tirosinochinasi (15). Oltre al cro-mosoma Ph nei B-LBL sono frequenti i riarran-giamenti del gene MLL1 sul cromosoma 11q23,descritti nel 10% dei casi. L’alterazione cromo-somica più frequente è rappresentata dalla tra-slocazione t(4;11) in cui il gene MLL1 viene fusocon il gene AF-4. Anche per i casi con t(4;11) èdescritta una prognosi più infausta rispetto aglialtri casi Ph- (13, 16).Dal punto di vista genico, T-ALL/LBL mostra pres-

soché sempre il riarrangiamento monoclonale deigeni del TCR. In circa il 20% dei casi c’è simul-tanea presenza di riarrangiamento dei geni delleIg. Un cariotipo anormale è presente in circa il 50-70% dei casi. Le più comuni anomalie citogene-tiche coinvolgono i loci del TCR: i loci delle cate-ne alfa e delta al 14q11.2, il locus beta al 7q35 eil locus gamma al 7p14-15 che possono averesvariati geni partners nella traslocazione. Nellamaggioranza dei casi queste traslocazioni porta-no a disregolazione di geni di trascrizione presen-ti nella regione partner della traslocazione che ven-gono giustapposti a geni regolatori dei loci delTCR traslocati. Tra i geni più comunemente coin-volti vi sono i fattori di trascrizione HOX11 (TLX1)(10q24) (nel 7% dei bambini e nel 30% degli adul-ti) e HOX11L2 (TLX3) (5q35) presente nel 20% deibambini e nel 10-15% degli adulti. Altri fattori ditrascrizione coinvolti nelle traslocazioni sono:MYC, TAL1, RBTN1, RBTN2 e LYL1 (1, 16).Tra le delezioni presenti, la più importante è ladel(9p) che determina la perdita del gene soppres-sore CDKN2A. Infine, in circa il 50% dei casi siosservano mutazioni che coinvolgono il geneNOTCH 1 che codifica per una proteina fonda-mentale per l’iniziale maturazione del linfocita T.La presenza di queste mutazioni missense nelgene portano come conseguenza all’aumento del-l’emivita della proteina NOTCH1. Secondo i datidi uno studio recente, la mutazione del geneNOTCH1 sembra associata ad una ridotta soprav-vivenza nei pazienti adulti e non nei bambini affet-ti da T-ALL (17).Analisi genomiche più complesse condotte suampie casistiche di LBL/LLA confermano di fat-to quanto già noto relativamente alla presenza dimultiple alterazioni geniche ampliando il numerodi loci coinvolti. Alcuni studi hanno mostrato lapresenza di lesioni genetiche nascoste nella pres-soché totalità dei casi di LBL/LLA dell’adolescen-te e dell’adulto, in analogia a quanto osservatonei casi di LLA pediatrici (18).Più recentemente, studi sui profili di espressionegenica mediante tecniche di DNA micro-array han-no evidenziato alcune signatures geniche che cor-rispondono a specifici stadi di maturazione chesi osservano durante lo sviluppo dei linfociti nor-mali (19). In particolare per i T-LBL: LYL1 signa-ture corrisponde allo stadio di pro-T, HOX11+

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signature allo stadio di corticale early, e TAL1+signature allo stadio corticale late. Studi clinici indi-cano che il gruppo di pazienti con signature di tipoHOX11+ sembra avere una prognosi relativamen-te favorevole. Molti altri studi, sempre basati su GEP, hannoidentificato svariati fattori prognostici genici manella maggior parte dei casi gli studi sono staticondotti su casistica pediatrica di T-ALL. Nel2006 e 2007 sono stati pubblicati dati di parti-colare interesse che differenzierebbero la T-ALLdal T-LBL ed il gene-profile identificherebbe pos-sibili e potenziali targets terapeutici differenzia-ti (20-23).Tuttavia poco o nulla è stato fatto su casisticheadulte, soprattutto se il campo si restringe al LBL.Una recente recensione sul T-LBL sottolinea chele caratteristiche cliniche, immunofenotipiche e larisposta alla terapia od al trapianto, come piùavanti riportato, sembrerebbero riflettere il con-fronto tra malattie simili, una localizzata (T-LBL)ed una sistemica (T-LLA) (23). Tuttavia, la man-canza di dati sulla malattia residua minima(MRM) e la scarsità di notizie sul profilo genico,e su quanto questi possano incidere sull’anda-mento della malattia, sulla risposta alla terapia, osu una potenziale differenza tra le due entità, impli-cano che questo argomento resta completamen-te da chiarire.

n ASPETTI CLINICI

Al momento attuale la clinica rappresenta il prin-cipale criterio diagnostico per identificare i casidi LBL rispetto alla più comune LLA. La maggiorparte dei paziente con ALL si presentano all’esor-dio della malattia con i tipici sintomi e i segni cli-nici e di laboratorio dell’insufficienza midollare. Neipazienti con LBL non potendo essere presenteper definizione un marcato infiltrato midollare que-sto quadro clinico è meno frequente e prevalgo-no i sintomi d’organo (2). Gli organi più frequen-temente coinvolti sono i linfonodi, il fegato e la mil-za. Il coinvolgimento del SNC è anche frequen-te (24). Tra i diversi sottotipi di LLA/LBL dell’adul-to la forma che si manifesta più frequentementecome linfoma è il T-LBL. Il T-LBL si evidenzia spes-so a livello mediastinico anteriore (timico) anchese può coinvolgere ogni sede linfonodale o extra-nodale (cute, tonsilla, fegato, milza, sistema ner-voso centrale e testicolo). Comune è anche uncoinvolgimento della pleura.Anche nei casi di LBL il coinvolgimento midolla-re è comune ma tende a comparire durante il cor-so della malattia (fino al 50% dei casi), spesso conrapida progressione sino alla fase leucemica chepuò costituire l’ evento finale. La malattia si pre-senta in oltre il 50% dei casi in stadio avanzato(Tabella 1).

TABELLA 1 - Caratteristiche cliniche dei pazienti con LBL (%).

Morel et al. (47) Sweetenham et al. (48) Sweetenham et al. (28)

N 54 214 119Fenotipo T 85 55 68

B 2 23 25Null 13 2 2NV 0 20 5

Età Mediana 33 27 26Range 15-76 16-57 14-65

Sesso M 65 71 70Sintomi B 46 39 32Bulky (>10 cm) 61 30 -Sedi EN 1+ 48 - -Hb <10 g/dl 11 - -Stadio I-Ie 10 5 8

II-IIe 33 17 27III-IV 57 70 62

Legenda: N: Numero; EN: Extranodale; Hb: Emoglobina; NV: Non valutabile.

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I pazienti con LBL sono comunemente stadiaticon il sistema di Ann Arbor utilizzato per gli altriLNH. Rispetto ad altri sistemi di stadiazione comequello proposto da Murphy (2) per i casi pedia-trici, la stadiazione di Ann Arbor sembra fornirenel paziente adulto le migliori informazioni ai finiprognostici. Lo stadio di un paziente con LBLdeve essere definito con un approccio classico,ovvero con esami di laboratorio, biopsia osteo-midollare e TAC con mezzo di contrasto. Visto ilfrequente coinvolgimento del SNC è inoltre rac-comandato lo studio radiologico dell’encefalo el’esecuzione di un esame liquorale. L’esameliquorale, in particolare, deve essere sempre com-pletato con analisi citologica e citofluorimetricaalla ricerca di piccole popolazioni linfocitarie clo-nali.Nonostante il LBL sia una neoplasia ad alta atti-vità proliferativa e ad elevato metabolismo non visono attualmente dati sufficienti per suggerire diutilizzare la PET con FDG anche in questa pato-logia, se non nell’ambito di studi controllati.

n SOPRAVVIVENZA E FATTORI PROGNOSTICI

Complessivamente con i trattamenti più moder-ni la sopravvivenza dei pazienti con LBL si atte-sta attorno al 50-60% a 5 anni (26, 27).Ad oggi non esiste un sistema di stratificazione pro-gnostica specifica per i LBL anche se la possibi-lità di identificare correttamente il rischio individua-le dei pazienti potrebbe avere importanti risvolti nel-l’impostazione del programma terapeutico. Fattori comunemente descritti come associati aduna prognosi più infausta sono l’età con un limi-te a 30 anni, la presenza di stadio III-IV, l’interes-samento midollare, il coinvolgimento del sistemanervoso centrale (SNC), la presentazione leuce-mica, la presenza di sintomi B e di valori elevatidi LDH (25). Ulteriori fattori prognostici sfavore-voli sono rappresentati da un punteggio superio-re a 2 dell’indice prognostico internazionale IPI edal tempo impiegato per raggiungere una remis-sione completa.Gli studi più recenti condotti su casistiche ampiee utilizzando trattamenti moderni hanno messoin discussione il ruolo prognostico dei parame-

tri clinici e demografici precedentemente descrit-ti (26, 27). Anche lo studio europeo randomiz-zato sul trapianto di midollo non ha dimostratol’esistenza di fattori predittivi dell’outcome nelLBL dell’adulto, non confermando tra l’altro ilruolo prognostico dell’indice prognostico inter-nazionale (IPI) (28).La definizione di categoria ad alto rischio che rima-ne di fondamentale importanza per impostare unprogramma di cura adeguato dovrà necessaria-mente integrare le attuali conoscenze cliniche coni più moderni dati biologici.Le maggiori novità sulla definizione della progno-si dei LBL sono attese dagli studi sulla MRM. Lapresenza di riarrangiamento dei geni delle immu-noglobuline o del T-cell receptor, o la presenzadel cromosoma Ph offrono infatti strumenti mol-to importanti per poter definire con elevata sen-sibilità la qualità della risposta ai trattamenti e perpoter monitorare l’andamento della malattiadurante la fase di follow-up (29). Gli studi sulla MRM riguardano soprattutto i casidi LLA pediatrica e concordano nell’identificarel’ottenimento della risposta molecolare qualeimportante fattore prognostico indipendente. Inparticolare in uno studio condotto dal gruppoGMALL i pazienti con MRM hanno fatto osser-vare un tempo mediano alla recidiva di 9,5 mesi,mentre solo il 6% dei pazienti con negativizzazio-ne della MRM sono recidivati (30). I dati ottenutiper la LLA potrebbero essere estesi anche ai LBLtuttavia in questi casi è opportuno considerare lapossibilità di false negatività legate alla potenzia-le assenza di infiltrato midollare.

n TERAPIA NELL’ADULTO

La rarità del LBL ha molto limitato lo studio del-la malattia e a tutt’oggi sono disponibili solo pochepubblicazioni ed in genere riferite a pochi pazien-ti. In una serie iniziale di 95 pazienti riportati daNathwani et al. (31), la sopravvivenza mediana alungo termine è stata di soli 17 mesi e solo il 15%dei pazienti erano vivi a 30 mesi. Tuttavia è necessario precisare che i giovani edadulti trattati negli anni ’60 e fino agli anni ‘70 han-no ricevuto sicuramente trattamenti inadeguati. Lachemioterapia (CT) cosiddetta ciclica, non inten-

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siva e non sequenziale, usata in quegli anni e simi-le a quella utilizzata nei linfomi non-Hodgkin, hamostrato risultati deludenti anche nei bambini conLBL, con sopravvivenza di circa il 10% a 5 anni(32).Tra il 1970 ed il 1980, nei bambini furono utiliz-zati trattamenti più intensivi con un miglioramen-to significativo dell’outcome (2, 33). Questi inclu-devano regimi induttivi di tipo intensivo, profilas-si del SNC, terapia di consolidamento e terapiadi mantenimento. Risultati molto stimolanti furo-no riportati da Wollner et al. (34) in giovani trat-tati con una CT sequenziale intensificata, il regi-me LSA2L2. Questo ottenne in un gruppo di pazienti con lin-foma aggressivo in stadio avanzato, il 40% deiquali era costituito da LBL una probabilità disopravvivenza globale (OS) del 76%, con 25 mesidi mediana di osservazione. In considerazione diciò l’adozione di schemi simili, sequenziali e/o piùaggressivi, fu estesa anche agli adulti. Lo stessoautore (35), utilizzando uno schema variato delladurata di 3 anni, riporta nel linfoma linfoblasticodel bambino in stadio III-IV una OS ed una soprav-vivenza libera da eventi (EFS) pari rispettivamen-te al 90% e all’85%. Tuttavia, come descritto daHvidzala et al. (36) rimaneva un gruppo a progno-si infausta rappresentato dai casi pediatrici in sta-dio IV; la sopravvivenza libera da malattia (DFS)di questo sottogruppo di pazienti risultava infat-ti inferiore al 20%.Molti studi sul LBL dell’adulto hanno usatoschemi simili a quelli utilizzati nella ALL. Il grup-po di studio di Stanford (37) pubblicò i risultati diuno studio pilota intensivo in 14 LBL con risulta-ti buoni in termini di risposta (100%) ma con unaserie di problemi legati a frequente ricaduta nelSNC. Lo schema fu successivamente modifica-to includendo una fase induttiva CHOP-like, eaggiungendo la somministrazione settimanale divincristina ed asparaginasi, la profilassi del SNC,programmando 4 blocchi di consolidamento eterapia di mantenimento, il tutto per la durata di1 anno. Nei 44 pazienti trattati la risposta fu del100% (risposta completa, (RC): 95%; risposta par-ziale, (RP): 5%), con una OS ed un tempo liberoda recidiva (FFS) del 56%. Anche in questa espe-rienza si confemava il limite della terapia neipazienti in IV stadio, i quali continuavano a rica-

dere durante e al termine terapia ottenendo unaOS a 3 anni del 20%. Oltre alla diagnosi in sta-dio IV altri fattori prognostici sfavorevoli erano lapresenza di coinvolgimento midollare o del SNC,e l’aumento >150% della LDH.Slater et al. (25) hanno pubblicato la loro espe-rienza su 51 pazienti con LBL trattati con 5 sche-mi successivi LLA-like.I pazienti con >25% di infiltrato midollare o conblasti circolanti vennero classificati come LBLleucemici, gli altri come non leucemici. La RCfu del 78%, 18 pazienti ricaddero o morirono percomplicazioni, e la sopravvivenza a 5 anni fu del45%. Tuttavia, nel LBL non leucemico la DFS fu di cir-ca il 75%. Non vi fu differenza tra questi pazien-ti e pazienti con LLA in termini di OS (circa 50%).Fattori negativi per la sopravvivenza furono l’età>30 anni, globuli bianchi >50.000 mm3, il non otte-nimento della RC o una RC ottenuta dopo 4 set-timane (25).Mazza et al. (38) riportarono, in 64 pazienti adul-ti, una RC del 38% con una terapia CHOP-likeed una RC del 50% con lo schema LSA2L2. LaRC fu del 77% in stadio I-II e del 35% in stadioIII-IV. La sopravvivenza degli stadi III-IV fu tra il10% ed il 20%.Levine et al. (39) avevano ottenuto in 15 LBL, conuno schema LSA2L2 modificato, una RC del 73%,con una DFS di circa il 50%.Bernasconi et al. (40) riportarono i dati su 31pazienti adulti, trattati con uno schema LLA-like.Il trattamento ottenne una RC del 77%, consopravvivenza libera da recidiva (RFS) del 50%a 18 mesi, ed OS a 4 anni del 35%. Gli stadi IVmostrarono una prognosi significativamente peg-giore nei confronti degli stadi iniziali.Il Gruppo tedesco ha pubblicato i risultati di dueschemi terapeutici utilizzati nel T-LBL ma anchenella LLA (26). In particolare, sono stati definiti T-LBL i pazienti con un infiltrato midollare ≤25%.La terapia nel LBL, raccomandata per circa 1anno, includeva una induzione a 8 farmaci, conchemio-radioterapia (CT/RT) cranica profilattica eradioterapia (RT) mediastinica, seguite da terapiadi consolidamento e da terapia reinduttiva. In ter-mini di risposta, 42/45 pazienti (93%) ottennerouna RC e 2 pazienti (4%) una RP. La RC fu del100% nei pazienti in stadio I-III e del 89% in

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pazienti in stadio IV. Il 36% dei pazienti ricadde,con una OS e DFS a 7 anni del 51% e del 62%rispettivamente. La ripresa di malattia mediasti-nica fu l’evento più frequente. Non vi furono fat-tori prognostici negativi individuabili.L’osservazione finale è che è possibile ottenereun’alta percentuale di RC con schemi disegnatiper la LLA ma che è anche auspicabile una tera-pia più intensificata e che sia estesa l’indicazio-ne al trapianto con cellule staminali.Nel 2004 il gruppo di Houston ha pubblicato i risul-tati dello hyper-CVAD (27). Con due schemi simi-li della durata di circa 3 anni, vennero trattati 33pazienti: 80% erano T-LBL, 70% erano in IV sta-dio, 70% avevano coinvolgimento mediastinico,9% coinvolgimento del SNC, e 15% un infiltratomidollare < al 25%. Il 91% dei pazienti ottenne unaRC ed il 9% una RP. Con una mediana di osser-vazione di 13 mesi, il 30% dei pazienti ricadde. Le curve attuariali del T-LBL mostrano una pro-babilità di sopravvivenza libera da progressione(PFS) e OS del 62% e del 67%, rispettivamente.Nessun fattore potenzialmente prognostico hamodificato l’outcome. Le osservazioni finali sono

che l’aggiunta di antracicline liposomiali allo sche-ma originale non migliora l’outcome e che appa-re auspicabile l’utilizzo di anticorpi monoclonali e/oanaloghi delle purine.Il dato che colpisce in questa prima fase diosservazione è che l’evoluzione terapeuticaabbia decisamente aumentato la possibilità diRC ma che una serie di fattori prognostici mol-to variabili ed incerti, probabilmente per l’esigui-tà dei pazienti trattati, ed in particolare lo sta-dio avanzato (IV), pregiudichino l’outcome. Ilfenomeno della ricaduta, contenuta negli ultimistudi attorno al 30%-35%, sembra poi indipen-dente dal fatto che il paziente sia in RC ed interapia di mantenimento. L’altra osservazione èche la durata della terapia oscilla tra 1 e 3 annie la durata del trattamento pregiudica la quali-tà di vita del paziente.

Ruolo della radioterapiaNonostante il LBL sia una malattia radiosensibi-le, il trattamento localizzato è stato abbandona-to come procedura di routine da quando si sonoiniziati ad utilizzare schemi polichemioterapici

TABELLA 2

Studio Anno N. pazienti DFS (%)

Autotrapianto in prima RCMilpied et al. (49) 1989 13 68Santini et al. (50) 1991 18 74Baro et al. (51) 1992 14 77Morel et al. (47) 1992 5 60Verdonck et al. (52) 1992 9 67Sweetenham et al. (48) 1994 105 63Jost et al. (53) 1995 17 31Zinzani et al. (54) 1996 10 70Bouabdallah et al. (55) 1998 16 62Conde et al. (56) 1999 58 76Sweetenham et al. (28) 2001 31 55Levine et al. (41) 2003 47 44N. tot di pz e mediana di DFS (range) 343 65 (31-77)

Allo-trapianto in prima RCMilpied et al. (49) 1989 12 68Bouabdallah et al. (55) 1998 11 91Sweetenham et al. (28) 2001 12 58Levine et al. (41) 2003 24 39N. tot di pz e mediana di DFS (range) 59 63 (39-91)

Da: Aljurf M and Zaidi SZ. (modificata) (57).

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intensificati, principalmente per cercare di limita-re la tossicità dei trattamenti. Ad oggi tuttavia non vi sono sufficienti dati perpoter confermare o meno se l’aggiunta della radio-terapia nei pazienti con lenta risposta a livello dilocalizzazioni bulky incrementi l’efficacia dei trat-tamenti, con l’unica eccezione per la malattiamediastinica dove la RT è ancora raccomanda-ta (26). L’uso della radioterapia è attualmente uti-lizzato come misura profilattica della malattia cere-brale in combinazione con gli schemi BFM (irra-diazione del cranio con 12Gy). Vi è invece indi-cazione alla radioterapia encefalica nei rari casidi localizzazioni documentate al SNC.

Trapianto con cellule staminaliBenché la terapia intensificata o ALL-like abbiamodificato la possibilità di ottenimento della RCe l’outcome del LBL dell’adulto, la sopravviven-za è ancora breve in molte serie di pazienti, col-locandosi attorno al 50-60%, e molti pazienti rica-dono, anche nel corso della terapia, e per unperiodo di circa 3 anni. Come conseguenza, laterapia ad alto dosaggio con trapianto autologo(ABMT) o allogenico è stata utilizzata per conso-lidare la prima RC dopo CT convenzionale.I dati disponibili in letteratura suggeriscono cheuna terapia di induzione-consolidamento segui-ta da trapianto autologo o allogenico possanomigliorare l’outcome del LBL in termini di DFS. Ètuttavia ancora poco chiaro se e quali pazienti,definibili a maggiore rischio alla diagnosi, debba-no necessariamente utilizzare questa terapia.La tabella 2 mostra un sommario di dati recentisul trapianto di midollo e/o cellule staminali peri-feriche. Dall’analisi di questi studi, emerge chel’autotrapianto mostra un trend favorevole in ter-mini di DFS nei confronti della CT convenziona-le, ma questa procedura non sembra migliorarestatisticamente la OS. Questo dato emerge dal-l’unico studio randomizzato del Gruppo Europeoche ha confrontato CT convenzionale ed ABMTin 65 pazienti con LBL in risposta dopo una indu-zione-consolidamento convenzionale (28).I dati degni di nota di quest’ultimo studio, chericalcano a grandi linee quanto riportato negli stu-di di fase II, sono che:- i pazienti trattati con CT convenzionale ricado-no per circa 3 anni mentre quelli sottoposti a

ABMT ricadono, in genere, nel primo anno (RFS55% vs 24%, p=0.06);- la OS è simile (ABMT, 56%; CT, 45%; p=0.70)poiché i pazienti ricaduti dopo CT convenziona-le possono utilizzare l’ABMT come salvataggio;- non sono emersi fattori prognostici sfavorevoliche possano indicare un sub-set di pazienti in cuisia suggeribile l’ABMT;- la sopravvivenza in accordo all’IPI aggiustato perfascia d’età mostra una differenza statistica a sfa-vore dei pazienti con 3 fattori prognostici sfavo-revoli alla diagnosi (OS <10%; p=0.01);- la sopravvivenza di 12 pazienti avviati al trapian-to allogenico è del 58%, quindi sovrapponibile aquanto osservato con la procedura autotrapian-tologica. Il trapianto allogenico utilizzato in primaRC è caratterizzato da una DFS simile a quantoosservato con il trapianto autologo. Questo nonè legato ad una ricaduta analoga delle due pro-cedure, ma alla elevata mortalità legata alla pro-cedura allotrapiantologica, a fronte di una mino-re ricaduta di malattia (41). Studi successivi, pub-blicati dallo EBMT Group (42), dal Gruppo fran-cese (43), e da Gruppi di studio giapponesi ecanadesi (44, 45) non hanno apportato modifichedi contenuto a quanto detto sopra.In sintesi l’ABMT è caratterizzato da ricadute piùfrequenti nei confronti del trapianto allogenico equest’ultimo da un maggior numero di decessilegati alla procedura. Ne consegue che i risultatia lungo termine sono sovrapponibili. Per questomotivo, in molti centri, il trapianto allogenico vie-ne prosposto in alternativa, ove possibile, all’ABMTqualora quest’ultimo sia ritenuto opportuno.Ovviamente, la prognosi dei casi trapiantati oltrela prima RC od in presenza di malattia, argomen-to qui non discusso, è peggiorativa rispetto a quel-la dei pazienti trapiantati in prima RC.

Terapia della recidivaLa recidiva nei pazienti con LBL coinvolge nellamaggior parte dei casi le sedi coinvolte inizialmen-te ma possono comparire localizzazioni al SNCo midollari. I pazienti in recidiva sono generalmen-te trattati in maniera analoga ai pazienti con reci-diva di LLA ad alto rischio e con trattamenti siste-mici a più farmaci.L’outcome del paziente con LBL in recidiva è ingenere molto sfavorevole e inversamente corre-

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lato con la durata della risposta alla prima lineadi trattamento. I pazienti con B-LBL tendono adavere una maggiore probabilità di ottenere unaseconda remissione rispetto ai T-LBL.

Nuovi farmaciLo sviluppo recente di nuovi farmaci antitumoralinon-mielosoppressori e non cross-resistenti coni trattamenti convenzionali ha apportato importan-ti possibilità di miglioramento nel campo dellemalattie linfoproliferative. Limitatamente ai casi diLBL/LLA tuttavia le novità possibili sono abbastan-za limitate (46). Migliori prospettive sembrano offer-te dalle piccole molecole, prevalentemente ad atti-vità anti tirosinochinasica e dagli anticorpi mono-clonali. Tra gli inibitori delle tirosinochinasi, il far-maco imatinib è utilizzabile nei casi di LBL porta-tori di cromosoma Ph. L’efficacia e la buona tol-lerabilità dell’aggiunta di imatinib o dasatinib allaterapia citotossica sono dimostrate per i casi di LLAPh+ ma i dati relativi ai LBL sono molto scarsi. Oltre agli inibitori delle tirosinochinasi classici sonoattualmente in fase di sviluppo clinico nei LBL gliinibitori di src, un gruppo di tirosinochinasi nonrecettoriali e gli inibitori dell’angiogenesi.Tra gli anticorpi monoclonali il rituximab fa già par-te dei farmaci utlizzati nei casi a fenotipo B e amaggiore grado di differenziazione, dal momen-to che l’espressione di CD20 è acquisita in unafase relativamente tardiva dello sviluppo dei pre-cursori linfocitari. L’aggiunta di rituximab nondetermina un aumento della tossicità comeosservato nei LNH B periferici. Una dimostrazione, chiara e metodologicamen-te corretta, di aumento dell’efficacia dei trattamen-ti con l’aggiunta di rituximab non è attualmentedisponibile. In ogni caso prima di decidere seaggiungere rituximab al trattamento citotossico èsempre indicato documentare l’espressione diCD20 sulla biopsia diagnostica.Target più interessanti del CD20 per lo sviluppodi nuovi anticorpi monoclonali per i LBL sono rap-presentati da antigeni di superficie più precoci,quali il CD19 e il CD22. Per entrambe le proteine sono in fase di svilup-po più o meno avanzata anticorpi monoclonalinudi o coniugati con immunotossine. I risultati diefficacia non sono attualmente disponibili edovranno essere rivalutati nei prossimi anni.

n CONCLUSIONI

Il LBL rappresenta una rara forma di LNH e in basealle conoscenze attuali non è distinguibile dallapiù comune LLA. La malattia ha un decorso estre-mamente aggressivo e necessita di un trattamen-to immediato con programmi intensivi.Nonostante la rarità della malattia ed il grandenumero di approcci utilizzati nel trattamento delLBL dell’adulto, si possono fare alcune conside-razioni:- i trattamenti più intensivi, o LLA-like di ultimagenerazione, sembrano superiori ai programmiLNH-like;- induzioni-consolidamenti di breve durata neces-sitano di mantenimento per ridurre il rischio di rica-duta;- è necessaria una CT profilattica intratecale perridurre il rischio di ripresa a livello del SNC;- il trapianto autologo ed allogenico sono stati uti-lizzati come consolidamento dopo una fase diinduzione-consolidamento convenzionale. Leprocedure sembrano migliorare la DFS ma nonla sopravvivenza. Il trapianto allogenico è anco-ra caratterizzato da un’elevata mortalità e questofa sì che la OS e la DFS ottenute da trapiantoautologo ed allogenico siano uguali;- la CT ha una durata di 1-3 anni. La procedura tra-piantologica viene sviluppata nell’arco di 4-6 mesi:questo sembra migliorare la qualità di vita deipazienti. In genere, per il rischio peri-procedurale,si preferisce l’utilizzo del trapianto autologo comeprima scelta e del trapianto allogenico come secon-da scelta, quindi come salvataggio;- non sappiamo, a tutt’oggi, quale terapia sia real-mente più indicata poiché manca completamen-te la definizione di alto rischio nel LBL dell’adulto.Dal momento che non sono disponibili a tuttioggi modelli prognostici clinici e/o biologici-molecolari efficaci e validati per valutare l’out-come del LBL e stabilire quali pazienti possa-no o debbano accedere alle terapie intensifi-cate di tipo trapiantologico, è necessario con-tinuare a condurre programmi di ricerca conl’obbiettivo di raccogliere casistiche ampie edomogenee per cercare di identificare parame-tri predittivi di alto rischio a evoluzione sfavo-revole e definire con approccio moderno l’ef-fetto dei trattamenti sistemici.

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59Linfoma linfoblastico dell’adulto

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61

n INTRODUZIONE

I linfomi T comprendono numerose entità pato-logiche spesso rare e tuttora solo parzialmenteconosciute. Una loro trattazione approfondita èal di fuori dello scopo del presente lavoro, nel qua-le verranno trattati in particolare gli aspetti clini-co patologici rilevanti delle entità relativamente piùfrequenti nell’ambito dei linfomi T sistemici, cioèi linfomi T periferici, non altrimenti specificati, il lin-foma anaplastico, il linfoma angioimmunoblasti-co e i linfomi T/NK.

n CARATTERISTICHE GENERALI

Le neoplasie a cellule T/NK sono patologie clo-nali dei linfociti T o NK, maturi o immaturi, a diver-si livelli di differenziazione. Nella più recente clas-sificazione della World Health Organization (WHO)del 2008 i linfomi T e NK sono considerati insie-me per la stretta correlazione tra i due subsets dilinfociti, in termini sia di caratteristiche immuno-fenotipiche sia di funzione.

La classificazione WHO delle neoplasie linfoidi sibasa sulle caratteristiche biologiche (morfologia,immunofenotipo, genetica, biologia molecolare),sulla presentazione clinica e sulla correlazione traciascuna entità e la propria controparte norma-le, considerato che le neoplasie linfoidi sembra-no ricapitolare i diversi stadi differenziativi dellalinfopoiesi stessa.Le neoplasie che derivano dai precursori dei lin-fociti T (dal progenitore staminale fino a timocitimidollari) sono raggruppate sotto il nome di T-Lymphoblastic Lymphoma/Leukemia; mentre leneoplasie che derivano dalle cellule T mature(post-timiche) e dalle cellule NK sono raggruppa-te sotto il nome di Peripheral (mature) T-cell(PTCLs) and NK cell lymphomas/leukemias. Lacategoria dei PTCLs comprende un gruppo mol-to eterogeneo di entità tra cui è possibile distin-guere le forme “specificate”, con caratteristicheclinico-patologiche ben distinte, dalle forme “nonaltrimenti specificate”, fra le quali sono verosimil-mente comprese malattie diverse ma non anco-ra sufficientemente caratterizzate.La lista completa dei linfomi a cellule T/NK matu-re secondo la terza e la quarta classificazioneWHO, pubblicate rispettivamente nel 2001 e nel2008, è riportata in tabella 1 (1). Nella classifica-zione WHO, pubblicata nel 2001, i PTCLs eranostati suddivisi in diverse categorie: le entità adespressione prevalentemente leucemica/dissemi-nata, extranodale, cutanea e linfonodale (4). Talesuddivisione non è stata mantenuta dalla classi-ficazione WHO del 2008 per la frequente sovrap-posizione tra le diverse categorie (1). Inoltre, come

Indirizzo per la corrispondenza

Dr. Giuseppe RossiStruttura Complessa di EmatologiaSpedali Civili di BresciaPiazzale Spedali Civili, 1 - 25100 BresciaE-mail: [email protected]

Linfomi non Hodgkin Linfomi non Hodgkin T/NKT/NKANNALISA PELI, GIUSEPPE ROSSIStruttura Complessa di Ematologia, Spedali Civili, Brescia Giuseppe Rossi

Parole chiave: linfomi T periferici, caratteristiche cli-nico-patologiche, terapia

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62 Seminari di Ematologia Oncologica

indicato in tabella 1, nella classificazione del 2008sono state riconosciute nuove entità ed entitàprovvisorie. La classificazione WHO comprende le forme extra-nodali cutanee, fra cui la micosi fungoide, che èl’entità largamente più frequente fra i linfomi T. Essasi presenta prevalentemente in stadio iniziale e alivello esclusivamente cutaneo dove tende arimanere durante gran parte del suo decorso cli-nico. Per questo la sua gestione, così come quel-la degli altri linfomi T cutanei, è per molto tempodi tipo esclusivamente dermatologico nella mag-gior parte dei pazienti. Di conseguenza esiste unaclassificazione EORTC dei linfomi cutanei (2), inter-nazionalmente accettata e utilizzata, solo parzial-mente integrata nella classificazione WHO, ed esi-ste un sistema di stadiazione specifico della mico-si fungoide (3), che prescinde dai criteri classifi-

cativi di Ann Arbor utilizzati nei linfomi. Il ruolo del-l’ematologo è marginale e limitato alle fasi termi-nali di queste patologie, quali la sindrome di Sezary,mentre sarebbe auspicabile una maggiore colla-borazione per migliorare risultati terapeutici tutto-ra insoddisfacenti. La gestione dei più rari PTCLè invece prettamente emato-oncologica. I PTCLs presentano le caratteristiche immunofe-notipiche e genetiche dei linfociti T post-timici odelle cellule NK mature (1, 5). Ad esempio, la leu-cemia prolinfocitica T (T-PLL) deriva dalle celluleT naive allo stadio maturativo intermedio tra il timo-cita corticale e il timocita naive della zona midol-lare; i linfomi T extranodali derivano dai linfociti Tcitotossici; i linfociti T γδ danno origine al linfomaepatosplenico (hepatosplenic T cell lymphoma,HSTL) mentre i linfociti T αβ dell’epitelio intesti-nale danno origine al linfoma T enteropatico

TABELLA 1 - Confronto tra le classificazioni della WHO dei linfomi a cellule T/NK mature.

Classificazione WHO del 20014 Classificazione WHO del 20081

Entità ad espressione leucemica/disseminata

Leucemia Prolinfocitica T Leucemia Prolinfocitica TLeucemia a grandi linfociti granulari T Leucemia a grandi linfociti granulari TLeucemia a cellule NK, aggressiva Disordini linfoproliferativi cronici dei linfociti NKa

Leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto (HTLV1 positiva) Leucemia a cellule NK, aggressivaLeucemia/linfoma a cellule T dell’adulto (HTLV1 positiva)Malattie sistemiche linfoproliferative a cellule T, EBV+, del bambinoa

Entità ad espressione extranodale

Linfoma extranodale a cellule NK/T, di tipo nasale Linfoma extranodale a cellule NK/T, di tipo nasaleLinfoma T Enteropatico Linfoma T EnteropaticoLinfoma T Epatosplenico Linfoma T EpatosplenicoLinfoma T sottocutaneo, simil-panniculitico Linfoma T sottocutaneo, simil-panniculitico

Entità ad espressione cutanea

Micosi Fungoide Micosi FungoideSindrome di Sezary Sindrome di SezaryDisordini Linfoproliferativi a cellule T CD30+, Disordini Linfoproliferativi a cellule T CD30+, primitivi cutaneiprimitivi cutanei Linfomi a cellule γδ, primitivi cutaneia

Entità ad espressione nodale

Linfoma a cellule T periferiche, non altrimenti specificato Linfoma a cellule T periferiche, non altrimenti specificatoLinfoma T angioimmunoblastico Linfoma T angioimmunoblasticoLinfoma a grandi cellule anaplastiche Linfoma a grandi cellule anaplastiche, ALK positivoa

Linfoma a grandi cellule anaplastiche, ALK negativob

γδ, gamma delta; ALK, tirosin chinasi del linfoma anaplastico; EBV +, virus di Epstein Barr; HTLV1, virus dei linfociti T dell’uomo; NK, cellule natural killer.aIndicati come nuova entità; bIndicati come entità provvisoria.

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63Linfomi non Hodgkin T/NK

(Enteropathy Associated T-cell lymphomas, EATL)e infine la leucemia/linfoma a cellule T adulte(ATLL) deriva da un particolare subset di T CD4+con fenotipo regolatorio (CD25+FoxP3+). Lecaratteristiche immunofenotipiche dei PTCLssono riportate in tabella 2 (1). L’immunoistochimicageneralmente mostra l’espressione di molecoleassociate alle cellule T ma il fenotipo è aberran-te in circa l’80% dei casi (6, 7).Le alterazioni del cariotipo non rappresentano uncriterio classificativo; il cariotipo è aberrante in oltrel’80% dei casi di PTCLs e spesso è complesso(8). Sono state individuate alterazioni specifichedel cariotipo nel linfoma anaplastico a grandi cel-lule (ALCL), associato a traslocazioni che coinvol-gono il gene ALK (anaplastic lymphoma kinase)sul cromosoma 5 e nel linfoma T epatosplenicoassociato all’isocromosoma 7q (1). Lo studio delriarrangiamento dei geni che codificano per il TCRne mostra un riarrangiamento clonale, anche senon in tutti i casi di PTCL (9).

n EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

I dati epidemiologici relativi ai PTCLs derivanodall’International Peripheral T-Cell Lymphoma

Project, un ampio studio multicentrico, internazio-nale, retrospettivo che ha coinvolto 1153 pazien-ti da 22 centri (10). La frequenza delle diverse enti-tà raggruppate sotto il nome di PTCLs secondoquesto studio è riportata in figura 1 (10). In ordi-ne di frequenza, i sottotipi più comuni sono iPTCL, non altrimenti specificati (NOS 25,9%), illinfoma T angioimmunoblastico (18,5%) e i linfo-mi T/NK extranodali, di tipo nasale (10,4%). Trale entità più frequenti seguono l’ATLL (9,6%), il lin-foma a grandi cellule anaplastiche ALK positivo(6,6%), ALK negativo (5,5%) e il linfoma entero-patico (4,7%). Tutte le restanti entità specified nonrappresentano più del 2% di tutti i PTCLs. Nellostudio erano state incluse anche altre entità nonspecificate (1,8%), classificate non correttamen-te come PTCLs nel 10,4% dei casi e, in seguitoalle revisioni eseguite dall’International TCLProject, risultate essere linfomi di Hodgkin (3%),linfomi a cellule B (1,4%) altri linfomi (2,3%) o, nelrestante 3.6% dei casi, non classificabili per dif-ficoltà tecniche o inadeguatezza del materiale isto-logico (10).In generale, i linfomi T/NK periferici rappresenta-no circa il 12% dei linfomi non Hodgkin (10). Laloro incidenza varia a seconda della razza e del-la area geografica: in Occidente rappresentano il15-20% dei linfomi aggressivi e il 5-10% dei lin-

TABELLA 2 - Caratteristiche immunofenotipiche dei linfomi derivanti da cellule T/NK mature.

CD3 CD4 CD8 CD7 CD5 CD2 TIA1 GrB Per CD30 CD25 CD56 CD16 CD57 BCL6 CD10 EBV EMA

ATLL + + - - + + - - -/+ ++ - - - - - - -

ENK/T, +c - -/+ - - + + + - - + - - - - + -Nasal Type

EATL + - -/+ + - + + + -/+ -/+ -/+ - - - - - -/+

HSTL + - +/- + - + + - - - + - - - - - -

MF/SS + + -/+ -/+ +/- + - - - - - - - - - - -

AITL + + - + + + - - - - - - - +/- +/- - -

PTCL-NOS + +/- -/+ -/+ -/+ + - - -/+ - - - - - - - -

ALCL, ALK+-/+ -/+ -/+ -/+ -/+ -/+ + + ++ ++ +/- - - + - - ++

ALCL, ALK- +/- +/- -/+ -/+ +/- +/- +/- +/- ++ ++ +/- - - - - - +\

AITL, linfoma T angioimmunoblastico; ALCL, linfoma anaplastico a grandi cellule; ALK, anaplastic lymphoma kinase; ATLL, leucemia/linfoma T “adulta”; EATL,linfoma T associate a enteropatia; EBV +, Epstein Barr virus; ENK/T linfoma T/NK extranodale “nasal type”, HSTL, linfoma T epatosplenico; HTLV1,” humanT lymphotropic virus-1”; MF/SS, Micosi fungoide/syndrome di Sezary; NK, natural killer; PTCL-NOS, linfoma T periferico, non altrimenti specificato; GrB gran-zyme B; Pr, perforina.

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fomi non Hodgkin; mentre in Asia il 15-20% di tut-ti i linfomi non Hodgkin (10). L’incidenza dei prin-cipali sottotipi nel Nord America, in Europa e inAsia secondo l’International PTCLs Project (10),è riportata in tabella 3. Le cause biologiche del-le differenze geografiche/razziali nella distribuzio-

ne dei PTCLs non sono del tutto note. Una mag-giore esposizione e suscettibilità genica ad agen-ti patogeni quali l’HTLV1 e il virus di Epstein Barrsi associano all’elevata incidenza di ATLL e lin-fomi T/NK EBV-correlati in Asia rispetto all’Europae al Nord America (11). È riportato che nelle regio-

TABELLA 3 - Distribuzione geografica dei principali linfomi T/NK periferici secondo l’International Peripheral T-cell LymphomaProject (10).

Nord America (%) Europa (%) Asia (%)

PTCL-NOS 34,4 34,4 22,4Linfoma T angioimmunoblastico 16,0 28,7 17,9ALCL, ALK+ 16,0 6,4 3,2ALCL, ALK - 7,8 9,4 2,6NK/TCL 5,1 4,3 22,4ATLL 2,0 1,0 25,0Linfoma T Enteropatico 5,8 9,1 1,9Linfoma T Epatosplenico 3,0 2,3 0,2ALCL primitivo cutaneo 5,4 0,8 0,7Linfoma T sottocutaneo, simil panniculitico 1,3 0,5 1,3Linfomi T non classificabili 2,3 3,3 2,4

ALCL, linfoma a grandi cellule analplastiche; ATLL, leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto; NK/TCL, linfomi T/NK; PTCL-NOS, linfomi T periferici, non altri-menti specificati.

■ PTCL, NOS ■ AITL■ E NK/TCL ■ ATLL■ ALCL, ALK+ ■ ALCL, ALK-■ EATL ■ Primary cutaneous ALCL■ HSTL ■ SPTCL ■ PTCLs non classiÞcabili ■ Altri disordini

Modificato da (10).

25,9%

18,5%

10,4%

2,5%

0,9%

1,4%1,7%

12,2%

9,6%

6,6%

5,5%

4,7%

FIGURA 1 - Distribuzione dei diversi sottotipi di PTCLs secondo International T Cell Lymphoma Project.

AITL, linfoma T angioimmunoblastico; ALCL, linfoma T a grandi cellu-le anaplastiche; ATLL, linfoma/leucemia a cellule Tdell’adulto; ENK/TCL linfoma T/NK extranodale, di tipo nasale; EATL linfoma T ento-ropatico; HSTL linfoma T epatosplenico; PTCL, NOS linfoma T perife-rico, non altrimenti specificato; SPTCL linfoma T sottocutaneo simil-panniculitico.

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65Linfomi non Hodgkin T/NK

ni del Giappone dove l’infezione da HTLV1 è ende-mica (prevalenza dell’infezione 8-10%), il rischiodi sviluppare una ATLL è del 6,9% per i maschisieropositivi e del 2,9% per le femmine (1). Le cau-se del riscontro di una maggiore incidenza del lin-foma angioimmunoblastico in Europa e del linfo-ma a grandi cellule anaplastiche ALK positivo nelNord America non sono ancora note (10). È notainvece una correlazione tra il linfoma enteropati-co e l’enteropatia da glutine, associata agli aplo-tipi HLA DQ2 e HLA DQ8, diffusi nella popolazio-ne del Nord Europa, dove il linfoma enteropaticoè più diffuso (10, 12).

n PROGNOSI

I PTCLs rientrano nella categoria dei linfomiaggressivi. L’overall survival (OS) dei PTCLs èriportata in figura 2 e in tabella 4 (10). Nessunodei linfomi T sistemici, ad eccezione del rarissi-mo linfoma T sottocutaneo simil-panniculitico edel ALCL ALK-positivo, ha sopravvivenze a 10anni superiori al 50%. In particolare, la prognosipiù infausta è dei pazienti affetti da linfoma epa-tosplenico (OS 7%, failure free survival (FFS) 0%),da ATLL (OS 14%, FFS 12%) e da linfoma ente-ropatico (OS 20%, FFS 4%) (10). Anche i più fre-

100

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

Tempo (anni)

Linfoma a grandi cellule anaplastiche, ALK+Linfoma a grandi cellule anaplastiche, ALK –Linfomi T/NKLinfomi T periferici, non altrimenti speciÞcatiLinfoma angioimmunoblasticoLeucemia/linfoma a cellule T dell’adulto

Ove

rall

surv

ival

(%)

P<.001

FIGURA 2

TABELLA 4 - Sopravvivenza dei pazienti affetti da PTCLs in base all’istotipo e al’IPI secondo l’International Peripheral T CellLymphoma Project (10).

OS a 5 anni FFS a 5 anni

Diagnosi % IPI 0/1 IPI 4/5 % IPI 0/1 IPI 4/5

PTCL, NOS 32 50 11 20 33 6Linfoma angioimmunoblastico 32 56 25 18 34 16NK/TCL, nasale 42 57 0 29 53 0NK/TCL, extranasale 9 17 20 6 21 20ATLL 14 28 7 12 26 0ALCL, ALK+ 70 90 33 60 80 25ALCL, ALK - 49 74 13 36 62 13Linfoma enteropatico 20 29 14 4 7 14ALCL, primitivo cutaneo 90 100 NA 55 62 NALinfoma epatosplenico 7 0 0 0 0 0Linfoma sottocutaneo, simil panniculitico 64 60 0 24 30 0

IPI, International Prognostic Index; PTCL, NOS linfoma T periferico, non altrimenti specificato; TCL, linfoma T; ALCL, linfoma a grandi cellule anaplastiche;NA, non applicabile; OS = overall survival; FFS = failure free survival

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quenti PTCL, NOS e angioimmunoblastico sonotra i più aggressivi con un relapse free survival eoverall survival a 5 anni intorno al 30%. Il linfo-ma a grandi cellule anaplastiche ALK positivo hauna prognosi significativamente migliore rispettoall’ALK negativo (OS 70% vs 49% rispettivamen-te); mentre quando ha una localizzazione cutaneaprimitiva, il linfoma anaplastico ha una prognosiancora migliore. (OS 90%) (10). Per quanto riguar-da i linfomi T/NK, l’OS a 5 anni delle forme a loca-lizzazione esclusivamente nasale è pari al 42%rispetto alle forme extranasali che hanno una pro-gnosi nettamente più sfavorevole (OS 9%) (10).Da questi dati risulta quindi che:1) l’istotipo è uno dei principali fattori progno-

stici;2) le forme nodali vanno considerate entità cli-

niche distinte dalle forme extranodali, in par-ticolare cutanee, caratterizzate da una progno-si significativamente più favorevole;

3) nell’ambito dei PTCLs nodali, l’ALCL va distin-to dalle altre entità così come i linfomi ALCLALK+ vanno distinti dai ALCL ALK-.

I fattori prognostici e gli score elaborati per la stra-tificazione del rischio sono riportati in tabella 5 (13).

Tra i fattori prognostici, l’International PrognosticIndex (IPI), elaborato per i linfomi non Hodgkinaggressivi, può essere utile nella stratificazione delrischio anche dei pazienti affetti da PTCLs e daNK/TCL anche se molti pazienti hanno una pro-gnosi sfavorevole nonostante un IPI score bas-so (10). Le categorie in cui l’IPI è di scarsa utili-tà, dai risultati del International T Cell LymphomaProject, sono l’ATLL, il linfoma T enteropatico, illinfoma T epatosplenico e il linfoma T/NK extra-nasale (10).

n ENTITÀ CLINICO-PATOLOGICHE SPECIFICHE

Linfoma T periferico, non altrimentispecificato (PTCL-NOS)I PTCL-NOS sono il sottogruppo di PTCLs piùcomune, rappresentando circa il 30% dei PTCLs.La maggior parte dei pazienti sono adulti; l’etàmediana di presentazione è la settima decade. Ilrapporto maschi/femmine è 2/1 (29). Il riscontro di adenopatie diffuse rappresental’esordio più frequente e i sintomi B sono presen-

TABELLA 5 - Fattori prognostici e score nei PTCLs.

Fattore prognostico Tipo di PTCLs Bibliografia

Istotipo Tutte le entità (10), (14), (15), (16)

International Prognostic Index (IPI) Tutte le entità (14)ALCL (15), (17)ATLL (18)

NK/T cell lymphoma (19)

PIT PTCL/NOS (15), (20)

Bologna score PTCL/NOS, AITL (7), (21)

Indice prognostico koreano NK/T cell lymphoma (22)

Indice prognostico NK NK/T cell lymphoma (23)

Virus di Epstein Barr PTCL, NOS (7), (24), (25)NK/T cell lymphoma (26), (27)

Indice proliferativo (Ki67) PTCL, NOS (7)

Derivazione cellulare PTCL, NOS (7)

Attivazione di NFkB PTCL, NOS (21), (28)AITL, linfoma T angioimmunoblastico; ALCL, linfoma a grandi cellule anaplastiche; ATLL, leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto; NK, natural killer; PTCL-NOS, linfomi T periferici, non altrimenti specificati.

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ti nel 45% dei casi, una percentuale nettamen-te superiore alla media dei linfomi non-Hodgkin;talvolta si possono associare eosinofilia, pruritoe più raramente una sindrome emofagocitica (29,30). Il 65% dei pazienti si presenta già in stadioavanzato di malattia con infiltrati nel midolloosseo, fegato, milza e in altre sedi extranodali.Talvolta è possibile riscontrare cellule blasticheanche nel sangue periferico, anche se la presen-tazione leucemica è un evento raro. Le sedi extra-nodali più frequentemente coinvolte sono la cutee il tratto gastrointestinale (5, 31). Dal punto divista istologico, gli infiltrati sono diffusi o para-corticali con sovvertimento della normale archi-tettura del linfonodo stesso (1, 5). Le caratteri-stiche citologiche sono variabili, da quadri poli-morfi a quadri monomorfi. Caratteristiche mor-fologiche frequenti sono la presenza di cellule dimedia/grossa taglia, con citoplasma chiaro,nucleo irregolare, nucleoli prominenti e molte figu-re mitotiche. Sono di frequente osservazioneun’intensa vascolarizzazione e un backgroundinfiammatorio formato da eosinofili, linfociti, pla-smacellule, grandi cellule B e clusters di istioci-ti epitelioidi (1, 5). Questi ultimi sono particolar-mente numerosi nella variante linfoepitelioide (olinfoma di Lennert), che consiste di piccoli linfo-citi T citotossici, più spesso CD8 positivi (1, 5).È stata recentemente descritta anche la varian-te follicolare, nella quale le cellule neoplasticheinfiltrano i follicoli linfonodali dando origine ad unpattern di crescita che ricorda un linfoma B fol-licolare. Per quanto riguarda invece le sedi extra-nodali, a livello cutaneo le cellule linfomatose ten-dono ad infiltrare il derma e il tessuto sottocuta-neo, dando origine a noduli che spesso vannoincontro ad ulcerazione; a livello splenico inve-ce il pattern di crescita varia da noduli solitari omultipli a livello della polpa bianca ad un’infiltra-zione predominante della polpa rossa (1, 5). I PTCL-NOS sono spesso caratterizzati da unfenotipo T aberrante con una ridotta espressio-ne del CD5 e CD7 (1). Nella maggior parte dei casi,soprattutto nelle forme nodali, sono CD4+ CD8-(1, 5). La catena beta del T-cell receptor (TCR) (�F1)è espressa, a differenza dei linfomi a cellule T γδe dei linfomi NK (1, 5). Il CD52 è assente nel 60%dei casi con metodiche immunoistochimiche susezioni da materiale in paraffina, ma questo dato,

che ha anche implicazioni terapeutiche vista ladisponibilità di alemtuzumab, un anticorpo mono-clonale IgG1 umanizzato specifico per CD52, nonè costante in diversi lavori. Con la citometria a flus-so su materiale fresco infatti, la positività del CD52è stata riportata fino al 90-100% dei casi di PTCL-NOS (1, 32-34). Il CD30 può essere espresso,eccezionalmente con il CD15; ciononostante ilprofilo immunofenotipico globale e la morfologiaconsentono una diagnosi differenziale dal Linfomaa grandi cellule T anaplastico e dal linfoma diHodgkin (1). L’indice proliferativo è spesso eleva-to con un’espressione di Ki67 superiore al 70%e quindi associato ad una prognosi più severa (1). Nella maggior parte dei casi il riarrangiamento del-le sequenze geniche che sovrintendono alla pro-duzione del TCR è clonale (1, 35). Il cariotipo èspesso complesso, con alterazioni diverse daquelle osservabili nei AITL e ALCL (1, 5). In par-ticolare addizioni cromosomiche ricorrenti sonoosservabili a carico dei cromosomi 7q (coinvol-gendo le chinasi ciclino-dipendenti 6), 8q (coin-volgendo il gene MYC), 17q e 22q; mentre le dele-zioni sono osservabili a carico di diversi cromo-somi (1, 5). È stato riportato che delezioni del cro-mosoma 5q, 10q e 12q sono associate ad unaprognosi migliore (5, 36). Il virus di Epstein Barrè integrato nel genoma delle cellule neoplastichesolo raramente (1, 5). Anche gli studi del profilo di espressione genica(GEP, gene expression profiling) hanno conferma-to l’eterogeneità della categoria PTCL, NOS (1,5). Rispetto ai linfociti T normali, i PTCL, NOS sonocaratterizzati da una down-regolazione del-l’espressione dei geni che regolano la prolifera-zione, l’apoptosi, l’adesione cellulare ed il rimo-dellamento della matrice extracellulare. L’over-espressione del PDGFR-� è stata identificata daglistudi di GEP e confermata da studi di immunoi-stochimica. Essa può rappresentare un target tera-peutico per inibitori delle tirosinochinasi (1, 5). Ineffetti un recente studio di fase II con dasatinibin pazienti con linfoma recidivato o refrattario hamostrato una sensibilità elettiva del farmaco neilinfomi T periferici rispetto ad altri istotipi (37).Alcuni lavori riportano che può esserci una up-regolazione o una down-regolazione dei geni delpathway di NF-kB, con possibili differenze in ter-mini di prognosi. In particolare sembra che bas-

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si livelli di molecole correlate al pathway di NFkBo l’attivazione di tale pathway siano fattori pro-gnostici favorevoli, con una mediana di soprav-vivenza globale di 25 mesi (range 0-124 mesi) con-tro una mediana di 12 mesi (range 0-19 mesi)(p=0,032) (28, 29, 39).I PTCL-NOS sono caratterizzati da una scarsarisposta alla terapia e da frequenti recidive consopravvivenza a 5 anni molto bassa (20-30%) (10).I fattori prognostici relativi ai PTCL, NOS sonoelencati in tabella 5. I più importanti sono lo sta-dio di presentazione e l’IPI. Sulla base di un’ana-lisi retrospettiva di 385 pazienti affetti da PTCL,NOS, l’Intergruppo Italiano Linfomi ha elaboratoun nuovo modello prognostico (the PrognosticIndex for PTCL unspecified, PIT) (20). Il modelloprognostico include il coinvolgimento midollareoltre all’età, al performance status e alla LDH, con-siderandolo un fattore prognostico sfavorevole. IlPIT è risultato leggermente più efficace dell’IPI nel-lo stratificare i pazienti affetti da PTCL, NOS (log-rank 66,79 vs 55,94) ed è stato proposto comestrumento di riferimento (13, 20).Dal punto di vista clinico un fattore prognosticoaltamente significativo che sta emergendo recen-temente, in generale nei PTCL, è rappresentatodal numero assoluto di linfociti circolanti all’esor-dio di malattia. Una conta linfocitaria inferiore a1000/mm3, presente nel 37% dei pazienti, si asso-cia infatti ad una sopravvivenza mediana di unmese, rispetto a 59 mesi nei pazienti con linfoci-ti > a 1000/mm3 (40) Anche in recidiva il numerodi linfociti circolanti è l’unico fattore prognosticoindipendente, insieme al performance status, cheha dimostrato un effetto negativo sulla sopravvi-venza dei pazienti (41). Ciò suggerisce un ruolonegativo dello stato di immunodepressione deipazienti, che risulta particolarmente frequente neiPTCL e consente di interpretare anche la gene-rale tendenza degli stessi a sviluppare infezioniopportunistiche, talora simili a quelle dei pazien-ti HIV sieropositivi, in misura nettamente maggio-re rispetto ai linfomi di derivazione B linfocitaria.

Linfoma anaplastico a grandi cellule, ALK positivoLa definizione di “linfoma anaplastico a grandi cel-lule” è stata per la prima volta utilizzata da Steinnel 1985 per indicare un linfoma costituito da gran-

di cellule linfoidi anaplastiche, intensamente CD30positive e con tendenza ad un pattern di cresci-ta coesiva e sinusoidale (15). Studi di immunoi-stochimica e genetica hanno successivamenteconsentito di restringere la definizione ai linfomi acellule T o null, ovvero a cellule che hanno persol’espressione degli antigeni T ma che presentanoun riarrangiamento clonale del TCR (15). Già nel-la terza edizione della classificazione WHO, il lin-foma primitivo sistemico (ALCL) è stato conside-rato come entità distinta dal linfoma anaplasticoprimitivo cutaneo (Primary Cutaneous ALCL), sul-la base di differenze immunofenotipiche e cliniche.Nel 1994, l’identificazione di una traslocazione cro-mosomica, t (2;5) (p23;q35) ha messo in eviden-za l'eterogeneità della categoria degli ALCL siste-mici (2). Nella più recente WHO (2008) il ALCL ALKpositivo è riconosciuto come entità distinta (1); inol-tre si stanno accumulando evidenze per le qualianche il ALCL ALK negativo andrebbe separatodagli altri PTCLs, ma ad oggi non sono ancora sta-te identificate caratteristiche sufficientementedistintive ed esso viene considerato per ora comeuna entità provvisoria (1).I ALCLs sono rari; rappresentano circa il 3% deiLNH, il 12% dei PTCLs e il 10-20% circa dei lin-fomi in età pediatrica. Mediante l’impiego di anti-corpi anti-ALK, l’espressione di ALK è dimostra-bile nel 50-85% degli ALCLs sistemici (15).Il picco di massima incidenza dell’ALCL ALK posi-tivo è in età pediatrica e giovane-adulta, mentreil picco di incidenza dell’ALCL ALK negativo è inetà avanzata (età mediana 58 anni) (1, 5, 15). Il riscontro di adenopatie superficiali è la più comu-ne presentazione clinica, anche se è frequenteanche il coinvolgimento di sedi extranodali qua-li la cute, il midollo osseo e i tessuti molli, soprat-tutto per il ALCL ALK positivo. Sintomi sistemi-ci, in particolare la febbre, sono comuni. Oltre lametà dei pazienti esordisce in stadio avanzato (IIIo IV) di malattia (5).- ALCL ALK positivo. Diversi studi hanno dimo-strato che i pazienti affetti da ALCL ALK positi-vo hanno una prognosi più favorevole (OS a 5anni, 70-80%) rispetto ai pazienti affetti da ALCLALK negativo o da altri PTCLs aggressivi a pari-tà di trattamento con regimi di chemioterapia con-tenenti antracicline; questo potrebbe essere in par-te dovuto anche alla giovane età dei pazienti stes-

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si (15, 42-45). Il ALCL ALK+ è un’entità autono-ma dal punto di vista nosografico perché carat-terizzata a livello biologico dal riarrangiamento delgene ALK sul cromosoma 2p23 (1, 5, 46).Diverse traslocazioni possono coinvolgere il geneALK; la più comune è la t(2;5) (p23;q35).Tale traslocazione porta alla fusione del gene ALKposto sul cromosoma 2 con il gene Nucleofo -smina (NPM) posto sul cromosoma 5; ne risultaun gene di fusione che codifica per una proteinachimerica di 80-kDa NPM-ALK, dotata di un’at-tività tirosinochinasica intrinseca. La cascataintracellulare che deriva dall’attivazione di ALKdipende dal tipo di traslocazione (1, 5, 46). Diversistudi molecolari hanno dimostrato il ruolo dell’on-cogene NPM-ALK nel processo di trasformazio-ne neoplastica (46, 47). Studi in vitro hanno dimo-strato che proteine chimeriche ALK costitutiva-mente attivate inducono la trasformazione, la pro-liferazione e la sopravvivenza cellulare. Il proces-so di oncogenesi è mediato dall’attivazione dicascate di segnale intracellulare tra cui il pathwaydi JAK3-STAT3, ERK e PI3-Akt (46, 47). Da un punto di vista morfologico esistono alme-no 5 varianti, non correlate alle varianti geniche diALK: comune, a piccole cellule, linfoistiocitica,Hodgkin-like e composita. Tutte le varianti conten-gono le cosiddette hallmark cells, cellule patogno-moniche, caratterizzate da un nucleo eccentricoe reniforme e una regione di Golgi eosinofila. Laproteina ALK può essere riscontrata sia nel nucleosia nel citoplasma delle hallmark cells (1, 5). Per quanto riguarda l’immunofenotipo, le celluleneoplastiche sono uniformemente CD30 positivesia in superficie sia sulla regione di Golgi; frequen-te è anche la positività di EMA (epithelial membra-ne antigen) e di markers citossici (TIA-1, perfori-na e granzyme B). Le cellule neoplastiche mostra-no un fenotipo T aberrante con un’espressionedifettiva di molti antigeni T e spesso mostrano unapparente fenotipo null. In quest’ultimo caso l’ori-gine T cellulare del ALCL ALK positivo è dimostra-bile dal riarrangiamento clonale delle catene β eγ del TCR. L’espressione di CD3 è assente nel 75-80% dei casi, così come l’espressione di CD5 eCD7 e CD8; al contrario marcatori come CD2, CD4e CD45 sono espressi in molti casi (1, 5). - ALCL ALK negativo. Come già accennato, nellapiù recente classificazione WHO, l’ALCL ALK nega-

tivo è considerato un’entità provvisoria da distin-guere sia dall’ALCL ALK positivo sia dai PTCL,NOS. Il meccanismo di oncogenesi non è noto (1).La prognosi è significativamente peggiore rispet-to all’ALCL ALK positivo (OS a 5 anni, 30-51%) mamigliore rispetto ai PTCL-NOS (10, 15, 29). Dal punto di vista della morfologia, l’ALCL ALKnegativo è simile all’ALCL ALK positivo nellavariante comune, anche se le hallmark cells sonodi maggiori dimensioni e più pleomorfe. Non sonostate identificate varianti istologiche specifiche (5).L’immunofenotipo dell’ALCL ALK negativo èsimile all’ALCL ALK positivo. La diagnosi differen-ziale tra ALCL ALK negativo e PTCL-NOS puòessere difficoltosa: i PTCL-NOS mostranoun’espressione del CD30 a diversa intensità in unaminoranza di casi mentre il ALCL ALK negativoè intensamente CD30 positivo; la perdita di mar-catori di superficie della linea T è evento più raronei PTCL-NOS così come l’espressione di EMA.Da un punto di vista pratico, la classificazioneWHO raccomanda che la diagnosi di ALCL ALKnegativo sia posta solo se la morfologia e l’im-munofenotipo sono simili ai casi ALK positivi e inassenza dell’overespressione di ALK (1, 5, 29).

Linfoma T angioimmunoblasticoIl linfoma T angioimmunoblastico (Angioimmu -noblastic T cell Lymphoma, AITL) è una delle enti-tà più comuni tra i PTCLs in Occidente; rappre-senta infatti il 25-30% dei casi di PTCLs in Europa(Tabella 3) (10). L’incidenza è maggiore in età avanzata (etàmediana, 60 anni). Clinicamente, i pazienti si pre-sentano con adenopatie superficiali, epatosple-nomegalia, sintomi B, in particolare febbre e caloponderale e in oltre la metà dei casi sono pre-senti un rash cutaneo e artralgie. Gli esami dilaboratorio spesso mostrano un’ipergammaglo-bulinemia policlonale e un’anemia emolitica contest di Coombs diretto positivo. Circa l’80% deipazienti esordisce in stadio avanzato di malattia(stadio III o IV) con coinvolgimento di sedi extra-nodali quali milza, midollo osseo, cute, fegato epolmone. La prognosi è sfavorevole con una mediana disopravvivenza inferiore a 3 anni, anche se da alcu-ni studi emerge che il 30% dei pazienti affetti daAITL sono long-term survivors (5, 48).

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Le seguenti caratteristiche anatomo-patologichefanno dell’AITL un’entità distinta e ben definita trai PTCLs:- un diffuso infiltrato polimorfo costituito da cel-lule neoplastiche T di media taglia con abbon-dante citoplasma chiaro, piccoli linfociti, istio-citi o cellule epitelioidi, immunoblasti, eosinofi-li e plasmacellule;

- intensa vascolarizzazione;- proliferazione perivascolare di cellule follicolaridendritiche (follicular dendritic cells, FDC);

- la presenza di grandi cellule B ad abito blasti-co, spesso EBV positive, che ricordano morfo-logicamente la cellula di Reed-Sternberg.

Il background reattivo è spesso predominanterispetto alla componente neoplastica (49). Lediverse componenti cellulari si distribuiscono inmodo da creare tre diversi quadri morfologici opattern architetturali:- con follicoli iperplastici (pattern I, poco frequen-te);

- con follicoli depleti (pattern II);- senza follicoli (pattern III). La progressiva perdita dei follicoli corrisponde adun progressivo incremento della componente neo-plastica e rappresenta quindi uno stadio più avan-zato di malattia (50, 51).Le cellule neoplastiche nell’AITL sono linfociti Tmaturi �� CD4+ CD8- ed esprimono la maggiorparte degli antigeni pan-T (Tabella 2) (1). È statorecentemente dimostrato che la controparte nor-male dell’AITL è un particolare subset di linfocitiT helper follicolari (follicular helper T cells, TFH)(50, 52, 53). I TFH sono fisiologicamente situatial limite tra la zona del mantello e i centri germi-nativi dove interagiscono con le cellule B indu-cendo l’espressione di AID (activation-induceddeaminase), importante nella differenziazione deilinfociti B. In effetti la maggior parte dei casi diAITL esprime CD10 e BCL6, tipicamente asso-ciati ai centri germinativi ed alle TFH cells, eCXCL13, chemochina che favorisce l’espansio-ne delle cellule B, la differenziazione in plasma-cellule e l’ipergammaglobulinemia (50, 52, 53). Adulteriore conferma, recentemente studi di GEPhanno mostrato un profilo di espressione genicasimile tra le TFH e le cellule neoplastichedell’AITL. Inoltre, gli studi di GEP hanno confer-mato la predominanza della componente cellu-

lare reattiva nel milieu cellulare. In sostanza, le cel-lule non neoplastiche coinvolte nella rispostaimmune umorale rappresentano la principalecaratteristica distintiva dell’AITL (54). Il VEGF (vascular endothelial growth factor) è alta-mente espresso nell’AITL, è responsabile della tipi-ca intensa vascolarizzazione e potrebbe rappre-sentare un possibile target terapeutico (5). Le alterazioni molecolari che sottendono alla tra-sformazione neoplastica delle TFH non sono adoggi note. Recenti studi di citogenetica hanno indi-viduato tra le alterazioni più frequenti la trisomiadei cromosomi 3, 5 e 21, la perdita di 6q e delcromosoma X (55).

Linfoma T/NK extranodale (nasal type)Le entità definite extranodal NK/T cell lymphoma,nasal type (NK/TCLs) rappresentano circa il 5-10%dei LNH registrati soprattutto in Estremo Orientee nel Sud- Centro America, mentre rappresenta-no un’entità rara nelle popolazioni Occidentali (10). Nella classificazione REAL, i NK/TCLs erano chia-mati “linfomi angiocentrici” per il caratteristico pat-tern di crescita angioinvasivo, con distruzionevascolare e necrosi. Da un punto di vista anato-mo-patologico è facilmente riconoscibile un’inva-sione dell’albero vascolare da parte delle celluleneoplastiche con conseguente occlusione vasco-lare, ischemia e necrosi tissutale (29).La 3a edizione della WHO ha sostituito il terminelinfomi angiocentrici con il termine extranodal NK/Tcell lymphoma, nasal type per i seguenti motivi (2): - la definizione NK/T è stata utilizzata per indica-re che nella maggior parte dei casi la cellula neo-plastica deriva da cellule NK [CD2+, CD56+,cCD3� +, EBV+] ma che in rari casi, pur con lestesse caratteristiche cliniche e morfologiche,la cellula neoplastica può esprimere un fenoti-po T (EBV+ CD56- cytotoxic T cell);

- il termine nasal-type è stato utilizzato in consi-derazione del fatto che la maggior parte dei casisi presenta a livello della cavità nasale e dellestrutture anatomiche ad essa associate.

Per quanto riguarda l’immunofenotipo, le celluleneoplastiche esprimono fenotipo NK e sono tipi-camente CD2+. Il marcatore di superficie CD3 ènegativo mentre è positivo il cCD3�; questo pat-tern è tipico di neoplasie di derivazione NK.Molecole citossiche quali granzyme B, perforine

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e TIA-1 sono anch’esse espresse. Il CD56 è unutile marcatore NK ma non è un marcatore spe-cifico degli NK/TCLs e può espresso anche daaltri PTCLs (Tabella 2). Infine il virus di Epstein Barr(EBV) è quasi sempre dimostrabile nelle celluleneoplastiche mediante tecniche di ibridizzazionein situ (ISH) (1).Il NK/TCLs è diagnosticato più spesso in età adul-ta; l’età mediana alla diagnosi è nella quinta deca-de, con un rapporto maschi/femmine di 3/1. Il lin-foma si localizza dapprima a livello delle cavitànasali, del nasofaringe, e può diffondere a livellodelle orbite e del palato duro. La disseminazionea livello della cute, del tratto gastrointestinale edegli organi genitali, è generalmente un evento tar-divo nella storia naturale della malattia. Nella mag-gior parte dei casi non c’è, almeno in fase inizia-le, un coinvolgimento del sistema nervoso cen-trale e del midollo osseo (57). È osservabile unapancitopenia talora secondaria ad emofagocito-si, se non è presente un coinvolgimento midol-lare (56).Non esiste ad oggi un sistema di stadiazione stan-dardizzato. La stadiazione secondo Ann Arbor nonè adatta agli NK/TCLs in quanto lo stadio I puòincludere sia pazienti con un malattia localizzatasolo alle cavità nasali sia pazienti con malattia cheinvade anche le strutture adiacenti (58). Per le for-me ad esordio esclusivamente nasale è racco-mandato l’impiego del sistema di stadiazione - Tche si basa sull’estensione locale del tumore (57):- T1 indica un tumore confinato alle cavitànasali;

- T2 indica un’estensione a livello mascellare, deiseni etmoidali e del palato duro;

- T3 l’estensione alla parte posteriore dei senietmoidali, ai seni sfenoidali, alle orbite, alle guan-ce o allo spazio buccinatorio superiore;

- T4 indica un’estensione allo spazio buccinato-rio inferiore, alla fossa infratemporale o al naso-faringe.

L’utilità dell’International Prognostic Index (IPI) nel-la stratificazione prognostica dei pazienti affetti daNK/TCLs è controversa (10, 22, 23, 36, 27). Lapresenza del DNA dell’EBV nel sangue è statarecentemente segnalata come un fattore progno-stico nettamente sfavorevole (59). I livelli plasma-tici della viremia all’esordio correlano infatti conla risposta alla terapia e con la sopravvivenza e

la persistenza dell EBV DNA nel plasma dopo tera-pia è strettamente correlato alla probabilità di reci-diva (60).

Linfoma T enteropaticoI linfomi gastrointestinali primitivi rappresentanoil 4-12% di tutti i linfomi non Hodgkin e l’1-4%di tutte le neoplasie gastrointestinali (10, 61). I lin-fomi gastrointestinali a cellule T sono una rara enti-tà e l’unica entità clinico-patologica ben definitaè il linfoma T enteropatico (EATL, entheropaty-associated T cell lymphoma) che presenta tutta-via caratteristiche peculiari e una frequenza inaumento recente e merita perciò una breve trat-tazione separata. L’età mediana di insorgenza è57 anni (28-82 anni) (61). Il quadro clinico di pre-sentazione più comune è rappresentato damalassorbimento, dolori addominali e talvolta qua-dri di perforazione intestinale in pazienti con unastoria di celiachia (61). Talvolta la diagnosi di celia-chia avviene in seguito alla diagnosi di EATL.Come già riportato, esiste una correlazione traEATL e celiachia (10, 12, 61). Nei pazienti affettida celiachia infatti l’ingestione di glutine determi-na un’infiammazione cronica della mucosa del pic-colo intestino e, in una piccola percentuale di talipazienti (2-5%) non si osserva un miglioramentononostante una dieta priva di glutine. I pazientiresistenti possono presentare un’espansione clo-nale dei linfociti intraepiteliali con un fenotipo aber-rante. L’OS a 5 anni è pari a 50-58% e la princi-pale causa di morte è proprio l’EATL (61).La sede di insorgenza del linfoma è più spessoil digiuno e l’ileo, anche se qualsiasi parte del trat-to gastrointestinale può essere coinvolta (1, 61).Nella maggior parte dei pazienti il linfoma è mul-tifocale, dà origine ad ulcere, noduli, placche (piùraramente a grosse masse) e spesso infiltra ilmesentere e i linfonodi mesenterici. Da un punto di vista anatomo-patologico, le cel-lule neoplastiche sono spesso di dimensionimedio-grandi, con nucleo arrotondato o angola-to, nucleoli prominenti e abbondante citoplasma.È spesso presente un infiltrato infiammatorio costi-tuito da eosinofili e istiociti. La mucosa intestina-le adiacente all’EATL spesso presenta un’atrofiadei villi, iperplasia delle cripte, incremento dei lin-fociti, plasmacellule nella lamina propria e una lin-focitosi anche intraepiteliale. Le cellule neoplasti-

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che sono CD3+, CD4-, CD8+/-, CD5-, CD7+ econtengono granuli citotossici (1). La prognosi dell’EATL trattato con chemiotera-pia convenzionale è rapidamente infausta (OS a5 anni 20%) (10). Le opzioni di trattamento inclu-devano storicamente l’approccio chirurgico cono senza regimi di chemioterapia contenentiantracicline o meno frequentemente chemiote-rapia ad alte dosi seguita da trapianto di cellulestaminali autologhe (62, 63). È stato recentemen-te riportato da Sieniawski et al. (61) un nuovo regi-me di trattamento comprendente chemioterapiaad alte dosi con IEV/MTX (ifosfamide, vincristi-na, etoposide/methotrexate) e successivo tra-pianto di cellule staminali autologhe. L’OS a 5 annidei 26 pazienti arruolati nello studio è risultata parial 60% e la progression free survival pari al 52%,quindi significativamente migliore rispetto alla pro-gnosi dei pazienti trattati con chemioterapia con-venzionale (p=0,003 e p=0,01 rispettivamente perOS e PFS). Il profilo di tossicità si è rivelato inol-tre accettabile (61).

n TERAPIA

Il trattamento dei PTCLs rappresenta ad oggiun’area controversa per la rarità di tali patologie,la difficoltà a formulare una diagnosi istopatolo-gica rapida e definitiva, il decorso variabile di cia-scuna entità e la scarsità di trials clinici randomiz-zati. Le strategie di trattamento non sono quindiben definite e derivano dai principi di trattamen-to dei linfomi B.

Terapia di prima lineaMolti studi riguardano in generale i PTCL e solorecentemente sono stati condotti studi rivolti spe-cificamente a sottotipi istologici dei PTCL, chedescriveremo separatamente. Il trial clinico ran-domizzato che all’inizio degli anni ’90 aveva iden-tificato il regime di chemioterapia CHOP comeil regime di trattamento standard per i linfomi agrandi cellule includeva anche i PTCLs, che nel-l’era pre-Rituximab, ricevevano quindi lo stes-so trattamento dei pazienti affetti da linfoma agrandi cellule B (64). I risultati poco incoraggian-ti dell’impiego del regime CHOP o dei regimi con-tenenti antracicline hanno successivamente

portato diversi gruppi ad investigare l’impiego diapprocci alternativi e, tra questi, i regimi conte-nenti platino quali l’ESHAP o l’HyperCVAD (65,66). In uno studio di fase II su 58 pazienti di età>60 anni trattati con regime ESHAP, il gruppoGELA ha riportato solo il 33% di remissioni com-plete (67). In un altro studio di fase II condottosu pazienti di età <60 anni trattati con regimi piùintensivi (simili ai protocolli impiegati nei pazien-ti pediatrici affetti da linfoma di Burkitt), lo stes-so gruppo GELA ha riportato un tasso di remis-sioni complete del 51% e una mediana disopravvivenza libera da eventi di 6 mesi (68).Ulteriori tentativi sono stati fatti con molte altreassociazioni, per esempio con gemcitabina eetoposide, in piccoli studi di fase II con pochipazienti, che non hanno portato a miglioramen-ti significativi (69). Lo studio più ampio sul trat-tamento dei quattro principali istotipi dei PTCL,pubblicato recentemente dal German High-Grade NHL Study Group ha analizzato 343pazienti trattati nell’ambito degli studi prospet-tici del gruppo, confermandone la prognosiinsoddisfacente con sopravvivenza libera daeventi (EFS) inferiore al 50% per tutti gli istotipiad eccezione dell’ALCL ALK positivo (Figura 4)(70). I risultati dello schema CHOP sono statimigliorati significativamente solo nel sottogrup-po di pazienti di età < a 60 anni e con LDH supe-riore alla norma, nei quali l’aggiunta di etoposi-de (CHOEP) ha portato la EFS a tre anni dal 51%al 75%. Tuttavia schemi di terapia ancora piùintensificati (megaCHOEP), utilizzati dallo stes-so gruppo, non hanno migliorato ulteriormentei risultati (70). A dimostrazione della peculiarerisposta terapeutica dei PTCL, rispetto ad altrilinfomi, è la pari efficacia rispetto a CHOP otte-nibile con un regime di somministrazione con-tinua ambulatoriale di ciclofosfamide orale eprednisone (71).Alla domanda se esista un rituximab anche per ilinfomi T la risposta è purtroppo ancora no. I trialsin cui alemtuzumab è stato associato allo sche-ma CHOP hanno dato tassi di risposta del 65-70% in prima linea con tuttavia un alto tasso direcidive e una sopravvivenza a un anno inferioreal 50% (72, 73). La tossicità ematologica e soprat-tutto infettiva è stata considerevole. Discorso ana-logo vale per l’associazione CHOP con denileu-

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kin-diftitox (74). Solo nell’istotipo ALCL risultatipreliminari molto interessanti ottenuti con l’immu-noconiugato brentuximab-vedotin, un’associazio-ne fra l’anticorpo monoclonale anti-CD30 e la tos-sina del fuso mitotico, fanno ritenere aperta l’eradell’immunochemioterapiaPer quanto riguardo l’impiego del trapianto di cel-lule staminali, è riportato che il trapianto autolo-go garantisce un controllo di malattia a lungo ter-mine in circa il 50-70% dei pazienti, quando ese-guito in uno stato di prima remissione e in pre-senza di una malattia chemio sensibile (75, 76).Il tasso di recidive/progressioni durante il tratta-mento resta però elevato e non è chiaro se i buo-ni risultati derivino da una selezione dei pazien-ti o da una reale maggiore efficacia terapeutica,visto i risultati sovrapponibili fra CHOP e auto-trapianto in uno studio caso-controllo del grup-po GELA (77). Il trapianto allogenico da donato-re HLA-identico sembra offrire, grazie all’effettograft vs lymphoma, un miglior controllo a lungotermine della malattia a prezzo di una maggioretossicità (78). La sua superiorità in prima linearispetto al trapianto autologo è in corso di valu-tazione in uno studio controllato multicentricoItaliano in cui le procedure trapiantologicheseguono un programma di chemioterapia inizia-le a dose standard associato ad alemtuzumab ead un consolidamento con chemioterapia a doseintensificata (79).

Terapia di seconda lineaCertamente in una situazione clinica così diffici-le come il linfoma T che non ha risposto o è reci-divato dopo una terapia di prima linea le proce-dure trapiantologiche vanno considerate di primascelta. Fra queste il trapianto allogenico anche aintensità di condizionamento ridotta, laddove pos-sibile, va preferito al trapianto autologo, essen-do in grado di ottenere una sopravvivenza a lun-go termine del 50% in diverse casistiche, neipazienti, certamente selezionati, che sono riusci-ti a ricevere questo trattamento. Al di là della scel-ta fra trapianto autologo e allogenico, che dipen-de soprattutto dalla tipologia di paziente, va sot-tolineato che il ricorso al trapianto dovrebbe esse-re il più precoce possibile, senza attendere cherecidive plurime rendano la malattia completamen-te refrattaria anche alla terapia ad alte dosi.

Nuovi farmaciAl di fuori delle opzioni trapiantologiche o in pre-parazione ad esse, si stanno esplorando nuoveopzioni terapeutiche e nuovi farmaci. Un elencocertamente non esauriente delle principali classie dei target terapeutici è riportato in tabella 6. Peralcuni di questi sono stati completati importantistudi di fase II su un numero di pazienti adegua-to (80).- Pralatrexate (PDX; 10-propargyl 10-deazaami-nopterin). Il pralatrexate è un nuovo antifolato, edè l’unico farmaco approvato nel 2009 dalla Foodand Drug Administration per il trattamento deiPTCLs recidivati o refrattari. Si differenzia strut-turalmente dal methotrexate (MTX) per la presen-za di un gruppo propargile in posizione 10.Tale struttura favorisce l’internalizzazione del far-maco nella cellula (10 volte maggiore rispetto alMTX), garantendo un maggior effetto antitumo-rale. Il meccanismo d’azione è poi simile a quel-lo del MTX (81). Lo studio PROPEL (Pralatrexate in relapsed orrefractory Peripheral T Cell Lymphoma) (82) con-dotto in pazienti affetti da PTCLs recidivati o resi-stenti, incluse tutte le entità compresa la micosifungoide e i NK/TCLs, ha arruolato 115 pazienti,già sottoposti ad una mediana di 3 linee di trat-tamento (1-12); di questi, inoltre, 18 erano già sta-ti sottoposti anche ad autotrapianto e il 63% erarefrattario all’ultima linea di terapia (82). Lo sche-ma di trattamento comprendeva la somministra-zione di PDX 30 mg/m2/settimana a cicli di 6 set-timane con una settimana di pausa tra ogni ciclofino a progressione o tossicità. Il tasso di rispo-sta in 109 pazienti valutabili è stato del 29% (32di 109), di cui 12 risposte complete (11%) e 20risposte parziali (18%) (82). I più comuni eventiavversi di grado 3/4 sono stati i seguenti: trom-bocitopenia (32%), mucosite (22%), neutropenia(22%) e anemia (18%) (82). La mucosite è il pro-blema clinico principale, può essere previstadosando i livelli di acido metilmalonico e omoci-steina, e deve essere prevenuta con la sommini-strazione continua di acido folico e vitamina B12.La conclusione degli autori è stata che il prala-trexate ha indotto risposte durature in PTCL reci-divati o refrattari, indipendentemente dall’età, dalsottotipo istologico e dal numero di linee prece-denti di trattamento (82). Sulla base di tali risul-

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tati, sono in corso studi di associazione del PDXcon altri farmaci citotossici e biologici, tra cui lagemcitabina, il bortezomib e gli inibitori delle isto-ne deacetilasi, e studi in cui PDX viene dato cometerapia di mantenimento in pazienti responsivi aCHOP (83).- Inibitori delle istone-deacetilasi (HDAC). Uno stu-dio internazionale multicentrico analogo al PRO-PEL per numero e caratteristiche dei pazienti havalutato l’efficacia di romidepsina, un HDAC ini-bitore ciclico, con attività pleitropa su moltipathways intracellulari, già approvato negli StatiUniti per l’uso nei linfomi T cutanei recidivati orefrattari (84). I risultati sono stati riportati in viapreliminare. Il farmaco è somministrato alla dosedi 14 mg/m2 per via endovenosa lenta nei giorni1, 8, 15 di cicli di 28 giorni fino a progressione dimalattia per almeno 6 cicli. Il tasso di risposta glo-bale (ORR) è stato del 26%, con RC nel 13% di130 pazienti. La tossicità di grado 3-4 è stata

soprattutto di tipo ematologico e non si sono veri-ficati i temuti eventi avversi cardiaci legati al poten-ziale allungamento del QT (84).Risultati simili sono stati riportati per altri farmaciquali il belinostat, un pan-inibitore delle HDAC, eil plitidepsin, un farmaco di origine marina, som-ministrato alla dose di 3,2 mg/m2 ev con una sche-dula simile alla Romidepsina.- Immunoconiugati - anti CD30. Il CD30 è unmembro della famiglia dei recettori del TNF edè espresso da diverse neoplasie ematologichequali i linfomi di Hodgkin, gli ALCL sistemici ecutanei e alcuni casi di micosi fungoide trasfor-mata. Esistono diversi anticorpi monoclonaliantiCD30. L’anticorpo monoclonale SGN-30aveva dimostrato un profilo di attività prometten-te verso il ALCL con un tasso di risposta parzia-le del 17% e senza tossicità (85). Tuttavia il rea-le progresso terapeutico è stato ottenuto quan-do questo anticorpo è stato coniugato, attraver-

TABELLA 6 - Agenti terapeutici con bersaglio specifico in sperimentazione per la terapia dei PTCLs.

Classe Agente Target

Antifolati Pralatrexate RFC-1

Inibitori delle istone deacetilasi Vorinostat Deacetilasi degli istoni e Romidepsina di proteine non istonicheBelinostat

PanobinostatPlitidepsin

Inibitori del proteasoma Bortezomib VariPR-171 (carfilzomib)

Analoghi purinici Gemcitabina Sintesi delle purineForodesinaClofarabina

Inibitori di mTOR Temsirolimus Target della rapamicinaEverolimus

Immunomodulatori Lenalidomide Vari

Anticorpi monoclonali Alemtuzumab CD52Anti CD30 CD30AntiCD4 CD4

Inibitori delle tirosin-chinasi Imatinib, Dasatinib PDGFR-alfa,Syc

Inibitori delle farnesil-transferasi Tipifarnib Ras

Immunoconiugati e tossine di fusione Brentuximab-vedotin CD30+tubulinaDenileukin diftitox Recettore di IL-2

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so un linker proteico sensibile alla rottura da par-te delle proteasi lisosomiali, con aurastatina, unatossina specifica per l’apparato microtubulare delfuso mitotico. Il farmaco che ne è derivato, bren-tuximab-vedotin (SGN-35) si è dimostrato mol-to più attivo. Recentemente sono stati riportati idati eccezionali dello studio di fase I (86) che sonostati ampiamente confermati nello studio di fase2. Alla dose di 1,8 mg/m2 ev ogni 21 giorni, l’86%di 58 pazienti con ACLC recidivato o refrattario(62% dei casi) ha ottenuto una risposta obietti-va e il 53% una RC, indipendentemente dallapositività di ALK (87). La tollerabilità è stata buo-na; una neuropatia periferica di grado 3, preva-lentemente sensitiva, si è riscontrata nel 13% deipazienti dopo in media 16 settimane di trattamen-to, con un profilo di tossicità simile agli alcaloi-di della vinca. La PFS è stata significativamen-te maggiore rispetto all’ultima linea di trattamen-to ricevuta (41 vs 26 settimane; P<0.02). Alla lucedi questi dati brentuximab vedotin può a ragio-ne essere considerato un fondamentale progres-so nella terapia dei linfomi che esprimono CD30,quali l’ALCL e il linfoma di Hodgkin. Nell’ALCLesso verrà testato in prima linea e in associazio-ne ad altri farmaci, per migliorare ulteriormentei già ottimi risultati. - Inibitori delle tirosinochinasi. Nel sottogruppoALK-positivo degli ALCL, caratterizzato dalla tra-slocazione t(2;5) e dalla conseguente formazionedi una proteina di fusione ad attività tirosinochi-nasi intrinseca, sembra promettente anche il cri-zotinib, un TK-inibitore specifico per ALK che siè dimostrato in grado di indurre risposte obietti-ve in alcuni casi di malattia avanzata e refrattaria(88), come in altre neoplasie caratterizzate dallostesso meccanismo di patogenesi molecolare (89).

Terapia dei linfomi T/NK extranodali (nasal-type)Da un punto di vista terapeutico i NK/TCLs meri-tano di essere distinti dagli altri PTCLs. Il tratta-mento delle forme localizzate comprende laradioterapia. Sono state utilizzate dosi variabili da30 a 60 Gy ma la dose ottimale dovrebbe esse-re non inferiore a 55 Gy, cioè molto più alta di quel-le efficaci in altri tipi di linfoma. Il tasso di rispo-sta è di oltre l’80% e circa il 70% dei pazienti ottie-ne la remissione completa (90, 91). Ciononostante,

il tasso di recidiva è intorno al 50% e la maggiorparte delle recidive è locale e avviene entro il pri-mo anno dal termine della radioterapia. In consi-derazione dell’elevato rischio di recidiva di malat-tia, non solo nelle forme sistemiche ma anche nel-le forme localizzate, è utile associare regimi di che-mioterapia, anche prima dell’inizio della radiote-rapia. Tra i regimi impiegati, lo schema CHOP ei regimi CHOP-like contenenti antracicline nonhanno dato risultati soddisfacenti (92) per l’ele-vata incidenza di chemioresistenza dovuta ancheall’espressione del gene della multi-drug resistan-ce (MDR) ABCB1 che codifica per la P-glicopro-teina nelle cellule neoplastiche (93). La L-aspa-raginasi (L-Asp) è in grado di per sé di ridurre l’at-tività NK nelle cellule normali, non risente dei mec-canismi di farmaco-resistenza tipo MDR e cau-sa apoptosi in linee cellulari NK e in cellule di leu-cemia/linfoma NK in vitro (94). In effetti si otten-gono buone risposte sia con l’impiego della L-Aspda sola che in combinazione con prednisone evincristina (tasso di risposta fino al 50% deiNK/TCLs) (95). In uno studio del GELA, Jaccardet al. (96) hanno combinato L-Asp con MTX a altedosi e con desametasone ottenendo risposteeccellenti in pazienti recidivati e refrattari, con ORRdel 79% e RC del 63% e una sopravvivenza glo-bale di oltre 12 mesi in una categoria di pazientiparticolarmente difficile. Uno studio giapponese(97) ha ideato uno schema contenente L-Asp incombinazione con steroide, methotrexate, ifosfa-mide ed etoposide (SMILE). L’esperienza inizialecon questo protocollo è molto favorevole: l’ORRè pari a 67% con un tasso di RC del 50% inpazienti con malattia disseminata o recidivata/resi-stente.

n CONCLUSIONI

I linfomi T sistemici restano una patologia parti-colarmente difficile per l’ematologo. Le loropeculiarità biologiche, la relativa rarità, la partico-lare refrattarietà ad approcci terapeutici efficaci inaltri tipi di linfomi possono scoraggiare il clinico.Tuttavia recentemente sono iniziati sforzi collabo-rativi internazionali, fra i quali l’International T-CellLymphoma Project e lo studio registrativo prospet-tico T-cell project, che possono rappresentare la

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base indispensabile per ottenere in futuro progres-si decisivi. Una conoscenza più approfondita deimeccanismi biologici e dei quadri istopatologicicaratteristici delle diverse entità di linfomi T/NKconsentirà verosimilmente di ottenere, su più vastascala, quei risultati che già oggi si iniziano ad otte-nere in alcuni gruppi di pazienti. L’esempio del-l’immunoconiugato anti-CD30/aurastatina nel lin-foma anaplastico, è paradigmatico di come unacaratteristica biologica distintiva possa esserespecificamente sfruttata per massimizzare il dif-ferenziale fra efficacia e tossicità della terapia.Nell’attesa che questi progressi si traducano inarmi terapeutiche concretamente utilizzabilidobbiamo continuare a fare il miglior uso delleterapie disponibili. Il ricorso a procedure trapian-tologiche precocemente durante il decorso dellinfoma rappresenta un’indicazione unanime, evedremo presto se ciò debba essere fatto in pri-ma o in seconda remissione e se con cellule sta-minali autologhe o allogeniche. Anche la chemio-terapia convenzionale non dovrebbe limitarsisempre e comunque allo schema CHOP, essen-dovi evidenze di possibili miglioramenti in sot-togruppi di pazienti con l’aggiunta o l’utilizzo dialtri farmaci come l’etoposide nei giovani a pro-gnosi sfavorevole e l’asparaginasi nei linfomiT/NK. Certamente il suggerimento resta quellodi inserire il più possibile i pazienti in studi cli-nici controllati, nei quali possano venire verifica-ti i reali vantaggi dei nuovi farmaci, quali prala-trexate, inibitori delle istone-deacetilasi e delletirosin-chinasi, e molti altri, che stanno percor-rendo il lungo iter degli studi di fase I-II e poi difase III necessario a farli entrare a pieno titolo,da soli o in combinazione, nello scarso arma-mentario terapeutico oggi disponibile per i lin-fomi T sistemici.

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