Anno 8 - numero 10 (80) - Novembre 2011 Curia e pastorale ...foto: Massimo Tomasini. - Cristo è...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 8 - numero 10 (80) - Novembre 2011

Transcript of Anno 8 - numero 10 (80) - Novembre 2011 Curia e pastorale ...foto: Massimo Tomasini. - Cristo è...

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  • 22 NovembreNovembre20112011

    Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia

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    Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

    Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

    Diocesi di Velletri-Segni

    Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

    CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

    Mihaela Lupu

    ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

    Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

    Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

    RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

    A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, S.E. mons. A. M.Erba, mons. Luigi Vari, mons. Franco Risi, mons.Franco Fagiolo, don Antonio Galati, fr. Riccardo Nuti, SuoreApostoline Velletri, don Claudio Sammartino, don MarcoNemesi, don Daniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro, AngeloBottaro, diac. Massimo Facchini, Missionarie S. Paola Frassinetti,Claudio Capretti, Antonio Galati, Fabricio Cellucci,Teodoro Beccia, Rigel Langella, Pier Giorgio Liverani, AntonioVenditti, Sara Gilotta, Sara Bianchini, FedericaColaiacomo,Francesco Canali,Emanuela Dell’Ali ,Antonietta Lenci, Gaetano Sabetta, Maria Cristina Felci,Rossella Savulla.

    Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

    DISTRIBUZIONE GRATUITA

    In copertina:Busto di San Clemente, G. Finelli,1632-39

    Museo Diocesano di Velletri,foto: Massimo Tomasini.

    - Cristo è degli umili. + Vincenzo Apicella p. 3

    - 9 ottobre 2011: Benedetto XVI per la prima

    volta in Calabria. S. Fioramonti p. 4

    - Non uccidere la speranza. Anche il più feroce assassino può redimersi e ritornare alla vita

    Angelo Bottaro p. 5

    - “Passare all’uomo è passare a Dio” Sara Gilotta p. 6

    - “In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza”.

    Salvaguardia del creato e impegno sociale. Rigel Langella p. 7

    - Il pensiero della Chiesa e la questione omosessualePier Giorgio Liverani p. 8

    - Il Battesimo/1: Retroterra giudaico e fondamento biblico. don Antonio Galati p. 9

    - Carissimo Geremia. Claudio Capretti p.10

    - Non apprezziamo la Parola perché non abbiamo parole. mons. Luigi Vari p. 11

    - L’Emergenza penitenziaria. S. Bianchini p.12- Alla fine del laboratorio. S. Bianchini p.13

    - I Cristiani ritrovino l’entusiamo nell’annunciare il

    Vangelo. mons. Franco Risi p. 14

    - L’Eucarestia mi dona conforto e il sostegno per perseverare, Lettera di un missionario a Taipei.

    Gaetano Sabetta p. 16

    - Riparte l’Anno Catechistico. Miss.rie S. Paola Frassinetti. p.17

    - Alle radici della sequela: Santificato e inviato nel mondo. fr. Riccardo Nuti p.18

    - Per scegliere.... Quali passi?Sr. Apostoline p.19

    - Chiamati a Crescere in umanitàFabricio Cellucci p. 20

    - Diaconato: La mia vocazione. Pensieri in libertà.diac. Massimo Facchini p. 21

    - La figura e l’opera di San Clemente nell’omelia della prima omelia di Mons. A. M. Erba Vescovo di Velletri il 23.11.1989 p.22

    - L’Azione Cattolica della Collegiata di Valmontone compie 100 anni.

    S. Fioramonti p. 24

    - Le Confraternite: luogo vivo della tradizione del Mistero Eucaristico. Teodo Beccia p.26

    - X° Cammino di Fraternità delle Confraternite del Lazio. E. Dell’Ali e A. Lenci p. 27

    - Dalla Comunità di Segni p. 28

    - Una assicurazione ante litteram. Quando una messa da morto costava quindici baiocchi,

    F. Canali p.30

    - Il Centenario della nascita di Mons. Primo Gasbarri, (n.d.r.) p. 31

    - Tempus Fugit/7. Novembre, il mese dei morti e dei santi, S. Fioramonti p. 32

    - Nel pensiero di San Bruno: Il primo ornamento della Chiesa e la fede, don D. Valenzi p. 33

    - Le famiglie si educano alla vita buona del Vangelo, p. V. Molinaro p. 34

    - Quali musiche e quali canti nella Celebrazione dei Matrimoni, mons. F. Fagiolo p. 35

    - Madre, M. Cristina Felci p. 35- L’Insegnamento della Religione cattolica / 2,

    Antonio Venditti p. 36- Ritorno alla storia / 27, don C. Sammartino p. 37- Teatro S. Clemente : si riparte, R. Savulla p. 38- Piero della Francesca, Le Storie della Vera Croce, Arezzo, 1452-66

    don M. Nemesi p. 39

    p. 38

  • 33NovembreNovembre20112011

    EEsattamente trenta anni fa Mons.Dante Bernini, allora vescovo di Velletri-Segni, su proposta del Centro StudiSS. Clemente e Bruno, decise di pubblicare perla nostra diocesi un’edizione particolare della Letteradi S. Clemente ai Corinzi, uno dei primi monu-menti letterari e teologici della nostra Tradizione,che, negli antichi codici, veniva posta subito dopoi libri della Sacra Scrittura.Egli così scriveva: “San Clemente, papa e mar-tire, è titolare della Basilica Cattedrale di Velletri,patrono principale della Città e della omonimadiocesi suburbicaria… La pubblicazione della Letteravuol essere l’occasione di far conoscere san Clementee particolarmente il suo cuore di Pastore, attra-verso la sua stessa parola”.E veramente abbia-mo tutti ancora molto da imparare da questo testoscritto oltre millenovecento anni fa, che testimoniaanzitutto la sollecitudine della Chiesa di Romaper le altre chiese sparse nel mondo e, più in gene-rale, lo spirito di comunione e di corresponsa-bilità che deve esistere tra tutte le chiese.Fu scritta per aiutare i cristiani di Corinto a supe-rare un momento di grave divisione e profondafrattura interna, poiché sembra proprio che, findall’inizio, lo sport praticato più volentieri dai disce-poli di Colui che è morto “perché tutti siano uno”sia quello di separarsi e farsi la concorrenza.Clemente interviene, ma non a titolo personale,visto che all’inizio si legge: “La Chiesa di Dio che

    è a Roma alla Chiesa di Dio che è a Corinto, aglieletti santificati dalla volontà di Dio per nostro SignoreGesù Cristo.” E non d’autorità, ma per far sen-tire la voce della pace, secondo le parole del-l’apostolo Paolo: “Noi non intendiamo far da padro-ni sulla vostra fede, siamo invece i collaborato-ri della vostra gioia, perché nella fede voi sietesaldi” (2Cor.1,24). Si rivolge ai Corinzi come seli avesse davanti e, forte dei suoi argomenti, cer-ca di andare alla radice del problema, per por-tarsi sempre al di sopra della mischia e del par-ticolare, attingendo continuamente e a piene manidalla Parola di Dio, considerata come unico cri-terio da seguire. Ripercorre in ogni direzione laStoria della Salvezza, attualizzandola per quan-to stanno vivendo i suoi lettori, con innumerevolicitazioni esplicite ed implicite della Scrittura, tan-to che risulterebbe difficile determinare quanteparole siano di Clemente e quante della Bibbia.Il centro, comunque, è la persona di Gesù Cristo,presentata a partire dai Canti del Servo Sofferentedel profeta Isaia: “Era come un debole fanciul-lo, una radice nella terra riarsa. Non ha appa-renza né bellezza per attirare i nostri sguardi, nonsplendore per poterci piacere. Disprezzato e reiet-to dagli uomini, uomo dei dolori che ben cono-sce il patire, come uno davanti al quale ci si coprela faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcu-na stima…” (Is.53,2s), perché “Cristo è degli umi-li, non di chi si eleva sul suo gregge”(XVI,1).

    Ma Cristo è risorto, primizia di coloro che lo han-no seguito nella via dell’umiltà e della pace: “Riteniamo,dunque, cosa grande e straordinaria che il crea-tore dell’universo opererà la resurrezione di colo-ro che lo hanno servito santamente nella sicu-rezza di una fede sincera.” (XXVI,1).Clemente chiude la sua Lettera riassumendo gliargomenti trattati: “Fratelli, vi abbiamo scritto abba-stanza sulle cose che convengono alla nostra reli-gione…Abbiamo toccato tutti i punti che riguar-dano la fede, la penitenza, la vera caità, la continenza, la saggezza e la pazienza. Viabbiamo ricordato che nella giustizia, nella veri-tà e nella magnanimità bisogna piacere santa-mente a Dio onnipotente, amando la concordia,dimenticando le offese, nell’amore e nella pacecon una benevolenza continua, come i nostri padri,di cui abbiamo già parlato, si resero graditi conl’umiltà verso il Padre, Dio e creatore, e tutti gliuomini…Ci darete esultanza di gioia se, divenutiobbedienti a ciò che vi abbiamo scritto median-te lo Spirito Santo, smorzerete la collera ingiu-sta della vostra gelosia, secondo l’esortazionefatta in questa lettera alla pace e alla concordia.”(LXII-LXIII). Ma, prima di concludere, il nostro Patronotrasforma il suo pensiero in preghiera, una pre-ghiera straordinariamente ricca di contenuti, chescaturisce dall’abbondanza di un cuore appas-sionato. Farla nostra , credo, è il modo miglioreper celebrare la solennità del nostro Santo Patrono:

    La grande preghiera.

    Quelli che si oppongono alle parole che , in nomedi Dio, noi abbiamo loro rivolto, sappiamo in quale colpa incorronoe a quale seriopericolo si espongono.Estranei ai fatti e pure le nostre mani da questo pec-cato,con preghiere e suppliche incessanti chiede-remo a Dio che serbi intatto il numero di quanti sonoi suoi figli sparsi nel mondo: ci esaudisca per mezzo del diletto suo Figlio GesùCristo, nostro Signore.Per i suoi meriti dalle tenebre ci chiamò alla luce, dalla ignoranza alla grazia di conoscere l’adorabi-le suo nome, così da sperare nel suo nome princi-pio e causa del mondo visibile e invisibile.Tu apristi gli occhi del nostro cuore, perché cono-scessimo che altri non c’è, nell’universo, grande potente al di sopra di te:Padre Santo che vivi tra i santi,che annienti l’orgoglio dei superbi,scompagini i sogni ambiziosi del popoli,esalti gli umili, vanifichi l’infatuazione dei potenti del-la terra; nelle tue mani le ricchezza e la povertà,la vita e la morte,munifico elargitore di beni;Dio d’ogni carne che scruti gli abissi insondabili,sai dell’uomo le opere e i segreti pensieri;pronto al soccorso, rialzi dalla disperazione lo sfi-duciato;Creatore e custode d’ogni spirito, rendi feconde emoltiplichi le generazioni degli uomini, e hai scelto, tra queste, coloro che ti amano in Cristo Gesù, l’amatissimo tuo

    Figlio, per mezzo del quale ci hai formati,santifica-ti e glorificati.Noi ti preghiamo, o Signore,sii il nostro soccorso esostegno. Confronta chi geme nella tribolazione;al povero che langue e versa nel bisognonon manchi la tua assistenza.Dona la salute agli infermi, agli sviati la gioia del ritor-no, e la libertà ai prigionieri;porgi soccorrevole la tua mano a chi giace prostratonella colpa; dà forza ai deboli, coraggio ai pusillamini.Sappiamo tutte le genti e i popoli che abitano sul-la terra, che tu sei l’unico vero Dio,che tuo Figlio è Cristo,e noi tuo popolo e gregge del tuo ovile.

    Con la creazione hai reso visibile l’immutabileordinamento del mondo.

    Fedele nel tempo e per le generazioni, retto nei tuoigiudizi, mirabile per potenza e munificenza, saggio quandocrei, sapientissimo quando fermi nel-la stabilità le cose, buono in tutte le tue manifesta-zioni, benevolo con chi a te si affida, grande nel per-dono, dimentica, pietoso, ogni iniquità,ingiustizia, caduta, negligenza nostra.Nella divina tua generosità cancella i peccati dei tuoisere serve, mandaci nel lavacro della tua misericordiae guida i nostri passi affinché camminiamo nella san-tità del cuore e copiamo opere che siano gradite ate e a quelli che presiedono alla comunità del fede-li. Fa risplendere su di noi, Signore, la luce del tuovolto per il bene la pace fratelliin Cristo.

    Ci protegga la potenza della tua mano, e il tuobraccio altissimo ci scampi dal male dall’odio ingiu-sto dei nostri nemici.A noi e a tutti, quanti abitano la terra, dona concordiae pace, come già ai nostri padri quando, con verafede e pietà sincera, a te si rivolgeranno imploran-do soccorso. Nel rispetto al nome tuo santissimo eonnipotente, rendici docili ai nostri capi e governantisulla terra.

    Con la tua potenza e grandezza conferisti loroil potere della regalità.

    Siamo consapevoli della gloria e dell’onore di cuili hai fatti degni, e li obbediremo in omaggio e perl’adempimentodel tuo volere.A loro, Signore, la salute, la pace, la concordiafermezza d’animo, perché possiamo esercitarecon incontrastata autorità il potere del quale sonostati investiti.Porta, o Signore, a buon fine il loro volere secon-do ciò che è buono e gradito al suo cospetto, poi-ché tu, Signore eRe dei cieli, hai partecipato aifigli degli uomini gloria, onore e potere sulle coseterrestri: esercitando con pietà nella pace e nelladolcezza la missione loro affidata, ti trovino propizio. A te che solo puoi farci grazia di questi e d’altripiù grandi doni, il nostro ringraziamento in Cristosacerdote e protettore delle anime nostre, per il quale a te la gloria e la magnificenza digenerazione in generazione e nei secoli. Amen

    � Vincenzo Apicella, vescovo

  • 44 NovembreNovembre20112011

    Stanislao FIoramonti

    S. Messa e Angelus nella periferiaindustriale di Lamezia Terme

    “Cari fratelli e sorelle! Sono venuto per condivi-dere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni,ideali e aspirazioni di questa comunità diocesa-na. So che anche a Lamezia Terme, come in tut-ta la Calabria, non mancano difficoltà, problemie preoccupazioni. Se osserviamo questa bella regio-ne, riconosciamo in essa una terra sismica nonsolo dal punto di vista geologico, ma anche daun punto di vista strutturale, comportamentale esociale; una terra, cioè, dove i problemi si pre-sentano in forme acute e destabilizzanti; una ter-ra dove la disoccupazione è preoccupante, doveuna criminalità spesso efferata, ferisce il tessu-to sociale, una terra in cui si ha la continua sen-sazione di essere in emergenza. All’emergenza,voi calabresi avete saputo rispondere con una pron-tezza e una disponibilità sorprendenti, con unastraordinaria capacità di adattamento al disagio.Sono certo che saprete superare le difficoltà dioggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismoe del ripiegamento su voi stessi. Fate appello allerisorse della vostra fede e delle vostre capacitàumane; sforzatevi di crescere nella capacità di

    collaborare, di prendersi curadell’altro e di ogni bene pub-blico, custodite l’abito nuzia-le dell’amore; perseveratenella testimonianza dei valo-ri umani e cristiani così pro-fondamente radicati nellafede e nella storia di questoterritorio e della sua popola-zione”. (...)“A voi fedeli laici, giovani e fami-glie, dico: non abbiate pauradi vivere e testimoniare la fedenei vari ambiti della società,nelle molteplici situazioni del-l’esistenza umana! Avete tutti i motivi per mostrar-vi forti, fiduciosi e coraggio-si, e questo grazie alla lucedella fede e alla forza della cari-tà. E quando doveste incon-trare l’opposizione del mon-do, fate vostre le paroledell’Apostolo: «Tutto posso incolui che mi dà la forza» (Fil4,13). (...) Invochiamo l’in-tercessione di Maria anche peri problemi sociali più gravi diquesto territorio e dell’interaCalabria, specialmente quel-li del lavoro, della gioventù edella tutela delle personedisabili, che richiedono crescente

    attenzione da parte di tutti, in particolare delle Istituzioni.In comunione con i vostri Vescovi, esorto in par-ticolare voi, fedeli laici, a non far mancare il vostrocontributo di competenza e di responsabilità perla costruzione del bene comune”.Alla popolazione di Serra S. Brunodavanti alla Certosa“I monasteri hanno nel mondo una funzione mol-to preziosa, direi indispensabile. Se nel medioe-vo essi sono stati centri di bonifica dei territori palu-dosi, oggi servono a “bonificare” l’ambiente in unaltro senso: a volte, infatti, il clima che si respi-ra nelle nostre società non è salubre, è inquina-to da una mentalità che non è cristiana, e nem-meno umana, perché dominata dagli interessi eco-nomici, preoccupata soltanto delle cose terrenee carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma ancheil prossimo, e non ci si impegna per il bene comu-ne. Il monastero invece è modello di una socie-tà che pone al centro Dio e la relazione frater-na. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostrotempo”.Ai vespri celebrati con la comunità certosina di Serra S. Bruno“Il progresso tecnico, segnatamente nel campodei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vitadell’uomo più confortevole, ma anche più conci-

    tata, a volte convulsa. Le città sono quasi sem-pre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, per-ché un rumore di fondo rimane sempre, in alcu-ne zone anche di notte. Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei mediaha diffuso e amplificato un fenomeno che già siprofilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischiadi dominare sulla realtà. Sempre più, anche sen-za accorgersene, le persone sono immerse in unadimensione virtuale, a causa di messaggi audio-visivi che accompagnano la loro vita da mattinaa sera. I più giovani, che sono nati già in questacondizione, sembrano voler riempire di musicae di immagini ogni momento vuoto, quasi per pau-ra di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita,specialmente tra i giovani e nei contesti urbanipiù sviluppati, ma oggi essa ha raggiunto un livel-lo tale da far parlare di mutazione antropologi-ca. Alcune persone non sono più capaci di rima-nere a lungo in silenzio e in solitudine.Ho voluto accennare a questa condizione socio-culturale, perché essa mette in risalto il carismaspecifico della Certosa, come un dono preziosoper la Chiesa e per il mondo, un dono che con-tiene un messaggio profondo per la nostra vitae per l’umanità intera. Lo riassumerei così: riti-randosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, percosì dire, si “espone” al reale nella sua nudità,si espone a quell’apparente “vuoto” cui accen-navo prima, per sperimentare invece la Pienezza,la presenza di Dio, della Realtà più reale che cisia, e che sta oltre la dimensione sensibile. (...) Questa vocazione, come ogni vocazione, trovarisposta in un cammino, nella ricerca di tutta unavita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo comequesto per imparare a stare alla presenza di Dio.Come nel matrimonio non basta celebrare il Sacramentoper diventare effettivamente una cosa sola, maoccorre lasciare che la grazia di Dio agisca e per-correre insieme la quotidianità della vita coniu-gale, così il diventare monaci richiede tempo, eser-cizio, pazienza, “in una perseverante vigilanza divi-na – come affermava san Bruno – attendendo ilritorno del Signore per aprirgli immediatamentela porta” (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in que-sto consiste la bellezza di ogni vocazione nellaChiesa: dare tempo a Dio di operare con il suoSpirito e alla propria umanità di formarsi, di cre-scere secondo la misura della maturità di Cristo,in quel particolare stato di vita. (...)“Per questo sono venuto qui, cari Fratelli che for-mate la Comunità certosina di Serra San Bruno!Per dirvi che la Chiesa ha bisogno di voi, e chevoi avete bisogno della Chiesa. Il vostro postonon è marginale: nessuna vocazione è marginalenel Popolo di Dio: siamo un unico corpo, in cuiogni membro è importante e ha la medesima digni-tà, ed è inseparabile dal tutto”.

    In questo mese di novembre diverse sono le ricorrenze,mentre ricordiamo il santo patrono San Clemente, non pos-siamo dimenticare, tra coloro che hanno presieduto comepastori sulla cattedra al santo papa e martire dedicata, S.Eminenza il Cardinal Francis Arinzedel Titolo Suburbicario del la nostra Diocesi

    che il 1° novembre compie gli anni e S. Eccellenza Mons. Andrea Maria Erbavescovo emerito che il 30 dello stesso mese ricorda l’ono-mastico. A nome del presbiterio e della Diocesi tutta la reda-zione esprime stima e affetto e innalza preghiere di ringraziamentoa Dio invocando per loro grazie e gioie spirituali.

  • 55NovembreNovembre20112011

    Angelo Bottaro

    PP er esprimere la angoscia, laoppressione, il tormento, la dispe-razione che possono colpireun essere umano non sono necessa-rie molte parole e non occorre una par-ticolare immaginazione : basta riporta-re alla mente l’inquietante urlo del pit-tore norvegese Edward Munch o la tra-gica espressione del dannato in bas-so a destra nel Giudizio Universale affre-scato da Michelangelo nella CappellaSistina. “...Non ci sia dunque alcun travoi, non ci sia, che speri mai, nell’inferno,o refrigerio o ristoro o conforto di sor-te alcuna, perché né vi è né può esser-vi. Sarebbero questi affetti di misericordiapietosa, non di giustizia implacabile. In inferno nulla est redemptio: nulla, nul-la. E però ibi gemitus sunt et suspiria,sed non est qui miseatur, ibi dolor et planc-tus, sed non est qui audiat” : è lo stral-cio di un sermone quaresimale del pre-dicatore gesuita Paolo Segneri, vissu-to nella prima metà del milleseicento.Sotto l’aspetto formale è un linguaggioun po’ antiquato, in disuso, ma nella sostan-za le parole trasmettono ancora una sen-sazione terribile, quella di un fatto, diun accadimento, di una situazione irri-mediabile e quindi irreversibile.Per incontrare la angoscia, la dispera-zione, l’ineluttabile non è, tuttavia,necessario evocare la dannazione eter-na e sprofondare nell’inferno, perchéanche sulla terra, nella realtà di ogni gior-no, non mancano i luoghi dove è mol-to probabile imbattersi in persone chehanno perso la speranza e l’interessealla vita. Basta entrare in una casa diriposo ed osservare i volti ed i gesti deipensionanti, in una corsia di ospeda-le e fare un giro tra i letti degli amma-lati oppure in un carcere ed affacciarsialla cella di un recluso. In questi luoghi non èdifficile incontrare persone nelle quali la paura,la sofferenza, la solitudine, l’abbandono, la indif-ferenza hanno bloccato e soffocato il flusso del-la vita fino a distruggerla e a spegnerla. La situazione più drammatica, per quanto pos-sa sembrare incredibile, è sicuramente quelladel carcere perché la persona che subisce unalegittima condanna per un reato commesso spes-so è considerata inutile, pericolosa, incorreggi-bile ed è quindi abbandonata a sé stessa, igno-rata e definitivamente esclusa anche dal pro-prio nucleo familiare. Ne consegue che in un luo-go di pena alla sofferenza e alla solitudine spes-so si sommano l’abbandono e il disinteresse,la perdita della identità e della dignità e a que-ste ultime si aggiunge il disprezzo, inevitabileconseguenza della condanna senza appello e,quindi, indelebile della comunità e della socie-tà .Prova ne sia che solo quest’anno, alla datadel trenta settembre sono morti in carcere cen-toquarantacinque detenuti, dei quali quarantotto

    per accertato suicidio. E’ un dato allarmante eintollerabile se consideriamo che nel nostro pae-se si registra un suicidio ogni ventimila abitan-ti, mentre in carcere la media si abbassa ad unsuicidio ogni novecento reclusi. Il fenomeno cre-sce a livelli iperbolici e sconvolgenti laddoveaggiungessimo i tentati suicidi e gli atti di auto-lesionismo, che nella maggior parte dei casi lascia-no ferite non rimarginabili e permanenti nel cor-po e nello spirito : sono l’unico, estremo, dispe-rato mezzo per richiamare l’attenzione su unaesistenza alla deriva, su una situazione estre-ma, drammatica e senza via di uscita. Sono disperate grida di aiuto,ma quasi sem-pre inutili, inascoltate, disattese, ignorate.Ma èdavvero scontato e comprovato che una voltaviolata la legge e varcata la soglia di un carce-re un detenuto non voglia più tornare indietro,non voglia ravvedersi e cambiare ed invertiresinceramente e definitivamente il proprio mododi essere ed il proprio comportamento? E’ veroesattamente il contrario : ogni uomo che si sia

    reso responsabile di reati contro la per-sona, la società, la natura, anche il piùefferato assassino può cambiare vita,può riallacciare le sue relazioni con lafamiglia, con la comunità, con la socie-tà, persino con le vittime delle sue azio-ni. Non c’è nessun uomo che non pos-sa ritrovare la strada giusta, che nonpossa convertirsi e mettersi al servi-zio del prossimo, che non possa ripa-rare al male compiuto. Nella lettera-tura e nella realtà gli esempi sono infi-niti. Basta soffermarsi soltanto sulla vicen-da di Pietro Cavallero,“la belva di Milano”,il più famoso criminale degli anni ses-santa, autore di cinque omicidi e di unnumero incalcolabile di rapine : sul suosincero pentimento e sulla sua definitivaconversione nessuno ha mai avuto dub-bi, neppure il più smaliziato e scetti-co giudice di sorveglianza, neppure ifamiliari delle sue vittime. Dopo tante tragedie e tanto male, negliultimi anni la sua vita è stata esem-plare : “Nel Vangelo ho ritrovato le mieaspirazioni alla giustizia. La mia fedesi basa sul presupposto che l’uomo puòcambiare, può crescere e solo così hopotuto combattere contro l’ostacolo piùgrande alla redenzione, quello di sen-tirsi inchiodati definitivamente dalla socie-tà al proprio ruolo di malvagio”.Certamente l’ impossibilità di ottene-re perdono è assai peggiore della stes-sa condanna. E difatti perché questeparole potessero essere pronunciate,perché un criminale come PietroCavallero potesse concludere la suaesistenza in pace con se stesso, conDio e con gli uomini era pregiudizia-le che uomini come il cardinale CarloMaria Martini, Ernesto Olivero, frate Lupoe tantissimi altri gli prestassero ascol-to, fiducia, sostegno. Un cammino diconversione e di recupero da parte di

    chi ha sbagliato ed ha commesso un crimine èsempre possibile, ma alla conditio sine qua nondi un cambio di mentalità e quindi di compor-tamento da parte della comunità, dei singoli cit-tadini e degli operatori deputati al recupero e adiretto contatto con il condannato.Ci vuole amore, impegno, fiducia nella perso-na umana che è il massimo, irrinunciabile valo-re a motivo dello spirito e del destino che la ani-mano. Quando tutto questo accade è più di unmiracolo e i prodigi che sembravano impossi-bili, come nel caso di Cavallero, non avvengo-no solo a Milano, ma in ogni luogo dove c’è uncarcerato e qualcuno che vada a visitarlo, perdirgli :”Anche per te c’è ancora speranza, anchetu puoi farcela! Io resterò accanto a te per tut-to il tempo necessario perché tu possa cambiareper sempre la tua vita”.

    Nell’immagine del titolo: Giudizio Universale, part., Michelangelo,

    1537, Vaticano

  • 66 NovembreNovembre20112011

    Sara Gilotta

    ÈÈ una affermazione del filosofo Berdjaev, che nelle sue “Cinque medi-tazioni” ha chiaramente indicato che la via per giungere a Dio, èquella che permette di vederlo anche nel prossimo. Una veritàche è intrinseca al Cristianesimo, ma che certo non facilmente viene segui-ta. Soprattutto in questi tempi in cui, come assai spesso ha sostenutoBenedetto XVI, l’uomo appare imprigionato nella materia, che non gliconsente di sentire dentro di sé la voce dello spirito e quella di Dio. E’ infatti innegabile che l’immanenza, con l’amore per tutto ciò che è cadu-co, ci conduce sempre più lontani da Dio e dal suo Amore. Siamo tutti talmente immersi nel mondo ed ancor più in quelle che rite-niamo le sue lusinghe, da non saper più ascoltare né la voce dei nostrisimili, né la voce dello Spirito. Siamo diventati nel contempo fragili e super-bi, ci siamo lasciati imprigionare dentro una vanagloria che, pur inca-pace di soddisfarci, ci possiede, impedendoci , tuttavia, di trovare pacee serenità. Perché la pace e la serenità non possono che derivare dal-l’umiltà che Miguel De Unamuno, ha definito “la sapienza dei semplici”,di chi, cioè, è capace di non ascoltare solo quelle voci che apparente-mente ci aiutano a sentirci onnipotenti, mentre, in verità, ci conduconoad una solitudine vuota fatta di sogni ingannatori, che nulla lasciano die-tro di sé. Non v’è dubbio invece che per avvicinarsi a Dio, il nostro spi-rito deve innanzitutto imparare ad essere in pace con se stesso e con

    il mondo. Si tratta di concetti apparentemente sempli-ci ma gli uomini del nostro tempo non conoscono il verosignificato di una ricerca che dovrebbe impedirci di chiu-derci nelle tante forme di egoismo che inevitabilmen-te regolano il nostro vivere quotidiano e che continuanoad impedirci di alzare gli occhi oltre gli orizzonti terre-ni e contingenti. Non perché creda che qualunque essere umano potreb-be mai fare a meno di guardare alla terra e ai doveri-diritti che la regolano, ma perché mi pare che essi ormaida troppo tempo abbiano avuto la capacità di limitarela libertà di scegliere, di pensare, di volere qualcosache sia capace di darci la vera forza di vivere, non, comepurtroppo accade, semplicemente di sopravvivere dimen-tichi di noi stessi e delle nostre più profonde necessi-

    tà. Come ha scritto e testimoniato Blaise Pascal, l’uomo è stato crea-to per l’infinito e solo se egli impara a distinguere e a riconoscereciò che è ragione, per imparare ad ascoltare la voce del suo cuore,allora egli saprà accedere alla vera conoscenza di sé e potrà “avvi-cinarsi” all’infinito, che per Pascal fu prima ricerca degli spazi immen-si che costituiscono l’universo, per poi diventare ricerca appassionata

    e dolorosa di Dio. E’ come dire che il grande pensatore francese riconobbe l’im-portanza della ragione, ma non potè in alcun modo ritenerla suf-ficiente da sola a guidare la vita dell’uomo. Purtroppo però oggiper noi tutti è ben difficile uscire, anzi superare gli ambiti di quel-la ragione che continuamente cerca di rassicurarci sul signifi-cato del vivere, per percorrere le vie del cuore e “sentire” Dio.E anche quando il cuore ci conduce a sentire Dio, poi con altret-tanta facilità non riusciamo ad amarlo, perché per amarlo dav-vero, dovremmo mettere a tacere il nostro orgoglio ed ancorprima considerare lucidamente i nostri limiti e le nostre sicu-rezze inutili. Abbiamo finito per dimenticare quanto nella vita è essenziale,

    per confonderlo spesso non solo con il superfluo, che tocca l’am-bito dell’avere, ma persino per considerare idoli da venerare sicu-

    rezze mondane ed esistenziali che nulla hanno di vero e che nul-la possono promettere e dare. Oggi persino la speranza è divenu-

    ta una moda capace di allontanare dalle responsabilità, mostrandoche il futuro sanerà tutto, a prescindere dalla nostra partecipazione e,

    persino, dalla nostra volontà. E’ un grande male, questo, che ha inde-bolito le menti e gli spiriti, che per fortificarsi hanno bisogno di espri-mersi e anche di lottare. Né è possibile in tale situazione pensare chele vie dello spirito rimangano immuni dal contagio. Al contrario esse

    ne sono indebolite ed offuscate, in modo che è diventato più facile otte-nere il loro silenzio e far prevalere la voce che sussurra promesse disuccessi e soddisfazioni assolutamente inconsistenti e spesso inesistenti.Ma anche per tutto questo il nostro tempo è il tempo della paura, daquella della povertà e della solitudine fino a quella della morte, che inu-tilmente è stata confinata fuori della nostra realtà, ma che ci atterrisceancor più proprio perché si cerca continuamente di escluderla, di allon-tanarla persino dai nostri pensieri. Viviamo in un’epoca povera, non solo per gli effetti dilanianti di una cri-si economica terribile, ma anche perché il nostro tempo ha indebolitol’amore per il bello, per l’arte e per la poesia, nella convinzione che tut-to ciò che un’opera d’ arte suggerisce, è capace di offrire nuova vitalitàspirituale e perciò va respinto o tenuto nascosto in ambiti elitari cui, gliuomini comuni non possono accedere, non solo perché tutto ciò che puòcondurre al di sopra di sé, è considerato pericoloso da chi da troppo tem-po è padrone del mondo e che, per mantenere il suo potere non puòche volere atteggiamenti di passività e sottomissione che giovano soloalla sua causa. Per questo ha ragione Albert Einstein quando dice: “lafunzione più importante dell’arte, come della scienza, è risvegliare e tene-re sveglio il sentimento religioso.” Ma soprattutto è il Vangelo che può,se lo vogliamo, insegnarci la giusta via.

    Nell’immagine: San Pietro guarisce i malati con la sua ombra, Masaccio, 1426-27 Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze

  • 77NovembreNovembre20112011

    Rigel Langella

    “In una terra ospitale,educhiamo all’ac-coglienza”: questo iltema della VIGiornata per la sal-vaguardia del crea-to, celebrata in tut-ta Italia. Il Messaggio deiVescovi italiani erastato diffuso in anti-cipo, in coincidenzacon la ricorrenza diPentecoste, per favo-rirne l’approfondi-mento. La Diocesi di Velletri-Segni ha tenuto il pro-prio incontro di stu-dio, sabato 8 otto-bre a Colleferro,con la presenza diMons. VincenzoApicella, don CesareChialastri, promos-so da Claudio Gessi, per approfondire i due temiportanti scelti per il 2011: terra e accoglienza.Gessi, segretario della Commissione regiona-le, ha aperto i lavori, dedicando la sua rifles-sione al tema “terra”, contestualizzato alla real-tà locale: “possiamo dire che il nostro territo-rio, in particolare la Valle del Sacco, sia una ter-ra ospitale?”.A partire da questa domanda sono stati presentatii dati non rassicuranti sulle specificità locali. Inprimo luogo, a fronte di crescenti esigenze peril risanamento ambientale, i servizi sociali, i tra-sporti, gli enti locali vedono una drastica ridu-zione di risorse.Gessi ha illustrato i dati che emergono dalle com-missioni parlamentari d’inchiesta e dalla Cortedei Conti sulle ingenti risorse - letteralmente -“bruciate” negli inutili e dannosi inceneritori diColleferro, a fronte di una riduzione del 70%dei finanziamenti al trasporto locale, per man-canza di risorse. Ricordato anche il lavoro propositivo svolto dal-la Commissione diocesana, che dal 2011 lavo-ra a pieno regime, con la nomina dei dieci mem-bri effettivi. In positivo ha sottolineato l’avvio delProgetto Policoro in Diocesi, annunciato al Convegnodiocesano di settembre. Originariamente desti-nato alle realtà del Mezzogiorno, con la crisi èstato esteso a tutta Italia: si tratta di un labo-

    ratorio per avviare al lavoro, inteso in sensocristiano, i giovani disoccupati, sostenendo lacreazione di cooperative di lavoro o di servizi.Don Cesare Chialastri, vicario generale, ha appro-fondito il tema “accoglienza”. A partire dai punti salienti del documento deivescovi italiani, in forza dell’esperienza pluriennalematurata alla direzione della Caritas, ha illustratol’esigenza di uno stile di vita evangelico, inte-so come testimonianza che si manifesta in unacomunità capace di creare condizioni favore-voli all’accoglienza dell’altro. Il forte richiamo all’assunzione di responsabi-lità, nel contesto odierno, è stato accolto dal-l’assemblea come impegno di valenza perso-nale e sociale, della comunità cristiana nel suocomplesso, nel dibattito seguito alle relazio-ni. In conclusione, il vescovo mons. VincenzoApicella, ha ricordato che alla base della crisidi questi anni recenti, dalla I alla II Repubblica,deve ascriversi la mancanza di un modello eti-co di riferimento. Il cristiano sa e può accogliere perché è già sta-to accolto da Cristo: si tratta di un percorso cheoccorre imparare quotidianamente. In concretola Chiesa non è chiamata a fare prediche maa intraprendere percorsi concreti, ad esempiocon l’adesione ai progetti di legge di iniziativapopolare sul riconoscimento dei diritti civili agli

    immigrati. Probabilmente poco gradite anche a molti cri-stiani “benpensanti”, ma necessarie a ricosti-tuire il tessuto sociale italiano fatto di solida-rietà e condivisione: “si tratta di iniziative ancheimpopolari, a fronte delle strumentalizzazioni edei luoghi comuni inculcati dal martellamentomediatico”.L’impegno a custodire il creato per i cristiani sibasa sulla convinzione che il vangelo e la dot-trina sociale della Chiesa possiedano una for-te connotazione educativa, che favorisce la cre-scita di una cultura attenta all’ambiente, rispet-tosa della persona, della famiglia, dello sviluppoe di una civiltà dell’amore cristiano capace dicustodire con tenerezza il creato.Questa giornata di approfondimento avrà unaricaduta pastorale, a partire dalla capacità dioffrire, come il profeta Isaia, una profetica e lumi-nosa visione del divenire e della storia, pur inun contesto indubbiamente degradato. Ripensando il modello di sviluppo e gli stili divita sarà possibile, secondo i vescovi italiani:“governare la natura senza tiranneggiarla, unen-do all’operosità la contemplazione, sull’esem-pio di uomini come san Benedetto e san Francesco”.

    (Cf Lettera ai cercatori di Diodel 12 aprile 2009)

  • 88 NovembreNovembre20112011

    Pier Giorgio Liverani

    CC ’è stato un po’ di chiasso nelle settimanescorse, perché il Centro Cattolico di Bioeticadell’Archidiocesi di Torino ha fattogiungere al Consiglio regionale del Piemonte,su sua richiesta, un parere su un progetto di leg-ge regionale che propone «Norme di attuazio-ne della parità di trattamento e del divieto di ogniforma di discriminazione nelle materie di com-petenza regionale». Si tratta di sedici articoli ela-borati per garantire «l’assenza di qualsiasi dis-criminazione diretta o indiretta fondata sull’ap-partenenza di genere, sugli orientamenti ses-suali, religione, convinzioni personali, handicap,età, razza e origine etnica» in tutti i campi d’in-tervento della Regione, dalla sanità, alla scuo-la, dalla casa alla cultura. È la ripre-sa di un tentativo della precedentepresidente Mercedes Bresso, aquel tempo già bocciato. Lo scopo reale della proposta di leg-ge, nascosto sotto una finalitàdescritta copiando il testo dell’arti-colo 3 della Costituzione1, è di pro-vocare un riconoscimento pubblicoe ufficiale della condizione omosessualecome specifica, diversa e “altra” rispet-to alla normalità. Si vuole afferma-re in modo esplicito, l’esistenza paral-lela di almeno altri due generi(“gender”) oltre al maschile e al fem-minile, con la conseguente istituzionedi nuovi impossibili “diritti” in più rispet-to a quelli dei maschi (tutti) e del-le femmine (tutte, perché tali sonoanche gli omosessuali): vale a direal matrimonio tra persone del mede-simo sesso, all’adozione e all’accessoalla fecondazione artificiale ovvia-mente eterologa. Il parere del Comitato si augura innan-zitutto che l’eventuale legge «nonabbia come risultato la censura, ol’incriminazione diretta o indiretta dichi, avvalendosi della libertà di pen-siero e di opinione, ritiene di affer-mare in pubblico e in privato, comepure di insegnare, che la distinzio-ne tra maschile e femminile non èsolo un fatto di cultura, ma anchedi natura e che la famiglia fondatasul matrimonio monogamico tra uomoe donna non va considerata solo come una del-le tante unioni o convivenze possibili». A que-sta prima parte del documento non ci sono sta-te particolari reazioni, in quanto presenta unadottrina nota e ribadita in difesa delle identitàumane, della loro dignità e della famiglia. Comesi sa, attraverso la Congregazione per la Dottrinadella Fede, la Chiesa ha emanato, almeno dal1975, una serie di documenti magisteriali sul-la condizione delle persone omosessuali, ai qua-li rimandiamo per ragioni di brevità (le elenchiamoin nota2), ma che testimoniano del suo rispet-to per queste persone e delle sue attenzioni pasto-rali. Ha sollevato, invece, una tempesta il para-

    grafo successivo del parere del Comitato di Bioetica:«Né, stante la libertà di ricerca, [risulti] discri-minato, censurato od ostacolato (anche nell’accessoa eventuali finanziamenti) chi con metodo scien-tifico coltiva la tesi che l’omosessualità sia cura-bile». È noto che, quando sente parlare di terapie, ilmondo gay e i suoi simpatizzanti insorgono, comese l’ipotesi di una possibile patologia fosse un’of-fesa (loro parlano di “omofobia”, usando in que-sto caso un termine che, semmai, indica pau-ra e non odio e fu coniato, infatti, per indicarein chi si scopriva omosessuale, il timore di esser-lo. Qui è utile tenere presente la differenza trale due definizioni di “omosessuale” e di “gay”.Il primo nome indica una condizione di per sénon colpevole né volontaria e non necessaria-

    mente praticata. Il secondo, invece, che in ingle-se significa proprio “gaio”, indica coloro che lapraticano e vivono spesso anche in modo sguaia-to, il “pride”, l’orgoglio di tale condizione, che inultima analisi non è altro che una sorta di dife-sa preventiva dal disagio della propria diversi-tà. Per tornare al parere del Comitato della dio-cesi di Torino, va ricordato che i documenti del-la Chiesa e in particolare il Catechismo usa unagrande saggia prudenza e mostrano rispetto perqueste persone3 anche se, distinguendo tra con-dizione o orientamento della persona e com-portamento oggettivo, la condanna moralefondata sulla Sacra Scrittura e in coerenza con

    la Tradizione, resta. Così come resta anche ilfatto non trascurabile che «esiste la terapia, secon-do modelli convalidati scientificamente ed esi-ste la domanda di psicoterapia. Esiste il lavo-ro di decodifica del terapeuta ed esiste il con-senso del paziente», come afferma il prof. ToninoCantelmi, psichiatra di fama nazionale, docen-te alla Gregoriana e alla Pontificia Università ReginaApostolorum, Responsabile dell’Area di Supportoalla Persona e del Servizio di Psichiatriadell’Istituto Oncologico “Regina Elena” (oltre chediacono della Chiesa di Roma). Il guaio è – anche per le persone di questa con-dizione – che dell’omosessualità si sono fatteun’ideologia e una questione politica, che sonole peggiori nemiche degli stessi omosessuali,che impediscono – come si è appena visto con

    la reazione della sinistra gay diTorino – una analisi e una trat-tazione scientifica del problemae aggravano il disagio di questepersone, le loro relazioni con lasocietà in cui vivono e, non ulti-ma questione, influiscono nega-tivamente anche sul modo del-la gente cosiddetta “eterosessuale”di guardare ad esse. Infine nonsi deve dimenticare, come ricor-da il Catechismo della ChiesaCattolica (n. 2359), che «lepersone omosessuali sono chia-mate alla castità…», come delresto ogni cristiano. Se questoprecetto fosse rispettato dall’u-na come dall’altra parte, la que-stione omosessuale sarebberidotta a una condizione perso-nale accettata o meno. Le rea-zioni degli ambienti gay e filo-gaysono, a Torino come in tutta l’Italia,senza una vera giustificazionee, palesemente, figlie dell’ideo-logia omosessuale e del risso-so clima politica dei nostri gior-ni.1 «Tutti i cittadini hanno pari dignità socia-le e sono eguali davanti alla legge, sen-za distinzione di sesso, di razza, di lin-gua, di religione, di opinioni politiche,di condizioni personali e sociali… »2 «“Persona Humana” – Alcune que-stioni di etica sessuale», 1975; «Alcuneconsiderazioni concernenti la rispostaa proposte di legge sulla non-discrimi-

    nazione delle persone omosessuali», 1992; «Lettera al Vescovidella Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle personeomosessuali», 1986; «Considerazioni circa i progetti diriconoscimento legale delle unioni tra persone omoses-suali», 2003; infine i numeri 2567, 58 e 59 del Catechismodella Chiesa Cattolica, 1992.3 CCC: «L’omosessualità […] si manifesta in forme mol-to varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua gene-si psichica rimane in gran parte inspiegabile…» - n. 2357;«La condizione omosessuale costituisce, per la maggiorparte di loro, una prova. Perciò devono essere accolti conrispett6op, compassione delicatezza…», n. 2358; «Le per-sone omosessuali sono chiamate alla castità…», come delresto ogni cristiano, n. 2359.

    Nell’immagine del titolo: Gay Liberation monument, Christopher Park New York

  • 99NovembreNovembre20112011

    don Antonio Galati

    «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,16)

    QQuesta affermazione, che il Signore Risorto fa ai suoi Apostoliprima di ascendere al cielo, permette di dire che la sal-vezza si riceve in forza della fede e del battesimo. Nonsolo attraverso la fede, ma anche attraverso la celebrazione delprimo dei sette sacramenti. Ciò non esclude, evidentemente, cheDio può salvare attraverso altre vie che Lui conosce e dispone,ma che la celebrazione del battesimo è la via ordinaria per acco-gliere questa salvezza1.Questo contributo vuole essere, allora,un modo per conoscere un po’ meglio (ma in maniera per nullaesaustiva), questo sacramento che è come la porta di accessoordinaria alla salvezza.In questa prima parte si analizzerà il retro-terra giudaico, permettendo di comprendere l’origine di alcuni aspet-ti del battesimo cristiano, e il fondamento biblico, cioè il radica-mento del battesimo nella vita e nell’insegnamento di Cristo edella Chiesa Apostolica. Il mese prossimo ci si soffermerà sulla prassi litur-gica attuale (cercando di evidenziare le connessioni con quanto detto inquesto articolo) e si tenterà di sottolineare alcune implicazioni pastorali.Il retroterra giudaicoIl battesimo cristiano, a causa del legame forte con la cultura giudaica2,non nasce ex abrupto dal nulla, ma mutua dalla cultura giudaica alcunielementi anche se poi questi ricevono, dalla fede e dalla prassi della Chiesa,un significato nuovo. Attingendo ai documenti storici e neotestamentari sipuò notare che il battesimo con acqua veniva praticato dagli stessi ebreie da Giovanni il Battista con i suoi seguaci3. Circa la prassi battesimaledi Giovanni, dalla testimonianza del Vangelo, si può comprendere che que-st’ultimo era consapevole che il battesimo che amministrava aveva unaconnotazione esclusivamente penitenziale ed era amministrato solo in atte-sa del Messia, che avrebbe battezzato «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11).Il battesimo istituito da Cristo si pone, allora, in discontinuità e in conti-nuità con quello giovanneo: in discontinuità perché è qualcosa di nuovo,non ha solo un carattere penitenziale, ma diventa il mezzo per il dono del-lo Spirito Santo che configura i credenti come figli di Dio e quindi donauna vita nuova; in continuità perché comunque mantiene il carattere peni-tenziale, come manifestazione della conversione, del perdono dei pecca-ti e di impegno per camminare nella vita nuova dei redenti.Circa i contatti con la prassi e la fede giudaica al tempo di Gesù, da alcu-ne testimonianze storiche si può affermare che i giudei conoscevano unrito battesimale che veniva praticato per i proseliti, cioè per quegli uomi-ni che volevano professare la fede giudaica ma che non erano di origineebrea. Essi, davanti a tre testimoni, professavano la loro fede nell’unicoDio e l’adesione alla legge e poi venivano immersi nell’acqua.«È innegabile che il battesimo cristiano attinge gran parte del suo rituale,della sua terminologia e della sua teologia dal battesimo dei proseliti del-l’ebraismo»4. Nonostante questi forti punti di contatto, la prassi battesimalecristiana si discosta anche da quella giudaica, perché il battesimo cristia-no sottolinea la centralità di Cristo, celebrandolo come il Messia che hadato il pieno compimento alle attese messianiche dei giudei, in quanto sal-vatore e redentore del mondo, mentre la prassi battesimale giudaica erapiù incentrata su un’attenzione legalista.Per i giudei il battesimo era la pro-fessione del monoteismo e l’adesione alla legge, per i cristiani è la cele-brazione dell’incontro del Padre con l’uomo che diviene figlio nel Figlio inforza del dono dello Spirito Santo e l’inserimento, come membro vivo, delcorpo mistico di Cristo che è la Chiesa.I fondamenti biblici5Nel contributo del mese precedente si è affermato che è Gesù che ha isti-tuito tutti e sette i sacramenti. Quindi per individuare quale sia la naturaautentica del battesimo bisogna guardare alla sua vita e al suo insegna-mento.Scorrendo le pagine dei Vangeli, le prime parole che saltano agliocchi sono quelle che il Risorto dice ai suoi durante il “mandato missio-nario” (cfr. Mc 16,14-18; Mt 28,16-20). In questo contesto Gesù, anche secon espressioni un po’ diverse a seconda dell’evangelista, manda i suoiad annunciare la buona notizia della Pasqua e della salvezza, dando aloro la facoltà di donare questa salvezza attraverso il battesimo.

    Se poi si legge la storia della Chiesa narrata negli Atti degli Apostoli, sipuò vedere come i Dodici abbiano messo in pratica questo mandato. InAt 2,14-41, episodio che avviene dopo l’effusione dello Spirito sui Dodicinel cenacolo (cfr. At 2,1-13), Pietro prende la parola di fronte ai giudei eannuncia agli ascoltatori la buona notizia della Pasqua e della salvezzae, successivamente, molti di coloro che hanno ascoltato quest’annunciosi convertiranno e riceveranno il battesimo. Questo capitolo degli Atti si conclude, poi, con la descrizione della primacomunità ecclesiale che vive in armonia e continua a crescere grazie all’in-tervento del Signore per mezzo degli Apostoli (cfr. At 2,42-48).In quest’e-pisodio il battesimo non fu un atto isolato e fine a se stesso: avvenne altermine del discorso e della testimonianza di Pietro e introdusse alla vitanella comunità. Da ciò si può subito affermare che, nell’intenzione del Signoreche lo ha istituito e della Chiesa Apostolica che lo ha amministrato per pri-ma, il battesimo è il termine di un percorso in cui, chi vuole diventare cri-stiano, viene accompagnato nella conoscenza di Gesù e della fede in Lui.Al tempo stesso è un nuovo inizio di un ulteriore percorso che è la vitadel nuovo credente nella Chiesa, cioè nella comunità di tutti gli altri cre-denti in Cristo che, come lui, hanno ricevuto la stessa fede e lo stesso bat-tesimo ed ora vivono la nuova vita da salvati.In sintesi, il sacramento del battesimo è un ponte che permette di passa-re dall’«uomo vecchio» (cfr. Ef 4,22), che non conosce Cristo e la sua sal-vezza, all’«uomo nuovo» (cfr. Ef 4,24), che ha già ricevuto la salvezza ela condivide con gli altri che, come lui, hanno riconosciuto in Cristo il sal-vatore e hanno voluto accogliere la sua salvezza. Si può anche sottoli-neare che, sempre in At 2,14-41, chi riceve il battesimo lo fa perché haascoltato la testimonianza di Pietro. Ciò significa che il battesimo, questoponte che porta da una vita “da salvare” ad una vita “già salvata”, si inse-risce in un dinamismo più ampio che è quello della testimonianza cristia-na e della trasmissione della fede.1 «Dio ha legato la salvezza al sacramento del battesimo, tuttavia Egli non è legato aisuoi sacramenti» (Catechismo della Chiesa Cattolica, num. 1257).2 Sia il Signore stesso che i Dodici con i primi discepoli e credenti sono di origine giu-daica e, quindi, conoscono e vivono secondo questa cultura.3 Per motivi di brevità e di pochi punti in comune con il battesimo cristiano, non ci si sof-ferma sulla prassi battesimale della comunità essena di Qumran che, comunque, vive-va nello stesso periodo di Gesù e di Giovanni il Battista e che, forse, poteva essere daloro conosciuta. Ciò che si può dire è che, sia la prassi battesimale degli esseni chequella cristiana, hanno un carattere iniziatico e di purificazione (per alcune informazio-ni in riguardo cfr. M. FLORIO – C. ROCCHETTA, Sacramentaria speciale I. Battesimo, con-fermazione, eucaristia, Bologna 2004, pag. 21-22).4 A. KAPLAN, Le acque dell’Eden. Il mistero della mikvah: rinnovamento e rinascita, Roma1996, pag. 117.5 In questo paragrafo non verranno toccati i molti episodi della vita del Signore che sonofondamentali per una conoscenza più esaustiva delle varie dimensioni teologiche delbattesimo. Questa lacuna sarà colmata (in parte) nel prossimo articolo quando, nell’a-nalisi della dimensione liturgica, si farà necessariamente riferimento alla vita alle paro-le del Signore.

    Nell’immagine è descritto un momento dopo il battesimo che Giovanni amministrava al Giordano con l’apparizione di Gesù e lo stesso Giovanni in primo piano che indica ai suoi

    “Ecco l’Agnello di Dio…”. Apparizione di Cristo al popolo, 1837, Alexander Ivanon, Mosca

  • 1010 NovembreNovembre20112011

    Claudio Capretti

    LL ’altra sera ho avuto modo di assistere adun convegno in cui si parlava della situa-zione dei cattolici in Cina. Il moderato-re, dopo aver fatto una panoramica sulla realtàdella Chiesa cinese, ha evidenziato di comel’Associazione Patriottica (un organismo del par-tito comunista che vuole edificare una Chiesanazionale separata dal Papa), non cessi di nomi-nare vescovi senza il mandato apostolico del SantoPadre, suscitando inevitabilmente confusione trai fedeli. Si tenta – affermava - di distruggere laChiesa dal suo interno. Poi la parola è passataal relatore, un laico cinese che ha portato la suatestimonianza evidenziando di come essere cat-tolici in Cina, significa incamminarsi sulla via delmartirio. E’ il caso – affermava - di monsignorGiacomo Su Zhimin vescovo di Baoding (suc-cessore del vescovo Giuseppe Fan Xueyan, ucci-so sotto tortura nel 1993), che da 40 anni è inprigione, “colpevole” di essere cattolico e fede-le alla Chiesa di Roma. Alla fine dell’incontro, inun inglese un po’ stentato, ho cercato di dire alrelatore che ero vicino a loro con la preghiera.“Thank you”, mi ha risposto sorridendomi e strin-gendo forte la mia mano. Andando via mi sono soffermato a guardare queltestimone di fede mentre salutava gli altri pre-senti. L’ho immaginato nel suo quotidiano men-tre dava testimonianza a Cristo nel luogo dovelavorava, nel suo condominio, nella sua famiglia,ed provato a mettermi nei sui panni. Cosa avreifatto io al suo posto? Sarei stato fedele a Cristoe alla Chiesa, come lo era lui? Avrei avuto il corag-gio di annunciare la Parola di Dio in quel con-testo, oppure avrei lasciato che la paura di per-dere la mia vita mi vincesse fino ad apostata-re? Anche tu mio caro Geremia, hai sperimen-tato il martirio, “colpevole”, di annunciare la Paroladi Dio e per questo meritevole di finire in prigioneper mano del tuo stesso popolo.A differenza deituoi illustri colleghi come Isaia e Amos, i qualivennero chiamati tramite una visione da partedel Signore, tu, è il caso di dirlo, sei stato il pro-feta afferrato dalla Parola di Dio. Il Signore ti dis-se che ti conosceva ancora prima di formarti nelgrembo materno e già da allora ti costitui pro-feta per il Suo popolo (Ger 1,5). Tutto apparentementeera a tuo svantaggio: l’inesperienza che affer-mavi di non avere, (Ger 1,8), e la discendenzadal sacerdote Ebiatar esiliato nel villaggio di Ananotper ragioni di stato dal re Salomone (1Re 2,26).Ma nonostante tutto questo, Dio ti chiamò ad esse-re messaggero di una duplice missione, di con-

    danna e giudi-zio, a causadelle infedeltà diIsraele, maanche di sal-vezza e con-solazione amotivo dellafedeltà delSignore. Così fuori leporte del tem-pio diGerusalemme,iniziasti la tuamissione (conuno stato d’a-nimo che credosia facile intui-re), tra l’indif-ferenza e loscherno di tut-ti. Come mini-mo ti avrannodetto a qualetitolo tu, discen-dente di unsacerdote esi-liato, poteviessere la degnavoce del Signore. Il popolo, sia perquesto pregiu-dizio che per lasua dura cervicenon ascoltò,andando incontro al castigo annunciato. Iniziòl’invasione di Israele e contemporaneamente arri-vò per te il tempo del martirio da parte del tuopopolo. Durante l’assedio di Gerusalemme, fostiimprigionato (Ger 37,13-16) con l’accusa di tra-dimento una prima volta e poi gettato in una feti-da cisterna una seconda volta con l’accusa didemoralizzare le truppe con i tuoi proclami (Ger38,4). In entrambi il re ti tirò fuori e ti tenne nelsuo giardino fino all’occupazione di Gerusalemme.Se il re trovò il coraggio di liberarti, non lo tro-vò per andare contro i suoi generali e seguire ituoi consigli, così si avverò quello che il Signoreaveva detto tramite te, la deportazione degli ebreiin Babilonia. Caro Geremia, non sei un personaggio di faci-le interpretazione, ma affermare che tu sia soloun profeta di sventure è veramente riduttivo. Infattidurante la deportazione, non cessasti di con-

    solare il popolo d’Israele, eri la voce della spe-ranza che si leva contro ogni speranza.Involontario messaggero di sciagure che stan-no per abbattersi su Israele, ma anche messaggerodi speranza di una nuova primavera che verràdopo il castigo; fiamma ardente della fedeltà delSignore che rimane accesa nonostante il ven-to dell’infedeltà del suo popolo. Sai Geremia ti confesso che leggendo la tua sto-ria mi sono chiesto, perché mai il buon Dio ti hainviato da solo?. Vista da questa distanza, unintero esercito di profeti non sarebbe bastato perfar fronte alla missione che ti aveva affidato. Ementre pensavo a questo, mi sono accorto dicome sia ancora lontano dalla logica di Dio e adissipare i miei dubbi mi è venuta in aiuto unafrase di un profeta dei nostri tempi, il beato G.Alberione, il quale diceva che: “Dio non sprecamai la sua luce, ma accende una candela per

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    volta”. E’ la luce dei martiri della fede “che a que-sta fede dettero testimonianza davanti al mon-do inimicissimo e crudelissimo, che vinsero noncombattendo, ma morendo” (S. Agostino, La Cittadi Dio, 22,9), poiché la testimonianza a Cristoera più importante della loro stessa vita. Come non intravedere in te un’anticipazione delServo sofferente di Javhé, “dell’Onnipotenza chediviene Onnidebolezza esattamente perché è Amore”(mons. S. Maggiolini, Tu- Introduzione alla pre-ghiera), sulle cui orme posarono i piedi un’infi-nita schiera di martiri, come san Giovanni del-la Croce, Edith Stein, mons. Padovese, l’orio-nino padre Riccardo Gil, mons. Su Zhimin e tan-ti altri ancora. Anime come te, sedotte da Dio

    che si sono lasciate sedurre, che in cuor loro comete hanno lottato con Dio ed hanno lasciato cheLui prevalesse. Anime che si sono arrese a Dio,che hanno lasciato che Cristo li trapiantasse nell’“ortoche profuma dei fiori dell’eternità” (PietroCrisologo), e “Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt7,20). Infatti:“Molti fiori promettono molti frutti; ma,messi alla prova, tra il soffiar del vento, solo pochigiungono a produrre frutto. In tal modo molti appaio-no fedeli a Cristo quando la Chiesa vive in pace;ma quando si abbatte su di essa la tempesta del-la persecuzione, solo pochi giungono al frutto delmartirio” (Pietro Crisologo). Allora, ancor prima di tentare risposte alle doman-de che mi ponevo all’inizio, occorre che io rispon-

    da a quest’unica domanda: Quanto è importanteCristo nella mia vita e fin dove arriva il mio amo-re per Lui? Se ho veramente trovato in Lui la fon-te della vita allora non mi scandalizzeranno leparole:“Se non vuoi sopportare nulla che ti si oppon-ga, in che modo potrai essere amico di Cristo?Se vuoi regnare con Cristo, sorreggiti in Cristoe per mezzo di Cristo. Che se, una sola voltatu riuscissi ad entrare perfettamente nell’intimodi Gesù, gustando un poco dell’ardente suo amo-re, non ti preoccuperesti per nulla di ciò che tipiace o non ti piace;troveresti gioia, invece, nel-le offese che ti si fanno. Giacché l’amore per Gesùci porta a disprezzare noi stessi”. (Imitazione diCristo, Libro 2,2).

    Mons. Luigi Vari*

    BBisogna riconoscere che una delle dif-ficoltà che s’incontrano per far scat-tare un incontro convinto fra la Bibbiae molti credenti, sta proprio nella distanza chesi avverte fra il modo di parlare di Parola, rife-rendosi alla Bibbia, e quello di farlo riferen-dosi all’esperienza quotidiana. Nella Bibbiala Parola crea, sia il mondo che il popolo; gui-da l’esperienza religiosa dei patriarchi e lavita del popolo, anche nella schiavitùdell’Egitto. Sempre la Parola è presente e illu-mina le decisioni del popolo e dei suoi gover-nanti. Nelle famose celebrazioni della Parolache la Bibbia racconta in occasione di pas-saggi decisivi della vita del popolo, è chiarocome la Parola si propone come guida cheaiuta a scegliere il bene piuttosto che il male,la vita piuttosto che la morte. il processo del-la parola mostra come Dio non parli comechi voglia piazzare un prodotto, un’idea; par-la perché il popolo sappia scegliere. Parlare per mettere l’altro in condizione di deci-dere se seguire una via piuttosto che un’al-tra, fornendogli i riferimenti per fare la scel-ta più giusta, e riconoscendo la possibilità nonremota, che l’altro se ne vada per la sua stra-da: rende il contenuto delle parole attendibilee vero. La parola è attendibile e vera non soloperché rispetta la verità e la dignità di chi l’ac-coglie, ma anche perché si rende verificabilenella storia: fa questo e sarai libero, fallo e vivrai.La parola non ha paura della verifica della sto-ria e solo la parola onesta è libera da questapaura. In una della pagine fondamentali dellaBibbia, quella che contiene lo s’mah, inDeuteronomio 6, si legge al versetto 3: Ascolta, Israele, e bada di mettere in praticaqueste cose che ti dico, perché tu sia felice ediventi molto numeroso nella terra dove scor-re latte e miele. La felicità del popolo è la veri-fica della bontà della parola. Ciò che rende anco-ra più straordinaria la Parola della Bibbia, è chesi può decidere, nonostante la sua verificabi-lità, di non accoglierla. Ci sono molti brani che,ricorrendo al simbolismo del matrimonio,mostrano la relazione fra Dio il suo popolo, comequella fra due sposi, uno dei quali decide di non

    accorgersi nemmeno più dei fatti, e di fare ameno dell’altro. E’ straordinario che Dio conti-nui a parlare e non si ritira offeso , scegliendocosì che la creazione e la storia continuino. Di questo tipo di parole noi, come si diceva all’i-nizio, non facciamo esperienza quotidiana; nonapprezziamo la Parola perché non abbiamo paro-le. A tutti noi sarà capitato di sapere come siè svolto un evento, o come sta realmente unaquestione e di avere poi avuto l’avventura dileggerne il resoconto su un giornale o sentir-lo raccontare in televisione, e tutti siamo rima-sti sorpresi della distanza, spesso incolmabi-le fra i fatti e il loro racconto. Ormai molti scelgono di non smentire o correggereper non trovarsi in un tritacarne che mistificherebbeancora di più la verità. In questo senso le paro-le non servono più, non sono caratterizzate dalrispetto per chi le riceve e dalla possibilità diverifica. L’uso delle parole non sembra orien-tato ad aiutare le persone a scegliere per il meglio,ma a arruolarle per qualche causa quasi mai

    nobile. Questo non accade oggi per la primavolta, però oggi è un fenomeno estremamen-te amplificato e poco denunciato. È vero chele bugie hanno le gambe corte, ma a furia dinon fidarsi delle parole che si ascoltano e chesi leggono, perché tutte cedono miseramentealla prova dei fatti, il risultato non sempre è quel-lo di cercare parole vere, ma spesso è di abban-donare la ricerca.La Bibbia, proprio perché vivecon gli uomini, soffre di questo. Disprezzare leparole diventa disprezzo della Parola; nello stes-so senso, disprezzare l’uomo diventa disprez-zo di Cristo. Penso che non siamo abbastan-za avvertiti di questo, prova ne sia la comuni-cazione faticosa e grigia, ingessata e paluda-ta, della nostra cara Chiesa. Bisogna ridare impor-tanza alle parole, pure a casa nostra, con unpo’ più di attenzione e di fantasia.

    *Parroco e Biblista

    Nell’immagine: Abramo incontra i tre angeli, Eleckhout,Gerbrand van den, 1656, San Pietroburgo

  • 1212 NovembreNovembre20112011

    Sara Bianchini

    OOssia l’emergere della specificità della poli-zia penitenziaria. Entrare in carcere signi-fica per un volontario incontrare dapprimae sempre la Polizia Penitenziaria. Ci riservia-mo per un altro momento una riflessione signi-ficativa sulla costituzione, la specificità e la signi-ficatività di un corpo di polizia ad hoc per l’e-secuzione della detenzione. Ora ci preme sot-tolineare che quando si parla di “emergenza (!)carceri”, tra le vittime di tale emergenza c’è anchela Polizia Penitenziaria. In cosa si traduca questa emergenza per i poli-ziotti penitenziari, si può evincere dalle paroleche seguiranno (che sono solo due però dellevarie opinioni in merito, possibili). Dal Comunicatostampa del 20 settembre 2011 ricaviamo l’ap-pello dell’Osapp (Organizzazione Sindacale AutonomaPolizia Penitenziaria) a firma del segretario gene-

    rale Leo Beneduci, indirizzato al Ministro dellaGiustizia Nitto Francesco Palma e ai Capigruppodi entrambi i rami del Parlamento. “Con oltre 67miladetenuti presenti in soli 45.646 posti, con 9 regio-ni su 20 (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria,Lombardia, Marche, Puglia, Veneto e Valle d’Aosta)che hanno superato persino le capienze mas-sime tollerabili e con la di Polizia Penitenziariache ha perso 1.300 unità solo nell’ultimo annoper una carenza complessiva di 7.700 addettisul territorio nazionale e pari al 20% dell’orga-nico è di vitale importanza che nell’auto-convocazionedi domani 21 settembre del Senato della Repubblica,non si perda tempo in polemiche di schieramentoo personali e si valutino, invece, proposte con-crete e celeri.”” […] “Ma non deve neanche sot-tovalutarsi che, come i significativi esempi ancherecenti dimostrano da Rieti a Trento, daPiacenza a Velletri per arrivare a Gela un siste-ma penitenziario di sola edilizia e senza personale,ovvero in cui sono costretti ad operare pochi poli-

    ziotti penitenziari privi di organizzazione e di ruo-lo, gestiti in maniera approssimativa nell’am-ministrazione centrale, è destinato a fallire mise-ramente qualsiasi possibile risultato per la miglio-re sicurezza dei cittadini”. “Soprattutto ilGuardasigilli e il Parlamento non dimentichino,oltre ai problemi del sovraffollamento e della pro-miscuità e antigienicità dei penitenziari per lapopolazione detenuta che i poliziotti penitenziarihanno raggiunto, nelle attuali e del tutto illega-li carceri italiane, il massimo della sopportazionee della fatica, dopo avere da tempo superato ilimiti del rischio e del sacrificio”. Dal sito di RistrettiOrizzonti, ricaviamo anche quest’altra testimo-nianza (proveniente da www.iltaccoditalia.info,20 settembre 2011, in cui era stata pubblicataun’intervista a Federico Pilagatti, segretario nazio-nale del Sappe, Sindacato Autonomo PoliziaPenitenziaria.Giornalista: Perché si continua a costruire, allo-

    ra? Pilagatti: Perché ci sono le cosiddette “cric-che”. Per la costruzione delle carceri non esi-stono appalti pubblici. Sono sempre le stesseaziende che, una volta ottenuto il lavoro, gua-dagnano senza nemmeno svolgere degnamenteil proprio compito. In Italia, questo tipo di strutture, sono fabbricatemale. Basta vedere come sono ridotti i penitenziaripugliesi. Pensi che a Trento e Reggio Calabriasono state aperte nuove sezioni, ma non sonoancora operative perché manca il personale del-la polizia penitenziaria. Giornalista: Tenendo conto delle restrizioni eco-nomiche, quali sono, secondo lei, le soluzionireali? Pilagatti: Quello che proponiamo da tem-po è la depenalizzazione di tutti quei reati chenon generano allarme sociale. Se teniamo in gale-ra anche i ragazzini sorpresi con tre dosi di has-hish, non riusciremo mai a ridurre il sovraffol-lamento. Quei ragazzi devono seguire tutto unaltro iter. Relegandoli in cella con veri delinquenti,

    rischiamo di ritrovarli, alla fine della pena, peg-giorati e per niente pentiti. Poi, su 68mila dete-nuti nel nostro Paese, circa 24mila sono stra-nieri. Se si proponessero degli accordi agli Statidi provenienza dei reclusi, con un piccolo con-tributo economico, si potrebbe cercare di far scon-tare la pena a ciascuno nel proprio Paese, nongravando così, in modo massiccio, sulle casseitaliane. Un detenuto costa mediamente, com-preso tutto, circa 200 euro al giorno: pensi alrisparmio che se ne otterrebbe. La settimanascorsa, una sentenza del Tribunale di sorveglianzadi Lecce obbligava a risarcire un recluso per lecondizioni disumane in cui era costretto a vive-re. Può essere un punto di svolta? Non credo.Nonostante la notizia, tra le amministrazioni con-tinua a regnare l’indifferenza. Secondo dei cal-coli prudenti, 60mila detenuti in Italia, e 4200in Puglia potrebbero chiedere di essere risar-citi per gli stessi motivi. Quasi tutti.

    Giornalista: Quanto si accusa la crisi nelle car-ceri? Pilagatti: Molto più di quanto comune-mente si possa immaginare. Siamo noi del-la polizia penitenziaria ad anticipare parte del-le spese, dalle traduzioni alla manutenzionedei mezzi. Molti di noi aspettano ancora diriavere i propri soldi. I direttori dei peniten-ziari non hanno più neanche la possibilità dipitturare i muri degradati. Mentre i dirigenti generali del Dap spendo-no un milione di euro per le loro auto blu, noisiamo costretti ad utilizzare dei veicoli con isedili rotti, senza aria condizionata e con glipneumatici consumati.Neanche le visite di ferragosto dei politici han-no risolto nulla: sono visite pro forma. Sonotutti pronti ad esprimere il loro sdegno, maqui, in cella, si continuano a consumare veridrammi. La detenzione dovrebbe, teoricamente, aiu-tare a correggere; in Italia, chi sconta una penapaga un prezzo troppo alto. Il carcere, oggi,contribuisce solo a distruggere le vite di migliaiadi persone. Per quel che riguarda la nostraspecifica realtà diocesana, ossia quella deivolontari che entrano nella Casa Circondariale

    di Velletri, vogliamo provare ad offrire degli spun-ti di riflessione, nati dall’incontro fra noi volon-tari e il Comandante di Reparto della PoliziaPenitenziaria a Velletri. Lo scopo dell’incontro è evidente: conoscere meglioquesta componente del carcere (PoliziaPenitenziaria), per ottimizzarne la collaborazionee rendere più efficace il nostro servizio. Il pri-mo punto importante è quello di cogliere le spe-ciali difficoltà che un agente penitenziario puòincontrare a Velletri; esse sono riconducibili sostan-zialmente a tre ordini di problematiche:1) il fatto che la comunità di Velletri non ha unabuona idea della C.C. di Velletri, a causa del-le vicissitudini giudiziarie che hanno investito diver-si agenti che prestano servizio all’interno del car-cere; 2) le difficoltà interne legate al sovraffol-lamento dei detenuti, alla mole di lavoro lega-ta al sotto organico del personale; 3) la neces-sità di una ri-formazione degli agenti stessi, i qua-li hanno visto evolvere nel tempo le indicazio-

    continua a pag.13

  • 1313NovembreNovembre20112011

    Sara Bianchini

    DD opo avere delineato, nello scor-so numero, motivazioni efinalità dell’iniziativa che si èsvolta a Colleferro alla fine del mesedi Ottobre, torniamo a parlare breve-mente de Il Laboratorio della Carità -Giornate di riflessione e condivisionesul servizio alle persone in difficoltà. Innanzitutto ricordiamo i momenti vis-suti. Giovedì 27 ottobre, nel pomerig-gio presso l’Ex-teatro di San Barbara,si è svolto l’incontro dei giovani con GianniPizzuti (responsabile del settore volon-tariato e formazione della CaritasRoma). A seguire, un momento di musi-ca con Lorenzo Rompato e il suo DrumCirce. Nel frattempo, in tutte le parrocchiedella città, si svolgeva dalle ore alle ore20 un lungo momento di AdorazioneEucaristica. Il venerdì 28 è stata inve-ce la giornata della piazza. Proprio a piazza SanFrancesco, ha avuto infatti luogo la manifesta-zione: “Caritas in azione…”, iniziata nella mat-tinata con l’apertura di alcuni stand sulle diver-se forme di servizio. Sono intervenuti il CentroAstalli di Roma che lavora con i rifugiati, l’UfficioMissionario Diocesano, l’Associazione Mato Grossoimpegnata in Brasile; ATD Quarto Mondo chesi dedica al servizio delle persone condannatea vivere nella miseria in tutto il mondo,l’Associazione Vol.A.Re. (Volontari AssistenzaReclusi), la Comunità Nuovi Orizzonti, i Giovanidel Servizio Civile, le Caritas parrocchiali di Colleferroe il Centro di Ascolto diocesano di San Lorenzo.Nel pomeriggio l’iniziativa è continuata con unmomento di festa e fraternità per la Festa diCasa Nazareth e del progetto S. Lorenzo. Sabato 29 abbiamo avuto la raccolta di generialimentari per le persone in difficoltà. A chiuderedomenica 30, nella Chiesa di Santa Barbara, laSanta Messa celebrata dal Vescovo Mons. VincenzoApicella e dai parroci della Città.Mi sembra importante ricordare da dove era natal’iniziativa: la difficoltà che tutti noi volontari edoperatori viviamo nel portare avanti quotidianamente

    il servizio in Caritas. Certo, queste giornate non sono state dedica-te all’approfondimento in merito. Non ci siamoconcretamente chiesti cioè quali siano le moti-vazioni di tali difficoltà (le nostre responsabili-tà, le nostre rigidità, etc., ma anche quelle cheprovengono invece da circostanze esterne dovu-te alle singole parrocchie, alla città, alle perso-ne in difficoltà che incontriamo), né le eventualisoluzioni e la nostra disponibilità ed il nostro inte-resse a metterle in atto. Sono state però l’oc-casione per prendere coscienza che non-ostante tali difficoltà, a nessun altro, se non anoi, spetta il compito di rispondere anche ad unaltro compito tipico della Caritas, ossia quellodella sensibilizzazione.Spesso abbiamo rintracciato in questo compi-to un ostacolo grande. Perché? Perché ci sem-bra che ogni minuto che non sia dedicato diret-tamente al servizio sia un momento perso. Perché parlare di noi ci mette in difficoltà,in quanto sembra che vogliamo metterci inmostra, mentre siamo consapevoli delle nostrepochezze e difficoltà, anche se ammetter-le davanti a tutti è sempre difficile!

    Perché la sensibilizzazione richiede moltaorganizzazione e riflessione (e preparazione tec-nica, nella quale sempre è necessario farsi sup-portare – come anche questa volta è stato – daesperti che vengono dall’esterno, non con ricet-te magiche o competenze astratte, ma con laforza che deriva loro dall’avere riletto le espe-rienze di servizio che hanno strutturato, cercandodi enuclearne delle costanti utili per la riflessionedi tanti altri operatori come loro), per offrire achi ci incontra un’accoglienza calorosa e non soloun momento doveroso, che si giustificherebbesoltanto con la pia speranza di incontrare qual-che nuovo volontario!Problemi e belle sorprese avuti nei tre giorni diColleferro ci hanno rafforzato sì nella consapevolezzache questi problemi ci sono e restano, ma anchenel desiderio di continuare ad impegnarci nel ser-vizio, nonostante e a ragione di tali problemi!

    ni date loro sul ruolo del volontariato peniten-ziario e dunque sono stati chiamati ad un cam-bio di mentalità (ovviamente non facile da affron-tare) in merito. Non è sempre immediato né scon-tato per un agente considerare che il ruolo edil servizio del volontario sono importanti, in quan-to il detenuto trae beneficio dalla sua presen-za e dal contatto umano, tanto più che questoè un tipo di rapporto che l’Amministrazione nonpuò dare, e che essa stessa guarda dunque posi-tivamente, entro s’intende, certe regole a cui ilvolontario deve sottoporsi. L’assistente di Polizia penitenziaria si trova sem-pre e sul campo, a dovere trovare la giusta media-zione fra il suo compito di vigilanza e il suo com-pito di partecipazione all’attività rieducativa deldetenuto. Come ogni buon incontro che si rispet-ti, anche i volontari sono stati spinti alla rifles-

    sione, spinti cioè a portarsi a casa le doman-de che seguono: Cosa possiamo concre-tamente fare come volontari per ottimizzarei rapporti di fiducia con gli assistenti? Gliassistenti vedono il nostro servizio comeun aggravio di lavoro? E se sì, perché? Gli assistenti ci vedono esclusivamente comealleati dei detenuti, lasciando a loro il ruo-lo di “cattivi”? Quali sono le maggiori diffi-coltà a cui gli assistenti vanno incontro? Senzadesiderare una confusione di ruoli, emer-ge chiaramente che ogni componente, nelrispetto del suo specifico, deve però rileg-gere chiaramente la propria missione, comu-nicarne le finalità alle altre parti in causae dimostrare disponibilità a lasciarsi inter-rogare e mettere in discussione dalle fina-lità della missione altrui.

    segue da pag. 12

  • 1414 NovembreNovembre20112011

    mons. Franco Risi

    OOgni uomo è portatore di una chiamatada parte di Dio e per il cristiano la Chiesaè il luogo spirituale di ogni vocazione.Per poterla riconoscere, ogni uomo giovane oadulto ha bisogno di essere aiutato a rientra-re in sé stesso per individuare i desideri auten-tici e profondi del suo cuore. Sant’Agostino afferma che fu stimolato a rien-trare in sé stesso… “nell’intimità del mio cuo-re e lo potei fare perché ti sei fatto mio aiuto(Conf. cifr. Salmo 29, 11). Entrai e vidi con l’oc-

    chio dell’anima mia… una luce inalterabile soprail mio stesso sguardo interiore e sopra la miaintelligenza”. Questo pensiero ci fa capire che tutti i cristia-ni hanno bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo,Spirito di verità e di discernimento e così median-te la preghiera ognuno può riacquistare la capa-cità di distinguere, tra le tante sollecitazioni del-la società attuale, la propria vocazione, sia allavita sacerdotale, alla vita contemplativa, alla vita

    matrimoniale o nel laicato impegnato. Solo così ogni cristiano potrà ascoltare, con unafede gioiosa, la vita di Cristo che lo chiama adare un contributo generoso ai bisogni dell’u-manità e della Chiesa. Questa chiamata di Cristo, tramite la Chiesa,invita il cristiano ad attuare nella sua vita quat-tro punti fondamentali: il primo è la chiamataad accogliere la vita; il secondo è vivere unavita fondata sulla fede vissuta; il terzo è la chia-mata a formarsi spiritualmente per restare conLui; il quarto è esercitare l’impegno missiona-rio nel mondo.Analizziamo il primo punto, quello di accoglie-

    re la chiamata alla vita da parte del cristianoche è veramente il fondamento e l’essenza. Questo lo possiamo capire in relazione alla Genesi,dove è messo in evidenza che il Creatore cheha chiamato all’esistenza la luce, il sole, le stel-le e tutti gli esseri viventi della Terra, attraver-so i genitori chiama alla vita ogni uomo per ren-derlo felice. La vita è certamente sempre un donoe un valore che va accolto con riconoscenzaed è anche un compito che va vissuto nella quo-tidianità.

    Allora è necessario aiutarci a realizzare la vitacon fiducia verso Dio, in quanto Egli solo seguecon amore ognuno dei suoi figli e vuole ancheche ciascuno realizzi sé stesso nella verità enel bene per fare della propria vita qualcosa diutile e bello per sé e per gli altri. Tutto questo ci fa essere sempre più aperti alfuturo, che offre più delle opportunità di quel-le tolte dal presente. E se uno incontra al pre-sente delusioni e sconfitte, domani si avrannosempre nuove possibilità aperte dalla dinami-cità della vita umana e dalla novità di Dio. Il secondo punto invece ci aiuta a capire chedobbiamo fare nostra la chiamata alla vita di

    fede, che oggi richiede un impegno forte e costan-te, proprio perché viviamo in un tempo “dell’eclissedi Dio”. Benedetto XVI, nel suo messaggio per la GiornataMissionaria mondiale riprende il pensiero delbeato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptorismissio e aggiunge che “la missione rinnova laChiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristia-na, e dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni”.Molti cristiani sono oggi “refrattari ad aprirsi allaparola della fede.

  • 1515NovembreNovembre20112011

    E’ in atto un cambiamento culturale, alimenta-to dalla globalizzazione, dai movimenti di pen-siero e dall’imperante relativismo, un cambia-mento che porta ad una mentalità e ad uno sti-le di vita che prescindono dal messaggio evan-gelico, come se Dio non esistesse, e che esal-tano la ricerca del benessere, del guadagno faci-le, della carriera e del successo come scopototale della vita, anche a scapito dei valori mora-li”. Allora è importante che il cristiano riscoprala presenza di Gesù nella storia umana e nel-la vita personale di ciascuno all’interno della Chiesalocale. Egli si è fatto “Figlio dell’Uomo” e perrendere gli uomini “figli di Dio”. Gesù in tutta la sua vita ha testimoniato che sipuò vivere con dignità nelle situazioni più sem-plici e più dolorose dell’esistenza umana, e anchecome si può rimanere con fiducia nell’amoredel Padre. Dobbiamo credere quindi che Dio Padre è lafonte del nostro esserci, la sussistenza del nostroandare ed il destino finale della nostra esistenza.Per questo il cristiano è chiamato oggi a ricu-perare la certezza della fede, nella fede dellaChiesa che tiene uniti gli uni agli altri: “cometanti anelli nella grande catena dei credenti” (Benedetto XVI).Vediamo ora nel terzo punto come il cristianoè chiamato a crescere nella sua formazione spi-rituale, per restare con Lui e così consolidarecon gioia la propria fede in cammino verso lasalvezza.Il documento della CEI Educare alla vita buo-na del Vangelo ci indica come il primo capo-saldo è radicare e fondare la nostra fede in Cristo.La vita infatti non è un bene da consumo maun bene prezioso (confr. Mt 25, 14-30) per por-tare frutti dei doni ricevuti, ci sono molte pos-sibilità di fare questo e di curare la propria for-mazione. Alla GMGdel 2011 a Madrid,hanno partecipato 170ragazzi della nostradiocesi di Velletri -Segni, insieme al nostroVescovo, a sei sacer-doti e a due suore.Certamente sono par-titi animati dal deside-rio di fare una forte espe-rienza di fede per incon-trare Gesù nella personadel papa BenedettoXVI. Avendo ascoltatoalcune testimonianze,partecipato alle varie cate-chesi con i vescovi e con-diviso forti momenti dipreghiera con ragazzidi tutto il mondo, inostri giovani hanno fat-to esperienza di unaChiesa viva e una fede

    rinnovata nel loro animo. Certamente vivranno questo entusiasmo nel-le loro parrocchie guidati dai loro sacerdoti, chia-mati ad essere testimonianza della bellezza del-l’incontro con il Cristo e a viverlo nel quotidia-no a contatto con gli altri giovani. Un altro momento formativo per la nostra dio-cesi è stato il Convegno Diocesano Pastoralesvoltosi il 28-29-30 settembre presso laFraternità monastica di Nazareth (M. Vallechiara)in Velletri, a cui ha partecipato tutto il laicatoinsieme al Vescovo, al vicario della pastoralee a tutti i loro parroci e sacerdoti. La testimo-nianza di Ernesto Olivero, fondatore delSER.MI.G. Torino e dell’Arsenale della Pace,ha suscitato grande interesse. Oliviero ha sottolineando alcuni elementinecessari riguardo la solidarietà e il bene comu-ne: “eliminare la fame, e le grandi ingiustiziedel mondo, costruire la pace, aiutare i giovania trovare un ideale di vita, sensibilizzare l’opi-nione pubblica verso i problemi dei poveri e delterzo mondo”.Durante il Convegno ci sono stati incontri di tut-ti gli organismi pastorali distinti nei loro vari set-tori, mediante il loro dialogo e confronto si è arri-vati a momenti formativi di arricchimento per-sonale e collettivo. La professoressa Sara Bianchini,membro della Caritas, nel suo articolo riporta-to da Ecclesia in cammino di settembre 2011,ha sottolineato che: “l’educazione alla vita buo-na del Vangelo è allora innanzitutto educazio-ne al cambiamento di ottica sul mondo e sul-le persone… Aumentare il bisogno di solidarietà, di condi-visione e di accettazione… il Convegno allorapotrebbe essere una palestra (anche se forsesiamo già allenati) per riconoscere e ricordar-ci di tutto ciò”. Tutte queste proposte raccolte

    dal Vescovo e ripresentate a tutta la diocesi sonoun invito a riportare queste esperienze alle variecomunità parrocchiali. Auguriamoci che tutti i partecipanti al Convegnosappiano trarre non soltanto spunti per un cam-biamento razionale, ma anche esistenziale nel-la loro vita, capace di portare gli altri a risco-prire Dio. Concludiamo con il quarto punto, incui ognuno è chiamato, dovunque si trovi, a nonripiegarsi solo sulla sua realizzazione personale,ma ad essere aperto all’impegno missionarionel proprio ambiente. Il Congresso Eucaristico svoltosi ad Ancona dal3 all’11 settembre, ci invita a celebrare ed ado-rare l’Eucarestia, perché ci faccia aperti al pros-simo (pensiamo alla parabola del buonSamaritano). La lettera della Consiglio Episcopale Permanenteci ha indicato di nuovo la strada da percorre-re perché l’impegno missionario trovi rinnova-mento. Siamo invitati ad evidenziare il rappor-to tra l’Eucarestia e i cinque ambiti della vitaquotidiana individuati a Verona: affettività,lavoro e festa, fragilità, tradizioni e cittadinan-za. Il laicato deve sforzarsi in un costante impe-gno ad amare maggiormente la vita liturgica,dove si realizza l’unità tra la Parola di Dio el’Eucarestia. Questa unione origina nei credentil’impegno missionario per annunciare il Vangeloe testimoniarlo con la propria vita. Da questa testimonianza scaturisce il deside-rio in coloro che ci osservano di un vero cam-biamento della loro esistenza, ritornando ad averfiducia in Dio.Quanto ho esposto non vuole essere un sem-plice resoconto di quanto avviene in Diocesi mavuole suscitare l’impegno nella vigna delSignore per essere costruttori del Regno deiCieli.

  • 1616 NovembreNovembre20112011

    GaetanoSabetta

    II n occasione dell’ottobre missionario, offriamo ai lettori una letterada poco giunta da Taipei. Si tratta del missionario laico Roberto Marinaccioche lo scorso luglio è partito dall’Italia. Ho avuto la possibilità di cono-scere Roberto già diversi anni fa e la nostra amicizia si è rafforzata soprat-tutto nell’avvicinarsi della sua partenza.I temi della conoscenza della cul-tura locale e quelli più strettamente legati all’inculturazione del Vangelo

    segnano la peculiarità della missione in Asia. Diversamente l’annuncionon può che produrre, come purtroppo è spesso accaduto, risultati nega-tivi o addirittura controproducenti. Assieme a questi temi ‘missionari’ tro-verete anche il racconto di scene di vita che ci permettono di capire comel’essere missionario passa anche attraverso la semplicità dei gesti quo-tidiani. Buona lettura.

    Caro Gaetano,ti scrivo per farti avere mie notizie e condividere qualche pensiero.Lo studio della lingua cinese è duro e occupa la maggior parte delmio tempo, circa 14 ore al giorno tra lezioni con l’insegnante e stu-dio personale. Si tratta di uno studio rigido che porterà frutti a lun-go termine ma che nel frattempo è stancante sia mentalmente chefisicamente. Vivo nella periferia di Taipei, è una zona industriale alta-mente sviluppata ed inquinata l’aria è 24 ore su 24 irrespirabile, mol-to peggio di Roma o Milano. Mi mancano le passeggiate a Serapoe a Lungomare. L’impatto iniziale con la cultura cinese è forte, non-ostante la cordialità e la gentilezza che mostrano con gli stranieri.I cinesi hanno usi e costumi radicalmente diversi dai nostri, spesso

    il loro modo di pensare e ragionare si rivela carente di creatività efantasia: le eccezioni non esistono o se esistono sono un proble-ma. Se vai in un bar e vendono un panino con carne e cipolla perfargli capire c