Anno 2° numero 49 ISSN 2704-6885 ......Vorrei incontrarti, ma non si può. Facciamo finta che la...

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Direttore Piero Sansonetti Martedì 10 marzo 2020 · Anno 2° numero 49 · 2,00 · www.ilriformista.it · Quotidiano · ISSN 2704-6885 Redazione e amministrazione via di Pallacorda 7 – Roma – Tel. 06 32876214 Sped. Abb. Post., Art. 1, Legge 46/04 del 27/02/2004 – Roma € 2,00 in Italia solo per gli acquirenti edicola e fino ad esaurimento copie 9 772704 688006 00310 a pagina 9 «I n questa situazione stiamo: nelle mani di Putin, Erdogan, Assad, milizie varie e al- tri protagonisti, non evidenti ma che sap- piamo esistere, che indirizzano la guerra in Siria... ». Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, leader storica dei Radicali e oggi senatrice di +Europa, in- terviene molto duramente su quanto sta acca- dendo in Siria e al confine tra Grecia e Turchia. «Erdogan - spiega - si trova oggi con le spalle al muro ed è in grandissima difficoltà». Ma la responsabilità è anche nostra, perché «piaccia o non piaccia, abbiamo appaltato la soluzio- ne di un problema di 3,5 milioni/4,5 milioni di migranti, profughi, rifugiati, a lui che adesso si trova, da questo punto di vista, con il coltel- lo dalla parte del manico». L’attenzione torna sull’Europa. «Agli inizi degli anni Novanta si diceva e scriveva: l’Europa muore a Sarajevo... Da allora, niente è cambiato. Gli Stati si sono tenuti sempre più aggressivamente la politica estera, la politica di difesa e di sicurezza, e sia- mo sempre lì. L’Europa delle patrie, contrap- posta alla patria europea». Intervista a Emma Bonino L’orrore di Lesbo, e penso a Sarajevo Umberto De Giovannangeli Ventisette carceri in rivolta. Sette morti. Evasioni. Il carburante della rabbia non è solo il coronavirus Anche le Camere penali chiedono un provvedimento di clemenza. Bonafede non ha mezza idea A ll’improvviso è scoppiata la rivolta nel- le carceri. 27 sono in rivolta. Sette morti. Alcune decine di evasi. Forse si poteva prevedere. Da due anni i governi riesco- no solo a varare leggi e disposizioni repressive, che aumentano i reati, rendono più facili le con- danne, aumentano le pene e soprattutto travol- gono anni di lavoro del legislatore che tendeva ad avvicinare almeno un pochino la condizione delle prigioni alla lettera e allo spirito della Costi- tuzione. Le prigioni - dice la Costituzione - servo- no a rieducare, le prigioni servono a rassicurare, le pene non devono essere crudeli, la dignità del detenuto deve essere difesa, nessuno è colpevole fino alla condanna. Tutti questi principi da un po’ di tempo (anche da prima dell’arrivo della pattu- glia reazionaria dei 5 Stelle al governo) vengono stracciati. Fino a un paio d’anni fa i liberali si bat- tevano contro l’ergastolo ostativo, il 41 bis, l’uso esagerato e spavaldo della carcerazione preven- tiva (in genere come strumento per favorire le confessioni o le delazioni degli imputati). Ora sia- mo andati molto oltre. La riforma carceraria pre- disposta dal governo Gentiloni è stata cancellata, le pene vengono sempre aumentate, le possibilità per i prigionieri di godere dei premi e degli scon- ti di pena sono sempre più ridotte. I due gover- ni cinquestellati hanno fatto a gara a varare leggi giustizialiste. Le prigioni hanno raggiunto il mas- simo grado di sovraffollamento e le previsioni dicono che nei prossimi mesi il sovraffollamen- to crescerà. Le misure di riduzione dei contatti- con l’esterno imposte dal coronavirus sono state la goccia che fa tracimare il vaso. Ora che si fa? Le Camere penali hanno chiesto amnistia, indul- to e misure per favorire le scarcerazioni imme- diate dei detenuti con piccoli residui di pena e dei detenuti in attesa di giudizio. Noi siamo con loro. Restiamo a casa. Sono giorni che ci penso. Vorrei incontrarti, ma non si può. Facciamo finta che la fuori piove e che quel sole tarda ad arrivare. Ma è solo tempo da rispettare . Che dici potremmo fare l’amor? Approfittiamone per ricordare quanto è importante la vita insieme. E poco tempo. C’è solo da aspettare IL SEGUE A PAGINA 2 alle pagine 10 e 11 Anticipazione del nuovo libro “Naturale”, parola trappola che tramuta il buon senso in dittatura reazionaria Walter Siti alle pagine 3, 4, 5 e 6 BRUCIANO LE PRIGIONI, SPICCIATEVI CON L’AMNISTIA!

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  • Direttore Piero SansonettiMartedì 10 marzo 2020 · Anno 2° numero 49 · € 2,00 · www.ilriformista.it · Quotidiano · ISSN 2704-6885

    Redazione e amministrazionevia di Pallacorda 7 – Roma – Tel. 06 32876214Sped. Abb. Post., Art. 1, Legge 46/04 del 27/02/2004 – Roma

    € 2,00 in Italiasolo per gli acquirenti edicolae fi no ad esaurimento copie

    9 772704 688006

    00310

    a pagina 9

    «In questa situazione stiamo: nelle mani di Putin, Erdogan, Assad, milizie varie e al-tri protagonisti, non evidenti ma che sap-piamo esistere, che indirizzano la guerra

    in Siria...». Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, leader storica dei Radicali e oggi senatrice di +Europa, in-terviene molto duramente su quanto sta acca-dendo in Siria e al confi ne tra Grecia e Turchia. «Erdogan - spiega - si trova oggi con le spalle al muro ed è in grandissima diffi coltà». Ma la responsabilità è anche nostra, perché «piaccia

    o non piaccia, abbiamo appaltato la soluzio-ne di un problema di 3,5 milioni/4,5 milioni di migranti, profughi, rifugiati, a lui che adesso si trova, da questo punto di vista, con il coltel-lo dalla parte del manico». L’attenzione torna sull’Europa. «Agli inizi degli anni Novanta si diceva e scriveva: l’Europa muore a Sarajevo... Da allora, niente è cambiato. Gli Stati si sono tenuti sempre più aggressivamente la politica estera, la politica di difesa e di sicurezza, e sia-mo sempre lì. L’Europa delle patrie, contrap-posta alla patria europea».

    Intervista a Emma Bonino

    L’orrore di Lesbo, e penso a SarajevoUmberto De Giovannangeli

    Ventisette carceri in rivolta. Sette morti. Evasioni. Il carburante della rabbia non è solo il coronavirus

    Anche le Camere penali chiedono un provvedimento di clemenza. Bonafede non ha mezza idea

    All’improvviso è scoppiata la rivolta nel-le carceri. 27 sono in rivolta. Sette morti. Alcune decine di evasi. Forse si poteva prevedere. Da due anni i governi riesco-

    no solo a varare leggi e disposizioni repressive, che aumentano i reati, rendono più facili le con-danne, aumentano le pene e soprattutto travol-gono anni di lavoro del legislatore che tendeva ad avvicinare almeno un pochino la condizione delle prigioni alla lettera e allo spirito della Costi-tuzione. Le prigioni - dice la Costituzione - servo-no a rieducare, le prigioni servono a rassicurare, le pene non devono essere crudeli, la dignità del detenuto deve essere difesa, nessuno è colpevole fi no alla condanna. Tutti questi principi da un po’ di tempo (anche da prima dell’arrivo della pattu-glia reazionaria dei 5 Stelle al governo) vengono stracciati. Fino a un paio d’anni fa i liberali si bat-tevano contro l’ergastolo ostativo, il 41 bis, l’uso

    esagerato e spavaldo della carcerazione preven-tiva (in genere come strumento per favorire le confessioni o le delazioni degli imputati). Ora sia-mo andati molto oltre. La riforma carceraria pre-disposta dal governo Gentiloni è stata cancellata, le pene vengono sempre aumentate, le possibilità per i prigionieri di godere dei premi e degli scon-ti di pena sono sempre più ridotte. I due gover-ni cinquestellati hanno fatto a gara a varare leggi giustizialiste. Le prigioni hanno raggiunto il mas-simo grado di sovraffollamento e le previsioni dicono che nei prossimi mesi il sovraffollamen-to crescerà. Le misure di riduzione dei contatti-con l’esterno imposte dal coronavirus sono state la goccia che fa tracimare il vaso. Ora che si fa? Le Camere penali hanno chiesto amnistia, indul-to e misure per favorire le scarcerazioni imme-diate dei detenuti con piccoli residui di pena e dei detenuti in attesa di giudizio. Noi siamo con loro.

    Restiamo a casa. Sono giorni che ci penso. Vorrei incontrarti, ma non si può. Facciamo finta

    che la fuori piove e che quel sole tarda ad arrivare. Ma è solo tempo da rispettare .

    Che dici potremmo fare l’amor? Approfittiamone per ricordare quanto è importante la vita insieme.

    E poco tempo. C’è solo da aspettare

    IL

    SEGUE A PAGINA 2alle pagine 10 e 11

    Anticipazione del nuovo libro“Naturale”, parola trappola che tramuta il buon sensoin dittatura reazionariaWalter Siti

    alle pagine 3, 4, 5 e 6

    BRUCIANO LE PRIGIONI,SPICCIATEVI CON L’AMNISTIA!

  • 2 Martedì 10 marzo 2020

    CONTINUA

    Testi a cura di Giovanna CorsettiElaborazione grafica a cura di Gianfabio LupoFOTOROMANZO

    IL

  • 3Martedì 10 marzo 2020

    i permessi, i premi, le semiliber-tà, che è del 1986, quando il ter-rorismo mieteva ancora decine di vittime ogni mese, e la mafia era scatenata in Sicilia. Mario Gozzi-ni, un intellettuale cattolico molto prestigioso, era un parlamenta-re dell’opposizione. Il governo era un governo di centrosinistra gui-dato da Bettino Craxi ma la legge che riduce la barbarie carceraria la firmò un parlamentare dell’op-posizione. Mario Gozzini era stato eletto dal Pci. Ed era passato ap-pena un anno dal referendum sul-la scala mobile che aveva portato a livelli altissimi la tensione politi-ca tra maggioranza e opposizione.

    Li chiamano istituti di pe-na. La burocrazia usa paro-le lievi. Sono prigioni. Sono il luogo peggiore che esiste

    nella società moderna. Dentro la prigione non sei più nessuno. Perdi la libertà, la dignità, i diritti, gli af-fetti, i rapporti sociali. Le prigioni sono un inferno, una prova di sa-dismo di massa. Forse andrebbero abolite, sicuramente riformate ra-dicalmente. Nelle prigioni italiane giacciono più di 60 mila persone. Stipate strette strette, perché non ci sono posti sufficienti. Le ultime leggi, volute principalmente dalla pattuglia combattiva e reaziona-ria dei 5 stelle, hanno aumentato il numero dei detenuti. Hanno re-so più facile l’ingresso in carcere, più lunghe le condanne, più diffi-cili le uscite. Le previsioni dicono che l’ampiezza delle carceri non aumenterà nei prossimi due o tre anni, ma il numero dei prigionieri, se non interviene qualche riforma di tipo garantista, potrebbe arriva-re a 70 mila e magari di più. Sarà l’iradiddio, se nessuno interviene.È in questo clima che la situazio-ne è precipitata. La frustrazio-ne dei detenuti è aumentata con il dilagare del coronavirus e con le nuove misure di sicurezza, im-poste dall’autorità carceraria, che riducono i contatti con l’esterno, proibiscono la visita dei familiari, limitano l’apertura delle celle. Sabato sera è iniziata la rivolta. Prima Modena e Frosinone, poi tutte le altre prigioni. Ventiset-te, tra domenica e lunedì. L’ultima ad esplodere è stata Regina Coeli, la prigione più famosa e una del-le più antiche. Un edificio del Sei-cento, sotto al Gianicolo. Centinaia di detenuti, quasi tutti in attesa di giudizio o di appello, per metà stranieri. Anche loro si sono ri-bellati, son saliti sui tetti, è inizia-to un pandemonio. Regina Coeli è proprio nel centro di Roma, poche centinaia di metri da San Pietro e nel pieno del rione Trastevere, uno dei più romaneschi e vecchi quar-tieri della capitale. Fino a ieri sera è stato uno sfrecciare di macchine della polizia, urla, botti, esplosioni.È quasi impossibile ancora fa-re un bilancio di queste due gior-nate. Almeno sette morti. Tutti al carcere di Modena. Alcuni dete-nuti sono morti dentro il carcere, altri mentre venivano trasferiti. I responsabili del carcere dicono che sono morti per overdose, do-po aver assaltato l’infermeria. La Procura però ha aperto un’inchie-sta per omicidio colposo contro ignoti. La situazione è ancora mol-to molto confusa, è difficile capire cosa sia successo, ma sette morti non possono passare sotto silen-zio. È un prezzo altissimo, davvero altissimo a una politica carceraria dissennata.

    A Foggia c’è stata addirittura una evasione di massa. 50 prigionie-ri sono fuggiti dal carcere, poi 37 sono stati catturati di nuovo dalla polizia, gli altri 13 sono alla mac-chia. Anche all’Ucciardone di Pa-lermo c’è stato un tentativo di evasione, ma sembra che sia falli-to. Tra le prigioni in rivolta c’è San Vittore, a Milano, cioè nella città più colpita dal virus. Naturalmente la rivolta è confusa, spontanea, non ha un disegno. So-no apparsi degli striscioni che in-neggiano all’indulto, ma quello dei detenuti non è un movimento po-litico compatto, non ha struttura, non ha strategia, non ha direzione. E tuttavia non si può non prendere atto del fatto che dopo tanti e tanti anni di calma nelle prigioni è tor-nato a divampare l’incendio. Che ci riporta indietro. Ai tempi degli anni di piombo, delle carceri spe-ciali, delle sommosse. Poi inter-venne la politica e riuscì, in quel periodo di ferro e fuoco, a varare leggi liberali. Ci fu la riforma del ‘75, approvata mentre la lotta ar-mata iniziava a insanguinare l’Ita-lia e l’indice della criminalità era cinque o dieci volte più alto di og-gi, e poi la riforma Gozzini, quella che liberalizza il carcere, aumenta

    Soprattutto tra Psi e Pci. Eppure al-lora la politica era un’altra cosa. Su alcuni temi si poteva collaborare. E non c’era il terrore di indispetti-re i populisti, i giustizialisti. Se non ricordo male solo il Msi si oppose alle leggi libertarie di Gozzini.Oggi? L’indice della delinquen-za è crollato, la lotta armata non esiste più, la mafia, in gran par-te, è piegata, o comunque ha ab-bassato moltissimo il livello della sua violenza. E invece il numero dei detenuti è quasi raddoppiato da allora, e ogni legge, o decreto, o regolamento, o ordinanza che vie-ne varato è per rendere più duro il carcere, più rigorosa la certezza della pena. Nonostante i coraggio-si interventi della Presidente del-la Corte Costituzionale che ci ha spiegato, recentemente, che la pe-na deve essere flessibile, perché così dice la Costituzione.Ieri anche le Camere penali han-no chiesto l’amnistia e l ’indul-to. E contemporaneamente hanno chiesto misure che consentano la scarcerazione dei detenuti con modesti residui di pena e i domi-ciliari per gran parte dei detenu-ti in carcerazione preventiva. E il ministro? Ha pronunciato qual-che smozzicone di frase fatta, tipo che con la violenza non si ottiene niente. Già, verissimo. Come è ve-ro che con una folle politica giusti-zialista l’unica cosa che si ottiene è lo scatenarsi della violenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA

    LA FURIA DEI DETENUTI DIMENTICATI

    27 PRIGIONI IN RIVOLTA, 7 MORTI. È IL RISULTATODEL FORCAIOLISMO

    Due giorni di inferno nelle prigioni italiane. La scintilla sono le misure contro il virus, ma il fuoco era pronto a divampare dopo due anni di politica carceraria repressiva e sadica

    Piero Sansonetti

    In altoDetenuti del

    carcere di San Vittore che

    chiedono misure di clemenza

    In altoMario Gozzini, autore della riforma del 1986 che porta il suo nome e che liberalizza il carcere e aumenta permessi e semilibertà

    Le Camere penali chiedono

    amnistia, indulto e scarcerazioni dei

    detenuti con piccoli residui di pena e per

    i detenuti in attesa di giudizio

    Risposte?

  • 4 Martedì 10 marzo 2020

    Le colonne di fumo che si alzano in contem-poranea da San Vittore, Regina Coeli, Re-bibbia, Poggioreale e altre decine di carceri, non si vedevano dagli anni 70. Quelli furo-

    no gli anni in cui alle rivolte dei detenuti, che sog-giacevano a un sistema penitenziario del 1891, si rispose dando vita a un’epocale riforma dell’or-dinamento penitenziario nel 1975. A distanza di un decennio con la legge Gozzini si diede segui-to a una serie di ulteriori interventi che ponesse-ro il nostro paese in linea con i dettami delle carte internazionali a salvaguardia dei diritti dell’uomo e soprattutto conformi all’articolo 27 della Co-stituzione, che parla del principio di rieducazio-ne delle pene (al plurale, si badi, non solo la pena della reclusione ma tutte quelle previste dalla leg-ge, dall’esecuzione penale esterna alla detenzione domiciliare). Oggi siamo di fronte alla più clamo-rosa regressione nell’applicazione della legge e, soprattutto, rimaniamo attoniti davanti alle vio-

    lenze e ai rischi per la sicurezza pubblica che si stanno generando in queste ore.Sembra di assistere a un bollettino di guerra: a Foggia interviene l’esercito con i carri armati per far fronte all’evasione di massa di centinaia di de-tenuti; a Roma gli elicotteri e le forze della Poli-zia di Stato e i Carabinieri circondano l’istituto simbolo posto al centro della Capitale; a Pavia il carcere è distrutto, i detenuti, dopo aver anche minacciato l’incolumità degli agenti, sono stati trasferiti; a Modena la tragedia, tre detenuti morti in carcere e altri tre deceduti successivamente al loro trasferimento. L’opinione pubblica è rimasta disorientata. Come è possibile che si sia verifi cata questa ondata di violenza incontrollata senza che nessuno la pre-vedesse e poi, ancora peggio, senza che vi fosse una catena di comando che ne contenesse gli ef-fetti? È possibile che una circolare, per quanto im-provvisa, abbia potuto scatenare questa reazione? Purtroppo sì. Soprattutto se quella circolare, che blocca i colloqui per un periodo superiore a quel-lo previsto per le stesse zone rosse, non è stata né

    spiegata né intrapresa in un contesto che preve-desse delle alternative, dai colloqui via Skype al potenziamento dei fi ltri sanitari. Sì, perché era da settimane che c’erano le avvisaglie di quanto poi sarebbe accaduto: bastava leggere i comunicati delle organizzazioni sindacali della PolPen o par-lare con gli operatori penitenziari per sapere che in quegli ambienti non si stava procedendo a una adeguata profi lassi, che non venivano garantite aree di sicurezza sanitaria. Si è “tirato a campare” fi no a che la bomba è esplosa, con i soli operato-ri di polizia penitenziaria lasciati soli ad affronta-re l’emergenza. Soli: poiché il capo Dap, il dottor Basentini, si è ben guardato di stare al loro fi anco fi n dalla prima rivolta, quella di tre giorni fa, total-mente occultata, del carcere di Fuorni a Salerno e neppure si è visto in nessuna delle situazioni criti-che. A parlare con i detenuti ci sono andati i diret-tori, i poliziotti penitenziari e il garante nazionale Mauro Palma. Intanto il mutismo dei responsabi-li, dal ministro Bonafede al capo Dap, ci ha priva-to persino di uno di quei comunicati uffi ciali che servono per far intendere che almeno si sia con-

    Fate presto! Le carceri italiane bru-ciano e continueranno a brucia-re se il governo e la magistratura non daranno un segnale imme-

    diato che spenga un fuoco che non si chiama solo Coronavirus, ma che viene da lontano. Viene da luoghi dove 60.439 persone sono stipate al posto di 50.511. Luoghi dove il metro di distanza l’uno dall’altro, regola che tutti noi dobbiamo osservare per evitare il contagio, è lette-ralmente impossibile, ed è già un mira-colo che gli istituti di pena non si siano ancora trasformati in enormi lazzaretti. Ma non sono soltanto i problemi sanitari ad aver acceso i fuochi, ad aver portato gli animi all’esasperazione fino a provo-care incendi di materassi, distruzione di intere celle, fino ai sei morti di Modena e l’evasione di massa dal carcere di Foggia. Il vero problema sono i diritti. Il proble-ma è «l’esigua tenda azzurra che i car-cerati chiamano cielo» (Oscar Wilde, La ballata dal carcere di Reading). E il “cie-lo” è il rapporto tra chi sta rinchiuso e chi è fuori e vorrebbe continuare a ten-dere la mano.A determinate condizioni, l’infezione da Coronavirus non dovrebbe spaventa-re il popolo delle carceri. Le comunità chiuse, e la prigione in primis, sono in-fatti maggiormente tutelate dal pericolo del contagio. Purché siano però limitati i rapporti con l’esterno, purché non ci sia-no persone che entrando e uscendo, non rischino proprio di andare a infettare i reclusi. Sono molti i soggetti che quoti-dianamente varcano cancelli e portoni delle prigioni: nuovi detenuti, operato-ri giudiziari, personale amministrativo, volontari, parenti dei detenuti per i col-

    loqui settimanali. È la famosa “sociali-tà” introdotta da due importanti riforme, quella del 1975 e la Gozzini del 1986, che hanno avuto la forza di spezzare un po’ quelle catene che rendevano la deten-zione un solo profondo buco nero in cui precipitare senza vedere nessuna luce in fondo alla propria vita. Ma se togli al carcerato i colloqui con i parenti, se rinchiudi coloro che aveva-no il permesso di lavoro esterno o vive-vano ormai in regime di semilibertà, la protesta può essere dietro l’angolo. Pro-prio per questo avevamo, una settima-na fa, intervistato il direttore del carcere di Opera, la grande prigione alle por-te di Milano con 1300 detenuti e anche un reparto speciale per chi è stato con-dannato per i reati più gravi. Il dottor Di Gregorio ci aveva spiegato di aver lavo-rato sulla prevenzione, e di aver trovato grande collaborazione sia da parte dei detenuti che dei loro familiari, quando il decreto governativo del 3 marzo ave-va sospeso per qualche settimana i col-loqui. All’interno dell’istituto però non era cessata nessuna forma di socialità, ci aveva spiegato, ed erano state molti-plicate in numero e durata le telefonate con le famiglie. Pur disponendo il carce-re di pochi strumenti elettronici, erano stati messi a disposizione dei detenuti a turno per qualche incontro-video con i parenti tramite Skype e qualche uso di cellulare. Piccole cose, e non è detto che saranno sufficienti.Evidentemente non ovunque e non sem-pre queste alternative infatti sono state accettate. Soprattutto nelle case circon-dariali come San Vittore, dove la presen-za di tanti detenuti in attesa di giudizio, rende la situazione meno governabi-le, nonostante la presenza di persona-le molto qualificato. Difficile rinunciare

    SOVRAFFOLLAMENTO E PAURA

    AMNISTIA, INDULTOSCARCERAZIONI ANTICIPATE.

    FATE PRESTO!La situazione esplosiva nelle carceri esiste da molto tempo, ma

    il ministro non ha fatto nulla. Ora si tratta di agire presto: il contagio potrebbe trasformare gli istituti di pena in un grande lazzaretto

    Il reato viene estinto con una sentenza di proscioglimento, cessazione della condanna e delle pene infl itte. Non estingue tuttavia la condanna, della quale si tiene conto in caso di recidività

    Amnistia

    Concessione consistente nella remissione totale o parziale della pena, oppure esenzione da un obbligo. È impersonale e non estingue le pene accessorie né gli altri e� etti penali della condanna

    Indulto

    Provvedimento di clemenza individuale, di cui benefi cia solo un detenuto che si trovi in condizioni eccezionali di carattere equitativo o giudiziario. La pena è condonata o sostituita con una meno grave

    Grazia

    Totale inerziaIl capo Dapè rimastoa guardare:ora si devedimettere

    Tiziana Maiolo

    Gennaro Migliore*

    ai propri diritti, quando se ne hanno già pochi. Da anni il Partito radicale e asso-ciazioni come Antigone, oltre ai Garanti territoriali dei diritti dei detenuti, lan-ciano l’allarme. È vero che fino a pochi giorni fa era lontano il ricordo delle ri-volte carcerarie degli anni Settanta, a partire dalle due più famose del 1969 al-le Nuove di Torino e San Vittore di Mi-lano. Ma è altrettanto vero che ripetute sono state le condanne all’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, tra l’altro proprio anche per la ristrettez-za degli spazi nelle celle. Niente rifor-me (che fine ha fatto quella del ministro Orlando, modesta ma comunque utile?) e continui tagli ai bilanci e al personale hanno sicuramente contribuito a far co-vare qualche scintilla sotto la cenere. Se a questo si aggiungono un bel po’ di con-troriforme che hanno riempito le carceri anche di persone che dovrebbero stare altrove (come i malati psichici e i tossi-codipendenti, oltre agli anziani), fino a renderne l’aria irrespirabile per la ressa, si capisce subito perché diciamo: “Fate presto!”. L’amnistia e l’indulto, che oggi vengo-no richiesti, oltre che dai radicali, an-che dalla giunta delle Camere penali e che Il Riformista ha proposto da tem-po, possono essere messi in calendario anche da subito, anche se necessitano poi di tempi lunghi. Ma ci sono prov-vedimenti che possono essere adottati immediatamente. Prima di tutto appli-care misure alternative a tutti coloro che stanno scontando gli ultimi due anni o che devono ancora scontarli in esecu-zione pena. Poi mandare a casa gli an-ziani e i malati. Poi usare di più le misure alternative, soprattutto per la custodia cautelare. Insomma, cominciamo a sfol-lare, cominciamo a far uscire da cancel-li e portoni quei diecimila che sono oltre la capienza naturale. E allora non ci sarà più la tentazione di incendiare, di sfa-sciare e di scappare. Ma facciamo presto, la casa brucia. Fate presto!© RIPRODUZIONE RISERVATA

  • 5Martedì 10 marzo 2020

    scontato una parte in carcere, man-dando a casa sedicimila persone e rendendo così possibile la detenzio-ne per gli altri». Le ragioni delle pro-teste di queste ore sono solo in parte ascrivibili alla paura del Coronavirus. Diciamo che è la goccia che ha fat-to traboccare il vaso. «Nelle carceri italiane, già provate dal sovraffolla-mento, la violazione dei diritti umani è ordinaria amministrazione. Quello che sta accadendo in questi giorni, però, non ha precedenti: impossibi-le scongiurare il rischio pandemia da Covid-19 ed evitare il peggio». An-che perché non è possibile rispettare, nell’universo carcerario, la distanza di un metro e mezzo. E perché nes-suno fa i tamponi a chi si ammala. Non esistono sale di ricovero in iso-lamento. Gli strumenti sanitari so-no pochi e spesso le Asl, sotto la cui competenza ricadono gli istituti di pena, lesinano sul budget da desti-nare al perimetro carcerario. «Chi controlla lo stato di salute de-gli agenti penitenziari? Nessuno. Non esistono i tamponi. Non si verifica chi ha la febbre da Covid-19. E que-sta idea di sospendere le visite con i famigliari ha acceso una miccia esplosiva». Effettuare migliori verifiche giove-rebbe anche alla salute del personale carcerario, dopotutto. Ma Bonafede non incontra chi lavora nelle carceri, e la cosa ha ormai preso il suo corso. Il sindacato degli agenti di Polizia Pe-nitenziaria chiede infatti un incontro al Presidente del Consiglio, ma non al Ministro. «Con lui non parliamo più, tanto è inutile», fanno sapere at-traverso un irrituale comunicato. Amnistia, indulto. Ma ci sarebbe-ro anche i domiciliari. «Altra cosa che non si dice: molti magistrati di sorveglianza – prosegue Rita Ber-nardini – non concendono la deten-zione domiciliare perché non hanno i braccialetti elettronici. La mancan-za di questi braccialetti è uno scan-dalo tutto italiano. Fastweb ha vinto la gara europea, era pronta a produr-re, doveva fare solo il collaudo. Lo deve certifi care il ministro dell’Inter-no. Salvini non lo ha voluto fare, La-morgese non pervenuta. Sarebbero indispensabili, e il produttore è pron-to. Ne devono fornire 15.000, con un costo già stanziato. Ecco, gli italiani questi soldi li hanno spesi, bastereb-be pochissimo per avviare la proce-dura». Un paese civile lo avrebbe già fatto. Ora siamo in emergenza, po-trebbe forse essere l’ultima chiamata per il sistema-Giustizia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

    Rita Bernardini, volto noto del mondo radicale – oggi membro del Consiglio ge-nerale del Partito Radicale e

    Presidente di Nessuno Tocchi Caino – non ha il minimo dubbio. «È urgen-te, impellente, non più rimandabile il ricorso all’amnistia o all’indulto». Le ragioni, con 27 strutture carcerarie date alle fi amme e teatro di proteste anche violente, sono sotto gli occhi di tutti. L’universo carcerario, vergo-gna italiana per la quale il nostro Pa-ese è stato condannato dall’Unione Europea, è in rivolta. E mentre si suc-cedono gli incendi, gli scontri, da Pa-lermo a Milano, passando per Napoli, Roma e Modena, dove sono morti sette detenuti, a Foggia a decine ri-escono ad evadere dal penitenziario e darsi alla fuga. Il ministro Bonafe-de non si vede e non si sente. Ma ieri mattina ha telefonato a Rita Bernar-dini. «Mi ha chiesto di raccontargli la situazione delle carceri e io l’ho fat-to senza risparmiargli critiche. È un ministro da cui ho una distanza si-derale», ci dice l’esponente radica-le. Molti invocano il pugno di ferro per reprimere le proteste. «Bisogna fare il contrario, riconoscere i dirit-ti della popolazione detenuta, isola-re i violenti ma capire che cosa sta succedendo in quella terra di nessu-no che sono le nostre carceri, luoghi di illegalità dove diritti umani fon-damentali non vengono rispettati e si è perso il dialogo con tutta la co-munità penitenziaria», risponde Rita Bernardini. «Il problema numero uno è il so-vraffollamento. È impossibile gesti-re le carceri secondo Costituzione in condizioni di sovraffollamento tale. Siamo arrivati a 63000 detenuti, su 47000 posti disponibili. E nell’ulti-mo periodo, mentre continuano a portare arrestati, la situazione è per-fino peggiorata», dice la presiden-te di Nessuno Tocchi Caino. «Serve un intervento immediato, un alleg-gerimento in tempi rapidissimi e ap-pena si potrà, una amnistia. Perché l’affollamento è duplice: c’è quel-lo sulle scrivanie dei magistrati e c’è quello nelle celle. Sia i magistra-ti sia il personale penitenziario san-no benissimo quanto farebbe bene all’intero sistema il ricorso a formu-le previste dalla Costituzione qua-li amnistia e indulto, che mai come oggi sono di evidente e urgente ne-cessità di applicazione», prosegue. Ma è importante ricondurre l’insie-me delle situazioni alla ragione. Le proteste violente devono rientrare, bisogna dare spazio al dialogo. «Per

    BERNARDINI: «ALTRO CHE PUGNO DI FERRO, SERVONO

    PIÙ DIRITTI»

    PARLA L’ESPONENTE RADICALE

    Aldo Torchiaro

    me in questo momento è importan-te che tutti si attengano alle misure di precauzione sanitaria. Un proble-ma che a nostro avviso va affron-tato con misure quali la moratoria dell’esecuzione penale, tanto degli ordini di esecuzione pena che dell’e-secuzione della pena stessa, ed an-che l’indulto a partire da chi deve scontare brevi pene o residui di pena da espiare, tenuto conto che ci sono 8.682 che hanno un residuo di pena da scontare inferiore ai 12 mesi e altri 8.146 che devono scontare pene tra 1 e due anni». In breve: «Scontiamo la pena di due anni a chi ne ha già

    sapevoli della situazione.Oggi è assolutamente indispensabile prendere iniziative che servano ad alleggerire la situazio-ne, rifuggendo il populismo becero e pericolo-so di chi soffi a ancora sul fuoco e invoca ancora un pugno più duro. L’ordine e la sicurezza van-no certamente riportati negli istituti, ma a farne le spese non possono essere i lavoratori e, certo, non si può derogare al rigoroso rispetto dei diritti fondamentali dei ristretti. Solo che per far fronte al disastro creato, anche fi glio di una dissennata politica carceraria che ha fatto lievitare il numero dei detenuti a oltre 60mila, non ci può più essere l’attuale capo del Dipartimento, che per senso di responsabilità dovrebbe rassegnare le dimissioni immediate, ma una nuova e più effi cace gestione che sappia come si affronta il delicatissimo tema del carcere. Perché “il grado di civiltà di un Paese si misura osservando le condizioni delle sue car-ceri” come diceva già Voltaire, ma ciò vale ancora, anche ai tempi del Coronavirus.

    *Deputato di Italia Viva© RIPRODUZIONE RISERVATA

    In altoLa rivolta dei detenuti nel carcere milanesedi San Vittore

    Qui sopraIl capo del DapFrancesco Basentini

    CASE AI MIGRANTILA CORTE BOCCIALE LEGGI LEGHISTE

    NORME DISCRIMINATORIE

    La Consulta boccia le norme di assegnazione delle case po-polari in Lombardia, perché discriminano i migranti. Pe-sante bocciatura per la Lega. «È irragionevole - ha stabilito la Consulta - negare l’accesso all’edilizia residenziale pubbli-ca a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un la-voro nel territorio della Regione da almeno cinque anni. Questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del ser-vizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l’esigenza abitativa di chi si trova in una si-tuazione di effettivo bisogno». La Consulta ha accolto la cen-sura sollevata dal Tribunale di Milano sul requisito della resi-denza o dell’occupazione ultra-quinquennale stabilito dall’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 16 varata nell’e-ra Maroni. La Corte ha ritenuto che «la norma impugnata violi i principi di uguaglianza e di ra-gionevolezza, in quanto fonte di una discriminazione irragione-vole in danno di chi, cittadino o straniero, non possieda il requi-sito richiesto. Ma la norma con-trasta anche con il principio di uguaglianza. «Ora quelle norme vanno cambiate anche in altre Regioni», commenta l’Asgi.

  • 6 Martedì 10 marzo 2020

    Gentile direttore,le immagini di gravi disor-dini in numerosi istituti pe-nitenziari italiani trasmesse

    in queste ore dai media, e riprese an-che a livello internazionale, hanno fatto nuovamente balzare all’onore della cronaca il tema della condizio-ne dei detenuti nelle nostre carceri.Da quanto si apprende, pare che l’e-lemento scatenante delle rivolte sia da ravvisarsi nelle misure di preven-zione disposte per il contenimento del contagio da Coronavirus ed, in particolare, la drastica limitazione dei colloqui.Tale situazione sta venendo costan-temente monitorata dal Consiglio d’Europa attraverso l’organismo del Gruppo di lavoro del Consiglio di co-operazione penologico (WG PC-CP).Questo organismo, composto da nove membri - fra cui la sottoscrit-

    ta - eletti dai rappresentanti dei qua-rantasette Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, si occupa di predisporre i progetti di Raccomandazione in ma-teria di “prison” e di “probation”.Per il nostro lavoro, che dovrà poi es-sere approvato da parte del Comitato dei ministri, ci avvaliamo di esper-ti qualificati provenienti da tutto il mondo. Il prossimo mese di giugno, a Dublino, terremo la 25esima Con-ferenza dei direttori dei servizi peni-tenziari e di probation che avrà una sessione speciale sulla revisione del-le Regole Penitenziarie Europee.Il monitoraggio sulla realtà italiana si è avviato all’indomani della senten-za “Torreggiani” del 2013 con cui la Corte Edu condannò l’Italia per vio-lazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.Segnalo alcuni aspetti.In primo luogo, la vetustà della gran parte delle nostre strutture peniten-ziarie, edifi cate quando la pena ave-va essenzialmente finalità afflittive,

    è una delle oggettive criticità del si-stema. La maggior parte degli istituti risale all’800: il carcere milanese di San Vittore venne edifi cato nel 1872, quello romano di Regina Coeli nel 1880, il palermitano Ucciardone nel 1840.Altro aspetto signifi cativo della realtà italiana riguarda il sovraffollamento, un problema “strutturale” stigmatiz-zato dalla Corte Edu a cui il Governo con la legge n. 117 del 2014 rispose at-traverso vari strumenti: dalla libera-zione anticipata speciale, ai rimedi risarcitori per la detenzione inumana o degradante.Va evidenziata, ancora, la compo-sizione della nostra popolazione detenuta, costituita da un largo nu-mero di persone sottoposte a misu-ra cautelare, i cd “non defi nitivi”, non sottoposti ad alcun trattamento in detenzione.Il Consiglio d’Europa ha concentra-to negli ultimi tempi la sua attenzio-ne proprio sul probation, vale a dire

    sulla pena da scontare in forme di-verse dalla detenzione in carcere: per il nostro ordinamento, la messa alla prova, le misure alternative alla de-tenzione quali l’affi damento e la de-tenzione domiciliare.In questa direzione si colloca la Rac-comandazione CM/Rec (2017) 3 sul-le sanzioni e misure applicate nella comunità.Nello stesso senso, il PC-CP ha licen-ziato il progetto di revisione delle Re-gole penitenziarie europee, risalenti al 2006, per conformarle alla giuri-sprudenza sviluppata dalla Corte di Strasburgo.L’esortazione che ne emerge per il Legislatore italiano e dei restanti Pa-esi del Consiglio d’Europa, è, dunque, quella di ricorrere a misure di esecu-zione della pena nel sistema appunto di probation, «un importante mezzo di lotta contro la criminalità, che ri-duce il pericolo di recidiva e contiene gli effetti negativi della detenzione, sia essa provvisoria che defi nitiva»,

    come si legge nella Raccomandazio-ne di cui sopra.Il probation richiede uno sforzo or-ganizzativo tale che per essere ef-ficace potrebbe necessitare di un previo segno di clemenza «capace di incoraggiare l’impegno del pen-timento e di sollecitare il personale ravvedimento», per usare le parole di San Giovanni Paolo II in occasio-ne del Giubileo delle carceri il 9 lu-glio del 2000.Argomento, quello dell’ammistia e dell’indulto, su cui il suo giornale sta raccogliendo ultimamente contributi.

    *Magistrato Componente del Consiglio

    di cooperazione penologico (PC-CP)

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    Sette detenuti morti, interi istituti e molte sezioni inagi-bili: è questo il primo bilan-cio dell’ondata di proteste

    che sta attraversando le carceri ita-liane, dal Nord al Sud. Il detonatore della protesta è stata la prima bozza del decreto-legge che minacciava di sospendere i colloqui con i familiari, in tutta Italia, fi no al 31 di maggio. Poi il decreto effettivamente approvato si è limitato al 22 marzo, ma ormai la frittata era fatta: detenuti sui tetti, materassi bruciati, vetri rotti, qual-che ostaggio e l’infermeria di Mode-na, dove – secondo le ricostruzioni del Dap – da due a sei detenuti si sa-rebbero approvvigionati di sostanze che gli sarebbero state letali.Naturalmente forme e modalità del-la protesta possono essere legitti-mamente condannate, soprattutto quando mettano a rischio l’incolu-mità fi sica delle persone, degli agenti, del personale sanitario e degli stessi detenuti coinvolti nella protesta. Ma di fronte a quello che sta accaden-do non ci si può fermare alla super-fi cie delle cose o farne una questione

    – appunto – di forme. Al di sotto del-le forme ci sono enormi problemi, su cui i detenuti hanno le loro buone ragioni. A partire dalla gestione del-la emergenza coronavirus in carcere.

    Da tre settimane è un susseguirsi di provvedimenti più o meno restritti-vi dei diritti dei detenuti e di acces-so dei familiari e del volontariato in carcere, fi no alla chiusura dei collo-qui su tutto il territorio nazionale per due settimane. Intanto, nessuna ve-ra informazione è stata fatta in car-cere, né su questi provvedimenti, né sui rischi reali e sulla prevenzione necessaria alla diffusione del virus. E nessuna misura di prevenzione è stata presa nei confronti degli opera-tori penitenziari e sanitari che acce-dono a decine, tutti i giorni, in ogni carcere. Sembra quasi che il virus in carcere lo possano portare solo i pa-renti dei detenuti, i detenuti in per-messo e i volontari, secondo uno stereotipo stigmatizzante del mondo carcerario che in questo caso non ha proprio alcuna fondatezza scientifi ca.Di fronte a questa approssimazio-ne, è comprensibile che i detenu-ti al primo stormir di foglie (qualche isolamento molto precauzionale, la minaccia di perdere i colloqui) ab-biano temuto di restare ingabbiati in carcere a combattere con il virus nelle loro sezioni sovraffollate. Poi ci sarà anche qualcuno che ci mar-cia, ma la paura è reale. Che succe-derà quando i primi casi di positività in carcere dovessero costringere alla quarantena tutte le persone che fos-sero venute in contatto con loro? Im-maginate una sezione con cinquanta

    o cento detenuti: se un detenuto, o un agente di sezione, dovessero ri-sultare positivi, dove vanno a finire tutti gli altri? Il Dap ha chiesto a tut-ti gli istituti di individuare spazi desti-nati all’isolamento sanitario di coloro che devono andare in quarantena. E gli istituti hanno individuato le solite

    sezioni per i nuovi giunti: cinque, die-ci stanze per ciascuno. E che si farà quando bisognerà mettere in isola-mento i quarantanove compagni di sezione dell’unico positivo? Dove li si metterà.No, non c’è nessuna strumentali-tà nella richiesta di provvedimenti

    defl attivi della popolazione detenu-ta. Se il virus non si ferma, le carce-ri vanno svuotate. La via maestra è quella di un provvedimento di am-nistia-indulto, anche solo di uno o due anni, suffi ciente a far uscire dal carcere dalle dieci alle ventimila per-sone. Se le forze politiche non do-vessero avere questo coraggio, si potranno studiare applicazioni stra-ordinarie di misure già esistenti, co-me fu per la liberazione anticipata speciale dopo la condanna del so-vraffollamento a opera della Corte europea per i diritti umani. O anco-ra incentivi alla detenzione domici-liare. Le carceri italiane sono piene di detenuti che scontano o che sono a pochi mesi dal fi ne pena: perché non consentire loro di scontare la pena fuori dal carcere, in modo da garan-tire le minime condizioni di salute e di prevenzione a chi dovesse rima-nere dentro? Queste sono le doman-de che le proteste di questi giorni ci pongono, a queste domande bisogna dare risposta. Subito.

    *Portavoce dei Garanti territoriali dei detenuti

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    LIBERATENE ALMENO DIECIMILASe il virus non si ferma le carceri vanno svuotate. Amnistia e indulto sono la via maestra. Se la politica non ha questo coraggio

    si può pensare alla liberazione anticipata e a incentivare la detenzione domiciliare: in tantissimi hanno da scontare pochi mesi

    INDULTO E AMNISTIA?UNA IDEA RAGIONEVOLECHE PIACEVA A WOJTYLA

    DIVAMPA LA PROTESTA TRA I DETENUTI

    Stefano Anastasia*

    Anna Ferrari*

    Investire sulle misure alternative per contrastare la criminalità. Un segno di clemenza aiuterebbe a farlo in modo effi cace. Ci scrive un magistrato

    In fotoPapa Giovanni Paolo II

    In fotoDetenuti sul tetto del carcere di San Vittore

  • 7Martedì 10 marzo 2020

    Ce la faremo, non abbiamo altra scelta. La natura degli italiani è fatta così: forse lenti nell’accet-tazione del cambiamento, nel-

    la rinuncia al proprio stile di vita (che è da sempre uno dei più ammirati al mondo). Poi, con impagabile resilienza, si marcia, con le nostre straordinarie risorse di intel-ligenza e adattamento, verso l’autotutela. Il cammino sarà lunghissimo ed estrema-mente costoso, ma ce la faremo.Quello che mi preoccupa - al netto della drammatica emergenza sanitaria cui il no-stro personale medico sta facendo fronte con un’abnegazione e uno spirito di sacri-ficio che commuovono - è la percezione all’estero di quello che sta accadendo da noi: da settimane gli italiani sono diventa-ti universalmente gli untori del mondo, co-me ha affermato anche la Cnn nella ormai famosa immagine che mostrava i contagi irraggiati dall’Italia in tutto il globo. Non so-lo, veniamo accusati di non saper minima-mente gestire l’emergenza, e di aver messo così a rischio tutti gli altri paesi. È una situa-zione, purtroppo, totalmente fuori control-lo, assolutamente non gestita dal governo, e le sue ricadute economiche e di immagi-ne sono enormi. Chi vorrà avere a che fa-re con l’Italia per un lungo periodo? E come è possibile che nel giro di pochi giorni tut-ta l’attenzione del mondo si sia concentrata sul nostro Paese, mentre gli immani danni prodotti dai cinesi sembrano già un lontano ricordo e il dragone marcia tranquillo verso una piena recovery, sia sanitaria che econo-mica e fi nanziaria? Si chiama controllo dell’informazione. Or-mai ci siamo abituati a dare a questo con-cetto un significato negativo, un sapore oscuro di repressione e pericolo. Ma in sé è un concetto neutro. E in casi di emergen-za come questo non può che assumere an-zi un valore positivo. In tempi come questo la comunicazione è tutto: può determinare

    una straordinaria effi cacia di azione oppure disastri organizzativi e di immagine come quello che stiamo vivendo noi. E il governo ha evidentemente sottovalutato la questio-ne, procedendo in ordine sparso, diffon-dendo messaggi contraddittori, parlando troppo o troppo poco e con voci disordinate. La Cina, paese autoritario, ha potuto eser-citare un forte controllo dell’informazione che ha consentito di contenere i danni sia alla popolazione che all’immagine del pa-ese, sebbene gravemente compromessa nella fase iniziale di diffusione del Corona-virus. Abbiamo criticato duramente la Cina per il suo uso spregiudicato e strumentale dell’informazione, che ha messo in diffi col-tà gli altri paesi, compreso il nostro, deter-minando probabilmente ritardi fatali nella comprensione della gravità della situazione. Ma dobbiamo anche dire che quella scel-ta ha consentito ai cinesi di procedere con grande ordine alla messa in campo di misu-re di contenimento che sembrano aver fun-zionato. Per l’Italia, paese democratico in cui solo ipotizzare una qualunque forma di controllo dell’informazione espone ad ac-cuse di attentato alla Costituzione, questa possibilità non c’è stata, con l’aggravante di un governo totalmente impreparato a gesti-re lo tsunami da cui è stato travolto. E oggi ci troviamo a dover calcolare l’incalcolabile: le conseguenze di un’Italia che da culla ico-nica di bellezza, saper vivere e stile è diven-

    tata il buco nero del mondo, e lo è diventata anche grazie all’altro virus che domina la nostra epoca, quello dei social e dell’infor-mazione digitale, straordinari strumenti di contagio informativo. Adesso il governo ha l’obbligo di intervenire per cercare di far rientrare i buoi nella stal-la. È tardi, ma bisogna evitare ulteriori dan-ni. È necessario privilegiare competenze e professionalità acclarate, e chiamare in ser-vizio chiunque ne abbia. In questo senso è da apprezzare l’indicazione, giunta in que-sti giorni da più parti del mondo politico, di chiamare Guido Bertolaso a svolgere il ruo-lo di commissario unico dedicato al coordi-namento della gestione emergenziale: una richiesta che abbiamo lanciato dalle colon-ne di questo giornale il 25 febbraio scorso. Serve una voce unica che parli con auto-revolezza al Paese, dando i messaggi ne-cessari e certifi cando le informazioni per i cittadini, eliminando la grande confusione comunicativa che in queste settimane ha certamente alimentato il panico. Speriamo che il governo non perda ulteriore tempo prezioso e si attivi. Ma accanto a questa figura ne occorre un’altra: una persona che possa gestire con freddezza tutto l’aspetto internazionale di queste drammatiche settimane, e che si faccia carico di gestire una narrazione che sta costando all’Italia cifre astronomiche in termini di prodotto interno lordo e di affi da-bilità. Una sorta di portavoce internazionale dell’Italia. È un compito da far tremare i pol-si, ma la nostra storia recente ci insegna che il giudizio del mondo- in tempi di fi nanza globale - è il primo vettore di successo o fallimento di una nazione. Ieri l’andamen-to delle Borse ci ha detto chiaramente verso che direzione ci stiamo muovendo se non corriamo subito ai ripari.© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Mi pare assai disonesto sparare sulle Croce Rossa del governo negli attuali frangenti, come fanno, tutti i giorni, di mattina, pomeriggio, prime e se-conde serate, quei talk show che si ritengono le-

    gittimati ad esprimersi, con un giudizio inappellabile, su tutto e tutti. Anche perché – se ci fate caso – gli ospiti sono, in gene-rale, gli stessi, che vengono interpellati quando si parla di pen-sioni, di reddito di cittadinanza, di vitalizi, di tasse e che – non potendo disporre di una competenza enciclopedica - fi nisco-no per esprimersi, sulla base del sentito dire (perché la linea del ‘’uno vale uno’’ ha fatto breccia nell’opinione pubblica). È vero: il governo procede imitando il passo del gambero, se-guendo ad horas l’evoluzione del contagio. Nello stesso mo-mento in cui cerca di sdrammatizzare e disinnescare la psicosi di massa, assume provvedimenti che la incoraggiano. Ma lo fa seguendo – si dice – le indicazioni del Comitato scientifi -co appositamente costituito, il quale – pur rappresentando il meglio degli studiosi di virologia – sta fornendo, all’incirca, le medesime indicazioni dei cerusici impegnati secoli fa nel contenimento delle varie forme di pestilenza. Del resto, intra-presa la strada della drammatizzazione e del contenimento tramite il ricorso alle quarantene e all’isolamento dei territori “infestati”, non poteva che fi nire così, ammesso e non conces-so che le misure di confi no non si estendano poco alla vol-ta a tutto il territorio nazionale. Chi scrive non ha alcun titolo per parlare di medicina, tranne l’aver sostenuto un esame di medicina legale tanti decenni or sono. Ricordo però che il do-cente - a noi studenti e futuri avvocati o magistrati - impartì una nozione di fondo: «Quando vi diranno che una persona è morta per paralisi cardiaca, sappiate che il medico che la cer-tifi ca non ha capito nulla delle cause effettive». A volte, mi do-mando, in queste ore, se non si attribuiscano al Codip-19 tutti i decessi. Sarà per questo background che non riesco a veni-re a capo di alcune scelte compiute dalle autorità negli ultimi giorni. In primo luogo, è certamente corretto evitare, nella mi-sura del possibile, la diffusione del contagio. È questo il prin-cipale motivo della creazione delle cosiddette zone rosse. Ma non c’è il rischio che l’isolamento delle comunità conduca ad un’intensifi cazione in senso orizzontale del contagio proprio nei territori sottoposti a quel regime? In particolare, ciò è tan-to più vero se si pensa alla vastità dell’area oggetto degli ultimi provvedimenti di chiusura ‘’fl essibile’’. Si profi la, poi, una nuo-va domanda di chiarimenti con riguardo alle possibili terapie. Ci hanno spiegato che, per disporre del vaccino, occorreran-no tempi medio-lunghi (anche se Israele sembra ormai pros-simo alla scoperta). Ma come siamo combinati con le terapie? Se parecchi malati guariscono esisteranno pure delle cure ef-fi caci le quali, pur essendo state predisposte per altre pato-logie, aiutano anche a superare la crisi del coronavirus. Ed è nell’ambito di questo ragionamento che mi sorge un’ulteriore domanda. Esistono delle statistiche sul numero dei contagiati dal ‘’virus venuto dal freddo’’ che, in precedenza non si erano sottoposti alle vaccinazioni antiinfl uenzali già note e pratica-te? Potrebbe essere che questa mia domanda abbia già una risposta, quella consueta: si tratta di virus diversi; le vaccina-zioni per patologie simil-infl uenzali non servono a combat-tere un virus sconosciuto. Ma se, per ipotesi, emergesse che vi è un numero limitato di contaminati dal coronavirus che si erano vaccinati in precedenza contro le patologie infl uenzali di vecchio conio, mentre la grande maggioranza dei pazienti non aveva provveduto a farlo, forse verrebbe qualche indica-zione quanto meno utile ad agevolare le guarigioni. Per con-cludere, non me la sento di defi nire irresponsabili e ‘’traditori della patria’’ coloro che, sabato scorso, davanti alla prospetti-va di restare confi nati in Lombardia, dove magari erano pre-senti in modo casuale e temporaneo, hanno presi d’assalto i treni o si sono serviti di mezzi privati per tornare a casa. Mi è sembrata una reazione umana e comprensibile, da mettere in conto nel momento stesso in cui la decisione del governo è stata assunta. Il morbo sta intaccando le istituzioni: presidenti ed assessori di giunte regionali e locali sono stati colpiti. Persi-no le chiese hanno chiuso i battenti. Presto il Covid-19 aprirà “come una scatola di tonno” il Parlamento, dove sono già state adottate misure di contenimento. Dio non voglia che si arrivi a chiudere – errore clamoroso - le Camere e i Ministeri. Anche perché sarebbe inutile fuggire a Brindisi, come in un nuovo 8 settembre. Il virus è già arrivato anche là. © RIPRODUZIONE RISERVATA

    EMERGENZA COMUNICAZIONE

    Bene la scelta di un super commissario per gestire la drammatica situazione, ma dovrebbe essere affi ancato da una sorta di “portavoce internazionale dell’Italia”

    CAOS INFORMAZIONE O LA GOVERNI O MUORI

    LA POLEMICA

    Deborah Bergamini

    Giuliano Cazzola

    Virus e politicaevitiamo un nuovo 8 settembre

    Pensiamo a una fi gura che possa gestire con freddezza

    la narrazione da proporre agli altri Paesi, narrazione

    che invece al momento ci sta costando cifre astronomiche.

    Dovremmo prendere esempio dalla Cina

    Basta panico

    In altoIl presidente del Consiglio Conte

  • 8 Martedì 10 marzo 2020

    o poi gli avrebbero chiesto di tornare. E questo soltanto per-ché Bertolaso ha un curriculum unico, è stato massacrato da un’aggressione giudiziaria da cui è suscito vincitore.Fra le altre sue imprese, ave-

    della monnezza a Napoli e del terremoto dell’Aquila e fu pron-tamente accusato di ogni pos-sibile crimine amministrativo, del tutto campato in aria, ma sufficiente per stroncarlo, avvi-lirlo e metterlo fuori gioco. È stato direttore della Prote-zione Civile per nove anni, dal 2001 al 2010 e per due fu Sot-tosegretario alla Presidenza del Consiglio per affrontare l’emer-genza rifiuti. La sua biografia è su Internet, ma ci piace ricor-dare che questo medico d’av-ventura e di organizzazione è stato finora l’unica persona capace di mostrare l’anello di congiunzione fra competenza e politica, cosa non soltanto ra-rissima, ma interdetta. La Pro-tezione civile è oggi nelle mani di personale amministrativo la cui unica capacità è quella di emettere comunicati pompie-ristici, nascondendo oltre il de-cente lo stato delle cose, e anzi la verità. Non avendo alcuna fiducia nell’attuale classe di governo, dubito di veder tornare l’uomo giusto al posto giusto quando ce n’è bisogno. Più probabil-mente il partito dell’invidia e delle manette non smetterà di emettere le sue flatulenze av-velenate come ha sempre fatto.Guido Bertolaso è stato assolto da tutte le accuse che lo hanno messo fuori gioco per sette an-ni dalla pubblica amministra-zione, al solo scopo di colpire Berlusconi quando il Cavaliere era il bersaglio grosso. Nient’altro. E bisogna anche ricordare che Bertolaso, pur avendo avuto l’opportunità di avvalersi della prescrizione e liberarsi dei suoi processi, la rifiutò per avere il piacere di veder riconosciuta la sua inno-cenza. La sua colpa maggiore è stata quella di aver fatto fare al governo Berlusconi una magni-fica figura ai tempi del terremo-to dell’Aquila, permettendo al presidente del Consiglio di dare le chiavi di casa a cinquantami-la persone in sei mesi, più, una bottiglia di prosecco. Anni dopo Forza Italia giocò malissimo la possibile candida-tura di Bertolaso come sindaco di Roma, una città ormai in pre-da alle convulsioni, alle voragi-ni, ai gabbiani, alla frustrazione e all’odio. peccato. Fu così che Bertolaso decise di tornare alla sua Africa, ai suoi ospedali, ai bambini malati, ai pozzi di acqua potabile, agli ospedali chiavi in mano. Ieri era ancora lì: «Sono in Africa, ti richiamo». Non mi ha richiamato, dunque c’è anche il caso che non abbia potuto perché sta volando ver-so la patria ingrata.© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Massacrato dai pm, ora Bertolaso è il nostro Cincinnato: salvaci tu!Dopo averlo attaccato, la politica lo richiama come il console romano

    Processato, ha dimostrato la sua

    innocenza. Ora è in Africa a costruire

    ospedali

    CHI È L’UOMO CHE POTREBBE AFFRONTARE IL COVID-19

    Paolo Guzzanti

    Chi era? Cincinnato, ci sembra, quell’austero antico romano richia-mato in servizio dalla

    Repubblica ormai ottuagena-rio, per prendere in mano le redini dello Stato che andava a catafascio. Certo, ci fu il ca-so – totalmente politico - del generale Charles De Gaulle che se ne stava in campagna a Colombay Les-Deux-Eglises. E poi il caso di “Riusciranno i nostri eroi a riportare l’amico disperso in Africa” in cui Al-berto Sordi va a recuperare nel continente nero Nino Manfredi (Ninì) malgrado lo strazio della tribù di cui era diventato il di-vo e lo sciamano, che scandiva Ninì-nun-ce-lassà. Tutto questo per dire che qual-cuno pensa di r ichiamare in patria il nostro Cincinna-to-Ninì che è Guido Bertolaso, il numero uno assoluto del-la Protezione Civile. Ieri l’ho cercato sul cellulare e lui mi ha risposto per sms: «Sono in Africa, ti richiamo appena pos-so» . Infatti Bertolaso vive in Africa dove salva vite, costru-isce ospedali, organizza la sa-nità: è un grande organizzatore ed è un medico. Oggi l ’Italia è in condizioni peggiori – fatte le proporzioni – di quelle cinesi, quanto a virus: considerato che la Cina è circa 30 volte più popolosa dell’Ita-lia, i nostri quattrocento morti per Coronavirus equivarrebbe-ro a 12.000 morti cinesi. Però la Cina non ne ha avuto do-dicimila, ma soltanto tremila. Capito quanto siamo avanti? “Better call Bertolaso”, hanno detto gli appassionati della se-rie Better call Saul: proviamo a chiamare Guido, magari torna.Noi non vogliamo risolvere la

    questione dell’epidemia con mano militare (come ha fat-to la Cina) ma con le mani di una persona con esperienza e competenza che sappia fare le cose senza belare né abbaiare. Sembra che il primo ad uscire allo scoperto sia stato Matteo Renzi, ma il nome di Bertolaso gira da parecchio da quando il governo si è reso conto non solo di aver fallito, ma anche di avere ministri terrorizzati dal-la propria ombra, il ministro della Salute Speranza si è mes-so al fianco uno scienziato co-me Walter Riccardi proprio per cominciare a chiudere qual-che falla, ma tutti sanno che se si vuole affrontare e vin-cere una guerra ci vuole un generale. E che se vuoi vincere ci vuo-le un medico che sia anche uno stratega. Non sappiamo se davvero lo chia-m e r a n n o , n o n sappiamo se i l Presidente della Repubblica co-me qualcuno di-ce ha chiesto di convocarlo, ma sappiamo che B e r to l a s o s e ne sta in Afri-ca come il Cin-cinnato e come N i n ì - N u n - C e -Lass à d i Ma n -fre d i . Sa p endo

    – e non credo spe-rando – che prima

    va fronteggiato un disastro che avrebbe potuto diventare come quello attuale del Covid19, ma non lo diventò grazie a lui. Fu quello della Sars, acronimo in-glese che significa “grave cri-si respiratoria” di origine virale. La Sars non è una malattia, ma una condizione patologica e chi muore di Covid19, muore in re-altà di Sars, cioè di polmonite interstiziale bilaterale. Bertolaso è stato segato, per-seguitato, messo alla gogna mediatica e ridotto al silenzio, come sempre accade in Ita-lia dove è il governo-ombra è sempre guidato dal Partito Invi-dia e Manette Italiano. per qua-

    le colpa? Ma è semplicissimo: ben-

    ché non fosse stato scelto da Silvio Ber-

    lusconi che lo trovò già al suo posto, il

    fondatore di For-za Italia si prese per questo ma-

    nager con una c o m p e t e n -za pari al la s u a l e a d e r -ship, una ve-ra cotta. G l i a v r e b -b e p e r f i n o d a to i l s uo p a r t i t o p e r

    metterlo in ri-animazione, se

    Bertolaso avesse accettato. Fu ca-

    pace di risolvere la mostruosa faccenda

    In alto Il politico romanoLucio Quinzio Cincinnato, console nel 460 a.C. In seguito fu due volte dittatore, sia nel 458 a.C. che nel 439 a.C., quando fu richiamatoa partecipare alla vitaattiva, secondogli annalisti, all’età di ottant’annimentrea Romavigeva gran caos

  • 9Martedì 10 marzo 2020

    assoluta che Erdogan si tenga questi 4 milioni di rifugiati, anche quelli che provengono da Idlib se la tregua non dovesse reggere. In questa situazione stiamo: nelle mani di Putin, Erdogan, Assad, milizie varie con i loro sponsor esterni, vedi l’Iran, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti etc... che indirizza-no la guerra in Siria, perché anche una eventuale safe zone su Idlib necessita di un accordo di ferro tra questi stes-si soggetti, tanto per non fare la fi ne di Srebrenica.

    In questi giorni si è detto e scritto che l’Europa muore a Lesbo...Io questa l’ho già sentita, quando agli inizi degli anni ’90 si diceva e scrive-va: l’Europa muore a Sarajevo, che era un disastro umanitario scatenato da confl itti politici e militari. Da allo-ra, niente è cambiato. Gli Stati si sono tenuti sempre più aggressivamente la politica estera, la politica di difesa e di sicurezza, e siamo sempre lì. Ovvia-mente possiamo mettere dei “cerotti umanitari” ma il nocciolo della nostra debolezza rimane sempre quello: l’Eu-ropa delle nazioni, l’Europa delle pa-trie, contrapposta alla patria europea. E questo sta succedendo anche con il coronavirus...

    In che senso?Nel senso che la salute e la sanità sono competenze nazionali, anzi nazionalis-sime, che ogni Stato ha voluto e difen-de con le unghie e con i denti. Adesso sento dire, puntuale come un orolo-gio svizzero, che l’Europa ci lascia soli, l’Europa e via sproloquiando. Mentre il fallimento è l’Europa degli Stati na-zione e intergovernativa. Tanto è ve-ro che se si guarda dove l’Europa non funziona, è, per l’appunto, la politica estera: ne abbiamo 27 per intenderci, come abbiamo 27 eserciti e 27 siste-mi sanitari. La Commissione europea non produce mascherine e quando si è fatto richiesta, immagino che tutti gli Stati membri abbiano detto, chi più chi meno, di no. Mettiamocelo bene in te-sta: 27 Paesi, ognuno per sé, non fun-ziona. Perché se si guardano invece le politiche comunitarie (agricoltura, fondi di coesione, concorrenza), pos-sono piacere o non piacere, ma esisto-no e funzionano. Purtroppo, Sarajevo ci ha insegnato poco. Gli Stati membri dell’Unione Europea sono rimasti fer-mi sulle loro posizioni di quei tempi e oggi la storia si ripete. Tragicamente.© RIPRODUZIONE RISERVATA

    «In questa situazione stiamo: nel-le mani di Putin, Erdogan, Assad, milizie vari e altri protagonisti, non evidenti ma che sappiamo

    esistere, che indirizzano la guerra in Siria, perché anche una eventuale sa-fe zone su Idlib necessita di un accor-do di ferro sempre degli stessi: Putin, Erdogan, Assad e milizie varie con i lo-ro sponsor esterni, tanto per non fare la tragica fi ne di Srebrenica». A soste-nerlo a Il Riformista è Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissa-ria europea, leader storica dei Radicali e oggi senatrice di +Europa.

    Presi tra due fuochi, tra lacrimoge-ni e idranti: è la condizione in cui versano i 15.000 esseri umani bloc-cati al confi ne tra Grecia e Turchia. I rifugiati sono la nuova arma del Millennio?In qualche modo lo sono sempre stati. Ricordiamo, ad esempio, i campi del-la crisi dei Grandi Laghi, la dinamica è la stessa. O pensiamo ai kosovari, oltre un milione, che Milosevic espulse con la forza dal Kosovo verso l’Albania. Ie-ri come oggi sono strumenti di disegni politici. Nel nostro piccolo, come Ita-lia, abbiamo tenuto bloccati per gior-ni e giorni centinaia di migranti, salvati persino dalla nostra Marina militare o dalla Guardia costiera, per far pressio-ne sull’Europa. Erdogan ha usato al-trettanto l’arma delle persone, le più fragili peraltro. È così evidente l’uso politico che questa moltitudine sof-ferente e disperata è stata indirizza-ta verso il confi ne greco. E lì è rimasta intrappolata. Ma se si sale di qualche chilometro, alla frontiera con la Bul-garia non c’è un’anima. Questa è la situazione.

    Perché il presidente turco fa questa forzatura?A mio avviso, e per quel che ne so, Er-dogan si trova oggi con le spalle al mu-ro e in grandissima difficoltà. Si sta agitando, incontrando tutti – la Nato, Putin, stasera (ieri per chi legge, ndr) si presenta a Bruxelles – per cercare di capire come uscire da questo cul de sac in cui si è infi lato. È evidente che non può vincere militarmente in Si-ria, né può permettersi di tenere aperti due fronti di guerra: uno la Siria, l’altro la Libia. Non mi soffermo sulle condi-zioni economiche disperate in cui ver-

    Siamo sempre lì: alla tragedia dell’Europa delle patrieUmberto De Giovannangeli

    Ventisette diverse politiche estere, ventisette eserciti, ventisette sistemi sanitari. Se la prendono con l’Ue,

    ma a fallire è l’Europa degli Stati nazione. Mettiamocelo

    in testa: ventisette Paesi, ognuno per sé, non funziona.

    Lo dimostra anche il coronavirus...

    Ventisette

    sa la Turchia. Sul piano militare, una delle fragilità di Erdogan, non è solo il problema tecnologico, della qualità e quantità degli armamenti a disposi-zione: è che avendo decapitato, per il colpo di Stato gulenista, tutti i vertici e i sotto vertici delle forze armate, si tro-va ora con un comparto militare molto fragilizzato.

    Ma se Erdogan è in queste condi-zioni di debo-lezza, perché l’Europa sem-bra esserne subalterna?Perché, piaccia o non piaccia, ab-biamo appaltato la soluzione di un problema di 3,5 milioni/4,5 mi-lioni di migranti, profughi, rifugia-ti, a Erdogan che adesso si trova, da questo pun-to di vista, con il coltello dalla parte del manico. Tanto è vero che i 15.000 bloccati in Grecia non li vuo-le prendere nessuno. Teniamo peral-tro conto che quanti si trovano in tali condizioni, sono quelli di più vecchia data: sono afghani, pachistani, irache-ni, curdi che già stavano nei campi di raccolta.

    In questo scenario di emergenza, cosa dovrebbe fare, a suo avviso, l’Europa?Questa emergenza ha radici e moti-vazioni antiche e anche più recenti. Non c’è qualcuno che ha in mano la bacchetta magica, questo è evidente. Quello che possiamo sperare e per cui spingere, è che la tregua Putin-Erdo-gan regga, per non doverci trovare di fronte a una nuova ondata di disperati che scappano da Idlib. Anche perché Idlib è una sacca molto più compli-cata delle altre, e questo perché sono stati spinti verso quell’area i terrori-sti rimasti - che siano ceceni, dell’Isis o di al-Qaeda – che si sono mischiati con la popolazione civile. Se si metto-no in marcia, è una massa di persone molto composita, con molti elementi non esattamente “profughi”. Sperando che la tregua regga, il che non è affat-to scontato, rimane il fatto che gli Sta-ti dell’Europa hanno come loro priorità

    INTERVISTA A EMMA BONINO

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    «SARAJEVO, LESBO: COS’È CAMBIATO? IERI MILOSEVIC, OGGI ERDOGAN»

  • 10 Martedì 10 marzo 2020

    Naturale? Naturale un corno!Guai a nutrire la Bestia che si traveste da buon senso

    PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE RIZZOLI , PUBBLICHIAMO UN ESTRATTO DI “LA NATURA È INNOCENTE”, NUOVO LIBRO DI WALTER SITI

    Gli uomini hanno sempre tenu-to di fronte alla Natura un at-teggiamento duplice: da una parte la considerano il ventre

    da cui sono nati (Madre Natura, atavica e provvidenziale nutritrice con cibi bio) e quindi la loro giustificatrice suprema, dall’altra la combattono come una nemi-ca (la Natura Selvaggia) che dev’essere contenuta e domata mediante la cultu-ra. Il rapporto tra i due atteggiamenti è mutato a seconda dei luoghi e dei tem-pi. Nei tempi (e nei luoghi) in cui la Na-tura prevaleva con l’esuberanza delle foreste, la vastità dei fiumi, l’inaccessi-bilità dei monti, gli uomini si confedera-vano per resisterle e la cultura era una forma di solidarietà difensiva. Man mano che la Natura è stata sconfitta dalla tecni-ca, fiore supremo della cultura inventa-ta dagli uomini, ed è sembrato che nella guerra ingaggiata dagli uomini contro la Natura fosse quest’ultimaa uscirne perdente e schiava, gli uomini hanno cominciato a trattarla sottogam-ba, a sentirsi trionfatori, a inorgoglirsi della cultura che li aveva trasformati nei re della Terra. La cultura è diventata una bandiera d’aggressione, uno stendardo competitivo per le élite, una lotta a chi poteva vantare i think tank più integra-ti e gli ordigni più performanti. Ma il di-fetto della cultura è che inevitabilmente si degrada diffondendosi dalle élite alle masse, e soprattutto che non può esse-re trasmessa come patrimonio genetico (almeno finora). Lo spropositato affida-mento che l’uomo ha fatto sulla cultura,

    malformazione necessaria, non è inscritto nell’organismo, è una costruzione fragile che i turbini della Storia possono disper-dere. Gli uomini si sono costruiti allora un simulacro di natura a loro uso e consumo cercando di imitare, della Natura vera, la persistenza e la generalità.Quando, nelle società occidentali contem-poranee, si dice che qualcosa è “naturale” si intende che è indiscutibile, primario, ov-vio, semplice. Con questi aggettivi gli uo-mini pretendono di essersi appropriati del cuore logico e sentimentale della Natu-ra fornendone una versione edulcorata e di massa, che molti hanno chiamato “se-conda natura”. La seconda natura cemen-ta le comunità perché estende la durata e il prestigio delle leggi naturali a valori che invece appartengono totalmente alle al-ternative della cultura: di solito sono valori conservatori (“il Paese che i nostri nonni ci hanno lasciato”), di tradizione, perfino ste-reotipi: pensieri o rituali su cui la comunità stessa ha smesso da tempo di interrogar-si, dandoli per scontati una volta per tutte e contrapponendoli alle pericolose usanze “contronatura”. Così appare naturale che una famiglia sia formata da una mamma e da un papà, naturale che i maschietti gio-chino coi soldatini e le femminucce con le bambole, naturale essere religiosi secondo la nostra religione (“la Madonnina che sta lassù”), naturale che lo star meglio preval-ga senza discussione sullo star peggio, na-turale condividere con migliaia di follower il momento in cui la sera ci si lava i denti; gli italiani sono naturalmentebianchi, l’Italia nel 1938 dichiarava il proprio natura-

    le diritto ad avere delle colonie, e così via. Appare naturale ciò che si è sempre fatto o che i più vorrebbero fare impunemente: è naturale l’istinto di sopravvivenza ma allo stesso modo si proclamano naturali il di-ritto di proprietà, il diritto al lavoro e quello di sparare su chiunque cerchi di forzare il nostro uscio di casa. La seconda natura è ovviamente una finzione, ma è una finzi-one da non svelare se si vuole che con-servi la propria efficacia nell’agglutinare il consenso; la seconda natura funziona se sorvola su valori naturali ma contrad-dittori (la diffidenza verso l’estraneo è na-turale ma i neuroni specchio sono un dato di natura, l’istinto di aggregarsi è natura-le quanto il bisogno di solitudine, l’odio è naturale quanto l’amore) e solleva dalla fa-tica di scegliere da sé il proprio profilo di individuo. La seconda natura consegue il massimo risultato se riesce a travestirsi da “normale sentire” o addirittura da buon-senso (nel maggio 2019 un politico co-me Matteo Salvini fonda il proprio potere mediatico nei confronti delle masse - pre-monitore di possibili esiti autoritari - pre-cisamente sull’idea di presentarsi come araldo del senso comune, come persona semplice e dai gusti popolari – mentre la comunicazione del suo staff si avvale di un sofisticato sistema di algoritmi, che lo staff stesso ha soprannominato per antifrasi “la Bestia”. Meno naturale di così…)Vivere secondo istinto è naturale, eppure gli uomini si vergognano di “comportarsi come le bestie”; anche qui la pavida cul-tura umana ha trovato un astuto compro-messo che assume il nome di “vitalismo”. Il vitalismo è un concetto interclassista: vale per gli intellettuali dannunziani, per i giovani borgatari, per i politici golosi di Nutella e di Champions League, per il ceto medio che fa il viaggio di nozze a Santo Domingo. Sgra-nocchiare le esperienze come sedano fresco, sentirsi scor-

    rere l’adrenalina nelle vene, fuggire la no-ia più d’ogni altra cosa; carpe diem, quién me quita lo bailado? Non importa esse-re ricchi o giovani, basta idolatrare la vita ciascuno al proprio livello e cancellando l’età; alle conseguenze delle proprie im-prese vitalistiche si penserà dopo, o ma-gari non ci si penserà affatto; l’unico vero peccato è isolarsi, non partecipare al con-sumo e alla festa, si vive una volta sola (al-la faccia del Cristianesimo, tipica religione della seconda vita e quindi contro, o so-pra, natura). Perfino chi, nella propria se-te o fame di ipervita, lascia che si risvegli in lui l’animale che ha dentro viene guar-dato con tolleranza se non con simpatia: basta che non esageri e che adduca come alibi la naturalezza dell’istinto (“ho agito di pancia, m’è venuta così” – ovviamente a meno che non appartenga a quella catego-ria di sottouomini che la cultura qualifica come animaleschi, negri e simili). Chiun-que pensi di dare forza ai propri argomenti prendendo come guida (e scusa) la na-tura, non dimentichi che la natura scelta come guida assai spesso non è che cultu-ra abortita o andata a male. Non si sfugge alla cultura, nemmeno quando si afferma la naturalità del Bene, dello sdegno guer-resco contro le umiliazioni e la servitù; la grinta, l’affrontamento fisico, il piede che scatta per prendere il prepotente a calci in culo – l’acclamare e il linciare, lo schierarsi per il bianco o per il nero come si faceva da bambini giocando a guardie e ladri. Ecco, per i vitalisti d’ogni colore esibire una do-se di infantilismo è sempre una buona so-luzione, nulla è più vitale e innocente di un bambino, un bambino è pura vita. (E non importa che l’infantilismo sia quasi il con-

    Walter Siti

    In alto “La natura è innocente”(Rizzoli, pp. 352, 20 euro), il nuovo romanzo di Walter Siti racconta due storie: quella di Filippo e quella di Ruggero. Il primo uccide la madre fedifraga e tanto amata; il secondo che, in America e con il nome d’arteCarlo Masi, inizia la sua carriera di pornoattore; tornato poi a Roma,incontrerà Giovanni del Drago, l’uomo che farà di lui una principessa

    Di fronte a tante stratifi cazioni, la natura

    ogni tanto sembra scrollarsi di dosso

    gli uomini e sterminarli sbadatamente.

    In realtà non è però una ritorsione contro di noi.

    Le siamo indifferenti

    La vendettaIl progresso tecnologicoha amplifi cato il nostro primitivismo: che cosa

    c’è di più eccitante e infantile che inveire

    contro qualcuno da un iPad, dividere il bianco dal nero e soddisfarepulsioni ancestrali?

    La deriva

    «Ho agito di pancia, è statoistintivo...». La nostra società fl irta sempre più con la ferocia

  • 11Martedì 10 marzo 2020

    La famiglia formata da mamma e papà, le divisioni in opposte tifoserie, l’istinto guerresco di prendere “a calci in culo” il trasgressore di turno, il linciaggio, la difesa dei confini: la società moderna ha costruito intorno a valori reazionari, spacciati come dogmi inviolabili, una “seconda natura” che pretende di dettare legge a tutti. Ma la natura è indifferente, e del nostro senso di superiorità spesso se ne fa un baffo

    PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE RIZZOLI , PUBBLICHIAMO UN ESTRATTO DI “LA NATURA È INNOCENTE”, NUOVO LIBRO DI WALTER SITI

    to della biologia diventa non solo un addo-mesticamento della cruda realtà ma una fuga ipnotica dalla realtà stessa (o una fe-de che non osa dire il proprio nome). For-nisce autostrade informatiche alle pulsioni più regressive, dando loro l’autorità e l’ur-genza del “futuro necessario”; il che, per il modo di pensare veteroumanistico, porta alla paradossale conclusione che la tecno-logia sia quella cosa che costringe l’uma-nità a non poter fare a meno del proprio rincoglionimento. Quando la terza natu-ra si sovrappone alla seconda, alla cultura illuministica e poi liberale o socialista non resta più spazio di manovra: il popolo in-nocente e naturale aspira ai piaceri del cy-ber, mentre la sovranità si nasconde tra le nubi. In questo progressivo e annaspante an-nodarsi di strati culturali la Natura, quel-la che sta prima della cultura, quella che ogni tanto si scrolla di dosso gli uomini e li stermina sbadatamente, passa per esse-re non solo nemica ma colpevole (“la mon-tagna assassina”, appena qualche alpinista sventato cade in un crepaccio); l’impres-sione immediata è che si vendichi d’esse-re stata così a lungo trascurata e parodiata. Invece no, la Natura è sovranamente indif-

    ferente: non le importa quel che diciamo di lei o come la scimmiottiamo; lei, che ha l’universo come campo giochi, se ne fa un baffo se in un medio pianeta di una stel-la trascurabile, alla periferia di una delle tante galassie, una specie animale troppo ambiziosa ha reso il proprio habitat una trappola irrespirabile o se invece in un so-prassalto di saggezza abbia trovato un mo-mentaneo equilibrio (quegli strani bipedi lo definiscono “giustizia”) – tanto la sud-detta stella si raffredderà a tempo debito e amen per i suoi pianeti. La cultura è assunzione di responsabilità, costruzione controversa di umanità, la vi-ta non è mai “pura”; nei suoi momenti più alti la cultura umana riesce al massimo a conciliare le violenze e i divari economici, incastrandoli in un mosaico di reciproche comprensioni del bene e del male dell’es-sere gettati in questo mondo; riesce a far sì che gli inquilini dell’aiuola-che-ci-fa-fero-ci possano sopportarsi a vicenda in un groviglio di autocritiche (i bipedi di cui sopra la chiamano “democra-zia”). La cultura non è mai in-nocente, nemmeno le vittime lo sono, nemmeno chi crede di lavarsi l’anima in un amo-

    re disinteressato per gli altri, perché ha comunque dovuto assumersi la respon-sabilità del proprio sacrificio (chiedere lumi, per questo, alla fi glia di Carlo Ros-selli: la pazza disperata Amelia). Quando siamo orgogliosi dell’umanesimo alla vi-sta rasserenante delle dolci colline tosca-ne o umbre, e respiriamo la misura che gli uomini hanno trovato nel temperare Natura e cultura, con chiese e madon-ne create tra guerre fratricide, non dob-biamo dimenticare che proprio lì sotto, nelle faglie dell’Appennino, si nasconde una forza che un giorno o l’altro, con un ottavo grado di magnitudo, potrebbe di-struggere ogni cosa. E non sarebbe col-pa di nessuno – l’innocenza è assenza di libertà, solo la Natura ha il diritto di chiamarsi innocente perché ubbidisce a delle leggi impermeabili ai fantasmi d’armonia che vi proiettiamo (gli stra-ni bipedi la chiamano “bellezza”). La li-bertà è colpa, perché essendo una scelta impedisce a chi non vuol scegliere di as-secondare la deriva, di se stesso e di tut-to. La Natura è innocente perché non prevede progresso ma solo morte e rina-scita; il progressismo è colpa in quanto significa linearità, sottovalutazione di ciò che devia; il conservatorismo è colpevo-le perché idealizza lo status quo; il multi-culturalismo lo è perché stressa tutti con troppe pretese; perfino l’anarchia è colpa perché non capisce quanto le istituzioni siano commoventi e disobbedisce con superbia. Non si sfugge alla dannazione di essere animali sapienti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

    trario dell’infanzia, perché si accontenta di risposte sommarie e ripetitive mentre l’in-fanzia ha sempre un’altra domanda da fa-re). La seconda natura oscilla quindi in un pendolo tra nostalgie di conservatorismo reazionario e rimpianti utopisti di bontà originaria; ma su tutto, alla base, domina la voglia di accelerare verso dosi di piacere o comodità o fierezza sempre nuovi e più intensi; per ottenere quest’ultimo obietti-vo può capitare che la troppa cultura uma-nistica si presenti come zavorra – a questo pone rimedio il progresso della tecnolo-gia, capace di andare incontro a pulsioni ancestrali in una specie di primitivismo ritrovato. Che cosa c’è di più primitivo dell’interfaccia a-prova-di-idiota dei no-stri smartphone e iPad, in cui basta tocca-re un’icona per scatenare contatti eccitanti e informazioni pirotecniche? Ai giovani millennial, assenti per troppa comunica-zione, maturi di esperienze che nessuno ha vissuto, frastornati in una solitudine senza silenzio, si offre l’idea di una terza natura, quella aumentata del web e del posthuman. Una donna del Nebraska ha generato un figlio con gli spermatozoi del marito di suo figlio e gli ovuli di sua figlia: dunque, per bontà, al proprio figlio ha ge-nerato un fratello che è anche, contempo-raneamente, suo figliastro e suo nipote; la tecnologia supera e rende inat-tuali i tabù primordiali (come l’incesto) che connetteva-no natura e cultura in nessi comprensi-bili. La tecnologia senza limiti vista come naturale prolungamen-

    WALTER SITI È nato a Modena nel 1947 e ha insegnato nelle università di Pisa, Cosenza e L’Aquila.È il curatore delle opere di Pier Paolo Pasolini nella prestigiosa collana dei Meridiani Mondadori. Nel 2013, con “Resistere non serve a niente” è stato vincitore del Premio Strega. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo: “Exit Strategy” (2014), “Bruciare tutto” (2017) e “Bontà”, uscito per Einaudi nel 2018

    Il progressismo è colpa perché non coglie ciò

    che devia, il conservatorismo

    ha la colpa di idealizzare

    lo status quo. Ha colpa il multiculturalismo e

    persino l’anarchia

    Le distorsioni

  • www.ilriformista.itwww.ilriformista.it

    Sara, 33 anni, impiegataPRESUNTA SPACCIATRICE

    FINO A 50 ANNI�

    Mi chiamo Sara

    e con la prescrizione infinita sono diventata un’imputata a vita.

    Nel febbraio del 2020 avevo diciotto anni. Adesso ne ho trentatré, lavoro e

    stamattina ho ricevuto il mio primo avviso di garanzia.

    Sono finita in un'inchiesta di droga. Potrei rischiare 20 anni di carcere

    per un'intercettazione di 15 anni fa in cui un mio ex compagno di classe

    diceva ad un altro che io avevo “tutto quello che gli serviva".

    Io? Forse si riferiva alle versioni di greco.

    Dov'ero quel giorno? Chi ho visto?

    Per quanti anni durerà il processo?

    Su Internet gira già il mio nome.

    Mi licenzieranno?

    La banca mi toglierà il mutuo?

    E chi lo dice a mamma?

    Ho paura.

    So di essere innocente,

    ma non mi sento garantita.

    CHI LO DICE A MAMMA?

  • E se anche l’8 settembre pro-vocato dall’ultimo provve-dimento del premier Conte confermasse che i peggiori, in que-sta crisi, non sono stati i presiden-te delle Regioni? Del resto, qualcuno

    ha visto farsi avanti i sindaci, solita-mente protagonisti? Un giorno capi-remo chi si è comportato bene e chi male nelle drammatiche settima-ne del Coronavirus. Eppure, si dice che un’emergenza come questa sa-rebbe stata meglio gestita da un po-tere centrale forte, consapevole ed

    effi ciente. È vero, il problema è che in Italia il potere centrale non è for-te, non è adeguatamente consapevo-le e, come può facilmente vedersi fi n da ora, non è per nulla effi ciente. Ma ne riparleremo quando la grande cri-si sarà superata.

    La prima vittima in piazza Carlo III

    Coronavirus In Campania continua a crescere il numero dei contagi. Più di 150 ristoranti chiusi a partire da domani

    Viviana Lanza a pag 2

    La 47enne deceduta sabato scorso nella sua abitazione di Napoli mentre si attendeva il responso delle analisisul tampone: la protesta dei familiariin un video divenuto virale sul web

    Morta anche una donna di 81 annigiunta in gravi condizioni all’ospedaledi Nola. Positivo al Covid-19 un medicodel Policlinico. Nuovamente attivoil pronto soccorso del Cardarelli

    napoli.ilriformista.it Martedì 10 marzo 2020

    a pag 5

    Paolo Macry

    UN 8 SETTEMBREE SE I PEGGIORINON FOSSEROI GOVERNATORI?

    La fuga dalle zone rosse verso il Sud

    L’esodo provocato dal decreto Conte ricorda quello del 1943quando lo Stato si sfasciò e gli italiani tornarono “a casa” in massa

    Quando la grande crisi sarà superata, tra le cose da ricostruireci saranno le funzioni e gli equilibri tra il centro e la periferia

    Ruud Krol o la nave-rocciaPERSONAGGI

    L’ESERCIZIOMICHELE JR

    IL NONNO

    Il calcio totaleSquadra in crisiL’uomo giusto

    Napoli non sarà troppo calda per un

    tipo freddo come me?

    RINUS MICHELSSSC NAPOLIRUUD KROL

    Il dilemmaIl bimboMemoria storica

    PRIMA PUNTATA PAGINA 10

    L’emergenza Ecco le nuove organizzazioni del lavoro

    “LO SMART WORKING VA BENEMA NON È SEMPRE ROSE E FIORI”Filomena Buonocore

    Lo smart working consente di ottimizzare i tem-pi di vita e di lavoro, evitando ad esempio gli spostamenti verso la sede azienda-le. Tuttavia questa nuova organizzazione del-la produzione può avere anche delle ricadute psicologiche negative sui lavoratori, so-prattutto quando mancano politiche ge-stionali adeguate da parte delle aziende. Lo smart working paradossalmente potrebbe anche rendere più diffi cile conciliare lavoro e famiglia. E questo è sicuramente più vero per le donne.

    gli spostamenti verso la sede azienda-le. Tuttavia questa nuova organizzazione del-la produzione può avere anche delle ricadute

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    Lo psichiatra L’economista

    Walter Di Munzio Guglielmo Barone

    Meno male che c’èla sanità pubblica

    Politiche miopima laviamoci le mani

  • 2 IL Martedì 10 marzo 2020

    C’è anche una vittima napo-letana del coronavirus. ÈTeresa Franzese, la 47enne deceduta sabato nella sua

    casa in piazza Carlo III. Teresa è mor-ta nel suo letto mentre assieme agli anziani genitori, al fratello e a una so-rella con marito e due fi gli aspettava di capire perché stesse all’improvvi-so così male. Il dubbio che potesse essere affetta da Covid 19 era venu-to ai familiari che per precauzione si erano chiusi in casa, in isolamento. Teresa soffriva di epilessia e poteva essere un soggetto a rischio. «Da ie-ri aspetto risposte, nessuno si è fatto avanti. Sono costretto con tutto il do-lore a combattere contro questa si-tuazione», diceva disperato Luca, il fratello di Teresa in un video registra-to con il telefonino e diffuso domeni-ca su Facebook diventando virale in breve tempo, con 120mila condivi-sioni. Un video drammatico, dispe-rato, scioccante quando l’obiettivo puntava sulla donna immobile nel letto della camera da letto colorata di rosa. «Mia sorella è morta, le istitu-zioni ci hanno abbandonato» diceva Luca con la voce affannata dall’agita-zione. Domenica sera, poi, poche ore dopo la diffusione del video, un vici-no di casa aveva allertato i carabinie-ri e un parente si era rivolto ai vigili urbani per sapere come comportar-si. Infi ne, è arrivata la risposta: Teresa era positiva al coronavirus. «Prima ci hanno abbandonati e ora ci trattano da appestati» ha detto ieri Luca, dopo aver saputo come è morta la sorella, ringraziando chi ha condiviso il suo disperato appello, provando a tran-quillizzare amici e conoscenti sul-le sue condizioni e invitando tutti a

    non ignorare le misure di prevenzio-ne. Il caso di Teresa, purtroppo, non è stato l’unico. A Nola, ieri mattina, è morta una donna di 81 anni. L’an-ziana è deceduta al pronto soccor-so dell’ospedale nolano Santa Maria della Pietà . Aveva un edema polmo-nare e il tampone è risultato positivo al coronavirus. Il reparto è stato sani-fi cato e i medici che le avevano pre-stato le prime cure si sono messi in isolamento volontario in attesa di ul-teriori disposizioni. La donna vive-va a Ottaviano dove il sindaco Luca Capasso ha disposto la quarantena a scopo precauzionale per i residen-ti del palazzo dove l’anziana risiede-va e quelli del condominio vicino e ha inoltre smentito le voci di un viag-gio a Milano di uno dei fi gli della don-na, voci che erano circolate sui social nelle prime ore della mattinata. «È il momento di mantenere la calma e di attenersi alle disposizioni che indi-chiamo da tempo» ha detto il sindaco alla cittadinanza. Intanto l’allarme co-ronavirus continua a preoccupare e a far crescere il numero dei casi positi-vi in Campania. È salito a 120 il nume-ro di contagi accertati nella regione. L’unità di crisi del-la Protezione civi-le della Campania ha fatto sapere che ieri sono stati esa-minati 40 tamponi e cinque sono ri-sultati positivi. Due nuovi casi sono sta-ti accertati al Poli-clinico Federico II di Napoli. Ivan Gen-tile, professore or-dinario di malattie infettive del Dipar-timento di medici-

    na clinica e chirurgia e direttore della scuola di specializzazione dell’uni-versità, e una sua collaboratrice sono risultati positivi al coronavirus. Re-parti e ambulatori sono stati già sa-nifi cati e sono stati eseguiti i tamponi a tutti i sanitari in servizio nel repar-to. Gentile, che ha pubblicato diversi articoli sulla natura del Covid 19, ac-cusava lievi sintomi febbrili. Ora si sta ricostruendo la catena di contatti avuta da lui e dalla sua collaboratri-ce. Intanto notizie rassicuranti arriva-no dal pronto soccorso del Cardarelli, riaperto ieri mattina e con gli opera-tori tornati al lavoro con tutte le pre-cauzioni del caso. Il pronto soccorso era stato chiuso domenica dopo la conferma alla positività al virus del-la primaria ed è stato riaperto dopo una massiccia opera di sanifi cazione di tutti i locali. E positive sono anche le notizie che arrivano dal Cotugno e dal Pascale dove si sta sperimentan-do una terapia che sta dando risultati incoraggianti nella lotta al coronavi-rus. In attesa di uscire dall’emergen-za, il governatore Vincenzo De Luca ha disposto la proroga automatica per tre mesi dell’esenzione ticket per chi

    ne ha diritto evitando che ci si debba recare nei distretti sanitari per le pra-tiche di rinnovo. A tutti cittadini vie-ne costantemente rinnovato l’invito ad attenersi alle regole di prevenzio-ne e rispettare le disposizioni indica-te nel decreto del governo che regola gli spostamenti, soprattutto dalle aree rosse del Nord dove il rischio è più alto in questo momento. Ciò nono-stante c’è chi è pronto a trasgredire. Due turisti bergamaschi, violando il decreto, sono stati infatti sorpresi a Procida: fermati, appena sbarcati, dai vigili urbani sono stati rimandati a Napoli con il primo aliscafo. I rifl essi della crisi sul turismo sono purtrop-po sempre più evidenti e Federalber-ghi penisola sorrentina, presieduta da Costanzo Iaccarino, ha chiesto ai sindaci dei Comuni della Costiera di sospendere il pagamento delle tasse comunali fi no al 30 settembre. Anche l’Ente Bilaterale Turismo Campania si è attivato e ha chiesto alla Regione misure a sostegno delle imprese e dei loro dipendenti, risorse per fi nanzia-re ammortizzatori sociali e la sospen-sione dell’obbligo di versamento dei contributi previdenziali e assisten-ziali, oltre che delle imposte dirette e indirette. Intanto, a Napoli, oltre 150 brand della ristorazione chiudono i rispettivi locali a partire da domani.© RIPRODUZIONE RISERVATA

    CORONAVIRUS, È UNA DONNALA PRIMA VITTIMA NAPOLETANA

    Sale il numero dei contagi nella Regione. L’altra vittima in provincia è una donna di 81 anni deceduta ieri mattina al pronto soccorso dell’Ospedale Santa Maria della Pietà di Nola

    Riaperto il pronto soccorso del Cardarelli. Al Cotugno e al Pascal