Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015...

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Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% NE/TN

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Page 1: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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PROFESSIONE INFERMIEREPeriodico del CollegioProvinciale Ipasvi di Trento

Anno 15 - Numero 1/2/3Dicembre 2015

Registrazione Tribunale di Trento n. 1062 del 17.10.2000

Redazione:Via Calepina 75 - 38122 Trentotel. 0461 239989fax 0461 [email protected]

Direttore responsabile:Laura Galassi

Ha collaborato:Virna Benoni

Grafica e stampa:Centro Stampa Gaiardo O. sncBorgo Valsugana

Poste Italiane SpASpedizione in Abbonamento Postale70% NE/TN

Sommario

EDITORIALEOcchi puntati al futuro 3

IL NUOVO DIRETTIVOAl lavoro per la professione 4

IL PROGETTORiorganizzare le cure primarie 6

IL CONVEGNOParola d'ordine: impegno 8

IL PERSONAGGIOSilvestro: “Basta con le tensioni” 14

LA RICERCACome cambia l’infermiere 18

LE STORIEPassione e sensibilità 22

LA LETTERALa dedizione nel passato 34

LE TESI DI LAUREADue trattamenti a confronto 36Stranieri e sistema sanitario 38

L’AGGIORNAMENTOLa cultura è protagonista 40

NEWS 42

> pag. 4 > pag. 8 > pag. 34

3

Cari colleghi.Questo è un numero particolare del nostronotiziario: la testata è cambiata ed è iniziato unprocesso di rinnovamento grafico. D’ora inavanti nelle vostre case arriverà “ProfessioneInfermiere”, un nome che ci identifica meglio eci riconosce come professionisti della salute.La nostra priorità rimane comunque la stessa,quella di tracciare e mappare il percorso futurodegli infermieri. Il percorso deve essere coeren-te e rispondente alle attese del nostro Paese,perché il valore della salute sia sancito e garan-tito a tutti come diritto irrinunciabile di unasocietà civile ed evoluta. Vogliamo e dobbiamodecidere quali azioni, strategie e progetti realiz-zare per essere, come infermieri, attori protago-nisti, con ruoli riconosciuti ed insostituibili.Le minori risorse impegnate per il SistemaSanitario impediscono, di fatto, di garantire lapresenza adeguata di infermieri negli organici.In questo modo è effettivamente difficile atti-varsi per rispondere ai bisogni dei malati e deicittadini e questo è un elemento di grande fra-gilità del sistema salute. Quale welfare ci possiamo permettere? Che rap-porto c'è tra il contenimento della spesa pubbli-ca per il welfare e la sostenibilità dei budget dellefamiglie? Quali sono i comportamenti di autotu-tela che si stanno sviluppando? Questi sono soloalcuni dei quesiti ai quali dobbiamo rispondereper comprendere e delineare i processi evolutividel nostro sistema di welfare e il punto di vistadei cittadini su alcune possibili soluzioni. La riflessione che la Federazione NazionaleCollegi IPASVI ha proposto per riconoscere e

strutturare percorsi e ambiti professionali infer-mieristici rispondenti al contesto attuale, deveessere uno spunto per ogni singolo infermiereper procedere nella crescita e nello sviluppoprofessionale. L’assistenza infermieristica ha avuto molti meritima c’è ancora molta strada da fare.Il nostro impegno è quello di dare voce all’as-sistenza infermieristica in tutte le sue espres-sioni: dalla vicinanza al letto del malato, 24 oreal giorno e per 365 giorni all’anno, all’impegnonella ricerca scientifica per garantire sempre lemigliori prestazioni assistenziali infermieristi-che (Evidence Based Nursing). Dobbiamofocalizzarci sulla crescita e sullo sviluppo pro-fessionale degli infermieri affinché essi siano“adeguati”, cioè capaci di rispondere ai bisognidi salute ed assistenziali di tutti i cittadini, sanio malati che siano.

Luisa Zappini, presidente Collegio Ipasvi Trento

Occhi puntati al futuroEDITORIALE

Il notiziario cambia nome e grafica,ma i nostri obiettivi rimangono gli stessi

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PROFESSIONE INFERMIEREPeriodico del CollegioProvinciale Ipasvi di Trento

Anno 15 - Numero 1/2/3Dicembre 2015

Registrazione Tribunale di Trento n. 1062 del 17.10.2000

Redazione:Via Calepina 75 - 38122 Trentotel. 0461 239989fax 0461 [email protected]

Direttore responsabile:Laura Galassi

Ha collaborato:Virna Benoni

Grafica e stampa:Centro Stampa Gaiardo O. sncBorgo Valsugana

Poste Italiane SpASpedizione in Abbonamento Postale70% NE/TN

Sommario

EDITORIALEOcchi puntati al futuro 3

IL NUOVO DIRETTIVOAl lavoro per la professione 4

IL PROGETTORiorganizzare le cure primarie 6

IL CONVEGNOParola d'ordine: impegno 8

IL PERSONAGGIOSilvestro: “Basta con le tensioni” 14

LA RICERCACome cambia l’infermiere 18

LE STORIEPassione e sensibilità 22

LA LETTERALa dedizione nel passato 34

LE TESI DI LAUREADue trattamenti a confronto 36Stranieri e sistema sanitario 38

L’AGGIORNAMENTOLa cultura è protagonista 40

NEWS 42

> pag. 4 > pag. 8 > pag. 34

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Cari colleghi.Questo è un numero particolare del nostronotiziario: la testata è cambiata ed è iniziato unprocesso di rinnovamento grafico. D’ora inavanti nelle vostre case arriverà “ProfessioneInfermiere”, un nome che ci identifica meglio eci riconosce come professionisti della salute.La nostra priorità rimane comunque la stessa,quella di tracciare e mappare il percorso futurodegli infermieri. Il percorso deve essere coeren-te e rispondente alle attese del nostro Paese,perché il valore della salute sia sancito e garan-tito a tutti come diritto irrinunciabile di unasocietà civile ed evoluta. Vogliamo e dobbiamodecidere quali azioni, strategie e progetti realiz-zare per essere, come infermieri, attori protago-nisti, con ruoli riconosciuti ed insostituibili.Le minori risorse impegnate per il SistemaSanitario impediscono, di fatto, di garantire lapresenza adeguata di infermieri negli organici.In questo modo è effettivamente difficile atti-varsi per rispondere ai bisogni dei malati e deicittadini e questo è un elemento di grande fra-gilità del sistema salute. Quale welfare ci possiamo permettere? Che rap-porto c'è tra il contenimento della spesa pubbli-ca per il welfare e la sostenibilità dei budget dellefamiglie? Quali sono i comportamenti di autotu-tela che si stanno sviluppando? Questi sono soloalcuni dei quesiti ai quali dobbiamo rispondereper comprendere e delineare i processi evolutividel nostro sistema di welfare e il punto di vistadei cittadini su alcune possibili soluzioni. La riflessione che la Federazione NazionaleCollegi IPASVI ha proposto per riconoscere e

strutturare percorsi e ambiti professionali infer-mieristici rispondenti al contesto attuale, deveessere uno spunto per ogni singolo infermiereper procedere nella crescita e nello sviluppoprofessionale. L’assistenza infermieristica ha avuto molti meritima c’è ancora molta strada da fare.Il nostro impegno è quello di dare voce all’as-sistenza infermieristica in tutte le sue espres-sioni: dalla vicinanza al letto del malato, 24 oreal giorno e per 365 giorni all’anno, all’impegnonella ricerca scientifica per garantire sempre lemigliori prestazioni assistenziali infermieristi-che (Evidence Based Nursing). Dobbiamofocalizzarci sulla crescita e sullo sviluppo pro-fessionale degli infermieri affinché essi siano“adeguati”, cioè capaci di rispondere ai bisognidi salute ed assistenziali di tutti i cittadini, sanio malati che siano.

Luisa Zappini, presidente Collegio Ipasvi Trento

Occhi puntati al futuroEDITORIALE

Il notiziario cambia nome e grafica,ma i nostri obiettivi rimangono gli stessi

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4

A fine 2014 gli infermieri trentini hanno eletto ilConsiglio direttivo per rappresentare e soste-nere il valore dell’assistenza infermieristica, edegli infermieri che la esercitano. Il direttivo ècomposto da 15 colleghi che lavorano nei variambiti del Sistema Sanitario Sociale e delsistema di welfare. Alla guida del Consiglio è stata confermataLuisa Zappini, coadiuvata, con le cariche divicepresidente, da Federica Bresciani, disegretaria, da Nadia Rovro, e di tesoriere, daMirko Prada. I consiglieri sono GiampieroAmmoscato, Francesca Bontempi, LorenzoDenart, Massimiliano Frapporti, MarcoMaines, Elisa Manfrin, Katia Molinari, Katia

Polloni, Marco Sandri, Federica Sartori edEdda Valduga. I revisori dei conti sono CorinaValentina Neacsu, Isabella Vanzo Dellagia-coma e Carla Postai, con supplente TizianoPoletti. Tutti sono impegnati nell'ottemperare al man-dato istituzionale del Collegio, ma anche esoprattutto nel sostenere e dare evidenza alvalore dell’assistenza infermieristica in tutti gliambiti. L'eterogeneità del Consiglio direttivo èvalore rappresentante tutta la popolazioneinfermieristica. Nel dettaglio il Consiglio direttivo indirizza lesue energie sui seguenti ambiti:

Al lavoro per la professioneOltre alle attività di amministrazione, il Consiglio investe sulla disabilità,sulla cronicità e sulla cultura professionale

IL NUOVO DIRETTIVO

5

CRONICITÀ E DISABILITÀ

• nelle APSP - strutture private e accreditate

• a domicilio

• nelle strutture per acuti

APPROFONDIMENTO CULTURALE

PER LO SVILUPPO PROFESSIONALE

• sito www.ipasvi.tn.it

• notiziario “Professione Infermiere”

• incontri tematici sul territorio

• incontri per confronto e approfondimento

su aree/tematiche richieste dagli iscritti

ATTIVITÀ ISTITUZIONALE

E AMMINISTRATIVA

• di rappresentanza

• partecipazione a tavoli/gruppi di lavoro

• partecipazione ad eventi culturali

• politiche per lo sviluppo della professione

GOVERNO DELLA PROFESSIONE

• mobilità infermieristica in ingresso

e in uscita

• azioni deontologiche e disciplinari

• rapporti con le altre professioni

• rapporti con l’Università e la cultura

del territorio

LA CURIOSITÀ:L'età degli infermieri

nati dal 1927 al 1953 nati dal 1954 al 1983 nati dal 1984 al 19920

500

1000

1500

2000

2500

300086%

86%

89%

FemmineMaschi

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A fine 2014 gli infermieri trentini hanno eletto ilConsiglio direttivo per rappresentare e soste-nere il valore dell’assistenza infermieristica, edegli infermieri che la esercitano. Il direttivo ècomposto da 15 colleghi che lavorano nei variambiti del Sistema Sanitario Sociale e delsistema di welfare. Alla guida del Consiglio è stata confermataLuisa Zappini, coadiuvata, con le cariche divicepresidente, da Federica Bresciani, disegretaria, da Nadia Rovro, e di tesoriere, daMirko Prada. I consiglieri sono GiampieroAmmoscato, Francesca Bontempi, LorenzoDenart, Massimiliano Frapporti, MarcoMaines, Elisa Manfrin, Katia Molinari, Katia

Polloni, Marco Sandri, Federica Sartori edEdda Valduga. I revisori dei conti sono CorinaValentina Neacsu, Isabella Vanzo Dellagia-coma e Carla Postai, con supplente TizianoPoletti. Tutti sono impegnati nell'ottemperare al man-dato istituzionale del Collegio, ma anche esoprattutto nel sostenere e dare evidenza alvalore dell’assistenza infermieristica in tutti gliambiti. L'eterogeneità del Consiglio direttivo èvalore rappresentante tutta la popolazioneinfermieristica. Nel dettaglio il Consiglio direttivo indirizza lesue energie sui seguenti ambiti:

Al lavoro per la professioneOltre alle attività di amministrazione, il Consiglio investe sulla disabilità,sulla cronicità e sulla cultura professionale

IL NUOVO DIRETTIVO

5

CRONICITÀ E DISABILITÀ

• nelle APSP - strutture private e accreditate

• a domicilio

• nelle strutture per acuti

APPROFONDIMENTO CULTURALE

PER LO SVILUPPO PROFESSIONALE

• sito www.ipasvi.tn.it

• notiziario “Professione Infermiere”

• incontri tematici sul territorio

• incontri per confronto e approfondimento

su aree/tematiche richieste dagli iscritti

ATTIVITÀ ISTITUZIONALE

E AMMINISTRATIVA

• di rappresentanza

• partecipazione a tavoli/gruppi di lavoro

• partecipazione ad eventi culturali

• politiche per lo sviluppo della professione

GOVERNO DELLA PROFESSIONE

• mobilità infermieristica in ingresso

e in uscita

• azioni deontologiche e disciplinari

• rapporti con le altre professioni

• rapporti con l’Università e la cultura

del territorio

LA CURIOSITÀ:L'età degli infermieri

nati dal 1927 al 1953 nati dal 1954 al 1983 nati dal 1984 al 19920

500

1000

1500

2000

2500

300086%

86%

89%

FemmineMaschi

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6

Negli ultimi tre anni il Collegio si è dedicatomolto al progetto “riorganizzazione delle cureprimarie”. Con la collaborazione di più professionisti,medici di medicina generale, medici e dirigentidell’Azienda Sanitaria, infermieri del collegio,assistenti sociali e medici di continuità assi-stenziale, abbiamo creato un documento in cuiè declinato nello specifico il ruolo dell’infermie-re in un contesto di cure domiciliari, ruolo che

alcune regioni italiane hanno già individuatonell’infermiere di famiglia. il nostro progetto non pone tanto l'accento sugliaspetti organizzativi ma ci induce a comprende-re quale ruolo può avere l'infermiere rispetto aibisogni assistenziali della collettività oggi equale integrazione con le altre figure sanitarie.Il progetto ora è al vaglio dell'assessorato doveè già stato istituito un tavolo di lavoro con altriprofessionisti.

Riorganizzare le cure primarieLa mission forte del Collegio per declinare il nuovo ruolo dell'infermierenel contesto delle cure domiciliari

IL PROGETTO

LA CURIOSITÀ:distribuzione iscritti IPASVI Trento

7

Questo sarà tra i principali impegni del pro-gramma di lavoro triennale, insieme agli altritemi cruciali che riguardano la professione, ilfuturo per i neolaureati, il concetto della croni-cità, della fragilità e della disabilità, questioniche ci vedranno impegnati su più fronti, affin-ché si possa intervenire anche sull'evoluzionedell'organizzazione delle cure, sia ospedalierasia territoriale. Con queste premesse di cam-biamento e di riorganizzazione delle cure risul-ta fondamentale il tema della partecipazione. Avere il contributo di qualcuno che conoscabene la professione dal punto di vista dellacompetenza, oltre che di contenuto esperien-ziale, fa la differenza. Questo consente al Collegio di diventare moto-re in grado di attivare reti diverse. Il messaggioche il Collegio vuole trasmettere a tutti gli infer-mieri è un segnale di vicinanza e presenza nelledifficoltà quotidiane.

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500

Non comunitari

Comunitari

Stranieri

Italiani

Maschi

Femmine

Infermieri

Infermieri Pediatrici

Assistenti Sanitari

Totale iscritti

57

186

243

4044

607

3680

4128

54

105

4287

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Negli ultimi tre anni il Collegio si è dedicatomolto al progetto “riorganizzazione delle cureprimarie”. Con la collaborazione di più professionisti,medici di medicina generale, medici e dirigentidell’Azienda Sanitaria, infermieri del collegio,assistenti sociali e medici di continuità assi-stenziale, abbiamo creato un documento in cuiè declinato nello specifico il ruolo dell’infermie-re in un contesto di cure domiciliari, ruolo che

alcune regioni italiane hanno già individuatonell’infermiere di famiglia. il nostro progetto non pone tanto l'accento sugliaspetti organizzativi ma ci induce a comprende-re quale ruolo può avere l'infermiere rispetto aibisogni assistenziali della collettività oggi equale integrazione con le altre figure sanitarie.Il progetto ora è al vaglio dell'assessorato doveè già stato istituito un tavolo di lavoro con altriprofessionisti.

Riorganizzare le cure primarieLa mission forte del Collegio per declinare il nuovo ruolo dell'infermierenel contesto delle cure domiciliari

IL PROGETTO

LA CURIOSITÀ:distribuzione iscritti IPASVI Trento

7

Questo sarà tra i principali impegni del pro-gramma di lavoro triennale, insieme agli altritemi cruciali che riguardano la professione, ilfuturo per i neolaureati, il concetto della croni-cità, della fragilità e della disabilità, questioniche ci vedranno impegnati su più fronti, affin-ché si possa intervenire anche sull'evoluzionedell'organizzazione delle cure, sia ospedalierasia territoriale. Con queste premesse di cam-biamento e di riorganizzazione delle cure risul-ta fondamentale il tema della partecipazione. Avere il contributo di qualcuno che conoscabene la professione dal punto di vista dellacompetenza, oltre che di contenuto esperien-ziale, fa la differenza. Questo consente al Collegio di diventare moto-re in grado di attivare reti diverse. Il messaggioche il Collegio vuole trasmettere a tutti gli infer-mieri è un segnale di vicinanza e presenza nelledifficoltà quotidiane.

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500

Non comunitari

Comunitari

Stranieri

Italiani

Maschi

Femmine

Infermieri

Infermieri Pediatrici

Assistenti Sanitari

Totale iscritti

57

186

243

4044

607

3680

4128

54

105

4287

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8

Il 12 maggio 2015, in occasione della giornatainternazionale dell’infermiere, si è svolto ilConvegno IPASVI di Trento. Aver scelto la datadi nascita di Florence Nightingale, colei che perprima si impegnò a dare valore alla nostra pro-fessione, come momento di incontro, volevaessere un segnale: in quel giorno l'impegnodell'infermiere si è rinnovato. Il convegno è stata l’occasione per dare voce,spazio ed evidenza a ciò che quotidianamentee silenziosamente facciamo e di come questofaccia la differenza, perché la capacità di esse-re vicini e collaborare con tutte le altre profes-sioni è importante e fondamentale. Con questo messaggio la presidente, LuisaZappini, ha aperto la giornata, ricordandoquanto noi infermieri siamo un elementoimportante e necessario del sistema salute. Ilbisogno c’è ed è evidente, ma per farlo è fon-

damentale restare insieme ed uniti, sostenendoreciprocamente il valore del lavoro di tutti e diciò che diciamo, mantenendo sempre il focuscentrale sul benessere e la comunicazione conla persona assistita. Il 12 maggio al tavolo delle autorità eranosedute persone diverse, ognuno con un suoruolo all’interno del sistema sanitario e politico.In quella giornata si sono trovati insieme ehanno parlato di infermieri, di professione eprofessionalità, dei cambiamenti e del proces-so di innovazione a cui il sistema deve andareincontro. La chiave è che tutto debba avvenireall’interno di percorsi dove la sinergia e il lavo-ro in team tra i diversi professionisti è cruciale.

Di seguito una breve carrellata degli interventidelle autorità.

Parola d'ordine: impegnoIl focus del Convegno Ipasvi del 12 maggio 2015Un'occasione preziosa per confrontarsi sul lavoro quotidiano

IL CONVEGNO

9

Moreno Broggi:“Con l'aumento demografico serve una rete di servizi ampliata”

Moreno Broggi, presidenteUPIPA, ha sottolineato come gliinfermieri abbiano un ruolo pri-mario all’interno del sistema; essisono professionalmente moltoinfluenti nell’ambito delle Rsa

(Apsp), nella programmazione e nella condu-zione quotidiana di tutto ciò che serve a garan-tire il benessere delle persone. Inoltre essihanno un ruolo basilare nel controllo e nellaverifica della qualità finale dei servizi.Il comparto delle Rsa ha subito una grandeevoluzione, passando da un vecchio concettodi casa di riposo, a quello di Azienda Pubblicadi Servizi alla Persona, dove attualmente illavoro è totalmente diverso rispetto a qualcheanno fa. Una qualità di servizi riconosciutaovunque, dove gli aiuti non sono limitati soloall’interno della struttura e agli ospiti residenti,ma anche alla comunità e al domicilio. Con l’incremento demografico della popolazio-ne anziana, è necessario istituire una rete di ser-vizi ampliata, più concentrata a fornire i servizi e

gli aiuti all’interno della singola casa. Alcunestrutture si stanno già attrezzando e sono parti-te con questa rete di servizi sempre più capilla-re. Questo progresso è legato anche al compar-to infermieristico, che fornisce stimoli crescenti.

Bruno Bizzaro:“Tra farmacisti e infermieri un patto nell'interesse del paziente”

Bruno Bizzaro, presidente dell’Or-dine dei Farmacisti, ha fatto nota-re che le professioni sanitarie,medici, infermieri e farmacisti,dopo aver lavorato insieme pertanti anni per concorrere al benes-

sere del paziente, ora sono giunti al momentostorico nel quale è necessario che collaborinoancora più strettamente e più da vicino. Sotto la regia del medico, artefice e promotoredella terapia, è importante che infermieri e far-macisti stringano un patto nell’interesse delpaziente, visto che le nostre due professionisono accomunate dalla vicinanza e dalla pros-simità con la gente. La farmacia infatti è ilprimo snodo del Sistema Sanitario Nazionale

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Il 12 maggio 2015, in occasione della giornatainternazionale dell’infermiere, si è svolto ilConvegno IPASVI di Trento. Aver scelto la datadi nascita di Florence Nightingale, colei che perprima si impegnò a dare valore alla nostra pro-fessione, come momento di incontro, volevaessere un segnale: in quel giorno l'impegnodell'infermiere si è rinnovato. Il convegno è stata l’occasione per dare voce,spazio ed evidenza a ciò che quotidianamentee silenziosamente facciamo e di come questofaccia la differenza, perché la capacità di esse-re vicini e collaborare con tutte le altre profes-sioni è importante e fondamentale. Con questo messaggio la presidente, LuisaZappini, ha aperto la giornata, ricordandoquanto noi infermieri siamo un elementoimportante e necessario del sistema salute. Ilbisogno c’è ed è evidente, ma per farlo è fon-

damentale restare insieme ed uniti, sostenendoreciprocamente il valore del lavoro di tutti e diciò che diciamo, mantenendo sempre il focuscentrale sul benessere e la comunicazione conla persona assistita. Il 12 maggio al tavolo delle autorità eranosedute persone diverse, ognuno con un suoruolo all’interno del sistema sanitario e politico.In quella giornata si sono trovati insieme ehanno parlato di infermieri, di professione eprofessionalità, dei cambiamenti e del proces-so di innovazione a cui il sistema deve andareincontro. La chiave è che tutto debba avvenireall’interno di percorsi dove la sinergia e il lavo-ro in team tra i diversi professionisti è cruciale.

Di seguito una breve carrellata degli interventidelle autorità.

Parola d'ordine: impegnoIl focus del Convegno Ipasvi del 12 maggio 2015Un'occasione preziosa per confrontarsi sul lavoro quotidiano

IL CONVEGNO

9

Moreno Broggi:“Con l'aumento demografico serve una rete di servizi ampliata”

Moreno Broggi, presidenteUPIPA, ha sottolineato come gliinfermieri abbiano un ruolo pri-mario all’interno del sistema; essisono professionalmente moltoinfluenti nell’ambito delle Rsa

(Apsp), nella programmazione e nella condu-zione quotidiana di tutto ciò che serve a garan-tire il benessere delle persone. Inoltre essihanno un ruolo basilare nel controllo e nellaverifica della qualità finale dei servizi.Il comparto delle Rsa ha subito una grandeevoluzione, passando da un vecchio concettodi casa di riposo, a quello di Azienda Pubblicadi Servizi alla Persona, dove attualmente illavoro è totalmente diverso rispetto a qualcheanno fa. Una qualità di servizi riconosciutaovunque, dove gli aiuti non sono limitati soloall’interno della struttura e agli ospiti residenti,ma anche alla comunità e al domicilio. Con l’incremento demografico della popolazio-ne anziana, è necessario istituire una rete di ser-vizi ampliata, più concentrata a fornire i servizi e

gli aiuti all’interno della singola casa. Alcunestrutture si stanno già attrezzando e sono parti-te con questa rete di servizi sempre più capilla-re. Questo progresso è legato anche al compar-to infermieristico, che fornisce stimoli crescenti.

Bruno Bizzaro:“Tra farmacisti e infermieri un patto nell'interesse del paziente”

Bruno Bizzaro, presidente dell’Or-dine dei Farmacisti, ha fatto nota-re che le professioni sanitarie,medici, infermieri e farmacisti,dopo aver lavorato insieme pertanti anni per concorrere al benes-

sere del paziente, ora sono giunti al momentostorico nel quale è necessario che collaborinoancora più strettamente e più da vicino. Sotto la regia del medico, artefice e promotoredella terapia, è importante che infermieri e far-macisti stringano un patto nell’interesse delpaziente, visto che le nostre due professionisono accomunate dalla vicinanza e dalla pros-simità con la gente. La farmacia infatti è ilprimo snodo del Sistema Sanitario Nazionale

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(Ssn) e quello più immediatamente accessibile24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Gli infermieri,d’altro canto, hanno il pregio e la peculiarità diessere i più vicini alla persona che soffre. Bruno Bizzaro e la Senatrice della RepubblicaAnnalisa Silvestro hanno collaborato al Mini-stero per la stesura delle linee d’indirizzo pergarantire la sicurezza delle cure in terapia farma-cologica e dei servizi erogati dalle farmacie dicomunità. Nel corso dell’estate 2015 le schedeapplicative di questo lavoro verranno pubblicatee sarà motivo di un altro momento di confronto,un’occasione per ritrovarsi e per rilanciare la col-laborazione tra professioni complementari,sempre con l’obiettivo di ottimizzare le risorsepurtroppo sempre più ristrette, ma nell’interesseprincipale del paziente.

Alberto Aloisi:“L’infermiere è il sorriso che ci accompagna per tutta la vita”

Alberto Aloisi, rappresentante deiVeterinari e presidente del Co-mitato Unitario delle Professioni,ha presentato il concetto di pro-fessione come una missione le-gata ad una competenza, ad un

saper essere prima che un saper fare. Se con-tinuiamo ad essere legati alla dedizione pernostra professione non smetteremo mai diessere dei professionisti in tutti i campi, che siparli di territorio o della tutela della quale habisogno il paziente.L’infermiere è il sorriso che ci accompagna dalconcepimento (dall’accoglienza alla prima eco-

4.287Totale iscritti

105Assistenti Sanitari

54Infermieri Pediatrici

4.128Infermieri

Femmine

Maschi

Italiani

Stranieri

Comunitari

Non comunitari

3.680 85,84%

607

4.044

243

186

57

14,15%

DISTRIBUZIONE ISCRITTI IPASVI PER SESSO

Femmine

Maschi

DISTRIBUZIONE ISCRITTI IPASVI PER NAZIONALITÀ

ItalianiStranieri

Comunitari

Non comunitari

LA CURIOSITÀ:iscritti Collegio IPASVI 2015

11

grafia), fino alla morte, quindi in un percorsoche dura tutta la vita.È essenziale tenere sempre presente i nostricodici deontologici, come manuali delle buonepratiche, che ci sostengono nel dare tutto quel-lo che sappiamo in quel momento. Anche senon riusciamo a dare il massimo, quello che riu-sciamo a garantire è il massimo per quelmomento e in quella situazione. Sicuramente lasera ed il giorno dopo saremo sempre più com-petenti.

Marco Ioppi:“La collaborazione si basa sulla chiarezza dei ruoli”

Marco Ioppi, presidente dell’Or-dine dei Medici, nel suo interven-to si è soffermato maggiormentesulle criticità che si affrontanoquotidianamente, perché quelledei medici e degli infermieri sono

professioni uniche e insostituibili per la società,che a volte non sono valutate e riconosciute perquanto valgono. È molto importante quindidifenderle e tutelarle, perché insieme concorro-no al bene più prezioso che un uomo ha nellasua vita, la salute. A volte sono gli operatori che non sono coscien-ti del loro ruolo, che non sono motivati, o chenon sono aiutati a far bene una professione cheesige senso del dovere, responsabilità, passio-ne, dedizione, umanità, oltre che competenza.Ci sono forse anche dei cittadini che pretendo-no troppo da noi, pretendono dei miracoli, equindi non sono stati abituati ad un responsabi-le uso di quello che hanno a disposizione. Abbiamo a volte delle istituzioni che non dimo-strano di valorizzare il capitale umano e vedonol’operatore sanitario, medico e infermiere, comeuna fonte di spesa e non come un investimentoche può portare alla soluzione dei gravi proble-mi che la comunità attualmente avverte. C’è bisogno di una presenza estremamente

attiva, di una presenza da protagonisti, c’èbisogno di una nuova alleanza, di una nuovamentalità, di una valorizzazione delle professio-ni del medico e dell’infermiere. Questo deve passare attraverso il coinvolgi-mento delle scelte di programmazione, attra-verso l’educazione ad un uso responsabile edetico delle risorse da parte dei cittadini esoprattutto c’è bisogno di forti indirizzi pro-grammatici, di scelte coraggiose, lungimirantida parte di chi ci governa. Notevole importanza e forza riveste dunque lacapacità di collaborare assieme, un patto, un’al-leanza basata sulla stima, sul rispetto reciproco,basata soprattutto sulla chiarezza dei ruoli, com-plementari, indipendenti, che non vanno a coz-zare, non vanno a disturbarsi l’un l’altro. Ioppi ha ribadito come l’infermiere debba avereuna presenza sempre più partecipe e protagoni-sta nelle nuove organizzazioni sul territorio e fun-zionali se si vuole davvero cambiare radicalmen-te la mentalità e la cultura ospedalocentrica dellanostra sanità, verso una cultura che investe moltodi più sulla persona e sulla prevenzione. È importante che in tutto questo rimanga untocco di umanità. Questo processo di costru-zione di una nuova identità, di fronte ad unasocietà che cambia, corre il rischio di vedere leprofessioni che si arroccano su posizioni supe-rate, corre il rischio di combattere l’erosione dicompetenze da parte di altre professioni, equesto non aiuta certo a lavorare insieme, nonaiuta quell’integrazione che si basa sul rispetto,sulla fiducia e sulla collaborazione. È doverosa la chiarezza dei ruoli, ed è un po’quello che attualmente si sta discutendo a livel-lo politico e programmatico, perché è solo sullachiarezza che si basa una collaborazione seriae costruttiva, che non deve avere tensioni, chenon deve portare conflitti e diffidenze dentro leprofessioni, essenzialmente perché tutti dob-biamo tendere quello che è il nostro unicoobiettivo: la salute. Il sostegno da parte dei medici, è attivo; pur-troppo le difficoltà ci sono, non vengono nasco-ste. E’ fondamentale portare avanti la convin-

Page 11: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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(Ssn) e quello più immediatamente accessibile24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Gli infermieri,d’altro canto, hanno il pregio e la peculiarità diessere i più vicini alla persona che soffre. Bruno Bizzaro e la Senatrice della RepubblicaAnnalisa Silvestro hanno collaborato al Mini-stero per la stesura delle linee d’indirizzo pergarantire la sicurezza delle cure in terapia farma-cologica e dei servizi erogati dalle farmacie dicomunità. Nel corso dell’estate 2015 le schedeapplicative di questo lavoro verranno pubblicatee sarà motivo di un altro momento di confronto,un’occasione per ritrovarsi e per rilanciare la col-laborazione tra professioni complementari,sempre con l’obiettivo di ottimizzare le risorsepurtroppo sempre più ristrette, ma nell’interesseprincipale del paziente.

Alberto Aloisi:“L’infermiere è il sorriso che ci accompagna per tutta la vita”

Alberto Aloisi, rappresentante deiVeterinari e presidente del Co-mitato Unitario delle Professioni,ha presentato il concetto di pro-fessione come una missione le-gata ad una competenza, ad un

saper essere prima che un saper fare. Se con-tinuiamo ad essere legati alla dedizione pernostra professione non smetteremo mai diessere dei professionisti in tutti i campi, che siparli di territorio o della tutela della quale habisogno il paziente.L’infermiere è il sorriso che ci accompagna dalconcepimento (dall’accoglienza alla prima eco-

4.287Totale iscritti

105Assistenti Sanitari

54Infermieri Pediatrici

4.128Infermieri

Femmine

Maschi

Italiani

Stranieri

Comunitari

Non comunitari

3.680 85,84%

607

4.044

243

186

57

14,15%

DISTRIBUZIONE ISCRITTI IPASVI PER SESSO

Femmine

Maschi

DISTRIBUZIONE ISCRITTI IPASVI PER NAZIONALITÀ

ItalianiStranieri

Comunitari

Non comunitari

LA CURIOSITÀ:iscritti Collegio IPASVI 2015

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grafia), fino alla morte, quindi in un percorsoche dura tutta la vita.È essenziale tenere sempre presente i nostricodici deontologici, come manuali delle buonepratiche, che ci sostengono nel dare tutto quel-lo che sappiamo in quel momento. Anche senon riusciamo a dare il massimo, quello che riu-sciamo a garantire è il massimo per quelmomento e in quella situazione. Sicuramente lasera ed il giorno dopo saremo sempre più com-petenti.

Marco Ioppi:“La collaborazione si basa sulla chiarezza dei ruoli”

Marco Ioppi, presidente dell’Or-dine dei Medici, nel suo interven-to si è soffermato maggiormentesulle criticità che si affrontanoquotidianamente, perché quelledei medici e degli infermieri sono

professioni uniche e insostituibili per la società,che a volte non sono valutate e riconosciute perquanto valgono. È molto importante quindidifenderle e tutelarle, perché insieme concorro-no al bene più prezioso che un uomo ha nellasua vita, la salute. A volte sono gli operatori che non sono coscien-ti del loro ruolo, che non sono motivati, o chenon sono aiutati a far bene una professione cheesige senso del dovere, responsabilità, passio-ne, dedizione, umanità, oltre che competenza.Ci sono forse anche dei cittadini che pretendo-no troppo da noi, pretendono dei miracoli, equindi non sono stati abituati ad un responsabi-le uso di quello che hanno a disposizione. Abbiamo a volte delle istituzioni che non dimo-strano di valorizzare il capitale umano e vedonol’operatore sanitario, medico e infermiere, comeuna fonte di spesa e non come un investimentoche può portare alla soluzione dei gravi proble-mi che la comunità attualmente avverte. C’è bisogno di una presenza estremamente

attiva, di una presenza da protagonisti, c’èbisogno di una nuova alleanza, di una nuovamentalità, di una valorizzazione delle professio-ni del medico e dell’infermiere. Questo deve passare attraverso il coinvolgi-mento delle scelte di programmazione, attra-verso l’educazione ad un uso responsabile edetico delle risorse da parte dei cittadini esoprattutto c’è bisogno di forti indirizzi pro-grammatici, di scelte coraggiose, lungimirantida parte di chi ci governa. Notevole importanza e forza riveste dunque lacapacità di collaborare assieme, un patto, un’al-leanza basata sulla stima, sul rispetto reciproco,basata soprattutto sulla chiarezza dei ruoli, com-plementari, indipendenti, che non vanno a coz-zare, non vanno a disturbarsi l’un l’altro. Ioppi ha ribadito come l’infermiere debba avereuna presenza sempre più partecipe e protagoni-sta nelle nuove organizzazioni sul territorio e fun-zionali se si vuole davvero cambiare radicalmen-te la mentalità e la cultura ospedalocentrica dellanostra sanità, verso una cultura che investe moltodi più sulla persona e sulla prevenzione. È importante che in tutto questo rimanga untocco di umanità. Questo processo di costru-zione di una nuova identità, di fronte ad unasocietà che cambia, corre il rischio di vedere leprofessioni che si arroccano su posizioni supe-rate, corre il rischio di combattere l’erosione dicompetenze da parte di altre professioni, equesto non aiuta certo a lavorare insieme, nonaiuta quell’integrazione che si basa sul rispetto,sulla fiducia e sulla collaborazione. È doverosa la chiarezza dei ruoli, ed è un po’quello che attualmente si sta discutendo a livel-lo politico e programmatico, perché è solo sullachiarezza che si basa una collaborazione seriae costruttiva, che non deve avere tensioni, chenon deve portare conflitti e diffidenze dentro leprofessioni, essenzialmente perché tutti dob-biamo tendere quello che è il nostro unicoobiettivo: la salute. Il sostegno da parte dei medici, è attivo; pur-troppo le difficoltà ci sono, non vengono nasco-ste. E’ fondamentale portare avanti la convin-

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zione che siamo portatori di una professioneimportante, che dobbiamo difendere ed onora-re, con competenze ed umanità.

Luciano Flor:“Dobbiamo essere capaci di lavorare insieme”

Luciano Flor, direttore dell’Azien-da Provinciale per i Servizi Sa-nitari della Provincia Autonoma diTrento, ha definito la parola “im-pegno”. L’impegno è una prero-gativa che ancor prima della cate-

goria e del singolo professionista è individuale.Non è possibile affrontare il tema “futuro soste-nibile” ignorando la parola impegno, una parolache ne racchiude molte altre, come serietà eresponsabilità. Sono cose di cui dobbiamotener conto. Per quanto riguarda il futuro sostenibile dobbia-mo parlarne con molta cautela. Abbiamo discus-so per anni di sottofinanziamento, non possiamopensare di resistere ancora a coniugare l’impe-gno personale non sapendo con quale futuro. Ilnostro futuro in parte ce lo costruiamo noi, non celo costruiscono gli altri. Gli altri fanno le regole,fanno la cornice, ma l’impegno e la responsabili-tà le dobbiamo mettere personalmente. Il nostro Sistema Sanitario non ha costi esage-rati; non è vero che non siamo all’altezza dellasituazione. Nelle diverse professioni siamo rico-nosciuti anche fuori dall’Italia come capaci ecompetenti. Ogni tanto in questo periodo capita di sentire suivari territori che la sanità vuole sanitanizzare ilsociale, ma anche fosse che il sociale volessesocializzare il sanitario non ci dobbiamo preoc-cupare, dobbiamo essere capaci di lavorareinsieme, tra diverse aree, tra diversi comparti etra diverse professioni. Luciano Flor è intervenuto anche in merito alcomma 566, affermando che noi abbiamo laresponsabilità di coniugare impegno e serietà

per poter ergerci ad essere interlocutori, ma avolte purtroppo lo facciamo male. Usando unametafora, dobbiamo pensare che ci troviamosulla barca SSN, non siamo azioni o posizionicontrapposte, al cittadino rispondiamo com-plessivamente.

Donata Borgonovo Re:“Diciamo grazie agli infermieri per il loro modo di operare”

Donata Borgonove Re, che amaggio era assessore alla Salutee Solidarietà Sociale, ha descrittoquanto faccia riflettere quando imedici e i professionisti sanitaricommentano: “Gli infermieri que-

ste cose le sanno fare molto meglio di noi per-ché sono formati in un certo modo, hanno unostile di lavoro, un’attitudine costruita e formatanel tempo”. Tutte le volte che si sentono queste affermazioni,il pensiero corre nella direzione di fare sapere aidiretti interessati (infermieri/e), quanto sianoapprezzati e considerati all’interno del sistemada parte delle altre professioni che si occupanodi sanità. Il loro stile di lavoro, il loro modo di rap-portarsi con i professionisti, da un lato con l’or-ganizzazione e dall’altro lato con le persone chesono affidate alle loro cure, è il modo giusto ecorretto per andare avanti. L’impressione è che non ci diciamo mai abba-stanza grazie, da un lato, ma non ci soffermia-mo neppure ad analizzare le ragioni di quel gra-zie. Che cosa possiamo imparare, che cosapossiamo dirci reciprocamente? Lo sguardodella categoria professionale infermieristica sicolloca all’altezza giusta, rispetto alle personeche sono affidate alle loro cure. Altri sguardi sicollocano all’altezza sbagliata, o sono troppo inalto, o magari sono troppo distratti. Forse abbiamo bisogno di aiutarci a mettere afuoco le cose sulle quali valga la pena lavorare.Agli infermieri e alle infermiere, è chiesto, ma in

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questo momento un po’ anche a tutti all’internodella dimensione sanitaria, uno sforzo aggiunti-vo. Possiamo ancora ritenerci fortunati sia sottoil profilo delle risorse economiche a disposizio-ne per rispondere ai bisogni di salute dellanostra comunità, sia sotto il profilo delle risorseprofessionali e organizzative che sono statecostruite negli anni e della molteplicità dei servi-zi che possiamo garantire ai cittadini. Sappiamoperò che questo nostro essere fortunati comin-cia a mostrare alcuni profili di difficoltà. L’allora assessora ha dichiarato la sua preoc-cupazione, non solo per la consapevolezza delperiodo difficile, ma anche in merito a qualipercorsi si possano trovare che garantiscano lapermanenza della qualità dei nostri servizi, laricchezza delle nostre competenze e dellanostra disponibilità a dare risposte ai cittadinicon una contrazione di risorse economicheche già si è presentata, anche se non ancora inmisura drammatica, ma che sarà via via cre-scente negli anni che abbiamo di fronte. È stato chiesto all’Azienda di provare a pensa-re a un piano di miglioramento che abbia comescopo non quello di tagliare in modo irraziona-le e confuso, ma di qualificare meglio le presta-zioni, le attività e i servizi in una dimensione disobrietà, e un uso saggio delle risorse. Questo è un lavoro che ha impegnato e staimpegnando l’azienda da tre anni, con deirisultati che sono in parte soddisfacenti, ma inparte assolutamente lontani dalle attese. Icoordinatori e coloro che hanno responsabilitàorganizzative più complesse all’interno dell’A-

zienda Sanitaria sono a conoscenza, e pro-muovono la condivisione delle informazioni inmerito a percorsi di collaborazione. Chi ha lo sguardo giusto, ha anche la possibilitàdi indicare ambiti, settori, azioni e comportamen-ti sui quali attivare quella logica inerente la capa-cità di accettare il nuovo, di accettare il cambia-mento. Questo significa anche migliorare la pro-pria attività e organizzazione complessiva, grazieanche alle trasformazioni positive che ci sonosempre, in ogni professione, in ogni ambito eanche in ogni spazio organizzativo. Ora dobbiamo concentrarci per lavorare, con lacollaborazione e lo sguardo di tutti, degli infer-mieri in particolare. È necessario l’aiuto di tuttiper intraprendere questo percorso, piuttostonuovo per la nostra realtà, poiché siamo statifelicemente viziati da una dimensione di conte-sto molto favorevole, molto positiva, che non ciha mai obbligati a pensare bene a quali sono lescelte più accurate, più sagge, scelte comun-que efficaci per il risultato che ci aspettiamo. Adesso invece dobbiamo un po’ sforzarci dimodificare, almeno in parte, il nostro atteggia-mento, salvaguardando tutta la ricchezza dicui il personale infermieristico dà testimonian-za, mettendoci anche qualche elemento difantasia, di cambiamento positivo in più. Inquesto serve davvero la testa, la competenzama anche la passione di tutti, perché anche tra5-10 anni ci si possa ritrovare a stimare eammirare questa professione, ammettendo difare nuovamente questa scelta nel caso sipotesse ritornare indietro.

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zione che siamo portatori di una professioneimportante, che dobbiamo difendere ed onora-re, con competenze ed umanità.

Luciano Flor:“Dobbiamo essere capaci di lavorare insieme”

Luciano Flor, direttore dell’Azien-da Provinciale per i Servizi Sa-nitari della Provincia Autonoma diTrento, ha definito la parola “im-pegno”. L’impegno è una prero-gativa che ancor prima della cate-

goria e del singolo professionista è individuale.Non è possibile affrontare il tema “futuro soste-nibile” ignorando la parola impegno, una parolache ne racchiude molte altre, come serietà eresponsabilità. Sono cose di cui dobbiamotener conto. Per quanto riguarda il futuro sostenibile dobbia-mo parlarne con molta cautela. Abbiamo discus-so per anni di sottofinanziamento, non possiamopensare di resistere ancora a coniugare l’impe-gno personale non sapendo con quale futuro. Ilnostro futuro in parte ce lo costruiamo noi, non celo costruiscono gli altri. Gli altri fanno le regole,fanno la cornice, ma l’impegno e la responsabili-tà le dobbiamo mettere personalmente. Il nostro Sistema Sanitario non ha costi esage-rati; non è vero che non siamo all’altezza dellasituazione. Nelle diverse professioni siamo rico-nosciuti anche fuori dall’Italia come capaci ecompetenti. Ogni tanto in questo periodo capita di sentire suivari territori che la sanità vuole sanitanizzare ilsociale, ma anche fosse che il sociale volessesocializzare il sanitario non ci dobbiamo preoc-cupare, dobbiamo essere capaci di lavorareinsieme, tra diverse aree, tra diversi comparti etra diverse professioni. Luciano Flor è intervenuto anche in merito alcomma 566, affermando che noi abbiamo laresponsabilità di coniugare impegno e serietà

per poter ergerci ad essere interlocutori, ma avolte purtroppo lo facciamo male. Usando unametafora, dobbiamo pensare che ci troviamosulla barca SSN, non siamo azioni o posizionicontrapposte, al cittadino rispondiamo com-plessivamente.

Donata Borgonovo Re:“Diciamo grazie agli infermieri per il loro modo di operare”

Donata Borgonove Re, che amaggio era assessore alla Salutee Solidarietà Sociale, ha descrittoquanto faccia riflettere quando imedici e i professionisti sanitaricommentano: “Gli infermieri que-

ste cose le sanno fare molto meglio di noi per-ché sono formati in un certo modo, hanno unostile di lavoro, un’attitudine costruita e formatanel tempo”. Tutte le volte che si sentono queste affermazioni,il pensiero corre nella direzione di fare sapere aidiretti interessati (infermieri/e), quanto sianoapprezzati e considerati all’interno del sistemada parte delle altre professioni che si occupanodi sanità. Il loro stile di lavoro, il loro modo di rap-portarsi con i professionisti, da un lato con l’or-ganizzazione e dall’altro lato con le persone chesono affidate alle loro cure, è il modo giusto ecorretto per andare avanti. L’impressione è che non ci diciamo mai abba-stanza grazie, da un lato, ma non ci soffermia-mo neppure ad analizzare le ragioni di quel gra-zie. Che cosa possiamo imparare, che cosapossiamo dirci reciprocamente? Lo sguardodella categoria professionale infermieristica sicolloca all’altezza giusta, rispetto alle personeche sono affidate alle loro cure. Altri sguardi sicollocano all’altezza sbagliata, o sono troppo inalto, o magari sono troppo distratti. Forse abbiamo bisogno di aiutarci a mettere afuoco le cose sulle quali valga la pena lavorare.Agli infermieri e alle infermiere, è chiesto, ma in

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questo momento un po’ anche a tutti all’internodella dimensione sanitaria, uno sforzo aggiunti-vo. Possiamo ancora ritenerci fortunati sia sottoil profilo delle risorse economiche a disposizio-ne per rispondere ai bisogni di salute dellanostra comunità, sia sotto il profilo delle risorseprofessionali e organizzative che sono statecostruite negli anni e della molteplicità dei servi-zi che possiamo garantire ai cittadini. Sappiamoperò che questo nostro essere fortunati comin-cia a mostrare alcuni profili di difficoltà. L’allora assessora ha dichiarato la sua preoc-cupazione, non solo per la consapevolezza delperiodo difficile, ma anche in merito a qualipercorsi si possano trovare che garantiscano lapermanenza della qualità dei nostri servizi, laricchezza delle nostre competenze e dellanostra disponibilità a dare risposte ai cittadinicon una contrazione di risorse economicheche già si è presentata, anche se non ancora inmisura drammatica, ma che sarà via via cre-scente negli anni che abbiamo di fronte. È stato chiesto all’Azienda di provare a pensa-re a un piano di miglioramento che abbia comescopo non quello di tagliare in modo irraziona-le e confuso, ma di qualificare meglio le presta-zioni, le attività e i servizi in una dimensione disobrietà, e un uso saggio delle risorse. Questo è un lavoro che ha impegnato e staimpegnando l’azienda da tre anni, con deirisultati che sono in parte soddisfacenti, ma inparte assolutamente lontani dalle attese. Icoordinatori e coloro che hanno responsabilitàorganizzative più complesse all’interno dell’A-

zienda Sanitaria sono a conoscenza, e pro-muovono la condivisione delle informazioni inmerito a percorsi di collaborazione. Chi ha lo sguardo giusto, ha anche la possibilitàdi indicare ambiti, settori, azioni e comportamen-ti sui quali attivare quella logica inerente la capa-cità di accettare il nuovo, di accettare il cambia-mento. Questo significa anche migliorare la pro-pria attività e organizzazione complessiva, grazieanche alle trasformazioni positive che ci sonosempre, in ogni professione, in ogni ambito eanche in ogni spazio organizzativo. Ora dobbiamo concentrarci per lavorare, con lacollaborazione e lo sguardo di tutti, degli infer-mieri in particolare. È necessario l’aiuto di tuttiper intraprendere questo percorso, piuttostonuovo per la nostra realtà, poiché siamo statifelicemente viziati da una dimensione di conte-sto molto favorevole, molto positiva, che non ciha mai obbligati a pensare bene a quali sono lescelte più accurate, più sagge, scelte comun-que efficaci per il risultato che ci aspettiamo. Adesso invece dobbiamo un po’ sforzarci dimodificare, almeno in parte, il nostro atteggia-mento, salvaguardando tutta la ricchezza dicui il personale infermieristico dà testimonian-za, mettendoci anche qualche elemento difantasia, di cambiamento positivo in più. Inquesto serve davvero la testa, la competenzama anche la passione di tutti, perché anche tra5-10 anni ci si possa ritrovare a stimare eammirare questa professione, ammettendo difare nuovamente questa scelta nel caso sipotesse ritornare indietro.

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Annalisa Silvestro, Senatrice della RepubblicaItaliana ed ex presidente della FederazioneNazionale dei Collegi IPASVI, durante l'assem-blea del 14 maggio ha fatto il punto sulla situa-zione infermieristica attuale e sulle ipotesi disviluppo del nostro gruppo professionale.L'intervento di Silvestro si collega alla leggefinanziaria approvata a fine 2014, con il famosocomma 566: “fatte salde le competenze delmedico, le professioni sanitarie dovranno svilup-parsi e prendere il largo anche e soprattutto inseguito a formazione complementare che per-metta loro di sviluppare le loro competenze”.

Ecco la sintesi del suo intervento.

“Nel 2011 era stato presentato un articolato daportare in conferenza Stato-Regioni in cui sievidenziavano cinque aree di sviluppo dellecompetenze infermieristiche: medicina, chirur-gia, emergenza - urgenza, pediatria-neonatolo-gia, salute mentale - sanità pubblica. Come infermieri vogliamo andare a studiare iprocessi di cura ed assistenza, di continuitàassistenziale, in modo da rispondere al meglioai bisogni dei cittadini. L'obiettivo è approfon-dire degli aspetti che stiamo già imparando sulcampo con tanta buona volontà e con l’espe-rienza. Quello del comma 566 è un argomento spino-so, in particolare per i sindacati dei medici, iquali paventano l’invasione di campo da partedegli infermieri nelle loro competenze. Di fatto,anche se questo comma riguarda tutte le pro-

fessioni sanitarie, in realtà, la preoccupazionemaggiore è nei confronti degli infermieri. Laragione è presto detta: siamo tanti, 420.000,siamo dappertutto, siamo posizionati in ogniluogo dove si svolgano attività sanitarie. Èquindi comprensibile che la tensione sia preva-lentemente rivolta verso di noi.Il fatto è che gli infermieri non mirano a diven-tare dei “medici bonsai”, bensì dei grandi infer-mieri. Ci sono stati molti muri, molti fili spinati

“Basta con le tensioni”La riflessione dell'Onorevole Annalisa Silvestro:"Il sistema non può più essere ospedalocentrico e medicocentrico

IL PERSONAGGIO

Chi è?

Nome: Annalisa

Cognome: Silvestro

Data di nascita: 9 novembre 1951

Professione: Infermiera

Residenza: Attimis (Udine)

Attualmente: membro del Senato della Repub-blica, eletta il 24 febbraio 2013 conil gruppo PD. Fa parte della 12a

Commissione permanente Igiene eSanità, della Commissione Inchiestasugli infortuni sul lavoro, della Com-missione parlamentare per l'infan-zia e l'adolescenza.

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sulla specializzazione infermieristica, ma nono-stante tutto stiamo ancora provando ad andarein quella direzione.Al riconoscimento formale della funzione di tipospecialistico che andiamo a sviluppare (previstedalla legge 43/2006) dovrebbe seguire un rico-noscimento contrattuale. Ancora oggi gli infer-mieri sono tutti uguali, indipendentemente daquello che fanno, dalla responsabilità che siassumono e da dove lavorano; l’unica cosa chediversifica un po’ gli infermieri è, non la compe-tenza e la capacità, ma il luogo dove la svilup-pano. Si vorrebbe provare a mettere sul tavolo didibattito una serie di elementi come spunti diriflessione per cercare di capire se si può dareun contributo come categoria professionaleall’evoluzione e all’innovazione del sistema. Ilnostro SSN costa poco, dà buoni risultati, eforse è uno dei pochi elementi di sistema che ilnostro Paese può portare con orgoglio a livelloeuropeo. Esso, infatti, raggiunge obiettivi erisultati con un costo decisamente contenuto,evidenziando una grande preparazione, capaci-tà e competenza da parte di tutti coloro cheoperano nel sistema: medici, infermieri, fisiote-rapisti, etc.Come infermieri vorremmo mantenere questosistema, però ci rendiamo conto che per man-tenerlo bisogna innovarlo, nelle relazioni tra iprofessionisti, nel modo di stare vicino ai citta-dini, perché l’andamento demografico ed epi-demiologico ci dice che l’ospedale non può piùessere l’unica risposta. Abbiamo bisogno didare risposte ad una popolazione affetta dapatologie cronico-degenerative, con un aspet-tativa di vita degli italiani molto elevata, tra lepiù alte d’Europa. Gli infermieri non mettono dunque in discussio-ne le competenze e le capacità dei medici, vor-rebbero solamente poter formalmente appro-fondire le proprie, rendendole note e visibili aicittadini e, attraverso le medesime, dare il pro-prio contributo al sistema. Non è corretto affer-mare che gli infermieri vogliono andare perconto loro, non si deve confondere l’approfon-

dimento clinico-assistenziale con l’area gestio-nale. Un conto è la gestione di un unità opera-tiva, di processi integrati e un altro è la gestio-ne autonoma di quelle che sono le capacità, lecompetenze e gli obiettivi che l’infermiere ha lapossibilità di poter perseguire, perché è il qua-dro giuridico a fornirgliela.In questa logica vorremmo che il SistemaSanitario potesse giovare anche di queste com-petenze. In Italia abbiamo un sistema prevalen-temente mediconcentrico e di conseguenzaanche ospedalocentrico, perché tutto ruotaattorno alle diverse discipline dei medici, cheper fortuna ci sono. Il problema è che non pos-siamo pensare che il sistema possa andareavanti ancora con queste impostazioni. Il fatto che si vada verso gli ospedali organizza-ti per complessità assistenziale e intensità dicure la dice lunga. Questa tendenza non nega laspecificità disciplinare, come il chirurgo, l’odon-toiatra, il neurochirurgo, ma delinea semplice-mente il fatto che i pazienti vanno assistiti inrelazione ai bisogni che presentano e alle rispo-ste che devono essere date dai professionisti,per soddisfare quei bisogni che sono conse-guenti alla patologia che hanno in atto. Non vale la pena incrementare ancora le tensio-ni su questi fatti, sarebbe più opportuno invecemettersi attorno ad un tavolo con la nuova pre-sidente della Federazione Nazionale dei CollegiIPASVI, Barbara Mangiacavalli, con la neo presi-dente dell’Ordine dei Medici, con le rappresen-tanze sindacali dei medici, dei medici di medici-na generale e del comparto, e discutere su

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Annalisa Silvestro, Senatrice della RepubblicaItaliana ed ex presidente della FederazioneNazionale dei Collegi IPASVI, durante l'assem-blea del 14 maggio ha fatto il punto sulla situa-zione infermieristica attuale e sulle ipotesi disviluppo del nostro gruppo professionale.L'intervento di Silvestro si collega alla leggefinanziaria approvata a fine 2014, con il famosocomma 566: “fatte salde le competenze delmedico, le professioni sanitarie dovranno svilup-parsi e prendere il largo anche e soprattutto inseguito a formazione complementare che per-metta loro di sviluppare le loro competenze”.

Ecco la sintesi del suo intervento.

“Nel 2011 era stato presentato un articolato daportare in conferenza Stato-Regioni in cui sievidenziavano cinque aree di sviluppo dellecompetenze infermieristiche: medicina, chirur-gia, emergenza - urgenza, pediatria-neonatolo-gia, salute mentale - sanità pubblica. Come infermieri vogliamo andare a studiare iprocessi di cura ed assistenza, di continuitàassistenziale, in modo da rispondere al meglioai bisogni dei cittadini. L'obiettivo è approfon-dire degli aspetti che stiamo già imparando sulcampo con tanta buona volontà e con l’espe-rienza. Quello del comma 566 è un argomento spino-so, in particolare per i sindacati dei medici, iquali paventano l’invasione di campo da partedegli infermieri nelle loro competenze. Di fatto,anche se questo comma riguarda tutte le pro-

fessioni sanitarie, in realtà, la preoccupazionemaggiore è nei confronti degli infermieri. Laragione è presto detta: siamo tanti, 420.000,siamo dappertutto, siamo posizionati in ogniluogo dove si svolgano attività sanitarie. Èquindi comprensibile che la tensione sia preva-lentemente rivolta verso di noi.Il fatto è che gli infermieri non mirano a diven-tare dei “medici bonsai”, bensì dei grandi infer-mieri. Ci sono stati molti muri, molti fili spinati

“Basta con le tensioni”La riflessione dell'Onorevole Annalisa Silvestro:"Il sistema non può più essere ospedalocentrico e medicocentrico

IL PERSONAGGIO

Chi è?

Nome: Annalisa

Cognome: Silvestro

Data di nascita: 9 novembre 1951

Professione: Infermiera

Residenza: Attimis (Udine)

Attualmente: membro del Senato della Repub-blica, eletta il 24 febbraio 2013 conil gruppo PD. Fa parte della 12a

Commissione permanente Igiene eSanità, della Commissione Inchiestasugli infortuni sul lavoro, della Com-missione parlamentare per l'infan-zia e l'adolescenza.

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sulla specializzazione infermieristica, ma nono-stante tutto stiamo ancora provando ad andarein quella direzione.Al riconoscimento formale della funzione di tipospecialistico che andiamo a sviluppare (previstedalla legge 43/2006) dovrebbe seguire un rico-noscimento contrattuale. Ancora oggi gli infer-mieri sono tutti uguali, indipendentemente daquello che fanno, dalla responsabilità che siassumono e da dove lavorano; l’unica cosa chediversifica un po’ gli infermieri è, non la compe-tenza e la capacità, ma il luogo dove la svilup-pano. Si vorrebbe provare a mettere sul tavolo didibattito una serie di elementi come spunti diriflessione per cercare di capire se si può dareun contributo come categoria professionaleall’evoluzione e all’innovazione del sistema. Ilnostro SSN costa poco, dà buoni risultati, eforse è uno dei pochi elementi di sistema che ilnostro Paese può portare con orgoglio a livelloeuropeo. Esso, infatti, raggiunge obiettivi erisultati con un costo decisamente contenuto,evidenziando una grande preparazione, capaci-tà e competenza da parte di tutti coloro cheoperano nel sistema: medici, infermieri, fisiote-rapisti, etc.Come infermieri vorremmo mantenere questosistema, però ci rendiamo conto che per man-tenerlo bisogna innovarlo, nelle relazioni tra iprofessionisti, nel modo di stare vicino ai citta-dini, perché l’andamento demografico ed epi-demiologico ci dice che l’ospedale non può piùessere l’unica risposta. Abbiamo bisogno didare risposte ad una popolazione affetta dapatologie cronico-degenerative, con un aspet-tativa di vita degli italiani molto elevata, tra lepiù alte d’Europa. Gli infermieri non mettono dunque in discussio-ne le competenze e le capacità dei medici, vor-rebbero solamente poter formalmente appro-fondire le proprie, rendendole note e visibili aicittadini e, attraverso le medesime, dare il pro-prio contributo al sistema. Non è corretto affer-mare che gli infermieri vogliono andare perconto loro, non si deve confondere l’approfon-

dimento clinico-assistenziale con l’area gestio-nale. Un conto è la gestione di un unità opera-tiva, di processi integrati e un altro è la gestio-ne autonoma di quelle che sono le capacità, lecompetenze e gli obiettivi che l’infermiere ha lapossibilità di poter perseguire, perché è il qua-dro giuridico a fornirgliela.In questa logica vorremmo che il SistemaSanitario potesse giovare anche di queste com-petenze. In Italia abbiamo un sistema prevalen-temente mediconcentrico e di conseguenzaanche ospedalocentrico, perché tutto ruotaattorno alle diverse discipline dei medici, cheper fortuna ci sono. Il problema è che non pos-siamo pensare che il sistema possa andareavanti ancora con queste impostazioni. Il fatto che si vada verso gli ospedali organizza-ti per complessità assistenziale e intensità dicure la dice lunga. Questa tendenza non nega laspecificità disciplinare, come il chirurgo, l’odon-toiatra, il neurochirurgo, ma delinea semplice-mente il fatto che i pazienti vanno assistiti inrelazione ai bisogni che presentano e alle rispo-ste che devono essere date dai professionisti,per soddisfare quei bisogni che sono conse-guenti alla patologia che hanno in atto. Non vale la pena incrementare ancora le tensio-ni su questi fatti, sarebbe più opportuno invecemettersi attorno ad un tavolo con la nuova pre-sidente della Federazione Nazionale dei CollegiIPASVI, Barbara Mangiacavalli, con la neo presi-dente dell’Ordine dei Medici, con le rappresen-tanze sindacali dei medici, dei medici di medici-na generale e del comparto, e discutere su

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come si possa lavorare in maniera integratainsieme. Non è più possibile che si chiamino gliuni e non si chiamino gli altri, che si dia rispostaagli uni e non si dia risposta agli altri, perchéquesto non regge nel nostro sistema. Questo è il quadro in cui ci stiamo muovendo inquesta fase storica, un quadro abbastanza dif-ficile, proprio perché si sono innescate, e nonriusciamo a disinnescare, queste tensioni tra leprofessioni. Non può essere che un pazienteche noi vogliamo approcciare in maniera olisti-ca trovi risposta ai suoi bisogni se medici edinfermieri in primis non si legano su un proget-to di cura ed assistenza.All’interno della Federazione si è ritenuto fossenecessario fare degli approfondimenti per darela possibilità agli infermieri di aprirsi all’esterno,di non parlare solamente all’interno del team,ma di mettersi a confronto, non solo con altrefigure professionali, ma anche con tutto il siste-ma. Si è pensato quindi di cercare di costruire,insieme a degli esperti che ci dessero degliorientamenti di tipo metodologico, quelli chepotrebbero essere i percorsi di evoluzione dellecompetenze sia in ambito gestionale sia inambito clinico – assistenziale (sperando che isindacati gli facciano anche diventare percorsidi evoluzione contrattuale).Per quanto riguarda l’ambito gestionale cisiamo rivolti alla scuola di direzione aziendalee, di regione in regione, sono stati chiamati tuttii consiglieri direttivi ed i presidenti dei collegiIPASVI, in modo che entrino nella logica di que-sta impostazione e possano poi dare a tutti gliiscritti questo orientamento. Altrettanto si vuole fare per quanto riguarda laparte clinica, con l’obiettivo di dire che ci sonoalcune posizioni gestionali, come quelle delcoordinamento infermieristico, che se rivolte adunità operative legate all’assistenza diretta,dove la parte prevalente di professionisti sonoinfermieri, la medesima posizione dovrà esserein mano agli infermieri.Nel momento in cui ci muoviamo lungo la filieradelle responsabilità gestionali, ne troviamoalcune più ampie, come il dipartimento, il

distretto, e più in alto ancora, il direttore dei ser-vizi e dell’assistenza o del servizio infermieristi-co, che fanno parte della direzione generaledell’Azienda. Quelle funzioni possono essere inmano agli infermieri. Si mira a che queste posizioni possano esserecontendibili in maniera ben strutturata a favoredegli infermieri, ma bisogna che gli infermieristessi siano preparati e competenti a questi ruoli. Muovendosi in questa direzione, è stato attiva-to in sede centrale della federazione un gruppodi lavoro, che sta ragionando sullo sviluppodelle competenze cliniche-assistenziali. Unosviluppo che andrà a toccare anche i percorsiformativi, pensando di poter avere dei masterfinalizzati e focalizzati sulle competenze cosìdette esperte.Si è poi pensato all’infermiere specialista clini-co, che sarà un laureato magistrale. La laureamagistrale non deve servire solamente a dirige-re, con pochissima possibilità di utilizzo per lafunzione, ma deve essere utilizzata anche perassistere in un certo modo nelle aree che ildocumento prevede per lo sviluppo delle com-petenze infermieristiche. Stiamo attraversando una “rivoluzione” delnostro sistema professionale. Vorremmo anda-re nella direzione di una gestione sempre piùpreparata, competente e che si allarghi nonsolo alla direzione del sistema professionale,ma anche a livelli intermedi, individuando dellesituazioni che sono borderline tra la gestione ela clinica. Questo senza alcuna volontà di sot-

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trarre niente a nessuno, anche perché solita-mente “dietro ad un grande primario c’è sem-pre una grande caposala”. È importante dunque cercare di ascoltarci, diorganizzare tutti insieme e ricostruire quel belrapporto che anni fa c’era tra medici ed infer-mieri, in parte dovuto anche al fatto che gliinfermieri non mettevano assolutamente indiscussione il parere medico. Adesso non è piùcosì, anche perché nel caso ci fosse una causain atto in tribunale, sono chiamati a processopure gli infermieri, oltre ai medici. In ogni caso, per evitare ciò, è fondamentalelavorare bene, con competenza, dandosiobiettivi, integrarsi, riconoscendoci reciprocan-te competenza, capacità e responsabilità. Laparte prevalente di noi è quella che vuole lavo-rare bene, che vuole vedere sbloccata la situa-zione economica.Sull’ultimo documento economico-finanziario

abbiamo sbloccato tutta la parte contrattuale perquanto riguarda i fondi ed i blocchi del turnover.Quasi tutte le regioni hanno superato il disavan-zo di bilancio, quindi si possono muovere in que-sta direzione. Nel 2016 dovremmo riuscire adandare al recupero del turnover al 100%. Purtroppo le cose vanno avanti lentamente,perché non tutti ancora hanno la piena consa-pevolezza che medici del SSN, infermieri e tuttele altre figure, sono dipendenti pubblici. Non èfacile far capire nelle sedi decisionali che quan-do si parla di dipendenti pubblici, di spesa pub-blica, si parla anche di medici ed infermieri. Bisogna dunque lavorare molto anche sull’in-formazione, capendo che non tutti sanno lasituazione in cui ci troviamo. Dobbiamo a talfine impegnarci tutti, con la consapevolezzache se il nostro SSN regge è perché i profes-sionisti che ci lavorano hanno continuato atenere duro.

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come si possa lavorare in maniera integratainsieme. Non è più possibile che si chiamino gliuni e non si chiamino gli altri, che si dia rispostaagli uni e non si dia risposta agli altri, perchéquesto non regge nel nostro sistema. Questo è il quadro in cui ci stiamo muovendo inquesta fase storica, un quadro abbastanza dif-ficile, proprio perché si sono innescate, e nonriusciamo a disinnescare, queste tensioni tra leprofessioni. Non può essere che un pazienteche noi vogliamo approcciare in maniera olisti-ca trovi risposta ai suoi bisogni se medici edinfermieri in primis non si legano su un proget-to di cura ed assistenza.All’interno della Federazione si è ritenuto fossenecessario fare degli approfondimenti per darela possibilità agli infermieri di aprirsi all’esterno,di non parlare solamente all’interno del team,ma di mettersi a confronto, non solo con altrefigure professionali, ma anche con tutto il siste-ma. Si è pensato quindi di cercare di costruire,insieme a degli esperti che ci dessero degliorientamenti di tipo metodologico, quelli chepotrebbero essere i percorsi di evoluzione dellecompetenze sia in ambito gestionale sia inambito clinico – assistenziale (sperando che isindacati gli facciano anche diventare percorsidi evoluzione contrattuale).Per quanto riguarda l’ambito gestionale cisiamo rivolti alla scuola di direzione aziendalee, di regione in regione, sono stati chiamati tuttii consiglieri direttivi ed i presidenti dei collegiIPASVI, in modo che entrino nella logica di que-sta impostazione e possano poi dare a tutti gliiscritti questo orientamento. Altrettanto si vuole fare per quanto riguarda laparte clinica, con l’obiettivo di dire che ci sonoalcune posizioni gestionali, come quelle delcoordinamento infermieristico, che se rivolte adunità operative legate all’assistenza diretta,dove la parte prevalente di professionisti sonoinfermieri, la medesima posizione dovrà esserein mano agli infermieri.Nel momento in cui ci muoviamo lungo la filieradelle responsabilità gestionali, ne troviamoalcune più ampie, come il dipartimento, il

distretto, e più in alto ancora, il direttore dei ser-vizi e dell’assistenza o del servizio infermieristi-co, che fanno parte della direzione generaledell’Azienda. Quelle funzioni possono essere inmano agli infermieri. Si mira a che queste posizioni possano esserecontendibili in maniera ben strutturata a favoredegli infermieri, ma bisogna che gli infermieristessi siano preparati e competenti a questi ruoli. Muovendosi in questa direzione, è stato attiva-to in sede centrale della federazione un gruppodi lavoro, che sta ragionando sullo sviluppodelle competenze cliniche-assistenziali. Unosviluppo che andrà a toccare anche i percorsiformativi, pensando di poter avere dei masterfinalizzati e focalizzati sulle competenze cosìdette esperte.Si è poi pensato all’infermiere specialista clini-co, che sarà un laureato magistrale. La laureamagistrale non deve servire solamente a dirige-re, con pochissima possibilità di utilizzo per lafunzione, ma deve essere utilizzata anche perassistere in un certo modo nelle aree che ildocumento prevede per lo sviluppo delle com-petenze infermieristiche. Stiamo attraversando una “rivoluzione” delnostro sistema professionale. Vorremmo anda-re nella direzione di una gestione sempre piùpreparata, competente e che si allarghi nonsolo alla direzione del sistema professionale,ma anche a livelli intermedi, individuando dellesituazioni che sono borderline tra la gestione ela clinica. Questo senza alcuna volontà di sot-

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trarre niente a nessuno, anche perché solita-mente “dietro ad un grande primario c’è sem-pre una grande caposala”. È importante dunque cercare di ascoltarci, diorganizzare tutti insieme e ricostruire quel belrapporto che anni fa c’era tra medici ed infer-mieri, in parte dovuto anche al fatto che gliinfermieri non mettevano assolutamente indiscussione il parere medico. Adesso non è piùcosì, anche perché nel caso ci fosse una causain atto in tribunale, sono chiamati a processopure gli infermieri, oltre ai medici. In ogni caso, per evitare ciò, è fondamentalelavorare bene, con competenza, dandosiobiettivi, integrarsi, riconoscendoci reciprocan-te competenza, capacità e responsabilità. Laparte prevalente di noi è quella che vuole lavo-rare bene, che vuole vedere sbloccata la situa-zione economica.Sull’ultimo documento economico-finanziario

abbiamo sbloccato tutta la parte contrattuale perquanto riguarda i fondi ed i blocchi del turnover.Quasi tutte le regioni hanno superato il disavan-zo di bilancio, quindi si possono muovere in que-sta direzione. Nel 2016 dovremmo riuscire adandare al recupero del turnover al 100%. Purtroppo le cose vanno avanti lentamente,perché non tutti ancora hanno la piena consa-pevolezza che medici del SSN, infermieri e tuttele altre figure, sono dipendenti pubblici. Non èfacile far capire nelle sedi decisionali che quan-do si parla di dipendenti pubblici, di spesa pub-blica, si parla anche di medici ed infermieri. Bisogna dunque lavorare molto anche sull’in-formazione, capendo che non tutti sanno lasituazione in cui ci troviamo. Dobbiamo a talfine impegnarci tutti, con la consapevolezzache se il nostro SSN regge è perché i profes-sionisti che ci lavorano hanno continuato atenere duro.

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Elisabetta Trinchero, professoressa di PublicManagement and Policy SDA Bocconi, è inter-venuta al convegno di maggio 2015 per rac-contare un progetto che l'ha impegnata per unpaio di anni. L'obiettivo era provare a collabo-rare con gli infermieri affinché costruissero unastrategia per posizionare la professione all’in-terno di un ambiente che, negli ultimi anni, hasubito numerosi cambiamenti. Vediamo checosa ha scoperto.

Dalla periferia al centro per un lavoro capillare

Gli infermieri, in Italia, sono complessivamente420.000, organizzati in modo da avere molta

autonomia in periferia. È stato fondamentaledunque fare un lavoro capillare che potesseguardare in tutte le realtà provinciali. Il progetto è stato organizzato in quattro fasi.Inizialmente il comitato centrale IPASVI ha con-diviso un primo disegno strategico, che poi èstato comunicato attraverso 23 incontri a più diduemila infermieri che, in tutta la Penisola,hanno apportato le loro idee in un momento diconfronto capillare. Da questa seconda fase ènata la terza, che ha visto degli incontri a livel-lo regionale per consolidare i suggerimenti rac-colti. Infine si è arrivati alla chiusura con undocumento di sintesi che è stato ripresentatoal comitato centrale a Roma durante ilCongresso Nazionale.Per quanto riguarda il metodo, è stato propo-

Come cambia l'infermiereL’esperta Elisabetta Trinchero ha presentato la progettualitàper un nuovo posizionamento della professione

LA RICERCA

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sto di partire dall’ambiente, un ambiente che siè modificato in questi ultimi anni per due que-stioni: il cambiamento del bisogno dell’utenzae la modifica delle risorse. Quando si parla delpaziente oggi, non ci si riferisce più a una presain carico legata alla patologia, all’acuzie, mabensì alla persona. Contestualmente ci si deveaspettare un incremento pari a zero di quelleche potranno essere le risorse per la sanità deiprossimi anni. Partendo dalla rilevanza dell’ambiente, abbia-mo provato a riflettere su quali potrebberoessere i punti di forza della professione infer-mieristica dai quali partire. Che cosa è che stacambiando? Da un lato cambiano gli approccie i saperi. Se è vero che non è più così impor-tante la risposta al singolo problema, è altret-tanto vero che questo deve essere ricollocatoentro la presa in carico della persona, quindi larisposta non potrà più essere legata ad unaspecialità unica ed univoca.

Dalle specialità a una visione olistico-sistemica

Fino ad oggi abbiamo avuto una sanità specia-listicocentrica, dove la risposta al bisogno erauna risposta di specialità. Oggi, sempre di più,la professione deve essere caratterizzata dauna visione olistico-sistemica. Di conseguenza,si va sempre più verso una risposta interprofes-sionale e multiprofessionale, con un approccioalla persona condiviso da più specialisti. Anche a livello di organizzazione vediamograndi mutamenti. Gli ospedali stanno andan-do verso approcci basati sull’intensità di curaassistenziale, ma al contempo stanno nascen-do anche dei servizi che mirano a soddisfare ilbisogno di continuità tra ospedale e territorio;nascono quindi le strutture di cura intermedie,dove si punta a potenziare tutto ciò che riguar-da la domiciliarità, la medicina di base e lagestione della cronicità. Ospedale rivoluzionato, cure intermedie, terri-

torio diverso. L’organizzazione risponde a que-sti bisogni mutati attraverso una profonda tra-sformazione delle strutture. Durante il progetto di studio abbiamo avuto lapossibilità di studiare tutti i piani sanitari regio-nali e provinciali d’Italia e molti piani aziendali.Da questi documenti emerge proprio una tra-sformazione dei setting di cura.

Infermieri: come responsabilizzarli per il bene del sistema?

La domanda focale quindi è: in questo conte-sto, gli infermieri dove possono e devono assu-mere maggiore responsabilità? Non tanto pergli infermieri stessi, ma per il bene del sistema.Nel sistema è fondamentale l’interlocuzione tratutti i soggetti che ne fanno parte, dalle impre-se, come ad esempio le aziende farmaceutiche,a coloro che forniscono i servizi all’interno delsistema sanitario, alle altre comunità professio-nali nelle Regioni e ovviamente alle aziendedove l’infermiere lavora, non solo di line maanche di staff, (l’ufficio qualità, il rischio clinico,la gestione del personale, l’ufficio formazione etutti quegli organismi che all’interno delle azien-de impattano sui percorsi assistenziali).L’aumento di responsabilità può avvenire sulinee differenti. Una linea verticale, che chiame-remo innalzamento, dove l’individuo assumemaggiori responsabilità nel suo contenuto pro-fessionale di appartenenza, come ad esempioil coordinatore infermieristico e il direttore delleprofessioni infermieristiche. In questa linea ver-ticale il soggetto diventa naturalmente gestoredi risorse omogenee. In alternativa è possibileaccrescere le proprie responsabilità approfon-dendo la dimensione di specialità, senzadiventare un gestore ma aumentando laresponsabilità specialistica.Esiste inoltre un’altra linea, denominata linea diallargamento, in parte manageriale e in parteprofessionale, che prevede l'ampliamento delperimetro delle responsabilità su altre famiglie

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Elisabetta Trinchero, professoressa di PublicManagement and Policy SDA Bocconi, è inter-venuta al convegno di maggio 2015 per rac-contare un progetto che l'ha impegnata per unpaio di anni. L'obiettivo era provare a collabo-rare con gli infermieri affinché costruissero unastrategia per posizionare la professione all’in-terno di un ambiente che, negli ultimi anni, hasubito numerosi cambiamenti. Vediamo checosa ha scoperto.

Dalla periferia al centro per un lavoro capillare

Gli infermieri, in Italia, sono complessivamente420.000, organizzati in modo da avere molta

autonomia in periferia. È stato fondamentaledunque fare un lavoro capillare che potesseguardare in tutte le realtà provinciali. Il progetto è stato organizzato in quattro fasi.Inizialmente il comitato centrale IPASVI ha con-diviso un primo disegno strategico, che poi èstato comunicato attraverso 23 incontri a più diduemila infermieri che, in tutta la Penisola,hanno apportato le loro idee in un momento diconfronto capillare. Da questa seconda fase ènata la terza, che ha visto degli incontri a livel-lo regionale per consolidare i suggerimenti rac-colti. Infine si è arrivati alla chiusura con undocumento di sintesi che è stato ripresentatoal comitato centrale a Roma durante ilCongresso Nazionale.Per quanto riguarda il metodo, è stato propo-

Come cambia l'infermiereL’esperta Elisabetta Trinchero ha presentato la progettualitàper un nuovo posizionamento della professione

LA RICERCA

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sto di partire dall’ambiente, un ambiente che siè modificato in questi ultimi anni per due que-stioni: il cambiamento del bisogno dell’utenzae la modifica delle risorse. Quando si parla delpaziente oggi, non ci si riferisce più a una presain carico legata alla patologia, all’acuzie, mabensì alla persona. Contestualmente ci si deveaspettare un incremento pari a zero di quelleche potranno essere le risorse per la sanità deiprossimi anni. Partendo dalla rilevanza dell’ambiente, abbia-mo provato a riflettere su quali potrebberoessere i punti di forza della professione infer-mieristica dai quali partire. Che cosa è che stacambiando? Da un lato cambiano gli approccie i saperi. Se è vero che non è più così impor-tante la risposta al singolo problema, è altret-tanto vero che questo deve essere ricollocatoentro la presa in carico della persona, quindi larisposta non potrà più essere legata ad unaspecialità unica ed univoca.

Dalle specialità a una visione olistico-sistemica

Fino ad oggi abbiamo avuto una sanità specia-listicocentrica, dove la risposta al bisogno erauna risposta di specialità. Oggi, sempre di più,la professione deve essere caratterizzata dauna visione olistico-sistemica. Di conseguenza,si va sempre più verso una risposta interprofes-sionale e multiprofessionale, con un approccioalla persona condiviso da più specialisti. Anche a livello di organizzazione vediamograndi mutamenti. Gli ospedali stanno andan-do verso approcci basati sull’intensità di curaassistenziale, ma al contempo stanno nascen-do anche dei servizi che mirano a soddisfare ilbisogno di continuità tra ospedale e territorio;nascono quindi le strutture di cura intermedie,dove si punta a potenziare tutto ciò che riguar-da la domiciliarità, la medicina di base e lagestione della cronicità. Ospedale rivoluzionato, cure intermedie, terri-

torio diverso. L’organizzazione risponde a que-sti bisogni mutati attraverso una profonda tra-sformazione delle strutture. Durante il progetto di studio abbiamo avuto lapossibilità di studiare tutti i piani sanitari regio-nali e provinciali d’Italia e molti piani aziendali.Da questi documenti emerge proprio una tra-sformazione dei setting di cura.

Infermieri: come responsabilizzarli per il bene del sistema?

La domanda focale quindi è: in questo conte-sto, gli infermieri dove possono e devono assu-mere maggiore responsabilità? Non tanto pergli infermieri stessi, ma per il bene del sistema.Nel sistema è fondamentale l’interlocuzione tratutti i soggetti che ne fanno parte, dalle impre-se, come ad esempio le aziende farmaceutiche,a coloro che forniscono i servizi all’interno delsistema sanitario, alle altre comunità professio-nali nelle Regioni e ovviamente alle aziendedove l’infermiere lavora, non solo di line maanche di staff, (l’ufficio qualità, il rischio clinico,la gestione del personale, l’ufficio formazione etutti quegli organismi che all’interno delle azien-de impattano sui percorsi assistenziali).L’aumento di responsabilità può avvenire sulinee differenti. Una linea verticale, che chiame-remo innalzamento, dove l’individuo assumemaggiori responsabilità nel suo contenuto pro-fessionale di appartenenza, come ad esempioil coordinatore infermieristico e il direttore delleprofessioni infermieristiche. In questa linea ver-ticale il soggetto diventa naturalmente gestoredi risorse omogenee. In alternativa è possibileaccrescere le proprie responsabilità approfon-dendo la dimensione di specialità, senzadiventare un gestore ma aumentando laresponsabilità specialistica.Esiste inoltre un’altra linea, denominata linea diallargamento, in parte manageriale e in parteprofessionale, che prevede l'ampliamento delperimetro delle responsabilità su altre famiglie

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professionali, dal responsabile dell’ufficio dirisk management al responsabile della qualitàe della gestione del personale, fino alla direzio-ne generale, alla direzione di distretto, alla dire-zione di dipartimento.Queste posizioni sono state classificate inbase a quelli che potevano essere gli strumen-ti e i contributi che gli infermieri possono dare.Ci sono ruoli che hanno una matrice professio-nale obbligata e altri che possono essere divisitra diverse famiglie professionali, perché nonsono legati intrinsecamente, ovvero per norma,a una professione dominante. Esistono, quindi, quelli che abbiamo definitocome ruoli contendibili, dove in alcuni casi gliinfermieri per definizione hanno un chiaro van-taggio competitivo, come il risk management,e altre posizioni dove possiamo pensare che ilsistema possa beneficiare di una presenzainfermieristica, perché il suo punto di vista puòdare una risposta più utile al sistema stesso.Il punto di vista non è quindi solo professionale,ma è in favore del sistema. Abbiamo tutti i ruoliche sono ad ampia caratterizzazione manage-riale, dove è presente un vincolo normativo chein alcuni casi può essere rimosso. A questo

punto però incontriamo un problema d’investi-mento, dove c’è un problema di possibilità e unproblema di potenzialità e in tal caso dobbiamolavorare sulle potenzialità, quindi sul sapere esul pensiero infermieristico che deve rafforzarsi. Gli infermieri hanno una grande capacità diricucire, connettere, coordinare, governareprocessi complessi. Queste sono le leve su cuilavorare, partendo dai punti di forza di cui oggiil sistema ha bisogno.

Le priorità dei Collegi,una sintesi dei pensieri

Dalla ricognizione a livello provinciale e regiona-le abbiamo raccolto una serie di priorità, checiascun Collegio ha esternato. Presi tutti i ver-bali a livello nazionale, ed inseriti in un program-ma atto a filtrare le parole maggiormente pre-senti, è stato creato un disegno che rappresen-ta tutto ciò che gli infermieri hanno detto (vediimmagine a pag. 18). Si tratta di parole cheriportano all’importanza dell’infermiere di esse-re in regione, di essere in ospedale, di esseresul territorio, di essere sull’università, di essere

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a contatto con il paziente, di farsi carico, diprendersi cura. Questo schema grafico ha resomolto bene il pensiero di quelle migliaia di pro-fessionisti incontrati. Scendendo più nel dettaglio, a livello nazionale èemerso che l’infermiere ha una grande capacitàd’influenza, e questo si è visto a livello di norma-tiva: i piani sanitari regionali e gli atti aziendali, difatto, richiamano il punto di vista e il pensierodell’infermiere. In molte realtà regionali ci sonodei richiami che sono stati orientati da una pre-senza infermieristica forte ed influente. A livello nazionale da un lato è presente unampia varietà di leggi e dall’altra, purtroppo, sievidenza una distanza tra ciò che dice e per-mette la legge e ciò che accade nella realtà.Questa è una nota dolente. Da un lato abbiamodei disegni normativi che danno ampia possibi-lità di responsabilità degli infermieri, dall’altroperò queste possibilità non vengono concretiz-zate. Se da una parte c’è qualcuno che, lottan-do per la professione e per il sistema, porta acasa dei risultati in termini di possibilità, dall’al-tra dobbiamo avere qualcuno che quelle possi-bilità le coglie. Purtroppo quando c’è stato daraccogliere delle esperienze concrete diresponsabilizzazione, non erano tante quantesi avrebbe voluto che fossero.

Visione centrale e personalizzazione periferica

È importante continuare con il disegno di unacornice e di una visione strategica unitaria,ricordandosi che però l’Italia è lunga, vasta ecapillarmente dispersa. Quindi c’è la necessitàdi una personalizzazione di questi messaggi alivello periferico.In poche parole, è essenziale una visione cen-trale e, contemporaneamente, una personaliz-zazione a livello periferico. Molto importante èanche che a livello periferico si mantenga e sirinforzi l’unitarietà, perché la spinta all’autono-mia può portare ad uno sfaldamento, ad un

impoverimento della professione stessa. A livello provinciale gli infermieri hanno eviden-ziato la necessità di rinforzare l’alleanza con laProvincia, con l’Università e con le altre profes-sioni, in particolare con quella medica. Risultamolto importante che ci sia un governo dellarappresentatività degli infermieri a livello pro-vinciale. Chi, per motivi più diversi, ha la possi-bilità di influenzare i piani alti del governo devefarlo in modo tale che il pensiero espresso siaquello della professione, non del singolo pro-fessionista. Si è evidenziata inoltre l’urgenza diriuscire a partecipare agli indirizzi per il riordinodella rete ospedaliera. A livello di Collegio si stanno già portandoavanti azioni volte, da un lato, al farsi caricodei problemi che emergono, cercando di dareuna risposta condivisa (nel caso specificol’istituzione di gruppi di lavoro), e dall’altra for-nire sostegno al lavoro del gruppo professio-nale dei coordinatori, perché oggi il ruolo chia-ve è proprio questo, una posizione che è vici-no all’infermiere ma anche ai bisogni delpaziente. È fondamentale supportarli in questo difficileruolo, schiacciato dal vertice e spinto dallabase. Nella regione Lombardia è stato analiz-zato un grande ospedale, in collaborazionecon tutti i professionisti sanitari che ruotanointorno alla persona assistita, e ciò che èemerso è che esiste una carenza di leader-ship, che bisogna quindi supportare. È sem-brato che il professionista fosse solo all’inter-no dell’organizzazione, motivato, più da unappartenenza professionale che da una lea-dership aziendale. Infine, per quanto riguarda lo sviluppo di politi-che di gestione del personale di supporto, èimportante che vengano chiariti i ruoli tra l’in-fermiere e il personale di supporto, affinché siriesca poi a innescare un coordinamento. Si saquanto sia difficile coordinare ciò che non èchiaro o non definito: perciò si ritiene utile chia-rire tutte queste aree grigie che, nella pratica,stanno nascendo in ambito ospedaliero, maancora di più nelle RSA e in ambito territoriale.

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professionali, dal responsabile dell’ufficio dirisk management al responsabile della qualitàe della gestione del personale, fino alla direzio-ne generale, alla direzione di distretto, alla dire-zione di dipartimento.Queste posizioni sono state classificate inbase a quelli che potevano essere gli strumen-ti e i contributi che gli infermieri possono dare.Ci sono ruoli che hanno una matrice professio-nale obbligata e altri che possono essere divisitra diverse famiglie professionali, perché nonsono legati intrinsecamente, ovvero per norma,a una professione dominante. Esistono, quindi, quelli che abbiamo definitocome ruoli contendibili, dove in alcuni casi gliinfermieri per definizione hanno un chiaro van-taggio competitivo, come il risk management,e altre posizioni dove possiamo pensare che ilsistema possa beneficiare di una presenzainfermieristica, perché il suo punto di vista puòdare una risposta più utile al sistema stesso.Il punto di vista non è quindi solo professionale,ma è in favore del sistema. Abbiamo tutti i ruoliche sono ad ampia caratterizzazione manage-riale, dove è presente un vincolo normativo chein alcuni casi può essere rimosso. A questo

punto però incontriamo un problema d’investi-mento, dove c’è un problema di possibilità e unproblema di potenzialità e in tal caso dobbiamolavorare sulle potenzialità, quindi sul sapere esul pensiero infermieristico che deve rafforzarsi. Gli infermieri hanno una grande capacità diricucire, connettere, coordinare, governareprocessi complessi. Queste sono le leve su cuilavorare, partendo dai punti di forza di cui oggiil sistema ha bisogno.

Le priorità dei Collegi,una sintesi dei pensieri

Dalla ricognizione a livello provinciale e regiona-le abbiamo raccolto una serie di priorità, checiascun Collegio ha esternato. Presi tutti i ver-bali a livello nazionale, ed inseriti in un program-ma atto a filtrare le parole maggiormente pre-senti, è stato creato un disegno che rappresen-ta tutto ciò che gli infermieri hanno detto (vediimmagine a pag. 18). Si tratta di parole cheriportano all’importanza dell’infermiere di esse-re in regione, di essere in ospedale, di esseresul territorio, di essere sull’università, di essere

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a contatto con il paziente, di farsi carico, diprendersi cura. Questo schema grafico ha resomolto bene il pensiero di quelle migliaia di pro-fessionisti incontrati. Scendendo più nel dettaglio, a livello nazionale èemerso che l’infermiere ha una grande capacitàd’influenza, e questo si è visto a livello di norma-tiva: i piani sanitari regionali e gli atti aziendali, difatto, richiamano il punto di vista e il pensierodell’infermiere. In molte realtà regionali ci sonodei richiami che sono stati orientati da una pre-senza infermieristica forte ed influente. A livello nazionale da un lato è presente unampia varietà di leggi e dall’altra, purtroppo, sievidenza una distanza tra ciò che dice e per-mette la legge e ciò che accade nella realtà.Questa è una nota dolente. Da un lato abbiamodei disegni normativi che danno ampia possibi-lità di responsabilità degli infermieri, dall’altroperò queste possibilità non vengono concretiz-zate. Se da una parte c’è qualcuno che, lottan-do per la professione e per il sistema, porta acasa dei risultati in termini di possibilità, dall’al-tra dobbiamo avere qualcuno che quelle possi-bilità le coglie. Purtroppo quando c’è stato daraccogliere delle esperienze concrete diresponsabilizzazione, non erano tante quantesi avrebbe voluto che fossero.

Visione centrale e personalizzazione periferica

È importante continuare con il disegno di unacornice e di una visione strategica unitaria,ricordandosi che però l’Italia è lunga, vasta ecapillarmente dispersa. Quindi c’è la necessitàdi una personalizzazione di questi messaggi alivello periferico.In poche parole, è essenziale una visione cen-trale e, contemporaneamente, una personaliz-zazione a livello periferico. Molto importante èanche che a livello periferico si mantenga e sirinforzi l’unitarietà, perché la spinta all’autono-mia può portare ad uno sfaldamento, ad un

impoverimento della professione stessa. A livello provinciale gli infermieri hanno eviden-ziato la necessità di rinforzare l’alleanza con laProvincia, con l’Università e con le altre profes-sioni, in particolare con quella medica. Risultamolto importante che ci sia un governo dellarappresentatività degli infermieri a livello pro-vinciale. Chi, per motivi più diversi, ha la possi-bilità di influenzare i piani alti del governo devefarlo in modo tale che il pensiero espresso siaquello della professione, non del singolo pro-fessionista. Si è evidenziata inoltre l’urgenza diriuscire a partecipare agli indirizzi per il riordinodella rete ospedaliera. A livello di Collegio si stanno già portandoavanti azioni volte, da un lato, al farsi caricodei problemi che emergono, cercando di dareuna risposta condivisa (nel caso specificol’istituzione di gruppi di lavoro), e dall’altra for-nire sostegno al lavoro del gruppo professio-nale dei coordinatori, perché oggi il ruolo chia-ve è proprio questo, una posizione che è vici-no all’infermiere ma anche ai bisogni delpaziente. È fondamentale supportarli in questo difficileruolo, schiacciato dal vertice e spinto dallabase. Nella regione Lombardia è stato analiz-zato un grande ospedale, in collaborazionecon tutti i professionisti sanitari che ruotanointorno alla persona assistita, e ciò che èemerso è che esiste una carenza di leader-ship, che bisogna quindi supportare. È sem-brato che il professionista fosse solo all’inter-no dell’organizzazione, motivato, più da unappartenenza professionale che da una lea-dership aziendale. Infine, per quanto riguarda lo sviluppo di politi-che di gestione del personale di supporto, èimportante che vengano chiariti i ruoli tra l’in-fermiere e il personale di supporto, affinché siriesca poi a innescare un coordinamento. Si saquanto sia difficile coordinare ciò che non èchiaro o non definito: perciò si ritiene utile chia-rire tutte queste aree grigie che, nella pratica,stanno nascendo in ambito ospedaliero, maancora di più nelle RSA e in ambito territoriale.

Page 22: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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Gli infermieri sono tanti, hanno storie diverse,percorsi professionali diversi. Condividonoperò una cosa: la passione per il loro lavoro,che si tratti della sala operatoria, dell'hospice,della casa di riposo o delle cure domiciliari. Al convegno di maggio undici professionistihanno avuto il coraggio di raccontarsi, di testi-moniare le loro vite lavorative. Dai racconti èuscito un mosaico composito di motivazioni,cambi di rotta, amicizie e senso di responsabi-lità. Pur nelle differenze, tutti hanno ammessoche quello dell'infermiere non è un'occupazio-ne come le altre, ma richiede grandissima sen-sibilità e dedizione.

Ecco le loro storie.

Lorenzo Clauser (cure domiciliari, Val di Sole)

Un viaggio spirituale per conoscerela persona nella sua totalità

Mi sono iscritto al Corso per infermiere generi-co nel 1975. Frequentando i vari reparti per iltirocinio, venni subito colpito dal lavoro svoltoin sala operatoria e, principalmente, dal comesiamo “fatti dentro” (dove non si vede).Dopo pochi anni mi iscrissi al Corso per In-fermieri Professionali di Trento con la fermaconvinzione di diventare ferrista e nel 1982entrai a far parte dell’equipe di Sala operatoria.Era bellissimo. Studiavo l’anatomia e la stru-mentistica e ciò mi entusiasmava. Imparai tuttoquello che si poteva ed arrivai ad avere la

prima sala, quella del primario.Ma, come è accaduto tante volte nella mia vita,raggiunto il culmine, arriva la voglia di cambiare.È così che mi trovai a lavorare in Val di Sole,piccola entità territoriale senza ospedale. Era il1990: da allora sono rimasto lì a collaborare eora mi attendono gli ultimi 14 mesi prima dicessare il mio rapporto con l’Azienda.Parlando di stimoli, dopo 7 anni passati a cono-scere l’anatomia e la fisicità umana, all'improv-viso, senza una ragione, mi sentii attratto sem-pre di più da un qualcosa che sta oltre, dacome siamo “fatti fuori” (dove si vede). In sala ho imparato tante cose: l’ordine (anchementale), l’autorità (rispettarla e pretenderla), laresponsabilità (diretta quasi istantanea), l’ab-negazione, la pazienza e l’organizzazione. Nelcomplesso, però, mi era venuto a mancarel’uomo nella sua totalità. Solo dopo capii perché avvenne quel cambia-mento e penso sia stato il passaggio piùimportante ma anche il più traumatico. Quandofinii gli studi, senza accorgermene, ero diventa-

Passione e sensibilitàUndici professionisti raccontano le loro vite lavorative,dalla sala operatoria, all'hospice, passando per il territorio e le rsa

LE STORIE

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to i miei libri, cioè mi ero perso come Uomo. Perdare la priorità a determinate cose necessariealla riuscita professionale, avevo dimenticato lamia componente spirituale. Solo oggi, ripercorrendo il passato, ho un'im-magine più chiara del perché di certi percorsi,di certi incontri, di certe casualità.Il parlare, il toccare, il sentire le emozioni e isentimenti, il provare sensazioni sottili e scopri-re che le persone (i pazienti), con i quali mi rela-zionavo quotidianamente, mi trasmettevanotutte qualcosa di speciale, costruì in me unbisogno che mi portò in giro per il mondo perconoscere questa componente umana.Sperimentai la medicina energetica, sciamanicae conobbi forme di etnomedicina, reiki, yoga,medicina esoterica, medicina ayurvedica cheguarivano. Fu un'esperienza sconvolgente chemi rovesciò come un calzino. Tutte le mie espe-rienze vennero messe in discussione e tantescomparvero, lasciandomi nudo. È chiaro che nella professione infermieristica nonera possibile praticare tutto quello che avevoimparato con i vari insegnanti, ma il semplicefatto di esserne consapevoli determinava situa-zioni positive. Talvolta il semplice accenno con ifamiliari del malato, rasserenava. Il tocco bastavaa demolire barriere erette solo per paura. Tutt’oggi mi sento di dire che il mondo spiritualeè la componente essenziale della vita e, perquanto riguarda la mia esperienza professionale,ogni pratica ne è pregna. Quando il professioni-sta impara a lavorare in questo modo può fareprodigi. La persona che ne ha bisogno lo sente. Penso che se non mi fossi trovato a fare l’infer-miere tutto questo non sarebbe mai successo.Penso che l’infermiere abbia una marcia in piùrispetto ad ogni altro professionista, perchégiovano la scienza e la conoscenza delle tecni-che, ma anche un’apertura a 360° che va cer-cata senza paura. Penso che, senza l’attenzio-ne a questa componente essenziale della per-sona, non si possa parlare di totale persa incarico.Penso che l’infermiere del futuro abbia davantiuna grande occasione da” non perdere”.

Annamaria Cappello (Medicina generale, Rovereto)

L'importanza di ogni esperienza per migliorare sé stessi

Sono infermiera da vent’anni e vengo dallaSicilia, dove ho frequentato la scuola. Sono arri-vata in Trentino come tanti giovani in cerca dilavoro, cercando di realizzare quel sogno cheera "fare l'infermiera", così come io lo im-maginavo.Mi sono integrata bene e nei primi anni ho fattovarie esperienze lavorative, sia in ambito chirurgi-co sia internistico, lavorando per qualche annoanche in Emilia Romagna. Sono poi ritornata inTrentino, dove avevo iniziato la mia esperienzalavorativa, in quanto qui mi sentivo maggiormen-te valorizzata dal punto di vista professionale.Da dodici anni lavoro in Medicina a Rovereto,nella sezione a medio-bassa intensità di cura,svolgo la mia attività di turnista a tempo pienoe sono ormai un'infermiera "esperta". Mi occu-po dell'assistenza del paziente, della cura esoprattutto di quello che è l'aspetto educativo,cercando, giorno dopo giorno, di mettere adisposizione dei pazienti e dei loro familiari lemie conoscenze. Il mio obiettivo è quello dimigliorare e facilitare quello che può essere la

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Gli infermieri sono tanti, hanno storie diverse,percorsi professionali diversi. Condividonoperò una cosa: la passione per il loro lavoro,che si tratti della sala operatoria, dell'hospice,della casa di riposo o delle cure domiciliari. Al convegno di maggio undici professionistihanno avuto il coraggio di raccontarsi, di testi-moniare le loro vite lavorative. Dai racconti èuscito un mosaico composito di motivazioni,cambi di rotta, amicizie e senso di responsabi-lità. Pur nelle differenze, tutti hanno ammessoche quello dell'infermiere non è un'occupazio-ne come le altre, ma richiede grandissima sen-sibilità e dedizione.

Ecco le loro storie.

Lorenzo Clauser (cure domiciliari, Val di Sole)

Un viaggio spirituale per conoscerela persona nella sua totalità

Mi sono iscritto al Corso per infermiere generi-co nel 1975. Frequentando i vari reparti per iltirocinio, venni subito colpito dal lavoro svoltoin sala operatoria e, principalmente, dal comesiamo “fatti dentro” (dove non si vede).Dopo pochi anni mi iscrissi al Corso per In-fermieri Professionali di Trento con la fermaconvinzione di diventare ferrista e nel 1982entrai a far parte dell’equipe di Sala operatoria.Era bellissimo. Studiavo l’anatomia e la stru-mentistica e ciò mi entusiasmava. Imparai tuttoquello che si poteva ed arrivai ad avere la

prima sala, quella del primario.Ma, come è accaduto tante volte nella mia vita,raggiunto il culmine, arriva la voglia di cambiare.È così che mi trovai a lavorare in Val di Sole,piccola entità territoriale senza ospedale. Era il1990: da allora sono rimasto lì a collaborare eora mi attendono gli ultimi 14 mesi prima dicessare il mio rapporto con l’Azienda.Parlando di stimoli, dopo 7 anni passati a cono-scere l’anatomia e la fisicità umana, all'improv-viso, senza una ragione, mi sentii attratto sem-pre di più da un qualcosa che sta oltre, dacome siamo “fatti fuori” (dove si vede). In sala ho imparato tante cose: l’ordine (anchementale), l’autorità (rispettarla e pretenderla), laresponsabilità (diretta quasi istantanea), l’ab-negazione, la pazienza e l’organizzazione. Nelcomplesso, però, mi era venuto a mancarel’uomo nella sua totalità. Solo dopo capii perché avvenne quel cambia-mento e penso sia stato il passaggio piùimportante ma anche il più traumatico. Quandofinii gli studi, senza accorgermene, ero diventa-

Passione e sensibilitàUndici professionisti raccontano le loro vite lavorative,dalla sala operatoria, all'hospice, passando per il territorio e le rsa

LE STORIE

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to i miei libri, cioè mi ero perso come Uomo. Perdare la priorità a determinate cose necessariealla riuscita professionale, avevo dimenticato lamia componente spirituale. Solo oggi, ripercorrendo il passato, ho un'im-magine più chiara del perché di certi percorsi,di certi incontri, di certe casualità.Il parlare, il toccare, il sentire le emozioni e isentimenti, il provare sensazioni sottili e scopri-re che le persone (i pazienti), con i quali mi rela-zionavo quotidianamente, mi trasmettevanotutte qualcosa di speciale, costruì in me unbisogno che mi portò in giro per il mondo perconoscere questa componente umana.Sperimentai la medicina energetica, sciamanicae conobbi forme di etnomedicina, reiki, yoga,medicina esoterica, medicina ayurvedica cheguarivano. Fu un'esperienza sconvolgente chemi rovesciò come un calzino. Tutte le mie espe-rienze vennero messe in discussione e tantescomparvero, lasciandomi nudo. È chiaro che nella professione infermieristica nonera possibile praticare tutto quello che avevoimparato con i vari insegnanti, ma il semplicefatto di esserne consapevoli determinava situa-zioni positive. Talvolta il semplice accenno con ifamiliari del malato, rasserenava. Il tocco bastavaa demolire barriere erette solo per paura. Tutt’oggi mi sento di dire che il mondo spiritualeè la componente essenziale della vita e, perquanto riguarda la mia esperienza professionale,ogni pratica ne è pregna. Quando il professioni-sta impara a lavorare in questo modo può fareprodigi. La persona che ne ha bisogno lo sente. Penso che se non mi fossi trovato a fare l’infer-miere tutto questo non sarebbe mai successo.Penso che l’infermiere abbia una marcia in piùrispetto ad ogni altro professionista, perchégiovano la scienza e la conoscenza delle tecni-che, ma anche un’apertura a 360° che va cer-cata senza paura. Penso che, senza l’attenzio-ne a questa componente essenziale della per-sona, non si possa parlare di totale persa incarico.Penso che l’infermiere del futuro abbia davantiuna grande occasione da” non perdere”.

Annamaria Cappello (Medicina generale, Rovereto)

L'importanza di ogni esperienza per migliorare sé stessi

Sono infermiera da vent’anni e vengo dallaSicilia, dove ho frequentato la scuola. Sono arri-vata in Trentino come tanti giovani in cerca dilavoro, cercando di realizzare quel sogno cheera "fare l'infermiera", così come io lo im-maginavo.Mi sono integrata bene e nei primi anni ho fattovarie esperienze lavorative, sia in ambito chirurgi-co sia internistico, lavorando per qualche annoanche in Emilia Romagna. Sono poi ritornata inTrentino, dove avevo iniziato la mia esperienzalavorativa, in quanto qui mi sentivo maggiormen-te valorizzata dal punto di vista professionale.Da dodici anni lavoro in Medicina a Rovereto,nella sezione a medio-bassa intensità di cura,svolgo la mia attività di turnista a tempo pienoe sono ormai un'infermiera "esperta". Mi occu-po dell'assistenza del paziente, della cura esoprattutto di quello che è l'aspetto educativo,cercando, giorno dopo giorno, di mettere adisposizione dei pazienti e dei loro familiari lemie conoscenze. Il mio obiettivo è quello dimigliorare e facilitare quello che può essere la

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gestione della malattia a domicilio.Seguo da parecchi anni anche gli studenti intirocinio, cercando di trasmettere loro, oltre aun modello lavorativo, anche un po' della miaesperienza.Cosa vorrei dire ai miei colleghi?Avete scelto una professione importante, diffi-cile e faticosa, che da però tante soddisfazioni.Amate questo lavoro, fate varie esperienze ecercate di cogliere il meglio da tutto ciò chefate. Mettete a disposizione degli altri la vostraprofessionalità.

Federica Luscia (Hospice, Mori)

Ogni persona ha la propria idea di benessere che va rispettata

Sono infermiera da 14 anni. Fin dal percorsoformativo, è stata la malattia cronica a cattura-re il mio interesse. Mi sento fortunata perché lamia carriera professionale mi ha permesso ditoccare con mano questo aspetto e di dare il

mio contributo. All’inizio ho lavorato in malattie infettive, poi inemodialisi, poi ancora in casa di riposo e oggiin hospice. Ho visto come le diverse realtàaffrontano il tema dell’inguaribilità e quindianche dell’accompagnamento del morente,tema a me molto caro, anche in seguito ad unpercorso di tirocinio avvenuto in hospice adAviano nel 2001.In questo mio percorso sento di aver appresol’importanza di saper ascoltare l’utente, poichéogni persona e per i più svariati motivi, ha unapropria idea di benessere e anche di come farei conti con una patologia non guaribile. Nelrispetto delle risorse e del tempo da divideretra gli utenti, è opportuno cogliere gli aspettipeculiari di ogni individuo, poiché a mio avvisosono il punto di partenza sul quale costruireinsieme il percorso assistenziale. Inoltre questacondivisione molto spesso porta l’utente asentirsi parte attiva del processo decisionale,aumentando così la sua fiducia nei confrontidella stessa equipe assistenziale.I ritorni che si possono avere da un simileapproccio sono innumerevoli, in quanto sem-pre più gli utenti esplicitano la necessità diessere ascoltati per quello che sono e nonessere visti per la patologia di cui sono affetti.Inoltre se si condividono le scelte con l’utente,la sua famiglia, l’intera équipe si possono divi-dere sia il successo sia anche il peso di even-tuali insuccessi, in modo da poterne far frontein gruppo e quindi poter crescere professional-mente.Altro aspetto importante è saper farsi ricono-scere dagli utenti come professionisti capaci dicogliere i loro bisogni; gli stessi utenti, spesso,anche se a soddisfare tali bisogni, ci ricono-scono lo sforzo di provarci.Riconosco, infine, le difficoltà oggettive di unsimile approccio, ma che a mio avviso vengo-no superate in termini di soddisfazione perso-nale che deriva innanzitutto dall’esserecoscienti di aver dato tutto quello che ci è pos-sibile, dai riconoscimenti da parte degli utenti edelle loro famiglie, dei colleghi, dei superiori.

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Annalisa Mattuzzi (Centro Antidiabetico, Rovereto)

La tenacia porta a grandi risultati

Mi chiamo Annalisa Mattuzzi e sono una infer-miera della vecchia guardia, lavoro in ospedaleda 39 anni; sono molti ma devo dire che non hoancora perso la voglia di fare e l’entusiasmoper il mio lavoro. Quando ho scelto questa pro-fessione l’ho fatto perché volevo rendermi utileverso le persone che avevano un bisogno equesta credo sia la mission che mi ha accom-pagnato nella mia carriera. In questi anni hosvolto il mio lavoro nel reparto di Neurologia,poi come tutor presso la Scuola Infermieri; da21 anni lavoro presso l’Ambulatorio diabetolo-gico dell’Ospedale di Rovereto. Quando ho iniziato a lavorare presso l’Ambu-latorio diabetologico ho dovuto confrontarmicon una nuova realtà operativa, molto diversadalla gestione del paziente ricoverato. Ho sen-tito il desiderio di approfondire i molti aspettilegati alla gestione della malattia diabetica ealla gestione nella complessità del pazienteportatore di una “malattia cronica”. Una complicanza che da sempre mi ha intriga-to è quella relativa alla cura del piede diabeti-co: in quegli anni l'argomento era ancora“tabu” ed erano pochi i centri in cui si affronta-va il problema del piede diabetico ulcerato,mentre tutto ruotava invece sulla prevenzionedelle complicanze relative a occhio, cuore,reni, cervello. Sin dai primi anni in ambulatorio mi sono senti-ta attratta e coinvolta verso questa tipologia dipaziente così ho iniziato un lungo percorso chefinalmente adesso dopo anni riesce a dare unarisposta concreta. Devo dire che ho sempreavuto il supporto di medici che hanno credutonelle mie possibilità e che mi hanno incoraggia-to ad andare avanti. Quando circa vent’anni faaprivo in maniera empirica un piccolo ambula-torio per la cura del piede non sapevo di aprirela porta ad un problema di grandi proporzioni;infatti, se la lesione di un piede viene sottovalu-tata o trascurata questa porta ad enormi handi-cap per il paziente e per la spesa sanitaria.

Ecco che allora ho iniziato a pensare all’ipote-si di creare un percorso strutturato che com-prendeva due momenti: l’aspetto legato allaprevenzione delle lesioni e quello, invece, dellaloro cura. Per quanto riguarda la prevenzionevenivano reclutati i pazienti che presentavanoun possibile rischio di andare incontro a lesionidel piede (si chiedeva quasi sempre che conloro fosse presente un familiare, amico, caregiver): a piccoli gruppi si forniva loro unmomento educativo correlato anche dal-l’aspetto pratico, insegnando loro l'importanzadella prevenzione. Questo mettersi in gioco deipazienti serviva a noi per far passare il concet-to di “prendersi cura dei propri piedi”. Con il passare degli anni abbiamo sentito lanecessità di fare un ulteriore passo avanti, con-sapevoli che il paziente complicato da unalesione del piede non deve preoccuparsi diprendere in prima persona i contatti con le figu-re di riferimento (quali chirurgo vascolare, orto-pedico, ecc.) ma il tutto deve essere garantitodal Team multidisciplinare, che abbiamo uffi-cializzato nel 2010, diventando i referenti per ilTrentino.Le figure che ruotano attorno al team sonomolteplici: diabetologo, infermiere esperto,chirurgo vascolare, ortopedico, tecnico ortope-dico, chirurgo plastico, infettivologo, microbio-logo, podologo radiologo, fisiatra, coordinatoredei reparti medici, geriatrici e di chirurgiavascolare. Ci si ritrova periodicamente tutti

Page 25: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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gestione della malattia a domicilio.Seguo da parecchi anni anche gli studenti intirocinio, cercando di trasmettere loro, oltre aun modello lavorativo, anche un po' della miaesperienza.Cosa vorrei dire ai miei colleghi?Avete scelto una professione importante, diffi-cile e faticosa, che da però tante soddisfazioni.Amate questo lavoro, fate varie esperienze ecercate di cogliere il meglio da tutto ciò chefate. Mettete a disposizione degli altri la vostraprofessionalità.

Federica Luscia (Hospice, Mori)

Ogni persona ha la propria idea di benessere che va rispettata

Sono infermiera da 14 anni. Fin dal percorsoformativo, è stata la malattia cronica a cattura-re il mio interesse. Mi sento fortunata perché lamia carriera professionale mi ha permesso ditoccare con mano questo aspetto e di dare il

mio contributo. All’inizio ho lavorato in malattie infettive, poi inemodialisi, poi ancora in casa di riposo e oggiin hospice. Ho visto come le diverse realtàaffrontano il tema dell’inguaribilità e quindianche dell’accompagnamento del morente,tema a me molto caro, anche in seguito ad unpercorso di tirocinio avvenuto in hospice adAviano nel 2001.In questo mio percorso sento di aver appresol’importanza di saper ascoltare l’utente, poichéogni persona e per i più svariati motivi, ha unapropria idea di benessere e anche di come farei conti con una patologia non guaribile. Nelrispetto delle risorse e del tempo da divideretra gli utenti, è opportuno cogliere gli aspettipeculiari di ogni individuo, poiché a mio avvisosono il punto di partenza sul quale costruireinsieme il percorso assistenziale. Inoltre questacondivisione molto spesso porta l’utente asentirsi parte attiva del processo decisionale,aumentando così la sua fiducia nei confrontidella stessa equipe assistenziale.I ritorni che si possono avere da un simileapproccio sono innumerevoli, in quanto sem-pre più gli utenti esplicitano la necessità diessere ascoltati per quello che sono e nonessere visti per la patologia di cui sono affetti.Inoltre se si condividono le scelte con l’utente,la sua famiglia, l’intera équipe si possono divi-dere sia il successo sia anche il peso di even-tuali insuccessi, in modo da poterne far frontein gruppo e quindi poter crescere professional-mente.Altro aspetto importante è saper farsi ricono-scere dagli utenti come professionisti capaci dicogliere i loro bisogni; gli stessi utenti, spesso,anche se a soddisfare tali bisogni, ci ricono-scono lo sforzo di provarci.Riconosco, infine, le difficoltà oggettive di unsimile approccio, ma che a mio avviso vengo-no superate in termini di soddisfazione perso-nale che deriva innanzitutto dall’esserecoscienti di aver dato tutto quello che ci è pos-sibile, dai riconoscimenti da parte degli utenti edelle loro famiglie, dei colleghi, dei superiori.

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Annalisa Mattuzzi (Centro Antidiabetico, Rovereto)

La tenacia porta a grandi risultati

Mi chiamo Annalisa Mattuzzi e sono una infer-miera della vecchia guardia, lavoro in ospedaleda 39 anni; sono molti ma devo dire che non hoancora perso la voglia di fare e l’entusiasmoper il mio lavoro. Quando ho scelto questa pro-fessione l’ho fatto perché volevo rendermi utileverso le persone che avevano un bisogno equesta credo sia la mission che mi ha accom-pagnato nella mia carriera. In questi anni hosvolto il mio lavoro nel reparto di Neurologia,poi come tutor presso la Scuola Infermieri; da21 anni lavoro presso l’Ambulatorio diabetolo-gico dell’Ospedale di Rovereto. Quando ho iniziato a lavorare presso l’Ambu-latorio diabetologico ho dovuto confrontarmicon una nuova realtà operativa, molto diversadalla gestione del paziente ricoverato. Ho sen-tito il desiderio di approfondire i molti aspettilegati alla gestione della malattia diabetica ealla gestione nella complessità del pazienteportatore di una “malattia cronica”. Una complicanza che da sempre mi ha intriga-to è quella relativa alla cura del piede diabeti-co: in quegli anni l'argomento era ancora“tabu” ed erano pochi i centri in cui si affronta-va il problema del piede diabetico ulcerato,mentre tutto ruotava invece sulla prevenzionedelle complicanze relative a occhio, cuore,reni, cervello. Sin dai primi anni in ambulatorio mi sono senti-ta attratta e coinvolta verso questa tipologia dipaziente così ho iniziato un lungo percorso chefinalmente adesso dopo anni riesce a dare unarisposta concreta. Devo dire che ho sempreavuto il supporto di medici che hanno credutonelle mie possibilità e che mi hanno incoraggia-to ad andare avanti. Quando circa vent’anni faaprivo in maniera empirica un piccolo ambula-torio per la cura del piede non sapevo di aprirela porta ad un problema di grandi proporzioni;infatti, se la lesione di un piede viene sottovalu-tata o trascurata questa porta ad enormi handi-cap per il paziente e per la spesa sanitaria.

Ecco che allora ho iniziato a pensare all’ipote-si di creare un percorso strutturato che com-prendeva due momenti: l’aspetto legato allaprevenzione delle lesioni e quello, invece, dellaloro cura. Per quanto riguarda la prevenzionevenivano reclutati i pazienti che presentavanoun possibile rischio di andare incontro a lesionidel piede (si chiedeva quasi sempre che conloro fosse presente un familiare, amico, caregiver): a piccoli gruppi si forniva loro unmomento educativo correlato anche dal-l’aspetto pratico, insegnando loro l'importanzadella prevenzione. Questo mettersi in gioco deipazienti serviva a noi per far passare il concet-to di “prendersi cura dei propri piedi”. Con il passare degli anni abbiamo sentito lanecessità di fare un ulteriore passo avanti, con-sapevoli che il paziente complicato da unalesione del piede non deve preoccuparsi diprendere in prima persona i contatti con le figu-re di riferimento (quali chirurgo vascolare, orto-pedico, ecc.) ma il tutto deve essere garantitodal Team multidisciplinare, che abbiamo uffi-cializzato nel 2010, diventando i referenti per ilTrentino.Le figure che ruotano attorno al team sonomolteplici: diabetologo, infermiere esperto,chirurgo vascolare, ortopedico, tecnico ortope-dico, chirurgo plastico, infettivologo, microbio-logo, podologo radiologo, fisiatra, coordinatoredei reparti medici, geriatrici e di chirurgiavascolare. Ci si ritrova periodicamente tutti

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assieme e assieme si prendono le decisionimigliori sulla discussione dei casi clinici; ven-gono pianificati gli interventi e viene program-mato il follow-up post dimissione. Questo per-mette di garantire la presa in carico del pazien-te nella sua globalità.In conclusione, voglio raccontare un simpaticoaneddoto che mi sento sempre raccontare dalmio direttore di unità operativa ogni volta chetengo una relazione sulla gestione del piede,sia a medici sia a colleghi infermieri, sia apazienti. Al termine della mia relazione, lui ripe-te sempre che il tutto è nato da un’infermierache il piede diabetico ce l’ha nel Dna. Per mecercare di salvare un piede è un obiettivo prio-ritario, sono convinta che a volte la battaglia èdura ma alla fine poter dire al paziente, tu cam-minerai ancora con le tue gambe, è una vittoriamolto grande e che ancora oggi ogni volta micommuove. Un infermiere se ha tenacia etanta passione, può creare grandi cose chepermetteranno al paziente di migliorare la suaqualità di vita.

Claudia Gallinaro (Anestesia S. Chiara, Trento)

Se su questo letto ci fosse mio papào mia mamma, cosa vorrei per loro?

Lavoro in Anestesia e Rianimazione da più di15 anni. Sono stata fortunata perché proprio inrianimazione volevo lavorare. Tuttavia, all'inizio,non è stato facile: non possedevo infatti tuttequelle conoscenze specifiche necessarie maero curiosa e così, fin da subito, ho studiatoper cercare di soddisfare questa mia fame diconoscenza fino a frequentare un Master diprimo livello in Infermieristica in Area Critica. Lamia tesi è stata un’indagine qualitativa di valu-tazione della nuova figura infermieristica chia-mata Team Leader Infermieristico introdotta inRianimazione, figura già presente in altre realtàinternazionali e che poi io ho svolto per 2 anni.Grazie ai risultati positivi sul miglioramentodella qualità dell’assistenza, della sicurezza e

della comunicazione interdisciplinare e con lafamiglia, ho potuto presentare questa figurainfermieristica di “coordinamento dell’assisten-za” a due convegni (Aniarti E Hph). Da molto tempo mi occupo anche di formazio-ne riguardo a tematiche specifiche (pazientineurochirurgici e urgenze/emergenze), non solorivolta a infermieri neoassunti ma anche a colle-ghi meno esperti sia del mio reparto sia di altri. Per tutti in Anestesia e Rianimazione sonoun’infermiera esperta. Ho competenze in ambi-to adulto e nell’ultimo periodo ne sto acquisen-do anche in ambito pediatrico: competenzeche, fortunatamente, ho potuto sviluppare inun ambiente di lavoro che stimola e ne favori-sce l’acquisizione, e dove le stesse vengonoriconosciute da coordinatori, colleghi e medici. Per le mie competenze, inoltre, sono statascelta per frequentare la neurochirurgia diMontpellier per l’apprendimento di una nuovaattività neurochirurgica (awake surgery). Daquesta esperienza abbiamo prodotto un docu-mento aziendale e realizzato una formazionespecifica per colleghi infermieri e medici cheintraprendono questo nuovo percorso.

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Scrivere queste parole, per me, è stato difficile eleggendola così potrebbe sembrare un sempliceelenco di titoli. Ogni giorno che passa, però,sono felice di essermi impegnata in manieracostante e di avere acquisito molte conoscenzeche poi riesco facilmente a mettere in pratica afavore dei miei pazienti e dei loro familiari.Quando lavoro penso sempre: se su quel letto inrianimazione o in sala operatoria ci fosse miopapà o mia mamma, cosa vorrei per loro?

Paolo Gretter (Libero Professionista SPES)

La forza del confronto tra colleghi per assorbire conoscenza

Il curriculum è lungo, ma solo perché sono 32anni che lavoro. Ho fatto i primi vent’anni comedipendente e gli altri come libero professioni-sta. In entrambi gli ambiti ho partecipato a deigruppi, come tutti noi, e ho avuto la possibilitàdi confrontarmi, ad esempio con il collegaClauser, che è stato il mio maestro in sala ope-ratoria e che con la sua curiosità di capire cosac’è dentro, la curiosità sull’anatomia, la tecnicachirurgica mi ha insegnato la differenza tra ilfare il “passaferri” e lo strumentista che vuoldire acquisire conoscenze e competenze. Il percorso è proseguito con la possibilità diaccedere all’attività didattica, alla formazione.Da tutti puoi imparare: ho imparato dai neolau-reati, per esempio sulla farmacologia, dellaquale so di essere un grandissimo ignorante,ma loro no. Il gioco è questo: cercare il con-fronto tra colleghi in modo da “rubarsi”, nelsenso positivo del termine, tutto il possibile,portare via esperienza e conoscenza, indipen-dentemente dall’età anagrafica. Sono stato molto fortunato professionalmente,anche nella libera professione, mi è stato offer-to un coordinamento, e adesso sto lavorandoin una struttura un po’ innovativa, una via dimezzo tra un albergo e una Rsa con una bassaassistenza infermieristica che però è ai limiticon una casa a gestione infermieristica perché

non c’è presenza medica e la presenza 24 oreè garantita solo dall’Oss mentre l’infermiere c’è7 ore al giorno. La varietà delle esperienze che ho fatto mi hapermesso di condividere, creare e lavorare ingruppo, sempre con persone disposte a farlo.Noi abbiamo potenzialità enormi, infinite.A Roma si discute di cose che facciamo giàtutti i giorni, sia con i medici - ce ne sono alcu-ni molto ben disposti - sia tra di noi. Per fortu-na la professione è più avanti rispetto a quelloche è la politica.La varietà dell’esperienza professionale ha uncomune denominatore: il rapporto con i colle-ghi e la forza del confronto tra colleghi. Credoche questo sia il filo conduttore di tutto il per-corso lavorativo e professionale e su questo mipiacerebbe attirare l’attenzione.In ogni contesto lavorativo è fondamentaleproporsi portando la propria esperienza e com-petenza, aprirsi alla possibilità di assorbireconoscenza e competenza dei colleghi.Indipendentemente dall’età anagrafica e pro-fessionale, sono certo di aver avuto la possibi-lità di apprendere sia da colleghi “anziani” siada neo-laureati.

Page 27: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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assieme e assieme si prendono le decisionimigliori sulla discussione dei casi clinici; ven-gono pianificati gli interventi e viene program-mato il follow-up post dimissione. Questo per-mette di garantire la presa in carico del pazien-te nella sua globalità.In conclusione, voglio raccontare un simpaticoaneddoto che mi sento sempre raccontare dalmio direttore di unità operativa ogni volta chetengo una relazione sulla gestione del piede,sia a medici sia a colleghi infermieri, sia apazienti. Al termine della mia relazione, lui ripe-te sempre che il tutto è nato da un’infermierache il piede diabetico ce l’ha nel Dna. Per mecercare di salvare un piede è un obiettivo prio-ritario, sono convinta che a volte la battaglia èdura ma alla fine poter dire al paziente, tu cam-minerai ancora con le tue gambe, è una vittoriamolto grande e che ancora oggi ogni volta micommuove. Un infermiere se ha tenacia etanta passione, può creare grandi cose chepermetteranno al paziente di migliorare la suaqualità di vita.

Claudia Gallinaro (Anestesia S. Chiara, Trento)

Se su questo letto ci fosse mio papào mia mamma, cosa vorrei per loro?

Lavoro in Anestesia e Rianimazione da più di15 anni. Sono stata fortunata perché proprio inrianimazione volevo lavorare. Tuttavia, all'inizio,non è stato facile: non possedevo infatti tuttequelle conoscenze specifiche necessarie maero curiosa e così, fin da subito, ho studiatoper cercare di soddisfare questa mia fame diconoscenza fino a frequentare un Master diprimo livello in Infermieristica in Area Critica. Lamia tesi è stata un’indagine qualitativa di valu-tazione della nuova figura infermieristica chia-mata Team Leader Infermieristico introdotta inRianimazione, figura già presente in altre realtàinternazionali e che poi io ho svolto per 2 anni.Grazie ai risultati positivi sul miglioramentodella qualità dell’assistenza, della sicurezza e

della comunicazione interdisciplinare e con lafamiglia, ho potuto presentare questa figurainfermieristica di “coordinamento dell’assisten-za” a due convegni (Aniarti E Hph). Da molto tempo mi occupo anche di formazio-ne riguardo a tematiche specifiche (pazientineurochirurgici e urgenze/emergenze), non solorivolta a infermieri neoassunti ma anche a colle-ghi meno esperti sia del mio reparto sia di altri. Per tutti in Anestesia e Rianimazione sonoun’infermiera esperta. Ho competenze in ambi-to adulto e nell’ultimo periodo ne sto acquisen-do anche in ambito pediatrico: competenzeche, fortunatamente, ho potuto sviluppare inun ambiente di lavoro che stimola e ne favori-sce l’acquisizione, e dove le stesse vengonoriconosciute da coordinatori, colleghi e medici. Per le mie competenze, inoltre, sono statascelta per frequentare la neurochirurgia diMontpellier per l’apprendimento di una nuovaattività neurochirurgica (awake surgery). Daquesta esperienza abbiamo prodotto un docu-mento aziendale e realizzato una formazionespecifica per colleghi infermieri e medici cheintraprendono questo nuovo percorso.

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Scrivere queste parole, per me, è stato difficile eleggendola così potrebbe sembrare un sempliceelenco di titoli. Ogni giorno che passa, però,sono felice di essermi impegnata in manieracostante e di avere acquisito molte conoscenzeche poi riesco facilmente a mettere in pratica afavore dei miei pazienti e dei loro familiari.Quando lavoro penso sempre: se su quel letto inrianimazione o in sala operatoria ci fosse miopapà o mia mamma, cosa vorrei per loro?

Paolo Gretter (Libero Professionista SPES)

La forza del confronto tra colleghi per assorbire conoscenza

Il curriculum è lungo, ma solo perché sono 32anni che lavoro. Ho fatto i primi vent’anni comedipendente e gli altri come libero professioni-sta. In entrambi gli ambiti ho partecipato a deigruppi, come tutti noi, e ho avuto la possibilitàdi confrontarmi, ad esempio con il collegaClauser, che è stato il mio maestro in sala ope-ratoria e che con la sua curiosità di capire cosac’è dentro, la curiosità sull’anatomia, la tecnicachirurgica mi ha insegnato la differenza tra ilfare il “passaferri” e lo strumentista che vuoldire acquisire conoscenze e competenze. Il percorso è proseguito con la possibilità diaccedere all’attività didattica, alla formazione.Da tutti puoi imparare: ho imparato dai neolau-reati, per esempio sulla farmacologia, dellaquale so di essere un grandissimo ignorante,ma loro no. Il gioco è questo: cercare il con-fronto tra colleghi in modo da “rubarsi”, nelsenso positivo del termine, tutto il possibile,portare via esperienza e conoscenza, indipen-dentemente dall’età anagrafica. Sono stato molto fortunato professionalmente,anche nella libera professione, mi è stato offer-to un coordinamento, e adesso sto lavorandoin una struttura un po’ innovativa, una via dimezzo tra un albergo e una Rsa con una bassaassistenza infermieristica che però è ai limiticon una casa a gestione infermieristica perché

non c’è presenza medica e la presenza 24 oreè garantita solo dall’Oss mentre l’infermiere c’è7 ore al giorno. La varietà delle esperienze che ho fatto mi hapermesso di condividere, creare e lavorare ingruppo, sempre con persone disposte a farlo.Noi abbiamo potenzialità enormi, infinite.A Roma si discute di cose che facciamo giàtutti i giorni, sia con i medici - ce ne sono alcu-ni molto ben disposti - sia tra di noi. Per fortu-na la professione è più avanti rispetto a quelloche è la politica.La varietà dell’esperienza professionale ha uncomune denominatore: il rapporto con i colle-ghi e la forza del confronto tra colleghi. Credoche questo sia il filo conduttore di tutto il per-corso lavorativo e professionale e su questo mipiacerebbe attirare l’attenzione.In ogni contesto lavorativo è fondamentaleproporsi portando la propria esperienza e com-petenza, aprirsi alla possibilità di assorbireconoscenza e competenza dei colleghi.Indipendentemente dall’età anagrafica e pro-fessionale, sono certo di aver avuto la possibi-lità di apprendere sia da colleghi “anziani” siada neo-laureati.

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Brigitte Plattner (Apsp “S. Spirito”, Pergine)

Il vero prendersi cura deve vederela persona nella sua totalità

Il mio nome è Brigitte Plattner, sono nata aBressanone e sono infermiera da vent’anni. Hoconsolidato le mie prime competenze di baseall'ospedale S. Maurizio di Bolzano. Ora lavoroda quindici anni presso l' APSP di Pergine equesti 15 anni mi hanno arricchita molto, siaprofessionalmente che umanamente. Tanti sono stati i cambiamenti ai quali ho assi-stito: l'aspetto principale è stato sicuramentel'aumento della complessità degli utenti, nonpiù solo esclusivamente anziani, ma anchepersone giovani in stato vegetativo o affetti dapatologie neurologiche degenerative, come adesempio la Sla.Contemporaneamente c'è stata una significati-va riduzione del personale infermieristico e disupporto. Una delle conseguenze di questatendenza, è stata il dover considerare sempredi più le priorità assistenziali e organizzare leattività in modo congruo. Nell'arco di una gior-nata sono poi molteplici le dinamiche chenascono all'interno di un nucleo che ci portanostrada facendo a dover ristabilire le priorità erivedere le attività di conseguenza. Fonda-mentale è poter contare su una buona collabo-razione tra le varie figure professionali; infattimediamente ogni infermiere presidia ed èresponsabile dell'assistenza di 40 ospiti.Un evento che già da subito è motivo di"scompenso" emotivo oltre che fisico, per glistessi utenti ma anche e soprattutto per i lorofamiliari, è l'ingresso, il ricovero in struttura. Civuole una grande sensibilità e direi anche com-petenze relazionali nel saper supportare inmodo costruttivo questo momento. Una voltasuperata la difficoltà iniziale nell'accettare lanuova situazione, è nostro compito creare ipresupposti affinché i nostri pazienti godano diun ambiente e di un tempo il più possibile sere-ni, dove possano sentirsi un po' come a casa. I nostri anziani sono spesso affetti da pluripa-

tologia e di conseguenza sono molto fragili,così come anche i nostri pazienti in stato vege-tativo-coma vigile presentano bisogni che nonriescono ad esprimere ed è solo grazie ad unabuona conoscenza e osservazione che possia-mo riconoscerli e soddisfarli. Molte volte hanno"solo" bisogno di sentirsi più vivi, utili, toccati,toccabili, di relazionarsi, non resi oggetto masoggetto. È stato anche riflettendo su questo,oltre che per un personale bisogno di dare unarisposta più completa ai bisogni dell'ammalato,che mi sono avvicinata al mondo delle curecomplementari.Cure che affiancano la medicina tradizionale enon si fermano alla malattia o sull'organo mala-to, ma a tutti gli effetti possono essere consi-derate cure della persona. Prendersi cura dellamalattia significa tener conto di un fenomenoche coinvolge corpo, mente e spirito.Ho frequentato una formazione specifica inriflessoterapia al piede, tocco massaggio etocco terapeutico, attualmente sto frequentan-do un Master Universitario di primo livello pres-so l'Universita di Siena in Medicine Comple-mentari e terapie integrate.Assieme a una collega, dal 2013, abbiamo

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organizzato all'interno della nostra struttura unpercorso di sensibilizzazione rivolto a tutto ilpersonale di assistenza e riabilitazione sull'im-portanza di mantenere vitali e attivi i sensi, fon-damentali per mantenere o ristabilire un equili-brio psico-fisico, attraverso stimolazioni olfatti-ve, gustative, musica e racconti, cura nei colo-ri e dell'ambiente e soprattutto l‘importanza deltatto. A distanza di due anni, da un questionario sot-toposto ai partecipanti, è emerso che questotipo di approccio ha modificato in modo signi-ficativo e positivo la relazione tra operatore epaziente, portando a un aumento del grado disoddisfazione del proprio operato da parte del-l'operatore.Credo che questo risultato sia significativo espero che possa rappresentare uno stimoloper continuare a lavorare e migliorare le nostrecompetenze anche in questa innovativa dire-zione. Il vero prendersi cura deve vedere lapersona nella sua totalità, unicità, quindi conuno sguardo olistico. Mi auguro davvero chequesto sia un piccolo passo di un camminoancora lungo, che ci porterà a riscoprire ilsenso profondo del lavoro d'aiuto e di assi-stenza, che è fatto di vicinanza alla persona, dicontatto fisico e umano, di interpretazione dibisogni e di risposte articolate, complementarie integrate.

Silvia Sartori (Cure Domiciliari, Rotaliana)

Nel mio lavoro quotidiano, il curaresi identifica con l’accompagnare

Essere infermiera per me significa prendere incarico il paziente con il suo contesto socio-familiare, condizione fondamentale e prepon-derante per poter definire degli obiettivi di salu-te e di cura condivisi. Ovviamente il cuore delmio lavoro è fare il modo che vengano raggiun-ti. Strumenti fondamentali sono: instaurare unarelazione di fiducia, conoscere la storia dellapersona, la mediazione con le altre figure coin-

volte nell’assistenza, saper contrattare e faredei compromessi, l’ascolto attivo, un buonaccertamento per una corretta analisi dei biso-gni inerenti tutte le aree della persona (fisico-psico-sociali), la capacità di prevedere possibi-li problematiche in modo da intercettarne pre-cocemente segni precursori. La prestazione èimportante e deve avvenire secondo la miglio-re evidenza scientifica. Essa però deve essereuno strumento del mio lavoro e non l’obiettivodella mia visita domiciliare.L’esperienza in cure palliative mi ha insegnatoa saper stare nella sofferenza, quindi in primisa fare i conti con la mia personale concezionedi vita-morte-cura. Ricordo con precisionealcune scene di una delle mie prime assisten-

ze, in cui la consapevolezza e la serenità di unasignora mi hanno fatto piangere al suo capez-zale, smascherando la mia paura e la mia fra-gilità di fronte al forte senso d’impotenza, maquel pianto e le sue parole mi hanno aiutatonello sviluppo professionale.Nel mio lavoro quotidiano, spesso il curare nons’identifica con il guarire quanto piuttosto conl’accompagnare nell’accettazione e nell’impa-rare a convivere con una malattia cronica, ac-compagnare in un percorso di terminalità.

Page 29: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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Brigitte Plattner (Apsp “S. Spirito”, Pergine)

Il vero prendersi cura deve vederela persona nella sua totalità

Il mio nome è Brigitte Plattner, sono nata aBressanone e sono infermiera da vent’anni. Hoconsolidato le mie prime competenze di baseall'ospedale S. Maurizio di Bolzano. Ora lavoroda quindici anni presso l' APSP di Pergine equesti 15 anni mi hanno arricchita molto, siaprofessionalmente che umanamente. Tanti sono stati i cambiamenti ai quali ho assi-stito: l'aspetto principale è stato sicuramentel'aumento della complessità degli utenti, nonpiù solo esclusivamente anziani, ma anchepersone giovani in stato vegetativo o affetti dapatologie neurologiche degenerative, come adesempio la Sla.Contemporaneamente c'è stata una significati-va riduzione del personale infermieristico e disupporto. Una delle conseguenze di questatendenza, è stata il dover considerare sempredi più le priorità assistenziali e organizzare leattività in modo congruo. Nell'arco di una gior-nata sono poi molteplici le dinamiche chenascono all'interno di un nucleo che ci portanostrada facendo a dover ristabilire le priorità erivedere le attività di conseguenza. Fonda-mentale è poter contare su una buona collabo-razione tra le varie figure professionali; infattimediamente ogni infermiere presidia ed èresponsabile dell'assistenza di 40 ospiti.Un evento che già da subito è motivo di"scompenso" emotivo oltre che fisico, per glistessi utenti ma anche e soprattutto per i lorofamiliari, è l'ingresso, il ricovero in struttura. Civuole una grande sensibilità e direi anche com-petenze relazionali nel saper supportare inmodo costruttivo questo momento. Una voltasuperata la difficoltà iniziale nell'accettare lanuova situazione, è nostro compito creare ipresupposti affinché i nostri pazienti godano diun ambiente e di un tempo il più possibile sere-ni, dove possano sentirsi un po' come a casa. I nostri anziani sono spesso affetti da pluripa-

tologia e di conseguenza sono molto fragili,così come anche i nostri pazienti in stato vege-tativo-coma vigile presentano bisogni che nonriescono ad esprimere ed è solo grazie ad unabuona conoscenza e osservazione che possia-mo riconoscerli e soddisfarli. Molte volte hanno"solo" bisogno di sentirsi più vivi, utili, toccati,toccabili, di relazionarsi, non resi oggetto masoggetto. È stato anche riflettendo su questo,oltre che per un personale bisogno di dare unarisposta più completa ai bisogni dell'ammalato,che mi sono avvicinata al mondo delle curecomplementari.Cure che affiancano la medicina tradizionale enon si fermano alla malattia o sull'organo mala-to, ma a tutti gli effetti possono essere consi-derate cure della persona. Prendersi cura dellamalattia significa tener conto di un fenomenoche coinvolge corpo, mente e spirito.Ho frequentato una formazione specifica inriflessoterapia al piede, tocco massaggio etocco terapeutico, attualmente sto frequentan-do un Master Universitario di primo livello pres-so l'Universita di Siena in Medicine Comple-mentari e terapie integrate.Assieme a una collega, dal 2013, abbiamo

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organizzato all'interno della nostra struttura unpercorso di sensibilizzazione rivolto a tutto ilpersonale di assistenza e riabilitazione sull'im-portanza di mantenere vitali e attivi i sensi, fon-damentali per mantenere o ristabilire un equili-brio psico-fisico, attraverso stimolazioni olfatti-ve, gustative, musica e racconti, cura nei colo-ri e dell'ambiente e soprattutto l‘importanza deltatto. A distanza di due anni, da un questionario sot-toposto ai partecipanti, è emerso che questotipo di approccio ha modificato in modo signi-ficativo e positivo la relazione tra operatore epaziente, portando a un aumento del grado disoddisfazione del proprio operato da parte del-l'operatore.Credo che questo risultato sia significativo espero che possa rappresentare uno stimoloper continuare a lavorare e migliorare le nostrecompetenze anche in questa innovativa dire-zione. Il vero prendersi cura deve vedere lapersona nella sua totalità, unicità, quindi conuno sguardo olistico. Mi auguro davvero chequesto sia un piccolo passo di un camminoancora lungo, che ci porterà a riscoprire ilsenso profondo del lavoro d'aiuto e di assi-stenza, che è fatto di vicinanza alla persona, dicontatto fisico e umano, di interpretazione dibisogni e di risposte articolate, complementarie integrate.

Silvia Sartori (Cure Domiciliari, Rotaliana)

Nel mio lavoro quotidiano, il curaresi identifica con l’accompagnare

Essere infermiera per me significa prendere incarico il paziente con il suo contesto socio-familiare, condizione fondamentale e prepon-derante per poter definire degli obiettivi di salu-te e di cura condivisi. Ovviamente il cuore delmio lavoro è fare il modo che vengano raggiun-ti. Strumenti fondamentali sono: instaurare unarelazione di fiducia, conoscere la storia dellapersona, la mediazione con le altre figure coin-

volte nell’assistenza, saper contrattare e faredei compromessi, l’ascolto attivo, un buonaccertamento per una corretta analisi dei biso-gni inerenti tutte le aree della persona (fisico-psico-sociali), la capacità di prevedere possibi-li problematiche in modo da intercettarne pre-cocemente segni precursori. La prestazione èimportante e deve avvenire secondo la miglio-re evidenza scientifica. Essa però deve essereuno strumento del mio lavoro e non l’obiettivodella mia visita domiciliare.L’esperienza in cure palliative mi ha insegnatoa saper stare nella sofferenza, quindi in primisa fare i conti con la mia personale concezionedi vita-morte-cura. Ricordo con precisionealcune scene di una delle mie prime assisten-

ze, in cui la consapevolezza e la serenità di unasignora mi hanno fatto piangere al suo capez-zale, smascherando la mia paura e la mia fra-gilità di fronte al forte senso d’impotenza, maquel pianto e le sue parole mi hanno aiutatonello sviluppo professionale.Nel mio lavoro quotidiano, spesso il curare nons’identifica con il guarire quanto piuttosto conl’accompagnare nell’accettazione e nell’impa-rare a convivere con una malattia cronica, ac-compagnare in un percorso di terminalità.

Page 30: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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Quelli che considero gli aspetti di sviluppo e disfida come infermiera inserita nell’ambito dellecure primarie sono l’autocura e lo sviluppo diuna medicina proattiva. L’educazione occupaun ruolo privilegiato all’interno del mio lavoro,anche se non in maniera strutturata.

Agata Ferrara (Hospice, Trento)

C’è più vita in hospice di quanto si possa immaginare

Il mio percorso professionale come infermierae nello specifico in cure palliative, matura dopouna precedente esperienza di studio in ambitoumanistico. Ho dedicato con piacere ed entu-siasmo i miei primi studi universitari alle scien-ze umanistiche, alla storia dell’arte e di conse-guenza alla cultura. In sintesi mi verrebbe da dire che il mio interes-se verso l’uomo e verso ciò che ha da dire e loemoziona è stato da sempre un punto fermo. Aciò, laddove potevo, affiancavo attività divolontariato per soddisfare un ideale per meimportante e che dà più senso e valore al miomodo di vivere la quotidianità: la relazioned’aiuto. La scelta di intraprendere la professione infer-mieristica nasce da questo presupposto:conoscere e condividere le emozioni, le cultu-re, l’animo umano e completarlo con le compe-tenze infermieristiche che mi consentono dipoter essere d’aiuto verso chi è in condizioni dimalattia e fragilità. Non importa l’organo, l’apparato colpito e seesso guarirà o meno, il prendermi cura conattenzione e competenza è il mio obiettivoprincipale e mi dà soddisfazione in quanto tale.Tanti mi chiedono, colleghi e non, come faccioa lavorare lì a stretto contatto con la morte –nessuno guarisce, tutti lo stesso destino... -quotidianamente. Io rispondo che c’è più vita in hospice di quan-to possano immaginare e che in quello spazioc’è sì un tempo di vita contratto, limitato, ma è

uno spazio d’incontro con persone, moltointenso, tra persone uniche che, sia pur mala-te, hanno tanto da dire, da condividere e daimparare. Vanno al nocciolo dei significati e diquello che è importante per loro, apprezzanociò che comunemente definiamo “le piccolecose”. Se ci fermassimo ad accettare che, nonostantel’inevitabile sofferenza che ci provoca il distac-co (è un dato di fatto che l’essere umano muoree che dunque la morte è parte della vita) forsesaremmo più facilitati a stare accanto a chi haun tempo contratto, limitato e aiutarlo a “vive-re”, inteso come assecondare ciò che è impor-tante per lui per sentirsi in sintonia con il mondoesterno; piccole cose di un quotidiano trascor-rere insieme che, accanto al monitoraggio clini-co e alla gestione e al controllo dei sintomi,fanno qualità di vita. Non dev’essere, insomma,solo un aspettare la morte; e non sono parole,o retorica, è un’esperienza quotidiana. Ciò che mi soddisfa del mio lavoro è la possi-bilità e lo stimolo continuo a dover tessere inmaniera olistica la rete di protezione per stareaccanto al paziente. La sua qualità di vita resi-dua dipende da più ambiti di competenza, tuttiimportanti allo stesso modo: competenza tec-nica, manageriale e comunicativo/relazionale,

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tutti fondamentali allo stesso livello. L’assi-stenza infermieristica in CP abbraccia tutta lafamiglia, il nostro occhio si muove per far sì chelo stesso processo di lutto, l’accompagnamen-to, tuteli la dignità di chi muore e lasci memo-ria in chi resta, di un distacco fisicamentemeno doloroso possibile. Se penso al feedback dei pazienti o degli stes-si familiari incontrati in questi anni, ciò che riaf-fiora costantemente è il bisogno di non sentirsisoli, di ricevere umana attenzione, ascolto esicurezza attraverso le conoscenze clinicheche possano tutelarli. Ciò che li sorprende sempre in bene e che nonsi aspettano sono i gesti di attenzione, chefanno percepire che li stai considerando nellaloro unicità e non solo parte di un processosanitario. Ecco, quando indosso la mia divisa desideropoter essere questo, certa che attraverso ilconfronto, la formazione e l’autoriflessione ointrospezione possa esserci un continuomiglioramento.

Cinzia Spagolla (Medicina, Trento)

Il rapporto con i pazienti coinvolge anche tutta la famiglia

Quando 21 anni fa ho iniziato a lavorare inMedicina pensavo di fermarmi in quel repartosolo qualche anno per farmi un po’ di esperien-za e poi cambiare, invece mi trovo ancora a lì, esono contenta. Certamente, in tutto questo tempo, ho acquisi-to un bel po’ di esperienza sia in ambito medi-co sia pneumologico, visto che in questo miopercorso mi sono trovata a lavorare in questoreparto, inglobato per circa 15 anni in quello dimedicina; oltre alle competenze puramenteinfermieristiche o specifiche pneumologiche, ilmio bagaglio di conoscenze si è arricchitoanche di un Master in “Competenze tutorialinella formazione degli operatori della salute”,che mi era stato proposto dal polo universitario.

Questo Master mi è servito molto perché misono stati affiancati numerosi studenti di infer-mieristica, colleghi neo assunti e colleghi stra-nieri che dovevano fare un percorso di inseri-mento nell’ambito lavorativo italiano.L’esperienza di affiancamento mi è stata e mi èmolto di aiuto; anche se richiede molto piùtempo, dispendio di energie, molta pazienza e efatica, mi fa imparare tantissime cose nuove.Dagli studenti imparo sempre le ultime novità inambito infermieristico e questo mi stimola adaggiornarmi (ad esempio la tecnica a “z” per lapuntura intramuscolare), dai colleghi neoassunti imparo l’entusiasmo e la voglia di lavo-rare che spesso ha un giovane all’inizio dellasua carriera lavorativa. Una cosa che comunque ho imparato durantetutti gli affiancamenti è che ci vuole, oltre allapazienza, tanta umiltà e il richiamo alle ragioniper cui si agisce in un certo modo anziché in unaltro, perché spesso emerge il “lo so già” o “siè sempre fatto così”, ma questo atteggiamen-to non ci permette di crescere sia professional-

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Quelli che considero gli aspetti di sviluppo e disfida come infermiera inserita nell’ambito dellecure primarie sono l’autocura e lo sviluppo diuna medicina proattiva. L’educazione occupaun ruolo privilegiato all’interno del mio lavoro,anche se non in maniera strutturata.

Agata Ferrara (Hospice, Trento)

C’è più vita in hospice di quanto si possa immaginare

Il mio percorso professionale come infermierae nello specifico in cure palliative, matura dopouna precedente esperienza di studio in ambitoumanistico. Ho dedicato con piacere ed entu-siasmo i miei primi studi universitari alle scien-ze umanistiche, alla storia dell’arte e di conse-guenza alla cultura. In sintesi mi verrebbe da dire che il mio interes-se verso l’uomo e verso ciò che ha da dire e loemoziona è stato da sempre un punto fermo. Aciò, laddove potevo, affiancavo attività divolontariato per soddisfare un ideale per meimportante e che dà più senso e valore al miomodo di vivere la quotidianità: la relazioned’aiuto. La scelta di intraprendere la professione infer-mieristica nasce da questo presupposto:conoscere e condividere le emozioni, le cultu-re, l’animo umano e completarlo con le compe-tenze infermieristiche che mi consentono dipoter essere d’aiuto verso chi è in condizioni dimalattia e fragilità. Non importa l’organo, l’apparato colpito e seesso guarirà o meno, il prendermi cura conattenzione e competenza è il mio obiettivoprincipale e mi dà soddisfazione in quanto tale.Tanti mi chiedono, colleghi e non, come faccioa lavorare lì a stretto contatto con la morte –nessuno guarisce, tutti lo stesso destino... -quotidianamente. Io rispondo che c’è più vita in hospice di quan-to possano immaginare e che in quello spazioc’è sì un tempo di vita contratto, limitato, ma è

uno spazio d’incontro con persone, moltointenso, tra persone uniche che, sia pur mala-te, hanno tanto da dire, da condividere e daimparare. Vanno al nocciolo dei significati e diquello che è importante per loro, apprezzanociò che comunemente definiamo “le piccolecose”. Se ci fermassimo ad accettare che, nonostantel’inevitabile sofferenza che ci provoca il distac-co (è un dato di fatto che l’essere umano muoree che dunque la morte è parte della vita) forsesaremmo più facilitati a stare accanto a chi haun tempo contratto, limitato e aiutarlo a “vive-re”, inteso come assecondare ciò che è impor-tante per lui per sentirsi in sintonia con il mondoesterno; piccole cose di un quotidiano trascor-rere insieme che, accanto al monitoraggio clini-co e alla gestione e al controllo dei sintomi,fanno qualità di vita. Non dev’essere, insomma,solo un aspettare la morte; e non sono parole,o retorica, è un’esperienza quotidiana. Ciò che mi soddisfa del mio lavoro è la possi-bilità e lo stimolo continuo a dover tessere inmaniera olistica la rete di protezione per stareaccanto al paziente. La sua qualità di vita resi-dua dipende da più ambiti di competenza, tuttiimportanti allo stesso modo: competenza tec-nica, manageriale e comunicativo/relazionale,

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tutti fondamentali allo stesso livello. L’assi-stenza infermieristica in CP abbraccia tutta lafamiglia, il nostro occhio si muove per far sì chelo stesso processo di lutto, l’accompagnamen-to, tuteli la dignità di chi muore e lasci memo-ria in chi resta, di un distacco fisicamentemeno doloroso possibile. Se penso al feedback dei pazienti o degli stes-si familiari incontrati in questi anni, ciò che riaf-fiora costantemente è il bisogno di non sentirsisoli, di ricevere umana attenzione, ascolto esicurezza attraverso le conoscenze clinicheche possano tutelarli. Ciò che li sorprende sempre in bene e che nonsi aspettano sono i gesti di attenzione, chefanno percepire che li stai considerando nellaloro unicità e non solo parte di un processosanitario. Ecco, quando indosso la mia divisa desideropoter essere questo, certa che attraverso ilconfronto, la formazione e l’autoriflessione ointrospezione possa esserci un continuomiglioramento.

Cinzia Spagolla (Medicina, Trento)

Il rapporto con i pazienti coinvolge anche tutta la famiglia

Quando 21 anni fa ho iniziato a lavorare inMedicina pensavo di fermarmi in quel repartosolo qualche anno per farmi un po’ di esperien-za e poi cambiare, invece mi trovo ancora a lì, esono contenta. Certamente, in tutto questo tempo, ho acquisi-to un bel po’ di esperienza sia in ambito medi-co sia pneumologico, visto che in questo miopercorso mi sono trovata a lavorare in questoreparto, inglobato per circa 15 anni in quello dimedicina; oltre alle competenze puramenteinfermieristiche o specifiche pneumologiche, ilmio bagaglio di conoscenze si è arricchitoanche di un Master in “Competenze tutorialinella formazione degli operatori della salute”,che mi era stato proposto dal polo universitario.

Questo Master mi è servito molto perché misono stati affiancati numerosi studenti di infer-mieristica, colleghi neo assunti e colleghi stra-nieri che dovevano fare un percorso di inseri-mento nell’ambito lavorativo italiano.L’esperienza di affiancamento mi è stata e mi èmolto di aiuto; anche se richiede molto piùtempo, dispendio di energie, molta pazienza e efatica, mi fa imparare tantissime cose nuove.Dagli studenti imparo sempre le ultime novità inambito infermieristico e questo mi stimola adaggiornarmi (ad esempio la tecnica a “z” per lapuntura intramuscolare), dai colleghi neoassunti imparo l’entusiasmo e la voglia di lavo-rare che spesso ha un giovane all’inizio dellasua carriera lavorativa. Una cosa che comunque ho imparato durantetutti gli affiancamenti è che ci vuole, oltre allapazienza, tanta umiltà e il richiamo alle ragioniper cui si agisce in un certo modo anziché in unaltro, perché spesso emerge il “lo so già” o “siè sempre fatto così”, ma questo atteggiamen-to non ci permette di crescere sia professional-

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mente sia umanamente; mi accorgo quindi cheda ogni esperienza di affiancamento io ne escosempre arricchita. Altre esperienze che mifanno crescere sono tutte le volte che sostitui-sco la figura del caposala del mio reparto, per-ché vedo delle cose che stando solo dallaparte degli infermieri non riesco a vedere o acapire, come ad esempio il rapporto con il pri-mario, con i medici, o con la direzione.Durante questi anni di lavoro ho imparato chenella vita c’è sempre bisogno di un “maestro”che ti dice “dove guardare”, “cosa guardare” eper me questi “maestri” sono stati tanti colle-ghi, i caposala con cui ho lavorato, i medici eanche i pazienti/parenti che ho assistito, per-ché tante volte, da come loro vivono l’espe-rienza della malattia, io ho imparato ad apprez-zare tante semplici cose nella vita che magarinon avrei capito. Una cosa bella che ho sperimentato in questianni è che, tante volte, nel rapporto con ipazienti non ci si ferma solo a fare la tecnicagiusta, la terapia giusta, ma si instaura un rap-porto che coinvolge anche tutta la famiglia; adesempio mi sono ritrovata più volte ad andareal funerale di un paziente che mi aveva “presoumanamente” al lavoro.Concludo, esprimendo la mia felicità di essereinfermiera: se dovessi tornare indietro rifareisenza dubbio la scelta che ho fatto tanti annifa, senza escludere niente perché tutto mi èservito e mi serve, anche gli errori dai quali, sevuoi, impari molto.

Carlo Tenni (Infermiere e coordinatore in pensione)

Anche noi siamo umani e qualche volta costruiamo i nostri muri

Ci sarebbe da scrivere un libro sulla mia espe-rienza. Parto da un breve percorso, perché è daquesto che nascono le riflessioni e i temi. Nonso se sono diventato infermiere perché quandoero piccolo sono rimasto sei mesi ricoveratoall’ex ospedalino o i nove anni alle Camilliane.

Fatto sta che a 17 anni non sentivo la vocazio-ne e sono andato a fare il cameriere. Un giornosono andato all’ospedale vecchio per chiederedi fare l’infermiere; cercavano personale, ma inquegli anni gli uomini non potevano farlo, alloranel ’70 sono andato a Roma a manifestare con-tro il collegio e il ministero. Nel ’71 sono andato a fare il militare e nel ’72-’73 mi sono iscritto alla scuola infermieri. Finitala scuola, avevo 22 anni, il sogno era la rianima-zione. Mi ci sono buttato a capofitto, nella tec-nica, nella precisione e sono stati anni bellissi-mi. Poi c’è un evento, la morte di un amico, unpaesano, che mi ha mandato in crisi e non sonopiù riuscito ad affrontare le morti naturali. Da lì ho deciso di spostarmi, possibilmente inun reparto dove la gente moriva di meno equindi sono passato in psichiatria. In queglianni chiudevano i manicomi e avevano apertoil reparto in ospedale e io ero lì, chiuso a chia-ve a fare il coordinatore. I primi sei mesi sonostati un po’ un inferno, non ero visto moltobene dagli ex ispettori di Pergine che nonerano abituati ad avere un caposala. Ricordo che mi mandavano nelle stanze deipazienti più difficili, come il signor Fabio chequando si muoveva nella stanza scaraventavatutto; ricordo che ero da solo in stanza con lui ela prima cosa che mi è venuta in mente di dirgliè stata che gli mancavano i calzini, e lui si è fer-mato. Mi è venuta l’intuizione di riportare l’atten-zione a un suo bisogno e questo lo ha calmato.Li si è arricchita la mia competenza, perché hoconosciuto non solo infermieri, ma anche edu-catori professionali, assistenti sociali.

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Sono stati aperti i primi centri diurni, è aumen-tata la sensibilità sul territorio, le famose“Parole ritrovate” sono nate in quegli anniquando con De Stefani ero caposala in quel-l’ambito. Trascorsi 10 anni ho voluto tentare anche il set-tore manageriale, ho provato a fare il direttoredi struttura, ma non sono portato per l’ambitodirigenziale e dopo sei mesi di tortura, dovesono andato in conflitto con la dirigenza, sonotornato a fare l’infermiere. Perché io ho sempre fatto il caposala, maanche l’infermiere. Ho sempre avuto la fortunadi lavorare con giovani risorse. Dopo l’espe-rienza, che non è andata bene, della casa diriposo, l’Azienda mi ha proposto di aprire il ser-vizio cure palliative con altri giovani infermieriappena laureati che poi si sono lanciati nellaprofessione. Con loro ho costruito quella partedi coordinamento dove il ruolo del coordinato-re è di far sì che i suoi infermieri non si esauri-scano, che non vadano in burn out. Perchéoggi c’è da dire che sì, i pazienti a volte sonoun po’ rompiscatole, ma il confronto con lamalattia, il dolore, la sofferenza ci mette allaprova e anche noi siamo umani e qualche voltacostruiamo i nostri muri. Ma come fare? C’è chi si butta nella compe-

tenza (anch’io ho fatto così nei primi anni), peròforse è più importante che ognuno guardi in séstesso e capisca ciò che è la sua caratteristica,il suo intimo, il suo DNA: perché è su quelloche si lavora, ci si interroga sul senso e il per-ché e lo si confronta con i colleghi. Quindi illavoro del coordinatore è di proteggere unclima il più possibile sereno, il creare le giustecondizioni organizzative e permettere agli infer-mieri di lavorare. Prendersi cura dell’altro vuoldire prendersi cura di sé stessi, creare la nostraumanità in quella dimensione spirituale chepermette di aprirci. Il ruolo dell’infermiere èbello, non bisogna chiudersi. Adesso sono in pensione e questo mi ha per-messo di capire un nuovo aspetto della profes-sione, cioè l’infermiere responsabile verso lasocietà, attraverso un ruolo di informazione edi cultura. Faccio il volontario in una fondazio-ne hospice, sono nella consulta provincialedelle associazioni di volontariato e lì cerco diportare la mia competenza professionale, per-ché su questi temi si potrebbe creare un con-fronto e uno sviluppo per far crescere la socie-tà. Perché la salute è di tutti, la salute è del cit-tadino, non nostra. Il nostro ruolo è quello didargli questa consapevolezza.

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mente sia umanamente; mi accorgo quindi cheda ogni esperienza di affiancamento io ne escosempre arricchita. Altre esperienze che mifanno crescere sono tutte le volte che sostitui-sco la figura del caposala del mio reparto, per-ché vedo delle cose che stando solo dallaparte degli infermieri non riesco a vedere o acapire, come ad esempio il rapporto con il pri-mario, con i medici, o con la direzione.Durante questi anni di lavoro ho imparato chenella vita c’è sempre bisogno di un “maestro”che ti dice “dove guardare”, “cosa guardare” eper me questi “maestri” sono stati tanti colle-ghi, i caposala con cui ho lavorato, i medici eanche i pazienti/parenti che ho assistito, per-ché tante volte, da come loro vivono l’espe-rienza della malattia, io ho imparato ad apprez-zare tante semplici cose nella vita che magarinon avrei capito. Una cosa bella che ho sperimentato in questianni è che, tante volte, nel rapporto con ipazienti non ci si ferma solo a fare la tecnicagiusta, la terapia giusta, ma si instaura un rap-porto che coinvolge anche tutta la famiglia; adesempio mi sono ritrovata più volte ad andareal funerale di un paziente che mi aveva “presoumanamente” al lavoro.Concludo, esprimendo la mia felicità di essereinfermiera: se dovessi tornare indietro rifareisenza dubbio la scelta che ho fatto tanti annifa, senza escludere niente perché tutto mi èservito e mi serve, anche gli errori dai quali, sevuoi, impari molto.

Carlo Tenni (Infermiere e coordinatore in pensione)

Anche noi siamo umani e qualche volta costruiamo i nostri muri

Ci sarebbe da scrivere un libro sulla mia espe-rienza. Parto da un breve percorso, perché è daquesto che nascono le riflessioni e i temi. Nonso se sono diventato infermiere perché quandoero piccolo sono rimasto sei mesi ricoveratoall’ex ospedalino o i nove anni alle Camilliane.

Fatto sta che a 17 anni non sentivo la vocazio-ne e sono andato a fare il cameriere. Un giornosono andato all’ospedale vecchio per chiederedi fare l’infermiere; cercavano personale, ma inquegli anni gli uomini non potevano farlo, alloranel ’70 sono andato a Roma a manifestare con-tro il collegio e il ministero. Nel ’71 sono andato a fare il militare e nel ’72-’73 mi sono iscritto alla scuola infermieri. Finitala scuola, avevo 22 anni, il sogno era la rianima-zione. Mi ci sono buttato a capofitto, nella tec-nica, nella precisione e sono stati anni bellissi-mi. Poi c’è un evento, la morte di un amico, unpaesano, che mi ha mandato in crisi e non sonopiù riuscito ad affrontare le morti naturali. Da lì ho deciso di spostarmi, possibilmente inun reparto dove la gente moriva di meno equindi sono passato in psichiatria. In queglianni chiudevano i manicomi e avevano apertoil reparto in ospedale e io ero lì, chiuso a chia-ve a fare il coordinatore. I primi sei mesi sonostati un po’ un inferno, non ero visto moltobene dagli ex ispettori di Pergine che nonerano abituati ad avere un caposala. Ricordo che mi mandavano nelle stanze deipazienti più difficili, come il signor Fabio chequando si muoveva nella stanza scaraventavatutto; ricordo che ero da solo in stanza con lui ela prima cosa che mi è venuta in mente di dirgliè stata che gli mancavano i calzini, e lui si è fer-mato. Mi è venuta l’intuizione di riportare l’atten-zione a un suo bisogno e questo lo ha calmato.Li si è arricchita la mia competenza, perché hoconosciuto non solo infermieri, ma anche edu-catori professionali, assistenti sociali.

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Sono stati aperti i primi centri diurni, è aumen-tata la sensibilità sul territorio, le famose“Parole ritrovate” sono nate in quegli anniquando con De Stefani ero caposala in quel-l’ambito. Trascorsi 10 anni ho voluto tentare anche il set-tore manageriale, ho provato a fare il direttoredi struttura, ma non sono portato per l’ambitodirigenziale e dopo sei mesi di tortura, dovesono andato in conflitto con la dirigenza, sonotornato a fare l’infermiere. Perché io ho sempre fatto il caposala, maanche l’infermiere. Ho sempre avuto la fortunadi lavorare con giovani risorse. Dopo l’espe-rienza, che non è andata bene, della casa diriposo, l’Azienda mi ha proposto di aprire il ser-vizio cure palliative con altri giovani infermieriappena laureati che poi si sono lanciati nellaprofessione. Con loro ho costruito quella partedi coordinamento dove il ruolo del coordinato-re è di far sì che i suoi infermieri non si esauri-scano, che non vadano in burn out. Perchéoggi c’è da dire che sì, i pazienti a volte sonoun po’ rompiscatole, ma il confronto con lamalattia, il dolore, la sofferenza ci mette allaprova e anche noi siamo umani e qualche voltacostruiamo i nostri muri. Ma come fare? C’è chi si butta nella compe-

tenza (anch’io ho fatto così nei primi anni), peròforse è più importante che ognuno guardi in séstesso e capisca ciò che è la sua caratteristica,il suo intimo, il suo DNA: perché è su quelloche si lavora, ci si interroga sul senso e il per-ché e lo si confronta con i colleghi. Quindi illavoro del coordinatore è di proteggere unclima il più possibile sereno, il creare le giustecondizioni organizzative e permettere agli infer-mieri di lavorare. Prendersi cura dell’altro vuoldire prendersi cura di sé stessi, creare la nostraumanità in quella dimensione spirituale chepermette di aprirci. Il ruolo dell’infermiere èbello, non bisogna chiudersi. Adesso sono in pensione e questo mi ha per-messo di capire un nuovo aspetto della profes-sione, cioè l’infermiere responsabile verso lasocietà, attraverso un ruolo di informazione edi cultura. Faccio il volontario in una fondazio-ne hospice, sono nella consulta provincialedelle associazioni di volontariato e lì cerco diportare la mia competenza professionale, per-ché su questi temi si potrebbe creare un con-fronto e uno sviluppo per far crescere la socie-tà. Perché la salute è di tutti, la salute è del cit-tadino, non nostra. Il nostro ruolo è quello didargli questa consapevolezza.

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Questa è la lettera di Dolores Segata, un’assi-stente sanitaria che ci racconta com’era e cosavoleva dire essere infermieri ai tempi dellanascita del collegio IPASVI.

Le motivazioni che ci hanno portati a

fare gli infermieri sono le stesse di ieri e dei

miei tempi. Se pensate che io ho cominciato la

scuola nel 1946, di tempo ne è passato. Alla

mia tenera età di 87 anni vi guardo con un infi-

nita invidia. Ho letto che il nostro tema doveva essere con-dividere, confrontarci e ragionare, quindi hopensato a quello. La scuola che ho frequentato io non è la scuo-la di oggi, voi siete acculturati, voi avete unaprogrammazione diversa, avete tutte le specia-lità con voi. Noi a confronto non avevamo nien-te, al punto che i nostri ospedali erano scarsi ditutto, ed abbiamo comunque curato i nostripazienti. Non avremmo salvato il mondo maqualcuno lo abbiamo salvato. Una cosa mi piacerebbe dirvi, mi chiamoDolores, e a dispetto del mio nome nella mialunga vita, ho cercato di lenire i dolori. A 87anni se mi guardo indietro vedo grandi soddi-sfazioni, anche se per compiere fino in fondoquella che è sempre stata considerata unamissione più che un professione, ho rinunciatoad avere una famiglia. Oggi che vivo l’autunnodella mia vita mi ripeto spesso che forse inquesto ho sbagliato, ma ecco la mia storia. La difficoltà a quell’epoca era riuscire a trovareuna scuola, riuscire a rientrarci, ad uscirci,

lavorarci dentro e soprattutto trovarci un lavo-ro. Avevo 16 anni quando per caso andai alcinema, proiettavano una pellicola dal titolo“La nave bianca” di Roberto Rossellini. Per mequella pellicola fu come un colpo di fulmine,avrei fatto anch’io l’infermiera come Elena cheritrovava il suo innamorato nel corso dellaguerra in una corsia di un ospedale militare.Finita la Seconda guerra mondiale incontraiuna suora, della divina provvidenza di Cor-mons, la cui congregazione gestiva la scuolad’infermieri a Gorizia. Era un istituto a numerochiuso, ma grazie a questa suora potei entrare.Furono anni molto difficili, Gorizia era una terradi confine dei contrasti post bellici, nelle manidai soldati statunitensi e britannici.

La dedizione nel passatoLa storia di Dolores Segata:a 87 anni l’attaccamento alla professione è ancora forte

LA LETTERA

“35

La notte si udivano colpi di mitraglietta, diesplosioni, ed in quel frangente sapevamo chequalche ferito arrivava. Le lezioni erano pur-troppo impegnative, non come quelle di ades-so, ed erano poste tra i momenti dedicati allapratica in corsia, e con le suore, anche alla pre-ghiera. Fra i molteplici insegnamenti dellesuore l’ascolto degli ammalati fu il primo e piùimportante impegno proposto.Oggi a molti anni di distanza mi sono accortache anche la medicina ufficiale ha capito quan-to sia importante dar voce al paziente. La chia-mano medicina narrativa. L’ascolto dell’amma-lato, nel tempo in cui nessuno ti ascolta e nes-suno ti parla, è diventata una prima terapia,spesso risolutiva soprattutto per malattie lega-te alla solitudine.

Le suore ci raccomandavano di usare tenerez-za, amore, perché dicevano che il potere cura-tivo delle parole poteva avere effetti beneficipiù dei farmaci, che a suo tempo ce n’eranomolto pochi, e stavano sperimentando la peni-cillina antibiotica. Nel corso degli anni mi sono chiesta più voltese sia valsa la pena di fare ciò che ho fatto, dirinunciare ad una famiglia, per essere al servi-zio di una più grande famiglia di malati. Larisposta dipende dallo stato d’animo delmomento. A volte mi dico di no, avrei fattobene forse a seguire altre vocazioni; a volteinvece rispondo di si, come oggi che sono quidavanti a voi, a trattare questo tema, parlandodi condivisione, confronto e ragionamento, e vivedo sorridenti. Il mondo si è fatto piccolo e difficile, la societàè malata e noi ci troviamo spesso a mani nude.Ho sempre avuto un sogno, quello di restituirea chi ha bisogno ciò che in questi lunghi anniho ricevuto. Ci provo ogni giorno, per quelpoco o quel molto che mi resta, so che lasce-rò la professione in buone mani, adesso davve-ro tocca proprio a voi.

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Questa è la lettera di Dolores Segata, un’assi-stente sanitaria che ci racconta com’era e cosavoleva dire essere infermieri ai tempi dellanascita del collegio IPASVI.

Le motivazioni che ci hanno portati a

fare gli infermieri sono le stesse di ieri e dei

miei tempi. Se pensate che io ho cominciato la

scuola nel 1946, di tempo ne è passato. Alla

mia tenera età di 87 anni vi guardo con un infi-

nita invidia. Ho letto che il nostro tema doveva essere con-dividere, confrontarci e ragionare, quindi hopensato a quello. La scuola che ho frequentato io non è la scuo-la di oggi, voi siete acculturati, voi avete unaprogrammazione diversa, avete tutte le specia-lità con voi. Noi a confronto non avevamo nien-te, al punto che i nostri ospedali erano scarsi ditutto, ed abbiamo comunque curato i nostripazienti. Non avremmo salvato il mondo maqualcuno lo abbiamo salvato. Una cosa mi piacerebbe dirvi, mi chiamoDolores, e a dispetto del mio nome nella mialunga vita, ho cercato di lenire i dolori. A 87anni se mi guardo indietro vedo grandi soddi-sfazioni, anche se per compiere fino in fondoquella che è sempre stata considerata unamissione più che un professione, ho rinunciatoad avere una famiglia. Oggi che vivo l’autunnodella mia vita mi ripeto spesso che forse inquesto ho sbagliato, ma ecco la mia storia. La difficoltà a quell’epoca era riuscire a trovareuna scuola, riuscire a rientrarci, ad uscirci,

lavorarci dentro e soprattutto trovarci un lavo-ro. Avevo 16 anni quando per caso andai alcinema, proiettavano una pellicola dal titolo“La nave bianca” di Roberto Rossellini. Per mequella pellicola fu come un colpo di fulmine,avrei fatto anch’io l’infermiera come Elena cheritrovava il suo innamorato nel corso dellaguerra in una corsia di un ospedale militare.Finita la Seconda guerra mondiale incontraiuna suora, della divina provvidenza di Cor-mons, la cui congregazione gestiva la scuolad’infermieri a Gorizia. Era un istituto a numerochiuso, ma grazie a questa suora potei entrare.Furono anni molto difficili, Gorizia era una terradi confine dei contrasti post bellici, nelle manidai soldati statunitensi e britannici.

La dedizione nel passatoLa storia di Dolores Segata:a 87 anni l’attaccamento alla professione è ancora forte

LA LETTERA

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La notte si udivano colpi di mitraglietta, diesplosioni, ed in quel frangente sapevamo chequalche ferito arrivava. Le lezioni erano pur-troppo impegnative, non come quelle di ades-so, ed erano poste tra i momenti dedicati allapratica in corsia, e con le suore, anche alla pre-ghiera. Fra i molteplici insegnamenti dellesuore l’ascolto degli ammalati fu il primo e piùimportante impegno proposto.Oggi a molti anni di distanza mi sono accortache anche la medicina ufficiale ha capito quan-to sia importante dar voce al paziente. La chia-mano medicina narrativa. L’ascolto dell’amma-lato, nel tempo in cui nessuno ti ascolta e nes-suno ti parla, è diventata una prima terapia,spesso risolutiva soprattutto per malattie lega-te alla solitudine.

Le suore ci raccomandavano di usare tenerez-za, amore, perché dicevano che il potere cura-tivo delle parole poteva avere effetti beneficipiù dei farmaci, che a suo tempo ce n’eranomolto pochi, e stavano sperimentando la peni-cillina antibiotica. Nel corso degli anni mi sono chiesta più voltese sia valsa la pena di fare ciò che ho fatto, dirinunciare ad una famiglia, per essere al servi-zio di una più grande famiglia di malati. Larisposta dipende dallo stato d’animo delmomento. A volte mi dico di no, avrei fattobene forse a seguire altre vocazioni; a volteinvece rispondo di si, come oggi che sono quidavanti a voi, a trattare questo tema, parlandodi condivisione, confronto e ragionamento, e vivedo sorridenti. Il mondo si è fatto piccolo e difficile, la societàè malata e noi ci troviamo spesso a mani nude.Ho sempre avuto un sogno, quello di restituirea chi ha bisogno ciò che in questi lunghi anniho ricevuto. Ci provo ogni giorno, per quelpoco o quel molto che mi resta, so che lasce-rò la professione in buone mani, adesso davve-ro tocca proprio a voi.

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Introduzione

Le lesioni peristomali sono una complicanzasecondaria al confezionamento della stomiache rendono ancora più difficile la gestione e lacura autonoma in pazienti che, già per il fatto diesserne portatori, presentano bisogni multipli ecomplessi. L’infermiere deve assicurare la con-tinuità assistenziale al paziente stomizzato,quindi risulta importante possedere dei metodivalidi ed efficaci per gestire le complicanze.

Obiettivo e metodi

L'obiettivo della tesi è quello di approfondire ericercare dei prodotti e delle medicazioni validiche possano risolvere in breve tempo unacomplicanza: la lesione iperemica peristomaledi grado L1, secondo la classificazione SACS. Alla base della motivazione sta il fatto che nonesiste ancora un protocollo che indichi cometrattare le complicanze della cute peristomale.Per condurre la ricerca è stato elaborato il que-sito utilizzando la metodologia PICOM nelmodo seguente: “Quale metodo risulta più effi-cace per il trattamento delle lesioni iperemicheperistomali di grado L1 (classificazione SACS)tra Eosina 2%, polvere aspersoria e pasta pro-tettiva e tra film protettivo, spray e pasta protet-tiva?”. Sono stati presi in considerazione e messi aconfronto due tipi di trattamento: il metodo Acomposto da eosina 2%, polvere aspersoria e

pasta protettiva e il metodo B composto dafilm protettivo spray e pasta protettiva.Entrambi i trattamenti prevedono l’uso da partedei pazienti di un sistema di placca a duepezzi. Il campione è costituito da 10 pazientiassegnati ai due rami dello studio in modo ran-domizzato secondo criteri di inclusione edesclusione stabiliti.I pazienti sono stati osservati e trattati ogni tregiorni per un periodo di due settimane (tempostimato di guarigione). Ad ogni controllo ambu-latoriale è stata compilata una scheda per laraccolta dati sull’evoluzione della lesione.

Risultati

I risultati principali della ricerca si riferiscono a:

• disegno pre-operatorio: è stato eseguito a

Due trattamenti a confrontoL’approfondimento di Anna Conci sulle migliori medicazioni per trattare le lesioni peristomali

LE TESI DI LAUREA

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8/10 (80%) dei pazienti totali, di cui 4/8 trat-tati con il metodo A e 4/8 con il metodo B;mentre 2/10 (20%) pazienti, di cui 1/2 appar-tenente al gruppo A e 1/2 al gruppo B, non loavevano eseguito;

• tipo di stomia: 6/10 (60%) pazienti, di cui 4/6trattati con il metodo A e 2/6 con il metodo B,hanno una ileostomia; 4/10 (40%) pazienti, dicui 1/4 trattato con il metodo A e 3/4 con ilmetodo B, hanno una colostomia e nessunodei pazienti ha una urostomia;

• tempo di guarigione della ferita: al quartocontrollo ambulatoriale: 1/10 (10%) trattatocon il metodo A; al quinto controllo ambula-toriale: 4/10 (40%) totali, di cui 2/4 trattaticon il metodo A e 2/4 con il metodo B; alsesto controllo ambulatoriale: 5/10 (50%)totali, di cui 2/5 trattati con il metodo A e 3/5con il metodo B;

• cause della lesione: presenza di feci liquide ediarrea, forma molto irregolare dello stoma equindi difficoltà nell’adattamento della plac-ca, foro della placca tagliato troppo rispettoalle reali dimensioni dello stoma.

Conclusione

I risultati della ricerca hanno dimostrato che idue metodi sperimentati sono entrambi efficacie portano alla guarigione della complicanzacirca nello stesso tempo (entro il quinto o sestocontrollo ambulatoriale) che corrisponde circaal quindicesimo - diciassettesimo giorno dopolo sviluppo della stessa.Sono stati valutati gli svantaggi dei prodotti uti-lizzati: l’Eosina 2% è colorata per cui rende dif-ficoltà la visione della cute sottostante e lapasta protettiva provoca bruciore al paziente.Il disegno pre-operatorio è risultato fondamen-tale perché ha dimostrato l’avvenuto incontrotra il paziente e l’infermiere stomaterapistaprima dell’intervento chirurgico, permettendo ilposizionamento della stomia in una “zona” del-

l’addome comoda e ben visibile dalla personaportatrice.Dai dati emerge che la causa prevalente dellosviluppo di complicanze è dovuta alla ileosto-mia nel 60% dei pazienti per il contatto dellacute con feci liquide. Questo rende fondamen-tale il ruolo dell’infermiere nell’educazione delpaziente sul regime alimentare da adottare alfine di minimizzare le complicanze.Alla luce dell’analisi dei risultati ottenuti dallaricerca e dopo una riflessione e un confrontoanche con l’infermiera stomaterapista è emersoche l’educazione terapeutica è alla base ditutto, in quanto ogni individuo, con il propriocare-giver, è il principale responsabile dellapropria salute, quindi nel caso del paziente por-tatore di stomia, se esso viene educato nellagestione dello stoma e dei presidi corretti dautilizzare, andrà sempre meno incontro allapossibilità di sviluppare complicanze. Le complicanze stomali condizionano la qualitàdi vita della persona portatrice di stomia por-tandola ad avere ulteriori problemi nella gestio-ne e nel prendersi cura di sé. Qualunque sia lacausa dell’insorgenza di complicanze è impor-tante avere a disposizione delle conoscenzesempre aggiornate e valide, come in questocaso delle terapie conservative, che permetta-no in breve tempo la risoluzione dell’evento. Inquesto l’infermiere è l’attore principale perfavorire l’adesione del paziente al piano tera-peutico personalizzato.

> Distribuzione dei soggetti in base al tempo di guarigionedella lesione

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Introduzione

Le lesioni peristomali sono una complicanzasecondaria al confezionamento della stomiache rendono ancora più difficile la gestione e lacura autonoma in pazienti che, già per il fatto diesserne portatori, presentano bisogni multipli ecomplessi. L’infermiere deve assicurare la con-tinuità assistenziale al paziente stomizzato,quindi risulta importante possedere dei metodivalidi ed efficaci per gestire le complicanze.

Obiettivo e metodi

L'obiettivo della tesi è quello di approfondire ericercare dei prodotti e delle medicazioni validiche possano risolvere in breve tempo unacomplicanza: la lesione iperemica peristomaledi grado L1, secondo la classificazione SACS. Alla base della motivazione sta il fatto che nonesiste ancora un protocollo che indichi cometrattare le complicanze della cute peristomale.Per condurre la ricerca è stato elaborato il que-sito utilizzando la metodologia PICOM nelmodo seguente: “Quale metodo risulta più effi-cace per il trattamento delle lesioni iperemicheperistomali di grado L1 (classificazione SACS)tra Eosina 2%, polvere aspersoria e pasta pro-tettiva e tra film protettivo, spray e pasta protet-tiva?”. Sono stati presi in considerazione e messi aconfronto due tipi di trattamento: il metodo Acomposto da eosina 2%, polvere aspersoria e

pasta protettiva e il metodo B composto dafilm protettivo spray e pasta protettiva.Entrambi i trattamenti prevedono l’uso da partedei pazienti di un sistema di placca a duepezzi. Il campione è costituito da 10 pazientiassegnati ai due rami dello studio in modo ran-domizzato secondo criteri di inclusione edesclusione stabiliti.I pazienti sono stati osservati e trattati ogni tregiorni per un periodo di due settimane (tempostimato di guarigione). Ad ogni controllo ambu-latoriale è stata compilata una scheda per laraccolta dati sull’evoluzione della lesione.

Risultati

I risultati principali della ricerca si riferiscono a:

• disegno pre-operatorio: è stato eseguito a

Due trattamenti a confrontoL’approfondimento di Anna Conci sulle migliori medicazioni per trattare le lesioni peristomali

LE TESI DI LAUREA

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8/10 (80%) dei pazienti totali, di cui 4/8 trat-tati con il metodo A e 4/8 con il metodo B;mentre 2/10 (20%) pazienti, di cui 1/2 appar-tenente al gruppo A e 1/2 al gruppo B, non loavevano eseguito;

• tipo di stomia: 6/10 (60%) pazienti, di cui 4/6trattati con il metodo A e 2/6 con il metodo B,hanno una ileostomia; 4/10 (40%) pazienti, dicui 1/4 trattato con il metodo A e 3/4 con ilmetodo B, hanno una colostomia e nessunodei pazienti ha una urostomia;

• tempo di guarigione della ferita: al quartocontrollo ambulatoriale: 1/10 (10%) trattatocon il metodo A; al quinto controllo ambula-toriale: 4/10 (40%) totali, di cui 2/4 trattaticon il metodo A e 2/4 con il metodo B; alsesto controllo ambulatoriale: 5/10 (50%)totali, di cui 2/5 trattati con il metodo A e 3/5con il metodo B;

• cause della lesione: presenza di feci liquide ediarrea, forma molto irregolare dello stoma equindi difficoltà nell’adattamento della plac-ca, foro della placca tagliato troppo rispettoalle reali dimensioni dello stoma.

Conclusione

I risultati della ricerca hanno dimostrato che idue metodi sperimentati sono entrambi efficacie portano alla guarigione della complicanzacirca nello stesso tempo (entro il quinto o sestocontrollo ambulatoriale) che corrisponde circaal quindicesimo - diciassettesimo giorno dopolo sviluppo della stessa.Sono stati valutati gli svantaggi dei prodotti uti-lizzati: l’Eosina 2% è colorata per cui rende dif-ficoltà la visione della cute sottostante e lapasta protettiva provoca bruciore al paziente.Il disegno pre-operatorio è risultato fondamen-tale perché ha dimostrato l’avvenuto incontrotra il paziente e l’infermiere stomaterapistaprima dell’intervento chirurgico, permettendo ilposizionamento della stomia in una “zona” del-

l’addome comoda e ben visibile dalla personaportatrice.Dai dati emerge che la causa prevalente dellosviluppo di complicanze è dovuta alla ileosto-mia nel 60% dei pazienti per il contatto dellacute con feci liquide. Questo rende fondamen-tale il ruolo dell’infermiere nell’educazione delpaziente sul regime alimentare da adottare alfine di minimizzare le complicanze.Alla luce dell’analisi dei risultati ottenuti dallaricerca e dopo una riflessione e un confrontoanche con l’infermiera stomaterapista è emersoche l’educazione terapeutica è alla base ditutto, in quanto ogni individuo, con il propriocare-giver, è il principale responsabile dellapropria salute, quindi nel caso del paziente por-tatore di stomia, se esso viene educato nellagestione dello stoma e dei presidi corretti dautilizzare, andrà sempre meno incontro allapossibilità di sviluppare complicanze. Le complicanze stomali condizionano la qualitàdi vita della persona portatrice di stomia por-tandola ad avere ulteriori problemi nella gestio-ne e nel prendersi cura di sé. Qualunque sia lacausa dell’insorgenza di complicanze è impor-tante avere a disposizione delle conoscenzesempre aggiornate e valide, come in questocaso delle terapie conservative, che permetta-no in breve tempo la risoluzione dell’evento. Inquesto l’infermiere è l’attore principale perfavorire l’adesione del paziente al piano tera-peutico personalizzato.

> Distribuzione dei soggetti in base al tempo di guarigionedella lesione

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Introduzione

La crescita del fenomeno migratorio è unagrande sfida non solo sul piano sociale e poli-tico, ma anche su quello sanitario, in Trentinonon meno che nel resto del Paese. E impone difarsene carico e di aprire una riflessione suiprovvedimenti che la presenza crescente deglistranieri impone in ambito sanitario. Al 2013 la popolazione residente in provincia diTrento ha raggiunto quota 536.237, di cui50.833 stranieri, pari al 9,5% della popolazione,con una percentuale leggermente superiorerispetto al dato nazionale. La maggioranza deglistranieri risiede nel capoluogo, con l’11,6%. La fascia di età maggiormente rappresentata èquella dai 18 ai 39 anni, con il 43,4% (contro il23,4 della popolazione italiana), mentre solo il3,2% ha più di 65 anni, contro il 22,2 dellapopolazione locale. Quanto alle provenienze, il 65,9% provienedall’Europa, il 17,5 dall’Africa, il 10,4 dall’Asia eil 6,2 dall’America. La Cina rimane residuale e ilgruppo più presente è quello rumeno, che rac-

coglie il 19% degli stranieri. Pur in presenza disignificative differenze a seconda del grupponazionale considerato, la componente femmi-nile prevale (53%) su quella maschile.Sul piano dell’accesso ai servizi, il pronto soc-corso resta ad oggi uno dei primi punti di con-tatto con il servizio sanitario. Il ricorso al pron-to soccorso entro il sessantacinquesimo annodi età è, proporzionalmente, maggiore nellapopolazione straniera rispetto a quella locale enon è escluso che il dato sia sottostimato acausa della presenza di una quota di lavoronero che dissuade dal rivolgersi al pronto soc-corso per interventi di lieve entità. Nello specifico, nel 2013 hanno fatto ricorso alpronto soccorso delle diverse strutture dellaprovincia 31.505 cittadini stranieri, pari al 15%degli accessi. Di questi, 1.440 erano residentiin Italia, 21.532 in Provincia, 8.533 all’estero. Alsolo pronto soccorso di Trento si sono contati14.392 accessi, 3.840 dei quali al pediatrico. Inumeri sono stati confermati anche nel primosemestre 2014, con 16.816 accessi di cittadinistranieri (Dati raccolti dal Dipartimento diPrevenzione dell’APSS, 2014).

Stranieri e sistema sanitarioIl punto di vista di Francesca Rossetti per migliorare la relazione tra personale e pazienti al pronto soccorso

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Obiettivi e metodi

A fronte di un fenomeno di queste dimensioni,si possono distinguere due modalità di inter-vento per migliorare l’accesso ai servizi sanita-ri da parte degli utenti stranieri e per favorire lerelazioni con il personale sanitario. La prima è quella della formazione: dati i nume-ri, creare un percorso di educazione all’inter-culturalità è ormai inevitabile, non solo percomprendere meglio il retroterra culturale deglistranieri, ma anche per migliorare il livello diempatia e acquisire strategie di intervento piùefficaci. Accanto a ciò vanno valorizzate nelle singoleunità operative le competenze specifiche deglioperatori in questo ambito, inserendole in unpiano generale che affronti organicamente lesfide poste dagli stranieri che si rivolgono alsistema sanitario.

Risultati

A partire dalla mia esperienza in ambito pedia-trico, credo sarebbe utile l’attivazione di unservizio di primary nurse, con un infermiere chegarantisca ai pazienti stranieri un accessoequo e paritario tanto sul piano burocratico-amministrativo, quanto su quello linguistico-culturale, seguendoli nell’intera degenza. Talefigura potrebbe contribuire significativamente arendere questi soggetti protagonisti autenticidel loro percorso di cura.Questo servizio dovrebbe poter contare anchesu un “dizionario interno” che raccolga leespressioni fondamentali per la relazione sani-taria e per la raccolta dati sulla salute da partedel medico o dell’infermiere nelle principali lin-gue straniere. L’opuscolo potrebbe prevederela vicinanza dell’espressione in lingua, in ingle-se e in italiano, in modo da favorire anchel’operatore che indica una determinata espres-sione.

Tali “dizionari” potrebbero essere divisi perpatologia, in modo da raccogliere tutte ledomande utili relative a un macro problema disalute (ad esempio un problema respiratorio, oun dolore particolare, o disturbi gastro enterici)e le relative possibili risposte.

Conclusioni

Certo, uno strumento di questo tipo non azzere-rebbe tutte le difficoltà di comunicazione, mapotrebbe sensibilmente migliorare il primo con-tatto e far sentire i genitori stranieri più coinvoltinella cura del proprio bambino e meno isolati difronte a operatori sanitari che si esprimono conparole ed eseguono attività a loro sconosciute. Non si tratterebbe, insomma, di un sempliceaiuto di carattere tecnico, ma di uno strumentovolto a migliorare la relazione fra operatori epaziente, che è fondamentale per garantire almeglio i livelli di prestazione e per migliorare ilivelli di integrazione. Una sfida, questa, che siinserisce nella scia di quanto indicato dall’art 3della Costituzione che, riconoscendo l’ugua-glianza di diritti di tutti, impone alla Repubblicail compito di “rimuovere gli ostacoli” che limita-no di fatto tale uguaglianza, e indica così lecoordinate all’interno delle quali operare permigliorare l’assistenza sanitaria per tutte ledonne, gli uomini e i bambini presenti nelnostro Paese.

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Introduzione

La crescita del fenomeno migratorio è unagrande sfida non solo sul piano sociale e poli-tico, ma anche su quello sanitario, in Trentinonon meno che nel resto del Paese. E impone difarsene carico e di aprire una riflessione suiprovvedimenti che la presenza crescente deglistranieri impone in ambito sanitario. Al 2013 la popolazione residente in provincia diTrento ha raggiunto quota 536.237, di cui50.833 stranieri, pari al 9,5% della popolazione,con una percentuale leggermente superiorerispetto al dato nazionale. La maggioranza deglistranieri risiede nel capoluogo, con l’11,6%. La fascia di età maggiormente rappresentata èquella dai 18 ai 39 anni, con il 43,4% (contro il23,4 della popolazione italiana), mentre solo il3,2% ha più di 65 anni, contro il 22,2 dellapopolazione locale. Quanto alle provenienze, il 65,9% provienedall’Europa, il 17,5 dall’Africa, il 10,4 dall’Asia eil 6,2 dall’America. La Cina rimane residuale e ilgruppo più presente è quello rumeno, che rac-

coglie il 19% degli stranieri. Pur in presenza disignificative differenze a seconda del grupponazionale considerato, la componente femmi-nile prevale (53%) su quella maschile.Sul piano dell’accesso ai servizi, il pronto soc-corso resta ad oggi uno dei primi punti di con-tatto con il servizio sanitario. Il ricorso al pron-to soccorso entro il sessantacinquesimo annodi età è, proporzionalmente, maggiore nellapopolazione straniera rispetto a quella locale enon è escluso che il dato sia sottostimato acausa della presenza di una quota di lavoronero che dissuade dal rivolgersi al pronto soc-corso per interventi di lieve entità. Nello specifico, nel 2013 hanno fatto ricorso alpronto soccorso delle diverse strutture dellaprovincia 31.505 cittadini stranieri, pari al 15%degli accessi. Di questi, 1.440 erano residentiin Italia, 21.532 in Provincia, 8.533 all’estero. Alsolo pronto soccorso di Trento si sono contati14.392 accessi, 3.840 dei quali al pediatrico. Inumeri sono stati confermati anche nel primosemestre 2014, con 16.816 accessi di cittadinistranieri (Dati raccolti dal Dipartimento diPrevenzione dell’APSS, 2014).

Stranieri e sistema sanitarioIl punto di vista di Francesca Rossetti per migliorare la relazione tra personale e pazienti al pronto soccorso

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Obiettivi e metodi

A fronte di un fenomeno di queste dimensioni,si possono distinguere due modalità di inter-vento per migliorare l’accesso ai servizi sanita-ri da parte degli utenti stranieri e per favorire lerelazioni con il personale sanitario. La prima è quella della formazione: dati i nume-ri, creare un percorso di educazione all’inter-culturalità è ormai inevitabile, non solo percomprendere meglio il retroterra culturale deglistranieri, ma anche per migliorare il livello diempatia e acquisire strategie di intervento piùefficaci. Accanto a ciò vanno valorizzate nelle singoleunità operative le competenze specifiche deglioperatori in questo ambito, inserendole in unpiano generale che affronti organicamente lesfide poste dagli stranieri che si rivolgono alsistema sanitario.

Risultati

A partire dalla mia esperienza in ambito pedia-trico, credo sarebbe utile l’attivazione di unservizio di primary nurse, con un infermiere chegarantisca ai pazienti stranieri un accessoequo e paritario tanto sul piano burocratico-amministrativo, quanto su quello linguistico-culturale, seguendoli nell’intera degenza. Talefigura potrebbe contribuire significativamente arendere questi soggetti protagonisti autenticidel loro percorso di cura.Questo servizio dovrebbe poter contare anchesu un “dizionario interno” che raccolga leespressioni fondamentali per la relazione sani-taria e per la raccolta dati sulla salute da partedel medico o dell’infermiere nelle principali lin-gue straniere. L’opuscolo potrebbe prevederela vicinanza dell’espressione in lingua, in ingle-se e in italiano, in modo da favorire anchel’operatore che indica una determinata espres-sione.

Tali “dizionari” potrebbero essere divisi perpatologia, in modo da raccogliere tutte ledomande utili relative a un macro problema disalute (ad esempio un problema respiratorio, oun dolore particolare, o disturbi gastro enterici)e le relative possibili risposte.

Conclusioni

Certo, uno strumento di questo tipo non azzere-rebbe tutte le difficoltà di comunicazione, mapotrebbe sensibilmente migliorare il primo con-tatto e far sentire i genitori stranieri più coinvoltinella cura del proprio bambino e meno isolati difronte a operatori sanitari che si esprimono conparole ed eseguono attività a loro sconosciute. Non si tratterebbe, insomma, di un sempliceaiuto di carattere tecnico, ma di uno strumentovolto a migliorare la relazione fra operatori epaziente, che è fondamentale per garantire almeglio i livelli di prestazione e per migliorare ilivelli di integrazione. Una sfida, questa, che siinserisce nella scia di quanto indicato dall’art 3della Costituzione che, riconoscendo l’ugua-glianza di diritti di tutti, impone alla Repubblicail compito di “rimuovere gli ostacoli” che limita-no di fatto tale uguaglianza, e indica così lecoordinate all’interno delle quali operare permigliorare l’assistenza sanitaria per tutte ledonne, gli uomini e i bambini presenti nelnostro Paese.

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Nel perseguire le finalità istituzionali e deonto-logiche che gli sono proprie, il Collegio IPASVIdi Trento propone con sempre maggiore slan-cio incontri culturali dedicati ai propri iscritti.L’obiettivo è di sostenere i professionisti nel-l’essere protagonisti attivi o, ancor meglio,autori del proprio percorso di crescita, in quali-tà di infermiere al servizio del cittadino e alcontempo promotore del consolidamento edello sviluppo del gruppo professionale.Gli incontri culturali proposti dal Collegio sonofinalizzati ad affinare e consolidare i risultatiraggiunti dalla professione, oltre che a stimola-re e sostenere i cambiamenti, le attribuzioni el’assunzione di responsabilità che si stannoprospettando alla luce del comma 566 dellalegge di stabilità 2015, tema sul quale la pro-fessione si sente chiamata in causa per diredove vuole andare e cosa vuole fare.Una professione che sta evolvendo rapidamen-te come quella infermieristica ha infatti bisognodi garantirsi momenti di riflessione strategicaper comprendere gli scenari attuali e futuri.Per l’anno 2016 il focus degli incontri sarà rivol-to agli aspetti assistenziali nella cronicità, disa-bilità e fragilità, poiché, alla luce dei cambia-menti demografici ed epidemiologici degli ulti-mi anni, è evidente come la nostra figura pro-fessionale giochi un ruolo fondamentale nelprestare aiuto alle persone, per lo più anziane,affette da patologie croniche e disabilità, inci-dendo quindi sulla loro qualità di vita. Si tratta di questioni scottanti per le quali ilmondo sanitario internazionale si interroga con

sempre maggiore enfasi e per la professioneinfermieristica affrontare questi aspetti rappre-senta oggi una delle grandi sfide sia per i sin-goli professionisti che per le organizzazioni.Con questi incontri si vuole mantenere vivo undibattito e un confronto sul contributo della

La cultura è protagonistaLe proposte formative del Collegio per il 2016:un percorso di crescita per il servizio al cittadino e come infermiere

L'AGGIORNAMENTO

Gli argomenti

Ecco un’anteprima degli argomenti oggettodi dialogo durante gli incontri culturali del2016:

• Assistenza infermieristica al paziente in cure palliative

• Assistenza infermieristica al paziente fragile sottoposto a trattamento mininvasivo o chirurgico

• Assistenza infermieristica al paziente affetto da demenza

• Assistenza infermieristica al pazienteanziano/fragile/disabile con disfagia e malnutrizione

• Assistenza infermieristica notturna: la presa in carico nelle 24 ore

• Wound care: quale competenza infermieristica

Programmi, calendario e modalità di parteci-pazione, saranno disponibili sul sitowww.ipasvi.tn.it e saranno inviati a tutti gliiscritti via Pec

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professione nell’aiuto al cittadino e altresì sulmetodo nell’esercizio quotidiano della profes-sione, per affrontare queste questioni secondoun approccio olistico, oggi imprescindibile,caratteristico del nursing.L’attesa del Collegio per l’anno 2016 è che gliincontri culturali continuino ad essere strumentodi sviluppo e valorizzazione, tesi a promuoverepensieri e azioni eticamente e deontologica-mente corretti, che possano esprimersi sempredi più attraverso l’esserci consapevole dell’infer-miere accanto al cittadino nelle diverse fasi dellavita e della salute, nella malattia e nel fine vita.Gli incontri sono dedicati a tutti gli infermieriiscritti al Collegio, qualsiasi funzione essi svol-gano all’interno delle organizzazioni socio-sanitarie. L’attesa è di riuscire a incontraregruppi di infermieri con ruoli, contesti ed espe-rienze eterogenei, affinché la professionepossa essere trattata nel modo più ampio pos-sibile, con lo scopo di evidenziare quantoognuno di noi può contribuire a garantireun’assistenza di qualità.L’auspicio è che ogni infermiere acquisisca mag-giore consapevolezza sull’importanza e sul valo-re del proprio aiuto al malato e che questo diven-ti patrimonio per tutta la comunità. È importante

dare i mezzi e potenziare la capacità di saperconiugare l’assistenza quotidiana, i valori e lepreferenze del malato con la conoscenza, l’espe-rienza, la competenza, l’evidenza scientifica e laricerca. Questo permette la validazione dellescelte e delle decisioni assistenziali attuate conanche un consegue maggiore riconoscimentosociale della professione infermieristica. Si tratta di un cammino necessario per pro-muovere la trasformazione della professioneinfermieristica e di riflesso delle organizzazionisanitarie, dove l’infermiere esprime le proprieabilità tecniche, competenze professionali,organizzative e relazionali per la tutela dellasalute e del benessere del cittadino.Con questi incontri vogliamo rafforzare le basidella professione e delineare il percorso per lescelte future, affinché l’azione e l’intervento diogni singolo sia parte integrante di un disegnodi sviluppo professionale. Così, come già ini-ziato con l’assemblea ordinaria annuale del2015, continueremo a dare merito e visibilitàall’expertise di infermieri trentini che attuanoun’assistenza basata sulle evidenze e genera-no quotidianamente informazioni e relazioni diqualità, che stimolano e possono essere utiliz-zate per produrre ulteriore ricerca.

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Nel perseguire le finalità istituzionali e deonto-logiche che gli sono proprie, il Collegio IPASVIdi Trento propone con sempre maggiore slan-cio incontri culturali dedicati ai propri iscritti.L’obiettivo è di sostenere i professionisti nel-l’essere protagonisti attivi o, ancor meglio,autori del proprio percorso di crescita, in quali-tà di infermiere al servizio del cittadino e alcontempo promotore del consolidamento edello sviluppo del gruppo professionale.Gli incontri culturali proposti dal Collegio sonofinalizzati ad affinare e consolidare i risultatiraggiunti dalla professione, oltre che a stimola-re e sostenere i cambiamenti, le attribuzioni el’assunzione di responsabilità che si stannoprospettando alla luce del comma 566 dellalegge di stabilità 2015, tema sul quale la pro-fessione si sente chiamata in causa per diredove vuole andare e cosa vuole fare.Una professione che sta evolvendo rapidamen-te come quella infermieristica ha infatti bisognodi garantirsi momenti di riflessione strategicaper comprendere gli scenari attuali e futuri.Per l’anno 2016 il focus degli incontri sarà rivol-to agli aspetti assistenziali nella cronicità, disa-bilità e fragilità, poiché, alla luce dei cambia-menti demografici ed epidemiologici degli ulti-mi anni, è evidente come la nostra figura pro-fessionale giochi un ruolo fondamentale nelprestare aiuto alle persone, per lo più anziane,affette da patologie croniche e disabilità, inci-dendo quindi sulla loro qualità di vita. Si tratta di questioni scottanti per le quali ilmondo sanitario internazionale si interroga con

sempre maggiore enfasi e per la professioneinfermieristica affrontare questi aspetti rappre-senta oggi una delle grandi sfide sia per i sin-goli professionisti che per le organizzazioni.Con questi incontri si vuole mantenere vivo undibattito e un confronto sul contributo della

La cultura è protagonistaLe proposte formative del Collegio per il 2016:un percorso di crescita per il servizio al cittadino e come infermiere

L'AGGIORNAMENTO

Gli argomenti

Ecco un’anteprima degli argomenti oggettodi dialogo durante gli incontri culturali del2016:

• Assistenza infermieristica al paziente in cure palliative

• Assistenza infermieristica al paziente fragile sottoposto a trattamento mininvasivo o chirurgico

• Assistenza infermieristica al paziente affetto da demenza

• Assistenza infermieristica al pazienteanziano/fragile/disabile con disfagia e malnutrizione

• Assistenza infermieristica notturna: la presa in carico nelle 24 ore

• Wound care: quale competenza infermieristica

Programmi, calendario e modalità di parteci-pazione, saranno disponibili sul sitowww.ipasvi.tn.it e saranno inviati a tutti gliiscritti via Pec

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professione nell’aiuto al cittadino e altresì sulmetodo nell’esercizio quotidiano della profes-sione, per affrontare queste questioni secondoun approccio olistico, oggi imprescindibile,caratteristico del nursing.L’attesa del Collegio per l’anno 2016 è che gliincontri culturali continuino ad essere strumentodi sviluppo e valorizzazione, tesi a promuoverepensieri e azioni eticamente e deontologica-mente corretti, che possano esprimersi sempredi più attraverso l’esserci consapevole dell’infer-miere accanto al cittadino nelle diverse fasi dellavita e della salute, nella malattia e nel fine vita.Gli incontri sono dedicati a tutti gli infermieriiscritti al Collegio, qualsiasi funzione essi svol-gano all’interno delle organizzazioni socio-sanitarie. L’attesa è di riuscire a incontraregruppi di infermieri con ruoli, contesti ed espe-rienze eterogenei, affinché la professionepossa essere trattata nel modo più ampio pos-sibile, con lo scopo di evidenziare quantoognuno di noi può contribuire a garantireun’assistenza di qualità.L’auspicio è che ogni infermiere acquisisca mag-giore consapevolezza sull’importanza e sul valo-re del proprio aiuto al malato e che questo diven-ti patrimonio per tutta la comunità. È importante

dare i mezzi e potenziare la capacità di saperconiugare l’assistenza quotidiana, i valori e lepreferenze del malato con la conoscenza, l’espe-rienza, la competenza, l’evidenza scientifica e laricerca. Questo permette la validazione dellescelte e delle decisioni assistenziali attuate conanche un consegue maggiore riconoscimentosociale della professione infermieristica. Si tratta di un cammino necessario per pro-muovere la trasformazione della professioneinfermieristica e di riflesso delle organizzazionisanitarie, dove l’infermiere esprime le proprieabilità tecniche, competenze professionali,organizzative e relazionali per la tutela dellasalute e del benessere del cittadino.Con questi incontri vogliamo rafforzare le basidella professione e delineare il percorso per lescelte future, affinché l’azione e l’intervento diogni singolo sia parte integrante di un disegnodi sviluppo professionale. Così, come già ini-ziato con l’assemblea ordinaria annuale del2015, continueremo a dare merito e visibilitàall’expertise di infermieri trentini che attuanoun’assistenza basata sulle evidenze e genera-no quotidianamente informazioni e relazioni diqualità, che stimolano e possono essere utiliz-zate per produrre ulteriore ricerca.

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Nuovi orari per la segreteriadel Collegio Ipasvi

L'orario di apertura della segreteria CollegioIPASVI Trento è il seguente:Dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore12.00. Il lunedì ed il venerdì dalle ore 14.30 alleore 18.30. La sede è in Via Calepina, 75 38122 Trento. Tel. 0461239989e-mail PEC [email protected]

Servizio Posta Elettronica Certificataadozione obbligatoria

Si ricorda che il Collegio ha messo a disposi-zione di tutti gli iscritti all’albo il servizio P.E.C.(Posta elettronica certificata).

Per attivarla accedere al sito www.ipasvi.tn.it ,selezionare il link P.E.C. sulla home page adestra e seguire le istruzioni riportate. Va ribadito come l’adozione ed utilizzo di unaP.E.C. sia oggi disposizione di norma obbligato-ria per tutti i professionisti. Obbligo che diventaopportunità soprattutto per quanto concerne irapporti con le strutture, servizi ed uffici dellaPubblica Amministrazione. Elemento questoche consente di poter utilizzare i servizi (certifi-cati, richieste, …) senza dover accedere mate-

News43

rialmente presso le sedi istituzionali. Inoltre, l’istituzione di una casella P.E.C. pertutti gli iscritti del Collegio permette di inviaretutte le documentazioni e/o informazioni, traiscritti e Collegio con una notevole riduzione dicosti e di tempo. Questo presuppone che dal-l’attivazione delle caselle personali di P.E.C.tutto il materiale (notiziari, certificati, avvisi,ecc..) non saranno più stampati e spediti viaposta ordinaria ma inviati in maniera esclusivavia P.E.C.

Il ruolo del Collegio Ipasvi per la tutela della professione e del cittadino

In merito alla proposta di disegno di legge pro-vinciale sul pagamento della quota annuale diiscrizione, il Collegio Ipasvi di Trento ritiene didover sottolineare alcune questioni, indipen-dentemente da chi, ente pubblico o singoloprofessionista, sarà chiamato a sostenerne ilcosto. La proposta si appella per analogia alla senten-za della Corte di Cassazione numero 7776 diaprile 2015. Il dibattito su questo disegno dilegge, che prevede che la pubblica ammini-strazione si sobbarchi il pagamento della quotaannuale di iscrizione dei propri dipendenti,rischia di distorcere il significato dell’esistenza

di un'istituzione di tutela come è il Collegio aun mero aspetto economico. Preme, invece, sottolineare che esso è un entefondamentale per la tutela del cittadino, poichépresidia e vigila sull’esercizio etico e deontolo-gico della professione. L'obiettivo principe delCollegio, infatti, è quello di garantire la qualitàe la sicurezza nelle prestazioni degli infermieri. Inoltre, dire che il lavoro dell'infermiere va abeneficio delle strutture del servizio sanitarioprovinciale è un’affermazione che non rendegiustizia del vero motivo per cui esiste la pro-fessione infermieristica, ovvero il sostegno alcittadino in un momento di bisogno.Occorre però precisare che la FederazioneNazionale degli Infermieri, Assistenti Sanitariee Vigilatrici d’infanzia, dopo aver sentito ilMinistero della Salute in quanto organo vigilan-te, ha specificato come i principi giuridici con-tenuti nella sentenza siano vincolanti solo perla professione di avvocato. I Collegi Ipasvi,infatti, non hanno un “elenco speciale” per idipendenti pubblici, né questo dato è obbliga-toriamente registrato all'atto dell'iscrizione;quindi, il dettato della sentenza non sembraestensibile alla categoria.Ciò che preme è che non si sposti il focus dallacentralità del malato e dei suoi famigliari,facendo diventare centrali altre questioni. Ilcontributo della professione infermieristica,fondamentale nell’aiuto al cittadino durantetutto suo percorso di vita, non deve esseresminuito.

Page 43: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75

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Nuovi orari per la segreteriadel Collegio Ipasvi

L'orario di apertura della segreteria CollegioIPASVI Trento è il seguente:Dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore12.00. Il lunedì ed il venerdì dalle ore 14.30 alleore 18.30. La sede è in Via Calepina, 75 38122 Trento. Tel. 0461239989e-mail PEC [email protected]

Servizio Posta Elettronica Certificataadozione obbligatoria

Si ricorda che il Collegio ha messo a disposi-zione di tutti gli iscritti all’albo il servizio P.E.C.(Posta elettronica certificata).

Per attivarla accedere al sito www.ipasvi.tn.it ,selezionare il link P.E.C. sulla home page adestra e seguire le istruzioni riportate. Va ribadito come l’adozione ed utilizzo di unaP.E.C. sia oggi disposizione di norma obbligato-ria per tutti i professionisti. Obbligo che diventaopportunità soprattutto per quanto concerne irapporti con le strutture, servizi ed uffici dellaPubblica Amministrazione. Elemento questoche consente di poter utilizzare i servizi (certifi-cati, richieste, …) senza dover accedere mate-

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rialmente presso le sedi istituzionali. Inoltre, l’istituzione di una casella P.E.C. pertutti gli iscritti del Collegio permette di inviaretutte le documentazioni e/o informazioni, traiscritti e Collegio con una notevole riduzione dicosti e di tempo. Questo presuppone che dal-l’attivazione delle caselle personali di P.E.C.tutto il materiale (notiziari, certificati, avvisi,ecc..) non saranno più stampati e spediti viaposta ordinaria ma inviati in maniera esclusivavia P.E.C.

Il ruolo del Collegio Ipasvi per la tutela della professione e del cittadino

In merito alla proposta di disegno di legge pro-vinciale sul pagamento della quota annuale diiscrizione, il Collegio Ipasvi di Trento ritiene didover sottolineare alcune questioni, indipen-dentemente da chi, ente pubblico o singoloprofessionista, sarà chiamato a sostenerne ilcosto. La proposta si appella per analogia alla senten-za della Corte di Cassazione numero 7776 diaprile 2015. Il dibattito su questo disegno dilegge, che prevede che la pubblica ammini-strazione si sobbarchi il pagamento della quotaannuale di iscrizione dei propri dipendenti,rischia di distorcere il significato dell’esistenza

di un'istituzione di tutela come è il Collegio aun mero aspetto economico. Preme, invece, sottolineare che esso è un entefondamentale per la tutela del cittadino, poichépresidia e vigila sull’esercizio etico e deontolo-gico della professione. L'obiettivo principe delCollegio, infatti, è quello di garantire la qualitàe la sicurezza nelle prestazioni degli infermieri. Inoltre, dire che il lavoro dell'infermiere va abeneficio delle strutture del servizio sanitarioprovinciale è un’affermazione che non rendegiustizia del vero motivo per cui esiste la pro-fessione infermieristica, ovvero il sostegno alcittadino in un momento di bisogno.Occorre però precisare che la FederazioneNazionale degli Infermieri, Assistenti Sanitariee Vigilatrici d’infanzia, dopo aver sentito ilMinistero della Salute in quanto organo vigilan-te, ha specificato come i principi giuridici con-tenuti nella sentenza siano vincolanti solo perla professione di avvocato. I Collegi Ipasvi,infatti, non hanno un “elenco speciale” per idipendenti pubblici, né questo dato è obbliga-toriamente registrato all'atto dell'iscrizione;quindi, il dettato della sentenza non sembraestensibile alla categoria.Ciò che preme è che non si sposti il focus dallacentralità del malato e dei suoi famigliari,facendo diventare centrali altre questioni. Ilcontributo della professione infermieristica,fondamentale nell’aiuto al cittadino durantetutto suo percorso di vita, non deve esseresminuito.

Page 44: Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 - Poste Italiane SpA ...Anno 15 - Numero 1/2/3 Dicembre 2015 Registrazione Tribunale di Trento n.1062 del 17.10.2000 Redazione: Via Calepina 75