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Rivista dell’ Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino Luglio-Dicembre 2013 - Anno 14° - n. 63-64 Foto di Giorgio Bechelli (Ghana)

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Rivista dell’ Ospedale Psichiatrico Giudiziariodi Montelupo Fiorentino

Luglio-Dicembre 2013 - Anno 14° - n. 63-64

Foto di Giorgio Bechelli (Ghana)

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Mauritania

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Carceri, quale riabilitazione…di don Vincenzo Russo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 4

Marco Cavallo a Montelupo di AA .VV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 6

Indulto e amnistiadi Giuseppe Anzani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 8

Manicomio criminale?di Gabriele Reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 9

Una bellissima giornatadi Elis Dushku . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 10

Una storia da pauradi Luca Fioravanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 12

La stanza dei pescidi R .G . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 14

Lupo Alphadi R .G . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 15

Fede e scienzadi Marco Paudice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 16

La vita mia!!! di Attilio Bianchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 17

Confessionidi Marco Sanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 18

L’eternitàdi Attilio Bianchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 19

La letteratura indiana a sfondo religioso e nondi Alessandro Manca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 20

Come finirà?di Nicola Porcu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 21

Dedicata a chi può darmi una manodi Marco Sanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 22

Sono stufodi Simone Chessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 23

Dio dissedi Nicola Porcu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 24

Barbara celladi Simone Chessa e Giuliano Gaetani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 25

Piazza pazziadi Stefano Mancini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 26

Un saluto a tutti di Lorenzo Ciolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 29

Dedicata a chi non vuol sentiredi Marco Sanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 30

Riflessioni di Attilio Bianchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 31

COMITATO DI REDAZIONECharlotte hats

MarCo PaudiCe

alessandro ManCa

attilio BianChi GaBriele reali

HANNO COLLABORATOstefano ManCini

attilio BianChi

MarCo sanna

MarCo PaudiCe

alessandro ManCa

Matteo Bonelli

don VinCenzo russo

GiusePPe anzani

GaBriele reali

elis dushku

r.G.niCola PorCu

siMone Chessa

Giuliano Gaetani

lorenzo Ciolini

luCa fioraVanti

FOTOGiorGio BeChelli

Rivista dell’Ospedale psichiatRicO GiudiziaRiO di MOntelupO FiORentinO

ReGistRaziOne:Tribunale di Firenze n°5020 del 21/12/00

annO 14° nuMeRO 63-64luGliO-diceMbRe 2013

diRettORe:Marina Fedeli

diRettORe RespOnsabile:riccardo GaTTeschi

seGRetaRiO di RedaziOne:SiMone Silla

GRaFica e iMpaGinaziOne:andrea GraSSi

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L’articolo di don Vincenzo, Russo, cappellano della Casa Circondariale di Sollicciano, è stato pubblicato dal

settimanale Toscana Oggi del 3 novembre 2013. Ne pubblichiamo un estratto.

“Si fa, più o meno da sempre, un gran vociare di amnistia, di indulto, di condono, di grazia, e come sempre se ne vo-cifera di più quando la situazione carceraria ha

raggiunto l’apice della nefandezza; ovvero, dicono i vociferanti, quando le condizioni carcerarie diventano insostenibili.Per insostenibile intendono generalmente

quando il numero dei carcerati è talmente alto che le strutture carce-rarie non riescono ad accoglierlo. In concreto quando si verifica il so-vraffollamento, vale a dire che nei sette metri quadrati di cella che do-vrebbe, per legge, avere

Carceri, quale riabilitazione è possibile in questo

degrado umano?

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a disposizione un carce-rato, convivono, o cercano di farlo, dai quattro ai sei carcerati, compresi i letti a castello che già da soli occupano quattro metri quadrati di pavimento. Nei tre rimanenti dovrebbero starci sei persone. Se tutte e sei contemporaneamente volessero stare in piedi, e non sdraiati sulla branda, non potrebbero farlo senza stabilire dei turni. Immagi-niamo cosa succederebbe se oltre a voler stare in piedi, quelle persone volessero fare qualsiasi tipo di attività o solo di mo-vimento. Non parliamo di docce, di cessi in cella, di violenza, di droga, di crisi di asti-nenza, di malattie, di suicidi, di omicidi, di insetti, di topi, ecc., ossia tutto il corollario di degrado senza soluzione che circonda la persona carcerata, perché per tutto ciò non basterebbe la più scatenata immaginazio-

ne….. Che tipo di riabilitazione si potrebbe verificare stanti le condizioni di aberrazione in cui vivono i condannati? Se il sistema non sembra preoccuparsi delle vittime che genera, come potrebbe dunque recuperarle? Secondo quali principi, con quali metodi, a quale scopo, se la società “fuori” assomiglia sempre di più a un carcere a cielo aperto?

Non ci sono soluzio-ni facili né scorciatoie, tantomeno soluzioni momentanee; la dura realtà è che bisognereb-be produrre riabilita-zione nel carcere a cielo aperto, poi si potrebbe cominciare anche con quello a cielo chiuso. Il vociferare intono a que-sta necessità assomiglia sempre di più a uno ste-rile fastidioso rumore.”

Don Vincenzo Russo

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Venerdì 22 novembre è transitato anche da Montelupo l ’ormai famoso Marco Cavallo, la f igura simbolo di quella

battaglia, ormai decennale, combattuta su più fronti con lo scopo di determinare una volta per tutte la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani. Alcuni ragazzi ospiti della struttura di Montelupo hanno voluto salutarlo con molte domande e affermazioni di scottante attualità.

Eccone alcune:

- Ma perché non chiude l’OPG? Gliela farà una bella multa la Comunità europea?

- Si potranno avere in questo anno notizie sulla chiusura degli OPG?- Sono otto anni che sento dire che il pros-simo anno chiude l’OPG. Si farà in tempo a chiuderlo per chi verrà dopo di me?- Dove si finirà? Andremo in un posto mi-gliore? O finiremo dalla padella nella brace?- Non è che ci bombarderanno di terapia in assenza di controllo di polizia?- Gli ammalati psichiatrici gravi rimarranno a vita in queste nuove strutture?- I provvisori dove devono stare? A) a casa seguiti dall’asl, B) in comunità- Caro Marco, non dovremo mica costruire un altro drago per poter uscire?

Marco Cavallo a Montelupo

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- Se noi siamo qui qualcosa di sbagliato avremo fatto; però vogliamo dignità e stare in luo-ghi dove essere curati. Ma se da questi luoghi poi ci allontanano, dove ci mandano? In carcere?- Sono finito in OPG perché mi hanno privato del mio libero arbitrio. Adesso non desidero la libertà di uscire dalla detenzione ma la mia libera scelta.- Per risolvere la questione della chiusura degli OPG, più che un cavallo ci vorrebbe un’aquila: bisogna saper vedere lontano e non avere il paraocchi. Più del simbolo occorre l’esempio.

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Le righe che seguono sono estrapolate da un articolo apparso sul settimanale Toscana Oggi del 27 ottobre 2013.

“…… Una legge di clemenza è necessaria e urgente per allentare il cappio (della sovrap-popolazione carceraria. n.d.r.). Poi bisogna progettare il futuro “ordinario” ricondotto nell’alveo del progetto costituzionale. Il car-cere non è l’unica pena, anzi la Costituzione non la menziona neppure, e dice che la pena non può consistere nei trattamenti contrari al senso di umanità. Vanno dunque favori-te le pene alternative. Ma non perché sono meno dolorose, meno afflittive. Non è il “far male” lo scopo della pena, non è dare dolore,

Indulto e amnistiasofferenza, angoscia, vergogna, disperazione. La Costituzione ha scelto come scopo della pena “la rieducazione del condannato”. Se riuscissimo a capire come si rovescia il da farsi, per raggiungere questo scopo, e quale miglior risultato è l’emenda e il suo vantaggio socia-le rispetto alla costruzione di nuove carceri (ancora per la segregazione degli uomini-scarto), cesseremmo la follia di amministrare un inutile e indegno dolore. Certo, rieducare è difficile. Occorre più cuore che sferza. Una misurata indulgenza, chiudendo la stagione della passata disumanità, sarebbe un segnale di speranza e di impegno civile”.

Giuseppe Anzani

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Quale sarà il futuro degli OPG? Par-tiamo da un dato: questa problema-tica riguarda in percentuale più gli

uomini che le donne; eppure le donne sono più numerose degli uomini. Perchè? Chi c’è oggi nell’OPG di Montelupo? E oggi è ancora considerato un manicomio criminale? No; di fatto oggi è un cen-tro di recupero per persone dipendenti. Si può essere dipen-denti dalla droga, dall’alcol, ma an-che dalle insicurezze personali caratteriali. Che poi tutte posso-no sfociare in atti il-legali e sconsiderati. A Montelupo di veri folli, nell’accezione negativa del termine, non ce ne sono tanti. La prima cosa da fare nei confronti di queste persone è contribuire a rendere loro la fiducia in se stessi. Condividerlo vuol dire già essere a metà dell’opera. Sia da parte dei medici che delle persone arrestate.Lo sappiamo, il miglior medico è se stesso. La nostra società chiede meno alla donna e più all’uomo. L’affermazione sociale e professio-nale, nonostante l’affermata emancipazione femminile rimane una prerogativa dell’uomo, padre presente e futuro di famiglia. Così è.

Manicomio criminale?Quindi, come si può rendere fiducia all’uo-mo che si è perso? L’obiettivo finale è il suo inserimento, o reinserimento, nel mondo del lavoro. Quindi occorre auspicare nuove opportunità professionali, unite alla buona assistenza medico-scientifica durante tutto il percorso. Questa è l’unica via.

Ma il segreto – la marcia in più – non sono i simboli ne la scienza, la medi-cina, la professio-nalità. Il segreto è l’entusiasmo!Riuscire a creare strutture con queste basi fondamentali e consolidare il tutto con la capacità di trasmettere alle per-sone assistite l’entu-siasmo credo sia il modo migliore per vincere la depres-sione e l’isolamento tipico dell’internato emarginato non da una società troppo forte, ma prima di tutto dalle proprie

debolezze. Vincere quelle è il primo grande traguardo. Allora, a tutti, dico: riconosciamoci in questo bellissimo SMS, l’ultimo di Steve Jobs “Stay foolish, stay hungry” (siate folli, siate affamati) e facciamoci così una bella risata... potrebbe essere un buon inizio!”

Gabriele Reali

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Gli errori della giovinezza mi hanno condotto a commettere un reato; un reato che da circa cinque anni sto

scontando con il carcere. Da quasi tre anni mi trovo in questo di Prato.Durante questi anni ho messo tutta la mia volontà per reinserirmi, grazie anche all’aiuto degli operatori dei vari carceri dove ho scon-tato la mia pena, ma soprattutto gli operatori di questo istituto, partecipando a quasi tutto ciò che, da ristretto, mi è possibile. In un altro istituto, quello di Livorno, ho conseguito la licenza media e in questo di Prato sono iscrit-to alla scuola superiore dell’Istituto Francesco Datini dove frequento il terzo anno di Eco-

Una bellissima giornata

nomia Aziendale e dove spero di conseguire il diploma.Poco tempo fa, precisamente il 14 ottobre scorso, ho avuto il piacere di essere stato in-serito, insieme ad altri dieci miei compagni di sventura, in una gita collettiva ove ci è stata data la possibilità di godere di dieci ore di libertà con una visita al più bel museo del mondo, cioè gli Uffizi di Firenze. Quel giorno per me ha costituito un insieme di emozioni che porterò con me per sempre. Grazie anche al fatto che in quel giorno il museo era chiuso al pubblico, abbiamo avuto modo di godercelo più pienamente.Con mio stesso stupore sono riuscito a de-

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scrivere al nostro gruppo, che tra detenuti e altre persone che ci hanno accompagnati in quell’avventura eravamo all’incirca trenta persone, un quadro del famoso pittore Sandro Botticelli.Dietro questo progetto vi è stato un grande lavoro preparatorio da parte di alcuni volon-tari che ci hanno spiegato il valore del lavoro artistico; soprattutto grazie agli insegnamenti della professoressa Padovani che ci ha orien-tati ancora di più verso questa cultura che per molti di noi era una novità. Cosicchè siamo riusciti ad appassionarci e apprezzare le me-raviglie di questa città inserita nel patrimonio mon-diale dell’Unesco.Dopo aver visitato il museo, ci siamo recati a far visita a un importan-te laboratorio di restauro dove era in corso d’opera, oltre a tanti altri,

un quadro di Le-onardo da Vinci. Anche questa è stata un’esperienza unica.I componenti del-lo staff del labo-ratorio, compreso l’artista stesso au-tore dei restauri, sono stati molto gentili e dispo-nibili nello spie-garci e illustrarci

in modo professionale, le varie tecniche di restauro.Voglio infine augurare a tutti di poter avere il privilegio di vivere una giornata simile; soprattutto lo auguro a tutti coloro che si trovano nella mia stessa situa-zione perché ritengo che per noi detenuti sia molto importante sentirci “vivi” e parte della società e non sentirci sempre esclusi da tutto e da tutti.

Elis Dushku

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La mia storia incomincia nel lontano 1971, al mio primo vagito. Sono nato in una famiglia medio-borghese ma

già nella mia adolescenza si preannunciava un maremoto nella mia piccola e breve esi-stenza. Marinavo la scuola elementare e nel periodo natalizio ci divertivamo a rubare i pandori che i commercianti mettevano – ahimè – fuori del negozio. Intanto crescevo e le marachelle aumentavano sempre di più. Figuratevi che a soli quattordici anni rubai un camion con rimorchio pieno di frigoriferi e televisori che poi rivendei al mercato della Marranella dove c’erano pronti i marpioni che compravano tutto per due soldi.Io rimanevo sempre più esterrefatto del mio

istinto da predatore; infatti la gente di Tor Pignattara mi rispettava moltissimo. Ero di-ventato un ladro autonomo; ma io mi sentivo un bandito a tutti gli effetti. Avevo comprato la mia prima pistola – una calibro 7,65 – e diventai un piccolo boss nel quartiere. Con due miei amici, se così posso chiamarli, ci divertivamo a rapinare i negozi di discount e invece di aver paura ci divertivamo come pazzi. Ero diventato un rapinatore a tutti gli effetti.A volte mi pentivo di ciò che facevamo, ma la gente del mio quartiere mi voleva così e io ubbidivo senza rimpianti. A volte, insieme con il Calamita e Renzo il pugile, facevamo il bello e cattivo tempo in ogni quartiere di

Una storia da…. pauraEt

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ursi

(Etio

pia)

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Roma: potevamo fare tutto quello che ci piaceva anche perché non avevamo rivali in fatto di criminalità. Intanto crescevo e la mia povera madre era molto preoccupata per ciò che combinavo, tanto è vero che mi portò di forza in una comunità per ragazzi con le mie stesse problematiche. Fu un fallimento totale e tornai a casa più velenoso che mai.A circa venti anni avvenne la mia prima carcerazione: mi sbatterono a Regina Coeli. Così ho tenuto fede al proverbio nostrano che dice: nun è romano chi nun sale quei tre scalini.Da lì in poi la mia vita è stata un vero di-sastro.In carcere conobbi per la prima volta l’eroina e me ne innamorai alla prima sniffata; fu così che entrai nel mondo della droga. Sono sicuro che per voi lettori è brutto pensare che un furbetto di quartiere possa cascare nel tunnel della droga. Ma tant’è. Appena uscito di galera la prima cosa che feci fu quella di andare a procurami la seconda dose alla quale ne seguirono tante altre. In quella situazione ne combinai di cotte e di crude: rubavo in ogni posto anche dove non era concesso dai boss. Ma io me ne fregavo e facevo il bello e cattivo tempo in ogni dove perché ero considerato un intoccabile dai boss della Marranella. Infatti nessuno mi diceva niente e io fulminavo chiunque mi venisse a tiro. Ero entrato nel giro del narco-traffico e Pommidoro mi aveva assegnato il compito di tagliare l’eroina. A volte era più quella che sniffavo che quella che preparavo; era un lavoro molto pesante. Qualche volta fummo costretti a compiere delle sparatorie con la mala di altri quartieri e quasi sempre eravamo vincitori perché eravamo i più fuori di testa, i più malvagi e non avevamo paura

di niente e di nessuno. Intanto diventavamo più forti e invincibili. Eravamo diventati dei piccoli boss della Marranella tanto da con-trollare tutte le bische delle zone limitrofe e incominciavamo a vedere tanti soldoni, tipo zio Paperone. Eravamo pieni di ragaz-ze che rimanevano intrappolate dal fascino criminale.Poi venne il tempo delle carcerazioni: Frosi-none, Viterbo e infine Rebibbia, isola felice per i carcerati di tutta Italia perchè potevi comperare tutto quello che volevi, dal thè alla coca in cambio di una spesa di 30 euro. Diciamo che non mi facevo mancare niente e me la spassavo molto bene.Avevo appena finito il servizio militare e su-bito venni di nuovo arrestato. Mi mandarono al carcere di Frosinone dove ho scontato una condanna di due anni e sette mesi di reclu-sione per rapina ai danni di una farmacia. Scontata la pena, tornai a casa ma le cose non andavano bene: i miei amici – se così li possiamo chiamare! – subito mi offrivano della coca e voilà, mi incasinai di nuovo: ero un cocainomane!

Luca Fioravanti

Bambini ghanesi

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Dal maggio 2010 all’aprile 2011: dodici mesi difficili, sofferti, grigi, anche drammatici nell’esistenza di una donna di trent’anni. Dodici mesi impastati di alcol e

droghe e cibo che le hanno violentato la psiche e spiaccicato il cervello in un labirinto di sensazioni tutte al negativo.Ma finalmente uno spiraglio si è aperto anche nell’esistenza tor-mentata di Matilde. Finalmente ha visto di nuovo la luce e, forse, la salvezza. Fra le ultime righe del libro, ci sono queste frasi: “I miracoli esistono. Ho parlato con Sebastian e mi ha promesso che mi viene a trovare presto! Sono troppo felice, finalmente le cose vanno per il verso giusto. Giornata memorabile.”“La stanza dei pesci” (AB edizioni Alphabeta, Merano 2013) è un bel diario della vita persa e ritrovata di una ragazza come tante altre. Di una ragazza che, forse casualmente, è rimasta irretita – come il pesce in un acquario – nell’infido paradiso della cocaina ma che, grazie alla sua forza di volontà ma an-che grazie all’aiuto di tanti che le sono stati vicino, è riuscita a uscirne con le sue gambe e la sua testa.L’introduzione di Claudio Magris costituisce un’imperdibile saggio sulla storia e il valore dell’autobiografia.

R.G.

La stanza dei pesci

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Otto anni di vita di una persona “normale” non sono poi tanti. Ma otto

anni vissuti in maniera intensa, travolgente, qualche volta anche drammatica, possono segnare tutta un’esistenza. Quella, per esempio, di Danilo Gini, alter ego di Alfonso Figini, persona notissima nel mondo carcerario e universitario toscano. Carce-rario perché ormai da oltre un decennio Alfonso – a torto o a ragione (solo lui conosce la veri-tà) – è condannato all’ergastolo; universitario in quanto, pur nella ristrettezza materiale e spirituale in cui è costretto, ha trovato le capacità e le energie per laurearsi in ingegneria meccanica.Ecco, “Lupo Alpha”, un bel vo-lume per ora stampato in proprio ma in attesa di un vero editore, narra le vicende tumultuose, agitate, aggressive di questo gio-vanotto nella sua apparentemente e momentaneamente inarrestabile carriera di fuorilegge, dai primi furti ai fasti negativi di trafficante internazionale di droghe pesanti, fino all’accusa – sempre da lui negata e mai provata in maniera inequivocabile – dell’uc-cisione di due uomini.Come dice il postfatore, il dottor Massimo Nigro, ex magistrato di sorveglianza nel carcere di Prato e che dunque Lupo Alpha ha conosciuto bene: “…ho letto il libro velo-cemente e voracemente, con gusto e intima soddisfazione, come non mi succede spesso,

Lupo Alpha

trovandovi tanti spunti e motivi di interesse.”E’ tutto vero perché lo stile della narrazione, grazie anche alla collaborazione del coautore Paolo Dapporto, è coinvolgente, “scorrevole e incalzante”.Attualmente Alfonso Figini è in regime di semilibertภesce dal carcere alle sette del mat-tino, si reca in una struttura universitaria per svolgere la sua attività di ricercatore, e rientra la sera. E’ appassionato di motociclette¸ forse preferisce le Ducati.

R.G.

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Spiragli - Luglio-Dicembre 201316

Cari lettori, sono trentacinque anni che soffro, ma finalmente sono quasi alla meta. Ho pro-blemi con la giustizia italiana dal lontano 8

marzo del 2001. Mi sono ammalato di mente princi-palmente per carenza d’affetto. Nel 1994 già provavo molto disagio interiore e mi volevo buttare da un dirupo molto alto di una montagna. Oggi sono iscritto al corso di laurea di matematica e sono in grado di comprendere molte cose. Adesso sono equilibrato mentalmente. Per esempio so che:

sen²x + cos²x = 1 in trigonometria.

Ho anche voglia di vivere e combattere per la giustizia nelle piccole e grandi cose. Che ne dite: sono stato curato alla perfezione, oppure ho ritrovato questo mio equili-brio perché ho pregato il santissimo rosario che mi ha miracolato? O tutti e due, visto che il miracolo in me è l’abbinamento di fede e scienza. Fatemi sapere.

Marco Paudice

Fede e scienza

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Mi sento a capo di una rivoluzione socio-culturale. Anzi, non mi sento, lo sono! Sarebbe

l’ora di passare all’azione. Quanto ancora devo subire so-verchierie? Ma è vicino il tempo di metterci mano. Così come vedo la Polizia Penitenziaria dalla mia parte socio-culturale, altri sono con-tro, come gli infermieri, i detenuti, le OS (operatrici samitarie), le edu-catrici, i volontari.

Il complottoA volte sposto il mondo con un dito oppu-re provo fatica ad alzarmi per prendere un pacchetto di sigarette. Ultimamente, e per parecchio tempo, mi colava il naso; io credo che siano state lacrime di pianto visto che non riesco a piangere. Quando è venuto mio fratello a pranzo per Natale, a un certo pun-

La vita mia!!!to la sua vicinanza mi ha fatto piangere.

A volte gli eventi e le persone ci hanno messi contro dicendo che io ero buono,

bravo, con un bel carattere e lui invece che pensava solo a se stesso. Ma ora

sono sicuro che non è così e questo aiuta a chiudere

la ferita.Le persone dalla mia parte

socioculturale li chiamo angeli. Giada, l’educatrice, è un angelo, il

dottore è l’arcangelo Gabriele e se non commetto errori nel giudicare, anche il dottor Domenico è un angelo. Le infermiere Mary, Giuliana e Antonella sono angeli; e anche Roberto, l’infermiere di notte e Bruno sono angeli. Tutti gli angeli mi aiutano a cu-rare la mia ferita. L’assistente, quello giovane, è un angelo e anche qualche altra guardia. Non posso fare i nomi dei Demoni perché scaricherei la rabbia.

Attilio Bianchi

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Non è vero che il mare è traditore; traditori siamo noi. Per un certo periodo, non vi dico quando, uscivo

con una bella ragazza molto più giovane di me. Una volta mi scrisse una lettera prima di andare a dormire. Infatti c’era un po’ di confusione nella spiegazione del contenuto, nel quale più che altro si scusava per il suo modo di scrivere. Una mattina ero libero ed entrai in un bar. In quel periodo non bevevo e, dopo aver comperato un foglio protocollo lo riempii in tutte le sue quattro pagine. Con una calligrafia impeccabile ed una scorrevo-lezza nel dirle quel che sentivo per lei, senza mai sbagliare, senza mai correggere nulla. La mia lettera finiva dicendole che una di quelle mattine, andando in spiaggia dove si sentiva soltanto il rumore di un’onda lunga, quella di un mare che si sta appena risvegliando, mi sono avvicinato all’acqua e dopo aver chiuso

Confessioni

bene la lettera, la affidai al mare perché la tenesse con se cancellandone la scrittura ma senza dubbio conservandone il contenuto.Ecco, quello era un mare solcato da quei famosi marinai che non mantengono le pro-messe. Per mio conto, pur non avendo mai preso un bastimento, sono stato anch’io un marinaio che ha mentito non a una ma a due persone. Tenni nascosta la fotografia di quella ragazza in un doppiofondo senza spessore di un portalettere. Lì, anche dove mia moglie poteva trovarla; ma non avendo mai dubitato di me non lo fece mai. Un anno prima che io e mia moglie ci lasciassimo, presi quella foto, andai da mio cugino e di nascosto dalla moglie la bruciammo nel fuoco del caminetto. Ormai la paura di perdere mia moglie era fondata. Ma era troppo tardi, sapevo di averla persa dodici mesi prima.

Marco Sanna

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Spiragli - Luglio-Dicembre 2013 19

Qualche mese fa, la mattina, consultai come faccio sempre, l’oroscopo alla televisione, e quel giorno mi disse

che avrei incontrato un amico che mi avrebbe cambiato la vita. Più tardi andai al passeggio per l’ora d’aria e nel cortile c’erano più persone. Ma piano piano tutte se ne andarono e rima-se solo il mio caro amico Roberto. Stavamo seduti a guardare il cielo che era nuvoloso e lui mi parlava del tempo dicendo che sperava che il sole ce la facesse a uscire. A un certo punto si aprì un buco nelle nuvole e spuntò il sole. Fu in quel momento che cominciai a pensare all’eternità e a cambiare la mia vita. Il mio amico intuì che dovevo colpirlo a tradi-

L’eternitàmento e combattere con lui e così si sarebbe raggiunto il mio cambiamento e cioè la libertà e l’eternità. A lui tremavano le gambe a causa dei farmaci ma io so interpretare i segni del corpo altrui e lui, con i movimenti delle gam-be, mi diceva “Attaccami, attaccami!”. Dopo un bel po’ di paura e di titubanza, mi arresi e non lo colpii. Mi appoggiai a un pilastro di ferro e cominciai a farmela addosso e non cercai nemmeno di fermare la diarrea e la feci tutta nei pantaloni della tuta. Quando mi ac-corsi che c’era l’assistente buono mi avvicinai a lui tutto merdoso e gli dissi: “Lo sai cosa mi è successo?” e lui disse: “Cosa? “e io: “Me la sono fatta addosso pensando all’eternità.” E lui mi seppe stupire ma aveva ragione: “Ci credo! L’eternità fa paura a tutti!”

Attilio Bianchi

Statua di Buddha (Cina)

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Il primo libro scritto in India è il Veda; inizialmente era un volume singolo che poi è

stato diviso in quattro parti: RIG-VEDA, SAMA-VEDA, JAJUR-VEDA, ATHARVA-VEDA.

- Il Vedanta-Sutra è solo la co-noscenza spirituale dei VEDA in forma di aforismi.- Lo Srimad-Bhagavatam è il commento autorizzato dai maestri spirituali che risale a Dio.- Le 108 Upanisad sono piccoli libri che parlano di incarnazioni di Dio e di grandi personalità della spiritualità indiana.- I 18 Purana sono racconti sulla conoscenza spirituale in forma di episodi esistenziali.- Il Mahabarata è la conoscenza spirituale in forma semplificata e di più facile assi-milazione. Di cui il libro più importante è la Bhagavad-Gita nel quale è Dio stesso a parlare.- Il Ramaiana di Valmiki è un racconto epico che parla delle avventure di Sita e Rama.- Gli Yoga-Sutra di Patanjali è un manuale sulle posizioni dello yoga più conosciuto in Occidente.

Tutti i libri, tranne gli ultimi due, sono scritti da Srila Viasadeva chiamato l’Avatara scrit-tore.Caitanya Camritamrita: si tratta della biogra-

La letteratura indiana a sfondo religioso e non

fia di Sri Caytania, l’avatara più importante. La forma combinata della dea e del dio (Rada e Krisna) in un unico corpo. La serie di volumi sono stati scritti a cura di Srila Krisnadasa Kaviraja Goswami

Alessandro Manca

India

Una mucca sacra con cinque zampe a Varanasi (India)

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Oggi sono qua, domani non si sa. Se io, Nicola, un giorno non sarò più qua, dove mi troverò? Dentro qua o

nell’Aldilà? Io sono credente, ma dubito. Ci sarà la libertà, la giustizia, quella vera? E quan-do arriverà? Per me non so; spero presto. E quale sarà la mia casa? Il cimitero? Sotto terra? E poi la commedia divina di Dante è una sua invenzione adattata alla sua epoca dettata sia dai Vangeli che dal Nuovo Testamento. E’ come se io, Nicola Porcu, che sono un essere umano come tutti gli altri, mi trasformassi in un altro essere e non più col mio nome e

Come finirà? cognome ma come un combattente in favore della pace, della giustizia sociale, della libertà e dell’amore. Sino a dare la mia vita terrena, sino alla estrema unzione. Ma poi per noi ci sarà la resurrezione, il giudizio finale e il ri-torno del Signore come re, salvatore, giudice supremo e vincitore contro il tumore della società, dittature e guerre incluse.Io dico: “chi vivrà vedrà!” Da uno che ne sa, ma ancora per poco, si saprà come in fondo il mondo finirà?

Nicola Porcu

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È vero, mi sento colpevole di cose che non ho mai confessato.Ma se ciò l’ho tenuto per me, in fondo così male poi non è stato.In quanto portando in piazza certi avvenimentiavrei corso il rischio di passare per uno senza sentimenti.Ciò che è successo è proprio per il motivoche la mia vita è rappresentata da una smorfia che pare un sorriso.Adesso che il libro è scritto, ho tutta la parentela contro;ma anche prima era così e di variazione non si nota alcun riscontro.Cosa ho fatto di male? Proprio non riesco a capirlo,se quando ero colpevole ero sempre il primo a dirlo!E’ proprio vero che uscire fra la gente normalevien più difficile che stare in un manicomio criminale.In piazza ti conoscono da annima i loro discorsi parlan solo dei tuoi danni.O meglio di quelli che hai combinatoche abbia avuto un giudizio o no; che sia stato condannato.Senza badare a ciò che loro fanno da una vita,visto che gli sfugge che giorno è, che sia domenica o lunedì,che sia festa o giorno ferialel’argomento col pettegolezzo è sempre cosa normale.Non ci si può sempre occupar degli affari altrui,se poi in casa propria le situazioni e gli argomenti sono sempre più bui.E non ti permetton di vedere ciò che dentro hai,che i tuoi difetti son celati da un’espressione di sufficienzae ormai non colgono più nel pieno della loro deficienza.Non parlo di quella fisica, ma di quella mentale,visto che non si può parlare di difetto se il primo a errareè la solita persona non capace di far altro, come i preti dal pulpitosempre pronti a dirti di redimerti con una bella paternale.

Marco Sanna

Dedicata a chi può darmi una mano

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Sono stufo di stare in un OPG. Proprio oggi ho scrit-to al mio dottore per fargli

sapere che la mia speranza è quella di andare in una comunità. Ho riflettuto tanto in sei anni che giro come un pacco postale per tutta l’Italia. Basta, non ne posso più. Il mio desiderio è quello di andare in una comunità e fare del volontariato al 118. Questo perché voglio aiutare il prossimo perché a me, qui a Montelupo, mi stanno aiutando abbastanza. Però voglio uscire, andarmene di qua, farmi una nuova vita e salutare tutti con mille ringraziamenti.

Simone Chessa

Sono stufo

Religioso ortodosso (Serbia)

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Io corrispondo dall’Alfa all’Omegacioè, dal primo all’ultimo.L’atomo non si divide,e io so che un bel giorno,non ci sarà più il buio, ma solo “luce”.Per tanti non ci sarà più bisogno di soldie si vivrà solo di amore,libertà e pace.Questa è la mia percezionecome essere umano.Dio salì solo una volta sulla croce,ma ha detto e promessoche viene per la seconda voltae il Regno non ha fine, per l’eternità.Questo l’ha detto Dio, e questo lo dico io.Nel 1984 il medico del paesemi propone un encefalogramma:risultava ritmo “alfa”nella zona posteriore del cervello.Mi informai dal mio medicoche mi disse che “alfa” èla prima lettera dell’alfabeto grecoma corrispondeva perfino a una personache si trova in stato “trans”.Molte persone che praticano yoga

possiedono doti di rilassamento e concentrazionema anche poteri paranormalio anche extrasensorialiche si sviluppano dalla nascitae possono superare i limiti della vitaoltre la morte.Col passare degli annie con esperienze di sofferenzao di situazioni particolari,come persone che passano molto tempoin ospedali psichiatricio nella strada, o in carcere,o in uno stato di coma temporaneo,la scienza non riuscirà mai a capirel’esistenza di alcuni fenomenicome la chiaroveggenzao la precognizione. Sono le forme più misteriose di tutte le espressioni di vita.Cioè non è il sesto sensoma il settimo sensoche possiedono pochissime personenel mondo intero.Tutto quello che dicofa parte della mia vita.

Nicola Porcu

Dio disse

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Siamo chiusi dentro quattro mura, io e il mio compagno di sventura Giuliano. Preghiamo

la Madonna che ci porti fortuna. Ogni giorno facciamo tre passi, avanti e indietro, dentro queste quattro mura. Trac, trac¸ le chiavi dell’agente che chiude il blindo e ci augura la buona-notte. Speriamo che la notte che arriva ci porti in sogno una bella avventura. Che ci tolga, almeno per qualche ora notturna, da questa triste sciagura. Io spero nella scarcerazione, ma non ci conto tanto. Certe volte ho l’impres-sione di essere un pacco postale che da un istituto viene spostato in un altroin un via vai continuo. Il mio compa-gno, che mi chiama fra’, mi domanda: “Sei ancora una volta qua?” e io gli rispondo: “Boh, fra’, che ce posso fa? Fuori è pieno di gente che ti infamae la galera non vuol far…Io aspetto con pazienza la libertà.”

Simone Chessa e Giuliano Gaetani

Barbara cella

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11 novembre 2013

Era l’autunno del 2002, un triste pe-riodo per me. Mi trovavo a Firenze, da Santa Maria Novella a Piazza Si-

gnoria e poi a Palazzo Pitti; vagavo in cerca di cosa ancora non so; volevo conoscere la gente, la città, il mondo. In Piazza Pitti c’era-no studenti, turisti, persone che giravano per i fatti loro. Credevo di mimetizzarmi bene finchè ebbi un senso di smarrimento. Ero solo, corpi che mi venivano incontro, corpi che mi sorpassavano. Iniziò a girarmi la testa, provavo un senso di confusione. Non era pos-sibile che ognuno di noi pensasse così tanto intensamente agli affari personali. Del resto non è certo la piazza dove si pensa ai propri problemi; ma tutta quella indifferenza non mi sfuggì. Rimasi perplesso, dubbioso sul fatto che ogni singolo essere avesse così tanto da

concentrarsi per risolvere le questioni perso-nali. Tra tutti i disturbi mentali che i luminari della psichiatria mi hanno diagnosticato non c’è l’agorafobia, e non credo di esserne affetto. Credevo che la piazza fosse un luogo di ag-gregazione sociale, dove noi uomini fossimo capaci di scambiarci pensieri, opinioni, parole, ma anche solo sguardi. Invece ognuno di noi era chiuso nel suo cerchio e badava bene a far rispettare il proprio spazio vitale. Ho appena avuto un flash-back sulla foto di una piazza del mio paese; una foto in bianco e nero dei primi anni del Novecento. La piazza era gre-mita di gente vestita bene, uomini con donne, le persone sembravano divertirsi, essere felici, stare bene le une con le altre; a distanza di un secolo la situazione è diversa, molto cambiata, non credo in meglio. La gente non sa come divertirsi, non sa stare bene, l’individualismo regna sovrano. Noi esseri umani non siamo

Piazza pazzia

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più capaci di condividere il bene, la gioia, la felicità, l’amore. Siamo negli anni in cui i so-cial network hanno raggiunto un’espansione tale da permettere a tutti noi, o meglio a voi, di stare aggiornati, di contattare chiunque anche a distanze ragguardevoli; ma che senso ha stare a chattare per ore, per giorni, scam-biarsi foto e video se poi non ci conosciamo di persona, se poi non ci confrontiamo, se poi non riusciamo neppure a guardarci ne-gli occhi? Il mio desiderio è quello di poter conoscere la gente anche attraverso l’uso di apparecchi elettronici, informatici; ma se poi non posso usare i cinque sensi di cui dispongo per far conoscere la mia persona e soprattutto per essere certo di chi ho di fronte, potrei anche fare a meno del computer per vivere. Sono sette anni che mi trovo in carcere, privato della libertà di muovermi, e non solo… Certo, con il reato che ho commesso ci mancherebbe altro che non fossi in un Istituto; ma devo distrarmi, cercare di non pensare a quel maledetto agosto 2006. Ho passato tre anni all’OPG di Montelupo, e anche se non c’erano piazze in Istituto, vi erano luoghi per poter socializzare, salette comuni, spazi ricreativi e perché no? anche

il campo da calcio per alcune feste. In quei momenti credo che ognuno di noi pensi più a come appare che a come è; del resto non è mia la frase che viviamo in un mondo appa-rente. Adesso mi trovo nel carcere di Prato da quattro anni. Anche qui ci sono luoghi comuni; uno di questi, nella nuova sezione per studenti universitari, è il corridoio. Esco senza badare troppo all’aspetto, forse appaio trascurato, ma la voglia di accendere la prima sigaretta della mattina è esagerata; e poi c’è anche il fatto di poter scambiare due battute con gli altri; sempre le stesse, ma servono, dopo il buongiorno, per iniziare un discorso su qualsiasi argomento. Noto subito che è l’aspetto, attraverso il senso della vista, a do-minare gli altri sensi. Sono anni, da quando sono recluso, che vesto con gli stessi abiti; non è che mi ci sono affezionato, ma non può essere diversamente. Già mi sento a disagio per questo. Poi ci sono i capelli che con tutta la buona volontà che ci posso mettere a siste-marli, sembrano essere più ribelli della mia personalità… sull’odore che emano in carcere, meglio sorvolare e soprattutto sul tono della voce che ho a causa delle molte sigarette che fumo… quasi sempre soffusa, nasale e a volte

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rauca. Insomma, alla vista appaio orrendo, all’udito fastidioso e all’olfatto sgradevole; ci rimane il tatto, al limite una stretta di mano, ma con la tonicità muscolare che ho perso sembra la stretta di un bambino. In fondo ci sarebbe anche il gusto fra i cinque sensi, ma di donne non ce n’è neanche l’ombra e anche ci fosse una presenza femminile, non si può…

12 novembre 2013

Un altro giorno di galera è passato; qui si contano i giorni e a volte an-che i secondi scanditi dall’orologio,

sempre che lo si possegga. Ieri sera avrei vo-luto continuare a scrivere e stamani mi sono svegliato con la domanda: “ma qual è stata la prima piazza, il primo spazio aperto che ho visto?” Probabilmente il cortile davanti a casa mia, o quella che una volta si chiamava aia. Un tempo l’aia era di fondamentale impor-tanza per le famiglie; il fatto più importante che vi avveniva era la battitura del grano e il banchetto per sfamare i partecipanti; ma era

anche un luogo di ritrovo, di festa, di canti e di balli.

16 novembre 2013

Oggi scrivo per noia; è sabato e non abbiamo ricevuto alcuna visita. Do-mani, domenica, sarà una giornata

ancora più noiosa… adesso sto scrivendo in saletta; condivido questo spazio con un sim-patico giovane che è anche il mio compagno di cella. Mi viene da pensare: “non ci fosse la TV io non scriverei, lui non la seguirebbe e magari staremmo a parlare.” Poco fa ci siamo scambiati opinioni sul nostro futuro; lui è prossimo a uscire, ma per me è ancora lontana la libertà, sempre che di libertà si possa parlare per un paziente psichiatrico… nel 2023 non so se avrò ancora il denaro ne-cessario per l’acquisto di una tenda in modo da accamparmi in qualche piazza fiorentina; solo così gli psichiatri non penseranno che tendo a isolarmi!

Stefano Mancini

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Un saluto a tuttiSaluto Giada, Edi, Ilaria, Susanna, Nicola, Teresa, Fran-

cesca e Santo, Antonella, Susanna e Mara, Antonio e Roberto e Arianna. Saluto la dottoressa Claudia e

tutti gli assistenti. Mi mancherete tanto! Vi saluto con tutto il cuore e sto piangendo perché ho lasciato il mio lavoro che mi piaceva tanto. Avrei voluto finire qui la mia pena; ma sono comunque contento di andare alla Querce. Ciao a tutti dal vostro

Lorenzo Ciolini

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Non esiste persona peggiore di chi non sentema se può di nascosto ascolta;poi magari va a riferire il tutto in maniera stolta,senza badare se davanti c’è qualcuno che ben altro ha nella mente.

Non si può sempre dar retta al giudizio della gente, se prima non ci si accerta che chi ha parlato mente;tant’è che uno che parla tanto per parlare, non può essere sincero,ma lo fa solo per esprimere il suo animo nero.

Magari anche senza volerlo, ma lo fa e la cosa è molto gravecome l’esempio che ci porta una parabola che parla di una traveparagonata a una piccola pagliuzza.

La quale è fastidiosa, ma si può superarese tutti ci mettessimo d’accordo, ma ne dubito,ad osservare l’undicesimo comandamento e anche subito!

Marco Sanna

Dedicata a chi non vuol sentire

Lhasa (Tibet)

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RiflessioniIo sono l’Eroe Misconosciuto perché mi impedisco di combattere.

Sento che la dimensione parallela è realtà anche quella ma l’Haldol (psicofarmaco) mi blocca e mi chiude il cervello in una scatola.

Io sto bene quando sono in tensione evolutiva.

Io voglio distruggere i batteri dell’umanità

Il dottor Domenico mi disse a ragione che stavo montando una strategia d’attacco.

Devo ricominciare.

Sono nazista e voglio fare igiene etnica dell’umanità maligna.

Io voglio trasformarmi a immagine di Dio

La trasformazione personale è l’arma più potente che si possa usare per trasformare l’umanità e l’intero pianeta. Forza Attilio!

Non si può morire dentro.

Gli extraterrestri esistono e forse io lo sono.

Un avversario prima o poi va affrontato.

Perché ci si ammala? Non è per quello che entra nella bocca

ma per quello che esce dal cuore.

Perché il Male trionfi basta che il Bene rinunci all’azione.

Io vengo (credo) da un altro pianeta e ci ritornerò per l’eternità.

Attilio Bianchi

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è aperto alla collaborazione di chiunque voglia partecipare con proposte, commenti, articoli, critiche, poesie, vignette.

INVIARE IL MATERIALE AL SEGUENTE INDIRIZZO:Redazione di Spiragli - Ospedale Pschiatrico Giudiziario,

Viale Umberto Primo 64 - 50056 Montelupo Fiorentino (FI)Oppure contattare la redazione il martedì e il venerdì dalle ore 13.30 alle ore 15.00

presso la sala della biblioteca piano terra, 3ª sezione

“Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza - su parere favorevole del Direttore - tutti coloro che, avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti, dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera”

Art. 17 legge 354/75

A.V.P.Associazione di volontariato penitenziario

WWW.SPIRAGLI.ITVia delle Ruote 22 r - Firenze - tel. 055.470412

Per contributi e donazioni:C.R. FIRENZE - AGENZIA 26 - IBAN: IT72M0616002826000012433C00

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