anno 14 giugno 2004 - macondo.it · Romano d’Ezzelino ... Ruffato Monica, Ruiz Samuel, San-sone...

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54 anno 14 giugno 2004 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli MADRUGADA È scesa la sera. La sala è immersa nella penombra. Ai tavoli si stagliano figure immobili: sembra un’adunata di stanchezza, di curiosità, di ambizione… Fuori delle ampie finestre turbina morbida la neve. Lì vicino, sulla prospettiva Nevskij, ferve la vita. Lontano, sui Carpazi, scorre il sangue. C’est la vie.

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g i u g n o 2 0 0 4

r i v i s t a t r i m e s t r a l e d e l l ' a s s o c i a z i o n e p e r l ' i n c o n t r o e l a c o m u n i c a z i o n e t r a i p o p o l i

MADRUGADA

È s c e s a l a s e r a .

L a s a l a è i m m e r s a n e l l a p e n o m b r a .

A i t a v o l i s i s t a g l i a n o f i g u r e i m m o b i l i :

s e m b r a u n ’ a d u n a t a d i s t a n c h e z z a ,

d i c u r i o s i t à , d i a m b i z i o n e …

F u o r i d e l l e a m p i e f i n e s t r e

t u r b i n a m o r b i d a l a n e v e .

L ì v i c i n o , s u l l a p r o s p e t t i v a N e v s k i j ,

f e r v e l a v i t a .

L o n t a n o , s u i C a r p a z i , s c o r r e i l s a n g u e .

C ’ e s t l a v i e .

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direttore editorialeGiuseppe Stoppiglia

direttore responsabileFrancesco Monini

comitato di redazioneStefano BenacchioGaetano Farinelli

collaboratoriMario Bertin

Alessandro BresolinEgidio CardiniFulvio CorteseSara DeganelloGiovanni Realdi

progetto graficoAndrea Bordin

stampaLaboratorio Grafico BSTRomano d’Ezzelino (Vi)

Stampato in 2.500 copie

Chiuso in tipografia

il 31 maggio 2004

Registrazione del Tribunale di Bassano n. 4889 del 19.12.90La redazione si riserva di modificare e abbreviare i testi originali.

Studi, servizi e articoli di “Madrugada” possono essere riprodotti,purché ne siano citati la fonte e l’autore.

MADRUGADA54

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Via Romanelle, 12336020 Pove del Grappa / Vi

telefono 0424 80.84.07fax 0424 80.81.91

c/c postale 12794368c/c bancario 023570065869

veneto banca(cin N - abi 05418 - cab 60260)

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SOMMARIO

3 controluceGenitori, consiglieri o testimoni?ovvero la relazione educativala redazione

4 controcorrenteMetteranno i nostri frammentinella loro argilladi Giuseppe Stoppiglia

7 dentro il guscioTerritorio, genitori e percorso educativodi Giuseppe Stoppiglia

9 la relazione educativa / 1Essere la rete per trapezistidi Monica Lazzaretto

12 la relazione educativa / 2La famiglia e la società civiledi Mirca Minozzi

14 approfondimentiBiotecnologiedi Tomas Morosinotto

16 esodiFate la verità attraverso l’amoredi Mario Bertin

19 il piccolo principeGuadagnare la tenerezzadi Egidio Cardini

21 pianoterraTotò cerca casadi Giovanni Realdi

23 itinerariL’Algeria al biviodi Alessandro Bresolin

25 luoghiBosnia-Erzegovina: prova a immaginaredi Sara Deganello

27 notizieMacondo e dintornidi Gaetano Farinelli

31 redazionaleFrontiere, bordes, fronterasa cura di Giuseppe Lanzi

Hanno scritto fino ad oggi su Madrugada:Alberton Diego, Allegretti Umberto, Allievi Stefano, Alunni Istituto Alberghiero AbanoTerme, Alves Dos Santos Valdira, Amado Jorge, Amoroso Bruno, Anonimo peruviano,Anonimo, Antonello Ortensio, Antoniazzi Sandro, Arsie Paolo Pelanda, Arveda Gi-anfranco, B.D., Balasuriya Tissa, Baldini Marco, Barcellona Pietro, Battistini Piero,Bayuku Peter Konteh, Bellemo Cristina, Benacchio Stefano, Benedetto da Sillico,Berrini Alberto, Bertin Mario, Bertizzolo Valeria, Berton Roberto, Bianchin Saul, Bon-fanti Vittorio, Bordignon Alberto, Borsetti Corrado, Boschetto Benito, Boselli Ilaria,Braido Jayr, Bresolin Alessandro, Brighi Cecilia, Brunetta Mariangela, Callegaro Ful-via, Camparmò Armida, Canciani Domenico, Cardini Egidio, Casagrande Maurizio,Castegnaro Alessandro, Castellan Gianni, Cavadi Augusto, Cavaglion Alberto, Cav-alieri Giuseppe, Cavalieri Massimo, Ceccato Pierina, Cescon Renato, Chierici Mau-rizio, Ciaramelli Fabio, Colagrossi Roberto, Collard Gambiez Michel e Colette, Col-li Carlo, Corradini Luca, Correia Nelma, Cortese Antonio, Cortese Fulvio, Crimi Mar-co, Crosta Mario, Crosti Massimo, Cucchini Chiara, Curi Umberto, Dalla Gassa Mar-cello, Dantas Socorro, De Benedetti Paolo, De Lourdes Almeida Leal Fernanda, DeMarchi Alessandro, De Silva Denisia, De Vidi Arnaldo, Deganello Sara, Del GaudioMichele, Della Queva Bruno, Demarchi Enzo, Di Felice Massimo, Di Nucci Betty,Di Sante Carmine, Di Sapio Anna, Dos Santos Isabel Aparecida, Elayyan Ziad, Eu-nice Fatima, Eusebi Gigi, Fabiani Barbara, Fantini Francesco, Farinelli Gaetano, Fer-reira Maria Nazareth, Figueredo Ailton José, Filippa Marcella, Fiorese Pier Egidio,Fogli Luigi, Fongaro Claudio e Lorenza, Franzetti Marzia, Furlan Loretta, Gaiani Al-berto, Galieni Stefano, Gandini Andrea, Garbagnoli Viviana, Garcia Marco Aurelio,Gasparini Giovanni, Gattoni Mara, Gianesin Roberta, Giorgioni Luigi, Gomez deSouza Luiz Alberto, Grande Ivo, Grande Valentina, Gravier Olivier, Grisi Velôso Thel-ma Maria, Gruppo di Lugano, Guglielmini Adriano, Gurisatti Paolo, Hoyet Marie-José, Jabbar Adel, Kupchan Charles A., Lanzi Giuseppe, Lazzaretto Marco, LazzarettoMonica, Lazzarin Antonino, Lazzarini Mora Mosé, Lima Paulo, Liming Song, Lizzo-la Ivo, Lupi Michela, Manghi Bruno, Marchesin Maurizio, Marchi Giuseppe e Giliana,Margini Luigia, Marini Daniele, Masina Ettore, Masserdotti Franco, Mastropaolo Al-fio, Matti Giacomo, Medeiros J.S. Salvino, Meloni Maurizio, Mendoza KuauhkoatlMiguel Angel, Menghi Alberto, Mianzoukouta Albert, Miguel Pedro Francisco, Mi-lan Mariangela, Milani Annalisa, Minozzi Mirca, Miola Carmelo, Missoni Eduardo,Monini Francesco, Monini Giovanni, Montevecchi Silvia, Morelli Pippo, MorgagniEnzo, Morosinotto Tomas, Mosconi Luis, Murador Piera, Naso Paolo, Ortu Maurizio,P.R., Pagos Michele, Parenti Fabio Massimo, Pase Andrea, Pedrazzini Chiara, Pe-drazzini Gianni, Pegoraro Tiziano, Pellegrino Mauro, Peruzzo Dilvo, Peruzzo KrohlingJanaina, Peruzzo Krohling Cicília, Petrella Riccardo, Peyretti Enrico, Peyrot Bruna,Pinhas Yarona, Pinto Lúcio Flávio, Plastotecnica S.p.A., Priano Gianni, Ramaro Gi-anni, Ramos Valdecir Estacio, Realdi Giovanni, Reggio Stefano, Ribani Valeria, Ri-pamonti Ennio, Rossetto Giorgio, Rossi Achille, Ruffato Monica, Ruiz Samuel, San-sone Angelica, Santacà Antonella, Santarelli Elvezio, Santiago Jorge, Santori Cris-tiano, Sartori Michele, Sarzo Paola, Sbai Zhor, Scotton Giuseppe, Sella Adriano, SenaEdilberto, Senese Salvatore, Serato Stefano, Simoneschi Giovanni, Sonda Diego Bal-do, Spinelli Sandro, Stanzione Gabriella, Stivanello Antonio, Stoppiglia Giuseppe,Stoppiglia Maria, Stradi Paola, Tagliapietra Gianni, Tanzarella Sergio, Tessari Leoni-da, Tomasin Paolo, Tonucci Paolo, Tosi Giuseppe, Touadi Jean Leonard, Trevisan Re-nato, Turcotte François, Turrini Enrico, Vulterini Stefania, Zambrano Maria, ZanettiLorenzo, Zaniol Angelo, Zanovello Ivano.

copertinaversi di Isaak Babel’

L’armata a cavallo e altri racconti

immaginiGiuseppe Lanzi

Frontiere

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Continua a piovere sulle rose di maggio. Comele bombe sulle case, sulle chiese, sui minareti.Si aprono piaghe come fiori di carne e sciamineri coprono il sole e fingono una luce metal-lica.

Suona la sirena, ci nascondiamo nel rifugiopiccolo dietro casa io e Giuseppe, che, in Met-teranno i nostri frammenti nella loro argilla, in-siste non tanto sui modelli pedagogici definiti,quanto sul percorso interiore che ciascuno com-pie a partire dalla relazione con l’altro nella tra-sparenza della parola.

Mentre s’aspetta che cessi l’allarme mi parladel monografico dedicato alla “scuola dei ge-nitori” bandito e illustrato ad Arzerello di Pa-dova. Dentro il guscio Territorio, genitori e per-corso educativo, ancora Lui insiste sulla spe-ranza che deve alimentare l’e-ducatore pur in presenza diun ambiente ostile, muto econ valori divaricanti, distor-centi rispetto all’obiettivo for-mativo.

Trema la parete, un sussul-to. Monica Lazzaretto leggeEssere la rete per trapezisti. Lafunzione educativa degli adul-ti significativi. Che devono aiu-tare l’adolescente ad accetta-re se stesso; per questo devo-no saper accogliere, conser-vare e restituire la memoriaall’adolescente in cambia-mento rapido: tutti siamo con-segnati, gli uni agli altri.

Usciamo, era un falso allar-me, per ora.

Mirca Minozzi in La famigliae la società civile evidenzia ilruolo insostituibile dei geni-tori, puntualizza la passionedell’educare, che va declina-ta assieme agli altri istitutieducativi, in rapporto osmo-tico con l’adolescente.

Tomas Morosinotto ci offreun quadro semplice sulle Bio-tecnologie, perché anche chinon sa leggere possa adden-trarsi.

Sullo specchio del cellulare leggo “rubriche”.Esodi di Mario Bertin ci presenta una figura

di intellettuale inedita, quella di Jacques Mari-tain, il senso suo generoso dell’amicizia e l’a-more grande per Raïssa, sua dolce sposa, incammino assieme verso l’assoluto.

Saluto il buon Egidio che ricompare tra i cal-cinacci con il piccolo principe in Guadagnarela tenerezza, per raccontarci del “buon” tem-po passato e dell’ingratitudine presente, peg-giore di ieri perché le male piante non eranoancora cresciute e pronte a fagocitare.

Segue, nel secondo messaggio, Giovanni Real-di in Totò cerca casa, che accompagna Valeriadall’agente immobiliare e dalle Sante Marie,dal momento che pietà è morta.

Ora spengo per prudenza il cellulare, giustoin tempo prima della gra-nata, e mi vedo Alessan-dro Bresolin che mi con-segna Itinerari. Prendespunto dalle ultime vota-zioni algerine per una bre-ve analisi del processo in-volutivo che sta avvenen-do in Algeria, pressata dal-l’estremismo islamico e daun controllo poliziesco,che la spingono verso ilmodello tunisino.

E ancora, Sara Deganel-lo, nella prima puntata delsuo Diario da Sarajevo, ri-percorre attraverso le espe-rienze di Edina e Ljubicail dramma di un paese chenon fa rima con alcunamoda.

Scusate, la storia del ri-fugio era un’invenzione;ma fino a quando?

Slitta il cronista impeni-tente sulla buccia della me-moria e sulle notizie, sen-za rumore.

Conclude la pagina de-dicata alle immagini diGiuseppe Lanzi: clic.

La redazione

Genitori , consiglieri o testimoni?ovvero

la relazione educativaScorrendo le pagine di Madrugada

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c o n t r o l u c e

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Preambolo

Viveva in Cina una famiglia: padre,madre, il figlio di cinque anni e il non-no, già anziano, con poca vista e ma-ni tremule. A tavola già gli era capi-tato più volte di lasciar cadere il piat-to.

La madre, arrabbiata di questo, giac-ché ci teneva ai suoi piatti, disse almarito: «Tuo padre non è più in gra-do di usare i piatti di porcellana!». Ilmarito, non volendo contrariare la mo-glie, decise a malincuore di compra-re per il nonno, suo padre, una sco-della di legno e posate di bambù.

Al primo pranzo nel quale il nonnoin lacrime mangiò nella scodella, ilnipotino rimase meravigliato. Il papàgli spiegò tutto e il bambino rimase insilenzio. In seguito il papà sorprese ilfiglioletto che tentava di fare un bucoin mezzo ad un pezzo di legno conmartello e scalpello: voleva prepara-re la ciotola per quando il papà sa-rebbe diventato vecchio!

Essere se stessi

Il primo compito dell’educazione èquello di insegnare ai bambini a es-sere se stessi (cosa estremamente dif-ficile). Alvaro de Campos scrive: «Iosono lo spazio intermedio fra quelloche desidero essere e quello che i de-sideri degli altri hanno fatto di me».

Oggi l’educazione richiede apertu-ra all’inedito generazionale, resisten-za a certi “assedi”, approfondimentosull’intercultura tra incontro e scon-tro, tra dialogo e colonizzazione. Trop-po spesso, invece, le scuole cancel-lano i desideri dei bambini. Il pro-gramma della scuola, quella teoria disaperi che i professori tentano di in-segnare, rappresenta i desideri di unaltro, non del bambino. Forse di unburocrate che poco capisce i deside-ri dei bambini. Bisogna che le scuole

insegnino ai bambini a prendere co-scienza dei propri sogni.

I giocattoli danno gioia ai bambini.I giocattoli fanno pensare i bambini.I bambini chiedono: perché le bolledi sapone sono così ben rotonde? E letrottole, perché si equilibrano soprala punta di un chiodo? E quante fun-zioni intellettuali altamente astratteentrano in gioco quando si monta unpuzzle!

Ogni giocattolo buono è dunque unasfida. Niente a che vedere con i gio-cattoli elettronici comprati, in cui nonsi usa l’intelligenza, ma solo il dito perschiacciare un bottone.

Certamente ciascuno di noi ha com-prato giocattoli ai propri figli; ma ciòche nostro figlio più desidera è aver-ci compagno di giochi. Non dimenti-cherò mai l’immagine di un papà, unadomenica mattina, in un parco dellamia città: spingeva la figlia sull’alta-lena con la mano sinistra, mentre leg-geva il giornale che teneva con la ma-no destra. Per quel papà che giocavacon la figlia, l’importante erano le no-tizie del giornale.

L’infanzia passa rapidamente. Pre-sto l’unica cosa che resterà sarà il gior-nale nella mano destra e il vuoto nel-la mano sinistra.

Cammino e percorso

L’educazione è cammino e percorso.Il cammino ci viene imposto dall’e-sterno, il percorso che su di esso fac-ciamo è interiore. I cammini esistonoper diventare percorsi una volta rico-nosciuti interiormente da chi li sce-glie.

Lo sguardo esteriore vede solo ilcammino, lo cataloga come una realtàoggettiva. Solo lo sguardo interiore ri-conosce il percorso, avvalendosi deisuoi sensi. Il cammino dissociato dal-le esperienze di chi lo percorre è so-lo una proposta di itinerario, non un

Metteranno i nostri frammentinella loro argillaIl processo educativo

di Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

«Perché mi imponi ciò che sai,

se io desidero apprendere l’ignoto

ed essere fonte

della mia stessa scoperta?

Dammi ciò che è sconosciuto

e come affrontare il futuro,

senza abbandonare il presente.

Lascia che il conosciuto

sia la mia liberazione,

non la mia schiavitù.

... Io prenderei la tua ignoranza

per costruire la mia innocenza».

[Humberto Maturana,

Preghiera dello studente]

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progetto, ancor meno il nostro parti-colare progetto di vita. Il cammino èlà, ma in verità esiste solo quando lopercorriamo: e lo percorriamo soloquando lo vediamo e lo intuiamo den-tro di noi.

Il cammino è la traccia che in essoimprimiamo.

Da qui pensare l’educazione solo infunzione dei cammini - come tanti an-cora insistono a fare - significa pen-sare l’educazione che ancora non esi-ste, semplicemente, nell’ottica deglieducatori topografi, significa aprirel’obiettivo dello sguardo esteriore echiudere l’obiettivo dello sguardo in-teriore. Ed è credere nella paurosa mi-stificazione (ma non è quello che fa ilministro Moratti?) per cui sono i cam-mini che fanno i camminatori e nonil contrario.

Convivere

Il secondo compito dell’educazioneè insegnare a convivere. La vita è con-vivere con una fantastica varietà di es-seri: vecchi, adulti, bambini, delle et-

nie più svariate, delle culture più sva-riate, delle lingue più svariate; animali,piante, stelle... Convivere è vivere be-ne in mezzo a questa diversità.

Gesù ha parlato a lungo della vita,di quella vera, che ha una valenza dieternità. Ha espresso il suo messaggiodi vita con categorie religiose a primavista paradossali, urtanti: «Chi ama lasua vita la perderà, e chi perde la suavita per causa mia e del vangelo, latroverà» (Mt. 10,39).

Preso alla lettera è semplicementeassurdo, un controsenso. Perché nondovrei amare la mia vita? Non è for-se un dono di Dio? Mi è forse chiestodi buttarla via, di disprezzarla? Il cri-stianesimo teorizza forse come vitaleil principio del “perdente”?

Le cose non stanno certamente co-sì. Egli con queste e altre affermazio-ni paradossali esprime e annuncia chea rendere appagante, significativa lavita, è la disponibilità al dono di sé,oppure, detto laicamente, la capacitàdi condividere.

Se vuoi essere felice impara a con-dividere quello che sei, che pensi, chehai, che fai. Chi condivide vive. Con-

divide, non si annichilisce. Condivi-de ossia partecipa agli altri, entra inuna logica di comunione dove si sciol-gono le barriere di “mio” e “tuo” con-trapposti. E subentra un “nostro”, il“noi” dell’amicizia, il “noi” dell’amore,dove ciascuno è se stesso perché inrelazione con gli altri.

Esercizio di cittadinanzanon è…

Il sentimento profondo di appartenenzaa una comunità, radicato nell’indivi-duo e la coscienza che da esso deri-vano diritti e doveri che ci legano aglialtri, non si apprendono nei sillabario manuali di educazione civica, manell’esperienza quotidiana di relazio-ne e collaborazione con quelli che cisono vicini. Il senso civico non si in-segna e non si apprende: semplice-mente (come direbbe Fernando Pes-soa) «entra nelle viscere», ovvero, siorganizza e si pratica nel quotidiano,in modo continuo, consistente e coe-rente. Ed è dalla pratica del senso ci-vico che derivano l’apprendimento e

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c o n t r o c o r r e n t e

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la coscienza dell’esercizio di cittadi-nanza. Tutto questo dovrebbe avveni-re in un ambiente amichevole e soli-dale di apprendimento, perché l’edu-cazione all’esercizio della cittadinan-za è il respirare stesso e il sentire del-la comunità.

Non è un innesto di concetti ipote-ticamente civilizzatori su una testa ilcui corpo è in permanente, aggressi-vo conflitto e in competizione con al-tri: è l’ambiente che vivono i nostribambini, i ragazzi, i giovani, nel qua-le è sospeso il processo educativo al-la convivenza e alla relazione comespazio creativo.

«Questi giovani devono incassare l’i-ronia di chi scherza sulla loro fortunadi avere il doppio dei regali, di prese-pi, di genitori. Ma tutto questo doppiogioco non vale la metà di uno. C’è unraddoppio, sconosciuto in aritmetica,che produce sottrazioni di valori e diaffetti…» (Erri De Luca).

Diventa, perciò, sempre più diffi-cile capire il disagio giovanile attra-verso l’analisi tradizionale dei sin-tomi: essi sono sempre più borderli-ne, al confine con l’apparente nor-malità.

È nascosto in loro il timore di nonessere niente, perché i valori che so-no trasmessi sono quelli della pro-duttività, di essere sempre al massimodella competizione. Il concetto di ri-spetto della vita in quanto tale non havalore, la vita ha valore se è strumen-to di produzione.

Un silenzio opaco

Scrive Stanley Cohen: «Il silenzio èspesso un modo per mantenere se-greta a noi stessi la verità che non ab-biamo il coraggio di affrontare». Nonè forse arrivata l’ora di smascherarela nostra ipocrisia e il nostro egoi-smo?

Il silenzio, spesso, è una grande mac-china di falsificazione, talvolta più ef-ficace delle parole che mentono. Adesempio, che atteggiamento assumia-mo di fronte alle immagini televisiveche ci fanno vedere profughi in fugadai loro Paesi per fame o per ragionipolitiche, bambini che muoiono di fa-me o di Aids, cadaveri nelle strade enei campi, vittime di guerre e di attiterroristici, volti contorti nello strazioe nella disperazione?

Spesso decidiamo di evitare questeinformazioni, qualche volta non sap-

piamo neppure quanto escludiamo equanto accettiamo. Il più delle volteassorbiamo tutto e restiamo passivi. Ese il silenzio politico è cinico, calco-lato ed evidente, il nostro silenzio in-teriore, quello che si muove tra con-sapevolezza e inconsapevolezza, è di-sastroso, perché toglie ogni speranzaad una possibile reazione e inversio-ne del corso degli eventi. Sono fatti ri-conosciuti, ma non sono percepiti co-me un elemento di disturbo psicolo-gico o carichi di un imperativo mora-le ad agire.

Il diniego implicito che qui scatta èlo stesso per cui, di fronte a un inci-dente stradale, i testimoni si dilegua-no, perché «il fatto non ha niente ache fare con loro», perché «ci penseràqualcun altro».

«Ogni tipo di diniego - scrive Um-berto Galimberti - comporta una fal-sificazione della nostra condizione psi-cologica. Nel diniego letterale non sivuol sapere quello che si sa, e in quel-lo interpretativo si vuole evitare, at-traverso una riformulazione di como-do dei fatti, di essere interpellati le-galmente o moralmente, in quello im-plicito si visualizzano i fatti come estra-nei alla propria competenza, in mododa sentirsi esonerati da un pronto in-tervento».

Per arrivare a queste conclusioni ènecessaria una falsificazione del no-stro apparato cognitivo (non ricono-scere i fatti che si conoscono), emo-zionale (non provocare sentimenti difronte a fatti che li sollecitano), mo-rale (non riconoscere nel fatti alcunevalenze d’ingiustizia e di responsabi-lità) e di azione (non agire in rispostaa quanto conosciamo). Se delle paro-le non possiamo fidarci sempre, delsilenzio non fidiamoci mai.

Riprendere dai frammenti

I nostri giovani, figli di genitori senzamorale, stanno diventando bulli? Stia-mo andando a piccoli passi verso labarbarie?

Se la confessione è amara, special-mente per un educatore, ecco che miviene in soccorso una poesia latinoa-mericana:

«Sulle rive di un altro mare si ritiraun vasaio negli anni della vecchiaia.

Gli si velano gli occhi, gli tremano lemani, è arrivata la sua ora.

Allora si compie la cerimonia dell’i-niziazione: il vasaio vecchio offre alvasaio giovane il suo pezzo migliore.

Così vuole la tradizione degli indi-geni dell’America Nord-Occidentale:l’artista che se ne va consegna il suocapolavoro all’artista che viene ini-ziato.

Il vasaio giovane non conserva quelvaso perfetto per contemplarlo e am-mirarlo, ma lo butta per terra, lo rom-pe in mille pezzi, raccoglie i pezzettie li incorpora alla sua argilla».

[Eduardo Galeano]

Chissà se il vecchio vasaio ha ap-prezzato il gesto del giovane. Oggi aivecchi educatori è più facile capirlo.Noi, che abbiamo sempre rincorso l’o-pera perfetta, con la tristezza di ve-derla piuttosto deperire, dobbiamo sa-lutare con speranza la venuta di nuo-vi educatori. Li attende la sfida di rac-cogliere in libertà i frammenti sparsial suolo e di plasmare il loro vaso, ine-dito, incorporando i frammenti alla lo-ro argilla. Deve essere possibile.

Pove del Grappa, maggio 2004

Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

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Per conoscere le dinamiche che si ac-cendono all’interno di una famiglia ècosa buona conoscere il territorio do-ve vive. Oggi il territorio è quello del-le immediate adiacenze alla casa diresidenza, ma si apre oltre quell’oriz-zonte grazie ai vari mezzi di comuni-cazione, dalla macchina al treno, dal-la televisione al libro. Il rapporto edu-cativo familiare è un processo di con-taminazione reciproca tra ambiente efamiglia, anche quando i genitori han-no chiaro in testa il processo educa-tivo che vogliono avviare con i figli.

Il rapporto genitori e figli è una re-lazione dinamica: la crescita, la for-mazione della personalità dei figli nonavviene a scatti e per interventi straor-dinari, ma attraverso il flusso di gestie parole quotidiane. Da qui nasce lanecessità che anche la relazione siacostante e non sia mai sostituita da al-tri istituti, anche se è naturale ricer-care un aiuto, un consiglio all’ester-no, che non può mai essere determi-nante.

Vorrei partire da alcune considera-zioni di ordine generale, che tutti ab-biamo modo di sentire, quando l’ar-gomento cade sui rapporti familiari:i giovani sono insicuri, rimandano legrandi decisioni, non comunicanocon i genitori, con gli adulti, hannopaura del futuro; sono sconsiderati;la famiglia è caricata di una respon-sabilità e di un peso che non è in gra-do di portare, la carriera scolastica èinterminabile, non ha uno sbocco de-finito; la scuola, la parrocchia, i par-titi, la società in genere demandanoalla famiglia il compito primario del-la formazione, senza ricevere gli aiu-ti necessari, morali ed economici. So-no considerazioni a volte pertinenti,a volte superficiali, spesso improprie,che indicano un malessere e una in-sofferenza. Proviamo a vederne lecause, e quali sono le proposte pos-sibili.

Benessere e lavoro

Un obiettivo importante della societàè il benessere che si raggiunge attra-verso il consumo di cose utili, menoutili, importanti, superflue, di uso con-tinuo, ma anche di usa e getta. Si con-suma il presente perché solo così lamacchina produttiva e riproduttivafunziona. Il benessere è garantito dal-la quantità di consumi. La preoccu-pazione costante dei genitori è quel-la di garantire il benessere dei figli. Aloro è affidato il compito di procura-re ai figli ogni cosa: il vestire, l’ali-mentazione, il divertimento, gli og-getti del divertimento, che non sti-molano la creatività, ma attutisconola noia della solitudine. Debbono poicreare le condizioni perché il figliopossa riuscire nella vita, avere un av-venire sicuro, emergere possibilmen-te; per questo lo avviano alla scuola,alla palestra, alla musica, al teatro, al-l’apprendimento delle lingue, del com-

Territorio, genitori e percorso educativoColtivare la speranza

di Giuseppe Stoppiglia

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d e n t r o i l g u s c i o

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puter, e mille altre cose perché siapronto nella lotta per la sopravviven-za e per la vita; perché non abbia asoffrire quel che loro hanno attraver-sato.

Per questo motivo il lavoro, che èuno strumento per raggiungere il be-nessere, per garantire ai figli il loro fu-turo prossimo, diventa un valore as-soluto: i genitori, gli adulti sono sti-mati per il lavoro che fanno; il valoredi una persona, il giudizio che vieneemesso è legato al lavoro che svolge,al tempo che dedica al lavoro, all’in-teresse con cui si dedica al lavoro.Questo vale per il lavoro dipendentee per il lavoro autonomo. Il padre, lamadre dedicano la massima parte delgiorno al lavoro, perché ai figli nonvenga a mancare nulla, e abbia un in-serimento nella società e nel mondodel lavoro all’altezza della lotta che siprospetta.

Educare ai sentimenti

Diminuisce il tempo dedicato ai figli. È pur vero che i genitori lavorano

per i figli, ma offrono ai figli degli og-getti; manca il tempo e mancano leparole della comunicazione, che vie-ne affidata a terzi, o alla televisione;i ragazzi ricevono dalla televisionemolte informazioni, e molte emozio-ni, senza avere l’adulto che li accom-pagna nella formazione, nell’educa-zione del sentimento. Diventano unbuon contenitore, ma non hanno disé e della realtà una percezione com-pleta: manca loro la conoscenza deisentimenti, non sono educati ai sen-timenti di dolcezza e di rabbia, di at-trazione e di ripulsa; e quando ne so-no invasi non sanno come attraver-sarli, perché non hanno la percezio-ne del futuro e non ne conoscono glisbocchi; e nasce in loro la paura e conla paura la mancanza di fiducia in sestessi.

Da ragazzo, da adolescente, il figlioviene a contatto con un ambiente incui prevale la competizione: nel gio-co, nello sport, e poi nel lavoro; perquesto i genitori, cui manca il rapportocoi figli, cercano di offrire delle sicu-rezze esterne: una professione, un con-to in banca, una casa; sicurezze chesollevano il figlio dalla paura del fu-turo, che non sa affrontare perché nonha la percezione del tempo interiore,e dunque l’incerto, il precario lo di-sorientano.

Le risposte esterne, gli oggetti, ac-quietano le ansie, ma non gli offronolo strumento per affrontarle; ha biso-gno di risposte interiori, di risposte chepuntano al senso del vivere, e quindivanno oltre il cerchio ristretto del quo-tidiano, anche se devono passare at-traverso la monotonia del giorno pergiorno.

In questa situazione di ingombro, didifficoltà, è facile che l’adulto abbiaa cercare un capro espiatorio: gli uo-mini politici, gli uomini di chiesa, lascuola; e questi molto spesso dannorisposte astratte, oppure alimentanola lotta privata per interessi di parte,per il proprio particolare e affossanole richieste di aiuto; e gli adulti nontrovano nella società gli strumenti percomprendere i tempi e per divenireparte significativa nel processo edu-cativo.

Tutto questo li porta a scaricare suigiovani la loro frustrazione. In una so-cietà in cui prevale la competizionefino alla guerra, il culto dell’immagi-ne fino allo spegnimento dell’ironia edella satira, quando la realtà è sosti-tuita dalla notizia, e lo scalpore pren-de il posto della ricerca, quando la cu-riosità è bandita, l’adulto perde la spe-ranza, trasforma la sua responsabilitàin autoritarismo e di conseguenza im-pone all’adolescente di adeguarsi aitempi, grida che non c’è spazio per laparola e per i sentimenti; che a cia-scuno è chiesta la riproduzione; ed èbandita la creatività e la figliolanza,intesa come apertura alla vita e nonalla predestinazione.

Proposte di percorso

Non ci sono soluzioni facili a questacrisi, ci sono forse proposte che rico-struiscono il percorso educativo, il pro-cesso di formazione. Per innescare unprocesso educativo bisogna ricostrui-re la speranza, che si alimenti non piùdi cose, ma che ponga al primo postol’uomo e la donna, una speranza chenon faccia riferimento esclusivo all’io,ma alla persona intesa come relazio-ne con l’altro.

In questo mutamento di direzioneprendono rilievo le virtù umane del-la relazione; ai genitori spetterà il com-pito di educare i figli alla lealtà, allagenerosità, all’amicizia, all’onestà, al-la giustizia. Se la parola bene comu-ne ha perduto il suo significato, è vuo-ta, se la società identifica il bene in-

dividuale con il bene di tutti, allora lamia verità è la verità oggettiva, il miobene è la giustizia sugli altri. Per que-sto oggi la politica è un teatro in cuiconta chi ha più voce e ha occupatoi centri di potere. Il popolo è trasfor-mato in massa, e la massa viene quan-tificata a vantaggio dell’obiettivo dichi comanda, del suo potere privato.

È in una situazione come questa cheil giovane ha bisogno di speranza, edi futuro. Le grandi costruzioni, le am-pie architetture sociali non sono suf-ficienti a smuoverlo dalla sua pigri-zia e paura. Le indicazioni generalidi percorso non lo scuotono. Ha bi-sogno dell’adulto che gli dia fiducia,una fede in sé che colleghi la sua for-za interiore alla razionalità e gli con-segni la parola che lo rinsaldi nellastima di sé. Allora il giovane parte; eparte sulla strada che gli segna l’uo-mo che riscuote la sua fiducia; la par-tenza lo entusiasma, perché avvertetutta la carica umana che lo percorree tutte le speranze sono in lui, nel suopetto: ma che non sia un avventurie-ro colui che gli consegna la fiducia ela stima.

Per questo l’adulto ha bisogno di da-re tempo al giovane e dare fiducia al-le energie che sono in lui, avere la tra-sparenza della parola che non men-te. Muoversi nella verità e prendersicura del più piccolo.

Non posso soffermarmi su questa ul-tima affermazione, solo due righe peraprirne il significato: si chiede all’a-dulto di essere testimone di quel chedice, che la sua parola non sia vuota,che non sia un semplice consigliereche non assume la responsabilità nelprocesso educativo e che, anzi, si sen-te al di sopra di quel che insegna permantenere solo un ruolo autoritario:fa quel che ti dico, senza chiedere spie-gazioni. In secondo luogo l’adulto de-ve accogliere il giovane nella sua fra-gilità, vale a dire con il suo bisogno diessere atteso e di comprendere le lu-ci e le ombre che lo accompagnano;il bisogno di sentirsi figlio dell’uomo,per liberarsi degli antagonismi e sco-prire la sua identità nella voce e nelconfronto con l’altro. Libero e re-sponsabile, non facitore (brutta paro-la) di se stesso, ma nato di donna, de-finito e insieme indeterminato, capa-ce di riprodurre, ma anche di creare,capace insieme, ahimè, di ucciderema anche di amare nella giustizia.

Giuseppe Stoppiglia

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Lo stato di salute degliadolescenti

Sfogliando l’ultimo studio su Rappor-to sullo stato di salute e gli stili di vitadei giovani veneti in età scolare mi col-piscono alcune tabelle che riportano,con ordine decrescente, i principalimalesseri sofferti dai ragazzi veneti(11-15 anni) durante la settimana: maldi testa, disturbi del sonno, mal di sto-maco. Confrontando questi dati conquelli riportati dai coetanei di altri pae-si europei, la quantità dei disturbi ri-portati dal campione veneto è una del-le maggiori d’Europa. Ancora più fre-quenti (ma per certi versi collegati) so-

no i malesseri relativi all’umore: oltrela metà si sente teso, di cattivo umo-re, nervoso e giù di morale.

Questi sintomi segnalano un fortedisagio che si lega ad un senso di in-soddisfazione, tristezza, tensione.

Anche alcune emozioni vitali im-portanti come la paura, la rabbia e ildolore faticano, a volte, a trovare unadulto o un contesto che le sappia ac-cogliere e contenere. Dalle parole diquesti ragazzi si può spesso cogliereuno sconforto che a volte precede laloro ribellione, una ribellione che puòspingerli in periferie lontane, ai mar-gini, in non luoghi, per vivere il mon-do della notte, nel tentativo di sottrarsi

Essere la rete per trapezistiLa funzione educativa degli adulti significativi

di Monica Lazzaretto

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ai dettami della più banale quotidia-nità, proiettati in uno spazio-tempodilatato o contratto, dipende solo daquale sostanza si fanno accompagna-re per un “trip”, un viaggio alla deri-va. Nascosti agli sguardi degli adulti,nel desiderio di dimenticare sé e lapropria storia in trasgressioni semprepiù precoci, confusi e addormentatidall’alcool, dalla droga o “super pre-stazionali” per l’uso di sostanze ecci-tanti e doppanti, molto spesso sonoincastrati dalla ricerca di un risultatopiù grande di loro. Soffrono della lo-ro identità ancora incerta e contrad-dittoria, di una personalità fragile nonancora in grado di giocarsi sapendoquali carte buttare.

Quale comunità educante?

Gli adulti significativi (genitori, docenti,allenatori, animatori, catechisti ed edu-catori in genere) non nascondono laloro grande preoccupazione ma spes-so hanno poco tempo per “occuparsi”,per accompagnare il cucciolo d’uomoalla ricerca della sua identità, soste-nerlo nella sua esplorazione del mon-do, nel suo tentativo di elaborare unproprio progetto personale di vita, con-frontarlo nella pratica personale dellaresponsabilità verso se stesso e gli al-tri, diventare testimoni del suo cam-mino. Ma per far questo servono tem-po, ascolto e una buona capacità di “si-lenziosa e discreta” osservazione.

Il preadolescente e l’adolescente, percrescere in modo armonico e adeguato,devono avere la possibilità di poter in-contrare e confrontarsi con adulti si-gnificativi, capaci di accompagnarlonell’esperienza di crescita e scopertadi sé. Ma quali possono essere questiadulti? Certamente i genitori, il conte-sto familiare, gli insegnanti che, al-l’interno del contesto scolastico, han-no un altro modo, altre competenze,per prendersi cura del discente, co-munque importanti e complementari.

Ma non basta: anche il contesto so-ciale allargato deve essere sensibiliz-zato e rinforzato nella sua funzioneeducativa proprio per poter essere unapossibile alternativa di inserimento eaccompagnamento, soprattutto di queiragazzi che possono avere difficoltàrelazionali all’interno del contesto fa-miliare, esperienze di drop out scola-stico, di rischio di devianza e tossi-codipendenza o precoce inserimentonel mondo del lavoro.

La famiglia, la scuola, la comunitàparrocchiale, il mondo sportivo, delvolontariato e dell’associazionismolocale vanno dunque intesi come pri-me risorse importanti per la crescitaarmonica dei pre-adolescenti e degliadolescenti; questa comunità educantepuò essere il primo naturale scudo so-ciale per prevenire esperienze di di-sagio e marginalità cui possono in-correre i più giovani.

Siamo consegnati gli uni agli altri

Formare e sensibilizzare gruppi di adul-ti significativi attivi nel territorio e darloro opportunità di conoscenza reci-proca e confronto è fondamentale percominciare assieme a declinare concompetenza scenari di senso e per-corsi di significazione sufficientementecondivisi.

G. Agamben in Mezzi senza fine af-ferma: «La verità essenziale del vive-re tra uomini è che siamo consegnatigli uni agli altri». È dentro a questachiara e adulta coscienza della “con-segna dell’altro nella mia vita” che sideve ripartire per pensare davvero checosa vuol dire “fare” mettendosi as-sieme, partecipare, fare tra noi “rete”.Un’azione di rete vera, non ridotta auno slogan, a una frase vuota, maun’organizzazione a legami deboli,variabili, che chiede di essere conti-nuamente ridefinita, mediata, rilan-ciata, attraverso la capacità di defini-re assieme una cultura pragmatica del-l’alleanza educativa.

Quando si parla di rete, all’internodi una comunità educante, immaginol’intrecciarsi di più risorse, di più com-petenze, di diverse “adultità” che en-trano in dialogo, che imparano ognigiorno a costruire e difendere le rela-zioni significative. Queste persone so-no “la rete per i nostri trapezisti”, peri bambini e gli adolescenti. Se tra adul-ti ci si mette nella condizione di recu-perare prima di tutto assieme il signi-ficato, l’impegno e la responsabilità di“fare davvero gli adulti”, di tenersi ab-bastanza vicini, non stretti, ma vicini,si potrà dare la libertà agli adolescen-ti di “fare gli adolescenti”, sperimen-tando quei “salti mortali” che rientra-no nei loro compiti di sviluppo, di vi-vere le esperienze di trasgressione e dirischio proprie dell’età, senza peròschiantarsi al suolo, perché potrannotrovare un adulto raggiungibile, unadulto capace di restare in contatto

con loro anche nel momento del con-flitto, della chiusura, della rinuncia.

Per cercare di “essere la rete per itrapezisti” è necessaria l’elaborazio-ne di una strategia comune di inter-vento, ma non basta. Partendo dal ri-spetto dei diversi ambiti e contesti (fa-miliare, scolastico, parrocchiale, ri-creativo, sportivo…) è necessaria unadefinizione sufficientemente condivi-sa dei confini e delle competenze re-ciproche, proprio per poter in qual-che modo “raccordare le differenze”,condividere e riconoscere il saper es-sere e il saper fare di ciascuno.

Contenere, conservare, restituire

Quali possono essere alcune funzio-ni dell’educare che gli adulti possonocondividere assieme?

Certamente c’è bisogno di un adul-to che sappia “con-tenere”, sappia te-nere dentro di sé ciò che il bambinoo l’adolescente teme di perdere, dinon riuscire a gestire: l’incertezza delmomento, l’ansia del crescere, le oscil-lazioni che spesso caratterizzano que-ste fasi della vita.

C’è poi bisogno di un adulto che sap-pia “con-servare”, nell’accezione delserbare con sé, custodire con cura.Conservare, per esempio, la memoriadel bambino che questo ragazzo è sta-to, l’infanzia che ha vissuto, affinchélui si possa emancipare, allontanareda quell’immagine senza temere diperderla, di non ritrovarla più.

Sicuramente il ragazzo del quale cisi trova a prendere cura (come geni-tori, insegnanti, allenatori, educatori)vive un momento particolare, carat-terizzato da ciò che non è più e da ciòche non è ancora: non è più un bam-bino, non è ancora “grande”, cresciuto,sviluppato.

Attraversare questo periodo della vi-ta, questa “terra di nessuno”, può es-sere un’esperienza semplice ed entu-siasmante, ma anche un momento dipassaggio caratterizzato da incertez-za, indecisione, sentimenti ed emo-zioni spesso contrapposte, pretese epercezioni di sé inadeguate, sentimentidi sfida e di sconfitta ambivalenti.

Ecco che le funzioni di “con-tenere”e “con-servare” sono strettamente con-nesse a un contesto di relazione che èmarcato dalla congiunzione “con”avente funzione di prefisso. Non si trat-ta dunque dell’azione solitaria di unadulto nostalgico, è un accettare e con-

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dividere un ruolo all’interno di una re-lazione educativa che ha come obiet-tivo lo svincolo, la crescita e il gradualeraggiungimento dell’autonomia dellapersona di cui ci si prende cura.

“Con-tenere” e “con-servare” sonoazioni dinamiche che prevedono unaccogliere, un “portare dentro” ma an-che un “restituire”, non è una cas-saforte, una memoria blindata, è un“cassetto” che si apre all’occorrenzae che restituisce ciò di cui sembra es-serci bisogno.

“Con-tenere” e “con-servare” van-no sapientemente posti su un’asse tem-porale; queste due azioni prevedono,infatti, un saper distinguere e, di vol-ta in volta, coniugare il passato, il pre-sente e il futuro: “accogliere” e “re-stituire” nel presente il passato in pre-visione di un futuro pensabile, di unacrescita, di un progettarsi nel mondoe con il mondo.

Sentirsi accolti, sentirsi amati

Dall’incontro con i ragazzi e dai datisulla loro condizione di salute e be-nessere è poi chiaro che il ricco Nord

Est rischia di inchiodare bambini e ado-lescenti in una pretesa di risultato e diperformance che ha a volte esaspera-to l’ansia prestazionale dei più giova-ni. Le aspettative incrociate di genito-ri, insegnanti, allenatori inchiodano lenuove generazioni a dare continua-mente risposta a queste richieste stres-santi, con la continua ricerca di “ri-sultati”. Sono segnale di ciò non soloi malesseri fisici e psichici denunciatidai ragazzi, ma anche il loro senso disolitudine e inadeguatezza.

Queste pretese e aspettative posso-no essere ridimensionate solo dopoun’approfondita riflessione sul sensopersonale che ognuno dà all’espe-rienza dell’“accogliere l’altro”. Un uo-mo si sente accolto quando sente cheè accettato per “quell’uomo che sonoio” e non per l’immagine di sé che dà,o per i risultati che ottiene. Far capireai bambini e agli adolescenti che so-no accolti e amati comunque, al di làdi quello che pensano o riescono a fa-re, è molto importante perché li tran-quillizza, dà loro pace e una maggio-re libertà di cercarsi senza doversi con-tinuamente mascherare.

L’esperienza che molti genitori ed

educatori hanno sottolineato, viven-do in famiglia o lavorando con i ra-gazzi a scuola, in parrocchia o in pa-lestra, è che questi ragazzi fanno ditutto per essere amati, accettati, sti-mati, ma a volte il fraintendimento pe-ricoloso nel quale rischiano di cade-re, quando le richieste di performan-ce sono esagerate, è di credere di es-sere amati per i risultati che ottengo-no e non per il fatto che ci sono e so-no un valore in sé. I ragazzi tante vol-te faticano a riconoscere il bene “gra-tuito” che la famiglia vuole loro, e so-no alla rincorsa di risultati sfibrantiperché sperano che così l’amore, lastima e la fiducia del padre, della ma-dre e degli altri adulti importanti perloro, siano garantiti.

Forse si devono trovare parole nuo-ve per dar loro sicurezza, per comu-nicare col cuore che loro “comunque”valgono e che noi siamo lì, con loroe per loro, comunque.

Monica LazzarettoCentrostudi Comunità Terapeutica

G. Olivotti - Mira (Ve)[email protected]

www.olivotti.org

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Che cos’è la famiglia? Che cosa si-gnifica educare?

Ho rivolto queste domande a ungruppo di genitori impegnati in uncammino di formazione organizzatodalla comunità parrocchiale di Arze-rello, piccolo paese della provinciapadovana. Applico questa modalità dilavoro tutte le volte che mi trovo difronte a un gruppo di ascolto, e ognivolta mi meraviglio di quanta ricchezzae sapienza alberghino nella mente de-gli uomini. Tant’è che non mi sentomai di negare alle persone il loro “au-tentico pensiero”, perché, tramutatoin parola, quel pensiero diventa stru-mento per entrare in contatto con iltema proposto. Si attua in tal modouna sorta di indagine “su di sé”, chepermette di cogliere idee, punti di vi-sta, conoscenze da condividere, con-frontare e infine discutere insieme.

I contenuti dei pensieri raccolti dal-lo stimolo dato sono stati molti e pos-sono essere sintetizzati in questo sem-plice assioma: la famiglia è una realtàpreziosa in quanto conserva la vita ela fa crescere. La famiglia è la rete di

protezione indispensabile per prepa-rare il bambino alla vita, per gettarele basi educative.

Il ruolo dei genitori

Un bambino per crescere ha bisognodi uno sguardo, ha bisogno di appar-tenere a qualcuno, ha bisogno di unamore stabile, personalizzato, totaliz-zante, un amore che sa accoglierlo perquello che è, non per quello che sa fa-re o per quello che rende. Per impa-rare a vivere da persona civile, ha bi-sogno di un luogo e di un tempo dieducazione. Per acquistare stabilità af-fettiva e sicurezza personale ha biso-gno di avere a fianco, per alcuni anni,un padre e una madre, sono loro chelo cesellano, lo costruiscono.

Un pensiero del genere può inquie-tare ma è vero che ogni uomo è il pro-dotto di chi lo ha amato o si è rifiuta-to d’amarlo.

Nel loro lavoro di educatori i geni-tori devono continuamente confron-tarsi per saper individuare il maggiorgrado di unitarietà e coesione. Papà emamma devono essere buoni alleati,desiderosi non solo di far vivere il lo-ro bambino ma di farlo crescere. A vol-te si fa ricadere sulla scuola la re-sponsabilità di educare i bambini, madobbiamo ricordare che tale compitospetta alla famiglia, alla scuola il com-pito di istruire. Tuttavia è necessario di-re che l’educazione è un tutto unita-rio, non si possono dividere questi com-piti. Istruire ed educare non sono mo-menti separabili, perché la scuola èun’esperienza di vita che segna profon-damente i bambini, pur non togliendoniente alla famiglia, che rimane il pri-mo soggetto dell’educazione.

L’azione educativa

Educere: educare significa portar fuori,

La famiglia e la società civileLuoghi educativi di relazione

di Mirca Minozzi

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condurre. Al bambino dobbiamo rico-noscere delle capacità che vanno por-tate fuori e adeguatamente sviluppate.

Poniamoci di fronte al bambino congrande passione e grande modestia,dobbiamo permettergli di imparare maanche di insegnarci. Ognuno è in gra-do di essere per l’altro una risorsa, perapprendere qualcosa di nuovo. Il geni-tore passi la sua passione al bambino,faccia sentire che crede in ciò che fa eche è nel piacere quando fa qualcosaper il suo bambino e per se stesso. Piùpassioni ha il genitore più il bambinoha la possibilità di vedere e trovare lesue. Anche questo è educare.

Chi educa, chi accompagna il bam-bino nella sua crescita deve necessa-riamente chiedersi: chi è un bambino?

Quale responsabilità si ha nei suoiconfronti?

Il bambino è una persona in atto enon solo in divenire, è un essere glo-bale nel senso che è un tutto unitariodotato di particolari competenze: mo-torie, sensoriali, cognitive, linguisti-che, affettive-emotive, relazionali. Ilbambino ha dei bisogni. Bisogni irri-nunciabili, il cui mancato soddisfaci-mento può compromettere o danneg-giare il pieno sviluppo delle sue com-petenze.

Rispondere ai bisogni

Nel corso dell’incontro, i genitori han-no identificato diversi bisogni:

- il bisogno di accudimento: se si hacura del bambino egli impara ad ap-prendere, a percepire, a rispondere asegnali emotivi e a formare un correttosenso di sé;

- il bisogno di fornire protezione fi-sica e sicurezza. Quando si parla difornire ai bambini cure e protezionefisica vuol dire mettere a loro dispo-sizione degli ambienti che possanogarantire uno sviluppo sano, a co-minciare dai primi giorni di vita, lun-go tutta l’infanzia e l’adolescenza;

- il bisogno di garantire al bambinola realizzazione delle sue possibilità,molte o poche che siano.Ogni bam-bino è un bambino diverso con le suepotenzialità. Se si riesce a identifica-re i punti forti e i punti deboli del bam-bino e il suo modo particolare di rap-portarsi con il mondo, riusciremo adaiutarlo a superare le sfide che di vol-ta in volta la vita gli presenta;

- il bisogno di definire dei limiti. L’e-sistenza di limiti certi e conosciuti con-

sente ai bambini di sentirsi protetti eal sicuro. I limiti aiutano a crescereforti, a sviluppare le proprie risorse. Ilimiti sono l’ossatura di una buona di-sciplina e servono a contenere i bam-bini e le loro energie, fornendo quelsenso di sicurezza fisica, emotiva dicui hanno bisogno per imparare legrandi lezioni dell’autocontrollo e delcomportamento etico;

- il bisogno di una famiglia e di unacomunità stabile di supporto: la scuo-la. Andare a scuola è l’occasione cheviene offerta a ogni bambino per af-frontare, con il bagaglio relazionaleche l’esperienza famigliare ha già con-solidato dentro di lui, nuovi rapporti,nuove interazioni, nuove conoscenze.

Dopo la famiglia e insieme

Il passaggio alla scuola destabilizza lesicurezze, mette a contatto con gliestranei, il bambino si deve adattareal nuovo macrosistema.

La scuola diventa luogo sociale do-ve bisogna imparare a stare con tuttiindipendentemente da chi.

La parrocchia: chiesa in mezzo allecase, educa ai valori morali, è un po-sto d’incontro dove si condivide la fe-de e non solo, dove si condivide la vi-ta. Un compito della parrocchia è quel-lo di aiutare le famiglie a creare sanee buone relazioni. È quello di creareriflessioni su problemi che apparten-gono alla comunità, mobilizzare unpensiero che permetta di progrediresu un piano sociale. È quello di attuarerelazioni ottimali, creando un climadi fiducia e sicurezza tra i membri del-la comunità. Il centro sportivo e/o ri-creativo: luogo in cui il bambino in-contra, socializza, compete. L’educa-tore ha il compito di far rispettare leregole, di sostenere il piacere del gio-co, di riconoscere le abilità dei bam-bini e rinforzarle, di saper promuove-re un gioco che non penalizza, ma va-lorizza il piacere di stare insieme. Fa-miglie, scuole, chiese, associazioni ci-viche tengono unita la struttura di unacomunità generando in tal modo unsenso di coesione e identità tanto uti-li alla crescita dei bambini.

Educare alla cittadinanza

Provvedere ai bisogni irrinunciabilidei bambini è il primo passo per for-mare cittadini in grado di ampliare il

senso di umanità che oggi, a parer mio,non è ancora capace di accogliere be-nevolmente “l’Altro”.

La buona riuscita di un’azione edu-cativa passa attraverso il senso di re-sponsabilità che un genitore e qual-siasi educatore devono portare con sée che si racchiude semplicemente nel-l’essere esempio e modello. È suffi-ciente un comportamento semplice,improntato sulla coerenza, sul rispet-to, sulla fiducia e sulla costanza peraccendere nei bambini curiosità e ri-flessione. Affinché il compito dell’e-ducare e dell’istruire porti frutti ma-turi, è necessario rispettare il fattoretempo. Nel tempo è possibile regola-re l’emotività di un bambino, nel tem-po valorizzarne la potenzialità, neltempo correggere l’errore. L’assimila-zione avviene dopo un lungo eserci-zio, l’espansione richiede un lungoperiodo di accomodamento.

Fiducia e responsabilità

Ci vuole tempo perché il bambino ab-bia fiducia in ciò che fa, collabori eapplichi se stesso, e giunge a questosolo se chi gli è intorno gli dà fiducia.

Fiducia e rispetto: il rapporto tra ge-nitore e bambino, tra insegnante ebambino deve essere pieno di quella“benevolenza” autorevole di chi sa in-tuire, comprendere, aspettare, ac-compagnare con pazienza nel tempo.Di chi, consapevole dei propri limiti,non si sottrae però alla responsabilitàdi essere “un modello”.

Il bambino ci osserva, ci imita inquello che gli piace e abbandona quel-lo che non piace. Un educatore è co-lui che si mette a modello di un’atti-vità finalizzata ben definita.

Affermava sant’Ignazio di Antiochia:«Si educa attraverso ciò che si dice,di più attraverso ciò che si fa, e ancorpiù attraverso ciò che si è». Questo èsecondo me il cuore del rapporto edu-cativo, che fa perno sempre su duesoggettività: genitore-figli, insegnan-te-alunno, adulto-bambino.

Auguriamoci, come adulti, di arri-vare all’essenzialità dell’interventoeducativo e di essere in ogni tempoanimati da un’unica tensione: quelladi saper incontrare ciascun bambinoin modo da aiutarlo a diventare “per-sona matura e responsabile, rispetto-sa verso di sé e verso gli altri”.

Mirca Minozzi

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Una prima definizione

Per affrontare una discussione di qual-siasi genere è necessario che gli in-terlocutori siano in grado di com-prendere il significato delle parole uti-lizzate. Uno dei principali ostacoli peruna discussione pubblica sulle bio-tecnologie è proprio questo: si discu-te di scoperte e tecniche sviluppatenegli ultimissimi anni. Non esiste unpatrimonio di conoscenze comuni inquesto campo e su queste, quindi, sicrea una separazione molto ampia trail ristretto gruppo di “esperti” e il re-sto delle persone, generalmente igno-ranti, indipendentemente dal loro gra-do di istruzione. L’ignoranza ha comeconseguenza l’essere più esposti a con-dizionamenti di diversa origine. Inqueste condizioni, inoltre, gli argo-menti che hanno più effetto sono quel-li che colpiscono l’irrazionale e sti-molano la già presente paura e diffi-denza.

La prima chiarificazione utile alloscopo riguarda la definizione dellebiotecnologie: che cosa sono? In sen-so letterale le biotecnologie sono l’in-sieme delle tecniche che utilizzanodegli organismi viventi per uno sco-po da verificare. Secondo questa de-finizione le biotecnologie sono vec-chie quasi quanto l’uomo, visto chevi rientrano pratiche usate da millen-ni come la lievitazione del pane o lafermentazione dell’uva per ottenere ilvino.

Il significato più comune del termi-ne, invece, è più ristretto e si riferisceall’utilizzo, per qualche scopo, di or-ganismi viventi modificati genetica-mente, cioè in cui l’uomo ha indottouna modificazione del DNA.

Tutti gli organismi viventi hanno alloro interno delle molecole chiamateDNA. Con una semplificazione estre-ma ogni regione del DNA, che vienedefinita gene, porta un’informazioneutile per quell’organismo. Ad esem-

pio, un gene nel mio DNA stabilisceche io ho gli occhi chiari, mentre lastessa regione in altri individui stabi-lisce che i loro occhi sono scuri. Il fun-zionamento reale è ovviamente piùcomplesso, ma il concetto fonda-mentale è che l’insieme regolato dimigliaia di queste informazioni de-termina tutte le funzioni di cui l’or-ganismo ha bisogno per vivere. Si sti-ma che nel DNA umano siano conte-nuti circa 100.000 di questi geni, unnumero ridotto se consideriamo lacomplessità del corpo umano. Negliorganismi con riproduzione sessuata,come sono i mammiferi, ogni indivi-duo eredita il DNA dai propri genito-ri e quindi ne eredita anche alcunecaratteristiche. Il meccanismo di tra-smissione dell’eredità funziona peròin modo tale che il nuovo individuoha sempre una combinazione unicae irripetibile del DNA dei propri ge-nitori. Dal punto di vista genetico,quindi, un individuo è unico e irripe-tibile, perché è portatore di una com-binazione unica e irripetibile di quei100.000 geni.

Da Mendel alla scopertadella struttura del DNA

La comprensione dei fenomeni di ere-ditarietà è cominciata nel XIX secolocon il lavoro di Mendel, ma solo nelNovecento si è scoperto che l’infor-mazione genetica era depositata inparticolari molecole, il DNA appun-to. Nel 1953 la scoperta della struttu-ra del DNA ha fornito la chiave fon-damentale per la comprensione deimeccanismi di trasmissione del-l’informazione e ha aperto la stradaalle attuali biotecnologie.

Negli ultimi 30 anni sono state svi-luppate delle tecniche che permetto-no di “tagliare e cucire” il DNA. Que-sto ha reso possibile prendere geni dalDNA di un organismo e di inserirli in

BiotecnologieOrganismi viventi modificati geneticamente

di Tomas Morosinotto

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un organismo diverso, permettendo alricevente di acquisire la “funzione”codificata da quel nuovo frammentodi DNA, ma che naturalmente (in na-tura) non possiede. Queste tecniche,ovviamente, sono state sviluppate pri-ma per gli organismi più semplici epoi si sono sviluppate rapidamente fi-no ad arrivare ai mammiferi e, alme-no potenzialmente, all’uomo.

Applicazioni in campofarmaceutico

Le prime e più consolidate applica-zioni di queste tecniche si sono rea-lizzate in campo farmaceutico. L’e-sempio più vecchio e famoso è quel-lo della produzione dell’insulina. Que-sta è un ormone che regola la glice-mia del sangue e viene naturalmenteprodotta dal pancreas. I diabetici nonsono in grado di produrla in modo ef-ficiente e quindi devono assumerladall’esterno. In passato era necessariopurificarla da animali o da cadaveri eil prodotto ottenuto era meno effica-ce, costoso e pericoloso perché pote-va essere veicolo di malattie. A parti-re dal 1983 è commercializzata la pri-ma insulina biotecnologica, ottenutacioè da batteri modificati genetica-mente e “istruiti” per produrre l’insu-lina umana, che si è rivelata più van-taggiosa sia per efficacia sia per costidi produzione. Questo è solo l’esem-pio più antico e famoso di farmaci bio-tecnologici, ma gli esempi sono nu-merosi e in rapido aumento: ne fan-no parte farmaci molto diffusi comel’ormone della crescita per curare ilnanismo, l’eritroproietina (EPO) usa-ta per curare le anemie (ma anche co-me doping), l’interferone usato per cu-rare alcune epatiti e leucemie.

I vantaggi di questi farmaci sono evi-denti sia dal punto di visto dell’effi-cacia che dal punto di vista econo-mico; proprio per queste ragioni la lo-ro applicazione non ha causato obie-zioni di nessun genere ed ormai que-sti farmaci sono una realtà consolida-ta e che presumibilmente sarà semprepiù diffusa in futuro.

Il DNA non fa male

Altre considerazioni invece possonoessere fatte quando queste tecnichevengono utilizzate per altri scopi, adesempio per la produzione di piante

geneticamente modificate per l’ali-mentazione.

Le domande più ricorrenti sono: que-sti cibi fanno male alla salute? E in se-cond’ordine, fanno male all’ambien-te?

Risposte assolute a queste domandenon esistono; nella concezione con-temporanea del sapere scientifico laconoscenza si muove per successiveapprossimazioni, senza mai poter ave-re la presunzione di avere raggiuntola verità. La filosofia non è di moltoaiuto quando si tratta di decidere semangiare o meno qualcosa che po-trebbe farci del male. Però aiuta a ca-pire che la realtà è molto complessae che pur con tutti i mezzi di cui pos-siamo disporre dobbiamo sempre ave-re a che fare con una parte di realtàche sfugge alla nostra comprensionee quindi anche al nostro controllo.

Vale la pena però fare alcune con-siderazioni su quello che è lo statodell’arte.

La prima è che il DNA in sé non famale. Tutti gli organismi viventi, vege-tali o animali, possiedono infatti il pro-prio DNA, perciò tutti i cibi che man-giamo contengono del DNA estraneoal nostro. Anche l’ingerire dei geni“nuovi”, diversi da quelli a cui siamoabituati, non è necessariamente peri-coloso. Basti pensare che ogni voltache assaggiamo un nuovo cibo, unnuovo tipo di frutta, verdura o carne,assumiamo decine di nuovi geni sen-za avere conseguenze evidenti. Quan-do i primi colonizzatori portarono dal-l’America piante strane come pomo-dori, patate e mais, queste conteneva-no migliaia di geni diversi da quellidelle piante europee dell’epoca e i co-lonizzatori hanno generalmente go-duto di salute migliore dei colonizza-ti. Il DNA non è una sostanza tossicae non cambia niente il fatto che ci siaun pezzetto di DNA in più o in meno.

Il margine di rischio che rimane ri-guarda l’attività di questo pezzo diDNA aggiunto: il nuovo gene, infatti,è stato inserito affinché svolga una fun-zione. Gli organismi viventi però so-no incredibilmente complessi e quin-di non si può prevedere completa-mente quale sia l’effetto di un parti-colare gene in un particolare organi-smo.

La seconda considerazione è che inalcuni paesi (Stati Uniti in particola-re) esistono delle piante transgenicheapprovate per l’alimentazione uma-na, che sono state testate a lungo pri-

ma della commercializzazione. Or-mai queste piante sono coltivate esten-sivamente e, per ora, non sono emer-si degli evidenti problemi di salute nel-la popolazione che li consuma abi-tualmente. Questa esperienza, anchese non può essere usata come provadefinitiva, mostra almeno come gli ef-fetti sulla salute dell’uomo non sonocosì drastici, almeno a breve termine.

A questo proposito vale la pena ri-cordare che una parte di questi pro-dotti sono stati commercializzati an-che in Europa. Ad esempio, i derivatidella soia transgenica americana so-no finiti nei dolci confezionati euro-pei quali gelati, merendine, panetto-ni e biscotti, soprattutto nei primi an-ni, quando le linee con certificazionedi assenza di OGM non erano così dimoda.

Il fatto che, nonostante questo, sia-mo ancora vivi non significa che i ci-bi transgenici siano totalmente sicuriné che si possano escludere degli ef-fetti a lungo termine. La realtà è che,come in tutte le cose, un margine dirischio è sempre presente: basti pen-sare alla produzione di nuovi farma-ci o alle più banali attività quotidia-ne, come guidare la macchina o sali-re una scala. Il vero problema non è,quindi, la sicurezza totale, ma una piùpossibile accurata valutazione dei ri-schi e dei benefici.

Rischi e vantaggi, dilemmairrisolto

L’ultima considerazione riguarda pro-prio un aspetto fondamentale della ge-stione di questo rischio. Chi decideche il rischio è abbastanza piccolo ri-spetto ai vantaggi per renderlo accet-tabile? Io penso che la cautela checontraddistingue l’approccio europeoalle biotecnologie sia utile. Come ègià accaduto in altri campi, la tecno-logia è avanzata velocemente e ha pro-babilmente superato la capacità dicomprenderne le conseguenze. Perònon credo sia realistico né utile pen-sare di bloccare queste applicazioniper sempre; il tempo “guadagnato”dovrebbe essere utilizzato per prepa-rare il futuro e non per accontentarsidel presente o rimpiangere un imma-ginario passato di vita “in armonia conla natura”.

Tomas Morosinottoricercatore - università di Verona

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In questa rubrica abbiamo intrapresoa parlare di personaggi che, proposti-ci dalle ricorrenze o da altre circo-stanze, si affiancano a noi come com-pagni nel nostro cammino verso la li-berazione, rafforzando il nostro im-pegno della novità e della rottura. So-

no testimoni privilegiati sul senso delmondo e della storia, con i quali vo-gliamo camminare insieme per un trat-to di strada, chiedendo loro che cispieghino nuovi significati delle cose,con la speranza che il nostro cuore ar-da alle loro parole, come successe aglismarriti viandanti di Emmaus.

Perché di Maritain nessuno più parla?

Di queste figure, una ci è passata ac-canto senza che ce ne accorgessimo.Si tratta di Jacques Maritain, del qua-le nel 2003 ricorreva il trentesimo an-niversario della morte.

Non ce ne siamo accorti perché, stra-namente, nessuno ne ha parlato, nes-suno dei bollettini di Chiesa e nessu-no dei giornali, compresi quelli della“sinistra”. Eppure al pensiero di Ma-ritain si sono formate intere genera-zioni di cattolici impegnati nella po-litica e nel sindacato; eppure gli scrit-ti di Maritain hanno costituito un ri-ferimento riconosciuto per la resistenzaeuropea contro il nazismo (si pensi aDe Gaulle che lo avrebbe voluto ac-canto a lui nel suo governo all’estero)e una risorsa intellettuale, etica, reli-giosa dentro e fuori della Chiesa, par-ticolarmente nel dopoguerra e nel pe-riodo del Concilio (Paolo VI subì co-stantemente l’ascendente della sua fi-losofia).

Perché allora di Maritain più nessu-no parla? Forse perché non lo si co-nosce adeguatamente. A lui si pensaprevalentemente come al filosofo cheriattualizzò il pensiero di S. Tomma-so d’Aquino, reinterpretandolo in unnumero imponente di opere di meta-fisica, di filosofia della religione, dietica pubblica, di epistemologia, di fi-losofia politica…, oggi largamente mi-sconosciute come antimoderne. I piùlo ricordano per la sua opera princi-pale, Umanesimo integrale, alla qua-

Fare la verità attraverso l’amoreJacques Maritain o dell’amicizia

di Mario Bertin

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le Maritain affidò il compito di riva-lutare la persona umana come una to-talità da considerarsi un fine e non unmezzo, perché dotata di un destinotrascendente e perché partecipante albene comune della società.

Maritain, però, non è stato solo (evorrei dire principalmente) un filosofo.Joseph de Touquédec lo descrive co-sì: «Maritain è un composto origina-le di intransigenza e di dolcezza, diintellettualismo sfavillante e di profon-do misticismo. È questo che affascina.E poi, a coloro che vengono a chie-dergli aiuto, svela ancora un’altra co-sa: una carità fraterna, che interpretatutto in positivo fino ai limiti del pos-sibile e un partito preso di indulgen-za verso ogni debolezza umana, con-giunti, per alleanza naturale, alla preoc-cupazione di gettare i malati nel ba-gno di luce pura che è il solo a poter-li guarire». È questa la descrizione piùvera di un uomo in cui ricerca intel-lettuale e vita spirituale si fondevanoperché armonizzati nel perseguimen-to di un unico fine, che consisteva con-temporaneamente nel bene persona-le e in quello comune. In questa lucesi può meglio comprendere l’idea diumanesimo integrale. L’umanesimo in-tegrale non può essere ridotto a unconcetto filosofico, o ad una via in-termedia tra invidualismo e «sociali-smo» (come è stato fatto), quanto piut-tosto a un progetto complessivo di vi-ta individuale e collettiva, in cui adessere messo in questione è l’uomo intutta la sua complessività.

Sono dove amo e sono amato

Maritain è incomprensibile al di fuo-ri della rete complessa di relazioni,che si è intessuta attorno alla sua per-sona e che ha fatto della sua casa unporto per molti naufraghi dello spiri-to, dove si assaporava il gusto dellaforza intellettuale e della ricerca del-la verità, dove ciascuno era invitato aoffrire se stesso agli altri. Nella casadi Maritain c’era posto per tutti, nonc’era nulla che limitasse l’accoglien-za e l’ospitalità: non le idee religiose,filosofiche o politiche, non i costumidi vita (anche quelli più scandalosi),non i sentimenti…

Maritain, però, è soprattutto incom-prensibile senza la moglie Raïssa. «Do-po che Raïssa ha lasciato la terra – diràdi lei –, ho perso la memoria di tuttoil tessuto concreto della mia vita». I

due si conobbero all’Università e di-ventarono presto inseparabili. Sco-prono, fin dall’inizio, di avere le stes-se preoccupazioni profonde, di esse-re tormentati dalle stesse domande eanimati dallo stesso desiderio di ve-rità. Trovano che la filosofia è incapa-ce di fare luce sul significato dell’u-niverso e perciò un giorno decidonoche, se entro l’anno, non si fosse lorosvelato il senso della vita «con una ri-velazione di nuovi valori così chiarada provocare la nostra adesione tota-le», «la soluzione sarebbe stata il sui-cidio. […] Se non era possibile vive-re secondo la verità, volevamo mori-re per un libero rifiuto».

Comincia qui il cammino di una cop-pia che si forma attraverso uno stessodesiderio di assoluto, una fusione at-traverso la speranza più grande. Loscrittore Julien Green li definirà perl’appunto «pellegrini dell’assoluto».A indicare loro la strada della salvez-za sarà Léon Bloy, il poeta “dispera-to”, che aveva terminato una delle sueopere più famose con la frase rimastacelebre:«Non c’è che una tristezza,quella di non essere santi».

Fin dal primo istante il loro accor-do è «perfetto e irrevocabile». Con isuoi codici discreti, la loro relazionenon cesserà di tendere verso la per-fezione dell’amore, in un sogno dibellezza e di assoluto. «Una unionesenza ombra di sottomissione», vivi-ficata da una ricerca sempre rinno-vata, un’armonia sottolineata dal vo-to di castità come modo di vivere piùintensamente la vita di coppia. È l’a-mour fou. Jacques scriverà: «Siamo indue a vivere l’eterna vibrazione chepassa attraverso la notte. Da soli!». Ealcuni anni dopo: «Se desiderate sa-pere dove mi trovo, non cercatemidove sono, ma cercatemi dove amoe sono amato, nel cuore della miaRaïssa benedetta».

In una lettera del 1931, la chiama«mia pecorella, mia deliziosa co-lomba» e le confessa: «Ti amo, miacara Raïa, ti stringo tra le braccia, tidico e ti ripeto che sei benedetta, bel-lissima amata da Dio e amica di Ge-sù. E io sono il tuo piccolo Jacques»,«il fatto di vederti esime dal cercareargomenti per provare l’esistenza del-l’anima».

E lei è cosciente di essere determi-nante nell’orientare il pensiero di Jac-ques, e, nel tenere viva questa fiam-ma, vede una delle poche ragioni per«vivere in questo mondo».

È questo un aspetto davvero inatte-so nel filosofo de I gradi del sapere,nel professore dell’Institut Catholique,nell’ambasciatore della Francia pres-so la Santa Sede.

La ricerca della veritàattraverso l’amicizia

Anche se in gradi e forme diverse, saràquesto fascino a contrassegnare il rap-porto di Jacques Maritain con le per-sone che incontra. Il filosofo delle sfi-de e delle controversie è essenzial-mente una persona che crede profon-damente nell’amicizia.

Le persone che si avvicinano ai Ma-ritain avvertono di entrare immedia-tamente a far parte delle loro esisten-ze, della loro ricerca di assoluto. Diessere considerati come luci che si af-facciano sulla tenebre, anche se eravero l’opposto. È per il rispetto di cuisi sentono avvolti, che gli amici deiMaritain si lasciano tendere intornoreti invisibili di interventi rivolti a ri-condurli alla casa del Padre, perchésanno che sono «unicamente intessu-te con i fili dell’amore», come si espri-me il musicista Massis.

I rapporti di amicizia dei Maritainsono narrati in un libro di successo diRaïssa: I grandi amici. Basterebbe scor-rere l’elenco dei frequentatori dellaloro villa di Meudon per percepire im-mediatamente l’importanza di questaesperienza unica: Bergson, Bloy, Pé-guy, Cocteau, Massis, Julien Green,Mauriac e tanti altri.

A dare l’impronta di un modo di vi-vere la relazione con gli altri, è il rap-porto che lega Jacques Maritain a Hen-ri Psichari negli anni del liceo. I duesono inseparabili, al punto che l’unosembra allontanarsi dall’altro solo perritrovarlo più in profondità.

Maritain è allora un socialista drey-fusardo e antiborghese che intrattienecon Psichari uno scambio culturalemirato alla realizzazione di sogni diestremismo politico, di critica dellasocietà e della religione: «Senza di tenon sono nulla». Gli scrive. «Tu sei ilCentro, il Fuoco, il Corpo, l’Idea. Tusei la luce e io il riflesso. […] Per mil-le anni, gli uomini si combatterannoe moriranno. Ma noi invece avremoassimilato la Morte…».

In ogni rapporto con l’altro, i Mari-tain esprimono curiosità, la voglia dicercare insieme la verità, un’attesa sa-cra. Cercano risposte, danno e ricer-

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cano aiuto, offrono e chiedono forzanell’avvenire. Convinti che non si aiu-tano le persone se non si diviene lo-ro amici, i Maritain diventano amicidi peccatori e naufraghi di ogni spe-cie e non saranno mai loro a infran-gere il vincolo, che, all’opposto, sisforzeranno sempre di rinsaldare, purnella coscienza dei pericoli che pos-sono correre nei confronti dei «giu-sti». È il caso, per esempio, del rap-porto con Cocteau, con M. Sachs, conGreen e altri.

L’amicizia che i Maritain offrono èun’amicizia su cui si potrà semprecontare, perché ancorata nell’unicarisorsa divina. E la casa che acqui-steranno a Meudon avrà le caratteri-stiche del posto accogliente, del luo-go dell’incontro, dove ciascuno de-gli ospiti «era alla ricerca di un teso-ro spirituale: una guida, un consiglio,un incoraggiamento o la soluzionedi un problema. Gli abitanti della vil-la di rue du Parc si dedicavano ad unapostolato costante. Non offrivanosolo il loro tempo; offrivano se stes-si a ciascuno di noi. C’era nel lorocuore, così come nella loro casa, po-sto per tutti».

L’uomo incomprensibile

Jacques Maritain non era il freddo fi-losofo che siamo usi immaginare, unaguida «ideologica», un intransigentedifensore del cattolicesimo e del dog-ma. Era un uomo timido e riservato,che non forzava nessuno a seguirlo;assomigliava, come hanno testimo-niato le persone che lo frequentava-no, più ad uno studente che a un pro-fessore. E tuttavia «era in grado di scon-volgere l’anima di un uomo nel girodi pochi secondi». Non lo faceva at-traverso le argomentazioni, ma attra-verso una specie di radiazione, cheera la «fiamma della carità».

Alla fine della sua vita, dopo la mor-

te di Raïssa, Maritain si ritirerà a vi-vere tra i piccoli fratelli di Charles deFoucauld a Tolosa. Avrà come abita-zione una piccola stanza, in una ba-racca d’assi, con un letto, un tavolo eun piccolo tegame.

Mauriac, dopo averlo incontrato,scriverà: «È incredibilmente lo stesso:ha l’età della sua anima e ne ha an-che l’aspetto, se c’è un aspetto del-l’invisibile!». E lui gli risponderà: «Gra-zie di tutto ciò che ha detto dell’ani-ma (…). I poveri cretini che fanno ifurbi gettandola nella spazzatura cre-dono di capire l’uomo, ma non san-no che l’uomo è incomprensibile per-ché la sua anima è a immagine di Dio,l’Incomprensibile. (…) Coloro che pen-sano di capire l’uomo con la scienzasono destinati a sfociare nell’”uomoche è morto”, come dichiarano oggi iloro filosofi».

Credo che leggere l’esperienza diMaritain nella sua complessità, con-tribuisca non solo a meglio compren-dere chi era il grande intellettuale fran-cesce, ma anche a capire meglio lasua idea di umanesimo integrale.

Mario Bertin

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È proprio il caso di dire che “mala tem-pora currunt” e di dirlo addirittura conun pizzico di orgoglio poiché, vistoche ormai l’ignoranza dilaga a mac-chia d’olio, siamo in pochi a espri-merci in latino corretto e fluente. Co-munque ho deciso che, qualora io su-perassi il concorso per insegnanti direligione e quindi non mi suicidassisotto le ruote ferrate del “MalpensaExpress”, tra poco mi dedicherò dinuovo, dopo quasi venticinque anni,allo studio del latino e del greco, ol-tre che degli amati classici. Lo farònon certo con l’intento di nobilitare ilmio spirito e la mia anima, elevandogli occhi al cielo, ma semplicementeperché, ormai, sono un nostalgico de-gli Anni Settanta, anni in cui studiavoqueste lingue antiche con le loro let-terature, in un’epoca in cui accadevaquanto segue:

- Berlusconi dirigeva soltanto l’Edil-nord, una squadretta di dilettanti diseconda Categoria, e non era nessu-no.

- Non c’era nessun fondamentalista

islamico, ma nel mondo arabo impe-ravano i filo-sovietici: Assad in Siria,Gheddafi in Libia, Boumedienne inAlgeria, Nasser in Egitto, Bourghibain Tunisia e perfino lo Yemen era di-viso in due repubbliche, di cui una, ilSud, addirittura comunista. Menghi-stu dominava in Etiopia e il Sudan ave-va Nimeiri, mentre di centri islamicitra noi non c’era nemmeno l’ombra.Tutt’al più cominciavano a fiorire i fil-metti di Lino Banfi, Edwige Fenech eGloria Guida, oltre che di VeronicaLario, oggi moglie del sopracitato Ber-lusca.

- In Portogallo c’era la rivoluzionedei garofani e tutti gridavano che «neabbiamo abbastanza del Vescovo diBraganza».

- Nelle università si dava a chiunquedel fascista e, vi garantisco, ogni tan-to era proprio ben dato.

- Nelle scuole si discuteva e, qual-che volta, ci si picchiava, ma almenoc’era la voglia di discutere.

- In Unione Sovietica regnava Brez-nev e, al solo leggere questo nome,qualcuno di voi si sarà già addor-mentato con la testa sul tavolo.

- Bush era sempre lo stesso, cioè unpirla (che a Milano è una trottolinache gira), ma almeno beveva birratexana scura, non si definiva ancora“neoconvertito” e non faceva male al-l’umanità.

- Presidente degli USA era GeraldFord, un povero imbecille del Michi-gan, che batteva la testa contro gli spi-goli degli sportelli degli aerei presi-denziali, mentre salutava i giornali-sti quando scendeva.

- In Iran c’era lo Scià, gran brav’uo-mo che aveva vietato il “chador”, mache forse aveva esagerato con i me-todi spicci, visto quello che è arriva-to poco dopo.

- Io avevo ancora tanti capelli lun-ghi, un “eskimo” beige per distinguermida chi lo aveva verde oliva, un’enor-me e pesantissima montatura degli oc-

Guadagnare la tenerezza

di Egidio Cardini

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chiali e andavo all’Oratorio, dove qual-cuno faceva l’adolescente di sinistrache ascoltava Guccini e io invece ilragazzo timido e cattolicissimo. Og-gi loro sono di destra e parlano di mer-cato, mentre io, pur restando timidoe cattolicissimo, sogno una rivoluzio-ne lontana e a ritmo di samba. Comecambiano le persone…

- Bossi, eterno studente fuori corsodi medicina e chirurgia, andava e ve-niva dall’ospedale di Gallarate con isuoi termometri sperimentali, dicen-do di avere inventato la “termomedi-cina”, tra le risa di tutto il personale.

- C’erano la contingenza, le con-quiste sindacali, la sanità completa-mente gratuita, le assemblee dovun-que, la scuola pubblica che crescevacome gli adolescenti che aveva den-tro, le ferrovie a basso costo, gli espro-pri proletari, i proletari in divisa, la ri-voluzione proletaria, i demoproleta-ri e via dicendo.

- Non c’erano Mel Gibson, l’OpusDei e i Legionari di Cristo, mentreGianni Baget-Bozzo, purtroppo, c’e-ra sempre e, pur dicendosi di sini-stra, era patetico ovunque e comun-que.

- C’erano gli extraparlamentari, cheerano una sorta di extracomunitari del-l’epoca, visti con sospetto da tutti, econ loro c’erano anche molti serpen-ti, a partire da Scalzone e da Negri.

- C’era la DC e io, dal 1979, ho co-minciato a votarla, però preferivo icandidati della sinistra interna, eh...Un po’ li rimpiango, perché non era-no arroganti né ignoranti. Erano sol-tanto un po’ ladruncoli e dalla dop-pia morale, come quella di Casini og-gi: parla di valori della famiglia e con-testualmente prende fuoco con Az-zurra Caltagirone.

- C’erano i concerti di Guccini, DeGregori, Venditti, Finardi e perfino Pie-rangelo Bertoli, quello che cantava la“rabbia popolare” senza sapere chein Italia non è mai esistito nemmenoun popolo.

Come eravamo

Però era tutto più bello, più romanti-co, più naif, più semplice. E poi, di-ciamocelo con chiarezza, miei cari,c’era speranza e non c’era quel climatetro, oscuro, incerto, inquietante eisterico di oggi. Adesso sembra chetutto possa travolgerci da un momen-to all’altro, abbandonandoci a un de-

stino impalpabile e indefinibile. Per-ché? Perché buttare a mare le con-quiste sociali, un’epoca di coscienzacivile, il riconoscimento dei diritti in-dividuali e collettivi, l’attenzione allapolitica e perfino il desiderio di ren-dere più antropologico, più aderenteall’uomo, anche lo stesso cristianesi-mo? Per avere che cosa? Forse per ave-re Osama bin Laden, Bush, Berlusco-ni, i cattolici tradizionalisti, la Lega,le tonnellate di droga in discoteca, latelevisione degli “show” sui falsi sen-timenti e perfino Costantino di Uomi-ni e donne?

Mi impaurisce questo clima insulsodi intolleranza e di animosità, di de-lirio e di rabbia trattenuta a malape-na, di razzismo e di volgarità, di igno-ranza e di stupidità, di sufficienza e disuperficialità, di insensibilità e di ar-roganza. In fin dei conti mi fa paural’incapacità di ascoltare.

Ecco perché, quando vado a Roma,scendo sempre alle Grotte Vaticane elà riscopro ogni volta la mia pelle cat-tolicheggiante, ma pur sempre segna-ta dal desiderio di un cristianesimo li-bero e liberante. Vado sulla tomba diPaolo VI e mi ricordo della sua di-chiarazione di volere «ascoltare le vo-ci profonde del mondo». Ci sono an-cora, ma nessuno le ascolta più, a par-tire dalla stessa Chiesa che lui ci halasciato.

- Sono quelle dei malati e dei siero-positivi di AIDS, che in Africa meri-dionale raggiungono quasi il 40 percento della popolazione.

- Sono quelle delle vittime delle guer-riglie tribali.

- Sono quelle di chi, nel 2004, muo-re ancora di malaria, di morbillo e ditubercolosi.

- Sono quelle dei bambini della stra-da, dei senza casa e degli analfabeti.

- Sono quelle dei pensionati impo-veriti, dei lavoratori espulsi da ogniluogo, di chi non ha l’assicurazionesanitaria, l’assicurazione previden-ziale, l’assicurazione sulla vita, l’assi-curazione sugli infortuni, l’assicura-zione e basta.

- Sono quelle di chi subisce i tortidei nuovi fondamentalismi, a partireda quello neoliberale per arrivare aquelli pseudoreligiosi.

Ereditare la Terra

Però oggi sembra che ci siano pro-blemi molto più importanti. Chi pre-varrà al Grande Fratello? Il Milan gio-cherà a una o due punte? Quanti mes-saggini SMS gratis si possono manda-re con Wind? Ilary è ancora insiemea Totti oppure no? Quanto avrà spesoBerlusconi nella gioielleria di CorsoVercelli? Come sono andati gli ascol-ti de “La talpa”? Che cosa bisogna fa-re per mandare a casa tutti questi paki-stani? Che si sviluppino a casa loro...

Dite quello che volete, ma io, quan-do vedo e sento tutto questo, comin-cio a sognare la tenerezza e la dol-cezza che ci mancano. Ecco quello dicui dovremo appropriarci.

Guadagnare l’ironia, associandola aun pizzico di intelligenza, ci permet-te di elevarci leggermente sopra la po-vertà del tempo presente.

Guadagnare la tenerezza e la mi-tezza sarà il nostro futuro.

Vedrete che erediteremo la Terra. Nonpossiamo perderla.

Egidio Cardini

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Mediazione senza filtro

L’appuntamento è tardi, sabato matti-na. La città ha ormai smaltito il traffi-co scolastico, il quartiere di Santa Cro-ce è animato da fattorini di fiorerie eoperai lenti. Il nostro uomo arriva conlo scooter grigio, come preannuncia-

to. È il suo segno distintivo, ogni agen-te ha il suo: particolari della fenome-nologia immobiliare necessari a cheavvenga il contatto con il cliente. È unuomo alto, ingombrante sulle due ruo-te e soffocato da un casco nero.

Parcheggia e ci tende la mano, unpo’ stordito. Si dev’essere svegliato da

Totò cerca casaLe immobiliari hanno i prezzi alti

di Giovanni Realdi

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poco: l’ho immaginato la notte primaa bere la staffa in uno di quei barac-chini che si trovano lungo le arteriecittadine. Giusto un saluto e ci fa stra-da: l’appartamento che abbiamo chie-sto di vedere è pochi numeri civici piùin là, al terzo piano di un casermoneche non dà sulla strada principale.

Ci avviamo, silenziosi. Varcata laporta del condominio, l’agente iniziala descrizione dello stabile: ci prece-de e parla alle scale di fronte a lui oalla porta dell’ascensore che abbiamopreso. Solamente varcata la soglia pos-siamo guardarci in faccia: l’omone haocchi piccoli e chiari e guance roton-de, le occhiaie e una chioma biondachiaramente ossigenata. Ingresso, sog-giorno – è molto luminoso, dice ti-rando su la tapparella – cucina abita-bile (da una famiglia di gnomi, pensoio), bagno primo cieco con vasca, ba-gno secondo finestrato con doccia: èla frase che gli riesce meglio, fine-stratocondoccia, e la ripete più d’unavolta, la lingua impastata dalle MS del-la sera prima che lentamente torna al-le sue funzioni fisiologiche. Camerapadronale, cameretta e terza camera,poggiolo-lavanderia e ripostiglio. Suimuri i fantasmi dei quadri e dei mo-bili ricordano la vita che abitava quel-la casa, ora ventre vuoto.

Al nostro timido cenno, dopo aver-ci permesso qualche commento pri-vato, ribadisce il prezzo, trattabile,con il tono di chi sa di avere la chia-ve dalla parte del manico: è basso peruna casa da restaurare quasi comple-tamente - si concede qualche nota so-ciologica - i prezzi a Padova sono gon-fiati, i più alti degli ultimi vent’anni,ma non diminuiranno più, ormai èquesto l’investimento più sicuro. E ri-maniamo a guardare.

Comunque a casa d’altri

Daniela alza gli occhi azzurroverde.Mi guarda. Sono due palle tonde, inbilico sugli zigomi appuntiti. Ha po-co più di ventidue anni: le sue coeta-nee italiane saranno alle prese conl’appello accademico di giugno o conil loro lavoro di segretaria nella dittadello zio. Daniela no: prende ognimattino il primo autobus della gior-nata, poi un treno. La mancata sin-cronia la costringe ad una mezz’oradi stazione, nelle ore in cui d’invernonon sembra ancora giorno: a casa spes-so raccoglie nei posacenere e nelle ta-

sche qualche spicciolo, per un caffèmattutino. Va a Mestre per fare le pu-lizie in una cooperativa. Tiene questolavoro da tre anni, nonostante i colle-ghi acidi e lo strano contratto che lehan fatto firmare.

E chi me lo dà un mutuo? Mi chie-de, ma non vuole la risposta. Non sa-prei dargliela: anche nella città doveuna banca si chiama etica è impossi-bile per una cittadina rumena acce-dere a un investimento per metter sucasa. Metter su casa... Ma io – mi fer-mo – alla tua età a che cosa pensavo?Dov’ero? Ero in vita?

Madre di chi, terra non ha

Saintes Maries de la mer è una citta-dina srotolata lungo la foce del Ro-dano. Un cumulo di case bianche ebasse, ordinate in viuzze strette e col-me di rumore turistico, che partono araggiera dalla promenade che separala terra dall’acqua verde del Mediter-raneo. Da lontano ha la forma di “t”adagiata sulla schiena: una linea con-tinua, interrotta da una costruzionemolto più alta, che svetta color mat-tone. È la chiesa delle Sante Marie.

Il plurale non è un riassunto dei va-ri titoli con cui in Italia siamo abbon-dantemente abituati a coronare la ma-dre di Cristo. Le Marie in questionesono altre, personaggi in apparenzasecondari: la leggenda racconta cheMaria di Salòme e Maria di Giacomo,dopo l’opera pietosa di addolcimen-to del corpo di Gesù crocifisso conunguenti profumati e dopo aver in-contrato il Risorto, furono perseguita-te e costrette alla fuga. L’esilio prende

la forma di un viaggio su di una bar-ca senza remi né vele, un abbando-narsi incognito al mare che le condu-ce sulle rive della Camargue, nel luo-go che da loro prenderà nome. Ven-gono accompagnate, o forse accolte(qui il racconto si fa confuso, comeogni sana leggenda orale) da una ra-gazza gitana, Sara. Qui il viaggio hatermine, trova un approdo.

È una viaggio di donne sole e senzacasa: incrociano un’altra donna cheporta nel sangue della propria gentela scelta di non avere mai una dimo-ra stabile. L’incontro si fa accoglien-za: il movimento in avanti dell’“esse-re con l’altro” non ha bisogno di un’a-bitazione in cui far accomodare, maè un farsi comodi con chi ci è vici-nissimo, un accomodare le cose daparte di chi è abituato ogni giorno asmussare gli angoli, ad ammorbidirela terra sulla quale si ferma, a coglie-re sfumature dove altri vogliono ve-dere solo bianco separato da nero.

L’avvicinarsi di due bisogni, di duemancanze, non diventa peso doppio,consolatorio forse, ma sempre soffo-cante. Diversamente, è occasione dicreatività: è dall’incontro che nasce unluogo e non viceversa. Saintes Mariesde la mer è ancora oggi, una volta l’an-no, punto di convergenza di centinaiadi nomadi, zingari, rom, sinti che scar-rettano i propri bagagli colorati per sa-lutarsi e raccontare, per mostrare i nuo-vi nati e ricordare i vecchi andati, persostare nella cripta piccola ma capa-ce di contenere un mondo e accen-dere un lume alla statua di Sara, San-ta nera, madre di chi casa non ha.

Giovanni Realdi

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Elezioni scontate

L’8 aprile scorso si sono svolte le ele-zioni presidenziali in Algeria, il pae-se che più di qualunque altro ha vis-suto la violenza del terrorismo isla-mico e della conseguente lotta per sra-

dicarlo. Le elezioni hanno conferma-to il potere di Abdelaziz Bouteflika,vincitore con l’83,49% dei voti vali-di, contro il 7,93% dello sfidante AliBenflis, leader di quel Fronte di Libe-razione Nazionale che ha guidato ilpaese per decenni, e dalle cui fila è

L’Algeria al bivio

di Alessandro Bresolin

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uscito lo stesso Bouteflika. Molto di-staccato si è piazzato Abdallah Dja-ballah, il candidato islamico modera-to, con il 4,84%, mentre all’un percento sono rimasti liberal-democrati-ci e trotzkisti. In Kabilya, la regionemontuosa del nord-est a maggioran-za berbera, le elezioni sono state boi-cottate per protesta, contro l’assenzadi una concreta politica berbera daparte del governo, e inoltre partiti im-portanti quali il RCD (Rassemblementpour la Culture et la Démocratie) e ilFFS (Front des Forces Socialistes) nonsi sono presentati in quanto dubitava-no sulle reali intenzioni del presiden-te uscente. Prescindendo dalla rego-larità o meno del voto, sulla quale ov-viamente si nutrono pesanti dubbi, irisultati sono stati salutati con bene-volenza e senza obiezioni da tutte lecancellerie occidentali.

Eletto per la prima volta nel 1999,uomo forte delle forze armate e benvisto dalla Francia di Chirac, oggi do-po un decennio di violenze, costate200.000 morti civili di ogni ceto so-ciale (donne, bambini, giornalisti, con-tadini, sindacalisti), è riuscito a otte-nere alcuni successi nella lotta ai grup-pi islamici armati, soprattutto con lalegge sulla “concordia civile” del lu-glio 1999 che prevedeva un’amnistiaper quei militanti islamici che avesse-ro deposto le armi. Un altro fiore al-l’occhiello della gestione Bouteflika èil rispetto dei dettami del Fondo Mo-netario Internazionale, attraverso ilpuntuale pagamento del debito, otte-nuto con grandi sacrifici. Il prezzo pa-gato, però, è una grave crisi economi-ca che genera rassegnazione e altraviolenza, mentre gran parte della po-polazione è ancora traumatizzata dailutti e a fatica riprende la normalità.

Il presidente ha creato un sistema dipotere in cui i militari hanno esteso illoro controllo sulla società. Questonon rappresenta una novità per l’Al-geria, visto che, avendo avuto una de-colonizzazione violenta a seguito diuna guerra civile durata otto anni, lastruttura dello Stato è nata dall’eser-cito. Nonostante ciò, rispetto ai pae-si vicini del maghreb, l’Algeria si eradistinta a partire dagli anni ottanta perla scelta di intraprendere una autoc-tona via democratica. Sotto questoaspetto le elezioni del 2004 per mol-ti versi rappresentano una sconfitta ri-spetto alla breve storia democraticadel paese, non tanto per la vittoria diBouteflika ma per le sue proporzioni.

La diversità algerina

Nell’89 venne abbandonato il regimea partito unico guidato dall’Fln, il qua-le scelse di traghettare il paese versoil multipartitismo. Così, il biennio 1989-1991, dalla rivolta del pane nelle piaz-ze all’invalidazione delle elezioni vin-te dal Fronte di Salvezza Islamico, vie-ne ricordato come una “primavera de-mocratica” che suscitò un moto di par-tecipazione politica tra la popolazio-ne. In seguito, la specificità algerinadi fronte al pericolo fondamentalista,anzi nonostante questo pericolo, eraquella di avere un’ampia opinionepubblica che vi si opponeva, nel ten-tativo di difendere la vita democrati-ca. Intellettuali e artisti algerini sonostati i bersagli principali e hanno lot-tato in prima fila contro il fondamen-talismo, richiamando alla mente con-cetti obsoleti per noi occidentali, qua-li coerenza, ricerca della verità, rifiu-to del servilismo.

Ciò è dovuto al fatto che, se è veroche l’esercito ha avuto un ruolo fon-dante nella nascita della repubblica,la società e gli intellettuali ne hannoavuto uno altrettanto importante. Findall’epoca coloniale in Algeria era pre-sente un ceto intellettuale critico e unislam moderato che aveva puntato mol-tissimo sull’istruzione, con l’aperturadi scuole in tutto il paese. Durante laguerra d’indipendenza poi, le donnehanno partecipato attivamente alla re-sistenza contro i francesi, facendo sìche alcuni diritti li abbiano conqui-stati sul campo, e per questo hannoun ruolo attivo anche oggi contro ilfondamentalismo. Il socialismo di sta-to algerino infine, prima di diventareun regime corrotto, era contaminatoda esperienze augestionarie, nell’i-struzione e nell’economia. Tutto ciòha fatto sì che, rispetto alla maggio-ranza dei paesi vicini, in Algeria fos-

se presente una certa libertà d’e-spressione e una libera stampa.

Nei bui anni novanta, la lotta tra ter-rore e libertà aveva un senso forte gra-zie alla difesa di queste libertà civi-che, ai movimenti femminili, ai con-tadini della Kabilya che combatteva-no nei villaggi contro le incursioni deigruppi armati. Tanto che anche il po-tere centrale aveva capito che la de-mocratizzazione della società algeri-na sarebbe passata attraverso il rico-noscimento della cultura berbera, del-la specificità della Kabylia attraversoun certo grado di federalismo e il ri-conoscimento dell’amazigh, la linguaberbera, quale idioma fondante l’i-dentità nazionale.

Verso il modello tunisino?

L’Algeria, nel lungo periodo dall’in-dipendenza agli anni novanta, con fa-tica, ha sviluppato una via autoctonaalla democrazia, un modello ora incrisi. La polizia politica ha assunto unruolo di controllo sempre più ampioin questi anni, limitando quelle basi-lari libertà democratiche a difesa del-le quali i militari sostenevano di averpreso il potere nel ’91, di fronte al pe-ricolo della creazione di uno statoislamico. La guerra contro il fonda-mentalismo è stata condotta in modoambiguo dal potere centrale, visto cheancora non è stata fatta luce sul coin-volgimento di apparati dell’esercito edei servizi segreti algerini in moltestragi contro civili inermi. Non a ca-so, come molti hanno sottolineato, lasocietà algerina dal ’91 è prigionierada un lato della violenza terrorista edall’altro di quella repressiva delloStato.

Un modello che avvicina l’Algeriaai vicini della Tunisia, dove non esi-ste libertà di espressione e anche in-ternet è sotto controllo governativo.Il futuro dell’Algeria può passare at-traverso un allargamento della parte-cipazione democratica, un modelloche faccia leva sulle diversità cultu-rali, etniche e politiche del paese, va-lorizzandole come una ricchezza, oattraverso l’importazione del model-lo tunisino, cioè libero mercato sen-za diritti e democrazia. Queste ele-zioni segnano un passo importante,anche se non decisivo, verso questaopzione.

Alessandro Bresolin

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Il mio viaggio

Dal 4 al 17 settembre 2003 sono sta-ta in Bosnia-Erzegovina. Sono andataa trovare due mie amiche, Ljubica edEdina, che erano con me in Germa-nia, a Konstanz, l’anno scorso. La pri-ma è bosniaca-croata, nata a Zenica,una città a un’ora di macchina da Sa-rajevo in direzione nord-ovest (zonaa maggioranza musulmana), ora vivea Mostar. L’altra è bosniaca-musul-mana di Tesanj, due ore a nord di Sa-rajevo. Sono andata in Bosnia e vi hoscoperto tutto un mondo. L’esigenzaprimaria, istintiva, da cui questo dia-rio scombinato è nato, era di racco-gliere e immagazzinare tutto. Assor-bire a più non posso. È stato un viag-gio soprattutto attraverso le persone:loro due, le loro famiglie e i loro ami-ci. Ciò che scrivo è quello che mi han-no mostrato e raccontato. La storia delloro paese, sulla strada per Medjugo-rie, il loro album di famiglia, la tom-ba dei loro nonni, le telenovele ita-liane con i sottotitoli in serbo-croato,la loro casa di campagna (che tuttiavevano, retaggio dell’antico regimecomunista), il caffè bosniaco, le mo-schee, la casa del derviscio… mi so-no lasciata guidare da loro per le lo-ro strade. Spero quindi di non aver tra-visato la loro verità. Cioè la Verità.

La guerra

Il 5 aprile 1992 in Bosnia-Erzegovinasolo alcuni potevano credere che sa-rebbe successo quello che poi un at-timo dopo, l’indomani, realmente èsuccesso. La guerra. Cioè l’aggressio-ne da parte della Serbia e l’assedio diSarajevo. È finita alla fine del 1995,quando si dice che la Nato, sbeffeg-giata dai serbi per impotenza (in realtàera semplice inazione), ha rischiatodi perdere la faccia e si è quindi im-pegnata a far finire un conflitto in cui

non aveva, alla fin fine, nessun inte-resse. O almeno queste cose le rac-conta Danis Tanovic, regista di NoMan’s Land. All’ombra di questa pre-messa si è snodato il mio viaggio. Mail sole e le belle giornate non sonomancate. Soprattutto nella mediterra-nea Erzegovina.

Un paese che non fa rimacon nessuna moda

I serbi hanno cambiato i nomi dellecittà che hanno conquistato, senza dir-lo agli altri naturalmente. Un amicodi Ljubica doveva andare in una cittàche però era sparita dalla carta geo-grafica. Non so quanti giorni ci hamesso, aiutato dagli amici, a trovareil nome nuovo e di conseguenza lo-calizzarla. Una città fantasma è diffi-cile da immaginare.

I serbi… si aggiunge il cirillico a ren-dere questo popolo a prima vista an-cora più incomprensibile. Riesco a ca-pirlo solo negli occhi della mia ami-ca Veca di Belgrado. Mi diceva che lapolitica ha combinato un vero schifoe ha rovinato le persone, le piccolepersone di ogni giorno che, come lei,Ljubica ed Edina, si incontrano, si co-noscono, si stimano e se dico che sivogliono bene non è sentimentalismo.

Nella realtà geopolitica, lembi diRepubblica Serba (srbska la parolacon meno vocali nella storia della fo-netica…) sono compresi nei confinidello stato bosniaco. Non c’è nessu-na frontiera, se non quella alfabetica,che demoralizza il turista e inacidiscemusulmani e croati. Loro lo leggonoil cirillico, certo. A scuola scrivevanouna settimana con l’alfabeto latino,una con quello cirillico. C’è un pun-to di contatto tra i due: le targhe del-le automobili. Le targhe sono forma-te, come da noi, da cifre e lettere male lettere sono solo quelle comuni aidue alfabeti. È stato fatto in modo da

Bosnia-Erzegovina: prova a immaginareDiario da Sarajevo - I

di Sara Deganello

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non creare discriminazioni (o ricono-scimenti discriminatori). Prima dellaguerra, però, in Bosnia, quello cirilli-co era solo l’alfabeto dei colti e dellatradizione. Non compariva sui cartel-li stradali e sulle insegne dei negozi.Ora invece sì, assolutamente e benein vista. Non riuscivo ad immaginar-mi che prima non fosse così.

Quando racconto queste cose c’èchi mi chiede ancora cosa ci sia an-data a fare in Bosnia. Un paese chenon fa rima con nessuna moda, connessuna attrazione, con nessuna fa-ma. Se non della più infamante. An-che un altro sentimento evoca forse laBosnia: quello del conato umanitario.In realtà loro non hanno bisogno del-la pietà di nessuno. Alla svendita deibuoni sentimenti dell’occidente par-tecipano le coscienze semplici o for-se solo confuse. Ora c’è il bisognopuntuale di dare dignità, ora comesempre. Saperla dare è una virtù po-litica che hanno tutti, anzi che devo-no perseguire tutti.

Edina e Ljubica

Quando ho conosciuto Edina a Kon-stanz, eravamo in autobus e mi avevaappena detto di essere bosniaca. Al-lora io, volendo parlare un po’, le hochiesto candidamente quale fosse lacapitale della Bosnia, borbottando checon tutti quegli stati nuovi facevo unpo’ di confusione. Sarajevo, mi ha ri-sposto. E io lì ho iniziato a scusarmi.

Dopo quell’iniziale imbarazzo mi hamolto parlato del suo Paese. Io ho im-parato che i croati sono cattolici, i ser-bi ortodossi e i bosniaci (che non sia-no serbo-bosniaci o croato-bosniaci)musulmani. Lei quando comincia aparlare di politica con Ljubica su al-cuni punti non riesce proprio a trova-re un terreno comune (la cosa è reci-proca). Come titolare di un passapor-to che le permette di andare senza vi-sto solo a Cuba, in Turchia e negli sta-ti islamici, non riesce a capire comebosniaci come lei, nati e cresciuti nelsuo stesso Stato, magari addirittura nel-la stessa città, possano accedere alpassaporto croato, cioè alla porta chesi apre sul mondo. Tale passaporto per-mette, infatti, di entrare in molti Paesisenza visto, primi fra tutti quelli del-l’Unione Europea. La Croazia pensagià di giungere a farvi parte nel futu-ro prossimo, la Bosnia non ci pensaneppure, tanto è lontana dagli stan-

dards richiesti. Edina non riesce ad ac-cettare il fatto di questi due passapor-ti. La nazionalità è una sola. InveceLjubica addosso se la sente doppia.Ljubica… Il nonno materno è stato usta-scia, il padre è fuggito a piedi attraver-so i monti intorno a Zenica per non do-ver combattere con l’esercito bosnia-co e ha disertato il matrimonio dellacugina che ha sposato un serbo. È tor-nato dalla guerra che era un vecchio,lei lo ricordava moro e forte. La madrevi ha perso un occhio. Lei, la figlia mag-giore, ha passato tre anni e mezzo diguerra al sicuro in Germania, su a nord.Era partita credendo di doverci staredue settimane, gita premio ai più me-ritevoli della prima media. Tutto que-sto lo racconta senza l’enfasi che for-se è il pegno di quelli che sono messidi fronte a situazioni di dolore inim-maginabili per la famiglia media italia-na del nord est. I suoi fratelli più pic-coli passavano le estati di guerra ospi-tati da famiglie italiane. Le scuole nonhanno chiuso, durante la guerra. Soloera tutto più complicato e difficile. Opiù facile, per qualche furbo. Ora si co-mincia a dubitare che qualche diplo-ma rilasciato in quel periodo non siastato conseguito regolarmente.

Ora, nell’ebbrezza, magari a Ljubicaviene anche da cantare l’antico (e at-tuale? Non so…) inno croato tra lo sde-gno di Edina. Poi mi confessa che è sta-to difficile, il ritorno. Che ha fatto fati-ca ad accettare quello che la sua gen-te aveva fatto durante la guerra. Han-no abbattuto lo Stari Most, il ponte vec-chio a Mostar. Sono proprio stati loro,i croati. Ma ora vuole andare avanti. Èconvinta che per i musulmani sia an-cora più difficile. Loro le hanno prese,come si dice, da tutte le parti. E nonavevano uno stato esterno su cui con-tare e in cui rifugiarsi come i croato-bosniaci o i serbo-bosniaci. Forse è an-che da questo che nasce il doloreprofondo di Edina. Lo vedo anche inNermina, sua madre, che mi dice: mihanno portato via la mia patria. Quel-la era la mia patria. Era la Jugoslavia. Eloro erano tutti gli slavi del sud.

La patria

Non è come da noi che questa paro-la ti fa risuonare dentro subito il fred-do bianco lineare del Vittoriale. In in-glese come in tedesco è un suonoprofondo ma accogliente, rotondo: ho-me, Heimat. E queste lingue hanno

pure, a differenza nostra, un termineche indica la nostalgia di casa. La ma-lattia della patria. Homesick, Heimweh.Di sicuro anche gli slavi ne avrannouno corrispondente. La loro è una ter-ra povera, sfortunata sembra. Quindiuna terra di partenze. La casa (home)è dove ti amano, dove ti conoscono edove tu conosci e ami loro.

C’è molta gente che lavora in Ger-mania e poi manda i soldi a casa e vitorna il prima possibile. Sono quelliche stavano con me sul pullman Kon-stanz-Tesanj. Sono quelli che viaggia-no lungo la notte attraverso tre fron-tiere e tre controlli dei passaporti insilenzio, birra economica e rugheprofonde. Sono quelli che sono per-cepibilmente felici quando entrano interritorio bosniaco, anche perché lanotte oscura e insonne è ormai allespalle. Mi offrono cioccolata perchélavorano alla Milka e ne portano a ca-sa a scatole o mi offrono gomme e ac-qua perché sono semplicemente gen-tili. O forse non riescono a capacitar-si di cosa ci faccia un’italiana lì conloro. Loro che mi mostrano lo smina-mento di un campo come se fosse unfamoso monumento bosniaco.

Quando è scoppiata la guerra, Edi-na, la madre e il fratello, sono scap-pati in Germania come rifugiati. Il 6aprile 1992 è cominciato l’attacco econ l’esercito serbo che avanzava, il12, erano già partiti. Gli uomini del-la famiglia erano però rimasti in Bo-snia e li hanno raggiunti solamente inseguito. Lo zio con un passaporto fal-so addirittura. Cerco di immaginare ladinamica di quegli avvenimenti e quelche mi viene in mente subito è cosasi sarà messa nella valigia. Che do-manda stupida. Ma cosa avrà pensa-to una ragazzina di 12 anni di frontea quella fuga?

Quando è scoppiata la guerra in Iraql’abbiamo guardata insieme in televi-sione. Ma lei, dopo un po’, aveva giàdeciso che non voleva saperne più ditanto, anzi che non ne voleva propriosapere. E io a dirle: ma come, Edina,al giorno d’oggi bisogna tenersi infor-mati, non ci si può permettere di ri-fiutare la vista dei fatti globali. Unaguerra mi ha già rovinato l’infanzia,mi ha risposto. E tutte le guerre sonouguali. Come puoi immaginare di sta-re settimane, mesi, senza sapere se tuopadre e i tuoi nonni che sono rimastia casa sono vivi e stanno bene?

Sara Deganello

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1 febbraio 2004 - Venezia.Prima di iniziare comincio:a voi che guardate a mezz’a-ria e avete ancora negli oc-chi lo sguardo trasversaledel presidente (mi consen-ta), stropicciate le palpebree tra i barbagli che si ac-cendono sulla retina, pro-vate a leggere la cronaca in-completa del cronista sen-za passato. Rientro di Gae-tano dall’Angola, dopo unasettimana di incontri con leautorità civili e religiose pervedere le opportunità di in-tervento assistenziale e in-terculturale con la diocesidi Benguela e in particola-re con la località di Ganda,dove opera l’amico padreAdriano, a beneficio degliorfani della guerra e per laricostruzione civile e mora-le del paese.

3 febbraio 2004 - Belluno.Giuseppe alla scuola dei me-diatori culturali organizza-ta dal Ceis, per affrontare itemi della diversità, cercan-do insieme ai partecipantidi analizzare e scoprire op-portunità e rischi dell’in-contro tra persone di cultu-re diverse e aprire le funzionidi ruolo degli operatori. Lascuola è rivolta a quindicigiovani, ragazzi e ragazzelaureate, che hanno già avu-to altre esperienze di lavo-ro. L’intervento del presi-dente ha una durata di die-ci lezioni.

5 febbraio 2004 - Verona.Giuseppe ad un gruppo digiovani laureati partecipan-ti di un master sul Terzo Set-tore, la funzione delle asso-

ciazioni e delle ONG, e delno profit, di cui anche la no-stra rivista ha trattato nel nu-mero 52. È un settore im-portante, che assorbe mol-te risorse umane e che puòdiventare, se non una alter-nativa al sistema del profit-to, un modo diverso di la-vorare, senza inquinare lerelazioni, con una prospet-tiva che non sia il solo con-sumo e con una finalità cheprivilegi il bene comune.

11 febbraio 2004 - Bassa-no del Grappa (Vi). Invitatidal corpo docenti dell’Isti-tuto Remondini all’assem-blea degli studenti, Giusep-pe e Alì affrontano il temadegli stranieri; contempora-neamente, nei laboratori pa-ralleli, don Sandro di Ros-sano, assieme al GruppoIESS, affronta il tema gene-rale dello straniero.

Padova, Casa Pio X. Tavo-la rotonda su Lavoro e fles-sibilità patrocinata dalle Acli.Sorgono domande: quale

senso trovare nel lavoro og-gi? quali motivazioni spin-gono oggi il giovane a lavo-rare? Sono domande diffici-li, vista la dequalificazionein cui è caduto il lavoratoree quanto sia dequalificata lasua merce. La congerie in-numerevole dei contratti dilavoro ha trasformato il rap-porto di lavoro già merce inulteriore rapido usa e getta,come d’altronde si fa sulmercato degli acquisti. Nonsempre l’esposizione e il di-battito si sono svolti in mo-do unanime, anche perchénon sempre si desidera ca-pire e andare oltre, ma si pre-ferisce raggiungere il com-promesso già a livello di ri-flessione teorica, che poi si-gnifica avere le risposte giàconfezionate. Non ci sonostati comunque incidente trai convenuti; qualche stoc-cata, senza punte da estrar-re in pronto soccorso.

12 febbraio 2004 - Arzer-grande (Pd). Giuseppe è in-

vitato dalla parrocchia a par-lare de Le sfide del diritto. Ilrelatore ripetutamente hacercato tra la folla il padredi don Sandro, sarto del pae-se, ma che in quella occa-sione un’indisposizione pas-seggera ha trattenuto in ca-sa. Si è dilungato l’oratoresulla sorgente del diritto, sul-la differenza tra diritto astrat-to e diritto riconosciuto. Ri-flessione non sempre facile,dal momento che si confon-de il diritto con il bisogno esi sostituisce a volte la giu-stizia con la carità. La poli-tica che è azione per difen-dere il bene comune è lostrumento e insieme la con-dizione esistenziale del di-ritto. Che è frutto della co-munità e non la trascende,anche se non è mai esauri-to nelle sue espressioni con-crete.

15 febbraio 2004 - Povedel Grappa (Vi). Battesimodi Micol, figlia di Baldassa-re e Chiara che vivono a Po-ve, ai piedi della montagnache si erge alle spalle delpaese e raccoglie gli ultimiulivi della macchia medi-terranea. Dopo l’aspersionedell’acqua che introduce lacreatura nella comunità de-gli uomini, il piccolo corteoformato dagli amici si è in-camminato a cavallo di cen-tinaia di cavalli fiscali versola trattoria Doro, per con-sumare in quieta allegria ilpranzo offerto dagli Zan-chetta-Cucchini, oriundi daimonti e dal mare.

18 febbraio 2004 - Arze-rello (Pd). Si conclude il ci-

Macondo e dintorniCronaca dalla sede nazionale

di Gaetano Farinelli

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clo di lezioni alla scuola deigenitori con la relazione delpresidente su Giovani e ter-ritorio. La sala è gremita co-me nelle grandi occasioni.Il parroco, con espedienteteatrale, mostra le funzionicui assolvere e invita il re-latore ad attenersi ai fatti. Ilrelatore si incammina neldifficile circuito delle cifree delle deduzioni compor-tamentali. Qualcuno inter-rompe dal pubblico. Il rela-tore riprende: nella famigliaattuale unicellulare, tesa allavoro e al benessere indi-viduale, l’attenzione e il tem-po dedicato ai figli sonoscarsi; per questo i figli so-no incerti e non hanno spe-ranza. L’analisi è ostica, ilpubblico è deluso. Un can-to finale riprende i contenutiin termini poetici e suasivi.Ed è notte fonda. La musicafa la coda alle stelle.

21 febbraio 2004 - Ron-zano (Bo). Sabato e dome-nica lo staff del campo diOstuni (Nadia, Paola e Ga-briele, Lele all’anagrafe) siincontra coi partecipanti delnord, dentro la neve del-l’inverno rigido, nel mona-stero dei Servi di Maria, conun freddo che raggiunge lepareti del maniero e le at-traversa. Saranno due gior-ni di ripresa di contatto, disollecitazione ad andare ol-tre, con qualche intempe-ranza notturna che la sor-veglianza vigile frena a dop-pia mandata. Olè!

Milano, studi della Rai Tv.Giuseppe ospite di Che tem-po che fa con Fabio Faziotra due fuochi di chi attac-ca e chi difende la mani-polazione genetica e lui chericorda la responsabilità diuna società che ha dimen-ticato i valori e di un pro-gresso che ha distrutto le re-lazioni sociali senza pre-parare un nuovo terrenoumano.

26 febbraio 2004 - Povedel Grappa (Vi). Baldassareconvoca lo staff che orga-

nizza la festa di maggio peri preliminari, che consisto-no nell’analisi delle forze, ela messa in moto delle mo-dalità. Quest’anno saremoancora a Spin di Romano,ma lo spazio si restringe esarà necessario un tendonea raccogliere le associazio-ni coi loro tavoli. E poi ci so-no i complessi a suonare ei permessi di igiene e i nul-la osta del comune e la col-laborazione coi servizi d’or-dine e la sottoscrizione pre-mi e gli sponsor e le locan-dine e il nome che manca.E i cartelli e i cartelloni, glistriscioni e le sedie, le pan-che e i gabinetti chimici, untempo latrine o vespasianio ritirata strategica, semprecomunque un finale di par-tita, con carico e scarico. Edè ormai primavera, che nonfa male.

28/29 febbraio 2004 - Va-go di Lavagno (Vr). Semina-rio di formazione su Viverele relazioni. Per motivi di sa-

lute il professor Mario Tron-ti non ha potuto tenere lasua relazione; e ha bene as-solto al compito e all’onereCarmine di Sante, che hacondotto le due giornate.Numerosi i partecipanti, innumero superiore alle pre-visioni. La solerzia di Fau-sto Valensisi ha saputo si-stemare e collocare tutti ipresenti, pur essendo la ca-sa ospitante insufficiente pernumero di letti e camere. At-traverso un’esposizione com-plessa e insieme chiara, ilrelatore ha portato gli ascol-tatori ad approfondire il con-cetto della vita come dono,che si scopre e si costruisceassieme, partendo dalla cen-tralità della relazione, allanostra condizione che èquella di essere dati; dallarelazione di dio con l’uomoche è una relazione senzautile ritorno, del più verso ilmeno, passando per la no-stra, che è una relazione do-nata da ridonare, come Dioè nell’altro, nel volto del-

l’altro, nel povero; arrivan-do alla relazione uomo don-na; incalzando sulla rela-zione con la morte e al rap-porto tra relazione e tradi-mento. Al pubblico nume-roso erano riservati spazi fre-quenti di intervento e dicomposizione. E il tempocorreva e navigava lontanodalle nebbie e dalle buferedi neve che si scatenavanoun poco ovunque nell’Italiapeninsulare.

2 marzo 2004 - Valcasonidi Eraclea (Ve). La parroc-chia “Gesù buon Pastore”invita il nostro presidenteGiuseppe Stoppiglia a ri-flettere insieme ai parroc-chiani sul tema Da una so-cietà frantumata si può co-struire una nuova comunità?e richiama indirettamente iltema della speranza, rivol-to dunque ad ogni età, perricostruire spazi abbando-nati e persi, perché nuovi,diversi, a volte infausti gliobiettivi che la società si èposti. Promotore della sera-ta Alberto Camata, che cu-ra il sito virtuale, per pro-muovere l’incontro e lo spa-zio dell’incontro. Incerto sulmagnetismo dell’oratore, ilcommittente ha allargato l’in-vito a parenti, amici, geni-tori, zii d’America, che han-no lasciato sulla porta d’in-gresso il loro nome e codi-ce personale, ma non l’at-tenzione riverente.

4 marzo 2004 - Bassanodel Grappa (Vi). La profes-soressa Gianna Miola invi-ta Giuseppe alla cena men-sile del Rotary, per raccon-tare ai membri del Club checosa sia Macondo e di quan-to sostiene l’associazionecon il suo spirito e nella suaazione complessa. In parti-colare si sofferma a parlaredei ragazzi di strada di Riode Janeiro; e passa poi a par-lare di un’infanzia abban-donata a se stessa pure inOccidente, anche se per mo-tivi diversi dalla società bra-siliana.

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7 marzo 2004 - Budrio(Bo). Non è da molto che pa-dre Umberto Scalabrini è sta-to nominato parroco e chie-de a Giuseppe un interven-to su di una delle caratteri-stiche dei Servi di Maria, lamissionarietà. Questa nascecome risposta a un messag-gio che coinvolge in primapersona e nella coscienzarispetto a un contenuto cheè il Vangelo, che invita allatestimonianza e all’annun-cio, che mette in rapportocon l’altro, con l’uomo, inprima fila, come paradigmadi amore e di libertà nellarelazione con Dio. Una re-lazione che spegne la reli-gione come rito e come leg-ge, per divenire fedeltà allagiustizia e alla verità degliuomini, nell’amore e nellalibertà come condizioniumane, non astratte, ma sto-riche, reali. La missionarietànon è l’abbondanza di mis-sionari all’estero, ma la fe-deltà al vangelo e all’uomoin Dio.

8 marzo 2004 - MauroFurlan parte per il Brasile.Qualcuno dirà, ecché? Mau-ro riparte e resterà un pe-riodo lungo quei tempi cheappartengono alla vita e nonsono un semplice stacco, unbreve sogno; farà parte del-l’associazione beneficenteAmar, di cui condivide lospirito, pur cercando in es-sa un contributo vivo al suosogno: di costruire assiemeal viandante il percorso sem-plice della libertà respon-sabile.

10 marzo 2004 - Brindisi,parrocchia di san Vito mar-tire. Una vecchia relazioneci lega alla comunità di Brin-disi, che risale agli inizi del-l’associazione Macondo;rafforzata dalla presenza diAngelica che coordinava leattività di formazione, daPaolo Piccinno che parteci-pava già ai primi campiscuola di Macondo, dal par-roco don Peppino, che in-tratteneva un rapporto di sti-

ma e di fiducia con il presi-dente. Nel ciclo di incontriorganizzato dalla parroc-chia, hanno parlato Giu-seppe su Lo scandalo dellasperanza; la condizione gio-vanile oggi e Carmine di San-te su Lo straniero nella Bib-bia. Ricca la partecipazionedei fedeli agli incontri.

12 marzo 2004 - Belve-dere di Tezze (Vi). Tema: Ge-nitori e figli in una societàframmentata, riflessioni sulrapporto educativo e suecondizioni, sulla necessitàdi spazi di incontro e de-nuncia di valori che hannoincrinato i rapporti socialisecondari e primari. Moltele persone presenti, chespesso purtroppo avvertonol’urgenza dei problemi im-mediati, cui trovare subitouna soluzione, mentre lun-go è il percorso della for-mazione, complesso il pro-gredire della relazione edu-cante, reciproco, non uni-direzionale.

14 marzo 2004 - FioranoModenese (Mo). Riunione disegreteria in casa di Nadia.I componenti sono al com-pleto, l’ordine del giorno nu-trito: la festa nazionale di Ma-condo; relazione sul viaggiodi Gaetano Farinelli reducedall’Angola, dove ha incon-trato padre Adriano e ha con-statato il clima di difficoltàin un paese che esce dallaguerra civile e porta ancorain sé le ferite mortali dellaguerra; ora si appresta a par-tire per il Brasile a giugno as-sieme a Carmine di Sante perprendere contatto con espo-nenti della teologia della li-berazione e con le comunitàdi base. Segue l’analisi del-la formazione, indicazionedi metodo e programmazio-ne dei campi, a seconda del-l’età e dei livelli di inseri-mento nello spirito di Ma-condo o nella programma-zione dei campi estivi.

16 marzo 2004 - RossanoVeneto (Vi). Il gruppo gio-

vani della parrocchia si pre-para per un viaggio in Bra-sile e sua permanenza pres-so le associazioni di Rio cheseguono i ragazzi e le ra-gazze di strada. Il gruppo èalla sua seconda esperien-za, naturalmente ci sonovecchi e nuovi componen-ti. È un viaggio di relazione,una permanenza che va ol-tre l’esperienza, per diveni-re un modo di sentire nuo-vo, di far propria la condi-zione degli altri, senza so-stituirsi, essere al posto di,o senza precipitare in sensidi colpa inutili e devianti.La preparazione del gruppoconsiste nell’apprendimen-to dei rudimenti della linguabrasiliana e nella cono-scenza di alcuni tratti stori-ci sociali e politici del Bra-sile. Questa sera GiuseppeStoppiglia aveva il compitodi illustrare cosa può essereil primo impatto con il Bra-sile, il senso del viaggiare el’atteggiamento di ascolto interra straniera.

19 marzo 2004 - Bassanodel Grappa (Vi). Conferen-za serale presso l’Istituto Ei-naudi sul tema Genitori e fi-gli, organizzato dalla segre-teria della scuola e fre-quentata per gran parte daigenitori. Attenti ai problemi,ma con quella caratteristicacui accennavo in altro spa-zio, ed è l’attenzione allecondizioni e alle problema-tiche proprie, senza avereun quadro complessivo emeno ancora attenti ad unobiettivo generale: che so-no gli spazi educativi e i luo-ghi di incontro, che sov-vengono a bisogni persona-li e sociali; la tematica eragenerale: Il silenzio, il muti-smo dei giovani.

22 marzo 2004 - Bologna.Valter e Teresa Cavina sonorientrati dal lungo viaggioattraverso l’America Latina.Ritorneranno in Messicoquesta estate per seguire ilprogetto della casa nel Chia-pas; per Macondo rappre-

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sentano oltre la simpatia cheli distingue, un punto di ri-ferimento per il viaggio e laconoscenza del Messico. So-no già molti coloro che han-no approfittato della loro ge-nerosa disponibilità.

1 aprile 2004 - Erba (Co).Le parrocchie del vicariatoorganizzano un incontro peri giovani che partecipano innumero ristretto, pur prove-nienti da ben trentotto co-munità parrocchiali. Perchéquesta scarsità? Domandecui è difficile rispondere: for-se il radicamento ecclesia-le è superficiale, forse l’ar-gomento poco accattivante,forse perché al primo di apri-le c’è la sorpresa del pesce,forse… Certo che erano po-chi. Il relatore ha parlato acuore aperto, senza cortiso-ne e senza pericolo di infe-zione: della missione dellaChiesa, della evangelizza-zione.

3 aprile 2004 - Firenze. Al-la Fortezza da Basso si ce-lebra la prima edizione diTerra futura. Al suo internoil sindacato Fiba Cisl (ban-cari) e il gruppo EtiFiba or-ganizzano una mostra con-vegno che si snoda su tavo-le rotonde. Nella secondamattinata di sabato si affrontail tema Responsabilità e tra-sparenza: il lavoratore delcredito e assicurazioni traazienda e cliente. La sfidadell’etica. Intervengono Giu-seppe Gallo, nuovo segre-tario della FIBA, Donata Got-tardi, giurista, Antonio DaRe, filosofo, per la societàcivile Francuccio Gesualdi.Moderatore del dibattito:Giuseppe Stoppiglia, presi-dente di Macondo. Aggiun-go una breve nota di crona-ca presa da una rivista sin-dacale: «Sulle recenti truffe,quando si tratta di incolpa-re le banche si trova moltoconsenso; ma se ognuno dinoi prova ed esaminare l’in-dividualismo e il tornacon-to personale che sempre piùci muovono, nel lavoro co-

me nella vita…». Era soloun’aggiunta, per la cronaca.

11 aprile 2004 - Bassanodel Grappa (Vi). Il gruppoMacondo di Bassano orga-nizza la messa domenicaledi Pasqua, dentro la coordi-nazione di Luigi, che assie-me a Stefano accompagna icanti con l’arpa. Intona i can-ti Giuseppe Stoppiglia, al-l’unisono con il geometra,che ultimamente intonasempre canti dal contenutosublime con note basse, incalare, senza perdere di to-no. Numerosi i fedeli pre-senti all’eucaristia. Hannoparlato Gaetano e Giusep-pe: della misericordia, del-la giustizia e dell’impegnopolitico, da cui nessuno puòsottrarsi, che significa lotta-re non tanto per vincere, maperché diventi sempre piùconcreto il valore del benecomune.

15 aprile 2004 - CastelloD’Argile (Bo). Linda orga-nizza un incontro nella bi-blioteca del comune, al qua-le interviene il presidente,sul tema Lo scandalo dellasperanza. Non è facile oggiparlare di speranza quandopare che la politica si possaconcludere solo con la guer-ra e l’economia è diventataun Moloch cui tutti devonosacrificare i sentimenti uma-ni; e chi non riesce a inte-grarsi, anche la pelle.

19 aprile 2004 - FioranoModenese (Mo). Su invitodel circolo culturale cheogni anno propone una ma-nifestazione teatrale, il giu-dice Davigo parla nella se-de di Comune di Fiorano aun folto gruppo di personesul tema del rapporto tragiustizia, istituzioni e cCit-tadini. Il relatore sarà pre-sentato da Nadia Francia,che ne aveva sollecitato l’in-tervento. Brillante e incisi-vo come sempre, lascia unbuon ricordo e la voglia diimpegnarsi per il bene co-mune. Numerosi gli inter-venti.

20/21/22 aprile 2004 - Ber-gamo. All’interno dell’Uni-versità, nella sede Sant’Ago-stino, viene dedicato uno spa-zio alle immagini e alle nar-razioni di Ad oriente del so-gno occidentale, mostra fo-tografica sull’Albania di Ro-berto Della Chiesa, allestitada Emanuele Flotti. Nellegiornate si sono susseguitinarrazioni e volti, incontri,cui hanno partecipato SilviaFerruzzi, Marcella Filippa,Ivo Lizzola, Giuseppe Stop-piglia e Fulvio Gervasoni.Questi hanno concluso con:Aver cura delle differenze;infine, zigzagando per stra-de e stradelle, il team degliorganizzatori ha raggiunto,in cima ad un cocuzzolo dimonte, un agriturismo, do-ve tutto era buono, non fa-

ceva male ed era delizioso,come nelle favole senza l’or-co.

24 aprile 2004 - Ferrara.Si riunisce la redazione diMadrugada: Stefano Be-nacchio, Mario Bertin, Egi-dio Cardini, Sara Deganel-lo, Gaetano Farinelli, Fran-cesco Monini, GiovanniRealdi, la cui discussioneverte sui monografici pros-simi della rivista: della di-versità e i due occidenti (Eu-ropa, America). Mancava-no Fulvio Cortese e Ales-sandro Bresolin. Una bufe-ra di vento e pioggia ha con-cluso la giornata, che gli im-pavidi hanno attraversato fi-no all’osteria del ghetto, sen-za torce e senza spade. Poila compagnia si è sciolta pernuova data.

29 aprile 2004 - Padova.Civitas inaugura la mostradel Terzo settore, cui parte-cipa anche Macondo con ilmateriale prodotto in questianni e con lo spirito di scam-bio culturale che la distin-gue e con un gruppo di so-ci guidati da Luca Realdi,che prendono contatto per-sonale con i visitanti la mo-stra per informare, indicare,suggerire e ascoltare. Giraun bottiglione di vino rosso,un pacchetto di amendoin(specie di arachidi brasilia-ne) salati e croccanti, cia-scuno beve nel bicchieredell’altro per verificare l’i-doneità di guida.

Pove del Grappa (Vi). Ilpresidente del comitato del-la festa di Macondo, ragio-nier Baldassare Zanchetta,che vive in una torre d’avo-rio per l’invidia dei vicini,che lo vogliono in una do-mus aurea, accogliente co-me un prato di bucaneve,convoca tutte le associazionidi volontariato che hannoaderito alla festa di fine mag-gio, per illustrare le moda-lità di partecipazione, l’usodegli spazi e le finalità.

Gaetano Farinelli

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Queste immagini sono lo stralcio di una raccolta più am-pia proposta da Giuseppe Lanzi in una mostra titolataFrontiere - Borders - Fronteras. Le frontiere sono punti didemarcazione e di separazione, luoghi di passaggio e bar-riere, condizioni di vita e recessi di disperazione. Luoghisognati e maledetti, crogiuolo di prova e beffa nello stes-so tempo. Terreni sconosciuti e inseguiti.

Le loro immagini trovano collocazione sul ripiano dellacredenza di una madre che aspetta il figlio, di una sposache tiene la memoria per i figli del suo uomo che è parti-to per sempre, sul tavolo delle polizie di frontiera. Sonoimmagini di terra, di sabbia, di muri, di reticolati; figure diuomini, di donne, di bambini. In percorsi di lontananza.

Città di confineTijuana, Messico

Lo chiamano La Borda. È il muro che per centinaia di chi-lometri divide Messico e Stati Uniti. È stato costruito nel1994, con le lastre metalliche usate nella Guerra del Golfocome piste per i bombardieri. Ora dividono Tijuana da SanDiego, appena 20 miglia più in là, con la sua base milita-

re, sede dell’Operazione Gatekeeper, condannata anchedall’alto commissariato dell’ONU per i diritti umani.

Ciudad Juarez, Messico

Di là la mitica El Paso, territorio delle scorribande di TexWiller. Di qui Ciudad Jaurez, nello stato di Chihuahua,Messico. In mezzo corre il Rio Grande, attraversato dalponte della ferrovia. Ma una porta gigantesca lo sbarra:di qui passano solo treni merci. Chi vuole passare, ci pro-va in genere dal fiume. Ma pochi riescono a raggiunge-re l’altra sponda.Le croci sul muro ricordano gli oltre 2000 disperati, mor-ti nel tentativo di passare la frontiera. Anche Los Angeles,appena 100 chilometri più in là, li ricorda. Con una ce-rimonia commossa a La Placita Church, messa più cor-teo. Poi pellegrinaggio alle lamiere che tagliano in due,per centinaia di chilometri, la terra tra Usa e Messico.

Le fotografie pubblicate sono state gentilmente concesse all’AssociazioneMacondo da Giuseppe Lanzi, al quale tutti i diritti sono riservati (2004 ©).Come previsto dalla legge, non possono essere riutilizzate senza il preventivoconsenso dell’autore (www.lanzi.ws).

Frontiere, borders, fronterasLe immagini di questo numero di Madrugada

a cura di Giuseppe Lanzi

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SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 , COMMA 20/B, LEGGE 662/96 - VICENZA FERROVIA - TAXE PERÇUE - TASSA RISCOSSA.

IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE ALL’UFFICIO DI VICENZA FERROVIA, DETENTORE DEL CONTO, PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE

(VIA ROMANELLE, 123 - 36020 POVE DEL GRAPPA - VI) CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA.

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