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PROGETTO RESTAURO Trimestrale per la tutela dei Beni Culturali anno 11 - numero 40 - autunno 2006 rivista fondata da Giulio Bresciani Alvarez SOMMARIO Amalia Donatella Basso Il Palazzo Reale di Venezia: aggiornamenti e scoperte. Il ritrovamento di una decorazione pittorica settecentesca. Il restauro del “barcame” e degli abiti dei gondolieri della reggia pagina 2 Lucia Bassotto Lo stato di conservazione delle superfici decorate e l’intervento di messa in sicurezza di tre soffitti al primo piano nobile di Palazzo Reale pagina 8 Carla Onnis Restauro conservativo di quattro grandi mosaici di età romana conservati nella sala romana dei Musei Civici di Padova pagina 11 Martina Giraldo L’architettura decorata a Pisa agli inizi del Novecento pagina 18 Redazionale SAIE, Salone Internazionale dell’Edilizia pagina 24 Denise Ulivieri La “Società Industriale per la fabbricazione di recipienti di Latta e di Legno” di Lucca pagina 25 Valentina Bacci Il Palace Hotel di Viareggio: Lucia Morelli intervento di restauro critico pagina 30 Francesco Augelli “Natura e differenze de legnami nostrani e forastieri”. L’importanza delle conoscenze del legno nel trattato di Vincenzo Scamozzi pagina 35 Elisabetta Cortella Altichiero e la sua bottega nell’Oratorio di San Giorgio pagina 42 Direttore Renzo Fontana Direttore responsabile Luca Parisato Vicedirettore Anna Pietropolli Responsabile di redazione Marina Daga Redazione Loredana Borgato, Anna Brunetto, Michela Carraro, Luca Caburlotto, Paolo Cremonesi, Maria Sole Crespi, Olimpia Niglio, Renzo Ravagnan Corrispondente dall’Inghilterra Claudia Sambo Corrispondente dagli U.S.A. Maria Scarpini Periodicità trimestrale Amministrazione e redazione il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova) tel. 049/640105 fax 049/8797938 e-mail: [email protected] – www.ilprato.com © Copyright gennaio 1998 il prato casa editrice – Padova Ideazione grafica ADV Solutions – Ospedaletto Euganeo (PD) Stampa: Arti Grafiche Padovane Abbonamento a quattro numeri Italia 18 – estero 38 da versare sul c.c.p. 13660352 intestato a il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 – 35020 Saonara (Padova) Informativa ex art. 10 – Legge 675/96 I dati personali forniti verranno trattati dalla casa editrice il prato per gestire il rapporto di abbona- mento e per dare informazioni su iniziative di carat- tere editoriale e promozionale.Per far valere i diritti di cui all’art. 13 rivolgersi alla casa editrice Ogni fascicolo Italia: 6 – estero 12 Registrazione presso il Tribunale di Treviso n. 971 del 19.09.1995 In copertina Porta di felze intagliata e dorata, Venezia, Palazzo Reale. Le opinioni espresse negli articoli pubblicati dalla rivista Progetto Restauro impegnano esclusivamente i rispettivi autori.

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PROGETTO RESTAUROTrimestrale per la tutela dei

Beni Culturalianno 11 - numero 40 - autunno 2006

rivista fondata daGiulio Bresciani Alvarez

SOMMARIO

Amalia Donatella Basso Il Palazzo Reale di Venezia: aggiornamentie scoperte. Il ritrovamento di una decorazionepittorica settecentesca. Il restauro del “barcame”e degli abiti dei gondolieri della reggiapagina 2

Lucia Bassotto Lo stato di conservazione delle superficidecorate e l’intervento di messa in sicurezzadi tre soffitti al primo piano nobiledi Palazzo Realepagina 8

Carla Onnis Restauro conservativo di quattro grandimosaici di età romana conservati nellasala romana dei Musei Civici di Padovapagina 11

Martina Giraldo L’architettura decorata a Pisa agli inizi del Novecentopagina 18

Redazionale SAIE, Salone Internazionale dell’Ediliziapagina 24

Denise Ulivieri La “Società Industriale per la fabbricazionedi recipienti di Latta e di Legno” di Luccapagina 25

Valentina Bacci Il Palace Hotel di Viareggio:Lucia Morelli intervento di restauro critico

pagina 30

Francesco Augelli “Natura e differenze de legnami nostranie forastieri”. L’importanza delle conoscenzedel legno nel trattato di Vincenzo Scamozzipagina 35

Elisabetta Cortella Altichiero e la sua botteganell’Oratorio di San Giorgiopagina 42

DirettoreRenzo Fontana

Direttore responsabileLuca Parisato

VicedirettoreAnna Pietropolli

Responsabile di redazioneMarina Daga

RedazioneLoredana Borgato, Anna Brunetto, Michela Carraro, LucaCaburlotto, Paolo Cremonesi, Maria Sole Crespi, OlimpiaNiglio, Renzo Ravagnan

Corrispondente dall’InghilterraClaudia Sambo

Corrispondente dagli U.S.A.Maria Scarpini

Periodicitàtrimestrale

Amministrazione e redazioneil prato casa editricevia Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova)tel. 049/640105 fax 049/8797938e-mail: [email protected] – www.ilprato.com

© Copyright gennaio 1998il prato casa editrice – Padova

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Abbonamento a quattro numeriItalia 18 – estero 38da versare sul c.c.p. 13660352intestato a il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 – 35020 Saonara (Padova)

Informativa ex art. 10 – Legge 675/96I dati personali forniti verranno trattati dalla casaeditrice il prato per gestire il rapporto di abbona-mento e per dare informazioni su iniziative di carat-tere editoriale e promozionale.Per far valere i dirittidi cui all’art. 13 rivolgersi alla casa editrice

Ogni fascicoloItalia: 6 – estero 12Registrazione presso il Tribunaledi Treviso n. 971 del 19.09.1995

In copertinaPorta di felze intagliata e dorata, Venezia, PalazzoReale.

Le opinioni espresse negli articoli pubblicati dallarivista Progetto Restauro impegnano esclusivamentei rispettivi autori.

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I lavori che hanno interessato ilPalazzo Reale di Venezia in questiultimi vent’anni hanno riguardatoogni aspetto del vasto complessomonumentale adibito a sede di ufficipubblici, di un museo, di una biblio-teca, ma che comprende anche depo-siti e magazzini. Le strutture, gliimpianti, gli straordinari apparatidecorativi, la collezione di mobili edipinti ad esso pertinente, la piùimportante raccolta di arredi otto-centeschi a Venezia che include alcu-ni autentici capolavori, sono statioggetto di numerosi lotti di restau-ro. Ma qui, in particolare, si vuolefare il punto su due aspetti di talearticolato intervento. Il primo relati-vo alla messa in sicurezza dei soffittidi tre ambienti del primo pianonobile, posti sul lato ovest dell’edifi-cio. Quello della sala d’angolo, nu -mero 111 nella pianta del 1838 (fig.1), che ha riservato inaspettate sco-perte, e i due delle sale a seguire,contrassegnati dai numeri 113 e 115.Il secondo tratterà dei materiali rela-tivi alle imbarcazioni reali e agli abitidei gondolieri della Real Casa, che simantengono ancora presso la sedeoriginaria, e dei risultati delle operedi conservazione e catalogazione cheli riguardano.Il Palazzo Reale di Venezia andò

costituendosi dopo l’arrivo dei fran-cesi in città nel 1806. NapoleoneBonaparte espropriò le Procuratie,dimora sino alla caduta della Re -pubblica dei procuratori di SanMarco, per utilizzarle come propriareggia congiuntamente alla Libreriadi San Marco e alla nuova ala cheverrà costruita di fronte alla Basilicamarciana, dopo l’abbattimento dellachiesa di San Gemignano. Nellaparte edificata ex novo furono rea-lizzati lo scalone monumentale e lasala da ballo.La prima opera ad essere principiatafu l’allestimento degli appartamentinobili del primo piano, prospicienti icortili della I e II Procuratia, e quel-li vicereali, al primo piano dellaLibreria di San Marco, appartamen-to sontuoso, dipinto nel 1807 daFelice Giani e Gaetano Bertolani,purtroppo poco noto e per nullavalorizzato1. Ma da subito iniziaro-no anche i lavori relativi alle decora-zioni interne della nuova reggia ispi-rati ad un gusto di derivazione fran-cese. A tale scopo era giunto in cittàCharles Percier, importante architet-to, incisore e disegnatore franceseche assieme a Pierre FranÇois Léo -nard Fontaine aveva contribuito inmodo rilevante all’affermazionedello stile Impero. Muratori e dipin-

tori andarono velocemente predi-sponendo pareti e soffitti affinchédecoratori e pittori, apprezzati dallacommittenza imperiale, potesserointraprendere, su quelle superfici,estese decorazioni parietali comples-se e ricche di motivi ornamentali. Il15 ottobre 1807 era prevista la visitain città dell’imperatore dei francesi eciò comportò necessariamente un’ac-celerazione dei lavori già avviati.L’Intendente Generale dei Beni dellaCorona Costabili, nell’ottobre 1808,riferisce le direttive impartitedall’Altezza Imperiale che “vuolecangiata la disposizione degli Ap -partamenti di Suo uso e dell’AugustaPrincipessa [...] [e che prevedono]una nuova disposizione da attivarsidopo la villeggiatura di Primaveraallorquando si porrà mano all’edifi-cazione dei tre Saloni descritti nelBraccio di appartamento verso ilCampiello del l’A scensione”. Talilavori dunque avranno inizio nel1809. In quello stesso anno verrannosgombrati gli edifici attigui a questaparte della Reggia e quelli in prossi-mità della Bocca di Piazza.La committenza imperiale si avvar-rà, fin da principio, dell’opera diGiuseppe Borsato attivo, lungo tuttala sua vita professionale, nel cantiere“infinito” della dimora reale, moltoesteso e spesso rinnovato, in base alcambiamento del gusto e delle domi-nazioni, non solo come pittore edecoratore, ma concorrendo anchealla realizzazione di mobili in stileneoclassico. Egli sarà attivo purenella “Villa di Reale villeggiatura diStra” e continuerà a prestare la suaopera agli Asburgo allorquando, nel1815, subentreranno ai francesi. Dilui ci sono giunti preventivi risalential gennaio e all’aprile 1810 per ladecorazione di alcune stanze e fattu-re presentate nel 1815 per lavorirelativi a ben diciassette ambienti delPalazzo. In queste fatture sono com-

Il Palazzo Reale di Venezia: aggiornamenti e scoperte.Il ritrovamento di una decorazionepittorica settecentesca. Il restauro del “barcame” e degliabiti dei gondolieri della reggiaAmalia Donatella Basso*

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presi anche gli interventi pagati dallostesso maestro ai pittori GiovanniCarlo Bevilacqua e Pietro Moro.La sua opera, infaticabile e protrattanel tempo, impronta e caratterizzagran parte delle decorazioni dellaReggia con motivi piacevoli e ricer-cati che attingono all’inesauribilerepertorio classico ma che purtutta-via, vanno spegnendosi, perdendo,

nel corso dei decenni verve, vitalità eforza, ma non la grande capacità ditrattare la materia pittorica adattan-dola al senso dell’ornato.Le tre sale che sino a non moltotempo fa erano sede della So -printendenza per i Beni Ambientalie Architettonici del Veneto Orien -tale presentavano tutte gravi proble-mi di conservazione. Per procedere

al consolidamento del soffitto del-l’ambiente d’angolo, numero 111,che mostrava preoccupanti lesioni cisi è avvalsi della possibilità di perve-nire, attraverso un pertugio, ad unospazio soprastante, angusto, altocirca 130 centimetri, compreso tra lastruttura della falsa volta della salasottostante ed il soffitto superioreanch’esso costituito da una falsa

Fig. 1. Pianta del Palazzo Reale di Venezia.

Pianta del Palazzo Reale di Venezia. È evidenziata la dislocazione dell’appartamento dell’Imperatore Ferdinando I nel 1838.Ricostruzione realizzata sulla base della planimetria ottocentesca e delle informazioniricavate da un appunto del Custode di Palazzo. Entrambi i documenti si conservanonell’Archivio del Palazzo Reale.

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volta. Al di là di ogni previsione si èriscontrato come le superfici di que-sto spazio siano state decorate in duediverse fasi operative, ora malamen-te leggibili stante le condizioni delcontesto, l’estrema vicinanza delpunto di visione, lo stato di conser-vazione delle stesse devastate dall’in-serzione di vetusti e fatiscenti im -pianti tecnologici non più in uso, da

demolizioni realizzate in passato ecrolli parziali. L’intercapedine tra idue soffitti si configura ai nostriocchi di conservatori come un palin-sesto, un succedersi di stratificazionila cui lettura è importantissima perconoscere la storia dell’edificio sinoa penetrare nelle pieghe più recondi-te del “vissuto” della fabbrica, giun-gendo persino a comprendere certeintenzioni che, forse, non si concre-tizzarono mai.La prima di queste due fasi è relativaa motivi decorativi appena accennatisulle pareti, risalenti ad un interven-to anteriore, pare solo abbozzato,allorquando la stanza aveva un sof-fitto piano. Consiste in stesure dicolore omogeneo, tracce modeste dimotivi semplicissimi. La seconda,sul soffitto voltato con centine li -gnee e morali sui quali era stato stesol’intonaco, parzialmente de molitonel corso del tempo. Della decora-zione sopravvive una parte dellasuperficie piana (fig. 2) e un fram-mento di quella curva, estesa permeno di un metro (fig. 3). L’opera èrealizzata a fresco, con piglio rapidoe mano sicura che, successivamente,sarebbe stata rifinita a secco, a tem-pera. Si sono mantenuti tutti i segnicaratteristici della tecnica pittorica

quali incisioni e battute di filo. Idipinti dovrebbero estendersi anchealle pareti della sala sottostante, oraricoperte da tappezzeria serica.Prima ancora di avviare i lavori diconservazione, si erano osservate,sul muro verso il canale, attraversole lacerazioni del tessuto, tracce didecorazione nelle tonalità del rosa edel verde. Tuttavia non è possibile,allo stato attuale, considerata la pre-senza delle stoffe, immaginarel’estensione complessiva e il motivo.La pittura è stesa velocemente, perampie campiture, secondo unametodologia largamente utilizzatadai pittori barocchi per realizzaresuperfici ampie e che lo stessoBorsato impiegherà nell’immensorepertorio ornamentale del Palazzo.Tale opera non fu terminata, rimaseincompleta, non perfezionata forseperché non convincente per il com-mittente, o per una sostanziale mo -difica di gusto o ancora, più verosi-milmente, per ragioni statiche relati-ve a problemi di stabilità dell’intona-co. La falsa volta, dell’ambiente sot-tostante fu realizzata in un secondomomento, più in basso, lasciando inloco parte di quanto realizzato inprecedenza. Queste pitture murali,per quanto frammentarie, si confi-

Fig. 2. Decorazione settecentesca nell’in-tercapedine sovrastante la sala n. 111.

Fig. 3. Decorazione settecentesca nell’in-tercapedine sovrastante la sala n. 111.

Fig. 4. Sala n. 113, stemma del Regno Lombardo-Veneto.

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gurano indiscutibilmente come ope -ra settecentesca, l’unica sino ad oradocumentata in tutta la fabbrica delPalazzo, relativa ad una decorazioneprecedente la venuta dei francesi adeccezione, naturalmente, degli stra-ordinari e sempi cinquecenteschidella Li breria.La stanza contigua, numero 113, (fig.4) destinata “ad accogliere il Trono”fu dipinta “a grandi lacunari; orna-mento questo dagli antichi impiegatone’ templi e ne le regie, siccome il piùgrandioso, il più sodo, e nel medesi-mo tempo il più semplice... e la mezzavolta con trofei d’armi e cogli stemmidel Regno Lom bardo-Veneto”2. Nelcorso dei lavori si è potuta leggere lafirma di Borsato, posta sopra la corni-

ce, che risultava nascosta alla vista, ela data luglio agosto1838 (fig. 5). Ilmaestro già avanti con gli anni, eranato nel 1771, dalla consumata espe-rienza, andava predisponendo l’am-biente in previsione della visita aVenezia dell’imperatore FerdinandoI, prevista per l’ottobre dello stessoanno. La sala numero 115, “destinataai pranzi settimanali”, ebbe il soffittorinnovato dal Borsato nel 1836 “conpiù nobile e ricca decorazione” (fig.6). Soggetto complesso, vario nelleforme e molto colorito che fu descrit-to come irraggiungibile in quantol’“opera più ricca, più nuova, più leg-giadra” realizzata sia “se si riguardialla varietà delle linee e degli orna-menti, alla copia delle invenzioni,all’armonia di ogni singola parte coltutto”. Nelle “medaglie” e nei “bas-sorilievi” che contornano il va sto“quadrilungo” centrale sono di vinitàcollegate ai “simposi, o canefori, ogenii volanti”3.La pianta del Palazzo che si pubbli-ca, relativa alla disposizione interna

degli ambienti del I piano nobile nel-l’anno1838, mostra l’estensione del-l’appartamento imperiale che com-prendeva, tra le altre, queste tre sale.

Al piano terra di Palazzo Reale, incorrispondenza del II cortile, sitrova una cavana affacciata sul rio diPalazzo e, contigua ad essa, conaccesso dal I, alcuni ambienti con-nessi a tale funzione, impiegati daigondolieri della Real Casa per ripor-re i propri abiti e i materiali removi-bili delle imbarcazioni. Tali locali sisono conservati “miracolosamente”,mentre quasi tutti gli altri luoghi diservizio e i magazzini sono stati con-vertiti ad usi diversi dalle intenzioniprimitive, modificati nella forma,nelle proporzioni, nei rapporti costi-tuiti con il contesto ambientale einfine nella funzione. Nelle “stanze dei gondolieri” si con-servano ancora grandi armadi cherecano segnati i numeri relativi agliinventari del Palazzo a partire dalprimo dopo l’unità d’Italia, quellodel 1870 e una molteplicità di “indi-cazioni” e annotazioni, prezioso ar -chivio di segni. Vi sono ancora spa-ghi, assicelle, tavolette forate, ripia-ni, nomi relativi al personale in ser-vizio, alcune scritte a matita che purnella loro precarietà rinviano adalcune funzioni facilmente ricono-scibili ancor oggi. Fragili indicatori,ma testimonianze significative edeloquenti.L’insieme si costituisce come raccol-ta particolare, unica, rinvia ad unpassato che, pur remoto, è ancoraleggibile, fresco, parlante. I pochivisitatori ammessi per la prima voltaall’interno dei locali, nell’ambitodella presentazione al pubblico av -venuta nello scorso mese di ottobre,hanno definito il luogo carico dicommovente autenticità.Negli anni passati si è svolto un meti-coloso lavoro di ricognizione diFig. 6. Sala n. 115, particolare delle decorazioni.

Fig. 5. Sala n. 113, firma di GiuseppeBorsato e data di esecuzione delle pitture.

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tutto quanto presente nei depositidel Palazzo Reale e la relativa catalo-gazione e schedatura. Si è così potu-to ricostruire uno straordinarioinsieme comprendente i materialitessili (abiti da gondoliere, bandiere,rasse, tendalini) materiali lignei emetallici pertinente le imbarcazionidefinito negli inventari ottocenteschicome “barcame”, comprendenteimbarcazioni vere e proprie, parecioda gondola, ferri, ferai, cavai. Dellacospicua raccolta attualmente so -pravvive una gondola soltanto, prov-vista di un felze non pertinente,esposta nel cortile di Palazzo Du cale,cui recentemente è stato ricostruito ilferro, tre felzi restaurati e quattroframmentari, ricoverati nei depositi,e centinaia di altri elementi riferibilial “parecio” da gondola, alle livree,cappelli, bandiere italiane e straniere.Al momento di avviare i lavori lamaggior parte dei materiali si trovavain condizione di grave degrado.Alcuni elementi risultavano divisi trasedi diverse. Sette felzi (fig. 7) sono

stati trovati frammentari presso laVilla Reale di Stra. Si è riunito ilparecio da gondola, ovvero l’appara-to funzionale e decorativo. Sono statiindividuati, schedati, catalogati tutti ipezzi relativi alle imbarcazioni: otto-ni, stemmi, forcole, ferai, cavai,materiali lignei intagliati, alcuni dialtissima qualità (fig. 8); tessuti sericidi squisita fattura, in particolarequelli che rivestono gli interni deifelzi; sono stati riordinati e restaura-ti gli abiti da gondoliere invernali edestivi, d’uso e di gala, le fasce, le bra-ghe, le scarpe, i copricapo in pelo dilapin, paglia e feltro. Alcuni in ottimecondizioni di conservazione entrocappelliere di cartone.Per quanto riguarda l’incerta etimo-logia della parola felze, la coperturaremovibile della gondola, che solita-mente viene posta in relazione conl’impiego di vegetali, felci, che siritenevano impiegati per rivestirla inpassato, si propone un’altra ipotesi.Negli esempi più antichi, a noi notitramite gli straordinari documentiiconografici dei grandi maestri delRinascimento veneziano, si compo-neva di una semplice copertura vol-tata, modesto riparo. Si ritiene diintendere il termine nell’accezione divolta a botte considerando che hatale significato nei documenti delpassato, nei quali, tali volte vengonodette, per l’appunto, “in felze”. Neltempo, soprattutto a partire dal

XVIII secolo, il felze diviene unastruttura più complessa, articolata,decorata, per certi versi simile allacapote di una carrozza.Il materiale relativo alle imbarcazio-ni della Real Casa è ancor oggicospicuo. È la collezione più com-pleta e significativa che sia pervenu-ta sino ai nostri giorni. Alcuni pezzi,quelli inerenti soprattutto i materialitessili si costituiscono come un uni-cum. Si segnala una rassa, un tenda-lino da fresco, molte bandiere, alcu-ne non italiane, utilizzate nell’occa-sione di visite di regnanti stranieri.Tra tutte ne spicca una, bellissima,napoleonica che compare nelle inci-sioni relative all’arrivo dell’impera-tore dei francesi a Venezia.Negli inventari asburgici le gondolereali, il loro parecio, peote d’uso epeote da parata, anch’esse con relati-vo parecio, imbarcazioni di serviziocome battellini e barchette o porta-vivande, considerate come apparte-nenti alle categorie dei mobili, sonoquasi sempre state inserite in quegliinventari.Anche le gondole erano distinte indue gruppi, in base alla funzione, digala e d’uso.Le prime notizie relative all’argo-mento compaiono nell’Inventariogenerale degli Effetti e Mobili delPalazzo Reale di Venezia del 1814che si conserva presso la So prin -tendenza. Vi è l’elenco delle gondo-le, del “barcame”, dei felzi (condescrizione), di tutto il parecio, dellelivree dei gondolieri che in queltempo erano verdi. Nel 1822 i gon-dolieri di corte erano sei. Le lorolivree erano di colore celeste “nontroppo chiaro” con galloni di setabianca e “bleu”. Nel 1825 si ordinala costruzione di “una quarta gon-dola di gala che dovrà essere similealle precedenti tre, da poco costruite.Altre due vengono definite vecchie.Le gondole di gala non risultanoFig. 7. Porta di felze intagliata e dorata.

Fig. 8. Porta di felze, particolare dell’in-taglio con volto grottesco.

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ricoverate in Palazzo Reale: quattroerano alla Giudecca presso la chiesadel monastero benedettino dei SantiBiagio e Cataldo da poco soppresso,altre tre presso l’ex chiesa di SanGiovanni di Malta. Nell’ottobre1838 Ferdinando I, dopo essere statocinto a Milano con la corona delRegno Lombardo-Veneto, giunge aVenezia. Nell’occasione della visitadell’imperatore, Giuseppe Borsatovenne incaricato di progettare una“galleggiante”, imbarcazione atta adaccogliere i reali, opera superba, ele-gante, ornatissima. Al centro unpadiglione all’interno di “un tempiodecorato di sedici colonne Corinzie[...] a poppa [...] s’inalza il simulacrodi Nettuno ed a prua è la figura [...]di Venezia seduta entro una concamarina trascinata per l’onde da dueTritoni [...] [e il tutto circondato da]quattro giardinetti, che più leggiadroed ornato fanno spiccare il pensierodell’Artista, il quale volle simulareun fabbricato entro un giardino”4.Esempio sontuoso delle imbarcazio-ni di gala concepite per i reali. Nel1839 erano inventariati: sei gondolegrandi di gala, tre piccole “da uso”,diciassette semplici in abete, un bat-tellone, un felze per battellone, seiper gondola di gala, tre per gondolad’uso. Nell’Inventario... del 1850alcuni felzi risultano essere tappez-zati di seta celeste, altri nera sempli-ce o ricamata. Nel 1859 un felze digala è descritto“ intagliato e doratofoderato di panno nero e fiocchi diseta, interno seta operata color violacon galloni e frangia d’oro”. Almomento del passaggio in consegnadalla Real Casa alla Real So prin -tendenza all’Arte Medievale e Mo -derna vi erano sette gondole pressolo squero Tramontin alla Giudecca.Due di queste erano state realizzatenello squero di Giuseppe Casal, unanel 1912, l’altra nel 1915. Degli ottofelzi descritti sei erano custoditi nei

depositi di Palazzo Reale e due neimagazzini della Salute.Tra i numerosi manufatti presentinei depositi si segnalano trentatrébandiere nazionali ed estere (nelcorso delle visite ufficiali venivanoesposte quelle dei paesi in visita aVenezia), dodici scaldapiedi in me -tallo rivestiti di tessuto, panchette,sei sirene, due delfini, dieci cavallimarini, questi ultimi tutti elementidecorativi metallici, remi sia in legnod’acero che di faggio, stramazzetti ocuscinoni imbottiti in piumino ericoperti in pelle, sedili da fianco,poltroncine ad un bracciale, setteferri da prora in acciaio o speroni,sette spranghette o ferri da poppa.Tradizionalmente mozze, forcole eremi inservibili venivano donate aigondolieri. In data 8 agosto 1857 vi èun preventivo per la costruzione diun nuovo tendaletto in seta per lagondola definita piccola ad uso delgovernatore generale, l’arciducaMassimiliano. Nell’occasione delladismissione dei Beni della Coronadalla Real Casa al Demanio e daquesto alla Soprintendenza ai Mo -numenti vengono presi in consegnaanche le livree da gondoliere presen-ti presso la residenza reale, “le gon-dole tenute in deposito nello squeroCasal e gli attrezzi delle gondole tut-tora nei magazzini del R. Palazzo”.Le notizie più dettagliate e preciserelative al vestiario dei gondolierisono quelle del periodo asburgico.Solitamente le livree venivano sosti-tuite ogni due anni e quindi vendute,ma in genere concesse a titolo dicompenso al personale. Ma nonsempre era così. Ad esempio nel1855, non essendo stata rispettataquesta consuetudine, il personalevenne indennizzato per la mancatadonazione. Nel 1820 sedici gondo-lieri subalterni chiesero di tenere leloro livree, vecchie di più di sei anni,al fine di utilizzarle per ricavare vesti

per i loro figli.Si ritiene di proporre a breve dei per-corsi di visita al singolare insieme cheraccoglie testimonianze eccezionalidi un mestiere unico, ormai desueto,che con l’avvento delle nuove tecno-logie sopravvive solo in contesti par-ticolari, perlopiù legati al turismo, edel quale si vanno perdendo, nel vol-gere di brevissimo tempo, anche perla mancanza di adeguati strumenti emezzi di tutela e conservazione,reperti importantissimi.

Note1. A.D. BASSO, La Libreria Sanso vi nia -na; l’appartamento vicereale, in I luoghidel patrimonio. Storia, tutela e proble-matiche di utilizzo, Ministero per i BeniCulturali e Ambientali - Soprin -tendenza per i Beni Ambientali e Ar -chitettonici di Venezia, XII Settimanadei Beni Culturali, Venezia 1977, pp. 33-39.2. Raccolta di decorazioni interne [...]composta da C. Percier e P.L.F. Fon -taine con notevoli giunte di G. Borsato,Venezia 1843, p. 115.3. Ivi, pp. 161-163.4. Ivi, p. 171.

*Soprintendenza per i Beni Ar chi tet to -nici, per il Paesaggio e per il PatrimonioStorico, Artistico ed Et noantropologicodi Venezia e La guna

Le fonti documentarie consultate sonorelative al fondo Palazzo Reale diVenezia presso l’Archivio di Stato diVenezia e all’Archivio di Palazzo Reale,Soprintendenza per i Beni Ar chi tettonici,per il Paesaggio e per il Pa trimonioStorico, Artistico ed Etno antropologico diVenezia e Laguna.

Ringrazio Meri Gallo e Fabio Achilli perla generosa collaborazione, PatriziaPeron, Stefano Franzo e Marina Nieroche da tempo condividono con me laricerca sul Palazzo Reale di Venezia.

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Una prima indagine conoscitivadello stato di conservazione, estesa atutti gli spazi in uso agli uffici pub-blici situati a Palazzo Reale, era stataeseguita nel 19881.Gli elaborati grafici comprendevanorilievi geometrici e schede dettagliateche descrivevano i materiali costitu-tivi, riguardanti gli ambienti e lesuperfici decorate; lo stato di conser-vazione, relativo ad ogni materiale ele proposte per un eventuale inter-vento di restauro. Sulla scorta di taleindagini, favoriti dalla possibilità diesaminare le sale del primo pianonobile, vuotate dalle ingombranti

attrezzature in seguito allo sposta-mento degli uffici, si è proceduto aduna valutazione dello stato di con-servazione delle decorazioni pittori-che e degli arredi mobili come porte,consolle, buonegrazie, lampadari.È apparso subito evidente, come lasituazione conservativa, già nota,fosse ulteriormente peggiorata, e chei fenomeni d’alterazione, fonte didegrado sulle superfici decorate e suisupporti, avessero proseguito nellaloro azione. Vista l’entità degli spazie la ricchezza delle decorazioni, lafase che prevedeva l’approfondi-mento dello stato conservativo, con

l’individuazione e la localizzazionedei danni rilevati, si è focalizzatasulle prime tre sale iniziando daquella adiacente al salone da ballo.Il degrado osservato si manifestavacon differente consistenza e morfo-logia, in relazione al tipo di suppor-to (le cantinelle dei soffitti e dellevolte oppure i mattoni delle pareti)alle stratificazioni degli intonaci edella pellicola pittorica, alle decora-zioni aggettanti in stucco (delle cor-nici alle pareti o delle volute sul sof-fitto) e alle dorature in foglia. Suisoffitti e sulle pareti decorate, quellenon ricoperte dai preziosi tessuti, sievidenziavano vistose fessure e lesio-ni in corrispondenza alla zona centi-nata delle volte; preoccupanti rigon-fiamenti e distacchi dell’intonachinodal supporto retrostante; alterazionicromatiche del colore, dovute que-st’ultime alla presenza di depositisuperficiali e di abbondanti ridipin-ture non originali che contribuivanoad alterare l’equilibrio pittorico.Erano presenti inoltre, in corrispon-denza della muratura perimetraleesterna, diffusi imbianchimenti do -vuti alle infiltrazioni d’acqua piova-na. Tali infiltrazioni costituivano unaconsiderevole fonte di degrado e vei-colo di sali solubili che, con i cicli disoluzione e di cristallizzazione, cau-sano l’esfoliazione con il conseguen-te distacco della pellicola pittorica edella doratura, fino a procurare veree proprie mancanze di materiale (fig.1). Era soprattutto il quadro fessura-tivo dei soffitti a destare le maggioripreoccupazioni: infatti si potevanofacilmente distinguere degli inter-venti di manutenzione, in parterecenti, che consistevano nella chiu-sura delle fessure con impasti dimalta non idonei e notevolmenteridipinti, nel consolidamento prov-visorio con viti e patere che ancora-vano l’intonaco al supporto ligneoretrostante. Interventi non risolutiviFig. 1. Sala n. 111 decorazione a stucco particolare, degrado delle superfici.

Lo stato di conservazione delle superfici decorate e l’intervento dimessa in sicurezza di tre soffitti alprimo piano nobile di Palazzo RealeLucia Bassotto*

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e sufficienti in quanto le fessure stuc-cate si sono nuovamente aperte.Alcune fotografie d’archivio dellaSoprintendenza, documentano il di -stacco e il crollo, avvenuto nel 1966,di una considerevole porzione disoffitto al centro della stanza n. 115(fig. 2). La mancanza della decora-zione è stata in seguito sommaria-mente reintegrata con intonaco. Laconsiderazione che sul soffitto dellastanza n. 113 non erano stati esegui-ti particolari presidi e la verifica chele numerose fessure erano disposteprevalentemente in senso diagonale,rispetto alla pianta della sala deline-ando porzioni di superficie isolatedalle zone limitrofe, sono state lemotivazioni per cui si è ritenu toopportuno intervenire con urgenzaper sostenere tali parti (fig. 3). Con i fondi statali, che il Ministeromette a disposizione per i lavori lacui realizzazione è di carattereurgente, si è proceduto all’installa-zione di un ponteggio di servizio inmodo che si potessero eseguire leoperazioni di consolidamento ed’ancoraggio dell’intonaco decorato.L’osservazione ravvicinata delle su -perfici ha permesso di approfondirela conoscenza delle tecniche di ese-cuzione. Il soffitto della stanza, rea-lizzato con una volta a padiglione, ècostituito da una struttura li gnea dilistelli (cantinelle), inchiodati a cen-tine, e da due strati d’intonaco, ilprimo (arriccio) in calce e cotto ma -cinato, il secondo in calce e sabbia, acui si sovrappone uno strato di fini-tura poco levigato. Le decorazionisono state eseguite con tecnica mi -sta: una prima stesura a fresco, con-traddistinta dalle linee principaliincise sull’intonaco, che interessavale grandi campiture di colore, adesempio i fondi delle decorazioni, euna successiva, con colori che preve-devano un medium legante organi-co, per l’esecuzione delle parti figu-

Fig. 3. Sala n. 113, particolare del quadro fessurativo prima dell’intervento di re stauro.

Fig. 2. Sala n. 115, situazione del soffitto immediatamente dopo il crollo avvenutonel 1966.

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rate e gli ornati. L’ultima stesura, perottenere le lumeggiature, era realiz-zata con calce e con pennellate acorpo che risultano essere in rilievo.Al contrario le ombreggiature, ese-guite con miscele di nero e terrad’ombra naturale, sono state realiz-zate stendendo sulla superficie delcolore piuttosto liquido e trasparen-te addizionato sempre ad un leganteorganico. (fig. 4)La prima operazione è stata quelladel consolidamento e della riadesio-ne degli intonaci staccati, operandodalla parte intradossale della volta,differenziando la tecnica in relazioneall’entità del distacco e alla tipologiadelle fessure. Nei casi di grave di -stacco, dopo aver eseguito una preli-minare stuccatura delle lesioni, sonostate inserite delle viti in acciaio inoxAisi 316 di lunghezza tra i cm 5-6,praticando un foro (diametro mm 3)sull’intonaco, all’interno del quale,prima dell’inserimento del perno, siè iniettata una resina acrilica in emul-

sione acquosa. In questo modo si èintervenuti lungo le fessure più pro-fonde. Attraverso una botola, situatanei soprastanti uffici del l’Av -vocatura, è stato possibile raggiunge-re la parte estradossale della volta everificare la compattezza della strut-tura lignea di sostegno, della centina-tura, con i relativi ag ganci alla trava-tura. A tale scopo la superficie deco-rata della volta (intradosso) è statasostenuta, utilizzando la strutturadel ponteggio allestito e predispo-nendo su un piano continuo inlegno, una controforma della volta,realizzata con blocchi in polistirolosagomati, che ha assicurato un soste-gno uniforme ed omogeneo senzacreare punti di forza. È stato cosìpossibile intervenire sull’arricciodell’intonaco, pulendo le superfici dacalcinacci e polveri e consolidando lemalte che presentavano una leggeradecoesione superficiale con applica-zioni a pennello di resina acrilica inemulsione acquosa (Pri mal AC33).

L’a sportazione delle polveri ha inte-ressato anche la struttura lignea dellecentine e delle travi che, pur non evi-denziando fenomeni relativi adattacchi d’insetti xilofagi, sono statetrattate, preventivamente, con pa -sticche di paradiclorobenzolo.Le medesime operazioni di consoli-damento, con l’inserimento dei per -ni e le iniezioni di malte fluide per lachiusura delle fessure, e il fissaggiodella pellicola pittorica sono stateeseguite anche sui soffitti delle duesale contigue, esclusivamente sullaparte intradossale. Tutti i dati riguar-danti lo stato di conservazione dellesuperfici decorate, gli interventi pre-gressi riscontrati e quanto eseguitonell’ambito di questi ultimi lavori,sono stati documentati con puntualielaborati grafici, con fotografie e conriprese video.

Note1. L’indagine conoscitiva sull’apparatodecorativo, gli arredi, i serramenti e gliimpianti è stata curata dall’allora So -printendenza ai Beni Ambientali eArchitettonici di Venezia.

Fig. 4. Sala n. 113, particolare della decorazione ripresa a luce radente, tecnica pit torica.

*Restauratore Conservatore So prin -tendenza per i beni Archi tettonici per ilPaesaggio e per il Pa trimonio Storicoartistico e Etno antropologico di Veneziae Laguna.

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All’interno dei Musei Civici Patavinivennero ricollocati su cemento neglianni Settanta tre grandi mosaiciromani a pavimento e uno su pan-nello a parete ritrovati nel centrostorico di Padova tra gli anni 1928-55. Questi mosaici, realizzati tra il Ie IV sec. d.C., sono degli importantiesempi d’arte romana che conferma-no la ricchezza della città in queisecoli. I pavimenti musivi erano moltodanneggiati sia dal calpestio, sia dadepositi di sporco coeso alla super-ficie che ne impediva la lettura e lagiusta visione, sia da degradi dovuti

al sottofondo cementizio, che daalterazioni avvenute sulla superficie.Si è intervenuti, prima di tutto,dando loro una nuova veste conser-vativa: i pavimenti musivi sono statidelimitati da cordoni per evitarne ilcalpestio che era una delle causeprincipali del loro degrado; in segui-to, analizzandone le diverse proble-matiche, si è intervenuto a risolverlecon materiali compatibili a quellipresenti: un’accurata pulitura super-ficiale fisica con prodotti testati(impacchi di polpa di cellulosa contensioattivo new des diluito al 20%in acqua, lasciati agire per 1 ora e

ripetuti per tre volte) e meccanicaripetuta a ogni rimozione di impac-co (lavaggi con acqua, new des,spazzole di saggina e spugne) (fig.1). Alcune tessere presentavanoincrostazioni calcaree e cementizieche sono state asportate con ausiliodi bisturi, scalpello e martello tesse-ra per tessera. Successivamente iquattro mosaici sono stati consoli-dati sia nei sottofondi cementizi(dopo un attento esame tramite latecnica della “bussatura”) sia insuperficie con malte liquide (inie-zioni di Plm) e re sine (AC33 diluitoin acqua) (fig. 2). Le tessere sonostate saggiate una a una per indivi-duare quelle mobili, le quali sonostate fissate con malta idraulica. Lefessure, presenti lungo i bordi dellelacune e all’interno dei pavimentimusivi, sono state riempite conmalta liquida Plm, stuccate e mime-tizzate con velature di colore. Lepiccole lacune sono state ricostruitecon tessere di malta incisa (calceidraulica miscelata con grassello dicalce e polvere di marmo), dipinta

Restauro conservativo di 4 grandimosaici di età romana conservatinella sala romana dei Musei Civicidi Padova (ottobre 2005-marzo 2006)Carla Onnis*

Fig. 1. Particolare della fase di pulitura meccanica del mosaicodi Via C. Battisti.

Fig. 2. Iniezioni di consolidamento con malta liquida PLMdiluita in acqua riguardanti il mosaico di Via C. Battisti.

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ad affresco e protetta con AC33.Infine la superficie è stata protettacon cera microcristallina naturaledata a pennello. Il riconoscimentomacroscopico dei materiali vede unasimilitudine tra tutti e quattro imosaici, facendo dedurre l’uso dipietre locali quali calcari bianchi eneri, calcari nodulari rossi e rosa diVerona, il calcare giallo potrebbeessere il mori di Verona, i verdi rica-vati da ciottoli di fiume. Tra le tesse-re nere si notano calcari marnosi chepresentano esfoliazione sotto mini-ma sollecitazione meccanica.Possiamo quindi analizzare mosaicoper mosaico dalla fase di scavo aquella dell’ultimo restauro che li hainteressati:

1. Opus tessellatum rinvenuto a unaprofondità di -m 2,5 proveniente daVia C. Battisti, storicamente cono-sciuta come zona residenziale didomus romane, dove sono statiritrovati anche altri esempi di pavi-menti musivi: un cocciopesto e unopus tessellatum in bianco e nero1.Bellissimo esempio di opus tessella-tum del I sec. d.C. di m 2,70x3,95: alcentro un emblema con scena figura-ta: due uccellini policromi su unalbero, realizzati con tessere minutee dalle molteplici sfumature, è cir-condato da otto pannelli policromi,presentanti rosoni a otto petali alter-nati a steli con foglie e fiori, e conbordo decorato con mu ra merlatebianche e nere2. La lettura della den-sità delle tessere conferma un’accu-rata esecuzione per le parti dell’em-blema: 186 tessere x dm quadratonelle zone figurate contro le 115 tes-sere per dm. quadrato nelle zonebianco/nere (fig. 3).In zone circoscritte il pavimentopresenta piccole e sparse macchie diossido di ferro dovute molto proba-bilmente a utensili o monete lasciatesul pavimento stesso. Riguardo a

questo, si sono effettuate ricerchepresso la Soprintendenza ai BeniArcheologici del Veneto per vederese gli appunti di scavo riportavanonote su eventuali ritrovamenti sullasuperficie del mosaico; purtroppo loscavo venne fatto in maniera veloce acausa di tubature che insistevano sulpavimento e i dati raccolti sono esi-gui, non si è perciò potuto riscontra-re nulla. In una zona circostritta letessere bianche presentano un’alte-razione dovuta a pitting. Le tesserenon presentano particolari proble-matiche a parte alcune che sono frat-turate ma non mobili, sparse pertutto il tappeto musivo: la frattura-zione è dovuta a un degrado diffe-renziale del calcare usato: infatti èpiù accentuato nelle tessere di colorerosso e rosa di formazione nodulareche presenta questo tipo di degradoa causa dei clasti di calcite organoge-na allettati in matrice argillosa.

2. Opus tessellatum proveniente daVia Santa Lucia, rinvenuto a -4,00 m,ricoperto da circa cm. 10 di acqua. Èinteressante ciò che è emerso da ri -cerche storiche presso la So prin -tendenza per i Beni Ar cheo logici delVeneto. Da appunti di scavo del So -printendente Ghi slan zoni (1928) ilmosaico ritrovato misurava m 8x8 e siestendeva per ancora larga misura aldi sotto delle costruzioni e della stra-da. Quello ora conservato ai MuseiCivici misura solo m 6,95x6,50.Si deduce perciò che gran parte delpavimento fu andato perduto, ealcune parti ri mangono tuttora sottoi palazzi non demoliti durante lagrande ristrutturazione fascista dellacittà degli anni ’30. Da appunti discavo del So printendente si rilevacome, prima dello strappo vero eproprio, il mo saico sia stato in partedistrutto da operai che ne staccavanoi tasselli con le pale e li buttavano in

Fig. 3. Fotografia generale del mosaico di Via C. Battisti a restauro concluso.

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alcuni secchi. Risultano in archivioalla Soprintendenza Archeologicavarie lettere del Ghislanzoni al -l’Opificio delle Pietre Dure diFirenze per decidere il distacco delpavimento eseguito infine dalla dittaSantinello con l’intervento del re -stauratore dell’Opificio GuidoMannucci. Ricorda il Ghislanzoni“distacco del grande musaico nellamaniera più sollecita ed economica”(17/9/1928). Un altro scritto ricordache “il musaico si estende per m 8 enon si sa per quanto ancora all’inter-no delle demolizioni. È a grandimotivi geometrici molto belli, con

degli esagoni contenenti ciascuno unfiore o una foglia differenti a colori,con esagoni a tessere bianche e nere...a testimonianza dell’esistenza di ungrande edificio.” (17/5/1928)3. Dastudi sul pavimento stesso si è con-statato che la banda nera di raccordoche corre su due lati del grandeframmento conservato ha degliandamenti obliqui ma che, a uncerto punto in un angolo, cambianodiventando orizzontali: si ipotizzache il cambiamento di andamentofosse per incorniciare una soglia diacceso alla sala. Se così realmentefosse, ci troveremmo di fronte a unasala, di sicuro non privata, di dimen-sioni di lato di m 14 circa. Sempre inVia Santa Lucia furono rinvenutidurante lo scavo altri due mosaici:“c’era un altro musaico di m1,96x1,60 di piccole lastre di quadra-ti e triangoli di marmi colorati i qualiformano un quadrato contornato dauna larga treccia di tasselli bianchi eneri” scrive il Ghislanzoni. Deveessere quello che in seguito vienedescritto come pavimento a riquadria marmi africani policromi, attornoal quale gira una fascia a forma ditreccia con tessere bianche e nere4.Con la presenza della grande sala e

quella di un pavimento in opus sec-tile si viene a confermare la presenzadi edifici pubblici di rappresentanzanel quartiere di Via Santa Lucia. Ilpavimento conservato al museo èdecorato con sistema di esagoni conrettangoli costruiti sui lati e triango-li sugli angoli; il tutto racchiuso dauna treccia, da una fascia bianca e dauna banda di raccordo nera. Gli esa-goni dal fondo bianco presentanoelementi vegetali policromi. La rea-lizzazione del disegno è estrema-mente complessa e perfettamenterealizzata, e il mosaico viene datatoal II sec. d.C.5. Il pavimento è statolevigato al momento del riposiziona-mento ed è stato, a causa di ciò,molto danneggiato. La levigazionedistrugge l’originalità del mosaico edè dannosa poiché altera la superficiedelle tessere asportandone una parte,e cambiando il gioco degli andamen-ti e degli interstizi che risultano cosialterati. Le tessere si riducono a sot-tili lastrine di pietra che non hannoaggrappaggio alla malta sottostante.Molte tessere a causa di questo “trat-tamento” si sono spezzate: le tesserenere di composizione marnosa siesfoliano con un distacco a pianisubparalleli; le tessere bianche (di

Fig. 4. Particolare di tessere fratturatedurante la levigatura del mosaico di ViaS. Lucia.

Fig. 5. Consolidamento delle tessere frat-turate con silicato di etile dato a pennelloa imbibizione. Mosaico di Via S. Lucia.

Fig 6. Zona danneggiata da erosione dacause antropiche, con macchie di ossidodi ferro e rifacimenti dovuti a perdita ditessere danneggiate. Mosaico del calida-rium.

Fig. 7. Particolare della zona con tessereerose da cause antropiche e macchia diossido di ferro: possibile danneggiamen-to dovuto al posizionamento di un bra-ciere. Mosaico del calidarium.

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diversa natura) si sono fratturate inpiccole parti che si disgregano sottominima sollecitazione meccanica(fig. 4). Le tessere fratturate sonostate trattate con silicato di etile datoa imbibizione (fig. 5); inoltre alcunitratti del pavimento risultano moltostrisciati dalla levigatura, visibili adocchio nudo; in alcune zone dove letessere erano più basse, queste nonsono state levigate. I restanti due mosaici provengonoentrambi dalla zona del Municipiodi Padova, pur essendo di epochediverse, e furono rinvenuti durantele ristrutturazioni degli anni ’30.

3. Il primo è un opus tessellatum digrandi dimensioni (m 6,00x6,15)proveniente da un calidarium postoa -3,30 m dal piano stradale che pog-giava su una struttura di sospensurae:“sopra tre strati di mattoni bipedaliromani (cm 60x60) a loro volta soste-nuti da pilastrini di sostegno di circacm 80 di altezza costruiti in mattonibessali (cm 20x20)”. Nel l’ambientedoveva trovare collocazione unavasca riscaldata di cui si riconosconoi resti della pavimentazione su pilaedisposte secondo una maglia regola-re di due file. Sono stati, inoltre,ritrovati frammenti di fistulae aqua-riae in bronzo, che indicano l’ap-provvigionamento d’acqua relativoalla necessità delle terme, probabil-mente collegato con un condottoall’acquedotto principale. Il pavi-mento musivo si deve riferire a unedificio termale pubblico di formenon imponenti nelle immediate vici-nanze di un quartiere commerciale, ilmacellum, nei pressi del Ponte SanLorenzo, a ridosso delle banchinedel porto6. Il tappeto musivo qua-drato è suddiviso in una borduradecorata da girali d’acanto, in uncampo con fasce, denti di lupo efoglie a rombi, e in un pannello cen-trale policromo in cui le trecce

seguono i perimetri di due quadratiinscritti uno nell’altro. Al centro delcerchio vi è un rosone falcato rac-chiuso da uno ovulato; i triangoli e ipennacchi di risulta accolgono can-tharoi associati a ornamenti vegetalie nodi di Salomone, cui si addossanopeltae collegate tra loro. È statodatato II sec. d.C.7La grande lacuna centrale del calida-rium è stata causata dallo scavo di unpozzo che ha sfondato il pavimentomusivo lasciando un grande foro cir-colare testimoniato da foto di scavo.Il calidarium nei secoli è stato riuti-lizzato poichè si notano dei restauriantichi: nella zona centrale l’emble-ma è andato perduto e risarcito conun riempitivo a tessere bianche asostituzione di tessere molto degra-date, (fig. 6) come si nota da quellerimaste che circondano l’interventodi restauro e che sembrano alterateda fonte di calore, consumate e inalcune parti spaccate: un’erosione dacause antropiche. Intorno al cerchiosi notano alcune macchie di ossidodi ferro lasciate, si ipotizza, da piedi-ni di un braciere posto, come siusava, al centro dell’ambiente, il cuicalore sottostante può aver alterato,fratturato e “cotto” le tessere a diret-to contatto con esso (fig. 7). Le tes-sere sono state trattate con silicato dietile dato a imbibizione poichè pol-verizzavano a minima sollecitazionemeccanica.

4. Il secondo mosaico rinvenutonella stessa zona è conservato a pare-te su pannello di cemento. È l’unicoche presenta un’iscrizione (“In hac/Euther/i Deus tec/um tuis/servet/vivas”) racchiusa da una treccia cir-colare con, agli angoli, girali confrutti, il tutto racchiuso da cornicebianco-nera con scomparti a clessi-dra alternati a cornici concentriche(fig. 8). Il riquadro policromo appar-teneva a un grande tappeto musivo

di un antico sacello sopra il qualevenne eretta in età longobarda lachiesa di San Martino demolita nelXIX sec. d.C. I ritrovamenti sullachiesa di San Martino, nota dal 1084,apparvero durante gli scavi del 1926e 1931 a Padova per la nuova costru-zione interessante il municipio: sirinvennero le fondazioni della chiesaaltomedioevale e i lacerti di unapavimentazione musiva con iscrizio-ne. L’indagine, che ha raggiunto laprofondità di -m 5.00, ha rilevatoche il terreno era già in età antica“sconvolto per costruzioni”. Questolacerto fu ritrovato a una quota di - m 1.80 ed è l’unico che è stato sal-vato durante lo scavo, sicuramentegrazie alla scritta raffigurata; unaltro frammento pertinente lo stessotappeto era stato rinvenuto nel 1926più a ovest rispetto ai resti delle fon-dazioni altomedioevali di San Mar -tino. In una foto di scavo il lacertoappare costituito da almeno treriquadri posti in fila e delimitati sudue lati dalla bordura vitinea e dauna larga fascia bianca. In assenza dirilievi, da foto di scavo, si puòdedurre che il lacerto con clipeoinscritto si trovasse a nord di quello

Fig. 8. Fotografia generale del mosaico diEutherio dopo il restauro.

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rinvenuto nel 1926. Di conseguenza,data l’alternanza di tondi e rombi neiriquadri, si deve ipotizzare che tra idue lacerti muvisi dovessero starealmeno altre due file di riquadri.Probabilmente i cantharoi segnanogli assi mediani del pavimento dandovita a quattro riquadri nel senso est-ovest e almeno sette nel lato nord-sud. Da queste considerazioni sideduce che fosse un ambientemosaicato di circa m 10x6, connessocon altri vani, entro il quale venneposta un’iscrizione leggibile da sudin posizione quasi centrale (propostadal Sannazaro). Il testo propiziato-rio richiama le iscrizioni musivedelle aule teodoriane di Aquileia, eanche per questo datato al tardo IVsec. d.C. Si è cercato di indagare chifosse Eutherio (fortunato nella cac-cia), personaggio che, in base alnome, potrebbe essere di originegreca od orientale: un benemeritolaico che contribuì all’esecuzione diquesto mosaico, o vedere l’iscrizionecome dedica della comunità cristianalocale verso Eutherio per la suadonazione che lo ricorderebbe “inhac vivas” “in quest’opera vivrai”.Significativa è la posizione dell’am-biente mosaicato posto in area cen-trale della città: sull’asse stradale

principale nord-sud, in prossimità diPonte San Lorenzo, area che raccor-da il quartiere commerciale e por-tuale con quello politico-religioso eresidenziale.Come possibili interpretazioni del-l’ambiente si sono valutate quella didomus ecclesiae, oratorio privato oaula di culto magari nello specifico laprima cattedrale cittadina paleocri-stiana. Quest’ultima ipotesi seppursuggestiva non trova nessuna testi-monianza neppur leggendaria. Nonsappiamo nemmeno a quando possarisalire il titolo di San Martinooggetto di devozione in città datempi antichi, ma probabilmentel’edificio ne assume la dedica nellasua ricostruzione tardomedioevale.8La superficie musiva del lacerto con-servato a parete al museo presentaalla vista delle zone più scure e tuttele tessere, sollecitate con strumentimeccanici, si presentavano fragili. Sideduce che il materiale ha subito ungrosso stress, molto probabilmentedovuto a un incendio che ha “cotto”le tessere di pietra, e le zone venute adiretto contatto con il fuoco si pre-sentano più scure (fig. 9). Infatti aun’attenta analisi visiva le tesseresono dello stesso materiale, hanno lostesso taglio, andamento e intersti-

zio, e non possono essere integra-zioni successive di continuità di uti-lizzo. I dati storici, inoltre, aiutanoricordando che la chiesa di SanMartino fu interessata da un incen-dio. La grave problematica di questopannello musivo è data dalla suaricollocazione: in fase di studio si ènotato che alcune parti sono andateperse dal momento del ritrovamentoal momento della ricollocazione, acausa di uno strappo mal effettuato.Le parti mancanti sono state rico-struite in modo mimetico utilizzan-do le stesse tessere e le foto di scavo,ma allettandole su una base di boiac-ca (cemento, acqua e molta sabbia)di pochissima tenacia. Questo deter-mina una fragilità strutturale delmosaico. A causa di questo proble-ma si è analizzato il lacerto tesseraper tessera (fig. 10) e si è deciso diintervenire con iniezioni di AC33diluito in acqua, ripetute più voltenelle parti mobili e, dove necessario,con inserimento di nuova malta. Si èinoltre rilevato che lo strato di maltacementizia che lega le tessere al pan-nello è molto sottile; a causa di que-sto le tessere non hanno che un esi-guo aggrappaggio. Si sono salvatezone di malta originale di cocciope-sto rosato che si nota affiorare in piùpunti della treccia policroma e del-l’emblema centrale. Questo determi-na la risoluzione dei dubbi sorti du -rante gli studi del mosaico dove al -cuni ritenevano che l’iscrizione fossestata inserita successivamente. Altriinvece sostenevano l’inserzione suc-cessiva solo della prima e dell’ultimariga a tessere di colore azzurro e nonverde. Anche se diventa difficiledeterminarlo con certezza, vista l’as-senza totale di sottofondo e ilrestauro parziale dopo lo strappoche ne ha interessato varie lettere, siritiene che l’iscrizione nella sua inte-rezza sia coeva al mosaico.Restaurare questi pavimenti musivi

Fig. 10. Particolare del sondaggio mecca-nico delle tessere una a una per l’indivi-duazione delle tessere mobili e la succes-siva fase di consolidamento.

Fig. 9. Particolare della zona con tesserepiù scure alterate dal contatto con mate-riale infiammato. Mosaico di Eutherio.

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ha ulteriormente confermato comevenissero eseguiti scavi, strappi ericollocazioni in passato: durante gliscavi si effettuavano ben pochi rile-vamenti, il che comporta una quasitotale assenza di dati storici; si strap-pavano solo i mosaici o parti di essiche fossero stati considerati interes-santi (vedi ad esempio il caso delmosaico di Eutherio: da foto discavo risultano altri pannelli chefurono solo fotografati, non rilevatie assolutamente non asportati); inol-tre non vanno dimenticate le paroledel Soprintendente “distacco nellamaniera più sollecita ed economica”il che comporta imperizia e frettache sicuramente non era di casa solonella città di Padova e che causava laperdita parziale anche di grandisezioni di mosaico; infine il riposi-zionamento su cemento con rimo-zione da retro dell’originale malta diallettamento: i pavimenti sono cosìquasi totalmente affogati in questoimpasto, dove si risparmiava anchesui più poveri materiali di composi-zione abbondando con sabbia.Concludendo, con questo interven-to di restauro si sono voluti rimuo-vere i vari tipi di degrado e agiresulle alterazioni dei materiali conprodotti adatti, cercando anche dirimediare ai danni causati in passatosenza però arrecarne altri. Infatti imosaici sono stati volutamentelasciati sui loro sottofondi cementiziche al momento non causano dannicosì gravi da richiedere l’asportazio-ne del massetto di cemento, cheinvece provocerebbe di per sé ungrande stress ai pavimenti. Si è lavo-rato sempre nel rispetto della salva-guardia della patina, testimone delpassaggio dell’opera d’arte neltempo che ne attesta la storicità e chefa parte inscindibile di essa. Si èvoluto altresì migliorare la conserva-zione con una nuova esposizioneche vede i mosaici meno di impatto

all’occhio del visitatore poichè deli-mitati da cordoni protettivi, masicuramente di maggior tutela per ipavimenti. Un’altra miglioria è stataquella di rimuovere dei reperti lapi-dei posti al di sopra dei due grandipavimenti musivi, prima di tuttoperchè causavano danni alle tessere(fratturate dal loro peso) e distacchitra le stesse e il loro sottofondo acausa di resina nell’impasto cementi-zio che formava un sottile film inpresenza di ingenti pesi, distaccandola superficie dal sottofondo, al disotto del quale la malta risultava pol-verizzata. Inoltre i reperti disturba-vano la corretta lettura della decora-zione pavimentale. Ricordiamo sem-pre che il restauro di un’opera d’artenon è che un attimo di passaggio diazioni e sostanze sulla sua superficieper mantenere l’opera cosi com’è,rafforzandone i punti più deboli, eli-minando depositi dannosi e fattoridi degrado, senza apportare inter-venti di fantasia o inserire un qual-cosa che non sia leggibile: il restaurosi deve fermare dove inizia l’ipotesi.La conservazione è fondamentale eparte integrante del progetto direstauro: tramite la tutela dell’am-biente in cui è posta si permetteall’opera d’arte di proseguire a lungola sua vita. Le ricerche storiche suimosaici, sullo scavo e loro rinveni-mento, e sui passati restauri sia ante-cedenti alla loro scoperta, sia succes-sivi, hanno portato alla luce la quasitotale assenza di dati. Si spera checon la ricerca effettuata e le ipotesiavanzate si siano, almeno in parte,colmate le grandi “lacune” storicheche riguardavano questi pavimenti.

Note1. Ricerche svolte nell’archivio storicodella Soprintendenza ai Beni Archeo -logici del Veneto. Quaderni di scavo.2. G. ZAMPIERI, Il museo Archeologicodi Padova, Padova 1994, p. 151.

3. Ricerche svolte nell’archivio storicodella Soprintendenza ai Beni Ar che -ologici del Veneto. Scritti del So prin -tendente Ghislanzoni e lettere di corri-spondenza con l’Opificio di Fi ren ze.4. Archivio storico della Soprintendenzaai Beni Archeologici del Veneto. Scrittidel Soprintendente Ghislanzoni e arti-colo di giornale locale.5. G. ZAMPIERI, Il museo Archeologicodi Padova, Padova 1994, p. 151.6. A. NICOLETTI, Documentazione dalloscavo 1930 e 1932 all’interno delPalazzo degli Anziani a Padova, Qua -derni di Archeologia del Veneto, XV1999, pp. 14-17.7. G. ZAMPIERI, Il museo Archeologicodi Padova, Padova 1994, p. 151.8. A. NICOLETTI, La chiesa di SanMartino, in AA.VV., De lapidibus sen-tentiae. Scritti di storia dell’arte perGiovanni Lorenzoni, Padova 2003, pp.225-232.

BibliografiaA. NICOLETTI, Documentazione dalloscavo 1930 e 1932 all’interno del Pa -lazzo degli Anziani a Padova, Qua dernidi Archeologia del Veneto - XV 1999.A. NICOLETTI, La chiesa di San Mar -tino, in AA.VV., De lapidibus senten-tiae. Scritti di storia dell’arte perGiovanni Lorenzoni, Padova 2003.G. ZAMPIERI, Il museo Archeologico diPadova, Padova 1994.Archivio storico e fotografico dellaSoprintendenza per i Beni Archeologicidel Veneto.

* Restauratrice di mosaici e materialilapidei, specializzata alla Scuo la per ilRestauro del Mosaico di Ra venna, sededistaccata dell’OPD di Fi renze e ICR diRoma. Tra le esperienze lavorative:mosaici della Basilica di San Vitale,Galla Placidia, Mausoleo di Teodorico aRavenna e ai Musei Civici di Padova.Collaborazione con l’Uni versità diPadova: lezioni di tecnica musiva e tec-nica di restauro.

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All’alba del XX secolo, Pisa è statacaratterizzata da una fase di sviluppoe di industrializzazione. La ricchez-za immobiliare aveva preso il so -pravvento sulla proprietà terriera enuovi strati borghesi, insieme ai tra-dizionali ceti aristocratici, andaronoa costituire la nuova élite con unnuovo stile di vita e una nuova sen-sibilità: le città si riempirono dicaffè, di negozi raffinati, di teatri; albisogno di ricreazione e di soddisfa-zione si rispose con una maggiorefruizione dell’arte, della letteratura,dei giornali1. Si faceva strada in questo contestoun ceto medio che partecipava allevicende europee, una borghesia allaricerca di una vita per lo più trascor-sa in luoghi culturalmente interes-

santi, da qui l’apprezzamento per learti decorative, per i tanti accessorid’arredo, per le architetture eleganti. Nelle aree periferiche si assiste a unincremento edilizio – case a schiera,villini e palazzine – caratterizzato daedifici a due piani, talvolta con tor-retta, circondati da un piccolo giar-dino, il cui prospetto principalemostra accenni decorativi tra il gustoeclettico e quello Liberty. Molte costruzioni sono scomparse inseguito a bombardamenti dell’ultimaguerra mondiale, e altre hanno per-duto il loro aspetto originario per lecontinue trasformazioni subite neltempo. Non è facile risalire ai nomidegli architetti e delle ditte appalta-trici dei lavori, anche perché la docu-mentazione relativa alle richieste di

licenze edilizie a Pisa del primo quar-to del secolo è per lo più dispersa.Strettamente legata alla fase proget-tuale dell’edificio è la componentedecorativa degli esterni: i decoratori,che si occupano di abbellire le palaz-zine pisane nei primi decenni delnovecento, vanno ricercati negli stu-denti della Scuola Tecnica In -dustriale, allievi di insigni maestricome Nicola Torricini2 o FrancescoManetti3, dai quali riprendono latipologia iconografica e le tematichesviluppate nei loro corsi. Due erano i filoni che venivanoseguiti dai giovani artisti, uno cheprediligeva la tecnica a graffito, e imotivi rappresentati nella fascia sot-togronda erano putti, ghirlande flo-reali, animali fantastici a remine-scenza delle decorazioni a graffitostoricizzate nel passato pisano, el’altro che vedeva l’utilizzo della tec-nica ad affresco, e come figurazionemostrava motivi geometrici, e flo-reali in stile Liberty ed Eclettico,con colori sgargianti e contrapposti,i palazzi erano decorati nel sottotet-

L’architettura decorata a Pisa agli inizi del novecentoMartina Giraldo*

Fig. 2. Villa Ceci, stato attuale di abban-dono.

Fig. 1. Villa Ceci, particolare del distaccodell’intonaco graffito (Fototeca So prin -tendenza di Pisa).

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to, sopra le finestre o sull’intera fac-ciata.Un magnifico esempio di facciatadecorata a graffito è la storica villaCeci, posta in via Benedetto Croce,edificata nel 18984 da Antonio Ceci,chirurgo e collezionista di opered’arte conservate e collocate nellasua villa, sotto il soffitto di querciadel salone al piano terra, nei corri-doi, nelle scale e nello studio5.L’edificio a due piani con mezzaninoal terzo, e finestre rettangolari cir-condate da cornici in pietra serena,presenta una decorazione su duefasce, una sottogronda, e una sotto lefinestre del primo piano, in corri-spondenza del balcone. Il graffito inalto mostra quattro riquadri, che sialternano alle finestre del mezzani-no, in cui appare un volto maschilebarbuto e sorridente, più simile auna maschera a grottesca, con capel-li formati da grappoli d’uva, da cui sidiramano girali floreali, foglie d’a -canto frammisti a racemi d’uva e dueanimali fantastici tipo leoni il cuicorpo si trasforma in un arbusto. Lafascia inferiore della decorazione,molto danneggiata, presenta dueleoni alati rivolti verso uno stemmaal centro, non più leggibile a causadel degrado. La bellezza e la festosità erano gliideali perseguiti dal Ceci, per questo

amava rappresentare, nelle decora-zioni murali della facciata e degliinterni, scene di feste, temi mitologi-ci, allegorie, motivi Liberty chenobilitavano la sua dimora, cosìcome Liberty è la cancellata in ferrobattuto6. Questa magnifica villa, ai marginidel centro storico, è circondata daun ricco giardino articolato da palme

che contornano le aiuole, disposteintorno al viale d’accesso. At tual -mente versa in stato di totale abban-dono, la decorazione in parte non èpiù leggibile a causa di lacune sul-l’intonaco, rigonfiamenti, mancanze,così come il giardino è completa-mente ricoperto dalle erbacce. Altro esempio di palazzo decorato agraffito si trova in via della Spina,edificato tra 1922 e il 19407, ad operadella famiglia Bianchi, illustri im -presari edili, che fanno decorare daun anonimo pittore il proprio stem-ma sulla porta principale; l’inizialedi Gabriello Bianchi, GB, è presenteal primo piano fuori dal balcone.La villetta, posta su una corte inter-na in via della Spina, è un’architettu-ra novecentesca, in stile neo-rinasci-mentale, l’impianto esterno è sem-plice e simmetrico nella sua riparti-zione, portone centrale e balconesoprastante. Due sono le fasce didecorazione a graffito, una in alto

Fig. 5. Villino Ottina, prospetto anteriore.

Fig. 3. Palazzina in via della Spina, par-ticolare di una lacuna della fascia infe-riore graffita.

Fig. 4. Villino Ciuti, decorazione florea-le a intonaco.

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che divide le decorazioni dalla pare-te intonacata di rosso. Non cono-sciamo l’autore dei disegni e sterni,ma gli interni della villa furonoaffrescati dal pittore Acerbi, puttisvolazzanti, pergolati, fiocchi, carat-terizzano la sua realizzazione Li -berty, nella quale domina il colorerosso8.Tra gli edifici di notevole interessestorico artistico per Pisa, si ricordainfine il Palazzo delle Poste, in stileneomedievale pisano, progettato nel1929 da Federigo Severini, cheriprende l’uso delle bifore e trifore,racchiuse da archi a tutto sesto,ribassati o a sesto acuto, e proprioquesto spazio, tra la finestra e l’arca-ta viene decorato, con scene chericordano l’antico e glorioso passatopisano. Stemmi, immagini del portopisano, figure geometriche, bandie-re, navi da guerra, di colore giallo susfondo scuro, ma anche disegni poli-cromi. Il palazzo è stato oggetto trail 1951 e il 1955 di un restauro adopera dei pittori Mino Carrani(1925-1977) e Urano Castelli, pro-fessore presso l’Istituto d’Arte diPisa9. I due restauratori ripresero letracce della decorazione a graffitoche si era conservata, tramite la tec-nica dello spolvero e ciò che non erapiù visibile venne rifatto ex-novo.Come afferma Urano Castelli, laditta Edile di ricostruzione che si eraoccupata di questo restauro, avevalasciato ai due amici molta libertà,ripresero così da testi gotici, gliemblemi di Pisa città marinara, e liriproposero in uno dei palazzi piùsignificativi della realtà locale.A Pisa due sono i nomi degli archi-tetti che si contraddistinsero agliinizi del novecento per le loro opere:Pietro Studiati10 e Federigo Se ve -rini11. Il primo è progettista di casaPardo-Roques (1909), uno degli e -sempi più riusciti del Liberty pisano,ma che non ebbe seguito, forse per il

conservatorismo che ancora regnavanella classe borghese cittadina, ilsecondo, è maggiormente rivolto,nelle sue opere, al recupero di moti-vi neoromanici ma in sintonia con leaggraziate aperture all’arte nuova. Il medesimo ambiente culturale e lamedesima scuola di formazione, laScuola delle Tecniche Industriali,porta a far collaborare architetti edecoratori, che vengono chiamati alavorare insieme dai committenti.Architetti del calibro di Studiati, maancora di più di Severini, erano soli-ti collaborare con un preciso decora-tore, per far completare con finezzeornamentali i sottotetti o le riqua-drature sopra le finestre delle loroopere. Il villino Ciuti, realizzato tra il 1925e il 1926 da Severini, propone ilmodello della casa-torre pisana me -dievale con archi ribassati di raccor-do su pilastri in pietra artificiale elaterizio, si lascia spazio all’inseri-mento di decorazioni dipinte convasi floreali con fiori gialli e azzur-ri, e motivi vegetali ad intreccio.L’or namentazione, sul prospettofrontale è ben conservata, mentresui prospetti laterali appare dilavatae sbiadita. Sempre opera di Federigo Severini edell’architetto Giulio Buoncristianiil villino realizzato per Arturo Ot -tina nel 1927, struttura quadrangola-re, in pietra artificiale e laterizio,presenta sui prospetti una triparti-zione con archi ribassati di raccordonella zona superiore secondo ilmodello delle case-torri medievali; esugli angoli e nei capitelli sporgonoteste leonine. Sopra le finestre emer-gono, su sfondo verde, coppie dipavoni bianchi affrontati, con al cen-tro un cespo d’acanto giallo, giralivegetali e melagrani rossi, motivi chesi trovavano sulle copertine deL’Arte Decorativa Moderna, 1903 esu Emporium, 1899.

Fig. 6. Particolare della decorazione diVillino Ottina, con una coppia di pavonibianchi affrontati.

Fig. 7. Palazzina in via Gabba n. 5, par-ticolare della greca floreale e riquadronel sottotetto.

ben conservata perché protetta dallospiovente del tetto, anche se presen-ta a tratti alterazioni cromatiche, edilavamenti della superficie e un’al-tra fascia posta sotto il piano dellefinestre, molto danneggiata con la -cune, rigonfiamenti ed erosioni del-l’intonaco. Particolarmente interes-santi sono due riquadri nella strisciainferiore con la scritta “Ars et labo-re”, e gli stemmi intonacati, due dicolore rosso con croce bianca (lostemma pisano), posti ai lati dellafascia superiore, e lo stemma dellafamiglia Bianchi posto sopra il por-tone centrale. I decori raffiguratirimangono quelli tipici del tempo,ghirlande e festoni floreali, un trattod’originalità è dato inoltre dallafascia di ceramiche smaltate celesti

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Altri due splendidi esempi di faccia-te decorate a intonaco si trovano unadirimpetto all’altra in via Gabba,nella zona nord-occidentale di Pisa,fuori dalle mura cittadine che rac-chiudono il centro storico. Il primo,edificio di moderna costruzione,presenta un motivo ornamentale flo-reale similare a quello di villa Ciuti,probabilmente dello stesso maestro;vasi da cui fuoriescono volute e gira-li floreali, caratterizzano i singoliriquadri, i colori utilizzati sono ilgiallo e il verde e il sottofondo è ros -so scuro; interessante è inoltre il di -segno del sottogronda di colore gial-lo e riquadrato di bianco con rifini-ture geometriche ai margini. Il se -condo edificio è un grazioso villino aimpianto asimmetrico, formato datre corpi di diversa altezza, con l’ul-timo poligonale, forse progettatopiù alto per assumere l’aspetto diuna torretta. Con serva l’elegante fa -scia decorativa dipinta con motivivegetali, che corre lungo il sottotet-to, nei due prospetti principali. Vi

sono rappresentate foglie simmetri-che di colore giallo e rosa alternate,che si intrecciano e si uniscono amotivi vegetali bianchi, in stile pie-namente Liberty. In via Benedetto Croce, nella zonasud di Pisa, si situa la PalazzinaGentili, edificio composto da trecorpi di fabbrica, il cui nucleo piùantico, quello centrale è del 1930, ilcorpo di sinistra del 1931 e la torret-ta, in stile severiniano, degli anniquaranta. La struttura più antica èformata da due piani, il piano terracaratterizzato da un paramentomurario a mattoni e il primo pianointonacato di giallo presenta una ric -ca decorazione dipinta, appena so -pra i laterizi del piano terra, compa-re un motivo geometrico, in un ret-tangolo viene disegnato un cerchiocentrale circondato da stelle a cinquepunte di diverse dimensioni; neglispazi tra le finestre del piano nobile,compaiono ghirlande di fiori con-cluse con ricchi fiocchi; sopra adogni apertura sono rappresentati

“delfini fantastici” le cui squame so -no il motivo ricorrente per tutta lasuperficie dell’edificio e nel sotto-gronda, scandito da una fascia mar-capiano in laterizio decorato, unalunga striscia di motivi floreali12.Acquistata da Alfredo Gentili nel1932, e unificata negli anni post-bel-lici, alla sua committenza si devonole decorazioni sulla facciata del nu -cleo centrale. Nota infatti era la pas-sione di Alfredo per il teatro e l’arte,era solito spendere parole d’elogioper i pittori che lavoravano a Pisa ein particolare per Nicola Torricini,decoratore del Teatro Verdi di Pisa,“geniale e incomparabile artista, atorto dimenticato, Nicola Torricini,uomo di grandissimo valore, di gustoraffinato, disegnatore e colorista ric-chissimo di ingegno”13. Alfredo ave -va la fortuna di conoscere artisti ditale levatura, e sicuramente uno diloro, di cui ancora non conosciamoil nome, decorò la palazzina Gentili. La Palazzina Gentili è stata oggettodi recente restauro14, infatti al mo -

Fig. 9. Palazzina Gentili, particolaredurante la fase del restauro avvenuta nel2002. Nella zona centrale la decorazioneera andata completamente persa e ripri-stinata con la tecnica dello spolvero.

Fig. 8. Villetta in via Gabba n. 6, pro-spetto anteriore, con decorazione florea-le in stile liberty.

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mento dell’intervento, la facciata sipresentava in pessime condizioni, acausa dell’azione degli agenti atmo-sferici, che avevano provocato neglianni il dilavamento dell’intonaco, e acausa dei lavori di ridipintura dellafacciata, eseguiti in diversi momenti,che avevano portato a una totaleperdita della decorazione. L’in -tervento di restauro ha rivalutato lapalazzina sia dal punto di vistaarchitettonico che da quello decora-tivo, riportando alla luce la magnifi-ca decorazione in facciata degli inizidel XX secolo.L’unico esempio di villetta Liberty aPisa si trova in via Montanelli, po colontano dalle mura meridionali diPisa. Questa ci ricorda che nellezone periferiche delle città nasceanche una nuova tipologia edilizia,quella delle villette di lusso in stileLiberty, esempi isolati di una nobiltàancora esistente, agli inizi del secolo.L’edi ficio, è formato da due corpiarchitettonici: il principale a duepiani con tre aperture al piano infe-

riore e balcone in corrispondenzadel portone centrale arcuato, e unastruttura più bassa, sulla destra, contetto a terrazza. L’intero edificio dicolore celeste ha elementi architetto-nici in stucco bianchi che contorna-no le porte, le finestre, il balcone, labalaustra del terrazzo, il marcapianoe il cornicione sottogronda, con rifi-niture agli angoli dell’edificio in pie-tre bianche con capitelli e girali flo-reali. A interrompere la bicromiaceleste-bianco è il cornicione delsottotetto, con un motivo a giraligeometrici arancioni, colore cheritorna nella rifinitura del portoned’ingresso e nei magnifici fenicotteristampati nelle mensole che sorreg-gono il balcone, splendido esempiodi maestria decorativa. La facciata, al piano superiore, simostra completamente decorata, unleggerissimo tratto grigio scurodisegna i contorni di danzanti figurefemminili, abbigliate con lunghe emorbide vesti, fenicotteri, rappre-sentati in diverse posizioni, e motivi

vegetali, il tutto disegnato sullasuperficie celeste dell’intonaco. Questa villetta, restaurata di recente,è uno dei più interessanti esempi diapparati decorativi di gusto Liberty,il cui disegno è forse di NicolaTorricini. Questi esempi testimoniano l’usan-za diffusasi a Pisa di decorare le fac-ciate di edifici con motivi geometricie floreali, risalente al primo nove-cento e fa seguito ad alcuni impor-tanti avvenimenti urbanistici, chemodificarono radicalmente l’assettodella città. Ripercorrere la cronolo-gia di questi avvenimenti permette discoprire su quali aree si venne mag-giormente a diffondere l’uso di“abbellire” le facciate degli edifici.Così la demolizione della cintamuraria, l’urbanizzazione fuori dalcentro storico, le ricostruzioni post-belliche, ci permettono di individua-re che le aree di maggior sviluppo diquesto fenomeno sono quelle sorteappena fuori dal circuito murariopisano, fuori dal centro storico.

Fig. 11. Particolare della decorazionedella villa in via Montanelli, con figuredanzanti grigie su sfondo celeste, forseeseguite su disegno di Nicola Torricini.

Fig. 10. Villetta Liberty posta in viaMontanelli.

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Nascono così nelle zone periferichedi Pisa ricche e nobili palazzine,simbolo dell’architettura Liberty edEclettica, fatte decorare da abili, maanonimi artisti, che hanno avuto cosìmodo di lasciare una testimonianzadi sé, della loro arte, della loro abili-tà, e della tradizione dell’epoca incui hanno vissuto.

Note1. C. CASINI, V. FIORINI, Pisa liberty?,Pisa 2003, pp. 5-12.2. F. TOGNONI, Nobili sale. Percorsidella decorazione pittorica a Pisa nel -l’Ottocento, in L’immagine immutata.Le arti a Pisa nell’Ottocento, a cura di R.P. CIARDI, Pisa 1988, pp. 147-177; F.TOGNONI, Pittori e ornatisti attivi a Pisanella seconda metà del secolo, in Laparete dipinta, aspetti della decorazionesu muro a Pisa nell’ottocento, a cura di S.CACCIA, S. PAGNIN, S. RENZONI, F.ROGNONI, Pisa 2002, pp. 51-84. F.TOGNONI, La decorazione di PalazzoBertolli Carranza tra Sete e Ottocento,in Il Palazzo Bertolli Car ranza, unadimora nobiliare nel centro storico diPisa, a cura di O. NIGLIO, Roma 2005. 3. Su Francesco Manetti (1877-1926): IlPonte di Pisa n. 20, 19-20 giugno 1920,n. 42, 17 ottobre 1909, e n. 43, 24 otto-bre 1909; Corriere Toscano, n. 90, 31marzo 1911, n. 328, 28 novembre 1913,n. 342, 12 dicembre 1913; R. MONTI,Adolfo De Carolis a Pisa: studi e disegniper l’aula Magna, catalogo della mostra,Pisa 1977. 4. ASPi, Catasto terreni, registro deipossidenti, n. 507. Nel 1850 Pietro Tom -maso Fontana possedeva un lotto, corri-spondente alla particella n. 1487, e con-sisteva in un orto con conserva d’acquadi 14434 braccia quadre, tale lotto vienefrazionato negli anni, come i Cartoncinidella sezione C di Pisa dimostrano: ar -roti catastali n. 13/192 (1895), 13/198(1896), 13/203 (1896), 13/205 (1897),13/207 (1898), 13/211 (1898) ed infine n.13/212, indica la realizzazione della vil-letta.

5. M. BERTOLUCCI, M. BURRESI, La col-lezione di Antonio Ceci nel PalazzoReale di Pisa, Pisa 1991, pp. 17-26. An -tonio Ceci (Ascoli Piceno 1852 - Pisa1920).6. M. BERTOLUCCI, M. BURRESI, La col-lezione di Antonio Ceci... op. cit., 1991.7. Sull’antica via San Giusto (attuale viadella Spina), si trovavano, alla fine delXIX secolo, una serie di appezzamentidi terreni “pioppati e vitati” con sparsedimore appartenenti alle più importantifamiglie della città, che avevano propriofuori le mura della città la casa in campa-gna con il rispettivo terreno, (Catastoterreni, n. 507, elenco dei possidenti deibeni terreni, della sezione H, I, L di Pi -sa). Nei primi decenni del novecentoinizia l’urbanizzazione di questa zona, iterreni vengono frazionati, edificati epoi venduti da proprietari che desidera-no accrescere i propri beni immobili eguadagnare dalla loro vendita, consape-voli del precoce sviluppo che in queglianni stava avendo Pisa in direzione sud.È così che nascono le nuove dimore diaristocratici: villette isolate in stile, comequella posta nella corte interna su viadella Spina.8. Si ringrazia la sig.ra Rutili, proprieta-ria della villetta, per le utili informazio-ni concessemi.9. Si ringrazia la dott.ssa Claudia Lam -berti per avermi fornito i nomi deirestauratori, e Urano Castelli per la di -sponibilità. 10. A. MARTINELLI, L’architettura a Pisaagli inizi del secolo, in I mestieri delcostruire l’edilizia storica a Pisa, a curadi M. DRINGOLI, A. MARTINELLI, F.NUTI, Pisa 1997, pp. 55-88; E. GODOLI,Intellettuali e architettura nella Toscanatra le due guerre, in Architettura delnovecento. La toscana, a cura di E.GODOLI, Firenze 2001, pp. 23-46.11. T. CORAPI, L’opera architettonica diFederigo Severini, Tesi di Laurea, relato-re prof. G. NUDI, Pisa 1990-91.12. Per quanto concerne la PalazzinaGentili, si rimanda M. GIRALDO, Pa -lazzina Gentili, storia, architettura, de -corazione, tesi di laurea di primo livello,relatore prof. G. BONACCORSO, Pisa2006.

13. M. AGHINI, A. ZAMPIERI, AlfredoGentili, Pisa 1998.14. L’opera di restauro, iniziata nel mag-gio e terminata nel settembre 2002, èstata curata dalla Restauro Italia diPietro Vecchio, sotto la coordinazionedella Dott.ssa Francesca Falchini, l’in-tervento si è potuto concretizzare graziealla volontà della proprietaria MariaGabriella Gentili.

* Dottore in Scienze dei Beni culturali,indirizzo Storia Ar chitettura del l’Uni -versità di Pisa.

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Redazionale

Dal 25 al 29 ottobre 2006 si è tenutopresso il quartiere fieristico diBologna la quarantaduesima edizio-ne del SAIE, Salone Internazionaledell’Edilizia, i numeri della manife-stazione sono stati rilevanti:1.850 espositori di cui oltre 450 stra-nieri, un’area espositiva estesa inquindici padiglioni e sei aree esterneper un totale di 220.000 mq, i visita-tori, nel 2005, sono stati 165.000 dicui 7.500 esteri.La manifestazione consente, ai pro-tagonisti del mondo dell’architetturae delle costruzioni, di conoscere econfrontare le proposte delle azien-de leader del mercato valutando,parallelamente, le potenzialità diprodotti/tecnologie a supporto del-l’attività professionale.Con l’edizione del 2006 ha preso ilvia un nuovo ciclo del tradizionaleCUORE MOSTRA, l’appuntamen-to dedicato alla “grande architettu-ra”, il tema di questo nuovo ciclotriennale è L’ITALIA SI TRA-SFORMA: CITTÀ IN COMPETI-ZIONE, un tema che consente difocalizzare l’attenzione alle trasfor-mazioni urbane e agli interventi chestanno cambiando il modo di viverenelle città italiane, modificandonel’aspetto ed i sistemi di relazione.Verranno presentati alcuni fra i piùsignificativi progetti di riqualifica-zione urbana attualmente in realiz-zazione sul territorio nazionale, sianei grandi poli urbani che nei centridi media-piccola dimensione.Al SAIE è stata inoltre presentato unimportante accordo fra Bolo gna -Fiere e CRESME, che ha riportato

nell’ambito della manifestazione fie-ristica la presentazione dell’annualeappuntamento di riflessione sul mer-cato delle costruzioni.Numerosissimi e molto qualificati iconvegni tenuti al SAIE 2006, nesono stati realizzati 54. Tra questisegnaliamo l’iniziativa PROFES-SIONE PROGETTARE (organiz-zata da Edilio e SAIE in collabora-zione con Il Sole 24 ore) che que-st’anno si è articolata in un ciclo diincontri dedicati a tematiche di gran-de interesse per i professionisti delmondo delle costruzioni. Modernetecnologie antisismiche, acustica,sicurezza nei cantieri e efficienzaenergetica sono stati i temi affronta-ti da esperti in quattro seminari digrande interesse.

SAIE Salone Internazionaledell’Edilizia

Nella manifestazione del 2006 visono state delle modifiche nel layoutespositivo, preludio alle novità futu-re che vedranno la Fiera di Bolognaprotagonista con, in particolare, larealizzazione di un nuovo caselloautostradale che faciliterà l’accessi-bilità al quartiere fieristico permet-tendo un accesso diretto al parcheg-gio Michelino, e l’ultimazione dellaterza corsia autostradale nell’anellointerno che attraversa Bologna.Verrà inoltre potenziato il nodo fer-roviario.

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Il complesso industriale S.A.F.I.L.L.insiste su un territorio che appartie-ne ad una fase importante della sto-ria urbanistica di Lucca, tra il viale dicirconvallazione, Giuseppe Giusti, ela via secondaria, Nazario Sauro. Lapresenza della stazione ferroviariadeterminò l’importanza della zonafuori della porta San Pietro, chedivenne il polo di attrazione soprat-tutto per gli “industriali” di spiccodella fine dell’800, che vi costruiro-no le loro tipiche abitazioni. L’am -ministrazione comunale aveva gran-di progetti per questa “nobile zona”,doveva diventare “uno dei centri piùpopolati e più ricercati” della città,per questo l’uffizio tecnico dettavavincoli stretti alla libera fabbricazio-ne. Nel 1885 l’uffizio tecnico, nellapersona dell’ingegnere comunaleBastianoni, presenta un progetto per“la sistemazione ed il buonificamen-to di tutti gli spalti”. Il 30 luglio, ilconsiglio comunale approva il pro-getto di “buonificamento degli spal-ti” presentato dall’uffizio tecnico. Il6 febbraio 1887 viene approvato,con Decreto Reale, “il piano regola-tore di ampliamento – redatto dallostesso Bastianoni – per la costruzio-ne dei fabbricati ed apertura di stra-de fuori la Porta San Pietro”.Il progetto per la costruzione delviale di circonvallazione dal piazzaledella stazione alla nuova strada deiMacelli – l’attuale viale G. Giusti –,redatto dall’ingegnere comunaleBandettini, risale all’11 agosto del1899. Il 18 agosto il sindaco di Lucca

rende noto che “è aggiunta all’elencodelle strade comunali quella che stac-candosi dal piazzale della ferrovia epercorrendo lo spalto, va a congiun-gersi coll’altra strada che conduce alpubblico macello”. Quando lacostruzione del nuovo viale di cir-convallazione, dal piazzale delle fer-rovie alla “strada dei Macelli”, è ter-minata, il comune procede con lavendita dei terreni residui dell’anticospalto militare situati lungo il fiancodestro del percorso del nuovo viale.Nel 1901 l’ufficio tecnico del comu-ne di Lucca detta le “condizioni perla vendita dei terreni di proprietàcomunale situati fuori della PortaSan Pietro lungo il nuovo viale di cir-convallazione dal Piazzale delleFerrovie alla strada dei Macelli”,

“come patto di vendita i fabbricati dainnalzarsi sui terreni venduti, se adun sol piano, non potranno averealtezza, sul piano della strada adia-cente, minore di metri otto; e se a piùpiani tale altezza verrà inappellabil-mente determinata dalla Giunta”. I“fabbricati dovranno essere decoraticon cornicioni e cornici a rilievo intutti i lati visibili dalle strade e pas-seggi pubblici circostanti e do vrannoessere coperti con tetti a quattrospioventi di embrici alla marsigliese”.Il 14 maggio 1902 il consiglio comu-nale autorizza l’apertura delle astepubbliche per la vendita di questiterreni.Il 24 luglio 1904, l’ingegnere AlfredoPiegaia, a nome della ditta “SocietàIndustriale per la fabbricazione direcipienti di Latta e di Legno” chie-de “il permesso di costruire un fab-bricato in San Concordio Contrada,lungo il Viale Giuseppe Giusti, epresenta i voluti disegni all’approva-zione” dell’amministrazione comu-nale. Il fabbricato viene costruitosull’appezzamento di terreno con-traddistinto dal numero particellare976 della sezione A3, si tratta del-

La “Società Industriale per lafabbricazione di recipienti di Latta e di Legno” di LuccaDenise Ulivieri*

Fig. 1. A.S.C.L., Protocollo Generale del Comune di Lucca, n. 10295, 15 settembre1904, prospetto sul viale G. Giusti.

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l’appezzamento, lotto IV, una por-zione dell’antico spalto militare, cheil comune di Lucca aveva vendutotramite pubblico incanto.Il progetto del Piegaia, allegato allapresente domanda, consiste in trecapannoni affiancati, su di un unicopiano, con tetto a capriate; il pro-spetto principale si apre naturalmen-te sul viale Giusti, mentre quellolaterale sulla via ancora da costruirsi,la futura via N. Sauro. Una volta ottenuto il parere favore-vole da parte dell’ufficio tecnico delcomune di Lucca, il 15 settembredello stesso anno, il Piegaia sempre“a nome e per conto della SocietàIndustriale per la fabbricazione direcipienti di Latta e di Legno”domanda, ed ottiene, di poter intro-durre delle modifiche, nell’aspetto enella consistenza, “del fabbricato incostruzione lungo il Viale GiuseppeGiusti in confronto del primitivoprogetto, presentato con l’istanzadel 24 luglio p.p., ed approvato dacotesta Amministrazione li 8 Agosto1904” (fig. 1).La variazione consiste sostanzial-mente nella sopraelevazione di un

piano del prospetto principale che siapre sul viale G. Giusti e di una por-zione di quello sulla via da aprirsi;mentre si mantiene invariata la tipo-logia dei grandi parallelepipedi indu-striali con tetto a capriate su unicopiano sul retro lungo l’attuale via N.Sauro. Ogni apertura è incorniciatada mattoni facciavista che arricchi-scono notevolmente i prospetti; lafacciata principale è ritmata da lese-ne che creano un bel gioco di chiaro-scuro mentre una cornice marcapia-no corre lungo tutti i prospetti.Questo fabbricato, ossia il nucleooriginario della fabbrica, è, ancoraoggi, facilmente leggibile e riconosci-bile perché rimasto sostanzialmenteinvariato. L’ingegnere Piegaia è benintrodotto nell’ambiente politicolucchese, nel 1900 è assessore per ilavori pubblici; nel 1907 consiglierecomunale e sempre nello stesso annoviene nominato “rappresentante delComune nella Giunta di Vigilanzadella Scuola Commerciale di Lucca”.Il 9 febbraio del 1905 l’ingegnerePiegaia presenta all’approvazionedell’amministrazione municipale il“bozzetto, per la parte che rappre-

senta il prospetto verso il vialeGiuseppe Giusti della stalla e rimes-sa, che s’intende di costruire a corre-do del fabbricato industriale” (fig. 2).Alla giunta però non piace “che sullaVia Giuseppe Giusti venga a pro-spettare una stalla” perciò “nonaccorda il domandato permesso”anzi richiede ulteriori informazionisulla località e “si limita ad accenna-re che le piacerebbe venisse a pro-spettare verso mezzodì la fabbricaad uso di stalla”. Prontamente ilPiegaia si affretta “a far conoscere...lo stato del luogo” attraverso unoschizzo planimetrico. “Del terrenoABCDEF appartenente alla Societàdata l’estensione occupata dal Fab -bricato Industriale, non resta da uti-lizzarsi, che l’area ABF ed è infatticoprendola tutta, che si può farlaservire allo scopo opposto. Perciò,visto che non può internarsi lacostruzione, non solo perché il ter-reno di proprietà della Società indu-striale non lo consente, ma ancheperché il Confinante, senza logicomotivo apparente, ha rifiutato ditrattare la cessione di un pezzo delsuo terreno a suo tempo richiestogli

Fig. 2. A.S.C.L., Protocollo Generale del Comune di Lucca, n.1546, 1905, prospetto verso il viale G. Giusti della stalla e rimessa.

Fig. 3. A.S.C.L., Protocollo Generale del Comune diLucca, N°. 1999, 1905, schizzo planimetrico.

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nutro fiducia, che la domanda da meavanzata per conto della spettabileSocietà Industriale sia favorevol-mente accolta da cotesta OnorevoleAmministrazione”. L’ufficio tecnicoriscontra che quanto “esposto sullostato di fatto della località” corri-sponde al vero e concede il permes-so “di costruire la fabbricchetta nelmodo richiesto”. Solo dopo qualcheanno il confinante decide di trattarela cessione del suo pezzo di terreno(fig. 3).Nel 1906, la società industrialeacquista una grossa porzione dellaproprietà Landucci per costruire unnuovo capannone. Il 27 agosto laditta “fa domanda... per la costru-zione di un nuovo locale in muratu-ra”. La “fabbrica nuova” segue lasolita e ripetuta tipologia del capan-none su unico piano.La scelta del sito su cui sorge la fab-brica non è casuale, a nord la strada

di circonvallazione, lungo asse viarioche proietta la città fuori dalla cintadelle mura e velocizza notevolmentele comunicazioni; verso sud la ferro-via che garantisce una circolazionedi persone e di merci completamen-te nuova per la sistematicità dei con-tatti. Infatti la linea ferroviaria eradirettamente legata ai complessi pro-duttivi. “A levante i magazzini desti-nati alla vendita di legnami che con-finano con la casa del signor Rag -ghianti”. Il 12 agosto 1913 “i sottoscritti For -tuna Lucchesi e C. negozianti domi-ciliati a Lucca fanno rispettosa istan-za per avere l’autorizzazione di fareuna giunta allo stabile già esistente”.Gli stabili già esistenti sono natural-mente il fabbricato del 1904, la stallae rimessa e i magazzini per la vendi-ta dei legnami. La ditta FortunaLucchesi & C. affida la costruzionedella “Nuova Giunta di Fabbrica per

la lavorazione delle Latte e Casse”alla nota “Impresa Achille OrzaliProgetti Costruzioni Edilizie Luc -ca” con sede in borgo Giannotti. GliOrzali erano una delle più notefamiglie di costruttori di Lucca; pos-sedevano, sempre in borgo Gian -notti, una segheria a vapore, un de -posito di legnami da costruzione eda lavoro, una officina meccanicaper costruzioni in legno ed inoltrerealizzavano murature speciali perimpianti industriali.All’interno del perimetro dello sta-bilimento sono facilmente ricono-scibili parti aggiunte e ricostruite,edifici non omogenei per tipologia,dimensioni ed epoca di costruzione.Lo spazio interno è quasi completa-mente saturato dalle tettoie in ferrocostruite durante le varie fasi di cre-scita che hanno interessato il com-plesso dal 1925 al 1962. Nel 1925 la “Società Anonima Luc -chese Oli e Vini” – S.A.L.O.V. – af -fida nuovamente l’incarico del pro-getto e della costruzione di un “ba -raccone per riporre legname da lavo-ro” – il legname serviva per costrui-re i pancali per portare il alto le latti-ne – al costruttore Achille Orzali delfu Gaetano. Il 23 giugno dello stessoanno si chiede il permesso di co -struire il “capannone in continua-zione di quello già esistente entro lacinta S.A.L.O.V.”. Il capannone ri -pete le scelte strutturali di quello del1913, presenta uno sviluppo longitu-dinale con muratura portante dimattoni irrobustita da lesene su cuipoggiano capriate di legno e tirantidi ferro.La “Società Industriale Fab bri ca zio -ne Recipienti Latta e Legno” nel1904, poi “Società per la lavorazionedei recipienti di latta e casse da im -ballaggio”, nel 1906; dal 1919 SocietàAnonima Lucchese Oli & Vini, edinfine dal 1947 denominata Societàper Azioni Fabbrica Im ballaggi La -

Fig. 4. A.S.C.L., Permesso di costruzione, n. 77, 1947, “prospetto sul viale Giusti:nuova sistemazione”.

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vorazione Latta – S.A.F.I.L.L. – eralegata a doppio filo con la produzio-ne dell’olio, prodotto per cui Luccaera famosa nel mondo. Del restol’industria dell’olio era strettamenteconnessa con quella dell’imballaggioed in particolare con quella dellalatta litografata. Accanto e all’inter-no stesso degli oleifici sorgevano,infatti, le industrie per la stampadella latta. Nel 1919 alcuni commer-cianti lucchesi unirono le loro attivi-tà ed i loro marchi in un’unica socie-tà, fu così costituita la “SocietàAnonima Lucchese Oli & Vini”. Lasocietà era proprietaria di numerosimarchi di olio di grande prestigio:Filippo Berio, Francesconi, FortunaFon tana. La società possedeva inol-tre una raffineria e una nave, al con-tempo espandeva il proprio giro diaffari anche sul mercato nazionalefornendo oli sfusi a diversi piccoliconfezionatori ed in più confezio-nando anche il proprio prodotto. Due anni dopo, nel 1927, la dittaS.A.L.O.V. chiede “il nulla osta per

procedere mediante una nuova co -struzione alla rettifica” del piccolofabbricato, con pianta triangolare,progettato dal Piegaia nel 1905, ad“uso di stalla e rimessa a corredo delfabbricato industriale”. L’ufficio tec-nico del comune di Lucca accorda,dopo qualche riluttanza, il permes-so. Il prospetto verso il viale rimaneinalterato mentre la facciata del fab-bricato ad uso di uffici, verso il piaz-zale interno dello stabilimento, ripe-te gli elementi del nucleo originario.I bombardamenti aerei della secondaGuerra Mondiale causano ingentidanni alle attrezzature e alle infra-strutture dello stabilimento. Nel1947 lo stabilimento è interessato daun massiccio intervento di ricostru-zione e di ampliamento. Il 16 giugnola “Società per Azioni Fabbrica Im -ballaggi Lavorazione Latta, fa i stan -za affinché le venga concessa l’auto-rizzazione per la ricostruzione di unpadiglione B e fabbricato uffici Anello stabilimento ex fabbrica imbal-laggi “S.A.L.O.V.” sito in viale Giu -

sti angolo Via Nazario Sauro. I fab-bricati suddetti sono stati distrutticompletamente per eventi bellici”. Iprogetti e la costruzione dei padi-glioni sono affidati a I.C.E.S.I.A. –Impresa Costruzioni Edili StradaliIndustriali Affini –. I padiglioni A eB sono stati ricostruiti secondo ilprogetto del 1947 che modifical’aspetto, le dimensioni e le caratteri-stiche formali dei vecchi edifici. Ilcapannone B, di forma parallelepi-peda, è realizzato in cemento arma-to, sui prospetti si aprono grandifinestre che danno luce agli interni;sulla copertura, a volta in latero-cemento con tiranti di ferro, i lucer-nai contribuiscono ad aumentarel’illuminazione interna. Il fabbricatoA, ad uso di uffici, è stato ricostrui-to rispettando il progetto presentatonella domanda di costruzione del1947; si sviluppa su due livelli, tra leaperture sono stati inseriti dei mat-toni facciavista che riprendono quel-li usati per gli stipiti e gli architravidelle aperture, le aperture sonoincorniciate da sottili lastre di mar -mo. Oltre alla ricostruzione deipadiglioni distrutti da eventi bellici ilprogetto prevede anche la “costru-zione di un nuovo padiglione C sulviale G. Giusti il quale includerà an -che l’attuale piccolo fabbricato pres-so l’ingresso con modifica generaledel prospetto dello stabilimento”. Ilfabbricato realizzato dal Piegaia nel1905 ad uso di stalla con rimessa,ampliato nel 1927 ad uso di ufficio,nel 1947 viene letteralmente “in -ghiottito” dal nuovo fabbricato, di -sposto su due livelli. L’intero pro-spetto verso il viale G. Giusti, com-preso il primo edificio costruito, nel1904, dalla “Società Industriale”,doveva cambiare forma ed acquista-re “un aspetto di carattere moderno”(fig. 4). I prospetti originali del 1904 sonostati, invece, mantenuti; la facciata

Fig. 5. Prospetto del fabbricato del 1904 su via N. Sauro, si scorge il viale G. Giusti ela cinta delle mura di Lucca.

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del fabbricato C si allontana dal pro-getto del 1947, sia per l’assenza deimattoni facciavista tra le aperture, siaper la diversa disposizione delle fine-stre, che per la diversa altezza dei dueedifici prospicienti il viale. Quasicertamente la nuova sistemazioneaveva un carattere troppo modernoper la zona. Probabilmente una voltaterminato il fabbricato A, con pro-spetto su via N. Sauro, seguendo imodi delineati dal progetto, è statodeciso che il progettato “caratteremoderno” non era appropriato allalocalità in questione (fig. 5).Dal 1950 al 1962 si susseguonodiversi interventi che vanno ad in -crementare l’articolata vicenda co -struttiva del complesso industriale.Nel 1954, si costruiscono due co -perture a volta con laterizio in ce -mento armato, il progetto è redattodall’ingegnere Giuseppe Sodini, “is -critto all’albo dell’ordine degli in -gegneri della provincia di Lucca al n.22, e residente in piazza Na poleonea Lucca”. Nel 1958 si chiede di poteredificare all’interno di un cortile

dello stabilimento una tettoia, ed èsempre l’ingegnere Sodini che firmail progetto. Più che di una semplicetettoia si tratta di una vera e propriacopertura sostenuta da pilastri inmuratura, in parte appoggiata almuro di recinzione del cortile ed inparte al capannone posto lungo illato prospiciente la manifattura ta -bacchi. Nel 1961 Sodini realizza an -che il progetto di consolidamento,ampliamento e di sopraelevazionedel capannone industriale all’internodello stabilimento, si tratta del fab-bricato attaccato al padiglione rea-lizzato nel 1906 e ricostruito nel1947 dopo le distruzioni degli even-ti bellici. L’ultimo intervento, di cui abbiamonotizia, in ordine di tempo, risale al1962. Anche questo viene firmatodall’ingegnere Sodini ed è in perfettaarmonia con il progetto dell’annoprecedente. Si chiede il permesso perla “sopraelevazione di un capannonead uso industriale nell’interno dellostabilimento S.A.F.I.L.L.” (fig. 6). Lo stabilimento è stato investito da

una rapidità di processi che nehanno mutato la fisionomia, deter-minando la sovrapposizione di di -versi e nuovi elementi; soltanto unaporzione dei fabbricati prospicientiviale G. Giusti e via N. Sauro si èconservata inalterata ed è ancorapercepibile nella sua condizione ori-ginaria. Nella S.A.F.I.L.L. coesisto-no le tracce di tutti i momenti suc-cessivi dello sviluppo dello stabili-mento, innestati l’uno nell’altro.Questo “monumento in dustriale” sipresenta quindi come un assemblag-gio di parti diverse cresciute attornoalle strutture originarie.

* Ricercatore universitario di Storia del-l’architettura nel corso di laurea inScienze dei Beni Culturali dell’Uni ver -sità di Pisa.

Fig. 6. Prospetto, su via N. Sauro, del fabbricato (padiglione A) costruito secondo ilprogetto del 1947.

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1. IntroduzioneNel gennaio 2006 si è deciso diapprontare un intervento di re -stauro critico nella Hall del PalaceHotel di Viareggio, tenendo contoin primo luogo di tutta quella che èstata, fino ad oggi, la storia archi-tettonica, stilistica e decorativa del-l’edificio in questione e, in secondoluogo, di una più ampia storiadello stile Liberty a Viareggio.Oggetto d’interesse sono stati glistucchi, i capitelli delle colonne

dell’ingresso ed i bassorilievi ligneicon motivi vegetali.Per Restauro Critico s’intende unintervento che ha come obiettivoquello di riconoscere ed eventual-mente liberare l’opera da tutto ciòche ne ha alterato l’aspetto, resti-tuendone l’immagine unitaria. Si ècercato di tendere, mediante unachiara lettura critica, a ritrovare nelmonumento la sua piena qualitàartistica e di valutare il suo livelloformale e il valore letterario in essocustodito.Il Restauro in questione vieneattuato alla luce di analisi storio-grafiche, nella piena coscienza diquel necessario distacco critico chepermetta di definire l’antico. Sullabase di attenti studi preliminariall’intervento, si è venuti a cono-scenza dell’evoluzione naturale diquesta struttura alberghiera, giàesistente prima degli anni Venti colnome di Mediterraneè. Si è indaga-

to sull’aspetto originario do vutoall’intervento dell’architetto Al -fredo Belluomini e, attraverso con-fronti storici e fotografici, si ègiunti all’attuale definizione. Contutto ciò abbiamo voluto restituirela piena comprensione degli stuc-chi, delle decorazioni, dei colori,riportando l’intero ambiente allasua reale e storica dimensione.

2. Lo Stile Liberty a ViareggioAll’inizio del Ventesimo secolo,venne maturando un nuovo lin-guaggio comune che andò svilup-pandosi in senso omogeneo intutta la penisola. Questo vasto mo -vimento attinse da un repertorio diforme particolarmente ricco edauspicò una concezione unitaria ecoerente che le gasse strutture ar -chitettoniche e de corazione.Il Liberty investì in questo modotutti gli ambiti della produzione,interessando ogni genere di manu-fatti. In Italia le asimmetrie e le te -nui linee che caratterizzavano loJu gendstil tedesco o le originalicreazioni dell’Art Nouveau fran-cese, furono soffocate da intrusio-ni di elementi desunti dal reperto-rio classico, tra cui colonne, ma -schere e festoni (fig. 1).

Il Palace Hotel di Viareggio: intervento di Restauro CriticoValentina Bacci*, Lucia Morelli**

Fig. 1. Villa Argentina. Viareggio. Par -ticolare della decorazione ceramica diGalileo Chini.

Fig. 2. Veduta della Passeggiata con ipadiglioni in legno. Foto d’epoca 1904.

Fig. 3. Hotel Liberty. Viareggio. Par ti -colare della decorazione ceramica diGalileo Chini.

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Ad inizio secolo la Versilia, e Via -reggio in modo particolare, era giàconnotata come località turistica ebalneare. L’Ottocento fu un perio-do di grande espansione e fervoreedilizio ed un po’ ovunque sicostruì edilizia Liberty. Nel 1902 fu inaugurato il VialeRegina Margherita, lungo il qualefu edificata una serie di padiglioniin legno per negozi, caffetterie,accessi agli stabilimenti balneari oaltre attività indirizzate al turismo.Si trattava di un’architettura effi-mera, che esprimeva l’idea delprovvisorio, del mutevole, assimi-lando la passeggiata ad uno scena-rio da montare e smontare (fig. 2).Il 17 ottobre 1917, a seguito di ungrosso incendio, la passeggiata,compresa tra il molo e il CaffèEden, fu devastata, segnando la finedell’epoca che gli chalet di VialeMargherita avevano rappresentato.Da qui si sviluppò quella tendenzadi gusto che avrebbe radicalmentetrasformato il volto della città diViareggio e attraverso il progetto,che come forma di controllo urba-nistico e architettonico è espressio-ne ottimistica del progresso, la fi -sionomia della passeggiata cambiòradicalmente. Artefice del nuovovolto dell’asse litoraneo, fu soprat-tutto il professionismo locale, conl’Archi tetto Alfredo Belluomini,Leonzi, Pa pa soli, il decoratore eceramista Ga lileo Chini. Ab ban do -nata la sperimentazione artigianaleche aveva caratterizzato il primoperiodo storico del Liberty viareg-gino, l’architettura locale s’indiriz-zò verso for me più canoniche me -scolando toni eclettici e quattro-centeschi, con elementi di deriva-zione orientale, es primen dosi attra-verso l’esuberanza di mensole, didecorazioni e cornici.

L’assoluta novità fu la presenza divaste decorazioni ceramiche, di cuiGalileo Chini fu sommo maestro.L’uso dell’ornamento venne estesoa tutto il tessuto cittadino e ladecorazione fu sovrapposta allecortine murarie, permettendo alsegno decorativo d’impaginare lefacciate e di sottolineare le stessestrutture d’architettura. In questomodo la creatività artigiana simisurò con la plasticità del cemen-to e dello stucco, la flessibilità delferro, il virtuosismo del graffito edel dipinto. Con la presenza diChini la collaborazione artista-decoratore e architetto fu diretta(fig. 3). Nel corso degli anni venti del No -vecento, la struttura alberghieraaumentò la propria ricettività e tra-sformò il suo volto arricchendosidi decori e di nuovi arredi. Le resi-denze per la villeggiatura, ville egrandi alberghi, proiettarono leloro facciate lussureggianti di or -nati e di colori sull’asse litoraneo.Si costruirono e si ristrutturarono igrandi alberghi nel segno delnuovo linguaggio in modo che lastruttura alberghiera tendesse acaratterizzarsi e personalizzarsiallineandosi ad un linguaggio in -ternazionale che rispose agli stan-dard di funzionalità e di comfort eal tempo stesso stimolò l’immagi-nazione del turista. La fisionomiadell’albergo si distinse allora nelfitto allineamento edificato peressere immediatamente identifica-ta. I volumi si fecero grandiosi, siscoprì il valore semantico del colo-re, dei decori plastici; si ricercò nelrichiamo eclettico ed esotico lacifra distintiva. La fitta sequenza difinestre balconate con vista marescandì la facciata. Sontuosi ingressiricchi di decori e stucchi; scale

Fig. 4-5. Cartoline storiche. Vedute pro-spettiche dell’Hotel Mediterraneè 1920.

Fig.6. Esterno. Attuale facciata del Pa lace Hotel.

Fig.7. Interno. Vestibolo dell’Hotel Me diterraneè. 1920.

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marmoree; sale da pranzo ornate dimotivi dove risaltarono decoriceramici e trionfarono illusionisticigiochi di specchi e vetrate.Alfredo Belluomini fu l’architettopiù rappresentativo del panoramaviareggino negli anni compresi frale due guerre. L’architettura di Bel -luomini costituì un significativomo mento di transizione. La sua fuuna produzione assai complessa dadecifrare perché il suo linguaggiomodellò gli stilemi ai generi e allecategorie dell’architettura rivelan-dosi in sintonia con l’indirizzoeclettico.

3. Evoluzione architettonica e stilistica dell’Hotel Palace.Nel 1922, proprio negli anni in cuiViareggio conosceva un periodo digrande fervore edilizio, l’HotelMe diterraneè (fig. 4, 5), attraversoil pro getto dell’architetto AlfredoBel luomini, divenne l’attualeHotel Palace.La trasformazione avvenne succes-sivamente all’approvazione dellali cenza edilizia il 28 giugno 1922.L’edificio originario costituito daun solo blocco quadrato in angolotra Via Cavour e via Flavio Gioia si

sviluppava solo su due livelli.Le decorazioni interessavano ilpianoterra con un bugnato chearrivava fino sottogronda sottofor-ma di le sena.Belluomini si adoperò per la so -praelevazione di un piano e per ilraddoppio del fronte che si affaccianella strada interna, andando acostituire due blocchi speculari,caratterizzati da decori realizzatinegli stilemi classico rinascimen tali.La ricca serie di finestre venne co -ronata da classicheggianti timpanied i sottogronda furono arricchiti eca ratterizzati da altrettanto classi-cheggianti festoni in cemento astampo.Nel disegno originario, la portacentrale, quella che corrispondevaal l’ingresso principale, si dovevasviluppare su due piani, invecerisulta più alta.Nel progetto del 1922, il prospettodell’edificio, che indica l’andamen-to dei lavori di rialzamento, pre-senta una copertura piana, che nonlascia indicazioni relative alla gran-de terrazza panoramica che invece,probabilmente, fu realizzata soloin un secondo momento. In ester-no, oltre al bugnato del piano terra,

Fig. 8. Interno. Salottino dell’Hotel Me-diterraneè. 1920.

Fig. 9. Bagno-tipo, Hotel Mediterraneè.1920.

Fig. 10. Intervento di rimozione mecca-nica degli strati di colore dagli stucchi delsoffitto.

alle colonne che portano gli archi-travi ed i timpani che ornano lefinestre, l’apoteosi decorativa è nelsottogronda, caratterizzata da fe -stoni a stampo con motivi florealiimpreziositi da un fregio sovra-stante con ovuli e dentelli (fig. 6-8). All’interno, nell’ingresso, ancoraoggi sono conservate le grandi co -lonne ornate da ricchi capitelli ed imotivi decorativi in stucco che siallungano sul soffitto della Hall.Le decorazioni in gesso sono ese-guite fuori opera, applicate conmalta ed inserite nei soffitti e nellepareti creando partiture.Le colonne e le paraste interne so -no vivacizzate da elementi in legnodorato che rappresentano figurefitomorfe, come ancor oggi testi-moniano le due colonne ai lati dellaReception.L’originale pavimentazione, realiz-zata con mattonelle di cemento egraniglia, fu sostituita con piastrel-le di ceramica in rilievo negli anniCinquanta (fig. 9).Ecco come ben s’inserisce la nuovastruttura in quella maglia urbanacaratterizzata da nuovi ritmi, scan-sioni di masse e modulazioni cro-matiche. Ne risulta, nel complesso,

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ci superiori e con l’intento di giun-gere a quello che era l’antico stratoprimordiale di colore. Con tra ria -mente alle aspettative, non è statopossibile raggiungere risultati sod-disfacenti, in quanto non è statapervenuta alcuna pittura sottostan-te (fig. 10). La via intrapresa si è allora svilup-pata in senso storiografico. Se -guendo le indicazioni desunte dallefoto d’epoca e, più in generale, daun’analisi delle decorazioni di edi-fici coevi, siamo giunti alla defini-zione di una serie di colori chebene esprimono il proprio periodod’appartenenza. L’uso del colore ètipica connotazione dello stile Li -berty, che adopera una vasta gam -ma di sfumature pittoriche tra cuil’oro, i verdi, gli aranci, i blu, irosa... L’operazione di restauro pittoricoha interessato prevalentemente

tutta la serie di festoni in bassori-lievo a stucco, che corrono longi-tudinalmente lungo l’ingresso enella sala adiacente, le decorazionisui pilastri e sui capitelli, nonchéparte dei decori situati al soffittodella reception (fig. 11, 12).I colori scelti per le decorazionidella hall sono i verdi, varie tonali-tà di arancio, viola e oro. Suc ces -sivamente alla stesura dei coloriscelti, alla doratura e alla fase d’in-vecchiamento, si è steso un protet-tivo per evitare il veloce degradodelle superfici trattate.Un intervento di restauro a parte èstato effettuato sui bassorilievi inlegno dorato posti sulle due colon-ne ai lati della reception (fig. 13). In questo caso è stata necessariauna preventiva operazione di puli-tura dalle polveri e dai depositiincoe renti. La fase di stuccatura si è resa indi-spensabile, vista la presenza dimicrofessurazioni e piccoli distac-camenti presenti in buona parte deimanufatti in questione (fig. 14). Il ritocco pittorico ci ha permessodi mascherare le piccole lacune e diriportare il bassorilievo all’anticatonalità di doratura. Infine, con il trattamento protetti-vo, abbiamo assicurato una mag-gior protezione ai colori ed aimateriali (fig. 15).Il recupero della policromia deglistucchi ed il restauro dei manufattilignei, ci permettono adesso, graziea questi interventi, di percepire ecomprendere l’eleganza dell’anticocromatismo e lo splendore di cuigodeva il maestoso ingresso neglianni Venti del Novecento.

una tensione vitale e creativa carat-terizzata dall’enfasi espressiva diun’architettura che muove e pla-sma superfici e volumi.

4. Intervento di Restauro critico:dal documento al monumento.La nutrita serie di stucchi, i ricchicapitelli, le colonne ed i bassorilie-vi con motivi vegetali presenti nel-l’ingresso dell’ Hotel Palace, sonostati oggetto di un attento studio.Se guendo la via del Restauro criti-co, sono stati esaminati i documen-ti raccolti e sulla base di saggi effet-tuati direttamente sui manufatti, siè deciso di operare secondo unalinea di ri pristino del colore cheriportasse l’intero ambiente all’an-tico splendore. L’intervento di saggistica è avvenu-to attraverso azione meccanica conl’ausilio di un bisturi, con il qualesono stati rimossi gli strati pittori-

Fig. 11. Capitello della hall prima del-l’intervento di restauro pittorico.

Fig. 12. Capitello della hall dopo l’inter-vento di restauro pittorico.

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Fig. 15. Particolare dopo il restauro.

Fig. 14. Particolare con microfessurazioni.

Fig. 13. Bassorilievi in legno dorato configure fitomorfe.

* Restauratrice, Dottore in Scienze deibeni culturali, Università di Pisa.** Restauratrice, Dot tore in Scienze deibeni culturali, Uni versità di Pisa.

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Fonti

PremessaCon questo contributo1 si intendeanalizzare il trattato di VincenzoScamozzi, insigne architetto venetovissuto a cavallo tra il XVI e il XVIIsecolo, generalmente trascurato dalla“tradizionale” critica storicistica per-ché sbrigativamente ed erroneamenteindicato come “prosecutore” (quan-do non i mi ta tore) dell’opera diAndrea Pal ladio. In questa sede si intende dimostrarecome Scamozzi, secondo cui l’archi-tettura era da considerarsi una scien-za, fosse anche un profondo cono-scitore dei materiali da costruzioneed in quale nobile considerazioneinseriva il legno tra i principali mate-riali d’opera.Il ruolo del legno per Scamozzi èinfatti assolutamente prioritario e trale particolarità che rendono il testodi estrema rilevanza è la precisionedella esposizione, a partire dallamateria prima: degli alberi; dellegno; della loro provenienza; delloro impiego oltre alla descrizione,per la prima volta in un testo diarchitettura, di specie legnose prove-nienti dalle Americhe.Vincenzo Scamozzi (Vicenza 1548 -Venezia 1616), architetto di originiValtellinesi, dà alle stampe la suaopera L’idea dell’architettura uni-versale, nel 1615 (fig. 1, 2). Già ingiovanissima età seguì gli insegna-menti pratici del padre Gian do -menico, citato nei documenti come

marangon e carpentarius ovverofalegname e carpentiere ma oggiconsiderato, a pieno titolo, architet-to e costruttore.2 Al padre, per ilquale Vincenzo ha una vera e pro-pria venerazione, si deve gran partedella sua formazione integrata danumerosi viaggi, finanziati dallostesso Giandomenico, in Italia e inEuropa. La stesura del trattato ini-ziò nel 1591 con un primo abbozzoinizialmente suddiviso in Dodicilibri. Successivamente l’opera furidotta a dieci Libri, ma in realtà nefurono dati alle stampe solo sei sud-divisi in due Tomi. I Libri che affrontano, in modo par-ticolare e specifico il tema del legno,secondo l’autore materia tanto neces-saria, & importante al bene e dificare,sono il Settimo e l’Ottavo. Pur in as -senza di un ordine rigoroso di espo-sizione degli argomenti,3 si evincecomunque che il Libro Settimoaffronta maggiormente gli aspetti tec-nologico materici, mentre al LibroOttavo sono più ampiamente de -mandati gli aspetti tecnologico co -struttivi. Il Capitolo XXIII del LibroSettimo esordisce con riproposizioniaristoteliche circa la natura dellepiante attraverso la consueta similitu-dine, pur con i dovuti distinguo, tramondo vegetale e mondo animale.

In seguito Scamozzi passa ad unaampia e approfondita descrizioneanatomico fisiologica delle piante

secondo le conoscenze dell’epoca,fornendo la definizione di albero;una interpretazione degli scambitermoigrometrici; l’elencazione de -gli estrattivi; la descrizione di ele-menti fisiologici e delle modalità diaccrescimento dell’albero; la descri-zione delle caratteristiche macro-scopiche (colore, odore e sapore),fisiche e meccaniche sia delle speciearboree indigene sia di quelle esoti-che; gli impieghi principali dellegno; l’influenza del sito nell’accre-scimento delle piante e di conse-guenza nella classificazione qualita-tiva e della durabilità naturale, di -stinguendo, inoltre, il legno in quat-tro classi di resistenza meccanica:gravi e densi, mezzani, alquantobianchi e bianchi. Descrive inoltre leprovenienze dei legnami nazionali,europei ed extraeuropei nonché de -gli alberi ornamentali e da frutto. Diparticolare rilevanza è l’elencazione,la prima in un trattato di architettu-ra, di specie esotiche, tra le qualialcune provenienti dalle nuove in -

“Natura e differenze de legnaminostrani e forastieri”. L’importanzadelle conoscenze del legno nel trattatodi Vincenzo ScamozziFrancesco Augelli*

Fig. 1. Ritratto di Vincenzo Scamozzidall’antiporta del trattato, 1615.

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Fonti

die. Fonti delle sue conoscenze,oltre alla formazione, impartitaglidal padre, e all’esperienza professio-nale, furono gli autori classici, inparticolare Plinio il vecchio (23-79d.C. Naturalis historia), Teofrasto(371-286 a.C. Historia plantarum),Aristotele (384-322 a.C. Della gene-razione degli animali e Parti deglianimali) e Vitruvio (I sec. a.C. DeArchitectura)4.

Conoscenze di botanica e terminiimpiegatiRiprendendo i precetti di Aristotele,Scamozzi conferma la visione antro-pomorfa secondo cui gli alberi sonocomposti di parti simili à membri degli animali paragonando le radici allabocca, la corteccia alla pelle, il legnoalla carne, i rami alle braccia con iloro nervi, e le vene & i meati perdentro, che le suministrano l’humoreà tutte le parti quasi come gli anima-li sensitivi.5 L’autore afferma infattiche, pur non avendo gli alberi ilsenso del tatto, essi patiscono nel

tagliarli evidenziando una sensibilitàper la natura purtroppo ancora oggiscarsamente diffusa.Una prima suddivisione del mondobotanico viene svolto tra piante ealberi. Riprendendo i concetti diAristotele e di Teofrasto per alberi, egià in analogia alla normativa tecnicavigente, s’intendono quelli c’hanno ilfusto, ò tronco nascente dalle radici: eda essi tronchi ne provengono poi irami, che si spargono all’intorno, dàquali pullulano i fiori, e le fogli, &anco i frutti. Si passa poi alla spiega-zione più particolare della composi-zione dell’albero attraverso la de -scrizione degli anelli di accrescimen-to, composti da anelli tardivi (vene) eanelli primaticci (polpa). L’autorecita la presenza di tessuto parenchi-matico centrale del fusto, ovvero ilmidollo, ed inoltre è ben nota lamodalità di accrescimento, per anelliannuali concentrici che si formanonella parte più periferica e sottocor-ticale del fusto, determinando, nel-l’albero, un incremento sia diametra-le che longitudinale. Nota è la partepiù periferica del legno, l’alburno,indicato come legno bianco, e tenero,come non ben maturo e note, oltreche probabilmente apprezzate inebanisteria e in liuteria, anche lemarezzature, determinate dalla on -dulazione della fibratura e definiteda Scamozzi, a proposito dell’acero,righe macchiate. Nel testo sonomenzionate inoltre alcune compo-nenti chimiche presenti nel legno(resine ed estrattivi), note ed impie-gate già nell’antichità: in particolareil sugo definito come una sostanzaamara, che può essere oggi indivi-duata nei polifenoli (tannini, ecc.),alla quale, come vedremo successiva-mente, secondo l’autore sarà imputa-bile la maggiore durabilità naturaledi alcune specie rispetto ad altre.Chiara è la suddivisione tra caduci-foglie e sempreverdi e che la gran

parte delle specie botaniche tropicalisono sempreverdi. Suf ficientementechiara è anche la relazione legno-acqua e i relativi movimenti (rigon-fiamenti e ritiri) del legno.

Impieghi delle principali specie indigene ed europeeScamozzi descrive le caratteristichedi numerosissime specie arboree edel relativo legno, alcune delle qualiprovenienti da territori extraeuropeima ormai acclimatati e diffusi inmodo tale da poter essere annovera-ti come autoctoni. In molti casidescrive specie che normalmentenon hanno un impiego come mate-riale d’opera, ma esclusivamentecome ornamento in orti e giardini:quelli che Scamozzi definisce glialberi di più nobil natura. Specielegnosa preferita da Scamozzi è illarice, le cui caratteristiche, pregi eimpieghi vengono così descritti: Fratutte le specie di legnami di questenostre parti dell’Italia noi reputia-mo, che il Larice sia il migliore, e piùutile per adoperare ne gli edifcij poi-che egli è di natura forte, e nervosa àsoportare validamente i pesi; e peròse ne fanno le travamente, e tetti, epalchi, e soffitti de gli edifici piùimportanti, como anco le porte, efenestre, e simiglianti cose; perche sipreserva dall’humido, e dal caldo, erende gratia, e bellezza di mèle, òleonato, e per una certa untuositàacre non tarla, se non è bagnato dal-l’acqua marina; (...)

Impieghi delle principali specie esoticheTra le specie che oggi potremmoconsiderare alloctone, Scamozziriferisce che buona parte vengonoportati à noi dall’Indie Orientali(cosi chiamate dal fiume Indo), maavverte i lettori che ne sono moltialtri la cui provenienza non vienespecificata. Alcuni di questi proven-

Fig. 2. Vincenzo Scamozzi, Frontespiziodel settimo libro, 1615.

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Fonti

gono anche dall’Africa e dalle IndieNuove (...) Isole ritrovate di nuovodà Spagnuoli (...) portati dalle Isoledi San Dominico (...) e poi di SanGiovanni di Porto ricco, e l’IsoleSpagnuole, e rappresentano quindi,ancora al tempo di Scamozzi, unararità con impieghi non sempre indi-cati e, qualora indicati, molto speci-fici: o come alberi per giardini ocome legno per tarsie e mobilio. È laprima volta che in un trattato diarchitettura compaiono citazioni dispecie provenienti dal “nuovo conti-nente”. Tuttavia molte di queste nonsono individuabili perchè legate alnome d’origine forse “italianizzato”nella lingua dell’epoca e la cui tradu-zione non è al momento possibile.Tra l’altro Scamozzi cita una specied’Abeti più alti dé Pini si trovanonella Florida Occidentale.

Luoghi di origine, crescita,provenienza e trasportoQuanto riferito da Scamozzi sullespecie arboree locali è principalmen-te il frutto delle acute osservazionisvolte nei suoi numerosi viaggi inItalia e in Europa. Egli cita aree geo-grafiche, regioni, città e, talvolta,singoli paesi descrivendo, di ognispecie arborea e legnosa, oltre agliimpieghi più comuni, anche le vieprivilegiate di trasporto in Italia e, inparticolare, nella Serenissima Re -pubblica di Venezia. Parti co lar -mente interessante è l’inconsuetadescrizione (inconsueta perchè ap -partenente alla quotidianità) diScamozzi su come il materiale veni-va trasportato a valle dai luoghi diabbattimento. Lungo il Brenta veni-vano trasportati a Ve nezia grossiquantitativi di varie specie di conife-re (Pezzi, Abeti, Avezzi e Larici).Altra zona citata di ap prov vi -gionamento dei larici è la Val -camonica. Secondo l’autore le mon-tagne della Lombardia, del Veneto e

del Friuli sono sempre state ricche dilarici diversamente da tutte le zonealpine a Sud del Po; inoltre riferisceche, si ritrovano abondantissimi iLarici nella Rhetia, ò paese dèGrigioni Alpini (...) i quali possinoservire per Milano, e Pavia, & altreCittà à lungo il Pò di Lombardia.Dall’Istria in particolare, e in gene-rale dai territori veneti, provengonoi roveri e i lecci. Faggi sono diffusisulle montagne del Friuli i quali pervia di Goritia, e per Fiume; comeanco per Mare e che viene del -l’Histria si conducono a Venezia.Anche i castagni sono molto diffusinella Repubblica Veneta e special-mente nè sette communi del Vi -centino, e verso Trento, e tutto oltreal Veronese, oltre che nel Bresciano,e Milanese, e Grigioni, e Svizzeri, &anco in quelli di Genova; si come èpeculiarissimo nè Monti à lungo alRhen (Reno) di Bologna; (...) Nesono anco molti nella Toscana, & inquello di Roma, e nel Regno diNapoli. Di abeti (Avezzo & ilSappino) (...) nelle Montagne diFeltre, e della Contea di Tirolo nesono di grossezza di tre, e fino quat-tro piedi; onde sarebbero 36 e fino 40tavole per uno; (...) Sempre nelTrentino, ed in particolare nella valdel Sole, e nella Anania, e la d’intor-no, sono presenti anche molte betul-le. Cerri erano un tempo abbondan-ti nel bosco di Baccano presso Romamentre a Pisa, Arezzo e in Siciliariferisce che abbondano le querce dasughero, delle quali si conduconofrequentemente i loro scorzi quì inVenetia. Scamozzi riporta che a Ro -ma non si fa uso di conifere(...Albeo, e Pezzo, ne anco del La -rice,...) come materiale da costruzio-ne e che in quel territorio preferisco-no utilizzare latifoglie come la quer-cia. Dal Trevigiano arrivano all’Ar -senale di Venezia anche la gran partedelle querce: e trà i Boschi famosi di

quercie, e Rovi serbati ad uso del -l’Arsenale della Serenissima Si -gnoria, vi è quello del Montello àlungo alla Piave, dodici miglia oltreà Trevigi, lungo dieci miglia, largocinque, e di circuito più di vinti, conguardia d’un Capitano; ove sonoquercie altissime, e Rovi di grossez-za, che duoi, e tre huomini non lipossono abbracciare.Nel trattato sono anche citate e fre-quentemente descritte le speciearboree presenti e commercializzatenel resto d’Europa, in Medio Ori -ente e nel “nuovo mondo” come ilLegno Serpentino, il Verzino; il legnoVio lino (...).

Caratteristiche qualitative e diresistenzaI motivi che portano Scamozzi aindicare, di quasi tutte le specie,anche il colore del legno, è perchèdal colore si perviene alla determina-zione della natura e della qualità delmateriale. È ben chiara l’importanza,rispetto alla resistenza meccanica,che ha quella che noi oggi definiamola massa volumica (legnami gravi edensi). Gene raliz zando si può direche: a parità di umidità relativa dellegno maggiore è la massa volumica,minore è la porosità e di conseguen-za maggiore è la resistenza meccani-ca. Un ulteriore vantaggio dell’ele-vata massa volumica del legno è laqualità con la quale le specie a mag-giore massa volumica possono esse-re lavorate. Ma per meglio compren-dere le caratteristiche di un materia-le così particolare come il legno,l’autore avverte che non è sufficienteri-conoscerne il colore ma bisognautilizzare tutti i sensi dei quali lanatura ci ha dotati, ovvero la vista, iltatto, l’odorato e il sapore: La natu-ra dè legnami, si conosce con tutti isensi, (...). Dalla lettura del trattato sievince che un elemento importantedi conoscenza della specie e delle

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Fonti

caratteristiche – anche di durabilità –è l’odore e il sapore del legno perchètutti i legnami hanno odore, e sapo-re, e non sono insipidi come le pietre,& i metalli.Tuttavia si sottolinea anche che, aparità di specie legnosa, grandeimportanza ha il luogo di crescita(sia per motivi pedologici, che diesposizione, che geografici).Secondo Scamozzi gli alberi chenascono sulle montagne e che hannoterreni sassosi sono più resistenti eun altro elemento a favore della qua-lità del legname sarebbe, secondol’autore, la competizione aerea che,tenendo in ombra il fusto degli albe-ri, impedirebbe la crescita dei rami equindi dei nodi ritenuti un gravedifetto del materiale. Diversamente,l’accrescimento in spazi aperti esoleggiati, secondo Scamozzi, sareb-be un elemento negativo perchè itronchi rimangono più bassi, produ-cono più rami e quindi sono piùnodosi. Riguardo alle caratteristichedei nodi segnala, ad esempio, chel’Avezzo (abete bianco n.d.A.), pro-duce tipici nodi che hanno all’intor-no un cerchietto nero: è il tipiconodo che, secondo l’attuale normati-va tecnica, viene definito nodo nonaderente.Altro elemento che contribuisce, aparità di specie legnosa, all’innalza-mento della resistenza meccanica è ilgrado di maturazione della pianta,ed oggi diremmo, di conseguenza,dalla maggior presenza di materiaduramificata. Scamozzi distinguequattro categorie di legname: i legniduri e nervosi, i legni di mezanadurezza, i legni alquanto bianchi edinfine quelli del tutto bianchi. Tra lespecie nostrane di elevata resistenzameccanica (duri e nervosi) sonoannoverate, principalmente, le Fa -gacee; tra quelle di mezana durezza,annovera il larice, il castagno e simi-li altri nostrani; tra i legnami alquan-

to bianchi e poco resistenti Scamozziannovera l’Abe te, il Pezzo (abeterosso n.d.A.), e simili altri come laFilarea, (...) albero di mediocre altez-za, e grossezza (...) il suo legno è dihonesta durezza, e tiene un poco delcolor del mele, con vene gentili, e piùtenace del Tiglio, e si riduce ad ognipulimento e il Tiglio che però si spez-za nel piegarlo, il pioppo e altre spe-cie meno diffuse. Noti, e quindi citati, sono anche iproblemi legati alle deformazioni efessurazioni del legno per errata sta-gionatura.

Patologie, durabilità, rischiobiologico, compatibilità e diagnosiLe patologie del legno individuateda Scamozzi sono principalmentericonducibili agli insetti xilofagi,genericamente definiti dall’autoretarli, ai funghi xilofagi, definiti mar-cescenza e putredine e alle muffe.Non del tutto ignoti anche gli effettidell’alterazione. A proposito dellegno di sandalo riferisce infatti che:hà questo difetto, che col tempoperde la sua bellezza; perche divienescuro. Da questo si potrebbe forsededurre che all’epoca di Scamozzi lapatina del legno, determinata dall’ef-fetto che classificheremmo comefotosensibilizzante della luce, nonfosse, apprezzata.Tra i termini introdotti da Scamozzic’è quello di durabilità. Era perfetta-mente noto che esistono alcune spe-cie le quali, più di altre, si mantengo-no validamente contra all’ingiurie, eche questi alberi per lo più hannoscorza, & il legno, & anco le lorofoglie il gusto dell’amaro (...). Eancora: chiara cosa è, che i legnamidurissimi, e quelli di sostanza amaranon s’intarlano, ne guastano mai,(come dice anco Plinio,) perche nelladurezza, ne anco il loro sugo lo con-sente.

Tra gli elementi favorevoli alla dura-bilità vi sarebbe quindi quel gustoamaro del legno (e quindi diremmooggi la presenza ed elevata concen-trazione di componenti chimichetossiche) al quale è imputabile laresistenza agli attacchi biotici. Du -rabilità che è dovuta anche all’eleva-ta massa volumica di alcune specie,ed in particolare di quelle esotiche,come successivamente hanno prova-to le osservazioni scientifiche. Sca -mozzi sembrerebbe anche anticipareun elemento che favorisce la durabi-lità ottenibile attraverso il grado dipulimento, diremmo oggi di finitura,che una determinata specie puògarantire ovvero: meno porosa è lasuperficie, più durabile è il legno.Tra gli elementi che favorirebberogli attacchi, e quindi la riduzionedella durabilità, a parità di specielegnosa, vi sarebbe il quantitativo dilinfa all’interno della massa legnosa equesta è, secondo gli autori antichi esecondo Scamozzi, proporzionalealle condizioni della luna. Lunapiena o crescente determinano ilmassimo contenuto di linfa e, diconseguenza, il minimo livello didurabilità. Elemento indubbiamenteancora oggi indicato come la princi-pale causa del degrado del legno èl’umidità. A proposito delle coniferecome l’Abete, il Pezzo, e simili altri(...) che a causa della loro naturaassorbono umidità più facilmente dialtre specie (ricevono facilmente lospruzzo delle pioggie), egli sostieneche queste sono più soggette adattacchi biotici perchè onde pieni dihumore si tarlano e sono molto attialla putrefattione; (...), ma aggiungevero è, che al l’asciutto si conservanobene, (...).Le caratteristiche di elevata durabili-tà di una determinata specie sonoimputabili, secondo Scamozzi, allanatura propria della pianta, vuoi perelevata massa volumica vuoi, soprat-

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tutto, per le già citate componentichimiche del legno che, in certi casirendono odore acuto, & al gustoacre, & incendoso. E la natura volsefar questo dono à legnami di perpe-tuarli molto; accioche l’opere loro incerto modo si potessero dà mortalidedicare all’eternità. La natura quin-di sarebbe, secondo l’autore, al ser-vizio della conservazione.Scamozzi esprime anche, a suo mo -do, il concetto tecnico e moderno dirischio biologico: Tutti i legnami siconservano più, e meno nella lorospecie (...) e però per regola generalesi deono tener al coperto fuoridell’Aria, e dé venti, e degli ardoridel Sole, e delle pioggie, e brine, egiacci, essendo che tutte queste cosetorcono, e sfendono, & alterano inmille maniere i legnami, e stiano sol-levati dalla terra, e dà vapori di essa,e dalle rugiade, e dalle immondicie, edalle herbe; accioche non si ammuffi-no, mà si conservino bene; e più tostoaccomodati con la parte squadrataall’indentro, perche è più pericolo faallo sfendere, che all’infuori, (...)Altro concetto importante, a tortoritenuto moderno, è quello di com-patibilità. Afferma infatti l’autoreche tutti i legnami, (...) che gettano lalacrima (resinifere), ò di vena attra-versata, e crespa. dopò che sonoincollati difficilmente si ritengonoinsieme: e molto meno ancora quan-do non sono bene stagionati, ò fusse-ro di differente nature; perche allho-ra crescono, e calano diversamente:così si adatta male il legno vecchiocol nuovo, & il domestico col selvati-co, e finalmente quelli di succo dolce,con altri di succo amaro, e simiglian-ti; posciache le nature loro sono deltutto differenti. E ancora aggiunge:le travamente per i piani de gli edifi-ci, ò publici, ò privati si deono fare dilegnami non molto gravi, e d’unamedesima specie, e natura; acciò chenon si contrarijno frà loro.

Importante quindi, per favorire lacompatibilità nelle opere in legno, èla stagionatura e la compatibilità dispecie legnose.Riguardo alla diagnosi valgono an -cora i concetti già espressi da Sca -mozzi secondo il quale la natura dèlegnami, si conosce con tutti i sensi (..)ma aggiunge elementi che oggi defi-niremmo diagnostici: si sente al per-cuoterli se sono muti, ò sonori; al tattose gravi, ò leggieri, (...) all’odorato seputeno, ò sano di buono odo re, equelli, che riceveranno meno l’alitodella bocca saranno più densi, & ancocon meno porosità. E ancora segnalal’antico metodo della battitura dellegno, ancora oggi utilizzato: Di qua-lunque Albero, che sia, potiamo sape-re se il legno di dentro è tutto saldo,overo in qualche parte diffetoso, eguasto: cosa che pare molto impossibi-le, ancor che il tronco fusse di smisu-rata lunghezza; poiche percosso dal-l’uno dé capi se all’orecchio di chi visarà dall’altro risuona, e segno dellasua saldezza interna, mà quando nonrisuona, e manifestissimo, che egli siain qualche parte cavernoso, e conta-minato essendo che l’Aria, che siritrova nelle concavità non lasciascorrere tutto oltre il suono.

Preparazione del legname e tratta-menti preservantiTra gli argomenti cari agli autori chehanno preceduto e che verranno do -po Scamozzi c’è, naturalmente,quello del più appropriato periodo emo dalità di abbattimento degli albe-ri. Era opinione comune che sba-gliando il periodo di abbattimento sisarebbero favoriti gli attacchi bioticidegli elementi in opera. L’autorepassa in disamina le opinioni di alcu-ni autori dell’antichità come Ca tone,Vitruvio, Columella, Esio do, Pal -ladio Rutilio, Costantino Cesare,Plinio, Teofrasto, Vegezio e prendeposizione riferendo che è da prefe-

rirsi, per l’abbattimento, il periodoche va da fine dell’autunno alla finedella primavera ma specificando cheogni regione e nazione dovrà rego-larsi caso per caso a seconda del pro-prio clima e dell’andamento dellestagioni. Lamenta però il fatto che iboscaioli non osservano mai, permotivi che oggi definiremmo com-merciali, le prescrizioni circa ilperiodo e le modalità di abbattimen-to delle piante: Gli Alpini, e monta-nari non osservano alcuno dé tempisodetti, ne modo nel tagliare i legna-mi, mà secondo che essi torna como-do, e bene, e perciò lo fanno in tutti itempi dell’anno, e massime nel mesedi Maggio, dopò che sono dileguatele Nevi, e se nel calar della Luna, eper certa loro usanza il Venerdìancora, che ella sia piena, poi li con-ducono dalle montagne al principiodelle brine, e del giaccio; perche cosìcon pochi bestiami assai facilmente itrascinano l’uno allignato all’altro; eper questi motivi Scamozzi avverteche senza altro avviene, che i lorolegnami tantosto si tarlano, e si gua-stano dopò che sono posti in opera.Altro elemento considerato impor-tante ai fini della durabilità e qualitàdel legno è la stagionatura. Scamozziriporta i precetti degli antichi che:parlando delle piante lasciaronoscritto, che innanzi allo spacio di treanni di tempo dopò tagliati i legnaminon si dovessero metter permanentinè luoghi destinati ne gli edifici;parendo ad essi, che prima non potes-sero esser del tutto bene stagionati.Questa considerazione non è condi-visa dall’autore perchè: laqual cosa sidee intendere solo nè legnami moltoforti, e duri né quali difficilmente siasciuga l’humore, e per adoperarnelle opere reali, & importanti. Ri -guardo all’uso particolare del legna-me per paleria l’autore prediligelegni molto stagionati prevedendoperò di rimuoverne le zone di albur-

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no. Tale pratica, però, era frequente-mente disattesa dai capi mastri: Noilodiamo anco, che i legnami di qua-lunque sorte, che si metteranno nellepalificate, che nella loro specie sianovecchi, ò ameno di molti anni; acciòche siano compitamente ben maturi,e fatti; e tagliati di nuovo à lorotempi, (come dicemmo;) essendo chetutto il legname nuovo, e biancosotto la scorza tantosto, ch’egli sentel’humidità della terra, ò dell’acquadi subito s’incomincia à guastare, emarcire; e perciò dovendoli metter inopera è bene à levarli la scorza, & illegno bianco, e tenero, come non benmaturo; acciò che si metti cosa inuti-le, la quale sia col tempo dannosaalla fabrica, le quali cose sono pocoavvertite da Capi mastri.Tra i trattamenti delle opere ligneeScamozzi cita metodi e prodotti tra-mandati dagli autori classici ed inmodo particolare da Pausania ePlinio: gli antichi per mantenere lestatue dé loro Dei, & altre cose dimolto artificio, e pregio né loro tem-pij usarono varij rimedij; e perciòaspergevano d’olio il pavimento deltempio di Giove Olimpo; affine didifender il Simulacro, ch’era d’Avo -rio, dalla humidità, che rendeva illuogo di natura palustre; mà nelTempio di Minerva (...) pur d’A vo -rio, lo conservavano sopra ad unpozzo iscavato sotterra, onde non nepoteva sortire alcuna soverchia hu -midità, ne parimente sentiva alcunasiccità; mà l’aria temperata. E Plinioscrive che la statua antichissima diDiana Effesia di mano di CanetiaScultore, ò fusse di Ebeno, ò d’unaspecie di Vite, si bagnava con l’olioNardino; acciò che quell’humorenutrisse, e facesse tenere le congiun-ture, benche erano assai poche.Usavano gli antichi, come habbiamoda Pausania di ugnere le loro statue,e simulacri d’olio rosato, il qualeoltre che le rendeva di molto odore,

le conservava poi da ogni corrutione,che le potesse dannegiare, le qualicose deono esser anco à noi di moltodocumento. Riguardo al Sorbo, rife-risce che gli intagli fatti con questolegno, successivamente unti conl’olio di Lino bollito durano mirabil-mente contra à tarli. Negli edificiimportanti suggerisce di proteggerele estremità delle travi all’internodella muratura: nelle opere reali, &importanti le teste, che entrano nellemura si deono intorniar di lastre sot-tilissime di piombo, ò intressarleprima con la Pece da Barche, overougnerli con morchia d’olio, ò sevo, òsugna, ò pure arricciarli col foco, òper lo meno murarli nelle loro cave,con malta di calcina, e pesto di tego-le, ò coppi, e con quadrelli ben cotti,le quali tutte cose conservano nonpoco i legnami dalle humidità, e dàtarli, & altre cose, che causano putre-dine. Se i trattamenti con oli, resine egrassi, pur con efficacia relativa,sono ancora oggi accettabili ed inmolti casi ancora praticati (olio dilino cotto), controindicata è la rea-lizzazione di cuffie metalliche chefavorirebbe i fenomeni di condensa econ essi i rischi di patologie.

RaccomandazioniIl testo è disseminato di ulterioriconsigli desunti dalla lunga e consi-derevole pratica di cantiere acquisitadall’autore a partire dalla giovaneetà. Le indicazioni di Scamozzi,appartenendo alla quotidianità delfare architettura, assumono carattereeccezionale perchè inserite in untrattato, “testo nobile” per de fi ni -zio ne e che, normalmente, si “limi-ta” alle dotte questioni di naturacompositiva e stilistica. Alcune rac-comandazioni riguardano la la -vorazione del legno affinché se nerispetti la natura eterogenea, aniso-tropa e, frequentemente, irregolare.Altri consigli riguardano le tecniche

di assemblaggio, dimensionamenti eposa in opera delle strutture lignee.Scamozzi fornisce anche indicazionisui migliori sistemi costruttivi e diunione delle membrature lignee edescrive una tipologia di capriatainventata da suo padre: Un’altrasorte di catene ritrovo, e pose in verola buona memoria di Gio: Dominicomio Padre: e perciò se adimandanoCatene, e coperti alla Scamozziana,le quali si fanno con quattro travi,cioè l’uno in piedi, detto il Colonello,uno à traverso di mediocre lunghez-za, che stà in croce, detta catenina, &due braccia l’una di quà, & l’altra dilà, le quali fanno il piovere del coper-to. Questa sorte di coperti tornamolto comodi à luoghi di Villa, e perriporre le biade in spica, e le paglie,& i fieni: perche i colonnelli si ferma-no sopra l’muro, che divide il Porticodalle stanze (...).In realtà, come dimostra l’iconogra-fia d’oltralpe, questa tipologia èpreesistente all’epoca di Gian do -menico Scamozzi.

ConclusioniScamozzi è da considerasi un inno-vatore nello stile della trattatisticaarchitettonica per il contributo for-nito alle conoscenze tecnologicheindispensabili nel fare architettura eche prelude allo stile manualistico.Diversamente dagli altri autorevolitrattatisti che lo hanno preceduto,Vincenzo rivendica, alla figura pro-fessionale dell’architetto, non solo ilruolo di artista e uomo di cultura,ma anche quello di scienziato inquanto conoscitore e sperimentato-re, nella progettazione e realizzazio-ne delle fabbriche, di materiali (tal-volta innovativi), nuove tecnologie emetodi di posa in opera.L’opera di Scamozzi, nonostanteappaia ancora nella forma non defi-nitiva, è una importante testimo-nianza delle conoscenze dei materia-

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li di un architetto del XVI-XVIIsecolo, dimostrando grande erudi-zione e grande sensibilità nel descri-vere non solo l’hermes ovverol’aspetto, ma soprattutto l’hestia ov -vero l’essenza dell’architettura.La sua ricerca verso il perfezioni-smo, unitamente ai sempre più nu -merosi impegni professionali, loportò a procrastinare di cinque lustrila pubblicazione, la cui stesura ri -chiese ben venticinque anni nono-stante l’opera fu ridotta, dallo stessoautore, da dodici a sei libri e fu dataalle stampe solo un anno prima delsuo decesso. Il suo esempio sarà seguito da moltiautori e la sua opera conoscerà unadiffusione in tutta Europa (soprat-tutto in Olanda e in In ghilterra)dopo la sua morte a testimonianzadel riconoscimento tributatogli.Un confronto sarebbe utile tra leinformazioni contenute nella suaopera, e l’osservazione diretta dellecomponenti lignee degli edifici diScamozzi, dove queste non sianoancora state oggetto di sostituzioni omanomissioni nel corso di quattrosecoli.

BibliografiaF. BARBIERI, Vincenzo Scamozzi, LaCassa di Risparmio di Verona e Vicenza,Vicenza 1952.F. BARBIERI, Vincenzo Scamozzi. Lo stu-dioso e l’artista, in F. BARBIERI, G. BEL -TRAMINI (a cura di), Vincenzo Scamozzi1548-1616, Centro Interna zionale diStudi di Architettura Andrea Palladio,Venezia 2003.OECHSLIN W., L’architettura comescienza speculativa, in F. BARBIERI, G.BELTRAMINI (a cura di), VincenzoScamozzi 1548-1616, Centro Interna -zionale di Studi di Architettura AndreaPalladio, Venezia 2003.L. PUPPI, “Questa eccellente professionedelle matematiche e dell’architettura”.Idea di cultura e ruoli sociali nel pensie-ro di Vincenzo Scamozzi, in F. BARBIERI,G. BELTRAMINI (a cura di), VincenzoScamozzi 1548-1616, Centro Inter na -zionale di Studi di Architettura AndreaPalladio, Marsilio, Venezia 2003.V. SCAMOZZI, L’idea della architetturauniversale di Vincenzo Scamozzi archi-tetto veneto, 1616 – copia anastatica indue volumi, Centro Interna zionale diStudi di Architettura Andrea Palladio,Colpo di fulmine, Verona 1997.

Note1. Contributo presentato con il titolo diIl ruolo del legno nell’Idea dell’architet-tura universale di Vincenzo Scamozzi,in occasione del convegno Legno emodernità, tenutosi presso il Museo diStoria Naturale di Milano il 17 e 18 set-tembre 2004.2. A Giandomenico (1526-1582) sonoattribuiti numerosi edifici.3. Riguardo alle difficoltà di lettura deltrattato F. BARBIERI (Barbieri, 1952)scrive: Vedremo ora di tracciare i linea-menti essenziali della teorica scamozzia-na; fatica non semplice perché il pensiero,invischiato nei meandri di una esposizio-ne oberata di citazioni e di raffronti, habisogno per essere posto in luce, tolte leinterruzioni frequenti e l’involucropesante e faticato dello stile, di unpaziente lavoro preliminare di selezionee di ricerca.

4. Tali citazioni sembrano talvolta appa-rire più come una forma di autocompia-cimento intellettualistico che una veranecessità discorsiva.5. La norma UNI 8662, Trattamenti dellegno. Termini relativi all’essiccazione.Parte terza, dell’ottobre 1986, riportava:Acqua di saturazione o acqua igroscopi-ca, l’acqua legata alle pareti cellulari dellegno o presente per capillarità nei meatifra i vari componenti delle pareti cellu -lari.

*Politecnico di Milano, Facoltà di Ar -chitettura Civile, Dipartimento di Pro -gettazione dell’Architettura, Osser va to -rio per la conservazione delle operelignee.

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Il restauro dell’Oratorio di S. Gior -gio presso il complesso del Santo aPadova, condotto da Conservazionee restauro nella persona di GianluigiColalucci tra il 1995 e il 1997, hafatto luce su alcuni aspetti delle tec-niche esecutive del maestro veroneseAltichiero da Zevio ancora non suf-ficientemente approfonditi, ma chemeritano attenzione per ricostruire,tramite l’indagine ravvicinata dellasuperficie muraria e il confronto conle fonti artistiche, le modalità opera-tive di questo ciclo di affreschi.

Restauri antichi e recentiL’Oratorio di San Giorgio, decoratotra il 1379 e il 1384, ha avuto unastoria tormentata, a partire da unlungo periodo di abbandono dopoche, nel 1592, fu smembrato e rimos-so dal suo interno il monumentofunebre dei Lupi di Soragna. In real-tà sin dal 1388, dopo la caduta deiCarraresi ad opera dei Veneziani, lafamiglia dei marchesi Lupi di So -ragna cade in disgrazia e insieme a leianche l’Oratorio. Il mo numento persecoli sembra restare in ombra: nel1655 viene adibito a magazzino,citato poi in documenti seicenteschiper il forte degrado che raggiunge ilculmine durante il go verno napoleo-nico, quando l’O ra torio diviene car-cere militare. È solo nel 1837 chefinalmente, in modo quasi casuale,inizia il restauro del l’Oratorio, gra-zie alla sensibilità di Ernst Foerster1

che nel giro di pochi giorni e inmodo del tutto gratuito e disinteres-sato riporta alla luce il ciclo pit -torico.

Appena cinque anni dopo la situa-zione si aggrava perché l’Oratorio ènuovamente adibito a magazzino.Nel dicembre del 1842 viene portataa termine la stuccatura e la pitturadello zoccolo delle pareti interne dalpittore Domenico Petrini, che sioccupa anche di ridipingere gli stipi-ti e i battenti della porta.Intanto un nuovo restauro sui dipin-ti veniva intrapreso da GiovanniBattista Monici che interviene ripe-tutamente alla fine del 1844, nel 1859e nel 1860: vengono ridipinti a tem-pera lo zoccolo delle pareti, la corni-ce dello stipite della porta, la mensadell’altare e le due finestre otturateprecedentemente2. Nel gennaio del 1871 si guarda conrinnovata preoccupazione al degra-do dei dipinti. Si chiede al restaura-tore Guglielmo Botti di presentareuna descrizione dello stato del -l’Oratorio e il preventivo per l’inter-vento. Per ovviare agli intonaci di -staccati e alla diffusa muffa nitrosamista a polvere, viene proposto lostacco degli intonaci pericolanti edopo averli resi più solidi vengonomontati su tela e ricollocati in situ. Èdel Botti la ridipintura più massicciasulla volta con l’azzurro dato a tem-pera e tutte le stelle ridipinte. Il colo-re ricopre le parti di intonaco rifattee anche quelle originali che avevanoperduto tutta l’azzurrite. Il Botti in -terviene anche su molte parti dellafascia decorativa attorno alla volta,sulle mandorle e su alcuni dei tondicon gli evangelisti. Ma ciò per cui èconosciuto di più è l’inserimentosulla volta di grossi chiodi: una tec-

nica per ancorare le malte di restau-ro alla parete, che viene giudicatadalla Commissione Monumenticome insufficiente e difettosa tantoda farlo sollevare dall’incarico.Al suo posto è chiamato AntonioBertolli che tra il 1873 e il 1874 ese-gue la pulitura degli affreschi, sosti-tuisce i chiodi di ferro del Botti conchiodi di ottone e grappe di rame,tenta il rovinoso distacco di alcuneparti pericolanti di affresco, ricollo-candole in situ dopo aver applicatouna tela sul retro dell’intonaco. Condelle iniezioni di cemento caseosocerca di tamponare i sollevamenti diintonaco e a conclusione degli inter-venti applica una mano di cera sullapellicola pittorica per meglio conser-varli. Nel corso del ’900 gli interventi con-tinuano in modo generalizzato, conun peso particolare dato all’inter-vento di Giuseppe Cherubini3 nel1931, per valorizzare la facciataesterna dove ancora antichi avanzi didecorazione pittorica si potevanoscorgere in alcune parti del vecchiointonaco, e nel 1950 al restauro diAntonio Zen e un anno dopo di An -tonio Nardo. Le varie traversie, che nel corso deisecoli sono succedute all’internodell’Oratorio, non hanno compro-messo in modo definitivo il ciclo pit-torico. Sicuramente i danni più gravirilevati nel corso del recente restau-ro4 sono stati individuati nella voltae nel registro superiore. La prima èandata quasi completamente perdutaper le gravi condizioni del tetto chehanno favorito infiltrazioni di acquepiovane provocando dei veri e pro-pri distacchi di intonaco anche nelregistro superiore. La perdita dellapellicola pittorica è dovuta non soloall’umidità, ma anche a urti e colpicon oggetti contundenti, graffi eabrasioni, e movimenti incontrollatidella struttura muraria.

Altichiero e la sua botteganell’Oratorio di San GiorgioElisabetta Cortella*

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Nel registro inferiore l’umidità dirisalita, unito all’elevato tasso diumidità ambientale, ha favorito latrasmigrazione verso la pellicola pit-torica dei sali solfati contenuti nel-l’intonaco. I sali hanno poi favoritola formazione di efflorescenze bian-che su alcune porzioni di affresco. Si sono verificate anche perdite pun-tiformi di pigmento dovute alla pre-senza nell’intonaco di cristalli schi-stosi che non permettono una buonaadesione dei pigmenti o sollevamen-ti legati ai sali solfati che creanorigonfiamenti minuti del colore dal-l’aspetto crateriforme. Da una attenta analisi ravvicinata lasuperficie dell’edificio presenta inol-tre minutissime esfoliazioni dellostrato superficiale di pittura, quasisempre solide. Forse è dovuto allapresenza di un legante non ancoraidentificato usato da Altichiero. Non sono sopravvissute alle ingiuriedel tempo e alle puliture le parti di-pinte a secco.Prima del restauro il Colalucci insie-me alla sua equìpe ha proceduto infase diagnostica monitorizzando ilmicroclima attraverso due centralinedi acquisizione dati “Climart92”. Poi nel corso del restauro la pelli -cola pittorica decoesa è stata fissatacon soluzioni di Primal AC33 eParaloid B72 usati a diverse percen-tuali a se conda dei problemi di ognisingola parte della superficie. Per idistacchi più profondi sono statefatte inie zioni di malta fluida, e dovenecessario si è fatto ricorso a pressa-toi con testa metallica, elastica e tele-scopica, in grado di assorbire imovimenti del ponteggio senza mairidurre la spinta.Per la rimozione dei sali solfati, degliossalati e della pellicola di caseina èstata usata una soluzione tiepida al25% di ammonio carbonato e acquatenuta in sospensione da più fogli dicarta giapponese o da impacchi di

polpa cellulosa Arbocel2000. Tuttele stuccature degli antichi restaurisono state rimosse e ne sono statefatte di nuove e più adatte. La reinte-grazione pittorica è stata eseguita adacquarello, secondo il criterio dellareversibilità e della non interferenzacon il tessuto pittorico originale, conlargo uso di colori tenuti sotto tono. Nessun trattamento finale di tipoprotettivo è stato praticato sullasuperficie degli affreschi per evitareche la pellicola pittorica diventasseimpermeabilizzata e causasse ulte-riori danni.

Le tecniche artisticheÈ stato osservato che l’esecuzionepittorica prende l’avvio da un dise-gno eseguito a mano libera con l’au-silio del pennello e dell’ocra gialladirettamente sull’intonaco fresco sucui era stata data una sottile mano dicalcite, che nascondeva gli inclusisilicei della malta e creava un lettoliscio ed omogeneo adatto ad acco-gliere i colori. Altichiero esegue congrande precisione tutti i dettagli.Non ci sono segni di trasferimentodel disegno preparatorio, tuttavia inquesto cantiere già emerge l’impiegodello spolvero anche se circoscrittoalle parti ornamentali, mentre nellesettecento figure che popolano lescene dell’Oratorio non vi è tracciadi disegno puntinato, né di altro. Dall’analisi delle parti più rovinatedella superficie dipinta, come lelacune nelle scene con Le Storie diSanta Caterina o la grande caduta diintonaco della controfacciata nel -l’Oratorio, rimaniamo stupiti nelnon trovare mai, come invece ci siaspetterebbe, la presenza della sino-pia. Specialmente nella parete con leStorie della vita di Gesù la parte sco-perta è molto ampia e la mancanzadel disegno preparatorio sull’arric-cio risulta alquanto singolare, dalmomento che ci sono pervenute

sinopie di straordinaria bellezzaproprio di mano del maestro vero-nese provenienti dalla “Sala Grande”di Verona. Dobbiamo immaginareun cambiamento tra l’ambiente ve -ronese e quello padovano che haportato Altichiero a variare il suomodus operandi in funzione di que-sto nuovo cantiere.L’assenza di sinopia e la presenza diun disegno preparatorio preciso,raramente modificato, sull’ultimostrato di intonaco, presuppone ne -cessariamente uno studio in altrasede dell’impostazione grafica dellefigure. Ci fu sicuramente la necessitàda parte del pittore di studiare ildisegno in piccolo.

Le fasi preparatorieIl Tintori considera il fatto che, mal-grado il silenzio di Cennino Cen -nini, autorevole fonte trecentesca, lecomposizioni fossero prima studiatein piccola scala su tavolette o perga-mena e perfino su carta quando iprezzi di questa iniziarono a per-metterlo. Nel momento in cui fuinventata la carta e si diffuse il suoutilizzo in tutto il territorio euro-peo, nessun materiale poteva risulta-re più idoneo allo studio preparato-rio della pittura e all’esercitazionedegli allievi. Lo stesso Cennini nelLibro dell’Arte pubblicato proprio aPadova nel 1398 circa, non può farea meno di inserire nel suo trattato unchiaro riferimento alla carta bamba-gina nel capitolo X5, ideale comemateriale per i pittori della fine delTrecento che erano ottimi disegna-tori e sperimentatori grafici. È proprio alla fine del Trecento chela carta inizia ad essere usata comesupporto per documenti in modosistematico, e specialmente Padovagode di una disponibilità di tale beneancor più elevata data la presenzadella cartiera patavina di proprietàdei Carraresi6 presso Battaglia.

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nianze più interessanti è di certo ilfoglio Sloane (5226-57 verso e recto)conservato al British Museum, che sipresenta disegnato sul recto conimmagini che ricordano un Con -siglio della corona, e nel verso conScene di battaglia con una carica dicavalieri. Il soggetto si ricollega agliaffreschi della Sala Grande diVerona, ma anche, per la similarità diorganizzazione grafica tra recto everso del foglio, con il nono episodiodelle Storie di San Giacomo, in cuiritroviamo, accanto al Sogno di Car -lo Magno, Il Consiglio della co rona esuccessivamente la Bat taglia di Pam -plona. Pur nella diversità di imposta-zione emergono elementi comuni

dente della Cappella di San Gia -como, sempre presso il complessodel Santo di Padova, la mancanzatotale di sinopia è ancora più vinco-lante, rendendo obbligatoria unaricerca rivolta allo studio delle fasipreparatorie del ciclo pittorico.Ritengo che la carta abbia avuto unruolo di primissimo piano, comesupporto a tutte le fasi preparatorieall’affresco, confermato da alcunetestimonianze grafiche giunte fino anoi8. Gian Lorenzo Mellini in più occa-sioni9 ha studiato alcuni disegni dievidente matrice altichieresca e li hacollegati alle opere padovane e vero-nesi del pittore. Una delle testimo-

Se nella sinopia non emergono cam-biamenti si può dedurre che tutto illavoro di prova doveva essere fattoin un altro contesto e con altri mez -zi, come appunto su fogli di carta.Lo stesso Vasari era dell’opinioneche “i nostri maestri vecchi... avendospartita tutta l’opera sopra l’arric -ciato, la disegnavano col pennello,ritraendo da un disegno piccolo tuttoquello che volevano fare, con rin-grandire a proporzione quanto ave-vano pensato di mettere in opera...”7, intendendo per “maestri vec-chi” Simone Martini e gli altri pitto-ri di quella stessa generazione. Nel cantiere di San Giorgio, comepure in quello di pochi anni prece-

Fig. 1. Altichiero, Santa Caterina si rifiuta di adorare gli idoli,Padova, Oratorio di S. Giorgio.

Fig. 2. Altichiero (?), Santa Caterina si rifiuta di adorare gliidoli, penna, bistro e carta grezza, Firenze, Uffizi.

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che ci portano a non escludere lapossibilità che questi schizzi fosseropreparatori per la cappella di SanGiacomo.Altri due disegni conservati alBritish Museum (contrassegnati1885-5-9-36 e 1885-5-9-37), che ri -traggono Scene di Consiglio, sem-brano ricondotti dal Mellini al l’Alti -chiero.Significativo è anche il disegno di unartista settentrionale della prima metàdel XV secolo conservato ad Oxfordpresso il Corpus Christi College(684), che rappresenta la Scalata allemura di una città: il motivo lo siritrova nella Battaglia di Pamplonanella Cappella di San Gia como. Non essendo disegni autografi, ilcopista deve aver disposto di unmodello, forse di mano dell’Alti -chiero, che con ogni probabilità fuutilizzato prima nel cantiere verone-se e successivamente in quello pata-vino. Il pittore veronese è rimastofedele nel tempo a certe soluzionigrafiche adottate nella Sala Grandedi Verona e poi perfezionate nei duegrandi contesti patavini. I disegnischizzati su carta sembrano comun-que avere un’importanza che vaoltre il puro motivo di elaborazionemomentanea delle scene da rappre-sentare, ma sembrano andare a for-mare un repertorio di soluzioni per-sonali dell’artista che ripropone indiversi contesti: quasi un corpus didisegni usati come modelli graficiper facilitare la rapidità esecutiva e illavoro dei suoi aiutanti. Un solo disegno, custodito nel Mu -seo degli Uffizi di Firenze (1105), èdirettamente riconducibile all’Ora -torio di San Giorgio: Santa Caterinasi rifiuta di adorare gli idoli (fig. 2).Presentando notevoli differenze ri -spetto il disegno definitivo (fig. 1),possiamo ritenerlo vicino al periododi elaborazione dell’affresco. Loschizzo definisce con precisione

l’elemento architettonico trascuradola definizione anatomica dei perso-naggi, lasciando pensare a uno studiopreparatorio o al massimo a unacopia di uno studio eseguito dallostesso Altichiero, di cui si riconosco-no le caratteristiche stilistiche el’amore particolare verso l’elementoarchitettonico, dandoci la confermadi una prassi operativa che si servivadi uno studio su materiale cartaceo.

Tecniche di trasposizioneDopo lo studio grafico sul supportocartaceo, il pittore, raggiunta la sicu-rezza dell’iconografia da seguire,procedeva con il trasporto dell’im-magine sul supporto murario. Il di -segno in ocra gialla, preciso e perfet-tamente rispettato nell’esecuzionedefinitiva, presuppone l’utilizzo diun mezzo per trasportare l’imma -gine.Il Colalucci durante i lavori di re -stauro ha effettuato in alcune areedel ciclo pittorico dell’Oratorio untentativo per verificare l’utilizzo dipatroni all’interno del cantiere, rite-nendolo un possibile mezzo impie-gato da Altichiero per riportare l’im-magine, come era avvenuto in occa-sione del restauro dei dipinti delciclo di San Silvestro ai QuattroSanti Coronati a Roma da parte dellaNimmo e Olivetti10, o del cantieredel Sancta Sanctorum da parte delloZanardi11. Il risultato dell’indagineha individuato un’uguaglianza milli-metrica in alcuni volti, impossibileda ottenere a mano libera e da attri-buire, secondo il restauratore, a unostesso disegno-modello utilizzato supiù figure. I rilievi in acetato traspa-rente confermano certe similarità trale figure, ma l’uso di modelli per larealizzazione dei volti rimane moltolimitato. Sicuramente in un cantieretardo-gotico come questo, la funzio-ne di ripetitività seriale delle figuresembra essere poco ricercata dall’au-

tore, se non addirittura evitata. Altrisono gli effetti ricercati dal maestro ele tecniche sono sempre più rapide elontane dal modello medioevale.Il patrono, inteso come sagoma rigi-da usata nella pittura bizantina e altomedioevale, è un metodo di trasferi-mento dell’immagine veloce che bensi addice alle esigenze di cantiericome quelli del Sancta Sanctorum,dell’Oratorio di San Silvestro aiQuat tro Coronati e in tempi piùrecenti del cantiere di Giotto adAssisi, che risentono di schemi com-positivi ancora applicati simmetrica-mente e per moduli, specie per l’ova-le del viso, le braccia, i piedi. Dicerto l’utilizzo delle sagome servivacome tecnica riproduttiva, ma ancheper co struire la figura mantenendouguali canoni proporzionali.L’applicazione delle sagome è unmezzo decorativo frutto della men-talità alto medioevale che interpretal’idea dell’immagine quale somma diparti. L’antibolo è il particolare, ildettaglio, quella singola parte chefrantuma la figura umana che lavisione moderna vuole intera e orga-nica. Il patrono infatti verrà comple-tamente superato nell’età moderna esostituito dal cartone che permettevaal pittore di ricercare la figura nellasua organicità, unicità e soprattuttonella sua anatomia. Un naturalismo totalmente diversoemerge nel cantiere patavino chesembra godere di una varietà e diuna individuazione delle figure asso-lutamente di stampo umanistico-rinascimentale. Anche semplicemen-te osservando i volti, nelle loro tanteinclinazioni ed espressioni, è moltodifficile pensare che siano stati adot-tati metodi di riproduzione serialecome è stato invece confermato neicantieri citati precedentemente.In realtà sembra importante specifi-care cosa intendesse Colalucci perpatrono: nella sua monografia parla

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di “sagome ritagliate su carta, talvol-ta incerata... ma potevano ancheessere delle mascherine con occhi,naso e bocca ritagliati, in modo daconsentire di mettere giù, sull’into-naco fresco, i punti principali dei visiin modo da esercitare un rigoroso eindispensabile controllo delle propor-zioni”. Lo stesso restauratore ha tro-vato un certo imbarazzo nel tentati-vo di applicare su un ciclo pittoricocosì tardo una tecnica di trasposizio-ne decisamente alto medioevale.L’intenzione del Colalucci come luistesso specifica era volta a capiremeglio l’operatività dei cantieri deltardo Medioevo in generale, e diquello altichieresco in particolare,intendendo verificare se i patronifossero ancora usati alla fine delsecolo XIV e ottenendo a conclusio-ne della sua ricerca una risposta piùnegativa che positiva.Il patrono non si confaceva allamodernità e alle esigenze estetiche diquesto cantiere e di certo furono uti-lizzati altri espedienti tecnici per iltrasporto del disegno sull’intonaco.Proporrei piuttosto un’evoluzionedel patrono: un modello figurativonon usato obbligatoriamente in sensoripetitivo per accorciare i tempi diesecuzione, dal momento che l’affre-sco risulta eseguito prevalentementecon una tecnica a secco, che lasciavaagli artisti grande libertà e che nellasua struttura fisica e nelle sue qualitàsi avvicini più verso il futuro cartone.Un supporto trasparente ad esempioche presupponesse uno studio orga-nico delle figure da rappresentare,come poi sarà per il cartone. Da uno studio attento delle fontiartistiche, unico nostro reale luogodi confronto, un supporto per illavoro dei pittori sembra esserericorrente e mai abbandonato neisecoli: la carta lucida, ottenuta perimbibizione di olio o ceratura. Il suoutilizzo non viene abbandonato nei

secoli e ritorna in molte ricette, daAlcherio al Libro dell’Arte fino alMss. di Padova12, quasi a rimanereun supporto fondamentale del per-corso di creazione dell’opera, con-fermando questo materiale comemezzo indispensabile nel processopittorico, sia di copiatura che di tra-sposizione dell’immagine. È proba-bile che proprio questo fu usato daAltichiero, permettendogli di ripor-tare la figura per intero sulla pellico-la pittorica e non necessitandonel’utilizzo ripetitivo e seriale. La figu-ra veniva quindi studiata in piccolo,resa in grande su carta lucida e ripor-tata direttamente sullo strato di into-nachino fino poi alla sua completaesecuzione pittorica.L’assoluta varietà dei volti e delleloro espressioni, la plasticità dei cor -pi, la resa volumetrica dei panneggisono l’evidente risultato di uno stu-dio organico dell’anatomia dellefigure con un sicuro supporto dimodelli dal vero. Nulla vi è in questefigure della regolarità e simmetriadei cicli pittorici medioevali; moltovi è invece della varietà di forme delrinascimento. La corte patavina apre ai primi fer-menti umanistici risvegliano l’inte-resse per l’antico tanto da far rivive-re l’amore per la ricerca anatomica eper la mimesi della natura. Per co -municare questi nuovi valori servo-no in campo pittorico nuovi mezzitecnici. È così che il restauro insiemeal confronto con le fonti artisticheapre allo studio delle pratiche di bot-tega, dei processi che portano allarealizzazione definitiva dell’operad’arte facendoci riflettere sul concet-to che ogni scelta tecnica è prima ditutto scelta estetica e di gusto.

Bibliografia

Fonti manoscritteManoscritto di Padova, Ricette per farogni sorte di colori, XVI sec., ms. 992della Biblioteca Universitaria di Padova.

Fonti a stampaCENNINO CENNINI, Il Libro dell’Arte,Vicenza, 1992.G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pit-tori, scultori e architettori, scritte e dinuovo ampliate da M.Giorgio Aretino,(Firenze, 1568), ed. a cura di G. Mila -nesi, I, Firenze 1906.

Opere a stampaL. BAGGIO, G. L. COLALUCCI-D. BAR -TOLETTI, Altichiero da Zevio nel -l’Oratorio di San Giorgio, Roma 1999.L. BAGGIO, I restauri ottocenteschinell’Oratorio di S. Giorgio: la riscoperta(1837-1845). I, in “Il Santo”, XXXIX, 1-2, Centro Studi Antoniani, 1999.D. BENATI, Jacopo Avanzi nel rinnova-mento della pittura padana del secolo’300, Bologna 1992.G. L. COLALUCCI-D. BARTOLETTI, Ap -punti sulla tecnica esecutiva degli affre-schi di Altichiero nell’Oratorio di SanGiorgio a Padova, in “Il Santo” XXXIX,1-2, Centro Studi Antoniani, 1999. G. L. COLALUCCI-D. BARTOLETTI, Ilre stauro degli affreschi di Altichieronell’Oratorio di San Giorgio a Padova,in “Progetto Restauro”, VI, sett. 1999.E. CORTELLA, Le tecniche artistiche diAltichiero nei cantieri padovani alla lucedei recenti restauri, Tesi di Laurea, Dip.di storia delle arti visive e della musica,relatore Prof. G.Valenzano, Universitàdegli studi di Padova, A.A. 2002-2003.B. HEIN, Decorazione esterna del -l’Oratorio di S. Giorgio: la pitturamurale trecentesca e il suo ripristino adopra di Giuseppe Cherubini nel 1929-31,in “Il Santo”, XL, 2-3, Centro StudiAntoniani, 2000.V. LAZZARINI, L’industria della carta nelpadovano durante la dominazione car-rarese, in Scritti di paleografia e diplo-matica, Padova 1969.G. L. MELLINI, La sala grande di Alti -chiero e Jacopo Avanzi ed i palazzi sca-

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Note1. L. BAGGIO, I restauri ottocenteschinell’Oratorio di S. Giorgio: la riscoperta(1837-1845). I, in “Il Santo”, XXXIX,1-2, Centro Studi Antoniani, 1999.2. I documenti sono pubblicati da A.SARTORI, Nota su Altichiero, in “IlSanto”, III, 1963 pp. 291-326.3. Rimando a B. HEIN, Decorazioneesterna dell’Oratorio di S. Giorgio: lapittura murale trecentesca e il suo ripri-stino ad opra di Giuseppe Cherubini nel1929-31, in “Il Santo”, XL, 2000, 2-3,pp. 387-414.4. Per la documentazione dell’ultimorestauro rimando a G. L. COLALUCCI-D. BARTOLETTI, Il restauro degli affre-schi di Altichiero nell’Oratorio di SanGiorgio a Padova, in “Progetto Re -stauro”, VI, sett. 1999, 11, pp. 5-10; ID.,Appunti sulla tecnica esecutiva degliaffreschi di Altichiero nell’Oratorio diSan Giorgio a Padova, in “Il Santo”XXXIX, 1999, 1-2, Padova, pp. 415-446, L. BAGGIO, G.L. COLALUCCI-D.BARTOLETTI, Altichiero da Zevio nel -l’Oratorio di San Giorgio, Roma, 1999.5. CENNINO CENNINI, Il Libro del l’Ar -te, Vicenza 1992, capitolo X, pp. 11-12.6. Una storia della produzione dellacarta nel padovano si può trovare in V.LAZZARINI, L’industria della carta nelpadovano durante la dominazione car-rarese, in Scritti di paleografia e diplo-matica, Padova 1969, pp. 39-63.7. G. VASARI, Le vite dei più eccellentipittori, scultori e architettori, scritte e dinuovo ampliate da M.Giorgio Aretino,(Firenze, 1568), ed. a cura di G. Mila -nesi, I, Firenze 1906, pp. 558. 8. Avanzo queste ipotesi in E. COR -TELLA, Le tecniche artistiche di Alti -chiero nei cantieri padovani alla luce deirecenti restauri, Tesi di Laurea, Dip. distoria delle arti visive e della musica,relatore Prof. G.Valenzano, Universitàdegli studi di Padova, A.A. 2002-2003.9. Il catalogo più completo dei disegnialtichiereschi si trova in G.L. MELLINI,Altichiero e Jacopo Avanzi, Milano1965, da integrare con G.L. MELLINI,Problemi di storiografia artistica fra Tree Quattrocento, 4*. In margine alla“Sala Grande” di Altichiero (e Jacopo

Avanzi), appunti, in “Labyrinthos” 29-30, (1996/97), pp. 71-122.; G. L. MEL -LINI, Disegni di Altichiero e della suascuola 3, in “Critica d’arte”, 57/58, 1963,pp. 33-45; G. L. MELLINI, La sala gran-de di Altichiero e Jacopo Avanzi ed ipalazzi scaligeri di Verona, in “Criticad’arte”, 35, 1959, pp. 313-334; D. BE -NATI, Jacopo Avanzi nel rinnovamentodella pittura padana del secolo ’300,Bologna 1992.10. M. NIMMO-C. OLIVETTI, Sulle tecni-che di trasposizione dell’immagine inepoca medioevale, in “Rivista dell’ Ist.Naz. d’Archeologia e Storia dell’Arte, S.III, VIII-IX, 1985-1986, pp. 399-411.11. B. ZANARDI, Relazione di restaurodella decorazione della cappella delSancta Sanctorum con due appendicisulle tecniche d’esecuzione dei dipintimurali duecenteschi, in Sancta San -ctorum, Milano 1995.12. Manoscritto di Padova, Ricette perfar ogni sorte di colore, XVI sec., in cod.992 della Biblioteca Universitaria diPa11.

*Scuola di Specializzazione in Storiadell’Arte e delle Arti Minori, Uni -versità degli Studi di Padova.

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