Andrès torres Queiruga - Il Vaticano II e la sua teologia

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La teologia del concilio, la teologia nel concilio, la teologia a partire dal concilio… Sono tutti approcci possibili. Il primo è sen- za dubbio quello che è prevalso: come storia dell’insieme e di ciascuno dei suoi documenti; come risultati, deficienze ed “equi- libri” tra diverse tendenze; come ciò che già s’è fatto e quello che resta da fare. Lavori necessari, i cui frutti sono stati grandi. Co- me dimostra questo numero della rivista, però, il tempo trascor- so – quasi mezzo secolo – chiede di completarli inquadrandoli in una prospettiva storica ampia, tale che permetta di apprezzare il loro significato epocale. Donde il titolo aperto e accogliente del- l’articolo. Il Vaticano II e la sua teologia ANDRÉS TORRES QUEIRUGA Santiago de Compostela (Spagna) * ANDRÉS TORRES QUEIRUGA Nato nel 1940 ad Aguiño-Ribeira (A Coruña, Spagna), è dottore in filosofia (Università di Santiago de Compostela) e in teologia (Università Gregoriana di Roma). Dal 1968 al 1987 ha insegnato teologia fondamentale nell’Instituto teoló- gico compostelano e attualmente è professore di filosofia della religione all’Uni- versità di Santiago; ha tenuto corsi anche in Messico e in Brasile. Dirige Encru- cillada. Revista galega de pensamento cristián, è membro del consiglio di redazione di Iglesia viva, del comitato scientifico della Revista portuguesa de filosofia e mem- bro fondatore della SECR (Sociedad Española de Ciencias de las Religiones). È pure membro del comitato internazionale di direzione della rivista Concilium. Tra le sue opere: Recuperar la salvación, Santander 1995 2 ; Constitución y Evo- lución del Dogma. La teoría de Amor Ruibal y su aportación, Madrid 1977; La revela- ción de Dios en la realización del hombre, Madrid 1987 [trad. it., La rivelazione di Dio nella realizzazione dell’uomo, Borla, Roma 1991]; Creo en Dios Padre, Santander

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La teologia del concilio, la teologia nel concilio, la teologia apartire dal concilio… Sono tutti approcci possibili. Il primo è sen-za dubbio quello che è prevalso: come storia dell’insieme e diciascuno dei suoi documenti; come risultati, deficienze ed “equi-libri” tra diverse tendenze; come ciò che già s’è fatto e quello cheresta da fare. Lavori necessari, i cui frutti sono stati grandi. Co-me dimostra questo numero della rivista, però, il tempo trascor-so – quasi mezzo secolo – chiede di completarli inquadrandoli inuna prospettiva storica ampia, tale che permetta di apprezzare illoro significato epocale. Donde il titolo aperto e accogliente del-l’articolo.

Il Vaticano IIe la sua teologia

ANDRÉS TORRES QUEIRUGASantiago de Compostela (Spagna)

* ANDRÉS TORRES QUEIRUGA

Nato nel 1940 ad Aguiño-Ribeira (A Coruña, Spagna), è dottore in filosofia(Università di Santiago de Compostela) e in teologia (Università Gregoriana diRoma). Dal 1968 al 1987 ha insegnato teologia fondamentale nell’Instituto teoló-gico compostelano e attualmente è professore di filosofia della religione all’Uni-versità di Santiago; ha tenuto corsi anche in Messico e in Brasile. Dirige Encru-cillada. Revista galega de pensamento cristián, è membro del consiglio di redazionedi Iglesia viva, del comitato scientifico della Revista portuguesa de filosofia e mem-bro fondatore della SECR (Sociedad Española de Ciencias de las Religiones). Èpure membro del comitato internazionale di direzione della rivista Concilium.

Tra le sue opere: Recuperar la salvación, Santander 19952; Constitución y Evo-lución del Dogma. La teoría de Amor Ruibal y su aportación, Madrid 1977; La revela-ción de Dios en la realización del hombre, Madrid 1987 [trad. it., La rivelazione di Dionella realizzazione dell’uomo, Borla, Roma 1991]; Creo en Dios Padre, Santander

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1/ Il gesto e il testo

Il titolo, in effetti, vuole situare il concilio nell’ampio movi-mento che, dall’ingresso della modernità, ha «scosso le fonda-menta» (P. Tillich) della cultura e della religione. Prima che uninsieme di dottrine concrete, il concilio è stato un evento che haavuto una ricaduta sull’intero essere della comunità credente,con intense ripercussioni sulla cultura universale. L’immensogesto conciliare supera di molto la lettera dei suoi testi, i qualisolo all’interno di esso e della sua ampia intenzione manifestanoil vero significato che li anima. Bene lo ha visto H. Küng quandoha situato il Vaticano II come crocevia decisivo nel cambiamen-to di paradigmi, quello sotteso alla Riforma e quello della mo-dernità1. E G. Alberigo ha sottolineato in varie occasioni «la prio-rità qualitativa dell’evento» rispetto «alle sue decisioni»2.

Certo, percorrere la storia con gli stivali delle sette leghe ri-sulta sempre rischioso ed espone a generalizzazioni semplicisti-che. Qui, però, si tratta unicamente di mettere in rilievo le gran-di linee che, dalla rottura della sintesi medievale, hanno deter-minato la situazione del concilio e contrassegnato la sua intenzio-

19985 [trad. it., Credo in Dio Padre, Presentazione di B. Forte, Piemme, Casale Mon-ferrato (Al) 1994]; La constitución moderna de la razón religiosa, Estella 1992; ¿Quéqueremos decir cuando decimos “infierno”?, Santander 1995 [trad. it., L’inferno. Cosaintendiamo con questa parola?, ISG, Vicenza 2002]; Repensar la Cristología. Ensayoshacia un nuevo paradigma, Estella 1996; Recuperar la creación. Por una religión huma-nizadora, Santander 20013 [trad. it., Peccato e perdono. Perché è urgente e necessarioun cambiamento nella confessione, ISG - Marna, Vicenza - Barzago (Lc) 2001]; El pro-blema de Dios en la Modernidad, Estella 1998; Fin del cristianismo premoderno, San-tander 2000; Esperanza a pesar del mal, Santander 2005; Diálogo de las religiones y au-tocomprensión cristiana, in corso di stampa. Recentemente di lui in Italia è uscito:La Chiesa oltre la democrazia, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2004.

(Indirizzo: Facultade de Filosofia, Campus Sur. 1784, Santiago de Compo-stela, Spagna. E-mail: [email protected]).

1 H. KÜNG, El Cristianismo. Esencia e historia, Madrid 1997, 524 [ed. it., Il cri-stianesimo. Essenza e storia, Rizzoli, Milano 1997, 513].

2 Cf., per esempio, G. ALBERIGO, Vatican II et son héritage, in M. LAMBERIGTS –L. KENIS (edd.), Vatican II and its Legacy, Leuven 2002, 1-24, qui 1.

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ne. Perché in fondo è di questo che si è trattato. La grande sintesimedievale, erede di tutto il passato premoderno, iniziò a disgre-garsi con l’arrivo di un nuovo tempo storico. L’irruzione dellamodernità (che K. Jaspers situa come l’ultima delle grandi rottu-re storiche, in parallelo con la ominizzazione, il passaggio al neo-litico o il tempo lineare)3, aveva posto il cristianesimo di fronte al-l’alternativa fra un cambiamento radicale e la paralisi in un pas-sato morto. Il compito risultava talmente grande che solo con for-ti resistenze e sempre con ritardo venne affrontato dalle chiese.

La Riforma, dopo l’Umanesimo e insieme ad esso, diede laprima grande scossa: era necessario tornare alla Scrittura, il cuislancio correva il rischio di rimanere sepolto sotto la solidifica-zione della istituzione e sotto il peso delle tradizioni. Fu il suogrande apporto. Che però risultava insufficiente perché, se sup-poneva il tramonto della sistematizzazione medievale, vedevaancora da lontano l’aurora della mutazione moderna. L’esperien-za biblica e la nuova sensibilità umanistica mandavano in frantu-mi i formalismi tradizionali, ma i loro concetti non rompevano glischemi dell’antica visione del cosmo. R. Bultmann, raccogliendo-li nella poderosa espressione simbolica della “demitologizzazio-ne”, esprimerà molto più tardi il sentimento e il disagio che la cri-tica biblica rendeva sempre più forti ed evidenti. La monotoniadenunciata da Jaspers o la tendenza alla privatizzazione criticatadalla teologia politica non dovrebbero occultare la forza reale diuna chiamata che va molto al di là del “sistema” bultmanniano.Il nucleo della sua proposta è indiscutibile nella misura in cui esi-ge una revisione radicale di tutto l’immaginario cristiano, perchécontinua ad essere vero che «non si può usare la luce elettrica el’apparecchio radio, o usare i moderni strumenti clinici e medicinel guarire le malattie, e nello stesso tempo credere nel mondo dispiriti e miracoli del Nuovo Testamento»4.

3 K. JASPERS, Origen y meta de la historia, Madrid 1951, 47.103 [ed. it., Origine esenso della storia, Edizioni di Comunità, Milano 19722].

4 R. BULTMANN, Neues Testament und Mythologie, in H.W. BARTSCH (ed.),Kerygma und Mythos, Hamburg 1948, 18; cf. ID., Zum Problem der Entmythologi-sierung, in ID., Glauben und Verstehen. Gesammelte Aufsätze IV, Tübingen 1967, 128-137 [trad it., Sul problema della demitizzazione, in R. BULTMANN, Credere e com-prendere. Raccolta di articoli, Queriniana, Brescia 19862, 1003-1012]; ID., Jesucristo yMitología, Barcelona 1970 [ed. it., Gesù Cristo e la mitologia, in BULTMANN, Crede-re e comprendere, cit., 1017-1061].

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La modernità imponeva, in effetti, un passo ulteriore, la cuinecessità si faceva sentire a partire dalla nuova scienza, dallanuova critica storica, dalla nuova sociologia e dalla nuova filo-sofia. L’enorme pressione che la trasformazione culturale eserci-tava determina senza dubbio e in maniera decisiva l’evoluzionedella teologia, fatta di scoperte e resistenze, di progressi e rica-dute, «sempre un po’ indietro rispetto al suo tempo», «sempreun po’ superata e antiquata (altmodisch)»5. Ortodossia, pietismo,illuminazione, liberalismo, neo-ortodossia, secolarizzazione…,nel campo protestante; scolastica barocca, neo-tomismo, moder-nismo, movimenti biblico, patristico e liturgico, nouvelle théolo-gie…, in quello cattolico, rappresentano le oscillazioni di un in-contro sempre ricercato e mai trovato del tutto, sempre rinnova-to e non poche volte represso.

La grandezza del Vaticano II è consistita proprio nel fattoche, per la prima volta e in maniera ufficiale, viene riconosciutala situazione, affermando la necessità di un “aggiornamento” elegittimando con ciò stesso i tentativi di ottenerlo. È questo il suogesto incancellabile.

2/ La sfida del gesto: Dio e l’autonomia del creato

Questo è anche il significato più decisivo del concilio. Ed èqui che bisogna cercarlo. Il che implica una sfida ermeneutica laquale, a mio avviso, presenta due aspetti principali: a) valutarel’impatto globale dell’evento conciliare e b) cercare il nucleo vi-vo e irradiante della sua proposta.

Il primo aspetto chiama a una giusta dialettica che distinguatra l’impulso globale e le soluzioni concrete. Queste non poteva-no risolvere in pochi anni quello che secoli e secoli avevano l’in-

5 K. BARTH, Die protestantische Theologie im 19. Jahrundert, Zürich 19603, 115[trad. it., La teologia protestante nel XIX secolo, Introduzione e cura di I. Mancini, 2voll., Jaca Book, Milano 1979-1980]. Di fatto in troppe occasioni si dovrebbe piut-tosto dire “molto ritardata”. Per ravvivare la coscienza di questa pressione nonsarebbe di troppo rileggere nei nostri giorni la testimonianza per nulla sospettadi questo libro.

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carico di risolvere. Più che una risposta definitiva, il concilio fula rottura della diga che frenava le acque impetuose di un rinno-vamento sempre sospeso. Non era possibile collocare con preci-sione ogni cosa al suo posto, e risultava inevitabile una certaqual sensazione di smarrimento e di incompiutezza. Non stupi-sce se il bilancio che questa stessa rivista fece dopo cinque anniriconosceva già che «le mura della Gerico ecclesiastica non sonocrollate, nonostante gli squilli delle trombe dei teologi»6; e lostesso card. Suenens constatava che «siamo diventati più sensi-bili ai problemi che il Vaticano II ha posto ma non ha risolto pie-namente»7. Molti andarono oltre, in una reazione di timore e disconcerto che preferiva la vecchia sicurezza delle “cipolle d’E-gitto” di fronte all’avventura di un nuovo esodo. E, per disgra-zia, questa reazione finì per contrassegnare la politica ecclesia-stica degli ultimi tempi.

Non è stata, né è, questa l’opzione di Concilium. Un pur mi-nimo senso storico mostra come, nonostante tutto, il cammino aritroso non risulta possibile. Non si può disconoscere la profon-da mutazione e l’enorme progresso che l’impatto conciliare hasignificato. Insoddisfatti per quello che manca, non dobbiamoessere troppo ingiusti con ciò che è stato acquisito, che è tanto.Un nuovo clima: trasportata ai nostri giorni, una persona creden-te degli anni Cinquanta avrebbe per molti aspetti l’impressionedi stare in un’altra chiesa. Una nuova libertà interiore: siamo sin-ceri, nonostante tutte le resistenze istituzionali, quanti presbiterisentono il minimo scrupolo nel non seguire alla lettera le diretti-ve rituali dell’ultimo documento sull’eucaristia? O ancora: qua-le teologo non distinguerebbe oggi tra i fastidi giuridici e la le-gittimità della sua coscienza intima di fronte a una condanna ro-mana dei suoi scritti? Una nuova creatività teologica: si metta aconfronto, per esempio, una cristologia attuale con uno qualsia-si dei manuali preconciliari.

E qui si aggancia il secondo aspetto: cercare di determinarein qualche modo l’intuizione centrale che permetta di indivi-

6 P. BRAND, “Concilium” dopo cinque anni di vita, in L’avvenire della Chiesa. Illibro del Congresso - Bruxelles 1970, Stichting Concilium - Queriniana, Brescia 1970,31-36, qui 35.

7 L.-J. SUENENS, Discorso ufficiale di apertura. Alcuni compiti della teologia,oggi, in L’avvenire della Chiesa, cit., 43-65, qui 44.

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8 A. Auer osserva molto bene che «in questo testo, il concilio cerca di elimina-re un profondo risentimento dell’uomo moderno» (Das Zweite Vatikanische Kon-zil – III, in LThK 1986, 385).

duare l’intenzione profonda del concilio. Non è facile colpire nelsegno, ma, nella misura in cui ci si riesca, sarà più facile aprire levie giuste attraverso le quali deve essere portato avanti l’inizioconciliare. In questo senso, ho l’impressione che un testo di Gau-dium et spes, il n. 36, può avvicinarsi a quanto andiamo cercando,perché mette direttamente in chiaro ciò che, a mio modo di ve-dere, costituisce l’impulso decisivo della modernità: l’autonomiadel mondo. Cito, abbreviando, sia ciò che è affermazione sia ciòche è avvertimento:

Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose createe le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradata-mente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigen-za legittima, che non è solo postulata dagli uomini del nostro tem-po, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stes-sa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro pro-pria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine;e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze dimetodo proprie di ogni singola scienza o arte […]. Se invece con l’e-spressione “autonomia delle realtà temporali” si intende che le co-se create non dipendono da Dio, che l’uomo può adoperarle senzariferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio avvertonoquanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creato-re svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religio-ne appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazionedi lui nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio priva di lu-ce la creatura stessa.

Qualche osservazione. La citazione fa parte di una costitu-zione che non era nemmeno prevista dalla commissione prepa-ratoria, ma che scaturì dalla dinamica conciliare stessa, impostadalla nuova realtà storica8. Suppone un riconoscimento chiaro edeciso di questa autonomia: «un’esigenza legittima». La siestende a tutti gli ordini della realtà: «le cose create e le stesse so-cietà». Costituisce infine un necessario criterio ermeneutico,chiamando al rispetto delle «esigenze di metodo proprie di ognisingola scienza o arte».

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Si impone, tuttavia, un chiarimento importantissimo. Il con-cilio invita a riconoscere una istanza – l’autonomia – che suppo-ne una acquisizione irreversibile dello spirito umano e che è allabase della trasformazione moderna, ma non giustifica semplice-mente tutte le sue conseguenze. Chiama ad accogliere l’autono-mia in ciò che essa ha di scoperta comune e progresso indubitabile; ead elaborare, a partire da essa, una teologia attuale, in dialogocritico con le diverse soluzioni proposte nella modernità (a que-sto livello, la “postmodernità” costituisce una sua metamorfosi,non un suo superamento)9. Vale a dire che bisogna essere assaicritici con molte delle proposte della cultura moderna (allo stes-so modo in cui essa lo è nei confronti delle proposte delle chie-se); ma le soluzioni non possono mai tornare indietro: devonoessere costruite andando avanti, a partire da essa10. Un tranellofatale nel quale con troppa frequenza è caduta la discussione teo-logica consiste nell’assumere la modernità globalmente e, basan-dosi sui suoi difetti, sulle sue esagerazioni e anche sulle sue per-versioni, screditare lo sforzo di attualizzazione in quanto tale. Inquesto modo questioni che riguardano la relazione fondamenta-le della rivelazione con la cultura possono venire occultate, tra-sformandosi in semplici dispute domestiche o in antiquate con-troversie confessionali.

In sostanza, è quanto dice espressamente il concilio. Essonon pone limiti alla legittimità dell’autonomia che «è postulatadagli uomini del nostro tempo», i quali la reclamano a gran vo-ce. Quello che fa, dal punto di vista religioso, è chiedere la suagiusta integrazione dialettica con il progetto del Creatore. Maenunciarlo era più facile che realizzarlo. Storicamente la primasoluzione fu il deismo: la novità dell’autonomia si imponeva conuna forza tale che Dio rimaneva relegato in un cielo lontano eastratto, cosa questa che la coscienza religiosa viva non potevaaccettare. Tuttavia l’alternativa non poteva essere un ritorno al“dio” tradizionale, che ora risultava incompatibile con la legitti-ma autonomia del mondo. La vera sfida consisteva – e consiste

9 È questa, per lo meno, la posizione qui adottata; cf. le discussioni più detta-gliate in P. GISEL – P. EVRARD (edd.), La théologie en postmodernité, Genève 1996.

10 Mi permetto di rinviare al mio libro Fin del cristianismo premoderno, Santan-der 2000.

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ancora11 – nel mostrare che la incompatibilità nasceva da una fal-sa immagine di un dio “mitico” e interventista. Era necessario di-mostrare che il famoso etsi Deus non daretur significa in realtà sol-tanto: etsi ille deus non daretur, “anche se non esistesse quel dio”.

Viene così enunciato il grande compito per il quale il conci-lio chiamava a raccolta la teologia attuale: una nuova concezionedi Dio, che non solo rispetti la legittima autonomia del creato, mache la mostri come «conforme al volere del Creatore». Sicché, perla coscienza religiosa risultano certi i due estremi: a) che la per-sona umana vive in un mondo in cui «le cose tutte ricevono la lo-ro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il lo-ro ordine» e b) che Dio continua ad essere l’unum necessarium.

Non è azzardato affermare che la teologia moderna in tuttoil suo sforzo porta conficcata nelle proprie viscere più profondequesta esigenza, tanto che risulta possibile interpretare a partireda essa gli intenti di rinnovamento che segnano il suo cammino.Ciò appare chiaro nei due grandi movimenti che hanno scossopiù profondamente la teologia cristiana nella modernità: il libe-ralismo protestante e il modernismo cattolico. Non erano ancoral’equilibrio, ma ambedue raccoglievano l’inquietudine decisiva:un Dio che umanizzava dal di dentro e non che irrompeva dal-l’esterno; una rivelazione che non alienava la ragione, ma che laportava alle sue radici ultime; una azione divina che non sostitui-va la libertà e l’operare umani, ma li sosteneva e potenziava.

Per questo, le due maggiori disgrazie nella teologia del XXsecolo sono state forse la condanna cattolica del modernismo e lareazione della neo-ortodossia protestante contro il liberalismo.Le esagerazioni esistevano, e necessitavano sicuramente di unacorrezione e di un riequilibrio. Ma le accuse vennero fatte – etroppe volte vengono ancora fatte – a partire dalla vecchia im-

11 A. Einstein, per esempio, non poteva ammettere un Dio personale, perchédiede sempre per presupposto che ciò avrebbe eliminato l’autonomia delle leggi fi-siche: è questo il senso della sua nota frase «Dio non gioca a dadi». Tuttavia, ècerto che la soluzione teologica non può essere cercata al livello della scienza fisi-ca, argomentando a partire dell’“indeterminismo” (cf., per esempio, dati e di-scussione in D. HATTRUP, O Deus de Einstein, afinal, joga aos dados, in Revistaportuguesa de filosofia 61 [2005] 113-128; tutto il fascicolo è a questo proposito im-portante).

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magine di un dio soprannaturalista e interventista. Solo così sicapisce l’assoluta squalifica di riduzionismo naturalistico fattadall’enciclica Pascendi (1907) o l’accusa barthiana secondo cui inquel modo si parlava soltanto dell’uomo e non di Dio. Quantopiù esatto risulta Barth quando come storico si premunisce con-tro «un atteggiamento ampiamente diffuso oggi in circoli teolo-gici» che pensa che la mano di Dio si è allontanata dal XIX seco-lo e non si rende conto che in definitiva i suoi rappresentanti«non sono preoccupati di altro che del riconoscimento e dellaconfessione della rivelazione cristiana»12!

In definitiva si tratta di pensare nuovamente la relazione fraimmanenza e trascendenza. E la questione decisiva consiste neltrovare la mediazione adeguata, approfittando degli apporti chesono stati man mano presentati: dalla proposta evangelica di F.Schleiermacher, alla filosofia cattolica dell’immanenza, o alla cri-tica filosofica della ontoteologia. Il concilio presenta l’idea dicreazione, parlando del «riferimento al Creatore» e affermandoche «la creatura senza il Creatore svanisce». E, in effetti, credoche l’idea di creazione per amore costituisca forse oggi la media-zione più efficace13. Parlando di creazione, il concilio preserva lamassima differenza; guardandola a partire dall’amore, però, as-sicura la massima identità (maggiore di quella della madre con ilsuo bambino: cf. Is 49,15). Fondando e sostenendo il mondo, Diopromuove la sua autonomia senza interferire in essa, è presenzaviva senza dover “entrare” in uno spazio che è già sempre pienodella sua presenza attiva, con iniziativa illimitata e assoluta.

Sia o non sia totalmente esatta questa diagnosi, la cosa certaè che il Vaticano II si muove in questa direzione. Essa determinala sua novità complessiva e orienta la sua teologia nelle questio-ni concrete. Come è stato più volte detto, non sempre poté otte-nere la piena coerenza. Accettare l’appello conciliare, misurare ilgrado di realizzazione delle sue proposte e avanzare verso unmaggiore equilibrio costituisce la grande sfida per la teologia at-tuale.

12 BARTH, Die protestantische Theologie im 19. Jahrundert, cit., 13 [trad. it. cit.].13 Ho cercato di mostrarlo in Recuperar la creación, Santander 20013 (orig. gali-

ziano, Vigo 1996).

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3/ I compiti della teologia attuale

Il carattere centrale dell’autonomia offre senza dubbio il mi-glior modo per ordinare il complesso campo della problematicateologica. L’equilibrio tra il rispetto e l’autonomia di ciascunambito specifico del reale e il suo riferimento costitutivo al Crea-tore, segna le grandi linee del programma e permette di calibra-re l’apporto conciliare. Segnalerò i tre ambiti principali. Come èovvio, a parte il fatto che ogni scelta riflette in certo qual modole preoccupazioni specifiche del suo autore14, l’enumerazione do-vrà ridursi all’elementare, lasciando fuori molte sfumature emolte questioni.

1) L’assunto della autonomia del soggetto costituisce con sicu-rezza l’aspetto che maggiormente definisce e attualizza. S’era giàfatto sentire nella Riforma con la sua enfasi sulla fede e sulla gra-zia, con il pro me e il ritorno alle fonti per ritrovare l’esperienzaoriginaria, ma oggi raggiunge una nuova maturità15.

Cosa che si fece notare, fin dall’inizio, in Dei Verbum: i padriper questo respinsero lo schema previo, oggettivante ed estrin-secista, riconoscendo l’implicazione costitutiva dell’accoglimen-to umano per la rivelazione divina stessa, con la conseguente ac-cettazione del suo carattere storico (uno dei grandi apporti delconcilio)16 e della necessità di una lettura critica della Bibbia. Fu

14 In questo senso chiedo venia per quanto potrebbe avere un tono dogmaticoin una esposizione telegrafica che, tuttavia, corrisponde ad un ampio impegnosu questi temi (nella bibliografia iniziale indico le opere principali).

15 La tesi di E. Troeltsch circa il carattere ancora non moderno della Riformapuò essere sfumata, ma con ogni evidenza è fondamentalmente vera: Die Bedeu-tung des Protestantismus für die Entstehung der Moderne, München - Berlin 1925[trad. it., Il protestantismo nella formazione del mondo moderno, La Nuova Italia, Fi-renze 1974].

16 A proposito del cap. II (DV 7-10) e del suo riconoscimento della storicità del-la tradizione, affermava L. Alonso Schökel: «Questo secondo capitolo è forse ilcontributo più importante della costituzione e, visto nella prospettiva del futuro,può apparire come il più importante di tutto il concilio. Il motivo sta nel fatto cheesso non si limita ad avanzare in un settore determinato, ma proclama il princi-pio dello sviluppo come costitutivo della Chiesa» (El dinamismo de la tradición,in ID. [ed.], Comentarios a la Constitución Dei Verbum sobre la divina revelación, Ma-drid 1969, 228).

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un’apertura decisiva anche se la sua concretizzazione fu frenatada compromessi che, come nel caso delle “due fonti” o nella re-lazione tra Scrittura, tradizione e magistero, impedirono di pro-gredire ulteriormente. Rimane ancora pendente un approfondi-mento che, basandosi in maniera conseguente su una “ragioneteonoma”, elimini i resti di un soprannaturalismo che trasformal’ispirazione in una sorta di “miracolo” psicologico, la caratte-rizza empiricamente rendendo impossibile un vero dialogo tra lereligioni e alimenta letture criptofondamentaliste17.

In questo stesso ambito si colloca, fin dal titolo, la dichiara-zione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, con la sua fortevalorizzazione della coscienza individuale. La novità risalta dalleforti resistenze che la sua approvazione dovette superare. Man-ca, nonostante tutto, una più chiara e decisa applicazione versol’interno della stessa chiesa. Anche nella morale si aprì un frontedi progresso, con il superamento della casistica e con la sua in-clusione organica nella vita cristiana. Ma il fatto stesso che loschema previo che era già pronto sia stato respinto senza esseresostituito da un altro, sta a indicare che si tratta solo dell’inizioper uno dei grandi compiti pendenti. Resta da sviluppare unavera e propria “teonomia” che, da un lato, mantenga l’autono-mia dei contenuti morali, fondati sulla ragione etica e non sullareligione; e, dall’altro, preservi l’integrazione religiosa dei mede-simi, riconoscendoli come rispondenti identicamente alla so-stanza della creatura e alla volontà amorosa del Creatore che lifonda e li promuove. Si otterrebbe una maggiore credibilità e sirisparmierebbero molti conflitti nella ricerca attuale, soprattuttoin questioni inerenti la sessualità, la salute e la bioetica.

2) L’autonomia della natura appare con una dualità molto si-gnificativa. In linea di principio essa è quella più chiaramente ri-

17 È un fatto curioso che la ragionevole protesta di Barth sulla relazione con ilmagistero, nella quale egli arrivava a parlare di un “mancamento” o addiritturadi un “infarto” del concilio (cf. Conciliorum Tridentini et Vaticani inhaerens ve-stigiis?, in B.D. DUPUY [ed.], Vaticano II, La Revelación Divina II, Madrid 1970, 234),si accompagni, in compenso, alla inconseguente riserva su questo ultimo punto.In sue conversazioni a Roma con Rahner, Semmelroth e Ratzinger, raccomandavaloro che la chiesa cattolica si astenesse dal seguire, come aveva fatto quella prote-stante, le filosofie divenute di moda a partire dal XVII secolo (cf. S. MADRIGAL, Me-moria del concilio. Diez evocaciones del Vaticano II, Madrid - Bilbao 2005, 284).

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conosciuta, visto che già a partire dalla crisi con Galileo è stataquella che si è imposta con maggiore evidenza. Le realtà natura-li obbediscono a leggi interne: la luna non è mossa dalle “formeangeliche” (lo pensava ancora Keplero!), le pesti non sono cau-sate da demoni e il libro di Giosuè non è competente in materiaastronomica. Ormai non ha più senso pensare a un “interventi-smo” divino nei funzionamenti empirici18. Ma l’accettazione diprincipio è lungi dall’aver dispiegate tutte le sue conseguenzepratiche. Il rifiuto del deismo servì da copertura per non appro-vare la sua giusta esigenza di negare le interferenze soprannatu-rali nella legalità mondana. In luogo di una rivoluzione che, co-me bene ebbe a dire Karl Rahner, deve partire dal fatto che «Dioopera il mondo e non propriamente [che] agisce nel mondo»19,quello cui si pervenne fu un accomodamento: una specie di “dei-smo interventista”, che, con il deismo, accetta che Dio non inter-ferisce ordinariamente, ma che, con l’antico soprannaturalismo,continua a pensare che lo fa di quando in quando.

Comunque, né il Vaticano II né in generale la successiva teo-logia hanno esplicitato in debito modo questo problema. Le con-seguenze sono gravi, e qui si manifesta senza dubbio uno deicompiti più importanti per il futuro, visto che ha delle ricadutesu questioni nucleari che, zavorrate con una forte carica inter-ventista, deformano gravemente l’immagine di Dio nella co-scienza attuale. Enumeriamone alcune:

L’insistenza sui miracoli, che non solo romperebbero l’auto-nomia mondana, ma insinuerebbero che Dio fa dei favoritismi(agli uni sì, ad altri no) e che il suo amore non è infinito (primadel miracolo non aveva fatto tutto ciò che poteva). Tutto questosi collega con la preghiera nella sua modalità di petizione perché,in definitiva, la preghiera di domanda cerca quasi sempre un

18 È sempre valida ed eloquente la esposizione di N.M. WILDIERS, Weltbild undTheologie, Zürich - Einsiedeln - Köln 1974, che mostra la profondità e la difficoltàdel processo: «Attraverso tutto il XVII secolo la teologia rimane […] legata allarappresentazione medievale dell’universo» (ibid., 262) e quello che si insegnavanei seminari e nella facoltà «era un sunto monotono e confuso di quello che ave-vano insegnato i grandi maestri del XIII secolo» (ibid., 266).

19 K. RAHNER, Grundkurs des Glaubens, Freiburg i.Br. 1976, 94: «dass Gott dieWelt wirkt und nicht eigentliche in der Welt» [trad. it., Corso fondamentale sulla fe-de, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 19905, 123].

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“intervento” divino (per curare la malattia o rafforzare la psico-logia, per farla finita con la fame o scongiurare il terremoto).Questione che a sua volta si collega con il problema del male, per-ché se questo non viene interpretato come conseguenza inevita-bile dell’autonomia di un mondo finito (come già aveva inco-minciato a fare Leibniz), presenta un Dio che non vuole interve-nire o che, peggio ancora, causa direttamente il male. In questomodo risulta onestamente impossibile superare il “dilemma diEpicuro” (Se non ama, non è buono; se ama, non è onnipotente):il danno che questa mancanza di chiarificazione ha prodotto dalterremoto di Lisbona si ripete giorno dopo giorno con ogni cata-strofe naturale e anche con ogni disgrazia individuale. Più sot-tilmente forse si reimposta la comprensione dei sacramenti, lacui efficacia è ancora concepita troppe volte come una specie di“miracolo invisibile” dalle inevitabili connotazioni magiche; onel modo di comprendere la risurrezione, la cui oggettività si cer-ca di assicurarla con la “tomba vuota” o, almeno, con le “appa-rizioni” empiriche.

Come si vede, questioni tutte, queste, che il Vaticano II nonha potuto sviluppare, ma che esso permette di situare in una lu-ce nuova. In concreto, l’ultima allusione rimanda al fatto signifi-cativo che, anche se non ha elaborato una cristologia, il concilioha posto le basi per il rinnovamento più importante che essa hasperimentato nella storia. Il suo grande risultato consiste nell’a-verla radicata nell’umano: Cristo rivela «con tutta la sua presen-za e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, coni segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la glo-riosa risurrezione» (DV 4); e, di conseguenza, «solamente nel mi-stero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo»,perché Cristo «svela anche pienamente l’uomo all’uomo» (GS22). Di fronte a questo impulso fondamentale che centra e orien-ta tutta la visione cristiana delle relazioni immanenza-trascen-denza, molte discussioni come quelle per decidere se sia meglioprocedere “dal basso” o “dall’alto” risultano spesso scaramuccesecondarie che distolgono l’attenzione da ciò che è decisivo.

3) L’autonomia del sociale, che dopo la Rivoluzione franceseincalzava fortemente la coscienza ecclesiale e che per la sua col-lisione con gli interessi del potere incontrava grandi resistenze

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(le manifestazioni ufficiali del XIX secolo oggi producono unadolorosa costernazione), appartiene ai grandi assunti del conci-lio. Gaudium et spes lo fa guardando verso il mondo. Ciò spiega ilsuo successo e il suo favorevole accoglimento. Fino al punto dadover affermare che il suo impulso ha prodotto l’attualizzazione– forse la più conseguente realizzata fino ad oggi – di una gran-de dimensione teologica: l’efficacia sociale di un vangelo cheproclama beati i poveri e di una «fede che opera per mezzo del-la carità» (Gal 5,6). È quanto mettono in chiaro – al di là di alcu-ne discussioni secondarie – le teologie politiche e della liberazio-ne. Qualcosa che non sempre comprendono le accuse di inge-nuità o di ottimismo che, invece di guardare al gesto conciliaredel riconoscimento fondamentale (necessario e lungamente atte-so), si concentrano sulla lettera di alcune applicazioni concrete.

E Lumen gentium lo ha iniziato verso l’interno della chiesa,con quella che è stata giustamente chiamata “rivoluzione coper-nicana”, proclamando che la realtà decisiva sta nella comunitàfraterna di tutti i credenti come “popolo di Dio”, e situando soloall’interno di essa le diverse funzioni, compresa quella gerarchi-ca. Il male fu che, per la preoccupazione di garantire la collegia-lità episcopale, questa fu isolata dalla collegialità di tutta la chie-sa, riducendola a un punto di vista giuridico e gerarchizzante20.

Già nel 1970 il card. Suenens segnalava che da un riequilibriodi questo punto «dipenderà l’avvenire della chiesa»21. E in rigo-re evangelico – «Tra voi non deve essere così, ma chi vuole di-ventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,26 e par.) –bisogna ammettere che una adeguata “democratizzazione” è ne-cessaria per la vita ecclesiale. Se non piace la parola o non si hafiducia nel simbolo “popolo di Dio”, si potranno sostituire conaltri, come “comunione” o “sinodalità”22; la disputa sui nomi

20 In questo numero, G. Alberigo fa notare che nei padri conciliari non ci fu“conciliarismo”; in compenso, però, non si può negare che si ebbero tratti “pa-palisti”, come quello della Nota praevia imposta a Lumen gentium o il fatto di ri-servarsi un tema o l’altro sottraendolo alla discussione conciliare.

21 SUENENS, Discorso ufficiale di apertura, cit., 46.22 Cf. A. MELLONI – S. SCATENA (edd.), Synod and Synodality, Theology, History,

Canon Law and Ecumenism in New Contact. International Colloquium Bruges 2003,Münster 2005.

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non dovrebbe coprire la questione dei valori reali: se non “de-mocrazia” in senso politico, la chiesa non può mai essere menoche una democrazia in senso reale.

Rispetto alla base ecclesiale tutto questo richiede con urgenzauna rivitalizzazione della comunione ugualitaria, eliminando lacircostanza – scandalosa per una coscienza attuale – in base allaquale tutte le deliberazioni hanno solo carattere consultivo; e in-dubbiamente instaurando l’uguaglianza della donna, riscattan-do, contro ogni inerzia storica, il luminoso e fondante principiopaolino secondo cui in Cristo «non c’è più uomo né donna» (Gal3,28).

Rispetto al governo gerarchico, tutto questo obbliga a intra-prendere con onesta energia un ripensamento dell’origine divi-na dell’autorità, parallelo a quello fatto per l’autorità civile (allaquale originariamente si riferiva Rm 13,1s.!), mostrando che que-sto non impedisce la sua fondazione, trasmissione, elezione e cu-stodia attraverso la comunità. In questo senso risulta illuminan-te leggere in parallelo per la chiesa quello che, per esempio, Pa-cem in terris (1963) dice della società civile:

Per il fatto che l’autorità deriva da Dio, non ne segue che gli esseriumani non abbiano la libertà di scegliere le persone investite delcompito di esercitarla, come pure di determinare le strutture dei po-teri pubblici, e gli ambiti entro cui e i metodi secondo i quali l’auto-rità va esercitata. Per cui la dottrina sopra esposta è pienamente con-ciliabile con ogni sorta di regimi autenticamente democratici (n. 31)23.

Data l’attuale accelerazione del tempo storico e la dimensio-ne mondiale della chiesa, non dovremmo retrocedere neanche difronte alla convenienza di segnalare limiti temporali negli inca-richi, come il modo migliore per mantenere sempre vivo il prin-cipio della chiesa semper reformanda: già da secoli ne provano la

23 Il Vaticano II riconosce la stessa idea: «È dunque evidente che la comunitàpolitica e l’auorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e per-ciò appartengono all’ordine prestabilito da Dio» (GS 74). Per i testi classici, vediB. SCHWALM, Démocratie, in DThC 4 (1939) 271-321, spec. 289-293; cf. anche E.VALTON, État, in DThC 5 (1939) 879-905, spec. 887-890 e A. BRIDGE, Tyrannie.Tyrannicide, in DThC 15 (1950) 1948-1988, spec. 1953-1966.

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fecondità pastorale gli ordini religiosi, e la sua legittimazioneteologica è inclusa nel fatto della introduzione del ritiro a 75 an-ni per i vescovi.

4/ Apertura

È ovvio che risultano possibili altre diagnosi di fondo e, diconseguenza, altre classificazioni dei temi. Ma quelli enumeratirispondono a problemi reali e segnalano compiti urgenti. Bisognaaggiungerne, tuttavia, due molto importanti, rafforzati propriodal fatto della celebrazione del più universale di tutti i concili.

Il primo è una nuova coscienza ecumenica. Essa risulta evi-dente riguardo alle confessioni cristiane, le cui differenze ap-paiono sempre di più come dispute domestiche che, come so-gnarono K. Rahner e H. Fries24, potrebbero trovare conciliazionegià con un generoso rispetto delle differenze. E si estende inar-restabile alle altre religioni: il concilio è stato timido perché, purriconoscendo valori positivi, non osa ammettere chiaramenteche si tratta, anche in esse, di valori strettamente religiosi e rive-lati25. Ma ha spalancato una porta, legittimando questa apertura,su uno degli spazi più decisivi del pensiero religioso attuale.

Qualcosa di analogo accade con il problema dell’ateismo.Dalla condanna polemica si passa al riconoscimento della pro-pria colpa «non piccola» (GS 19) e a valorizzare i suoi contribu-ti, in modo che alla fuga mundi succede ora la stima positiva del-la sua autonomia, e all’«extra ecclesiam nulla salus» si sostitui-sce la nuova percezione, molto bene espressa tempo fa da H.Zahrnt e diffusa da E. Schillebeeckx, che «al di fuori del mondonon c’è salvezza»26.

24 H. FRIES – K. RAHNER, La unión de las Iglesias, Barcelona 1987 [ed. it., Unionedelle Chiese, possibilità reale, Morcelliana, Brescia 1986].

25 Cf. spec. NA 2.26 H. ZAHRNT, A vueltas con Dios. La teología protestante en el siglo XX, Zaragoza

1972, 146 [ed. it., Alle prese con Dio. La teologia protestante nel XX secolo, Querinia-na, Brescia 19843, 138]; E. SCHILLEBEECKX, Los hombres, relato de Dios, Salamanca1994, 29-41.248 [ed. it., Umanità, la storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, 19-31.241].

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Sintetizzando in qualche modo: il compito di una teologiache, senza legarsi alla lettera del Vaticano II, voglia realizzarne lospirito, consiste nel riconoscere le istanze rinnovatrici scaturitedalla Riforma e dai tentativi successivi di rispondere alla muta-zione culturale della modernità27. Nel suo nucleo dovrebbe es-servi la preoccupazione di articolare in un modo nuovo il valoreautonomo del mondo e la rivelazione di un Dio che crea peramore e «consiste nell’essere amore in atto puro» (cf. 1 Gv 4,8.16).Un Dio, quindi, che non è né vuole essere altra cosa che salvez-za delle sue creature. Un Dio che, per usare le parole inauguralidel nuovo papa, «non toglie nulla, e dona tutto»28 e che, nella tra-duzione corretta del detto anselmiano, ci ama con «un amore piùgrande di quanto si possa pensare»29.

(traduzione dallo spagnolo di PIETRO CRESPI)

27 In questo senso risulta quasi sempre esemplare l’atteggiamento di F.Schleiermacher, ben sintetizzato da P. Tillich: «Nello sviluppo di ogni pensieroesamina sempre per prima cosa la teologia ortodossa, poi la critica pietista allaortodossia e finalmente la critica dell’Illuminismo ad ambedue gli indirizzi, pri-ma di offrire la propria soluzione» (Vorlesungen über die Geschichte des christlichenDenkens I, Stuttgart 1971, 291 [cf. in it., Storia del pensiero cristiano, Ubaldini, Ro-ma 1969]).

28 Omelia di Benedetto XVI per l’inizio del ministero petrino (24 aprile 2005) [te-sto it. in www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20050424_inizio-pontificato_it.html].

29 Schelling aveva fatto l’applicazione riferendosi alla rivelazione: cf. per esem-pio Philosophie des Offenbarung I, Darmstadt 1974, 27 [trad. it., Filosofia della rivela-zione, Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di A. Bausola, Rusconi, Mi-lano 1997]; J. WERBICK, Den Glauben verantworten. Eine Fundamentaltheologie, Frei-burg - Basel - Wien 2000, 286-289 e passim [trad. it., Essere responsabili della fede.Una teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2002, 347-351 e passim], studia be-nissimo questo argomento.