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Andrea Di Maio QUATTRO SENSI DI “FILOSOFIA CRISTIANA”: CONTRIBUTO ALLA RIDEFINIZIONE DEL PROBLEMA § 1. PRIMA TESI. Sulla questione della filosofia cristiana, e in particolare alla do- manda se sia filosoficamente e teologicamente possibile una filosofia caratterizzata dal cristianesimo, si adducono (da parte sia cristiana, sia non cristiana) argomenti ingenuamente favorevoli o contrari, ma alcune delle obiezioni (da parte non cristia- na) mettono radicalmente in discussione la possibilità stessa per un credente di ra- gionare liberamente. Tuttavia, non la “filosofia cristiana” in sé, ma la polemica che se ne è fatta è il risultato di un malinteso, superabile definendo meglio il problema. La questione verte sulla “filosofia cristiana”: con tale espressione, coniata in età patristica per indicare la novità cristiana rispetto alla tradizione ellenica nella ricerca della sapienza, si è soliti esprimere l’eventuale caratterizzazione cristiana del pensiero 1 . E ci si domanda se una tale filosofia sia realmente possibile e utile (e cioè legittima tanto per la filosofia quanto per il cristianesimo). Preannunciata da alcune polemiche ottocentesche, fu soprattutto negli anni Trenta del Novecento che si è sviluppata la discussione sulla legittimità di una tale “filosofia cristiana”. Da un punto di vista cristiano, riprendendo la diffidenza deuteropaolina per la “vana filosofia secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” e l’opposizione patristica fra Atene e Gerusalemme, c’è chi ha fatto notare la separazione tra la sfera della filosofia e quella del cristianesimo: se è filosofia non è cristiana e se è cristiana non è filosofia 2 ; viceversa, c’è chi ha insistito che la filosofia è filosofia e basta. Così Tertulliano afferma che non è bene cercare se non ciò che è bene trovare e che la ricerca è finalizzata alla fede, e che una volta trovato, non si deve cercare oltre, come 1 Questa distinzione cerca di sistematizzare diversi contributi alla discussione sulla filosofia cristiana. Per lo “status quaestionis” cf Emerich CORETH e altri (ED.), Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, 3 vol., Graz - Wien - Köln, Styria 1987-1990; ed. it. a cura di Gaspare Mura e Giorgio Penzo, La filo- sofia cristiana nei secoli XIX e XX, 3 vol., Roma, Città Nuova 1993-1995; in particolare i contributi introduttivi di Heinrich SCHMIDINGER (secondo l’edizione italiana): Sulla storia del concetto di “filosofia cristiana”, vol. 1, p. 33- 52; La disputa sulla filosofia cristiana considerata nel proprio contesto, vol. 3, p. 49-76. 2 Così Karl BARTH, al principio della Dogmatica Ecclesiale del 1932. In ambito protestante una certa propensio- ne alla separazione tra filosofia e teologia è dovuta anche al fatto che il libro deuterocanonico della Sapienza, con la sua importante ammissione della possibilità di un discorso analogico su Dio, non è considerato canonico e pertanto ispirato.

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Andrea Di MaioQUATTRO SENSI DI “FILOSOFIA CRISTIANA”:

CONTRIBUTO ALLA RIDEFINIZIONE DEL PROBLEMA

§ 1. PRIMA TESI. Sulla questione della filosofia cristiana, e in particolare alla do-manda se sia filosoficamente e teologicamente possibile una filosofia caratterizzatadal cristianesimo, si adducono (da parte sia cristiana, sia non cristiana) argomentiingenuamente favorevoli o contrari, ma alcune delle obiezioni (da parte non cristia-na) mettono radicalmente in discussione la possibilità stessa per un credente di ra-gionare liberamente. Tuttavia, non la “filosofia cristiana” in sé, ma la polemica chese ne è fatta è il risultato di un malinteso, superabile definendo meglio il problema.

La questione verte sulla “filosofia cristiana”: con tale espressione, coniata in etàpatristica per indicare la novità cristiana rispetto alla tradizione ellenica nella ricercadella sapienza, si è soliti esprimere l’eventuale caratterizzazione cristiana del pensiero 1.E ci si domanda se una tale filosofia sia realmente possibile e utile (e cioè legittimatanto per la filosofia quanto per il cristianesimo).

Preannunciata da alcune polemiche ottocentesche, fu soprattutto negli anni Trentadel Novecento che si è sviluppata la discussione sulla legittimità di una tale “filosofiacristiana”.

Da un punto di vista cristiano, riprendendo la diffidenza deuteropaolina per la“vana filosofia secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” e l’opposizionepatristica fra Atene e Gerusalemme, c’è chi ha fatto notare la separazione tra la sferadella filosofia e quella del cristianesimo: se è filosofia non è cristiana e se è cristiananon è filosofia 2; viceversa, c’è chi ha insistito che la filosofia è filosofia e basta.

Così Tertulliano afferma che non è bene cercare se non ciò che è bene trovare e chela ricerca è finalizzata alla fede, e che una volta trovato, non si deve cercare oltre, come

1 Questa distinzione cerca di sistematizzare diversi contributi alla discussione sulla filosofia cristiana. Per lo

“status quaestionis” cf Emerich CORETH e altri (ED.), Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20.Jahrhunderts, 3 vol., Graz - Wien - Köln, Styria 1987-1990; ed. it. a cura di Gaspare Mura e Giorgio Penzo, La filo-sofia cristiana nei secoli XIX e XX, 3 vol., Roma, Città Nuova 1993-1995; in particolare i contributi introduttivi diHeinrich SCHMIDINGER (secondo l’edizione italiana): Sulla storia del concetto di “filosofia cristiana”, vol. 1, p. 33-52; La disputa sulla filosofia cristiana considerata nel proprio contesto, vol. 3, p. 49-76.

2 Così Karl BARTH, al principio della Dogmatica Ecclesiale del 1932. In ambito protestante una certa propensio-ne alla separazione tra filosofia e teologia è dovuta anche al fatto che il libro deuterocanonico della Sapienza, con lasua importante ammissione della possibilità di un discorso analogico su Dio, non è considerato canonico e pertantoispirato.

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pretendono di fare gli eretici (gnostici), ispirati dalla vana curiosità della filosofia 3. Vi-ceversa, gli Alessandrini ammettono la possibilità di una gnosi cristiana 4.

Quanto poi a una “filosofia cristiana” essa, così come una – certamente improponi-bile – aritmetica cristiana 5, non sarebbe che un “ferro di legno” (cioè una contradictioin terminis), una “quadratura del cerchio” (cioè un tentativo vano) e insomma il risultatodi un malinteso 6.

Questo per l’incommensurabilità di ragione e fede, la quale riterrebbe follia la ri-cerca della ragione e si presenterebbe essa stessa come follia a quest’ultima.

«Fede e sapere non vanno d’accordo nello stesso cervello: essi vi stanno come lupoe pecora nella stessa gabbia» 7.

In risposta alla questione va detto che tuttavia, a ben intendere, non l’idea di“filosofia cristiana” ma la discussione critica che ne è stata fatta sembra il risultato di unmalinteso, che si può superare solo definendo adeguatamente ciò di cui si tratta.

Per “filosofia cristiana” si intende in senso minimale la storia e la fenomenologia(in diacronia e sincronia) delle dottrine filosofiche elaborate dai cristiani (PhilosophiaChristianorum); in senso lato, filosofia della religione applicata al cristianesimo (Philo-sophia Christianismi, col genitivo oggettivo); in senso stretto, il complesso di “in-tra-strutture filosofiche” implicite nel messaggio cristiano (Philosophia Christianismi,col genitivo soggettivo); in senso forte, una filosofia specificamente cristiana pensabilefilosoficamente “supposita veritate revelationis”.

Non esiste alcun motivo per rifiutare l’idea di una filosofia cristiana nei primi tresensi; nel quarto senso, invece, tale speculazione potrà essere accolta come filosoficasolo in modo paradossale.

3 Cf TERTULLIANO De praescriptione haereticorum, 7.12-13; 8.1; 9.4; 14.9; De anima, 2.7; cf Giuseppe VISONÀ,

Gli scritti antieretici, § 3 [«“Cercate e troverete”. La controversia sul quaerere»], in Enrico DAL COVOLO, Storiadella teologia. 1. Dalle origini a Bernardo di Chiaravalle, Dehoniane, Roma - Bologna 1995, 72-73 (e bibliografiacitata).

4 In particolare, ORIGENE [ad esempio in In Canticum, 1.7] interpreta la ricerca dell’amata per l’Amato come laricerca dell’anima per la sapienza mistica; cf Giuseppe TURBESSI, Quaerere Deum: la ricerca di Dio in antichi testicristiani, «Rivista di Ascetica e Mistica» 1964, p. 240-255.

5 Così Arthur SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena, vol. 1, “Sulla filosofia delle università”, trad. it. a curadi Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1981, p. 204: «Altri poi fondono filosofia e religione in un centauro da loro chia-mato filosofia della religione e sono soliti inoltre insegnare che la religione e la filosofia sono propriamente la stessacosa. […]. Altri ancora non fanno troppi complimenti e e parlano addirittura di una filosofia cristiana; ciò equivaleper così dire a parlare di una aritmetica cristiana, che consideri come pari il 5». C’è da dire che qui l’obiettivo pole-mico era la filosofia idealistica che intendeva assorbire speculativamente il cristianesimo. Tuttavia altrove Schopen-hauer ribadisce l’alternativa: “O si ragiona o si crede”.

6 Heidegger apriva nel 1935 la sua Introduzione alla metafisica con la domanda metafisica fondamentale:“Perché in generale vi è l’essente e non il nulla?”; e ribadiva che l’affermazione biblica “In principio Dio creò il cieloe la terra” non può esserne la risposta, non avendo alcun rapporto con la domanda: «Quanto propriamente viene ri-chiesto nella nostra domanda è per la fede una follia: è in tale follia che consiste la filosofia; quanto poi a una‘filosofia cristiana’ essa non è che una specie di ferro ligneo e un malinteso». Heidegger riteneva la filosofia non soloestranea ma rovinosa per la fede. In questa linea va intesa anche la sua critica verso l’ontoteologia (l’uso della nozio-ne di essere, essenzialmente filosofica, per la concezione di Dio).

7 Così Arthur SCHOPENHAUER: dalla silloge, compilata da Franco Volpi utilizzando testi pubblicati e postumi,L’arte di insultare, Adelphi, Milano 1999, p. 62 (cf anche Parerga, vol. 2, § 175): «Fede e sapere non vannod’accordo nello stesso cervello: essi vi stanno come lupo e pecora nella stessa gabbia; e il sapere è il lupo che minac-cia di divorare il suo vicino. Il sapere è fatto di materia più dura della fede, di modo che, quando cozzano fra loro, lafede si spezza».

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§ 2. SECONDA TESI. Per ‘filosofia cristiana’ si intende progressivamente: la storia ela fenomenologia della filosofia dei cristiani; la filosofia della religione cristiana;l’ermeneutica e sistematica razionale delle intra-strutture filosofiche del Cristiane-simo; e infine il senso cristiano della filosofia.

Intendiamo ‘filosofia cristiana’ in più sensi, analogicamente (per prius et posterius)connessi.

1. Innanzitutto, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso lato e immediato (cioèstorico e fenomenologico) la philosophia Christianorum (col genitivo soggettivo), ossiala filosofia elaborata da quanti per fede o per cultura sono cristiani o perlomeno “nonpossono non dirsi” tali.

La “filosofia cristiana” così intesa non solo è data come fenomeno storico, ma possiede anche unasua giustificazione teoretica. Infatti, poiché “prima si vive, e solo poi si filosofa”, non si dà filosofia aprescindere dalle condizioni vitali della conoscenza; pertanto, poiché la fede è – per i cristiani filosofi –motivo d’ispirazione e riflessione (dal punto di vista psicologico), legame d’interazione e tradizione (dalpunto di vista sociologico), ma soprattutto “nuovo orizzonte di senso” 8 (dal punto di vista esistenziale),non può non esistere una “filosofia dei cristiani”, riscontrabile nella storia e nella fenomenologia dell’in-flusso esercitato dal cristianesimo sul filosofare. In questo senso si può anche individuare una specificitàcattolica o protestante, latina o orientale, e perfino una francescana o domenicana o altro ancora… delpensare.

Alla philosophia Christianorum può essere parzialmente assimilata la filosofia di quanti, pur nonessendo propriamente credenti in Cristo o appartenenti alla Chiesa, risentono tuttavia del suo messaggio,al punto da ammettere loro stessi di “non potersi non dire cristiani” 9.

In tale prospettiva, la filosofia cristiana (come del resto il cristianesimo stesso) ètrasversale alle diverse epoche storiche e non si può ridurre a quella particolare forma(per quanto emblematica) che fu la filosofia medievale (patristica e scolastica).

Nella storia si sono susseguite finora quattro differenti posizioni del cristianesimo rispetto al“mondo”: il “regime di dispersione” a mo’ di lievito nella pasta, proprio del cristianesimo primitivo; il“regime di cristianità”, in cui il cristianesimo è venuto a coincidere con la società formando la respublicaChristiana post-costantiniana e medievale; il “regime di modernità”, in cui la riscoperta di una legittimalaicità e secolarità si è spesso attuata in polemica contro la Chiesa e la trascendenza; e infine la situazionedella società attuale, definita post-moderna, che pur non essendo più cristiana, però pone ai cristiani lesfide della secolarità, del senso della vita e della comunicazione. Ogni epoca infatti pone alcune sfide ca-ratteristiche, a cui si possono pure dare risposte diverse e contrarie; ma poiché “i contrari sono nel mede-simo genere”, la diversità delle risposte sarà sempre all’interno di un medesimo orizzonte culturale,quello appunto offerto dalla stessa sfida. È in questo senso che non possiamo mai non essere contempo-ranei, perché anche se non condividessimo le risposte che i più rinomati alfieri della contemporaneitàhanno dato alle sfide odierne, nondimeno queste ultime resterebbero anche le nostre sfide. La posizionedella filosofia cristiana nei confronti della modernità e della post-modernità non è pertanto di opposizionealternativa, ma di mutua implicazione: non si tratta infatti di scegliere tra cristianesimo e modernità (opost-modernità), ma semmai di declinare il cristianesimo nella modernità (o post-modernità).

2. Parallelamente, per “filosofia cristiana” si intende in senso lato ma mediato (cioèsistematico) la philosophia Christianismi (col genitivo oggettivo), scilicet de Christia-nismo, ossia la filosofia che ha come oggetto il cristianesimo.

8 Cf Peter HENRICI, Aufbrüche christlichen Denkens, Einsiedeln, Johannes Verlag 1978, p. 24. In questa direzio-

ne va Carlo HUBER (nel suo volume Vegliate dunque. La costituzione della realtà. Introduzione al pensiero trascen-dentale, Cittadella, Assisi 1999), interpretando la «nuova creatura» [2Cor 5,17] (costituita da chi è «in Cristo») comela ricostruzione della realtà nel nuovo orizzonte della fede.

9 Secondo l’espressione con cui Benedetto CROCE ha intitolato una sua celebre conferenza, poi pubblicata.

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Si tratta dunque di una filosofia “seconda” o “al genitivo”: la “filosofia della “religione cristiana”,ossia quella parte della “filosofia della religione” che riflette sui problemi posti alla filosofia dal cristiane-simo (filosoficamente compreso come “religione”, senza cioè pronunciarsi sulla sua pretesa di essere “lavia” – rivelata da Dio – di salvezza). La filosofia, che per sua natura vuole comprendere tutto, non puòomettere di “esplorare i suoi propri confini”, né lasciare fuori di sé il cristianesimo e la sua teologia. Ilcristianesimo “fa pensare” sia per il suo rapporto di originalità senza rotture e continuità senza riduzionicon la filosofia e le religioni non cristiane, sia perché il centro del cristianesimo (Cristo) dà alla filosofial’idea chiave di un “universale concreto” in cui si realizza l’“unione senza confusione” di infinito e finito,Dio e Uomo. Pertanto la filosofia della religione cristiana si presenta non solo come riflessione filosoficasui singoli aspetti del cristianesimo (il suo linguaggio, la sua logica, le sue forme culturali e rituali, la suateologia…), ma soprattutto come “cristologia filosofica” (a cui si connette una pneumatologia eun’ecclesiologia) 10, ossia, più in generale, come “cristianologia” filosofica: riflessione che può esserecondotta egualmente da filosofi credenti e non credenti in Cristo.

La “filosofia (della religione) cristiana” e la “teologia (cristiana) fondamentale” studiano entrambeil messaggio cristiano (con la sua “pretesa” d’essere rivelato), indagandone però rispettivamente le condi-zioni di pensabilità (e possibilità) e le condizioni di credibilità, e costituendo così l’“interfaccia” 11 tra lafilosofia simpliciter e la teologia cristiana; questo richiede l’uso non soltanto di “ragioni dimostrative” (apartire da primi principi condivisi da tutti), ma anche di “ragioni solo probabili” 12 (a partire da principi difatto non condivisi e dall’esperienza di fede, assolutamente personale).

3. Poi, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso stretto e proprio la philosophiaChristianismi (col genitivo possessivo o soggettivo), scilicet in Christianismo exercita,ossia la filosofia che è implicita nel cristianesimo stesso e di cui il cristianesimo è lato-re.

La filosofia è infatti presente nel cristianesimo non solo in quanto importata dall’esterno, o comeinfra-struttura (assunta e fatta propria dal messaggio cristiano 13), oppure come sovra-struttura (applicataal messaggio cristiano così da costruire la “teologia come scienza”), ma anche in quanto generata dal suointerno, ovvero come intra-struttura 14.

Ebbene, queste strutture interne al cristianesimo possono “far pensare” il filosofo; di converso, la ri-flessione del filosofo su di esse può far pensare più a fondo il teologo 15.

10 Cf Xavier TILLIETTE, Filosofi davanti a Cristo, Queriniana, Brescia 1989; Le Christ des philosophes. Du

Maître de sagesse au divin Témoin, Namur, Culture et Verité 1993 (per una presentazione concisa del tema, cf SergioPISA, Filosofia e cristologia. Una lettura del pensiero di Xavier Tilliette, in «Filosofia» 1997, p. 133-153); La setti-mana santa dei filosofi, Morcelliana, Brescia 1993; Il Cristo dei non-credenti e altri saggi di filosofia cristiana,AVE, Roma 1994; Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica, Morcelliana, Brescia 1997; cfanche Eucharistie et philosophie, Paris, Institut Catholique 1983; La Chiesa nella filosofia, trad. it., dal manoscritto,di Giuliano Sansonetti, Morcelliana, Brescia 2003; Che cos’è cristologia filosofica?, Morcelliana, Brescia, in via dipubblicazione nel 2003.

11 Secondo una espressione adoperata oralmente da Xavier Tilliette; per il rapporto con la teologia fondamentalecf Karl RAHNER (con il contributo di Johann Baptist Metz), Hörer des Wortes, München, Kösel 21963; trad. it., Udi-tori della parola, Roma, Borla 1988.

12 Secondo l’espressione di Tommaso in SCG 1.9.5-6.13 Così, ad esempio, il “culto razionale” di cui parla Paolo [in At 17,22-29 e Rm 12,1-2] richiama e riadatta dot-

trine filosofiche previe.14 Questa considerazione rielabora una suggestione di Henri BOUILLARD, Logique de la foi, Paris, Aubier 1964,

p. 121 (in nostra traduzione): la teologia naturale è «l’intrastruttura (e non propriamente l’infrastruttura) razionaledella teologia cristiana».

15 Cf Peter HENRICI, La dramatique entre l’esthétique et la logique, in Pierre Philippe DRUET (ED.), Pour unephilosophie chrétienne. Philosophie et Théologie, Paris - Namur, Lethellieux - Culture et Verité 1984 (in nostra tra-duzione; il testo originale trattavia in particolare della struttura della trilogia balthasariana): «la struttura stessa<della teologia> […], dettata da ragioni d’ordine strettamente teologico, “dà da pensare” (o può dar da pensare) allafilosofia; e forse, allora, all’inverso, le […] riflessioni di un filosofo […] potranno “dar da pensare” ai teologi stessi».Si noti che la funzione di “dar da pensare” (secondo la celebre formula di Ricoeur) viene trasposta dalla metafora let-teraria alla struttura della teologia.

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Per quanto riguarda le sue infrastrutture, il paradosso del cristianesimo è proprioquesto: da una parte, secondo la celebre affermazione della antichissima Lettera a Dio-gneto, i cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per lingua né per cultura, mad’altra parte il cristianesimo è legato indissolubilmente ad alcune lingue e culture, perla sua fondamentale storicità, che gli deriva dalla fede nell’incarnazione del Verbo edalla conseguente communicatio idiomatum (secondo la quale Dio stesso in Gesù haparlato aramaico). Riprendendo e sviluppando una suggestiva immagine bonaventuria-na, possiamo dire che le tre lingue (e culture) ebraica, greca e latina, in cui fu compostal’iscrizione posta sulla croce di Gesù, sono rimaste definitivamente inchiodate al suoMistero 16.

Chi perseguisse dunque una radicale de-ellenizzazione del cristianesimo si comporterebbe comequel restauratore che, per togliere le incrostazioni successive da un dipinto, raschiasse via anche partidell’originale. Infatti, la cultura greca non si è semplicemente sovrapposta al messaggio biblico, ma ne èentrata in un certo senso a far parte, se consideriamo gli influssi culturali greci nel libro della Sapienza onelle lettere paoline o nel prologo giovanneo; tanto più che molto spesso l’opera di de-ellenizzazione fi-nisce per sostituire surrettiziamente alla cultura greca qualche altra cultura o filosofia. E se i primi pen-satori cristiani hanno adoperato il pensiero greco pagano nelle proprie sintesi teologiche, questo non èstato soltanto per uno sforzo di interculturazione con chi non crede, ma anche perché le ragioni e unacerta autorevolezza dei filosofi greci erano state in qualche modo e in certa misura assunte dalla Scritturasacra, come nel discorso di Paolo all’Areopago 17.

La “filosofia cristiana” in senso stretto consiste insomma implicitamente nell’insie-me delle “intra-strutture filosofiche” del cristianesimo ed esplicitamente nella loro ra-zionale interpretazione e sistemazione.

Tali strutture sono implicite nel cristianesimo e nei suoi testi fondamentali non nel senso che vi sia-no sottintese (quasi vi fossero dette sottovoce o in cifra), ma in quanto vi sono concretamente (e nonsempre consapevolmente) esercitate.

Più precisamente possiamo distinguere una filosofia cristiana implicita nel vissutostesso del cristianesimo (philosophia Christiana exercita), e in particolare nella mistica;e una “filosofia cristiana” in esercizio (philosophia Christiana professa in actu exercito)nella filosofia dei “cristiani filosofi”; e infine una filosofia cristiana tematizzata e rifles-sa (philosophia Christiana professa in actu signato), che all’interno delle precedenti ri-conosce e discute le intra-strutture filosofiche, elaborandone una ermeneutica e sistema-tica razionale; inoltre, all’interno di essa, si colloca infine la riflessione seconda sopral’identità e la funzione della filosofia cristiana stessa (philosophia Christiana professaex professo).

Per intenderci, al primo dei gradi si colloca tutta la vita cristiana, soprattutto inquanto “mistica” (sia ordinaria, sia straordinaria, e prescindendo dal suo preteso caratte-re sovrannaturale), intesa come visione del mondo capace di coglierlo come un tuttodotato di senso; al secondo dei gradi si presenta la filosofia dei cristiani, praticata ordi-nariamente (ossia nel comune dibattito all’interno della più vasta comunità filosofica),ossia come una filosofia cristiana in esercizio, che pur essendo cristiana nell’intimo nonsi presenta formalmente e segnatamente come tale; al terzo grado, ma rinvia tale com-

16 Cf BONAVENTURA, In Hexaëmeron 14.19: «[Christus] habuit tres filios, scilicet Graecos, Iudaeos et Latinos:

quia scriptus erat titulus litteris Graecis, Hebraicis et Latinis» (i tre “figli” sono la Chiesa dalla circoncisione e leChiese dalle genti d’oriente e d’occidente).

17 Cf TOMMASO D’AQUINO, ST1 1.8 co + ra 2: «Non [...] ad probandos articulos fidei per rationes, sed ad solven-dum rationes, si quas inducit, contra fidem»; «sicut Paulus [...] inducit verbum Arati».

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prensione alla “filosofia cristiana” riflessa, intesa come particolare indirizzo di rifles-sione filosofica.

L’interpretazione e sistemazione di tali strutture, pur riguardando in pieno la teolo-gia, nondimeno è pienamente filosofica, in quanto non si fonda sull’auctoritas (che èl’autorevolezza e autenticità di una rivelazione), ma sulla sola ratio. E per questo, anchela “filosofia cristiana” intesa in questo senso stretto può pretendere di essere universale,come ogni filosofia, e può essere in tutto o in parte condivisa anche da non cristiani.

Le intra-strutture filosofiche del cristianesimo vanno interpretate soprattutto a partire dai testi reli-giosi fondamentali della tradizione cristiana, e in particolare dalla Bibbia: infatti essa, in quanto Biblia,ossia “Libro fatto di libri” (ciascuno col suo autore e i suoi destinatari, e tuttavia riuniti insieme a formareun nuovo testo, che non è più la semplice somma dei suoi componenti) rinvia almeno idealmente ad unMeta-Autore, ad un Meta-Messaggio e ad un Meta-Destinatario, ed è quindi particolarmente suscettibiledi letture e interpretazioni sempre nuove e perfino indipendenti dal testo stesso (purché coerenti ad esso),anche da parte del filosofo; inoltre, tale Scrittura – essendo stata da tutta una tradizione riconosciuta comeSacra – dev’essere un testo eminentemente metaforico (in quanto intende dire l’indicibile) e mistico (inquanto intende presentare il mistero), e proprio per questo particolarmente interessante anche per il filo-sofo.

Il filosofo può dunque rileggere filosoficamente la Scrittura, prescindendo dalla sua eventuale“auctoritas” e giudicando solo in base alla propria “ratio”: in tal modo la Scrittura, in quanto metaforica,“fa pensare” il filosofo, ma non ne determina normativamente il giudizio; e, in quanto mistica, non gliinteressa per spiegare «come il mondo è», ma per “sentire” con meraviglia «che esso è» 18. Il filosofo cri-stiano cioè (a differenza del teologo) non s’appella alla Scrittura, ma l’interpella, e si lascia interpellaresu di essa e da essa; come del resto molti altri filosofi interpellano e commentano i miti o i poeti, o addi-rittura parlano essi stessi mitologicamente o poeticamente, senza per questo confondere la filosofia con ilmito o la poesia.

In altre parole, tanto la filosofia cristiana in senso stretto, quanto la teologia speculativa (cristiana)studiano le strutture di pensiero del cristianesimo: però, la prima lo fa dal punto di vista metafisico(previo alla divisione disciplinare), la seconda invece dal punto di vista propriamente teologico.

4. Infine, per ‘filosofia cristiana’ si intende in senso forte o “enfatico” 19 la philo-sophia essentialiter Christiana (con l’aggettivo specificativo), che è data solo condizio-natamente, e cioè “supposita veritate revelationis”, ma che rimane filosoficamente pen-sabile, nello spazio dialettico dell’argomentazione probabile 20.

La specificazione di “cristiana” può infatti convenire alla filosofia dal di dentro(senza snaturarla) solo se si ammette la duplice manifestazione – naturale e sovrannatu-rale – di Dio mediante l’unico suo Verbo che però è (rispettivamente) concreatore e in-carnato.

Se infatti Cristo è veramente il Verbo “che illumina ogni uomo”, allora in ogni sistema filosofico sinasconde una philosophia naturaliter Christiana 21, di cui i filosofi, in quanto filosofi, non possono ac-corgersi, se non presupponendo la fede; in questo senso la filosofia non cristiana può essere “svelata a sestessa” 22 come “preparazione al Vangelo” 23 e il filosofo stesso ha potuto essere ritrovato nella figura del

18 Cf Ludwig WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus 6.44.19 Secondo una espressione cara a Xavier Tilliette.20 In base alla dottrina dei Topici e della Retorica di ARISTOTELE, già applicata da Tommaso in OCG [1 e pas-

sim] e SCG [1.9 e passim], e oggi riattualizzata da Chaïm PERELMAN nel Trattato dell’argomentazione: la nuova re-torica.

21 Cf rispettivamente Gv 1,9 e TERTULLIANO, Apologeticum 17: «O testimonium animae naturaliter christianae!»[testo tratto dal CLCLT-2].

22 Secondo la suggestione di Hans Urs VON BALTHASAR [in Apokalypse der deutschen Seele. Studien zu einerLehre von letzen Haltungen, 3 vol., Salzburg 1937-39].

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Precursore. Così tutta la filosofia può essere ricompresa teologicamente all’interno della teologia dellacreazione (ossia della manifestazione naturale di Dio a tutti gli uomini).

Se poi Cristo incarnandosi è veramente divenuto il “centro di ricapitolazione di ogni cosa”, “in cuisono nascosti tutti i patrimoni della sapienza e della scienza” 24, allora si dà anche una philosophia super-naturaliter Christiana, ossia un filosofare all’interno della fede e un rileggere cristianamente la filosofia,e, in generale, tutta la umana cultura e scienza (che è detta cristiana in quanto si dà un senso cristiano diessa 25). In questo consiste la filosofia cristiana in senso più pieno; essa si fonda su una «certezza che nonpuò essere <filosoficamente> comunicata, perché nasce unicamente dall’intimo dell’azione perfettamentepersonale» 26 e che perciò rimane filosofica solo in senso paradossale.

23 Secondo il titolo dell’opera di EUSEBIO DI CESAREA.24 Cf Ef 1,10 e Col 2,3; cf anche Col 1,15-20 e 2,1-10.25 Così ad esempio un brillante esempio di rilettura cristiana (e cristocentrica) non solo della filosofia, ma di

tutto il sapere e di tutta la cultura (compresa la tecnologia) è quello offerto da BONAVENTURA in De reductione artiumad theologiam e in Collatio in Hexaëmeron 1.

26 Maurice BLONDEL, L’Action (1893), conclusione.

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RIEPILOGO SCHEMATICO DEI QUATTRO SENSI DI “FILOSOFIA CRISTIANA”

1. PHILOSOPHIA CHRISTIANORUM [gen. sogg.]

= Storia (diacronica) e Fenomenologia (sincronica) della Filosofia dei “Cristiani”

2. PHILOSOPHIA CHRISTIANISMI [gen. ogg.] scilicet de religione Christiana

= Filosofia della religione cristiana

Attraverso la riduzione filosofica della teologia e l’analisi di “momenti” e “figure”:

3. PHILOSOPHIA CHRISTIANISMI [gen. sogg.]scilicet in Christianismo exercita

= Ermeneutica e Sistematicadelle intra-strutture filosofiche del Cristianesimo

3.1 Implicitamente

3.1.1 Filosofia implicita (exercita) nel Cristianesimo

3.1.2 Filosofia cristiana in esercizio (professa in actu exercito)

3.2 Esplicitamente

3.2.1 Filosofia cristiana tematizzata (professa in actu signato)

3.2.2 Filosofia cristiana in riflessione tematica (professa ex professo)

NB: Uso neutrale, reciproco, interno, esterno della Filosofia Cristiana

Attraverso la tematizzazione del’interazione tra fede e ragione:

4. PHILOSOPHIA ESSENTIALITER CHRISTIANA= Filosofia specificamente cristiana, in due sensi, secondo lo “schema del doppio”:

4.1 Philosophia naturaliter Christiana 4.2 Philosophia supernaturaliter Christiana

§ 3. TERZA TESI. Per ‘lemmata Christianorum’ si intende la terminologia coniata osemanticamente modificata dal cristianesimo, il cui uso – specifico e aspecifico – ri-flette e manifesta le intra-strutture filosofiche del cristianesimo.

In base ai quattro sensi di filosofia cristiana, deriva l’ammissibilità, riconoscibilitàed eventuale classificabilità di “concetti” e “vocaboli” cristiani (i lemmata Chri-stianorum) come “categorie” del cristianesimo.

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1. Per lemmata Christianorum intendiamo il lessico proprio del cristianesimo inquanto o morfotematicamente coniato o almeno semanticamente modificato dai cri-stiani, a motivo del nuovo orizzonte di senso costituito dalla loro fede.

2. Lo studio lessicografico e logografico di tali lemmi rientra nella filosofia del lin-guaggio cristiano, il cui impianto lessicale e concettuale è per un verso a-specifico(ossia in rapporto di continuità e comunanza rispetto al contesto non cristiano), ma perl’altro verso specifico (ossia in condizione di discontinuità e originalità).

I lemmata Christianorum hanno la duplice funzione di esprimere tanto il sermo de Deo quanto ilsermo cum Deo, e anzi, questo prima di quello (in conformità anche a quello che era ed è lo spirito dome-nicano): la lex orandi per la teologia è lex credendi; per la filosofia, invece, è lex cogitandi (non cogno-scendi), in quanto appunto “dà da pensare” al filosofo, pur non bastando a determinarne il giudizio.

3. Poiché in generale l’uso del lessico manifesta la philosophia exercita del lo-cutore, allora il sistema concettuale insito nell’uso dei lemmata Christianorum costitui-sce una delle più rilevanti intra-strutture filosofiche del cristianesimo.

Tali lemmi, che esprimono quei concetti utilizzati per pensare l’essenza del cristia-nesimo, sono paragonabili in parte agli otri nuovi fatti per contenere il vino nuovo; e inparte agli otri vecchi che devono essere riempiti fino all’orlo per contenere l’acqua tra-sformata in vino, e per poi esplodere 27: per un verso, infatti, i concetti precristiani (ocomunque non cristiani) vengono assunti, affinati ed estesi, per poter “pensare” e conte-nere il messaggio cristiano, fino ad “esplodere” nell’analogicità; per l’altro verso, lecategorie in cui è originariamente espresso il messaggio cristiano e le categorie in cui èstato successivamente riversato possono essere svuotate del loro contenuto teologico, edessere consegnate o restituite (affinate ed estese) al pensiero umano come categorie filo-soficamente significative anche al di fuori del cristianesimo.

Così, secondo il primo movimento, categorie filosofiche e religiose non cristiane possono essere ri-formulate per esprimere più adeguatamente il “nuovo” e possono perfino essere restituite“speculativamente più raffinate” alla filosofia: come ad esempio hanno fatto i Padri e gli Scolastici con lecategorie di natura, persona, essere, e così via.

Invece, secondo l’altro movimento, categorie bibliche o in generale cristiane possono essere secola-rizzate e utilizzate filosoficamente; e questo in in tre modi diversi: o per riduzione a concetti speculativi(come ad esempio ha fatto Hegel con la categoria di spogliazione…); o per assunzione dialettica comeprogetti o ipotesi (come ad esempio ha fatto Kierkegaard con le categorie di paradosso, scandalo, mo-mento…); o per riconduzione al loro fondamento naturale e preconfessionale (alla luce del procedimento“socratico” e “anamnestico” adottato da Marcel per le categorie di mistero, fede, speranza, amore…) 28.

In una circolarità di movimenti, possiamo trovare nozioni come quelle di ricerca e di comunica-zione (e comunione), o di sapienza e affini, presenti in modo diverso tanto nel messaggio biblico quantonella tradizione culturale ellenica, dal cui incrocio sono state potenziate e perfezionate, offrendo un esem-pio significativo di interazione tra cristianesimo e filosofia e di contributo originale (ma non dirompente)del cristianesimo alla storia del pensiero.

27 Secondo una interpretazione metaforica incrociata di Mt 9,17 e Gv 2,3-10. Per la metafora dell’acqua della

filosofia mutata nel vino nuovo della teologia, cf BONAVENTURA, In Hexaëmeron 19 e André HAYEN, “Aqua totaliterin vinum conversa”. Philosophie et Révélation chez Saint Bonaventure et Saint Thomas, in: Metaphysik im Mittelal-ter: ihr Ursprung und ihre Bedeutung (Miscellanea Mediaevalia 2), Berlin, De Gruyter 1963, p. 317-324.

28 Cf di DIONIGI, De divinis nominibus; di BOEZIO, De duabus naturis; di TOMMASO, CMP 5 (e OEE); di GeorgWilhelm Friedrich HEGEL, Fede e Sapere, Conclusione, ed Enciclopedia, § 564-577; di Søren KIERKEGAARD, Il con-cetto dell’angoscia, 1; Esercizio del Cristianesimo, numero II (“una esposizione biblica e definizione cristiana deiconcetti”), e in particolare la parte relativa alle “categorie concettuali”; di Gabriel MARCEL, Il Mistero dell’essere,1.1 e 1.10.

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4. Ammessa la verità della rivelazione cristiana, la logografia di tali parole, espri-menti i lógoi (ossia parole e idee) comuni alla filosofia e alla teologia porta a scoprireche “al fondo delle parole si cela la Parola” 29. In tali lógoi, infatti, la filosofia cerca ilLógos originario e originante (interpretando umanamente il parlare proprio di Dio che èl’essere da lui creato); la teologia invece lo fa coincidere con il Lógos generato e incar-nato (interpretando il parlare umano della Scrittura, che si presenta come ispirato daDio).

§ 4. QUARTA TESI. Alla luce delle definizioni date di filosofia cristiana, si rispondefacilmente alle obiezioni da varie parti mosse al riguardo di una filosofia fatta dacredenti.

“Voi non cercate davvero, perché credete di aver già trovato (per fede)…; e se in-vece cercate, allora credete di credere (per doxa), ma non credete davvero…”. Ma noicontinuiamo a cercare con la ragione ciò che crediamo di aver trovato per fede!

“Se cercate con la ragione, cercate in malafede, perché non ammettereste mai diaver trovato qualcosa non conforme alla fede!”. Ma se non fossimo convinti di questo incoscienza, non avremmo perseverato nella fede! Poiché infatti, come dice Kant, il primodovere del filosofo (e non solo suo) è la coerenza (e non solo dottrinale, ma soprattuttoesistenziale), allora come disse Elia, «fino a quando zoppicherete da entrambi i piedi?Se infatti è Dio Baal seguitelo, ma se lo è il Signore adorate lui».

“Voi non siete liberi di dire ciò che volete!”. Ma noi vogliamo dire quel che dicia-mo!

«Voi siete condizionati da un a-priori…». Tutti lo siamo! Infatti, primum vivere,deinde philosophari e tutta la filosofia è immersa in un a-priori “teologico” (anche fosseateo), ossia l’orizzonte di senso della propria “visione del mondo”. E a maggior ragionelo siete voi, se presupponete che chi cerca non possa trovare.

«La fede e la teologia non necessitano di una filosofia e un’ontologia…». Ma percredere che “Dio ha risuscitato Gesù dai morti”, occorre avere almeno una precompren-sione di cosa significhino “Dio”, “risuscitare”, “morte” e di cosa comporti la nozione dicausalità, e così via…

«Sotto il nome di coscienza, voi coniate monete false davanti a voi stessi». Se lanostra zecca conia moneta falsa, cosa conia allora chi non ammette neppure una zecca?

“Ma la proiezione della fede in fondo vi fa comodo”. Ma a noi tanto comodo vera-mente non fa.

“Chi crede e filosofa, che farà qualora fede e filosofia confliggessero?”. Se si ri-sponde che vera fede e vera filosofia non potranno mai confliggere, provenendo en-trambe dall’unica fonte che è Dio che si manifesta per natura e si rivela per grazia, que-sto può andar bene teologicamente, ma non filosoficamente: infatti che esse non con-fliggano non è dimostrabile filosoficamente, ma solo teologicamente; come tale dunquenon è utilizzabile in una discussione filosofica. Anzi, aumenta il sospetto di un accomo-

29 Secondo un’espressione adoperata da Roberto Busa: «in verbis imis Verbum latet».

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damento surrettizio e di una “malafede” teologica. Viceversa il discorso è questo: seconfliggeranno, deciderà la coscienza. Infatti, in un primo caso, vale il principio delprimum vivere, deinde philosophari: ossia l’esperienza val più di una teoria. Nessun fi-losofo sacrificherà la vita per salvare la sua teoria (e se anche la sacrificasse, si trove-rebbe in contradictione exercita), ma semmai riformulerà la propria teoria fino a che siaadeguata alla vita. Ma se il conflitto è fra due teorie o due interpretazioni radicali dellavita, una dovuta alla fede e l’altra dovuta alla ricerca razionale, allora è la coscienza (inquanto misura misurata) che lo risolve. In questo senso, la fede rientra in quella cheCartesio chiamava “morale provvisionale” (e non, come spesso erroneamente s’intende“provvisoria”: in effetti essa è duratura), che non contrasta con le esigenze della ragio-ne; anzi le rende possibili e reali, facendole appoggiare sulla vita.

Però, come dice Schopenhauer, «fede e sapere non vanno d’accordo nello stessocervello: essi vi stanno come lupo e pecora nella stessa gabbia» 30. Ben stiano: se il lupomangerà la pecora, avremo un credulone di meno; se il lupo non potrà mangiarla, ab-biamo riscontrato che una fede irriducibile rimanda a una condizione in cui, secondoIsaia, «il lupo e l’agnello pascoleranno insieme». La fede in cui “si spera contro ognisperanza” (“in spe contra spem”) è appunto ciò che resiste alla critica di ogni vacuacertezza. Solo la fede che attraversa l’abisso della vacuità dell’esistenza merita di essercreduta («vanità di vanità: tutto è vanità; morale del discorso, dopo che si è ascoltataogni cosa: rispetta Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tut-to»). La speranza non è una falsa certezza, ossia una stampella che surrettiziamente unocerca in se stesso.

“Chi crede, trucca di nascosto i suoi ragionamenti filosofici”, come un prestigiatoreche dal suo speculativo cappello tragga il coniglio dogmatico che vi aveva prima sur-rettiziamente introdotto, o che poi sempre surrettiziamente lo sottragga al critico colpodi pistola. Ma ebbene, proprio secondo la felice immagine di Schopenhauer, non vìolala razionalità filosofica il filosofo che disponesse di una bussola segreta, che lo guidinella navigazione, purché egli rifaccia i suoi calcoli in base alle stelle e alle mappe co-munemente usate 31.

“In filosofia cristiana non fate vera filosofia, ma teologia della filosofia o apologiadella teologia”. Ma noi nella filosofia cristiana riflessa operiamo una particolare epoché

30 Così Arthur SCHOPENHAUER: dalla silloge, compilata da Franco Volpi utilizzando testi pubblicati e postumi,L’arte di insultare, Adelphi, Milano 1999, p. 62 (cf anche Parerga, vol. 2, § 175): «Fede e sapere non vannod’accordo nello stesso cervello: essi vi stanno come lupo e pecora nella stessa gabbia; e il sapere è il lupo che minac-cia di divorare il suo vicino. Il sapere è fatto di materia più dura della fede, di modo che, quando cozzano fra loro, lafede si spezza».

31 Cf Arthur SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena, vol. 2, § 10, trad. it. a cura di Giorgio Colli, Adelphi,Milano 1981 (qui citata con qualche correzione): «Nell’insieme la filosofia di tutti i tempi si può anche considerarecome un pendolo che oscilla tra razionalismo e illuminazionismo, cioè tra l’uso della fonte conoscitiva oggettiva edella fonte conoscitiva soggettiva. Il difetto fondamentale dell’illuminazionismo è che la sua conoscenza non è co-municabile, in parte perché per la percezione interiore non vi è il criterio dell’identità dell’oggetto per soggetti diver-si; in parte, perché tale conoscenza dovrebbe pur tuttavia essere comunicata mediante il linguaggio. […]. Ora unatale conoscenza essendo incomunicabile è anche indimostrabile. […]. Ma la filosofia dev’essere comunicabile; per-ciò deve essere razionalismo. Nondimeno alla base del razionalismo può essere un illuminazionimo travestito, versoil quale allora il filosofo guarda come verso una bussola nascosta, mentre per sua stessa ammissione egli regola il suocammino solo sulle stelle, cioè sugli oggetti che esistono esteriormente e chiaramente e tiene conto soltanto di questi.Ciò è ammissibile purché un tal filosofo non si metta a comunicare la conoscenza incomunicabile, bensì le sue co-municazioni restino puramente oggettive e razionali».

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fenomenologica, ossia la “messa tra parentesi” della fede, e la riduzione filosofica dellateologia (nel senso di “riconduzione”, inversa a quella teologica della filosofia, mostratada Bonaventura), ossia (blondelianamente) come ipotesi e pretesa.

“Voi, in quanto confessionalmente caratterizzati, fate una filosofia chiusa in sestessa”. Anzi, la filosofia cristiana costituzionalmente si confronta con le altre filosofie;delle altre si può dire altrettanto? Molte ragioni ha il cristiano filosofo per confrontarsicriticamente con altri: se uno ha paura di confrontarsi con chi non crede, non è sicuro diciò che crede; e se uno è così sicuro di ciò che crede, da non volersi confrontarsi con chinon crede, anche allora non è sicuro; bisogna paolinamente “saggiare ogni cosa” (colsapere) “per ritenerne ciò che è buono” (e mostrare coi fatti ai critici della fede chel’imperativo del credente non è “non devi sapere”); bisogna evangelicamente benedirequelli che ci maledicono (e quindi dir bene anche di chi come Nietzsche ha scritto una“maledizione del Cristianesimo”): infatti (parafrasando il vangelo), se leggiamo solo itesti di quelli con cui siamo d’accordo, che merito ne avremo? “Non fanno così anche ipagani?”.

§ 5. QUINTA TESI. La filosofia cristiana a volte è intesa in senso ambivalente, comecioè teologia (cristiana) della filosofia e come filosofia della teologia (cristiana),l’unica però ad essere filosofica in senso stretto.

Nel 1998, il papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et Ratio [76] ripren-deva la nozione di filosofia cristiana, garantendone da una parte la legittimità dal puntodi vista teologico (in quanto «speculazione filosofica concepita in unione vitale con lafede», ossia in senso enfatico, e non solo in senso minimale in quanto i filosofi cristiani«nella loro ricerca non hanno voluto contraddire la fede», ma comprendendovi anche«tutti quegli importanti sviluppi del pensiero filosofico che non si sarebbero realizzatisenza l’apporto diretto o indiretto della fede cristiana»), e però non entrandovi filosofi-camente nel merito, in quanto «non una filosofia ufficiale della Chiesa». In questo ven-gono distinti due aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, come valore della fedenei confronti della ragione, e uno oggettivo, riguardante i contenuti.

Ma c’è da dire che tutta questa distinzione rientra in una teologia (cristiana, o inquesto caso “cattolica”) della filosofia; viceversa noi dobbiamo anche fare una filosofiadella teologia (cristiana), in cui, certamente, anche la teologia della filosofia venga fattooggetto di riflessione.

Per fare un discorso filosofico, e non teologico, sulla filosofia cristiana, occorre pe-rò introdurre la nozione di epochè o messa tra parentesi della fede e la riconduzione fi-losofica della teologia (ossia una riduzione non “riduttivistica”), per cui categorie comequella di “rivelazione”, “sovrannaturale”, “peccato originale”, “Cristo come Uomo Dio”vengono ricondotte a categorie filosofiche della possibilità, quali pretesa di rivelazione,“ipotesi del sovrannaturale”, “ingiustezza originale”, “Idea di Uomo Dio”. Tale ricon-duzione sarà quindi aconfessionale, non nel senso di anticonfessionale, ma di precon-fessionale (in quanto fondata su princìpi a priori dell’atto di fede).

Tale filosofia cristiana può però essere attuata in actu exercito e in actu signato.Quest’ultima serve alla prima e alla verifica dei procedimenti di interazione tra espe-rienza religiosa cristiana e riflessione razionale autonoma. Ebbene, tale riflessione puòessere attuata in un regime di duplice focalizzazione: in focalizzazione interna (ossia

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come autocomprensione del cristianesimo) e in focalizzazione esterna (ossia come ete-rocomprensione del cristianesimo). Anche se solo un cristiano credente arriverà ad unapiena focalizzazione interna nella comprensione del cristianesimo, e solo un non cre-dente ad una piena focalizzazione esterna in essa, tuttavia credenti e non credenti, purseparati dalla nozione di mistero quale “nube chiaroscura” che “impedisce agli uni diaccostarsi agli altri” (per i credenti infatti il mistero è rivelativo, ma illuminante dispalle; per i non credenti invece il mistero è il residuo oscuro frontale), possono mu-tuamente aiutarsi nella elaborazione di una equilibrata e comunicabile filosofia cristia-na, utile agli uni come agli altri.

A tale scopo, bisogna innanzitutto determinare quale sia lo spazio filosofico di unaeventuale teologia rivelata; poi quale sia lo spazio teologico (nella concreta teologia delcristianesimo) per una filosofia; e infine stabilirne le modalità di interazione, avendo lacapacità di affrontare il problema non solo dal punto di vista della filosofia e da quellodella teologia cristiana, ma da entrambi, e in qualche modo da un punto di vista decen-trato.

§ 6. SESTA TESI. Lo “spazio filosofico” per una teologia positiva è dato dalla di-stinzione filosofica (e pre-cristiana) di tre modalità di ricerca del senso (cercarlo insé nella Gnosi, cercarlo da sé nella Filosofia, chiederlo a Chi possa e voglia comu-nicarlo per Rivelazione), sempre che in qualcuna sia possibile trovare ciò che sicerca.

Già Platone 32 aveva distinto tre modalità della ricerca riguardo alla realtà ultima,che possiamo, anche alla luce di sviluppi ulteriori, ridefinire così 33: cercar di trovare dasé e in sé (quaerere in se), cercare con le proprie forze ma in altro, come su una zattera(quaerere ex se), chiedere ad altri (quaerere ab alio) che possano e vogliano comuni-carci quanto cerchiamo, e quindi affidarci ad una più sicura navigazione. Queste sono infondo i tre approcci della Gnosi, della Filosofia e di una eventuale Rivelazione, approc-ci che anche storicamente si sono a volte mantenuti separati o addirittura opposti, avolte si sono invece intrecciati. Sia la Gnosi che la Rivelazione propongono una Sapien-za, ma la prima la coglie per illuminazione e ispirazione autonoma, la seconda la riceveper fede.

Ebbene, già Platone aveva enunciato da una parte la necessità di una mediazionefra logos e mythos religioso, onde evitare il rischio della misologia, e d’altra parte laconvenienza del credere 34. Oggi possiamo in riferimento alla questione religiosa acco-

32 Cf PLATONE, Fedone (trad. it.: Opere complete in CD, Laterza, Bari nel 1999): «Perché insomma, trattandosidi tali argomenti, non c’è che una cosa sola da fare di queste tre: o apprendere da altri dove sia la soluzione; o tro-varla da sé; oppure, se questo non è possibile, accogliere quello dei ragionamenti umani che sia se non altro il mi-gliore e il meno confutabile, e, lasciandosi trarre su codesto come sopra una zattera, attraversare così, a proprio ri-schio, il mare della vita: salvo che uno non sia in grado di fare il tragitto più sicuramente e meno pericolosamente supiù solida barca, affidandosi a una divina rivelazione» [35; è Simmia a parlare]; «Ora io, dunque, per apprendere unacausa di tal genere […], siccome […] non fui capace né di trovarla da me né di apprenderla da altri, mutai modo dinavigazione» [47; è Socrate a parlare]. In realtà, le vie prospettate sono quattro (anche se la rivelazione divina è am-messa solo come ipotesi limite); d’altra parte, l’apprendere la soluzione da altri ripropone il problema di come questia loro volta l’abbiano appresa; dunque tale approccio deve essere ricondotto a sua volta a uno degli altri tre.

33 Cf Andrea DI MAIO - Stefano GUACCI - Gianmarco STANCATO, Il concetto di “cercare” (‘quaerere’) in Tom-maso d’Aquino, in «Medioevo» 1996, p. 39-135.

34 Cf PLATONE, Fedone (trad. it. cit.) «Ma bisogna badare a che non ci càpiti il guaio […] di diventare misòlogi»[39; è Socrate a parlare]; «Certo, ostinarsi a sostenere che le cose siano proprio così come io le ho descritte, non si

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stare all’atteggiamento esclusivo della misologia, cioè il fondamentalismo, anche quellodi una analoga misomisterìa, o razionalismo.

Secondo una metafora medievale 35, la filosofia cristiana è come l’“aqua totaliterin vinum conversa” da Gesù alle nozze di Cana: ebbene, questo banchetto nuziale si so-vrappone al simposio filosofico, in cui si ricerca il vino della verità e ci si accorge che ilvino è venuto a mancare, ossia il senso sofico della vita, e si cerca di riempire le capa-cità umane fino all’orlo attraverso la mediazione di Gesù Cristo, nuovo mediatore (alposto dell’Eros platonico) tra divinità e umanità 36.

Platone aveva intrapreso una seconda navigazione, ossia metafisica, che è la teolo-gia razionale, ma aveva lasciato aperta la possibilità di una navigazione ulteriore. Taleterza navigazione più sicura è, secondo una nota interpretazione, quella che Agostinointendeva attraverso il Legno della Croce (giocando sull’ambivalenza semantica di‘lignum’, “legno” e “nave”) 37. Per Agostino la filosofia è Soliloquio come dialogo fra ilsé empirico e il Sé trascendentale e pertanto comunicabile (è questo il fondamento deldialogo interpersonale); una eventuale teologia rivelata sarebbe invece Confessione 38.

In maniera geniale Agostino aveva nel prologo delle Confessioni esposto l’aporiafondamentale, il circolo vizioso, della ricerca: chi cerca deve aver già trovato; chi chie-de deve conoscere prima di invocare, ma deve invocare per conoscere; e solol’eventuale autocomunicazione del Cercato può rompere il circolo, irrompendo in esso.Tale irruzione è la definizione filosofica del gratuito.

Significativamente il “gratuito” è duplice, indicando a volte la banalità del datosenza senso, e a volte la pienezza donata di senso.

Tutta la ricerca filosofica è immersa in un precategoriale orizzonte di senso, che èla personale e comunitaria “visione del mondo”, che pertanto costituisce per tutti i filo-sofi l’a-priori (in qualche modo “teologico”, in senso ampio) della propria filosofia.

Alla luce degli odierni sviluppi della filosofia, le possibili posizioni della questionedi senso sono fondamentalmente queste: il personalismo del Senso (il Senso c’è ed èpersonale e va personalmente scoperto, perché «Solo la verità che edifica è una veritàper te» 39); l’impersonalismo del Senso (il Senso c’è, ma è impersonale ed ineffabile 40);

addice a uomo che abbia senno; ma credere che sia così o poco diverso di così […], mi pare si addica, e anche mettaconto di avventurarsi a crederlo. E la ventura è bella. E giova fare a se stesso di tali incantesimi; e proprio per questogià da un pezzo oramai io tiro in lungo la mia favola» [63].

35 Cf Gv 2,3-10 e Mt 9,17; BONAVENTURA, In Hexaëmeron 19; cf anche André HAYEN, “Aqua totaliter in vinumconversa”. Philosophie et Révélation chez Saint Bonaventure et Saint Thomas, in: Metaphysik im Mittelalter: ihr Ur-sprung und ihre Bedeutung (Miscellanea Mediaevalia 2), Berlin, De Gruyter 1963, p. 317-324.

36 Devo la suggestione del Cristo nuovo Eros, e quindi nuovo filosofo, a una relazione tenuta da Giovanni Sal-meri a un convegno padovano per ricercatori del Centro di studi filosofici di Gallarate alla fine degli anni 1990.

37 Cf AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, 2.2 e 2.4; cf anche Giovanni REALE, Introduzione aAGOSTINO, Amore assoluto e «terza navigazione», Rusconi, Milano 1994, § 17-18.

38 Cf AGOSTINO, Soliloqui, 2.7.14; 1.1-2; 2.1; Confessioni 1.1; Ritrattazioni 2.6.1 e Sermone sulla triplice con-fessione.

39 Søren KIERKEGAARD, Aut Aut, Ultimatum (1843). Cf anche Postilla, 2.2.2 (1846): «Quando il problema dellaverità [essenziale] si pone in modo oggettivo, si riflette oggettivamente sulla verità come su un oggetto… e, rappor-tandosi ad esso, il soggetto è nella verità…; quando invece si pone in modo soggettivo, si riflette soggettivamente sulrapporto dell’individuo… e anche quando è nella verità, si rapporta alla non verità». Quello che Kierkegaard chiama‘oggettivo’ e ‘soggettivo’ forse è più chiaro se reso con ‘oggettuale’ e ‘personale’, per evitare che la posizione teore-tica kierkegaardiana venga fraintesa come soggettivismo.

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e il nichilismo del Senso (non vi è alcun Senso; siamo noi a doverlo dare 41). Accanto atali posizioni possiamo oggi individuare due vie di approccio al senso, rispettivamenteanalitica ed ermeneutica, in quanto cioè il “misterioso” ineliminabile può (solo?) essereindirettamente mostrato, analizzandone (ossia dissolvendone) la questione 42; oppurepuò (solo?) essere ri-cercato, interpretandone (ossia riproponendone e rielaborandone)la questione 43.

Ebbene, il personalismo del Senso può trovare la via mediana tra soggettivismo eoggettivismo (in quanto la verità personale è sì relativa al singolo soggetto, ma è a luioggettivamente data), attraverso la nozione tipicamente cristiana (ma pienamente filo-sofica) di appello della coscienza (o vocazione). La coscienza è la “mediazione imme-diata” che obbliga ciascuno ad essere fedele al «posto assegnatogli» (la táxis) nel mon-do.

La coscienza ha un ruolo teoretico indiretto: infatti la sua domanda non è quale siala verità in astratto, ma quale sia il mio posto nel mondo; ma da questo tutto segue. Ve-diamo come cambia la problematica religiosa se affrontata in termini di coscienza o diastrattezza.

In termini di astrattezza si dovrebbe rispondere alle seguenti domande: “C’è unSenso? È personale? È donato da un Dio? Tale Dio si rivela in una religione? Qual èquesta religione? Qual è la vera religione fra le tante che si conoscono e fra quelle chenon si conoscono ancora?”. Ciascuno vede che su tale via non si arriva da nessuna par-te.

Viceversa, dal punto di vista della coscienza l’uomo si chiede: “Dov’è il mio po-sto? A cosa sono chiamato?”. In altre parole (riprendendo la celebre metafora evangeli-

40 Cf Arthur SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena (1851), vol. 2, § 1 e 108-19: «La base […] su cui si fon-dano tutte le nostre nozioni e scienze è l’inspiegabile: ad esso riconduce ogni spiegazione […]; esso riguarda la me-tafisica»; «Le verità fisiche possono avere un gran significato esteriore, ma non interiore, che è privilegio delle veritàintellettuali e morali. […] Che il Mondo abbia solo un significato fisico e nessun significato morale: ecco il massimoerrore […], ciò che la fede ha personificato come Anticristo». È interessante che Nietzsche assuma proprioquest’ultima figura per esporre il suo nichilismo di senso.

41 Cf Friedrich NIETZSCHE, Volontà di potenza (edizione in trad. it. a cura di Ferraris e Kobau, con le importantiannotazioni, Bompiani, Milano 2001), Frammenti 2, 55 e 495 (1887): «Che cosa significa nichilismo? Significa che ivalori supremi perdono valore. Manca lo scopo. Manca la risposta al “perché?”»; «Pensiamo questo pensiero nellasua forma più terribile: l’esistenza qual è, senza senso né scopo, ma inevitabilmente ritornante, senza esito, nel nulla[…]: l’eterno ritorno […], il nulla (nonsenso) eterno!»; «Il senso della verità deve legittimarsi […] come volontà dipotenza. […] Noi possiamo capire solo un mondo che noi stessi abbiamo fatto». Se si continua a cercare un senso làdove non c’è si cade nel nichilismo passivo, ossia nella decadenza e nello sdoppiamento; se invece si accetta corag-giosamente che non vi è alcun senso con un nichilismo attivo, allora si può dar senso a ciò che in sé non ne ha.

42 Cf Ludwig WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus (1918): «La soluzione dell’Enigma della vita nellospazio e tempo è fuori dello spazio e tempo» [6.4312]; «Come il mondo è, è del tutto indifferente per ciò che è piùalto. Dio non rivela sé nel mondo» [6.432]; «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è» [6.44], ovvero sentireil mondo come un tutto limitato; «D’una risposta che non si può formulare non si può formulare neppure la domanda.Non si dà Enigma. Se una domanda può porsi, può pure avere risposta» [6.5]; «Noi sentiamo che anche qualora tuttele possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppuretoccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta» [6.52]; «La soluzione del proble-ma della vita si scorge allo sparir di esso» [6.521]; «Vi è davvero dell’ineffabile: esso mostra sé, è il Mistico»[6.522]; «Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere» [7].

43 Cf Martin HEIDEGGER, Essere e Tempo (1927; citato con qualche modifica nella trad. it. di Pietro Chiodi,Longanesi, Milano 1970), Esergo iniziale: «È dunque necessario riproporre il problema del senso dell’essere […]<incominciando> col ridestare la comprensione del senso di tale problema. Lo scopo del presente lavoro è quellodella elaborazione del problema […]; il suo traguardo provvisorio è l’interpretazione del tempo come orizzonte pos-sibile di ogni comprensione dell’essere in generale».

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ca), sebbene l’essenziale per il tralcio sia di essere attaccato alla sua vite, non è indiffe-rente dove: nessuno infatti può mettersi altrove che al “suo” posto. Da questa concezio-ne nasce anche una pluriversione (che non è molteplicità) della verità. Propriodell’amore è infatti fare a persone diverse doni diversi.

La verità personale può così essere oggettiva senza essere oggettuale, ossia am-mette un problema di sfumature: così, quando Moro ritiene di dover rifiutare il giura-mento al Re, non intende con questo condannare quanti invece hanno giurato 44.

L’idea di coscienza collettiva, ossia non di un singolo, ma di una persona corporativa, come laChiesa, costituisce il fondamento filosofico della sua pretesa di infallibilità quanto all’insegnamento con-nesso con la salvezza.

§ 7. SETTIMA TESI. Lo “spazio teologico” (ebraico-cristiano) per la filosofia è datodalla distinzione ebraica tra una legge data fuori e una dentro.

Lo schema del doppio si fonda sulla nozione già ebraica del duplice Verbo: «unasola Parola ha detto Dio, due però ne ho udite»: nella natura cioè e nella grazia. Per laprima, «i Cieli narrano la gloria di Dio»; per la seconda, «la Legge del Signore è per-fetta». Sebbene cioè fin dall’eternità Dio abbia detto nel suo Verbo tutto quello cheaveva da dire, nel tempo però quest’unico Verbo è stato espresso in due modi diversi,ossia nella creazione e nell’incarnazione. Sulla scorta del prologo di Giovanni e dellatradizione teologica, si parla perciò di un duplice Verbo.

Questo schema del doppio sarà adottato da tutta la cultura occidentale: sulle duebasi sono costruiti i due Libri, della Natura e della Scrittura; questo schema profonda-mente trasformato sarà alla base della distinzione galileiana fra la scienza e la teologia esecolarizzato sarà alla base dell’asserto kantiano del “Cielo stellato” e della “Legge mo-rale”, ossia della filosofia teoretica e pratica.

Secondo un testo classico all’inizio della lettera ai Romani, gli etnici sono legge ase stessi; da qui, l’idea patristica secondo cui quel che la Torah fu per i Giudei, fu laFilosofia per gli Etnici. Epicurei e Stoici sono nominati come interlocutori di Paoloall’Areopago; l’inno di Arato e varie affermazioni socratiche, platoniche ed anche ari-stoteliche sono citate nelle Scritture intertestamentarie e neotestamentarie. AddiritturaEpimenide viene considerato (anche se retoricamente) “uno dei profeti” dei cretesi.

Similmente, all’inizio della prima lettera ai Corinzi vengono opposti due atteggia-menti, che possiamo identificare nella filosemia giudaica e nella filosofia etnica (in par-ticolare ellenica), che sarebbero assunte e superate dal logos della croce. In questa pro-spettiva, i cristiani che senza tener conto della mutatio temporum (dall’antica alla nuovaalleanza) volevano unire alla fede cristiana il ritorno a tali atteggiamenti furono chia-mati (a volte ingiustamente e ingenerosamente) iudaizantes o philosophantes, questi ul-timi prosecutori della «vana filosofia ispirata agli elementi del mondo e non secondoCristo», secondo la celebre espressione della lettera deuteropaolina ai Colossesi.

44 Cf la “lettera a un prete” di Thomas MORE (dalle Lettere dal carcere): «Io non agisco per ostinazione, ma perla salvezza dell’anima mia, non potendo indurre la mia mente a pensare in modo diverso in merito al giuramento,[…] perché sono certissimo che se dovessi prestare giuramento [di sottomissione al Re quale capo della Chiesa angli-cana], arrecherei un dolore mortale alla mia coscienza […]. In quanto poi alla coscienza degli altri, io non ne sarògiudice; né mai ho spinto alcuno a prestare o a rifiutare il giuramento. […]. <Mi auguro comunque> […] che tutticoloro che hanno prestato giuramento possano mostrarsi verso il Sovrano sudditi leali quanto – come mi viene assi-curato – lo sono coloro che hanno rifiutato di prestarlo».

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Proviamo a ricostruire questa teologia del duplice Verbo in base soprattutto alla dottrina agostinianae bonaventuriana.

Innanzitutto c’è il Verbo increato, che fin da principio (nell’eternità) è nel seno del Padre e «permezzo del quale» al principio dei tempi «tutto fu fatto» e «senza del quale fu fatto nulla, cioè il peccato»;e questo Verbo «è la luce vera che illumina ogni uomo che viene nel mondo»: «questo […] Verbo è laVerità, ossia (secondo la definizione) “adeguazione dell’intelletto e della realtà intesa”, dell’intelletto cioèche è causa della realtà, e non del mio intelletto che della realtà non è causa» 45. Pertanto le diverse crea-ture sono come tante parole che significano l’unico Verbo increato, e tutto il creato (che le contiene) ècome un libro, il libro della natura, scritto in parte esteriormente (come libro del macrocosmo, o mondocorporeo esteriore, contenente le impronte di Dio), e in parte è scritto interiormente (come libro del mi-crocosmo, o anima, che di Dio è immagine). Tale libro contiene la legge di natura (ossia la rivelazionenaturale di Dio e dell’uomo), da cui deriva il diritto naturale (ossia la morale immutabile dell’uomo che èalla base del diritto positivo). La legge di natura è nascosta interiormente nella coscienza dell’uomo, cosìche siamo inescusabili se non la pratichiamo. Destinatari di tale rivelazione sono in generale «tutti gliuomini che vengono al mondo», ma in particolare essa è stata accolta dai patriarchi della Genesi e daifilosofi antichi, mentre i pagani l’hanno travisata giungendo alla perversione dell’idolatria. Per consentireall’uomo di leggere il libro della natura e la legge naturale, Dio lo ha provvisto del lume indito naturale(inserito per creazione nelle sue facoltà naturali), riflesso della luce vera del Verbo. Dopo il peccato, pe-rò, l’uomo peccatore, come un analfabeta, è incapace di comprendere il senso ultimo del libro che ha da-vanti, e perciò non può non può contemplare in alto per ottenerne la sapienza, ma solo considerare versoil basso, dove è la scienza. L’intelligenza del Verbo increato fonda la filosofia (che è la lettura e medita-zione del libro della natura in vista di una contemplazione sapienziale di Dio). Ma dopo il peccato l’uomopuò arrivare a sapere che ci dev’essere un Verbo increato, nel senso di un progetto creatore di Dio, manon arriva a conoscere il Verbo come seconda persona della Trinità: e pertanto l’intelligenza filosoficarisulta monca e bisognosa della fede.

Per salvare l’uomo da questa situazione «nella pienezza dei tempi» il Verbo «si è fatto carne» nelseno di Maria «ed abitò fra noi» e «per mezzo di lui venne la grazia e la verità»: infatti non solo riportòl’uomo allo stato naturale d’origine, ma lo riempì di grazia 46. Il Verbo incarnato stesso è un libro, scrittofuori e dentro (poiché è misteriosissimo, a causa del Mistero di unione fra Dio e Uomo), ma di lui parla ingenerale la Scrittura: «come infatti l’arca culminava in un cubito, così tutte le parole della Scrittura inquesto Verbo abbreviato, cioè nato, morto […] e risuscitato» 47. Anche il libro della Scrittura è scrittofuori (in quanto ha un senso letterale o esteriore) e dentro (in quanto ha un senso mistico), ma è sigillato,così che l’interno è leggibile solo grazie all’Agnello immolato, che è degno di «prendere il libro ed aprir-ne i sigilli»: infatti non si può comprendere la Scrittura se non in riferimento a Cristo morto e risorto.

I Filosofi (coi Patriarchi), i Giudei e i Cristiani sono dunque i tre destinatari della progressiva rive-lazione normativa di Dio; ma come ogni legge successiva toglie forza alla precedente, così ora che è statarivelata la legge di grazia, voler continuare a osservare le altre è come «voler tornare indietro in Egitto»:come i primi cristiani chiamavano «giudaizzanti» i cristiani che persistevano nelle osservanze giudaiche,così nel XIII secolo erano a volte chiamati «filosofanti» coloro che (come gli averroisti) anteponevano lafilosofia antica alla verità rivelata.

Mentre la filosofia cerca la certezza in sé, la fede la trova fuori di sé 48. La filosofiaè un domandarsi mediante la ratio, la teologia (a partire dalla fede) è un domandare aChi può e vuole rispondere (e previene addirittura la domanda, suscitandola), tramitechi ne ha la rappresentanza, o auctoritas. Le stesse sono le domande fondamentali dellafilosofia e della teologia, ma la filosofia le pone criticamente alla ragione stessa, mentrela teologia le pone esistenzialmente e definitivamente a Dio tramite la Chiesa. A talidomande la teologia trova risposta nella Scrittura e ne condensa il senso nelle formule

45 BONAVENTURA, In Hexaëmeron, 3.8.46 Cf Don 1.5-8; Hex 3.10-21; In Lucam 24.58.47 In Lucam 24.33.48 Cf John Henry NEWMAN, Lettera al duca di Norfolk, 5 (trad. it. di Valentino Gambi, Paoline, Milano 1999):

«Tutte le scienze […] hanno la loro certezza in se stesse […], eccetto la scienza della religione […] <in cui> il sen-timento del giusto e dell’ingiusto […] è il primo elemento».

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della fede, della speranza e della carità (ovvero il Simbolo, l’Orazione domenicale e ilDecalogo col comandamento nuovo, rispettivamente per le domande “Cosa debbo sape-re, sperare o domandare, e fare per vivere sempre?”), secondo una tradizione catecheti-ca iniziata nella prima età patristica e attestata in Agostino e in Tommaso.

Dal problema della vera filosofia rispetto alle diverse scuole filosofiche e dal pro-blema della via cristiana rispetto alle diverse religioni emerge in età patristica il con-cetto che ne propone la sintesi come “vera religione” e come “filosofia cristiana” 49.

Ma lo schema del duplice verbo e quindi del doppio sapere può essere articolatosecondo tre modelli.

Secondo un primo modello (agostiniano, bonaventuriano, tommasiano…), che pos-siamo chiamare “doppio in parallelo”, creazione e rivelazione, ragione e fede, filosofiae teologia sono armonicamente corrispettive. Secondo una definizione classica(formulata ad esempio da Tommaso) dei confini epistemologici dei due ambiti, ci sonoproposizioni appartenenti solo all’ambito filosofico, proposizioni appartenenti soloall’ambito teologico (articula fidei e loro conseguenze) e proposizioni appartenenti adentrambi (praeambula fidei); le proposizioni teologiche non possono essere razionali(ossia razionalmente dimostrabili come vere), ma debbono essere ragionevoli (ossia ra-zionalmente plausibili: quindi non possono essere dimostrate false e quindi gli argo-menti in contrario non possono essere stringenti).

Secondo invece un altro modello (scotista, occamista, luterano, ed anche galileia-no) che potremmo chiamare del “doppio in separazione”, i due saperi sono indipendentie separati; la libertà di Dio non consente di mettere limiti filosofici alla teologia; d’altraparte, secondo il modello galileiano c’è una separazione di ambiti che non consentecontrapposizioni fra sapere sovrannaturale per fede e sapere naturale o scienza; ma que-sto vale perché la scienza è quella fisica: se invece considerassimo la metafisica, ma so-prattutto la storia, possibilità di contrasto ci sarebbero, come ha ben mostrato Blondel.

Secondo infine un terzo modello (averroista, spinoziano, variamente importato nelcristianesimo, ma non autenticamente cristiano), lo schema del “doppio” sarebbe soloapparente: una sola è la verità; l’altra ne è solo la “divulgazione” o meglio “volgarizza-zione”; questo è il modello con esiti diametralmente opposti sia del razionalismo (aver-roista e spinoziano…), per cui la sola verità sarebbe quella filosofica, sia del fondamen-talismo, per cui la sola verità sarebbe quella teologica.

§ 8. OTTAVA TESI. La struttura dilemmatica e paradossale della questione pone in-nanzitutto la comprensione del cristianesimo come manìa o come follia.

La domanda sulla legittimità della filosofia cristiana può a questo punto essere ri-formulata così: è possibile una intersezione tra le due parti (filosofica e teologica) delloschema del doppio sapere?

Sul primo versante, il problema di fondo è la vita stessa: un caso serio ma non di-sperato (attraverso la gratuità sensata del dono), oppure disperato, ma non serio(attraverso la gratuità insensata della banalità dell’esistenza)?

49 Secondo questo schema, AGOSTINO compose il De vera religione e parlò di filosofia cristiana nel Contra Iu-

lianum; così, prima ancora, Crisostomo, similmente Evagrio Pontico e i padri del deserto.

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Sul secondo versante, il problema è l’interpretazione personale della propostaevangelica: il cristianesimo, “manía” o “moría”? Del resto, secondo una delle versionidel Kerygma originario, il fenomeno pentecostale fu letto come ebbrezza o come pre-senza dello Spirito Santo; l’argomentazione petrina per escludere l’ebbrezza può essereconsiderata l’atto di nascita dell’uso apologetico della ragione nella soluzione pragmati-ca del dilemma insito nel paradosso cristiano.

Secondo una tradizione iniziata da Paolo (e che ha trovato grande enfasi filosoficanell’Elogio della Follia di Erasmo), il cristianesimo sarebbe apparentemente “moría”,ossia stoltezza, ma in realtà (ammessa la divina rivelazione) sapienza; mentre invece lafilosofia sarebbe apparentemente “sofía”, sapienza, ma in realtà (ammessa appunto ladivina rivelazione), stoltezza. Non si tratta di psicopatologia, ma di allargamento degliorizzonti; onde l’impegno a “rendere ragione” di tale “stoltezza”.

Significativo invece è che per i primi critici “pagani”, il cristianesimo fosse“manía” (così ad esempio Epitteto), ossia ostinazione ed esagerazione: i cristiani agi-rebbero “per pura partigianeria e mera ostinazione” («katà psilèn parátaxin»), e non“per un ragionamento, con nobiltà e senza tragedia” come i veri filosofi (secondo MarcoAurelio); a tali accuse, sostanziali, seguivano e seguono altre legate al carattere para-dossale del cristianesimo e al suo conseguente fraintendimento. In particolare, al frain-tendimento della fede monoteistica, della liturgia sacramentale, della comunione e fra-ternità ecclesiale, della duplice “cittadinanza” (ossia della distinzione della sfera dellacoscienza personale e comunitaria dalla sfera pubblica statuale) e finalmente della no-zione di sovrannaturale (intesa come antinaturale), sono da ricondurre rispettivamente leaccuse di ateismo e superstizione, aberrazione rituale (le “cene tiestee” o cannibalche),promiscuità (le “unioni edipiche” o incestuose), lesa maestà nei confronti dell’autoritàdello stato, misantropia 50.

In un certo senso, dovendo giudicare il cristianesimo è proprio l’ambivalenza deisospetti a destare sospetto: ateismo o superstizione (come sospettava la critica antica);proiezione consolatoria e compensatrice, oppure introiezione repressiva e defraudatrice(come sospetta la critica psicologica); religione ideata dai dominatori per tener buoni idominati, oppure dai deboli dominati per risentimento contro i forti dominatori (comesospettano la critica sociale marxiana e quella nietzscheana)…; il cristianesimo può an-che essere stato occasionalmente l’una e l’altra cosa, ma non può certo esserlo costituti-vamente.

§ 9. NONA TESI (TUTTA TEOLOGICA). La filosofia cristiana dal punto di vista teolo-gico cattolico (sia speculativo, sia soprattutto pratico) ha una molteplice funzionepositiva, in particolare nella elaborazione del progetto culturale di una universitàecclesiale degli studi e degli studiosi e del progetto educativo per la formazione diquanti avranno responsabilità nella Chiesa.

Poiché, infatti, come acutamente notava Kant, «non si può imparare la filosofia:tutt’al più si può imparare a filosofare», questo si può meglio fare alla luce del principio

50 Cf TACITO, Annali, 15.44.4; EPITTETO, Diatribe, 4.7.6; Marco Aurelio, Pensieri, 11.3.2; in generale cf (a cura

di Paolo Carrara), I pagani di fronte al cristianesimo. Testimonianze dei secoli I e II, Nardini, Firenze, 21990, p. 38-39, 47, 106-107, 116, 144-147.

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cristiano del “fare la verità nella carità”, ossia, secondo una bella espressione di IreosDella Savia, cercando di «mettere in comunione i valori di ogni differenza».

In questa prospettiva l’insegnamento filosofico deve essere fondamentalmente unaeducazione all’interpretazione: infatti, parafrasando Ignazio, “ogni buon cristiano”, afortiori se filosofo, “dev’esser disposto a salvare l’affermazione dell’altro, più che acondannarla, e se proprio non la può salvare, cerchi di capire come l’altro l’intenda; e sela intende male, faccia di tutto perché ben intesa si salvi” 51. In questo senso, la filosofiacristiana, proprio perché cristiana, non può disinteressarsi delle altre visioni del mondo:“Se infatti salutate solo quelli che vi salutano, che merito ne avrete?”.

Se Leibniz, in base ad una (discutibile) concezione “digitale” della conoscenza,auspicava il tempo in cui due filosofi che discutessero potessero dire: «Calcoliamo!»;oggi noi potremmo più realisticamente auspicare di poterci sedere al tavolo per dire:“Traduciamo!”.

Fatta salva la possibilità del paradosso di una rivelazione eterna nel tempo, da un punto di vista filo-sofico non rimane che dialogare e discutere. L’interculturazione è resa possibile da un medium intercultu-rale: ma esiste un esperanto filosofico, che accomuni oggi tutte le culture, le religioni, le filosofie, comela filosofia aristotelica corretta in chiave creazionista lo era nel tredicesimo secolo? Oggi non più: ma cipuò essere un accordo sui primi principi a partire da cui discutere del resto. Bisogna correre il rischio deldialogo e dell’interculturazione, sulla base comune dei primi principi («in certis unitas»), pur nella tol-leranza per le diverse opzioni («in dubiis libertas») fondata non su un relativismo etico e culturale ma sulrispetto oggettivo della dignità personale («in omnibus caritas»). D’altra parte, dialoga di più chi essendose stesso si confronta con gli altri, piuttosto che quanti rinunciando ad essere se stessi non si confrontanocon gli altri. Il dialogo si vede più dalle opere che dalle parole. La filosofia cristiana va difesa di princi-pio, anche se nel contatto con i non cristiani può essere tenuta nel sottofondo.

Ancor oggi, come ai tempi di Tertulliano, la filosofia cristiana teme una sola cosa:di essere rifiutata senza essere capita o perlomeno ascoltata, e di essere fraintesa come“manìa”, ossia fanatica follia) 52, anziché colta come ragionevole “morìa” (ossia cometentativo di “render ragione” della apparente “stoltezza della ragione”, che però può farallargare i paletti del pensiero e mostrare una sapienza più sapiente).

Ciò che d’altra parte rende i cristiani troppo spesso irrilevanti nella cultura è la loropaura di essere irrilevanti: ciò li porta a compromettersi con il potere pur di assicurarsiuna presenza nella società (che sarebbe però solo nominale, in quanto svuotata di pre-gnanza) o ad una dissimulazione nella mentalità dominante. La cultura cristiana troppospesso assomiglia alla manzoniana Perpetua, «celibe per aver rifiutato tutti i partiti, co-me diceva lei, o perché non aveva trovato nessun cane che la volesse, come dicevano lesue migliori amiche».

Sebbene il senso filosofico della filosofia cristiana si comprenda meglio se inse-gnata e praticata in una università aconfessionale, e possibilmente accanto alle filosofieebraica, islamica, indù, buddhista, taoista e confuciana, tuttavia l’insegnamento e la pro-

51 Si tratta del celebre Praesupponendum, premesso agli Esercizi Spirituali: «Al fine che tanto chi dà gli esercizi

[…], quanto chi li riceve, maggiormente si aiutino e avvantaggino, si deve presupporre che ogni buon cristianodev’esser pronto più a salvare l’affermazione del prossimo, che a condannarla, e se <proprio> non la può salvare,ricerchi com’egli la intenda; e se la intende male, lo corregga con amore; e se ciò non bastasse, cerchi tutti i mezziconvenienti perché, intendendola bene, si salvi».

52 In effetti anticamente questa era l’obiezione, ad esempio di Epitteto e Marco Aurelio; così pure le altre accusemosse ai cristiani dal mondo antico: lesa maestà (in realtà fraintendimento della secolarità), cene tiestee(fraintendimento della sacramentalità), unioni edipiche (fraintendimento della comunionalità), ateismo(fraintendimento della religiosità).

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mozione della filosofia cristiana è indispensabile in un contesto teologico e in vista diuna formazione pastorale: questo potrebbe essere il progetto di una università ecclesia-le.

In generale, una università (intesa come totalità articolata degli studi e degli studio-si) ha due funzioni, quella di ricercare e quindi aumentare il sapere della cultura, equella di comunicare e quindi trasmetterlo e discuterlo nella comunità accademica escientifica, fermo restando che ogni università dovrebbe cercare di dedicarsi a quei set-tori in cui potrebbe dare il meglio di sé ed essere così più competitiva rispetto alle altre.Ebbene sia quanto alla prima sia quanto alla seconda funzione, per una facoltà eccle-siale di filosofia il punto di forza potrebbe essere appunto il campo della filosofia cri-stiana.

Sant’Ignazio aveva fondato il Collegio Romano «sotto gli occhi del vicario di Cri-sto» e «al centro della Cristianità» per formare a «sentire cum ecclesia» e a leggere «nonmulta sed multum», «dando ordine all’esercizio, che è la cosa più valida per rendere glistudenti davvero dotti», nella speranza che «la buona dottrina, degli autori tanto cristianiquanto non cristiani, eventualmente rivista, si estenda anche al di fuori di essa».

L’importante è che negli studi ecclesiali si alimenti con rigore e onestà l’interesseper l’uomo, così che lo studente, approfondendo la cultura e “allargando i paletti dellasua tenda” interiore, si prepari ad esercitare il compito di intellettuale nella società: in-fatti (parafrasando Paolo) tutta la cultura prodotta dall’uomo “è utile a istruire, educare,correggere, formare alla giustizia così che l’uomo [...] sia completo e ben preparato perogni bella impresa”.

Inoltre, dal punto di vista educativo, una facoltà ecclesiale dovrebbe formare i suoialunni cristiani non solo come intellettuali, non solo come credenti, e nemmeno solocome intellettuali e credenti, ma anche e soprattutto come intellettuali credenti (si de-vono insomma fare non due cose, ma una sola, nella distinzione senza separazione enell’unione senza confusione: ossia facendo del dogma calcedonese il paradigma cultu-rale cristiano per eccellenza).

Dal punto di vista teologico questa operazione può certamente essere propedeuticae apologetica rispetto alla fede, ma da un punto di vista strettamente filosofico questo hauna triplice valenza, secondo i tre valori della filosofia ancor oggi particolarmente at-tuali, ossia la valenza dialogica, utopica e critica, che costituiscono rispettivamentel’eredità ancor oggi condivisa della filosofia antica e di quella moderna.

Possiamo riassumere questa eredità filosofica nella educazione al fatto che “si puòpensare altrimenti”: questo sia col confronto con un pensiero concretamente “altro”,mediante il dialogo, sia con lo sforzo di “sognare” una realtà idealmente “altra”, me-diante l’utopia; sia con il mettere in discussione i propri presupposti e le proprie con-vinzioni senza dar nulla per scontato, attraverso la riflessione metodologica e critica.

Questo è compatibile con un concetto fondamentale del cristianesimo, quello delcarisma, ossia del dono dato ad alcuni per tutti, ai pochi per i molti. Proprio dell’amoreè infatti fare a persone diverse doni diversi, perché la diversità aiuti a costruire comuni-tà.

La funzione dialogica della filosofia cristiana consiste nel preparare al dialogo frapunti di vista: quello cristiano e quelli non cristiani (in quanto la differenza aiuta cia-

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scuno a costruire la propria specifica identità e ad integrarla), ma anche fra quello filo-sofico e quello teologico, contro i facili concordismi e gli ancor più facili unilateralismi.

La funzione utopica della filosofia cristiana consiste nel saper illuminare i problemidel mondo attraverso il ricorso filosofico, e quindi condivisibile da tutti, alla questioneteologale cristiana. Al vagheggiamento di una realtà migliore (eutopia) si è unita lamessa in guardia di una realtà peggiore (distopia); la caratteristica cristiana è quella ditenere unite le due cose e che declina l’utopia nel tempo attraverso la speranza. Fra idue estremi dell’ottimismo (che spesso pare, come nota Schopenhauer, non solo falso,ma anche irriguardoso per chi sta male) e del pessimismo (che spesso pare un “realismoben informato”), il cristianesimo offre la visione di un ottimismo tragico, o meglio diuna “divina commedia”, dove il brutto e deforme viene assunto per la migliore riuscitadella storia.

Per influire sulla cultura e sulla società bisogna sapere interessare tutti ai problemiteologali presentati culturalmente e socialmente e bisogna preparare gli intellettuali cri-stiani a saperlo fare.

Dal punto di vista etico e politico, una adeguata formazione eviterebbe gli estremi-smi di quei cristiani che sono più radicali dei “no-global” e considerando il denaro come“sterco di satana” trascurano che la loro stessa esistenza si conduce attraverso media-zioni economiche.

Contrariamente a quanto comunemente si crede in ambito ecclesiastico, la questio-ne filosoficamente teologale non interessa soltanto i credenti in Cristo, ma anche e so-prattutto gli altri; i primi infatti hanno la fede cristiana e la filosofia cristiana è un di più;ma per gli altri è veramente interessante perché è la possibilità di mettere in circolazio-ne certi contenuti cristiani al di fuori della cerchia strettamente credente.

Occorre dunque far ripensare i temi teologali, ma a tal fine occorre essere preparati,perché non accada che come nei quartieri di un tempo l’edificio più bello era la chiesa,in quelli di oggi il più brutto è ancora la chiesa, o non accada come in quella chiesa stu-penda di Firenze, in cui c’erano cartelli in tutte le lingue con su scritto “offerte”, manemmeno un cartello per spiegare il senso teologico dei capolavori d’arte in essa conte-nuti.

Oltre a ciò, c’è una valenza etica e politica. La conoscenza amorosa riesce a capirela realtà più in profondità. Secondo la narrazione evangelica, alla notizia che la cuginaanziana era incinta, Maria capì che doveva andare ad aiutarla; e a Cana solo lei si accor-se che mancava il vino.

Quanto alla funzione critica essa è molteplice.C’è innanzitutto una funzione critica prolettica, e quindi formativa: la riflessione

teorica sulle condizioni di possibilità dell’esperienza se ben condotta è anche una prepa-razione pratica ad ogni esperienza possibile, anche difficile. Finora non mi sono scan-dalizzato di alcun fatto negativo, perché anche se non sempre lo ritenevo probabile,tuttavia l’ho sempre saputo possibile.

In questo senso, la filosofia cristiana può svolgere un ruolo importante di proposi-zione della filosofia non cristiana e anticristiana quale “advocatus diaboli” indispensa-bile per la edificazione interiore. Dante presenta il diavolo come un gran logico (“Tunon credevi ch’io loico fossi!”); e in effetti la filosofia può svolgere la funzione educa-tiva rappresentata simbolicamente dall’episodio delle tentazioni di Cristo nel deserto,

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quasi anticipazione e soluzione di tutte quelle che sarebbero tornate “al momento op-portuno”. La presenza della filosofia nella filosofia cristiana, e del cristiano filosofocome maestro di filosofia simpliciter aiuterà il cristiano discepolo ad affrontare serena-mente tutti i generi di obiezione alla sua fede. Infatti, il proporre la filosofia con tutta lasua carica di aconfessionalità, se fatto con serenità dal maestro filosofo credente, aiuteràil discepolo ad assimilarla positivamente.

È vero che lo studio in genere (e quello filosofico in specie) è in sé ambivalente:come un bisturi chirurgico può servire a salvare una vita o a perderla. Tuttavia, ragiona-re bene non può fare che bene.

C’è poi nella filosofia cristiana una funzione critica confermativa; chi è certo dellapropria fede non ha paura di confrontarsi con chi non crede. Occorre accompagnare glialunni a portare la pecora nella gabbia del lupo senza timore, per confermare loro e persmentire il sospetto contro la fede. Bisogna dare compattezza all’edificio della fede,perché non solo per il filosofo, ma anche per il credente il primo dovere è la coerenza(che per il filosofo non è solo dottrinale, ma exercita ossia col vissuto; e per il credentenon è solo reale, ma anche personale, come fedeltà a una Persona).

C’è poi una funzione critica di smascheramento, contro i virus che infestano la fedee la ragione; in particolare la misologia, che oggi si ripropone come fondamentalismo eintegralismo in quasi tutte le grandi religioni. Tra i virus, occorre guardarsi soprattuttodai cavalli di Troia; in ogni epoca storica, quando ci si è scagliati contro veri o presuntiavversari, si è spesso finito per accogliere nella propria dottrina princìpi da loro incon-sapevolmente desunti (così fecero i neoscolastici nei confronti del razionalismo moder-no). Ebbene, in era post-moderna il cavallo di Troia è costituito dall’ambivalenza delnichilismo e del connesso “pensiero debole”.

Se il nichilismo di senso consiste nel non trovare alcun senso nel mondo, ma neldarlo soggettivamente, ebbene molta della fede e della vocazione dei credenti è di taltipo, ossia gratificante, soggettivistica. Allora la fede non è più fiducia certa, ma“credere di credere”.

Inoltre, mentre il pensiero ontologico è espresso dalla celebre affermazione “vero èdire essere ciò che è e non essere ciò che non è”, viceversa il pensiero debole consistenel ritenere che “non lo dico perché è vero”, ma “è vero perché lo dico”; ma allora ilpensiero autoritario che spesso nella Chiesa si afferma in tempi di relativismo non è al-tro che il rovescio della medaglia: infatti non dice che “lo dice il magistero perché è ve-ro”, ma che “è vero perché lo dice il magistero”.

L’ultima funzione critica è quella di garanzia di trasparenza e correttezzadell’interazione fra ragione e fede, per evitare i trucchi da prestigiatore che tira fuori dalcappello speculativo il coniglio dogmatico (che prima vi aveva nascosto dentro), e losottrae poi al critico colpo di pistola. Ebbene, non incorre in scorrettezza il filosofo chepur disponendo di bussola segreta, rifaccia i calcoli della rotta in base alle stelle chetutti possono osservare. Questo deve fare la filosofia cristiana.

Un’ultima osservazione. Spesso i filosofi cristiani sono più realisti del re quandoparlano dell’idea di rivelazione, come se si trattasse di una forma di conoscenza total-mente diversa da quella abituale. Ebbene, perlopiù il profeta non sa di essere profeta. Edunque lo stesso testo scritturale è frutto del riconoscimento ecclesiale quanto al canonepiù che della consapevolezza degli agiografi. L’ispirazione, in senso cristiano comune-mente accolto, non è altro che la garanzia che quello che gli agiografi hanno scritto con

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il loro sforzo interpretativo e riflessivo (ossia con la ragione) ha un inerrante senso sal-vifico. Similmente l’atto di fede del credente non è normalmente frutto di una evidenzaimmediata, ma è il risultato di una cooperazione tra ragione e volontà, che per la dottri-na cristiana, è anticipata e sostenuta dalla grazia, ma che non toglie mai il lavoro dellaragione, sicché il credente può come Paolo dire: “So a chi ho creduto”.

Di conseguenza, ad un’analisi più approfondita, ragione e fede non sono due fun-zioni separate, ma sono due esercizi della stessa facoltà (in questo, l’immagine delle dueali, per quanto suggestiva, è – come tutte le immagini – carente).

A queste funzioni della filosofia cristiana se ne aggiunge una ulteriore, quella pe-dagogica, nel senso di preparazione evangelica o di propedeutica a Cristo.

Secondo Paolo, la Filosofia è per gli etnici ciò che la Toràh è per i Giudei: ne rica-viamo che entrambe (e non solo la Torah) hanno dunque la funzione di pedagoghi chepermettono di accedere alla scuola di Cristo: la Toràh tramite l’imposizione di una Leg-ge tanto necessaria quanto impossibile, e la Filosofia tramite la riflessione sull’implo-sione delle modalità (del possibile, del reale e del necessario) nella categoria del dono.

La fenomenologia del dono ci mostra come non ci sia mai data direttamentel’esperienza della pura gratuità: non a caso lo stesso termine latino ‘munus’ significatanto dono quanto compito e si riconduca alla radice verbale dello scambio. Nessunuomo può essere veramente e totalmente generoso: lo insidia l’abisso dei doppi pensie-ri. Solo attraverso l’esperienza dello scacco e della “croce” l’uomo può intuire la di-mensione della gratuità e della sincerità della generosità.

La filosofia come necessario ma impossibile Amore della Sapienza è condizioneper arrivare a capire la Sapienza dell’Amore, che allarga i paletti della mente dando lucea ciò che appariva semplice follia.

Occorre riempire d’acqua le giare fino all’orlo, perché si possa ricevere il buon vi-no; occorre avere ed usare le reti fino a riempirle, per poterle abbandonare con senso;occorre aver prima acquistato tutto e fatto tutto per capire che nulla serve e che noi stes-si siamo servi inutili. Solo allora capiremo che cosa significa essere chiamati non servi,ma amici.