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Il Mulino - Rivisteweb Andrea Carlo Moro Autonomia della sintassi e tecniche di neuroimmag- ine (doi: 10.1418/13316) Lingue e linguaggio (ISSN 1720-9331) Fascicolo 1, gennaio-giugno 2004 Ente di afferenza: Universit Firenze (unifi) Copyright c by Societ` a editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it Licenza d’uso L’articolo ` e messo a disposizione dell’utente in licenza per uso esclusivamente privato e personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Salvo quanto espressamente previsto dalla licenza d’uso Rivisteweb, ` e fatto divieto di riprodurre, trasmettere, distribuire o altrimenti utilizzare l’articolo, per qualsiasi scopo o fine. Tutti i diritti sono riservati.

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Andrea Carlo MoroAutonomia della sintassi e tecniche di neuroimmag-ine(doi: 10.1418/13316)

Lingue e linguaggio (ISSN 1720-9331)Fascicolo 1, gennaio-giugno 2004

Ente di afferenza:Universit Firenze (unifi)

Copyright c© by Societa editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati.Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it

Licenza d’usoL’articolo e messo a disposizione dell’utente in licenza per uso esclusivamente privato e personale, senza scopodi lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Salvo quanto espressamente previsto dallalicenza d’uso Rivisteweb, e fatto divieto di riprodurre, trasmettere, distribuire o altrimenti utilizzare l’articolo,per qualsiasi scopo o fine. Tutti i diritti sono riservati.

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AUTONOMIA DELLA SINTASSI E TECNICHE DI NEUROIMMAGINE

LINGUE E LINGUAGGIO - 1/2004

AUTONOMIA DELLA SINTASSI ETECNICHE DI NEUROIMMAGINE

ANDREA CARLO MORO*

1. PREMESSA

Questo articolo vuole essere un semplice contributo al dibattito sulla re-lazione tra linguistica e neuroscienze, in particolare a quel metodo d’inda-gine noto come «neuroimmagini». In questa sede, non verranno discussi icomplessi problemi tecnici ed epistemologici legati alla sperimentazionené i risultati in campo neurofisiologico; lo scopo di questo articolo è dimostrare come due ipotesi nate da osservazioni empiriche affatto distinteconvergano in modo non banale offrendo suggerimenti per nuove ricer-che. Di fatto questo articolo si limita ad una presentazione critica di alcu-ni aspetti di un singolo esperimento di neuroimmagine1. Per un quadrodettagliato il lettore può riferirsi direttamente a Moro et al. (2001) ed airiferimenti bibliografici ivi citati relativi ad altri lavori in questo campo.

* Università «Vita-Salute» San Raffaele – Milano.

Il contenuto di questo articolo corrisponde alla relazione tenuta nel dicembre2002 presso l’Università di Verona nel seminario «Nuove prospettive in lingui-stica applicata: l’acquisizione della competenza grammaticale fra psicologia eneuroscienze». Per un’esposizione dettagliata del lavoro sulla quale essa si basa siveda Moro et al. (2001). È stato possibile eseguire tale ricerca solo all’interno diun gioco di squadra cui hanno partecipato tra gli altri Marco Tettamanti, DanielaPerani, Caterina Donati, Stefano Cappa e Ferruccio Fazio. Oltre ai coautori sonoin debito con gli organizzatori del convegno veronese, Denis Delfitto, GiorgioGraffi ed Alessandra Tomaselli, e con i partecipanti al convegno per molti prezio-si suggerimenti.

1 L’esperimento è stato eseguito su una PET presso l’Istituto di Neuroscienze eBioimmagini – CNR Milano stanziato all’Istituto Scientifico H San Raffaele,IRCCS in collaborazione con la facoltà di Psicologia dell’Università Vita-SaluteSan Raffaele di Milano.

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2. DUE PUNTI DI PARTENZA E UNA DOMANDA NATURALE

L’esperimento che mi accingo a descrivere nasce da due semplici punti dipartenza e dalla domanda naturale che ne scaturisce. È un fatto noto an-che nella «vulgata» scientifica contemporanea che in soggetti normali, de-strimani, l’elaborazione di tipo linguistico attiva prevalentemente l’emi-sfero sinistro dell’encefalo. A partire da dati di tipo clinico, dalla secondametà del XIX secolo, questo dato è entrato a far parte delle conoscenze dibase di tipo neurologico (si veda a questo proposito il contributo di Stefa-no Cappa in questo volume). Il secondo punto di partenza, invece, è ditipo linguistico. Secondo le partizioni tradizionali, i fenomeni linguistici,la grammatica in senso lato, possono essere divisi in almeno quattro do-mini distinti: la fonologia, la morfologia, la sintassi e la semantica2. Ladomanda che chiunque si pone immediatamente è dunque se questa par-tizione definita in seno alla linguistica abbia una qualche rilevanza a li-vello neurobiologico, vale a dire se alla partizione nei quattro domini del-la grammatica corrisponda una partizione isomorfa a livello corticale.

Come spesso capita nella ricerca in ambito scientifico, per quantointeressanti, alcune domande possono essere di fatto inaccessibili all’inda-gine sperimentale per via del loro grado di complessità. Per procedere, laprima cosa da fare è ridurre il campo di osservazione fino ad arrivare adun quesito sufficientemente semplice da permettere di essere indagatosperimentalmente. La prima importante restrizione di campo è stata dun-que quella di mirare ad un solo sottodominio della grammatica e chieder-si se quel dominio sia rappresentato autonomamente come attività neuro-nale. Il dominio che si è deciso di indagare, tra i tanti possibili3, è statoquello della sintassi, sicché è stato possibile riformulare la domanda fon-

2 Certamente non sono gli unici domini ai quali è possibile ascrivere i fenomenilinguistici, basti pensare alla pragmatica. Utilizzeremo questa partizione comebase indiscussa di lavoro (cfr. Graffi e Scalise 2002).3 La scelta, per chi è interessato al campo delle neuroscienze relative all’uomo,tuttavia, non è del tutto neutra, in quanto, prendendo ad esempio come ipotesivalide quelle suggerite in Terrace (1979) e Hauser, Chomsky e Fitch (2002) lasintassi sembra proprio essere l’elemento discriminante tra linguaggio umano elinguaggi animali.

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damentale nel modo seguente: la sintassi è rappresentata come attivitàneuronale autonoma nella corteccia cerebrale?

3. L’INDAGINE DEL CERVELLO IN VIVO: IL METODOSOTTRATTIVO

A partire dalla metà degli anni ’80 del XX secolo, accanto ai tradizionalimetodi di indagine di tipo clinico si sono affiancati nuovi metodi che han-no apportato due vantaggi significativi: in primo luogo si è resa possibilel’indagine in vivo delle attività corticali, in secondo luogo, proprio perquesto primo vantaggio, è stato possibile separare l’avanzamento delle co-noscenze neurologiche dalla patologia. In altri termini, non è stato piùnecessario aspettarsi un «guasto» nel funzionamento del cervello per po-ter decifrare la sua architettura funzionale.

Prenderemo qui ad esempio una sola tecnica di neuroimmagine, lacosiddetta «tomografia ad emissione di positroni» o «PET» dall’acronimoinglese (Positron Emission Tomography). Una brevissima incursione nelcampo della tecnica sperimentale, senza alcuna pretesa di rigore scientifi-co, è però essenziale per capire la questione. La PET non ci dà altro cheuna misura delle attività metaboliche del cervello, ottenuta rilevando laradioattività emessa dagli isotopi dell’ossigeno nelle molecole d’acqua im-messa in circolo; le differenze metaboliche, che di fatto danno una misuradel flusso sanguigno (emodinamica cerebrale), sono indicatori dell’attivitàneuronale che varia al variare dei diversi compiti. È facile tuttavia render-si conto che questo strumento, per quanto rivoluzionario rispetto ai me-todi clinici, non è in grado di per sé di dare informazioni dirette sull’ar-chitettura funzionale dell’encefalo. In assenza di patologie, infatti, la cor-teccia è sempre attiva, di conseguenza sarà sempre irrorata dal flusso san-guigno in relazione ai vari compiti, e diventa di fatto impossibile distin-guere immediatamente l’attività dedicata ad un singolo compito.

Per ottenere dati significativi sull’attività corticale dunque, l’unicomodo di procedere è quello di passare attraverso il confronto dell’attivitàneuronale (come risulta dall’emodinamica cerebrale) associata a(d alme-no) due compiti diversi. Se ad esempio volessi individuare le aree cere-brali connesse con l’attività motoria di controllo dell’indice della mano si-

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nistra quando si alza e si abbassa ripetutamente occorrerebbe fare duemisure diverse: una prima misura, quando il soggetto esegue un determi-nato compito (ad esempio contare da cento a uno guardando uno schermonero)4 ed una seconda misura, quando il soggetto esegue esattamente lostesso compito, mentre in aggiunta alza ed abbassa il dito indice. Una vol-ta ottenute le due misure, si confrontano i risultati paragonando local-mente, cioè punto a punto rispetto all’anatomia del cervello, le misure delflusso emodinamico corticale. Dove il cervello mostra di avere emodina-mica differente, si deduce che in quella zona si è verificata l’attività neu-ronale associata alla differenza tra i due compiti, che nel nostro modello èil controllo dell’indice della mano. Non è certo questa la sede per discute-re se questa ipotesi sia empiricamente e teoricamente corretta (per unquadro critico si veda Friston 1997, Perani e Cappa 1996; ammettendotuttavia che questo metodo, che si definisce tecnicamente «metodo sot-trattivo», sia valido, la domanda centrale che ci possiamo porre è se siapossibile arrivare a confrontare due attività distinte tali che la loro sottra-zione dia come risultato l’attività neurologica correlata alla sintassi5.

Va sottolineato, con la maggior enfasi possibile, che a priori non èassolutamente scontato che tali attività distinte esistano e, ciò che piùconta, che l’elaborazione di tipo sintattico sia distinta a livello corticale daaltri tipi di elaborazione di carattere linguistico. Il problema è dunqueempirico e metodologico al tempo stesso.

4. «INGANNARE» IL CERVELLO

La difficoltà sperimentale è ovvia. Se intendiamo isolare l’attività neuro-nale relativa al controllo motorio dell’indice della mano sinistra è facileimmaginare come costruire i due compiti da confrontare (come abbiamoappena visto): separare i compiti sembra abbastanza semplice perché siaggiunge un’attività ad un’altra attività indipendente dalla prima. Ma

4 Questo compito viene chiamato «compito di controllo» o baseline.5 Va detto che il problema dell’efficacia del metodo sottrattivo non si circoscriveal solo fenomeno del linguaggio, ma anzi riguarda tutti i compiti cognitivi insenso lato.

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quando si tratta di linguaggio, come nel nostro caso specifico, la separa-zione non è affatto immediata. Quando computiamo una frase, la compe-tenza fonologica, quella morfologica, quella sintattica e quella semanticasono simultaneamente attive: come separare l’attività corticale legata al-l’elaborazione di tipo sintattico dal resto? Questo è il punto metodologi-camente rilevante: per procedere nell’indagine occorreva trovare il mododi isolare un’attività che per definizione è attiva insieme alle altre.

L’idea centrale di tutto l’esperimento è stata dunque quella di capo-volgere in un certo senso il problema empirico e di non separare le attivi-tà tra di loro ma di produrre invece errori selettivi al livello dei diversidomini, sperando con ciò che, a seconda del dominio, il riconoscimento dierrore corrispondesse ad attività neuronali diverse. Una volta scelto que-sto paradigma sperimentale, si poneva immediatamente un primo proble-ma. Supponiamo di costruire un errore di tipo sintattico e di costruireuna frase come leone pantera morso ha il la. È chiaro che un errore ditipo sintattico siffatto produce immediatamente anche un effetto a livellosemantico: si sta parlando di un leone che morde una pantera o di unapantera che morde un leone? Qual è la semantica della frase? Il problemaempirico è evidente: se produciamo un errore di questo tipo, il risultatonon può essere correlato immediatamente alla sola competenza sintattica,in quanto anche quella semantica risulta inevitabilmente coinvolta. Comefare per evitare questo effetto di coinvolgimento della semantica? Il«trucco» che abbiamo utilizzato è stato di evitare del tutto l’accesso allasemantica lessicale6, costruendo delle frasi fatte di parole costruite con ra-dici inventate (pseudoparole) come le seguenti7:

6 Naturalmente si tratta di una semplificazione di non poco conto: nessun lin-guista farebbe coincidere la semantica con la sola semantica lessicale (escludendoper esempio la semantica verofunzionale). Tuttavia, per quanto riduttiva, è chiaroche le pseudofrasi non sono passibili di giudizio di verità. È forse superfluo inquesta sede ricordare come l’uso di frasi sintatticamente ben formate non sia cer-to una novità: basti pensare, per rimanere nel secolo XX, ai famosi esempi diCarnap e Chomsky.7 La costruzione delle frasi fatte di pseudoparole è stata molto laboriosa da varipunti di vista. Tra l’altro, era importante creare strutture sintattiche di diversotipo che non potessero portare a letture ambigue ed era necessario scartare le

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(1) il gulco gianigeva la bralanafantavano gli oprammiil lappento non tonce maiquella molmeca non alinava questa fridail triaggo fabbisce ogni lustasiosi tasalano molte barnetutti i gorpotti sono stati gasporati

A questo punto diventava possibile procedere nella comparazionedei compiti diversi basata sul riconoscimento di errore nei diversi domini.Il cervello veniva, per così dire, «ingannato» due volte: una prima voltaveniva costretto a riconoscere errori di tipo diverso, facendo emergerel’architettura funzionale che altrimenti rimaneva nascosta nell’azione si-nergica delle varie competenze; una seconda volta, perché un eventualeerrore sintattico non portava ad un errore di tipo semantico, in quantol’accesso alle vie lessicali era di fatto bloccato dall’uso di pseudoparole. Ri-maneva ovviamente del tutto impredicibile il risultato delle sottrazionidei vari compiti. Non c’era garanzia che un errore di un dominio potessedare attivazioni diverse rispetto all’errore di un altro dominio.

5. ANOMALIE SELETTIVE: IL VALORE EURISTICO DELL’ERRORE

Siamo giunti quindi alla costruzione degli stimoli. L’idea, come si è detto,era di poter arrivare a «sottrarre» le misure corrispondenti ad attività di-verse in modo tale da riuscire ad isolare l’attività corticale correlata all’er-rore di tipo sintattico. Se ciò fosse stato, avremmo avuto prove a favoredell’ipotesi che la competenza sintattica è rappresentata autonomamentea livello corticale. Quali erano i tipi di errore che i soggetti dovevano ri-

pseudoparole con forte potere evocativo. È interessante, a mio avviso, notareinoltre che data una serie di pseudoparole, la gran parte dei soggetti attribuiva ilsignificato di «nome di animale» ai sintagmi nominali: la cosa non può essere ac-cidentale, vista la potenziale grande ampiezza dei repertori di altro tipo (nomi difiori, di cibi, di parti del corpo ecc.) e può forse avere un valore adattativo nonbanale, ormai evidentemente perduto.

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conoscere? Di fatto, i tipi di errore erano tre: l’errore fonologico, l’erroremorfologico e l’errore sintattico. Occorre, per chiarezza, dire che, siccomeper motivi sperimentali si è preferito far leggere mentalmente le frasi aisoggetti invece che farle ascoltare (le frasi erano di volta in volta presen-tate su uno schermo), il termine «fonologico» va inteso come mediatodalla scrittura, in quanto lo stimolo acustico vero e proprio era assente.Inoltre, per quanto riguarda l’errore morfologico, esso è da intendersi so-stanzialmente come «morfosintattico», dato che la struttura delle paroleutilizzate di per sé non conteneva anomalie dal punto di vista morfologi-co. La costruzione degli stimoli risulterà più chiara sulla base di qualchesemplice esempio8.

5.1. Errore fonologico

L’errore fonologico consisteva essenzialmente in una sequenza di conso-nanti che non si trovano mai in italiano. Ad esempio, tenendo come cam-pione la prima frase fatta di pseudoparole di (1) il soggetto poteva leggerefrasi tipo il gulco gianigtcava la brala. Nel pronunciare mentalmente lafrase il cervello riconosce che nella terza parola è contenuta una sequenzaimpossibile di suoni nella nostra lingua.

5.2. Errore morfologico

Come abbiamo appena notato, si tratta in questo caso più precisamente dierrore morfosintattico: il soggetto si trovava di fronte ad una frase conparole senza errori fonologici, nella sintassi corretta quindi ma con accor-di sbagliati. Utilizzando ancora la frase campione, avremmo ad esempiouna frase tipo: il gulco gianigiavano la brala dove un parlante nativo del-l’italiano riconosce immediatamente un accordo impossibile tra il sintag-ma nominale il gulco (masch. sing.) e il verbo gianigiavano (III pers.plur.), anche se, ovviamente, non se ne capisce affatto il significato.

8 Si tratta di una scelta minima di casi: i tipi di errori, soprattutto morfologico esintattico, includevano molti più tipi rispetto ai casi presentati qua.

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5.3. Errore sintattico

Nell’ultimo tipo di errore, quello sintattico, il soggetto veniva esposto aduna sequenza di parole ben formate dal punto di vista fonologico, poten-zialmente compatibili dal punto di vista morfologico ma poste in un ordi-ne non conforme alla sintassi della lingua italiana. La nostra frase cam-pione, ad esempio, poteva essere trasformata nel seguente modo: gulco ilgianigiava brala la, invertendo sistematicamente l’ordine del nome conl’articolo ad esso associato.

6. L’ISOLAMENTO DELLA SINTASSI

Siamo arrivati con ciò ad avere tutti gli ingredienti per costruire dei mo-delli sottrattivi utili al nostro scopo. Semplificando notevolmente sia imetodi che i risultati, sintetizzerò senz’altro le conclusioni dell’esperi-mento.

Un totale di 11 soggetti maschi9, italofoni, destrimani, di età mediadi 26 anni, con un passato privo di problemi di carattere neurologico èstato sottoposto ad una serie ripetuta di sessioni di rilevamento per untotale di 12 sessioni ciascuno; durante ogni sessione al soggetto venivanopresentate 9 frasi di pseudoparole contenenti errori alternate a 4 frasi cor-rette, in ordine casuale, per un totale di 156 frasi.

Il primo risultato empirico è consistito nel verificare che alla sot-trazione del semplice compito di lettura (di frasi benformate di pseudopa-role) dal compito di riconoscimento di errore generalizzato corrispondesseun’attività neuronale specifica. La positività di questo primo punto era unpresupposto logico fondamentale: legittimava a supporre che il riconosci-mento d’errore fosse una modalità specifica di attivazione di tipo lingui-stico e non coinvolgesse altri centri10. È ovvio, tuttavia, che anche di fron-

9 L’utilizzo di soli soggetti di genere maschile con le indagini PET è imposto dal-la necessità di evitare che la radioattività contenuta nei traccianti possa danneg-giare gli ovuli in soggetti di genere femminile.10 L’assenza di attivazione dei lobi temporali era inoltre l’indizio che la scelta diutilizzare pseudoparole era empiricamente valida.

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te a questo primo risultato niente poteva a priori legittimare la deduzioneche la sintassi fosse successivamente isolabile rispetto agli altri dominilinguistici. Occorreva dunque procedere attraverso un’altra serie di sot-trazioni. Le sottrazioni decisive, sulle quali ci soffermiamo in questa sede,sono state quelle che confrontano il riconoscimento di errore morfosin-tattico da quello sintattico. In questo caso, si è proceduto sottraendo le at-tivazioni del cosiddetto «compito di controllo», vale a dire la lettura difrasi fatte di pseudoparole senza errori, alle attivazioni relative al ricono-scimento di errore morfologico ed errore sintattico. Il risultato di questesottrazioni ha portato a due conclusioni empiriche non banali: la prima èche il riconoscimento di errore morfologico e di errore sintattico dàun’attivazione distinta rispetto alla lettura di frasi senza errori; la secondaè che l’attività corticale relativa al riconoscimento di errore sintattico èdistinta rispetto a quella relativa al riconoscimento dell’errore morfologi-co: riconoscere accordi sbagliati dato l’ordine giusto delle parole in unasequenza è altro rispetto a riconoscere sequenze sbagliate date parole conaccordi corretti.

Questo risultato solleva di per sé ovviamente un problema di nonpoco conto, in particolar modo in sede di linguistica teorica: la distinzionetra sintassi e morfosintassi sembra assumere nuovi e forse inaspettaticonnotati. Se è pur vero che la distinzione tra morfologia tout court11 esintassi non è particolarmente problematica nel dibattito attuale della lin-guistica è anche vero che quella tra morfosintassi e sintassi invece lo è.Basti solo fare rifermento alla versione più accreditata nel cosiddetto«Programma Minimalista» (cfr. Chomsky 1995) secondo la quale i feno-meni di accordo sono subordinati alla sintassi; anche una rapida incursio-ne nella bibliografia recente mostrerebbe che questa accezione del termi-ne non è certo accettata coralmente dalla comunità scientifica. Dai risulta-ti ottenuti in questa sede, invece, pare che i fenomeni di accordo tra paro-le con l’ordine giusto e l’ordine delle parole in sé (a parità di strutturagerarchica) attivino di fatto reti distinte. Tuttavia, proprio per questa in-

11 Intendo per «morfologia» tout court la definizione canonica della disciplinacome per esempio si può trovare in Scalise (1994) dove la disciplina si occupacertamente non solo di fenomeni di accordo ma di derivazione, flessione, compo-sizione ecc.

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stabilità nella teoria è, almeno per chi scrive, assai difficile trarre conclu-sioni nette e sicuramente non è possibile (ri)definire morfosintassi e sin-tassi in modo chiaro. L’aspetto interessante rimane comunque il fatto chela differenza ottenuta apre la possibilità ad un approfondimento (inaspet-tato) su base teorica, o almeno offre nuovi spunti di discussione.

Dal punto di vista neuropsicologico, invece, non inaspettatamente,uno dei punti di attività neuronale relativi al riconoscimento di erroredi tipo sintattico è una componente profonda della cosiddetta «area diBroca»12.

In altre parole, la strategia euristica utilizzata, basata sugli erroriselettivi, ha di fatto permesso di isolare l’attività neurale corticale dedica-ta al riconoscimento dell’errore di tipo sintattico. Ovviamente, l’attivitàrelativa al riconoscimento di un errore non coincide necessariamente conl’attività relativa alla competenza specifica alla produzione di strutturesenza quel tipo di errore, ma, data la differente attivazione nel riconosci-mento di altri tipi di errori, sarebbe estremamente difficile argomentare asfavore dell’esistenza di una rete neurale dedicata alla sintassi.

7. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE: CONVERGENZA VS.UNIFICAZIONE

In questo breve articolo si è affrontato un problema specifico, vale a direse la sintassi, tradizionalmente distinta nella partizione dei fenomenigrammaticali in domini specifici, è distinta anche al livello delle attivitàneuronali ed in particolare se essa è distinta dalla morfosintassi (pur con-siderando l’importante caveat teorico circa la distinzione dei due ambitiespresso a conclusione della sezione precedente). Il problema, come si èvisto, non solo costituisce un caso empirico interessante ma riveste anche

12 Come per tutti i dettagli neuroanatomici e neurofisiologici rimando all’artico-lo originario che include le coordinate stereotassiche delle aree coinvolte oltreovviamente all’individuazione tramite la numerazione di Broadmann. Vale forsesolo la pena di notare che l’attività neuronale che corrisponde al riconoscimentodi un errore sintattico è una rete complessa, e non un’area isolata della corteccia.Tale rete include tra l’altro il ganglio della base dell’emisfero sinistro con impli-cazioni non banali dal punto di vista clinico.

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un ruolo paradigmatico a livello metodologico. Infatti, se in generale peridentificare l’attività correlata con un certo compito occorre necessaria-mente passare dal confronto tra almeno due compiti distinti, nel caso del-l’analisi del linguaggio il problema diventa come costruire i due compitidata la sostanziale simultaneità dell’analisi sintattica rispetto agli altri li-velli di analisi grammaticale.

Il relativo successo del paradigma sperimentale qui utilizzato, tutta-via, non deve ingannare: l’unica conclusione certa è che non è irragione-vole pensare che ci sia una convergenza tra le strutture che le due disci-pline, neurologia e linguistica teorica, hanno ipotizzato sulla base di datiempirici affatto distinti. Se questa convergenza possa essere spinta fino apensare ad un’unificazione tra le due discipline, o ad una riduzione dellalinguistica alla neurologia, è, a mio avviso, totalmente prematuro soste-nerlo adesso; inoltre non si può affatto escludere che, oltre alla possibilitàbanale che per motivi tecnici non si riesca a raggiungere un livello suffi-ciente a darci un quadro dettagliato delle attività neuronali legate al lin-guaggio, sia la teoria stessa a dover essere ripensata, sia quella neurologi-ca che quella linguistica13.

Da ultimo, va osservato che l’esistenza stessa di strutture neuronalispecifiche dedicate (in organizzazione modulare) alla comprensione e pro-duzione di enunciati (ri)propone anche a questo livello il problema classi-co dell’acquisizione su almeno due livelli empiricamente e concettual-mente distinti: a livello ontogenetico, se cioè l’insorgere di queste struttu-re sia una conseguenza delle regolarità storiche delle grammatiche o nesia la causa (si veda a questo proposito Tettamanti et al. 2002 e Musso etal. 2002); a livello filogenetico, se queste strutture hanno correlati signifi-cativamente comparabili in altre specie o se caratterizzano in modo pun-tuale, in senso evoluzionistico, un aspetto centrale della nostra specie (siveda a questo proposito Moro 2002 e soprattutto Hauser, Chomsky andFitch 2002 e Boncinelli 2003).

13 Nella storia della scienza non sarebbe la prima volta che un’unificazione vieneresa possibile solo dopo una ridefinizione delle discipline coinvolte, come haspesso ricordato Noam Chomsky in vari scritti (cfr. per esempio Chomsky 1988).

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SUMMARY: Two disctinct disciplines, neuropsychology and theoretical linguistics,have accumulated since the second half of the XIX century different discoveriesconcerning human language: typically, neuropsycology on the basis of clinicaland neuroanatomical evidences, proved the selective role of the left hemisphereof the human brain in language processing; on the other hand, theoretical lin-guistics showed that a grammatical sentence is the result of the synergy of se-parated modules including at least lexical semantics, (morpho)syntax and pho-nology.

In this paper, I try to show that these independent discoveries converge in anon-trivial way. This is done by using neuroimaging tecniques (in particular,

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Positron Emission Tomography, i.e. PET scan) which for the first time allows tosee the activation of human brain cortex in vivo. The results, based on an origi-nal methodology involving an invented language and the detection of selectiveerrors, i.e. phonological, syntactic and morphosyntactic errors, provided evidencethat the three components activate separated neural networks.