Andrea Bonomi - Le vie del riferimento

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    Andrea Bonomi

    Le vie delriferimento

    Una ricerca filosofica

    StudiBompiani

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    A un piccolo De Linguagi, come augu-

    rio di immunizzazione contro tutti i

    Taccabodoni accademici e arrivisti che

    destinato a incontrare

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    RINGRAZIAMENTI

    A Gabriele Usberti e a Daniela Silvestrini, che hanno esa-minato per intero il manoscritto, devo suggerimenti e osser-vazioni critiche che spesso hanno portato a un ripensamentodel testo.

    Sono anche grato a Ermanno Bencivenga e a Silvio Bozziche, avendo letto parti del lavoro, mi hanno fornito una seriedi indicazioni utili.

    Di natura diversa la riconoscenza che devo a Corrado

    Mangione. La coerenza con la quale ha portato avanti il suoimpegno teorico in questi anni difficili della nostra universi-t stata per me uno dei non molti antidoti di cui disponevodi fronte al disagio provocato dallopportunismo di colleghicerto pi scaltri.

    Infine, con un senso di affetto che ricordo di aver sentitoparlare per la prima volta dei problemi dellindividuazione,anche se da un punto di vista diverso, durante due corsi sulla

    fenomenologia husserliana tenuti alla fine degli anni 50 daEnzo Paci: fra le molte cose che mi legano a lui c, non ulti-ma, la gratitudine per avermi mostrato che cosa significhiessere tolleranti verso il lavoro altrui, per quanto lontanoesso possa risultare dai propri interessi e dai propri orienta-

    menti.

    (Il primo capitolo del presente volume riproduce essen-zialmente lintroduzione alla seconda parte di La strutturalogica del linguaggio a cura di A. Bonomi, Milano, Bompiani,1973. Ringrazio leditore per avermi concesso di ristampar-la.)

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    PREMESSA

    Lidentificazione di individui o particolari quel processomediante il quale parlanti diversi, utilizzando questo o queltermine singolare (per esempio unespressione descrittivaretta dallarticolo definito), possono riferirsi alla medesimacosa come oggetto comune di discorso. Ora, lidea centralesviluppata nel presente lavoro che lidentificazione di parti-colari rinvii sempre e necessariamente a uno schema catego-riale, cio un insieme di concetti generali sotto i quali cado-

    no i singoli particolari. In ci lidentificazione di oggetti aifini discorsivi o comunicativi sembra collegarsi a quella che,sul piano conoscitivo, una pi generale attivit di indivi-duazione: se riconosciamo entit perduranti dal punto di vistaspazio-temporale, cio come cose o sostanze delimitate, perch le riconosciamo come cose di questo o quel genere.Ma daltra parte, se vero che lindividuazione e lidentifica-zione di particolari sono sempre relative a uno schema cate-goriale anche vero che, per potersi costituire, questo sche-ma presuppone un insieme di principi o funzioni che rappre-sentano le condizioni di possibilit di oggetti in generale.Cos, il problema della capacit designativa di una descrizio-ne, cio di unespressione legata a questa o quella prospetti-

    va concettuale o spaziale sulloggetto, o, come potremmoanche dire, legata a un certo modo di darsi delloggetto, vacollocato nel problema, pi generale, del costruttivismo chesembra caratterizzare lattivit conoscitiva. Di qui il riferi-mento alla tematica trascendentale kantiana.

    La chiarificazione di questi punti essenzialmente conte-nuta nella seconda parte del libro, mentre la prima parte si

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    limita a far luce su due importanti posizioni teoriche, quelledi Frege e di Russell. Qualcuno si chieder forse perch ci sisia limitati a questi due autori, visto che il problema del rife-rimento dei termini singolari un problema ampiamentedibattuto nella logica e nella filosofia del linguaggio con-temporanee. La mia risposta che non avevo qui di mira una

    pur minima ricostruzione storica: semplicemente, in Frege eRussell intendevo individuare due rilevanti atteggiamentiteorici, fondati rispettivamente, nel primo caso, sul concettodi presupposizione (un concetto che, soprattutto se svilup-pato sul piano pragmatico, sembra indicare una interessantelinea di soluzione per i problemi in gioco), e, nel secondocaso, sul concetto di una pratica riduzionistica, resa possibi-le dalle cosiddette definizioni contestuali: questa pratica hainfluito sensibilmente sugli sviluppi dellempirismo con-temporaneo e, come si vedr, costituisce un punto di riferi-mento critico nel corso dellintero libro.

    Per quanto concerne la seconda parte, mi accontenter di

    osservare che da un lato, nei limiti del possibile, ho cercatodi evitare tecnicismi logici o linguistici (sacrificando unpoco la precisione del discorso), dallaltro mi sono propostodi contenere entro confini ragionevoli le esemplificazionilinguistiche e le relative analisi, per cercare di evitare alme-no in parte quel senso di pedanteria e di bizantinismo chetalvolta caratterizza lanalisi filosofica del linguaggio e faperdere di vista i problemi teorici essenziali.

    Lanalisi del linguaggio, e non soltanto quella filosofica, stata caratterizzata, nel nostro secolo, dalla preponderanzadi un atteggiamento empiristico che ha visto in questa anali-si una via per leliminazione di quelli che venivano giudica-

    ti pseudoproblemi di una certa filosofia. Pi precisamen-te, si vedeva nel linguaggio, in quanto osservabile e quindiempiricamente dominabile, un livello di rappresentazionecui ridurre drasticamente il pensiero, risolvendo il secondonel primo. Di fatto, tale atteggiamento, che potremmo defi-nire panlinguistico, ha contribuito in modo determinante algrande avanzamento degli studi linguistici (non solo nel

    8 PREMESSA

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    campo filosofico) cui s assistito nel nostro secolo. Ma oggisi cominciano anche a vedere i limiti di quellatteggiamen-to. In realt, sembra adesso chiaro che il ricorso al linguag-gio non va assunto come uno strumento riduttivo medianteil quale dissolvere la specificit del livello del pensiero, ma,pi semplicemente, come una via daccesso utile e non

    esclusiva per affrontare i problemi relativi a certe struttureoriginarie come quelle cognitive, percettive, ecc. Il linguag-gio sembra cio perdere quella funzione costitutiva che ave-va in una certa versione dellempirismo per ridiventare unpunto dosservazione, per quanto privilegiato, dal quale con-siderare certi processi conoscitivi di natura affatto generale.Ma tutto ci ci suggerisce forse che molti di quelli che veni-vano indicati come pseudoproblemi derivanti da un usoimproprio del linguaggio sono in realt problemi che la filo-sofia solleva avendo tra laltro di mira le diverse manifesta-zioni dellattivit linguistica.

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    PARTE PRIMA

    LE DESCRIZIONI COME PROBLEMA FILOSOFICO

    ... in questo capitolo prenderemo in

    esame larticolo the al singolare, e nel

    prossimo capitolo larticolo the al plura-

    le. Sembrer forse eccessivo dedicare

    due capitoli a una sola parola, ma si trat-

    ta di una parola estremamente importan-

    te per il matematico filosofo; come ilgrammatico di Browning per lenclitica

    , elaborerei la teoria di questa parola

    se fossi morto dalla cintola in gi e

    non soltanto in prigione.

    Bertrand Russell

    Introduzione alla filosofia matematica

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    FREGE: I TERMINI SINGOLARI NELLE LINGUE

    FORMALIZZATE E NELLE LINGUE NATURALI

    1.1. Seguendo la terminologia di Russell (1919), chiamodescrizioni definite sintagmi del tipo di il cos e cos, o,pi precisamente, il , dove la varia su propriet.Grammaticalmente, ci che caratterizza queste espressioniconsiste nellessere sintagmi nominali che iniziano con lar-ticolo definito; cos, secondo Russell, le descrizioni si diffe-renziano dai nomi propri per il fatto che mentre questi ulti-

    mi (per esempio Napoleone) sono simboli semplici, cioindecomponibili, esse sono appunto espressioni sintagmati-che (per esempio il vincitore di Austerlitz) analizzabili incostituenti (come minimo: articolo e nome comune, il qualepu essere o meno accompagnato da specificatori comeaggettivi, complementi, relative, ecc.). Dal punto di vistafunzionale, queste espressioni sembrano assumere il ruolo didesignare quellunico oggetto che possiede una data pro-priet, allorch si dia appunto il caso che questa propriet siasoddisfatta da uno e un solo oggetto. Esemplificando, dire-mo dunque che sono descrizioni definite1 sintagmi qualilautore dellaDivina Commedia, lattuale re di Francia oil primo uomo che ha messo piede sulla luna.

    Sintatticamente, le descrizioni hanno la stessa distribuzio-ne dei cosiddetti nomi propri, possono cio occorrere inqualsiasi contesto occorra un nome proprio: se nellenuncia-to Dante un grande poeta sostituiamo a Dante la descri-zione lautore della Divina Commedia, otterremo ancora

    1 Dora in poi user, pi semplicemente, il termine descrizione in luogo deltermine descrizione definita.

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    un enunciato ben-formato. forse superfluo ricordare che labuona-formazione (grammaticalit) non viene meno anchein casi che presentano problemi dal punto di vista semanti-co, come avviene con i cosiddetti contesti opachi, per esem-pio quelli di credenza. Se nellenunciato

    (1) Pompidou non crede che Dante sia lautore dellaDivina Commedia

    sostituiamo Dantecon la descrizione lautore dellaDivinaCommedia, otteniamo

    (2) Pompidou non crede che lautore della DivinaCommedia sia lautore dellaDivina Commedia

    enunciato, questo, che presenta ovviamente delle caratteristichesemantiche diverse rispetto a (1). Ci non toglie, lo ripeto, chei requisiti di grammaticalt vengano in ogni caso soddisfatti.

    Ed proprio questa constatazione che ci fa entrare nel vivodella questione: storicamente, infatti, il problema delle descri-zioni con Frege e Russell nasce su un piano squisitamentesemantico (bench, come vedremo, finisca talvolta per giocareun ruolo determinante anche in vista della sintassi, per lo menonel caso di lingue formalizzate). Di natura semantica, comeabbiamo visto, sono appunto i quesiti che sorgono per quantoconcerne lintercambiabilit fra nomi propri e descrizioni neicontesti opachi. Tuttavia, tralasceremo qui questo punto e cisoffermeremo su un altro aspetto del problema semantico, ossiaquello delle condizioni di verit degli enunciati contenentidescrizioni. Va subito notato che tale aspetto trova la sua fisio-nomia precisa (e, forse, buona parte della sua ragion dessere)2

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    2 significativo che sia Frege sia Russell propongano particolari trattamenti delledescrizioni appunto a partire dal problema costituito dalle descrizioni improprie. Siveda per esempio Frege (1903: parr. 63-65), dove, come mostreremo, la questioneessenziale di garantire sempre un valore di verit agli enunciati, esigenza che sem-bra appunto scontrarsi con lesistenza di descrizioni improprie. Dal canto suo, comevedremo nel capitolo successivo, Russell muove fra laltro dallesigenza empiristicadi contestare una linea di discorso (attribuita a Meinong e Frege) tendente a postula-re lesistenza di oggetti irreali come denotazioni delle descrizioni improprie.

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    in riferimento al caso delle cosiddette descrizioni improprie (ladescrizione il impropria quando la propriet non appar-tiene ad alcun oggetto o appartiene a pi di uno: p.e. lattualere di Francia, il filosofo che ha scritto lIdeologia tedesca). Inaltri termini, quale sar il valore di verit degli enunciati condescrizioni improprie? (Per esempio: Lattuale re di Francia

    calvo un enunciato vero o falso?)Si talvolta osservato che in Frege sono presenti (ten-denzialmente) due proposte di soluzione per questo proble-ma, proposte successivamente elaborate rispettivamente daCarnap e Strawson (e questo spiega perch si parli spesso disoluzione Frege-Carnap e di soluzione Frege-Strawson).Ora, ci che in primo luogo tenter di mostrare che Fregenon prospetta, bench sommariamente, due soluzioni alter-native per un unico problema, ma prospetta invece due solu-zioni ognuna delle quali ha a che fare con un problemadistinto. In breve: abbiamo non solo due proposte di solu-zione, ma anche due problemi distinti. Uno di questi il pro-

    blema delle descrizioni nelle lingueformalizzate; laltro ilproblema delle descrizioni nelle lingue naturali. Cos, unadelle soluzioni prospettate da Frege riguarda il primo pro-blema, laltra il secondo, e credo che la motivazione di civada cercata in uno degli assunti centrali della filosofia dellinguaggio di Frege.

    1.2. Supponiamo di avere lespressione 23. Se doman-dassimo che cosa denota, Frege riterrebbe naturale rispon-dere che denota il numero 6. Immaginiamo ora di far varia-re a piacere il secondo dei numerali contenuti nellespres-sione: avremo cio 24, 25, ecc. Possiamo anzi accettarela pratica corrente e collocare una certa lettera, p.e. la , l

    dove intendiamo operare la variazione, ottenendo cos le-spressione.

    (A) 2.

    , questa, una espressione funzionale, in cui la nonha altro compito che quello di indicare un posto vuoto,

    FREGE 15

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    che sar di volta in volta occupato da un numerale (deno-tante largomento della funzione). ovvio che, a secondadel numerale che sostituiremo alla , otterremo via viaespressioni denotanti numeri diversi (valori della funzio-ne): 24denota l8, 25 denota il 10, ecc. Si capisce allo-ra perch, secondo Frege, il tratto distintivo di una funzio-

    ne consiste nellessere insatura (ci che, a livello espres-sivo, reso dallindicazione, tramite la , del postovuoto), ossia nel necessitare di un completamento (il quale,sempre a livello espressivo, effettuato grazie alla sostitu-zione della con un numerale). Per rinunciare alla meta-fora fregeana, che, probabilmente a torto, ha sollevato unainfinit di discussioni, diremo dunque che la funzione hauna natura essenzialmente relazionale, consistendo nellamessa in corrispondenza di una certa entit, o argomento(nel nostro caso, numeri: il 3, il 4, il 5, ecc.), con unaltraentit, o valore (nel nostro caso, ancora numeri: il 6, l8, il10, ecc.).

    Ora, uno dei passi decisivi compiuti da Frege statoappunto quello di ampliare la portata del concetto di funzio-ne, in particolare estendendo lambito delle entit che pos-sono figurare come argomenti o come valori di una funzio-ne: secondo questa prospettiva, in linea di principio ognientit pu svolgere questi ruoli. Per esempio, dallenunciatoCesare conquist la Gallia possiamo ottenere, immaginan-do una variazione analoga alla precedente, una espressionefunzionale del tipo

    (B) x conquist la Gallia

    dove per argomenti avremo p.e. individui (Cesare, Bruto,

    ecc.), mentre i valori della funzione saranno valori di verit(il Vero, il Falso). Allo stesso modo, dallespressione lacapitale della Francia possiamo ottenere

    (C) La capitale di

    dove gli argomenti saranno p.e. nazioni e i valori citt.

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    Ho ritenuto opportuno accennare brevemente a questopasso decisivo compiuto da Frege perch, a mio avviso, inquesto contesto di discorso che prende forma, nella logica enella filosofia del linguaggio contemporanee, il problemadelle descrizioni (per lo meno nei termini per noi oggi rile-vanti). Infatti, limitandoci qui alle funzioni di primo grado

    cio quelle che hanno per argomento un oggetto, e nonunaltra funzione in base alla natura degli oggetti che pos-sono figurare come valori delle funzioni, possibile distin-guere queste ultime in:

    i) Concetti,3 ossia funzioni aventi come valori solo valori diverit (v. es. (B));ii) Funzioni descrittive, ossia funzioni aventi come valoritutti gli oggetti che non siano valori di verit (v. ess. (A) e(C)).

    evidente che il problema delle descrizioni cade per inte-

    ro in ii).1.3. Per Frege la funzione di una lingua formalizzata (o

    ideografia) consiste nel permettere di esaminare nelmodo pi sicuro la connessione di una catena deduttiva(Frege, 1879: introd.). Per far ci essa deve essere in gradodi esprimere unicamente il contenuto concettuale, ossia lecondizioni di verit di ogni enunciato: entro il giudizioviene preso in considerazione soltanto ci che ha influenzasulle possibili conseguenze. Tutto ci che necessario peruna deduzione esatta espresso con completezza; ci cheinvece non necessario, non viene per lo pi neppure indi-cato (ibid.: par. 3). In che senso questa tematica connessa

    con il problema delle descrizioni? La risposta la fornisce lostesso Frege in Sinn und Bedeutung, quando, dopo essersiappunto chiesto qual il motivo per cui si esige che ogni

    FREGE 17

    3 In questa classe rientrano le relazioni, cio funzioni con due argomenti:anchesse hanno infatti come valori i valori di verit (per esempio o ama ). Ma, qui e in seguito, facciamo astrazione dal numero di posti delle fun-zioni.

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    nome proprio4 abbia una denotazione, afferma che il motivova ricercato nel fatto che ci che interessa il valore di veri-t degli enunciati. Cercher ora di chiarire questo punto.

    Abbiamo visto che per Frege i valori di verit (il Vero, ilFalso) sono valori di particolari funzioni chiamate concet-ti, funzioni che hanno oggetti per argomenti. Pertanto,

    chiedere che ogni enunciato abbia un valore di verit equi-vale a chiedere che ogni concetto sia rigorosamente deter-minato, e cio che si possa sempre rispondere con un s ocon un no alla domanda: Il tale oggetto cade sotto il taleconcetto?

    Immaginiamo ora di avere una lingua che contenga ilsegno come operatore tale che, applicato a un terminedella lingua, dar ancora un termine: cos se il numerale 4 un termine, lo sar anche 4 ( chiaro che abbiamo quiuna funzione descrittiva, rappresentabile con lespressione o, discorsivamente, con lespressione la met di...).Ora, lespressione funzionale pu entrare a far parte

    dellespressione di un concetto, p.e. dellespressione

    =1 (ossia: (essere) qualcosa la cui met uguale a 1). Dalpunto di vista di Frege, che si tratti di un concetto facil-mente desumibile dal fatto che se lo applichiamo p.e. alnumero 2 avremo come valore il Vero, mentre avremo ilFalso negli altri casi; del resto, sostituendo alla il nume-rale 2otterremo lenunciato 2 = 1, e per Frege la deno-tazione di un enunciato appunto un valore di verit).Arriviamo cos al nocciolo del problema. Infatti, perch ilconcetto denotato da = 1 sia rigorosamente delimitato(sia cio possibile dire di qualsiasi cosa se la sua met onon uguale a 1), necessario che ogni termine ottenutograzie alluso delloperatore (ossia ogni termine ottenu-

    to sostituendo alla un nome doggetto) abbia una deno-tazione, sia tale che esista uno e un solo oggetto denotato daquel termine.

    Per render conto di ci assumiamo, sempre seguendoapprossimativamente lesempio di Frege, di avere nella

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    4 Frege chiama nome proprio ogni espressione denotante un oggetto.

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    nostra lingua unespressione priva di denotazione come L, dove L denota la luna (la mancanza di una denotazionederiva dal fatto che non sappiamo di quale met si parla):ebbene, ne conseguirebbe che, nel caso della luna, nonpotremmo dire se la sua met o no eguale a 1 e quindi cheil concetto (essere) qualcosa la cui met eguale a 1 risul-

    terebbe indeterminato (e ancora: lenunciato L = 1 nonavrebbe un valore di verit). Per riassumere, il senso del dis-corso di Frege dunque questo: i) ci che interessa il valo-re di verit di un enunciato; ii) perch un enunciato abbia unvalore di verit necessario che il concetto in esso contenu-to sia rigorosamente determinato; iii) infine, perch un con-cetto sia rigorosamente determinato necessario che ogninome proprio (in particolare ogni descrizione) abbia unadenotazione. a questo punto, sempre in riferimento alle-sempio citato, che Frege accenna alla convenzione graziealla quale si pu prospettare una soluzione del problema:Qui dunque bisogna stabilire una convenzione pi precisa,

    in modo che per ogni oggetto venga determinato qualeoggetto la sua met; in caso contrario, non si pu usare le-spressione la met di x con larticolo definito. Una fun-zione di primo grado a un argomento deve dunque esseresempre costituita in modo tale che ne scaturisca un oggettocome suo valore. (Frege, 1903: par. 63.)

    chiaro che, dato il carattere convenzionale della solu-zione proposta, non sussistono difficolt nellassegnaredelle denotazioni a quelle espressioni descrittive che in real-t non denotano nulla: per esempio, nel caso di una linguaavente come proprio dominio i numeri, baster stipulare chelo 0 la denotazione di tutte le descrizioni improprie. Ingenere, il ricorso a entit arbitrarie ha dunque il compito di

    garantire lomologia tra strutture sintattiche e strutturesemantiche, facendo s, in particolare, che a ogni espressio-ne sintatticamente ben-formata corrisponda una denotazio-ne. in questa direzione, credo, che va colto il senso dellaproposta fregeana, proposta che del resto lo stesso Carnapdoveva cos sintetizzare: [Frege] suggerisce che le regole diun sistema linguistico siano costruite in modo che ogni

    FREGE 19

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    descrizione abbia un descriptum. Ci richiede certe conven-zioni che sono pi o meno arbitrarie; ma tale svantaggiosembra di scarsa entit se si pensa a ci che si guadagna dalpunto di vista della semplicit delle regole del sistema(Carnap, 1956: 35). Schematizzando, si potrebbe dire: Fregeparte da una esigenza semantica (garantire un valore di veri-

    t per ogni enunciato), constata una possibile sfasatura frasintassi e semantica (non corrispondenza fra espressioniben-formate e oggetti denotati), supera questa sfasaturamuovendosi sul piano della semantica, immettendovi cioentit arbitrarie. La morale, come accenna Carnap, chela complicazione della semantica un prezzo esiguo dapagare per avere una lingua logicamente perfetta, cio unalingua cui si richiede: che ogni sua espressione che siacostituita come nome proprio, a partire da segni gi noti esecondo ben precise regole grammaticali, designi anche difatto un oggetto, e che non venga introdotto alcun nuovosegno come nome proprio senza che gli sia assicurata una

    denotazione (Frege, 1892: 23).1.4. Detto questo, rimane il problema delle lingue natura-

    li. In questo caso, infatti, Frege (a ragione o a torto: ne dis-cuteremo) non intende procedere a una completa normaliz-zazione logica di queste lingue, ma parte dal presuppostodella loro imperfezione logica; una imperfezione, noteremodi sfuggita, che dovuta non gi a una presunta povertdelle lingue naturali, ma viceversa alla loro esuberanzaespressiva. Il ragionamento di Frege sembra qui abbastanzaovvio: mentre, come abbiamo visto, una lingua logica ha lasua stessa ragion dessere in una autolimitazione alla strut-tura puramente deduttiva del discorso, una lingua naturale

    conosce una tale molteplicit di usi che ci che guadagna inpotenza espressiva lo perde in rigore. Per evitare possibilifraintendimenti, dir subito che daltra parte sono proprioqueste considerazioni a spingere Frege a una indagine sullastruttura logica delle lingue naturali. Il paradosso soloapparente, se si tiene conto del fatto che per Frege questastruttura non qualcosa di immediatamente dato nella lin-

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    gua (non c identit fra struttura logica e struttura gramma-ticale), ma qualcosa che in un certo senso va conquistatoattraverso tutti i tranelli che una lingua naturale tende alricercatore. In questo senso, credo che in molte pagine diFrege si possano trovare numerose istanze di una filosofiadel linguaggio operante, ossia di una analisi volta a isolare

    la struttura logica sottostante della lingua: mi limiter qui aricordare lanalisi dei quantificatori, quella dei connettivi(che ha il pregio di mettere a fuoco la struttura ricorsivadella lingua) e infine la risoluzione della struttura soggetto-predicato nella struttura argomento-funzione. Ma non diquesto che voglio occuparmi. Piuttosto, ci che mi interes-sa, in questo contesto, che un simile riferimento allaimperfezione logica delle lingue naturali porta a riconoscereche: i) in queste lingue certi nomi propri possono essereprivi di denotazione; ii) dunque, certi concetti possono risul-tare indeterminati; iii) dunque, certi enunciati possono risul-tare privi di un valore di verit. La differenza rispetto alla

    situazione delineata a proposito delle lingue formalizzate allora la seguente: mentre in queste ultime perch une-spressione descrittiva abbia una denotazione necessario esufficiente che lespressione stessa sia ben-formata, nellelingue naturali la buona-formazione una condizione neces-saria ma non sufficiente (possiamo cio avere espressionigrammaticali, ma prive di denotazione). Per chiarire que-stultimo punto, si pu accennare a un fenomeno che sembracaratterizzare luso di una lingua naturale e che di partico-lare rilievo per il nostro problema: voglio dire il fenomenodellapresupposizione. Grosso modo, esso pu essere defini-to in questi termini: un enunciato E1 presuppone un altroenunciato E2 quando tanto la verit quanto la falsit di E1implicano la verit di E2. Pi precisamente (con V pervero e F per falso):

    (D) E1 presupponeE2 = def [V(E1) V(E2)] [F(E1) V(E2)].

    FREGE 21

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    Per cogliere la rilevanza di questo punto per il problemadelle descrizioni, baster fare la seguente considerazione.Mentre, come s appena visto, in una lingua formalizzata ladenotativit di unespressione garantita dalla sua buona-formazione, in una lingua naturale la denotativit di une-spressione ha a che fare con una serie di altri fattori. Cos, in

    particolare, il fatto che un enunciato abbia un valore di veri-t pu dipendere dalla verit di un altro enunciato. Cercherora di chiarire questo punto con un esempio che ricalca inparte quello di Frege. Si prenda lenunciato:

    (3) Lo scopritore della penicillina ricevette il premioNobel

    Ora, la posizione di Frege che stiamo esaminando (a dif-ferenza, lo ripeto, da quella da lui assunta nel caso delle lin-gue formalizzate) consiste appunto nel dire che perch (3)abbia un valore di verit (sia vero o falso) necessario 5 che

    sia vero questaltro enunciato:(4) Esiste qualcuno che scopr la penicillina

    Infatti, se (4) fosse falso, la descrizione lo scopritoredella penicillina non avrebbe ovviamente una denotazione,cosicch lintero enunciato (3) non avrebbe un valore diverit (non potremmo cio dire n che vero, n che falso). In termini pi precisi, diciamo allora che (3) presup-pone (4). Si badi bene: abbiamo detto che (3) presuppone(4), non che (3) contiene (4) come sua parte. Questultima grosso modo la soluzione di Russell,6 per il quale, comevedremo, gli enunciati della forma

    (E) Il

    22 LE DESCRIZIONI

    5 Mi limito qui, per semplicit, alla condizione desistenza. Un discorso analo-go andrebbe ovviamente fatto per la condizione di unicit. Per i problemi che (D)solleva dal punto di vista della logica classica a due valori, cfr. van Fraassen (1968)e Woodruff (1979).

    6 Cfr. Whitehead e Russell (1910: 174).

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    vanno in realt analizzati in questo modo:

    (F) a. Esiste unx che b. Al massimo unx c. Qualunquex sia .

    Cos, nel nostro esempio, secondo Russell (3) conterreb-be (4) logicamente (anche se non dal punto di vista dellastruttura grammaticale: ecco un aspetto della sfasatura fragrammatica e logica), proprio perch un enunciato di para-digma (E) analizzabile nel complesso (F) a, b, c, in cuifigura appunto lenunciato esistenziale di paradigma (F) a.Da questa assunzione di natura semantica, Russell trae delleconseguenze rilevanti anche sul piano sintattico, proponen-do nei Principia il metodo delle cosiddette definizioni con-testuali, grazie alle quali enunciati di paradigma (E) sareb-bero definibili in termini di enunciati complessi in cui noncompaiono descrizioni e che rispecchierebbero quanto stabi-

    lito in (F) (in particolare includerebbero un enunciato esi-stenziale). Vale a dire:

    (G) Il = defEsiste un unicox che e questox .

    Se volessimo sintetizzare la differenza fra la soluzione diFrege (per le lingue naturali) e quella di Russell (per le lin-gue naturali e quelle formalizzate) potremmo dire che men-tre la relazione di presupposizione fra E1 eE2 (vedi (D)) silimita a individuare un requisito per la verit o falsit diE1 senza che si asserisca cheE1 contieneE2 e tanto meno cheE1 traducibile nei termini di un enunciato complesso in cuioccorreE2, doveE1 nel nostro caso lenunciato con descri-

    zioni e E2 il relativo enunciato esistenziale le definizionicontestuali, motivate dalla convinzione di Russell che E1contiene fra laltro E2, stipulano7 appunto la traducibilit di

    E1 in un enunciato complesso in cui occorreE2.

    FREGE 23

    7 Lassunzione di Russel circa le definizioni contestuali, come vedremo, anzipi forte: se si ha a cuore la struttura logica, il definiendum deve sempre esseresostituito dal definiens.

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    Vale forse la pena di registrare un fatto che, per quanto mirisulta, passato inosservato, e cio che Frege giunge adabbozzare anticipatamente la soluzione di Russell: ma se laprende in considerazione, per scartarla subito. Mi riferiscoproprio a quel passo di Sinn und Bedeutung in cui Fregesostiene che lesistenza dellentit denotata da un nome pro-

    prio (in particolare, da una descrizione) s unpresuppostodellenunciato in cui occorre quel nome, ma non una suaparte (per quanto latente): Le lingue hanno questo difet-to: in esse ci possono essere espressioni che per la loroforma grammaticale sembrano determinate a designare unoggetto, ma che in alcuni casi non conseguono questa lorodeterminazione, perch ci dipende dalla verit di un altroenunciato. Cos dipende dalla verit dellenunciato Ci fuuno che scopr la forma ellittica dellorbita dei pianeti selenunciato subordinato colui che scopr la forma ellitticadellorbita dei pianeti designa realmente un oggetto, oppu-re d solo limpressione di farlo, essendo in realt privo di

    denotazione. E cos pu sembrare che il nostro enunciatosubordinato contenga come parte del proprio senso il pen-siero che vi fu uno che scopr la forma ellittica dellorbitadei pianeti. (Frege, 1892: 22). In altre parole, nel caso delledescrizioni, per Russell lobiettivo essenziale individuareche cosa io dico in realt, caratterizzandolo entro i terminidi una normalizzazione logica (cos, grazie allartificio delledefinizioni contestuali i miei enunciati risulteranno sempreveri ofalsi), per Frege (relativamente alle lingue naturali) sitratta invece di mettere in luce alcune circostanze in virtdelle quali ci che io dico vero o falso (se queste circo-stanze non sussistono se per esempio non esiste lentitdenotata dalla descrizione ci che io dico non n vero n

    falso).8 Secondo questultima prospettiva, la riconduzione di

    24 LE DESCRIZIONI

    8 Scott (1970: 152) sembra riprendere in parte queste considerazioni quandopropone di concepire le descrizioni come funzioni parziali: le descrizioni improprieavrebbero quindi valori indefiniti. Infatti questa la soluzione che Frege affacciaper esempio nei Grundgesetze, in passi cui ho gi avuto modo di far riferimento.Va anche detto che, in quel particolare contesto, egli la respinge subito, e questoperch ritiene che una soluzione del genere, mentre utile per dar conto di certecaratteristiche delle lingue naturali (dove in particolare si hanno descrizioni prive di

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    una lingua naturale a una struttura logicamente adeguata vaperseguita sin dove si pu: vero che attraverso opportuniaccorgimenti si potrebbe andar oltre, ma questa sarebbe unaforzatura, dal momento che lanalisi logica di una linguanaturale deve rispondere in primo luogo a requisiti di ade-guatezza empirica.9

    FREGE 25

    di verit, il che rimanda ovviamente allidea di funzione parziale), controprodu-cente nel costruire la semantica di una lingua formalizzata (dove tutte le espressio-ni devono avere una denotazione, affinch tutti gli enunciati siano veri o falsi). Inaltri termini, egli laccetta come resoconto di un dato di fatto (per le lingue natura-li), ma la respinge come convenzione semantica per una ideografia. Il passo cuifaccio riferimento quello che inizia con la domanda: Ma non si pu convenireche lespressione la somma di un primo e di un secondo oggetto debba avere unadenotazione solo quando i due oggetti sono numeri? (In questo caso avremmoappunto una funzione parziale, il cui valore definito solo per certi argomenti.)Come ho detto, la risposta che Frege d a questa domanda negativa, dal momen-to che il discorso verte sulle lingue formalizzate.

    9 La posizione di Frege sembra quindi suscettibile di sviluppi interessanti. Fralaltro, credo che andrebbe chiarita la natura della relazione di presupposizione,una relazione abbozzata da Frege in termini (se non sbaglio) prevalentementesemantici, cio come una relazione fra valori di verit di enunciati. Sembra inveceche, dal punto di vista qui adottato, linteresse precipuo di questa relazione consi-sta nella sua naturapragmatica, investendo la sfera delle credenze e aspettative deiparlanti. quanto ho cercato in parte di mostrare nel cap. 3.

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    2.

    LA TEORIA DELLE DESCRIZIONI DI RUSSELL

    E GLI OBIETTIVI DEL RIDUZIONISMO

    2.1. Ci che mi propongo di fare, nei confronti dellaTeoria delle Descrizioni (TD) di Russell, sollevare alcuniinterrogativi che mi sembrano pertinenti per la tematicadibattuta in questo libro. Il mio problema non quindiaffrontare tale teoria nel suo complesso, dal momento che neignorer alcuni aspetti per altro verso essenziali, come peresempio quelli che sono presi in considerazione da Quine

    (1940) e che riguardano la sua utilit e praticabilit dalpunto di vista della costruzione di una lingua che risulti logi-camente adeguata a certi fini. Pi semplicemente, cercherdi mostrare come la TD sia legata a una certa concezionedella forma logica degli enunciati e come questultima, asua volta, sia legata a una certa concezione di quelle entitextralinguistiche che sono i fatti.

    2.2. Annoverando le descrizioni fra i nomi propri, Fregenon aveva compiuto solo una scelta (o una semplificazione)terminologica. In realt, come in parte abbiamo visto, allabase dellatteggiamento di Frege cera la convinzione che,dal punto di vista semantico, le descrizioni (cio espressioni

    sintatticamente complesse, come il vincitore di Austerlitzo la met di quattro) svolgono la stessa funzione dei nomipropri in senso corrente (espressioni sintatticamente sempli-ci, come Napoleone o due). A mio avviso, lintuizione difondo di Frege, che non a caso viene tacitamente ripresa daicritici della teoria russelliana, la seguente: i nomi propri insenso corrente e le descrizioni svolgono di fatto la stessa

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    funzione, non sono altro che due strumenti diversi utilizzatiper un unico fine, quello di riferirsi a oggetti. Questo atteg-giamento, apparentemente innocuo, pu in realt implicareuna specie di liberalizzazione ontologica che risulta subitosospetta a chi si collochi allinterno di una prospettiva radi-calmente empirista: se tutto ci che pensabile nominabi-

    le, e se per nominare io posso servirmi indistintamente (e conpari diritti logici) di nomi propri e di descrizioni, allora, pro-prio in virt di questa equiparazione, viene a cadere la possi-bilit di separare espressioni ritenute insospettabili da altreche non lo sono.1 Ora, dal punto di vista di Russell, laccor-ciamento e, al limite, lannullamento della distanza fra nomipropri e descrizioni comporta appunto lannullamento delladistanza fra ci che denota in modo diretto un dato (imme-diatamente) esperibile e ci che denota per via indiretta(attraverso un significato descrittivo) qualcosa che pueventualmente risultare non esperibile. Di qui lesigenza direspingere lassimilazione fregeana delle descrizioni ai nomi

    propri. E, come vedremo, la contrapposizione fra nomi pro-pri e descrizioni avr in Russell dei risvolti diversi a secondadei diversi presupposti filosofici che la sottendono. In breve,cercher di mostrare che, pi che un paradigma di filosofia(Ramsey), la TD uno strumento riduzionistico che, nellostesso Russell, pu essere posto al servizio di assunti filoso-fici parzialmente divergenti. Infatti, una volta escogitato lostrumento, pu variare il campo delle entit da ridurre.

    2.3. Per semplificare lesposizione ricondurr i presuppo-sti che a mio avviso sono alla base della TD a due ordini diconsiderazioni peraltro interconnesse: le prime, di natura

    28 LE DESCRIZIONI

    1 E daltra parte, per lempirista, la ricerca di ci che ontologicamente nso-spettabile coincide spesso con la ricerca di ci che semplice, ossia direttamenteesperibile e non costruito: per Locke, che possiamo considerare come uno deiprimi assertori di una pratica riduzionistica di questo genere, i nomi delle idee sem-plici occupano una posizione privilegiata proprio nella misura in cui rimandano adati direttamente afferrabili (le idee semplici, appunto, che non derivano dallatti-vit costruttiva dellintelletto, ma dallazione diretta che loggetto esercita su diquesto); e non a caso questi nomi risultano indefinibili: si tratta di termini che siriferiscono in modo diretto a entit semplici e il cui significato non pu dunqueessere analizzato (definito), ma solo esibito ostensivamente.

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    logica e ontologica, vertono sul problema della strutturadella proposizione e su quello delle entit da introdurre neldominio di interpretazione del linguaggio, le seconde con-cernono invece pi specificamente il problema della cono-scenza, in particolare il concetto di acquaintance (o cono-scenza diretta).

    Lassociazione fra logica e ontologia che ho indicatosopra potrebbe di primo acchito sollevare delle difficolt,ma credo che sia proprio questo uno dei nodi centrali daindividuare se si vogliono cogliere le motivazioni reali dellaTD. La logica, leggiamo in Russell (1919), non deveammettere un unicorno pi di quanto non faccia la zoologia;infatti la logica ha a che fare con il mondo reale proprioquanto la zoologia, bench ne consideri solo gli aspetti piastratti e generali [...]. Il senso della realt vitale in logicae chiunque se ne prenda gioco pretendendo che Amleto sia,per quanto in senso differente, reale, rende un cattivo servi-zio al pensiero. Un robusto senso della realt assoluta-

    mente necessario per compiere unanalisi corretta delle pro-posizioni riguardanti gli unicorni, le montagne doro, i cir-coli quadrati e simili pseudo-oggetti. In omaggio a talesenso della realt, insisteremo sul fatto che, nellanalisi delleproposizioni, non si deve ammettere niente di irreale. Ed appunto allinterazione fra considerazioni logico-linguisti-che da una parte e considerazioni ontologiche dallaltra checi si pu riferire in un primo approccio alla TD.

    2.4. Largomentazione di Russell pu essere articolata nelmodo seguente.2

    RUSSELL 29

    2 A proposito dellesposizione che segue, va notato che: i) per poter rendereconto dei lineamenti essenziali della soluzione russelliana, ho dovuto mantenermia un livello di generalit tale da permettere di trascurare alcune pur importanti spe-cificazioni, motivate spesso dai divergenti assunti filosofici che sottendono le dif-ferenti formulazioni della TD (basti pensare alla diversit di prospettiva, a secon-da dei diversi momenti della filosofia russelliana, in cui vengono considerate leentit extralinguistiche da associare agli enunciati cio proposizioni, fatti, ecc.);a tali specificazioni si accenner peraltro in seguito; ii) a causa della inaccuratez-za terminologica di Russell (che raggiunge il parossismo nelluso, per esempio,del termine proposizione, adoperato spesso in accezioni lontane fra loro), horinunciato a utilizzare le varie locuzioni russelliane. In questa sede, per enunciato

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    (a) Il significato (meaning) di un nome proprio il por-tatore di quel nome.

    Per cogliere alcune importanti implicazioni della conce-zione russelliana opportuno richiamarsi brevemente allateoria semantica di Mill, in particolare alla distinzione fra

    nomi connotativi e non connotativi.Tutti i nomi generali (grosso modo: nomi comuni eaggettivi, per esempio cane, onnisciente) sono connota-tivi nel senso che: i) possiamo capire questi nomi anchesenza essere in grado di determinare il dominio di oggetticui si applicano; ii) gli oggetti cui si applicano non fannoparte del loro significato; iii) la classe di questi oggetti pueventualmente risultare vuota. In breve, un nome connota-tivo si applica ad alcunch solo nella misura in cui gli associato un insieme di attributi che un oggetto deve posse-dere affinch si possa dire che gli applicabile il nome inquestione: tale insieme appunto la connotazione del

    nome, che in un certo senso costituisce lelemento dimediazione il quale mette in rapporto entit linguistiche (inomi) con le entit non linguistiche cui le prime si applica-no. Daltra parte, per quanto concerne i nomi singolari, essisono connotativi o non connotativi. Il primo caso rappre-sentato dalle descrizioni (per esempio, il vincitore diAusterlitz), dal momento che una descrizione si applicaunivocamente a un oggetto se e soltanto se questultimo lunico a soddisfare lattributo o insieme di attributi (cio laconnotazione) espressi dalla descrizione stessa. Il secondocaso invece rappresentato dai nomi propri (per esempio,Napoleone), che sono segni privi di connotazione: essi siapplicano cio direttamente ai loro oggetti, vale a dire che

    30 LE DESCRIZIONI

    si deve intendere unespressione linguistica caratterizzata da certi criteri di buona-formazione e per proposizione ci che di non-linguistico va associato allenun-ciato (una maggior precisione su questo punto sarebbe qui fuori luogo perch,come ho appena detto, il mio obiettivo per il momento render conto delle lineegenerali della TD, trascurando la diversit delle risposte che Russell d di volta involta a importanti questioni, in particolare quella della natura delle proposizioni,dei fatti, ecc.).

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    lidentificazione avviene qui senza laiuto di alcun conte-nuto descrittivo.3

    Ora, ignorando qui tutta una serie di specificazioni, ci chemi interessa osservare che Russell concepisce il rapporto franome proprio e oggetto nominato appunto come un rapportodiretto: il nome sta per il nominato, e per far questo non ha

    alcun bisogno di passare attraverso entit di natura concet-tuale, insiemi di attributi. Quello che conta unicamente lanominazione: qui c un esistente, e qui un nome che lo nomi-na. In senso proprio, io non posso nominare un non-esistente,appunto perch il nome qualcosa che si applica direttamen-te a un dato: analogamente, non posso segnare col gesso unoggetto che non esiste. Sotto un certo punto di vista proprioqui che in Russell avviene la saldatura fra momento logico-linguistico e momento ontologico: infatti, la garanzia desi-stenza per gli oggetti nominati dagli autentici nomi propri data dalla semplicit, dal carattere diretto e immediato delrapporto di nominazione (qui un dato, qui un nome); recipro-

    camente, ci che caratterizza un nome proprio il fatto dipoter nominare solo entit date, esistenti,4 cos come nonposso indicare con un gesto ci che assente dal mio campopercettivo (non a caso per Russell lunico autentico nomeproprio sar, a un certo punto, la pi tipica delle espressionidipendenti dal contesto: la parola questo).

    (b) La denotazione di una descrizione quellunicooggetto, se c, che soddisfa la propriet espressa dalladescrizione stessa.

    Cos, lattuale presidente della repubblica francesedenotaPompidou, mentre lattuale re di Francia non denota alcun-

    RUSSELL 31

    5 Dobbiamo dunque mettere a confronto due cose: (1) un nome, che un sim-bolo semplice designante direttamente un individuo che il suo significato, e pos-sedente questo significato in modo autonomo, indipendentemente dal significato ditutte le altre parole; (2) una descrizione, formata da diverse parole, i cui significatisono gi fissati, e da cui risulta quello che deve essere considerato il significatodella descrizione. (Russell, 1919: cap. 16.)

    4 Solo delle descrizioni definite o indefinite si pu asserire lesistenza sen-satamente; infatti, se a un nome esso deve nominare qualcosa: ci che non nomi-na niente non un nome, e quindi, se lo si usa come un nome, diventa un simbolo

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    ch. Ma ci che va qui sottolineato che a Russell non inte-ressa il rapporto di denotazione in quanto tale, cosicch egli dper scontato o irrilevante (per i suoi fini) il fatto che une-spressione come lattuale presidente della repubblica france-se si applichi, nel senso intuitivo della parola, a Pompidou. Inaltri termini, ovviamente Russell si guarda bene dal negare

    che, se io chiedessi a qualcuno chi o che cosa ho inteso desi-gnare con quella espressione, la risposta Pompidou sarebbepi che legittima. Ma non questo il punto, poich lobiettivodi Russell non consiste tanto nellesplicitare un rapporto fat-tuale (quale che sia) fra entit linguistiche, come per esempiole descrizioni, ed entit non linguistiche, i descripta, quantoindividuare uno strumento logico che permetta di mettere afuoco una struttura denunciato pi rispondente a una certaconcezione del fatto. Come vedremo, tale strumento sarrappresentato dalle definizioni contestuali.

    (c)Le espressioni componenti un enunciato logicamente

    adeguato devono essere tali che i loro significati entrinocome componenti nel fatto espresso dallenunciato stesso.

    Fra tutti i punti formulati, questo forse quello in cui ilnostro desiderio di generalit risulta maggiormente fuorvian-te. Infatti, la formulazione (c) pu valere con soddisfacenteprecisione solo per il periodo dellatomismo logico, dalmomento che negli altri casi (e gi a partire da On Denoting)Russell parla di volta in volta di proposizioni (in quanto enti-t non linguistiche), di giudizi, ecc. Tuttavia, nonostante que-ste ampie differenziazioni (nel merito delle quali non voglioqui entrare), possibile cogliere nella formulazione particola-re (c) un aspetto comune alle diverse caratterizzazioni della

    TD, ossia la necessit di concepire la struttura dellenunciatoin funzione di considerazioni di natura logica. E, come vedre-mo, quando la forma grammaticale dellenunciato non puessere identificata con una struttura cos concepita, bisognerfar ricorso a una ipotetica forma sottostante.

    32 LE DESCRIZIONI

    privo di significato. (Russell, 1919: cap. 16.)

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    Per il momento, vorrei solo far rilevare come il significa-to di una espressione linguistica sia dunque ci che entracome componente nel fatto espresso dallenunciato e comesia proprio questo il motivo che induce Russell a negare chele descrizioni abbiano un significato in proprio (vedi il punto(e)). In altri termini, credo che sia impossibile cogliere il

    senso e la portata della TD se non si tiene conto del fatto chelaccorgimento centrale di questa teoria (ossia rifiutare alledescrizioni un significato autonomo) determinato non tantoda considerazioni circa i meri rapporti fra espressioni lingui-stiche (descrizioni) ed entit extralinguistiche (descripta),quanto da considerazioni inerenti alla struttura logica delfatto (della proposizione, del giudizio, ecc.).

    Come abbiamo visto nel caso di (a), il significato di unautentico nome proprio non altro che la sua denotazione:quindi la denotazione di un nome proprio entra come com-ponente nel fatto espresso dallenunciato.5 O meglio: insenso stretto, un nome proprio non ha una denotazione, ma

    un significato, il quale la denotazione di una descrizione(Pompidou, che il significato del nome Pompidou, ladenotazione della descrizione lattuale presidente dellarepubblica francese).6 Rimane ora da constatare che, reci-

    RUSSELL 33

    5 La denotazione non un costituente della proposizione, tranne che nel casodei nomi propri, ossia di parole che non assegnano una propriet a un oggetto, masemplicemente e unicamente lo nominano. (Russell, 1917: 162.)

    6 II problema qui sottinteso quello dellarbitrariet o meno dei termini singola-ri. Come s visto, una descrizione pu denotare qualcosa, secondo Russell, solonella misura in cui questo qualcosa soddisfa la propriet espressa nella descrizione.La relazione di denotazione contempla dunque: i) unespressione linguistica; ii) uninsieme di propriet; iii) loggetto denotato. Non essendo diretto, ma mediato dallepropriet, il rapporto fra espressione e oggetto denotato non arbitrario (non peruna pura convenzione linguistica, secondo Russell, che possiamo riferirci aPompidou con lespressione lattuale presidente della repubblica francese: infat-ti necessario che egli sia questo presidente), mentre arbitrario il rapporto fra nomeproprio e oggetto significato (nessuna propriet lega il nome in quanto tale al nomi-natum). Ecco perch il nome Scott semplicemente un rumore o una figura con-venzionalmente usata per designare una certa persona; non ci d alcuna informazio-ne circa la persona, e non ha niente che possa essere chiamato significato in con-trapposizione a denotazione [...]. Per denotazione non dobbiamo intendere la merarelazione di un nome alla cosa nominata. In effetti, sarebbe pi vicino alla verit direche il significato di Scott la denotazione de lautore di Waverley [...]. Se distin-guiamo significato e denotazione in lautore di Waverley, dovremo dire cheScott ha significato ma non denotazione. (Russell, 1917: 163-164.)

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    procamente, una descrizione ha (eventualmente) una deno-tazione, ma mai un significato.

    (d) Un enunciato di struttura Soggetto-Predicato vertesulloggetto significato dallespressione che figura in

    posizione di soggetto.

    In questo senso, si pu senzaltro dire che lenunciatoPompidou calvo verte su Pompidou, e sembrerebbeche sia possibile dire lo stesso dellenunciato Lattualepresidente della repubblica francese calvo. Ma il fatto che ci sono descrizioni (come per esempio lattuale redi Francia) che manifestamente sono prive di denotazio-ne e, conseguentemente, ci sono enunciati (come peresempio Lattuale re di Francia calvo) a proposito deiquali dovremmo dire che vertono su niente, o su qualcosache non esiste, il che per Russell inaccettabile. A menoche si postulino entit fittizie quali lattuale re di Francia

    o il quadrato rotondo, violentando cos quel senso dellarealt che secondo Russell dovrebbe valere anche inlogica, ci si trova dunque di fronte a unalternativa: oaffermare che enunciati come quello incriminato sono deinonsensi, rinunciando cos a spiegare come sia possibileche enunciati perfettamente analoghi quali Lattuale re diFrancia non esiste siano non solo significanti, ma addi-rittura veri, oppure sostenere che in realt gli enunciaticontenenti descrizioni non sono di quella formaSoggetto-Predicato che possiamo tranquillamente attri-buire agli enunciati contenenti nomi propri. Si tratterebbeinsomma, in questo secondo caso, di passare da una strut-tura linguistica effettiva e osservabile a una struttura, per

    cos dire, ideale e latente. Questo equivarrebbe a direche, poich quelli che entrano come componenti di unfatto (di una proposizione) espresso da un enunciato sonoi significati delle espressioni occorrenti nellenunciato, epoich le denotazioni delle descrizioni, per i motivi appe-na visti, non figurano come componenti dei fatti, allora ledescrizioni possono s avere una denotazione, ma mai un

    34 LE DESCRIZIONI

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    significato. Ed appunto questa la strada imboccata daRussell.

    (e)Le descrizioni non hanno, di per s, significato.

    Credo che questo aspetto fondamentale della TD sia stato

    spesso frainteso. Infatti, come ho gi avuto modo di dire, ilprincipio (e) stato pi volte confuso con una enunciazionedi natura meramente semantica (nel senso standard dellaparola), ossia come una enunciazione riguardante, puramen-te e semplicemente, i rapporti intercorrenti fra le espressio-ni linguistiche da un lato e le entit extralinguistiche a esseassociate dallaltro. Tuttavia, dovrebbe essere chiaro chenellaffermazione russelliana secondo la quale le descrizio-ni hanno talvolta una denotazione ma mai un significato nonbisogna vedere altro che questo: a differenza da quanto siverifica nel caso degli autentici nomi propri, non c nulla,nella struttura logica dellenunciato, che corrisponda ai

    sintagmi descrittivi presenti nella struttura grammaticale.7

    In breve, sotto questo profilo la locuzione la tale espressio-ne ha significato pu essere considerata sinonima dellalocuzione alla tale espressione associato qualcosa chefigura nella struttura logica dellenunciato. Ma se ci vero, ne consegue che la determinazione della classe delleespressioni dotate di significato e, pi particolarmente, perquanto concerne i termini singolari, la classe dei nomi pro-pri dipende dalla particolare concezione della strutturalogica del fatto (o eventualmente del giudizio, della propo-sizione, ecc.) che si sostiene. Ed in effetti proprio questoaccade in Russell, il quale, come vedremo, annette estensio-

    RUSSELL 35

    7 Socrate, per esempio, sta per un certo uomo, e quindi ha significato di pers, senza bisogno di un qualsiasi contesto. Se formiamo un contesto, come inSocrate mortale, queste parole esprimono un fatto di cui lo stesso Socrate uncostituente: c un certo oggetto, cio Socrate, che ha la propriet della mortalit,e questo un costituente del fatto complesso che asseriamo quando diciamoSocrate mortale. Ma in altri casi questa semplice analisi non possibile [...].Ogni qual volta si pu supporre che il soggetto grammaticale di una proposizionenon esiste senza per questo rendere la proposizione priva di significato, chiaroche il soggetto grammaticale non un nome proprio, ossia un nome rappresentan-te in modo diretto qualche oggetto. (Whitehead e Russell, 1910: 66.)

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    ni di volta in volta diverse alla classe dei nomi propri, aseconda dei modi in cui concepisce il fatto. La conse-guenza di (d) ed (e), a proposito di quelli che tradizional-mente vengono chiamati termini singolari, che, logica-mente parlando, solo i nomi propri possono occorrere in

    posizione di soggetto. Infatti, Russell assume (dogmatica-

    mente, come vedremo) che un enunciato pu vertere solo suci che esiste: ma solo nel caso dei nomi propri, secondoRussell, garantita lesistenza di ci che designato dal ter-mine. per ovvio che a questo punto sorge il problema disapere che cosa si intende esattamente per nome proprio, dalmomento che, dal punto di vista grammaticale, figurano inquesta categoria espressioni come Apollo, Cerbero, ecc.,che non sembrano certo soddisfare i requisiti posti daRussell. E la risposta di Russell a questo problema in lineacon lorientamento generale seguito nella TD: c discre-panza fra grammatica e logica, e affidarsi alle intuizionigrammaticali spesso fuorviante. Nel caso specifico, non

    possiamo dire se una data espressione o non un nomeproprio in base a criteri puramente sintattici (per esempio, inbase a criteri distribuzionali), ma solo in base alla funzionelogica che essa svolge. Di primo acchito, sembrerebbe chela discriminazione fra descrizioni e nomi propri sia peresempio individuabile nel fatto che le prime, come abbiamovisto, sono espressioni composte, mentre i secondi sonoespressioni semplici. Ora, esempi come quelli di Apollo,Cerbero, ecc., stanno a dimostrare che la semplicit sintat-tica non una condizione sufficiente per la determinazionedei nomi propri: ci che richiesto altres lesistenza (inuna accezione che, come vedremo, ha a che fare con il con-cetto di conoscibilit diretta) dellentit designata.8 In breve:

    un nome proprio un simbolo semplice che designa in mododiretto (cio senza passare per propriet) un singolo esisten-te. Ne consegue che espressioni come Apollo sono nomipropri solo apparentemente. Infatti, in virt del principio (d)un enunciato come Apollo non esiste risulterebbe privo di

    36 LE DESCRIZIONI

    8 Non a caso in Russell (1918) la definizione del nome proprio presuppone quel-la del particolare, ossia dellentit significata dal nome proprio.

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    significato, essendo priva di significato lespressione inposizione di soggetto. Non rimane dunque che pensare che inomi di quel genere sono descrizioni camuffate9 e che,come tali, sono suscettibili dello stesso trattamento riserva-to alle descrizioni. Rimane ora da delineare questo tratta-mento.

    (f) Una descrizione, in quanto espressione linguistica,occorre nella forma grammaticale di un enunciato, men-tre la forma logica dellenunciato sar tale che in essanulla fa riscontro alla descrizione stessa.

    Questultimo punto non altro che una esplicitazione di(e). E in effetti il problema di Russell il seguente.

    A partire da una funzione enunciativa x possiamo otte-nere lespressione descrittiva (x) (x) [da leggersi: lu-nica x che soddisfa x] . Ora, come abbiamo visto, unacaratteristica di questa classe despressioni (a differenza

    dalla classe degli autentici nomi propri) che alcune di essesono prive di denotazione. Per esempio, non solo sensatoma addirittura vero dire dellattuale re di Francia che nonesiste. Cos, se ammettiamo che si pu parlare solo di ciche esiste (e che solo un nome proprio pu dunque occorre-re come soggetto in un enunciato a struttura Soggetto-Predicato), allora, per dire che lenunciato

    (1) Lattuale re di Francia non esiste

    RUSSELL 37

    9 Una proposizione come Apollo esiste ha in realt la stessa forma logica cheLessere perfettissimo esiste, anche se non contiene esplicitamente la parola il.Infatti, Apollo significa in realt loggetto che ha le propriet enumerate nelDizionario di Mitologia. (Whitehead e Russell, 1910: 31.) Si prenda una propo-sizione come Romolo esistito: probabilmente molti di noi pensano che Romolonon sia esistito. Ovviamente, dire che Romolo esistito unasserzione perfetta-mente significante, che sia vera o no. Se Romolo stesso entrasse nella nostra asser-zione, sarebbe chiaro che lasserzione che egli non esistito costituirebbe un non-senso, perch non potete avere un costituente di una proposizione il quale non sianiente [...]. Se Romolo fosse effettivamente un nome, il problema dellesistenzanon sorgerebbe, perch un nome o pervenuto a nominare qualcosa oppure non un nome, e se non c nessuna persona come Romolo non pu esserci un nome perquella persona che non c, cosicch la singola parola Romolo in realt unaspecie di descrizione tronca o condensata. (Russell, 1918: 242.)

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    verte sullattuale re di Francia, bisognerebbe anzitutto assume-re che questultimo esiste, per poi negarne contraddittoriamen-te lesistenza nellenunciato stesso.10 Viceversa, secondoRussell, problemi di questo genere non sorgono se, tenendopresente la discrepanza fra grammatica e logica, associamo a(1) una forma logica in cui lattuale re di Francia non figura

    come soggetto. quanto otteniamo analizzando (1) come

    (2) Non si d il caso che ci sia una e una sola cosa che lattuale re di Francia.

    Cos, in genere, un enunciato del tipo di

    (3) ~ (E! (x) (x))[Da leggersi: Lunicax che soddisfa x non esiste]

    verr analizzato in un altro del tipo di

    (4) ~ (x) (x (y) (y y =x))dove lespressione (x) (x), che in (3) sembra fungere dasoggetto, stata eliminata.

    Reciprocamente, un enunciato di paradigma

    (5) E! (x) (x)[Da leggersi: Lunicax che soddisfa x esiste]

    viene analizzato in

    (6) (x) (x (y) ( y y =x)).

    Il passaggio da (5) a (6) concepito da Russell come untipo particolare di definizione, che egli chiama definizione

    38 LE DESCRIZIONI

    10 Supponiamo di dire Il quadrato rotondo non esiste. Sembra chiaro che sitratta di una proposizione vera: tuttavia non possiamo considerarla come una pro-posizione che nega lesistenza di un certo oggetto chiamato il quadrato rotondo.Infatti, se ci fosse, un tale oggetto esisterebbe: non possiamo dapprima assumereche c un certo oggetto, e successivamente passare a negare che ci sia un taleoggetto. (Whitehead e Russell, 1910: 66.)

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    contestuale. Infatti, ponendo (5) come definiendum e (6)come definiens, abbiamo:

    (7) E! (x) (x) = def (x) (x (y) (y y =x)).

    Lespressione descrittiva (x) (x) va dunque considerata

    come un simbolo incompleto (ossia un simbolo che di per snon ha significato) e, proprio per questo motivo, essa non puvenire definita (definirla equivarebbe infatti ad assegnarle unsignificato): com evidente, ci che definiamo attraverso ledefinizioni del tipo di (7) sono enunciati contenenti lespres-sione descrittiva (x) (x), vale a dire che il definiendum non una descrizione, ma un contesto duso in cui occorre ladescrizione. Ora, lidea fondamentale di Russell appunto cheuna descrizione costituisce sempre un simbolo incompleto, enon solo in enunciati esistenziali come (3) o (5). Altrimentidetto, ogni qualvolta avremo un enunciato di paradigma

    (8) (x) (x)[Da leggersi: Lunicax che soddisfa soddisfa . O, pisemplicemente: Il ]

    dovremo considerarlo come il definiendum di una definizio-ne contestuale. Ma quale sar il definiens?

    Per rispondere a tale domanda, Russell si chiede prelimi-narmente quali siano le condizioni di verit di un enunciatodel tipo di (8). Esse sono le seguenti: (i) che esista unax chesia ; (ii) che al massimo una x sia ; (iii) che qualunque xsia , sia . Ma, daltra parte, perch le condizioni (i) e (ii)siano soddisfatte necessario e sufficiente che sia vero le-nunciato di paradigma (6), il quale afferma appunto che esi-

    ste unax che e che ce n soltanto una. Di qui la propo-sta russelliana di considerare (6) comeparte del definiens diqualsiasi enunciato di paradigma (8). Secondo questa impo-stazione, non resta dunque che completare il definiens inmodo da render conto anche della condizione (iii), ci chenon pone problemi di sorta. Avremo dunque:

    RUSSELL 39

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    (9) (x) (x) = def(x) (x (y) (y y =x) x).

    Per Russell, dunque, dire che la tal cosa ha una data pro-priet equivale in realt a dire che la tal cosa esiste, unica eha una data propriet, e le parole in corsivo esprimono qui gliaspetti intuitivamente meno ovvi della soluzione, dal momen-

    to che nulla, nella forma grammaticale, sembra rimandare allecondizioni di esistenza e di unicit. Aquestultima osservazio-ne, Russell replicherebbe che una definizione di paradigma (9)non chiamata a rendere conto di date proprietfattuali ine-renti alla grammatica di una lingua, ma a stabilire, con il defi-niens, una traduzione ideale cui rapportare gli enunciati osser-vabili.11 Infatti, anche se teoricamente superflua (data linter-scambiabilit di uso fra definiens e definiendum) e se sembraquindi motivata da considerazioni di pura opportunit tipo-grafica, daltro lato una definizione implica di solito che ildefiniens degno di attenta considerazione [ ... ]. In secondoluogo, quando ci che viene definito (come spesso accade)

    qualcosa di gi familiare [ ... ], la definizione consente una ana-lisi di una idea comune, e pu quindi esprimere un notevoleprogresso [ ... ]. In tali casi, una definizione un renderedeterminato: d determinatezza a una idea che in precedenzaera stata pi o meno vaga (Whitehead e Russell, 1910: 12).Ora, alcuni fautori della TD hanno creduto di neutralizzarecerte critiche che sono state mosse a questa teoria sostenendoche essa non comprende entro il proprio raggio dazione le lin-gue naturali, ma solo le lingue formalizzate. A mio avviso,questo atteggiamento del tutto sbagliato. Abbiamo appenaconstatato che, nelle definizioni contestuali, il definiens rap-presenta per cos dire una traduzione ideale del definiendum:in altri termini esso ci indica la struttura logica che, secondo

    Russell, sottende la struttura grammaticale. Ma, pur essendoideale, questa struttura logica messa da Russell in relazionecon una struttura osservabile: sono anzi convinto che con laTD Russell intenda fornire, fra le altre cose, limpalcatura logi-ca (ideale) di alcuni fenomeni linguistici (quelli legati alluso

    40 LE DESCRIZIONI

    11 Su questo punto, cfr. Kaplan (1970).

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    dellarticolo, nella fattispecie), e il fatto che egli stesso sosten-ga che il comportamento linguistico effettivo pu a volte allon-tanarsi da quella impalcatura non certo un buon motivo perporre le lingue naturali al di fuori del potere esplicativo dellateoria. A questo proposito, mi limiter a due brevi osservazio-ni: (i) uno dei motivi per i quali Russell respinge la soluzione

    convenzionale, consistente nellassumere entit arbitrariecome denotazioni delle descrizioni improprie, che essa chiaramente artificiosa e non fornisce unanalisi esatta dellaquestione,12 lasciando cos intendere che il compito di una teo-ria, in questo caso, render conto di certi fenomeni in modointuitivamente adeguato; (ii) parlando per esempio dellartico-lo definito, Russell dice che, rigorosamente usato, esso com-porta unicit: vero che ci capita di parlare de il figlio diTizio anche quando Tizio ha pi di un figlio, ma in questocaso sarebbe pi corretto dire un figlio di Tizio.13

    In breve, con la TD Russell ha anche inteso render contodi certi aspetti delle lingue naturali. Il problema non dun-

    que di ridimensionare la teoria in modo da renderla estraneaa questo compito, ma chiedersi in che misura essa pu risul-tare adeguata sotto tale prospettiva. quanto far dopo averbrevemente accennato alla seconda questione indicata in2.3., ossia a quella concernente le premesse gnoseologichedella TD.

    2.5. Prior (1971: 156) osserva che Russell non sarebbedisposto ad affermare lequivalenza logica di

    (10) Paolo dice che Pompidou grasso

    (11) Paolo dice di Pompidou che grasso.

    RUSSELL 41

    12 Russell (1905: 185). Il corsivo mio.13 Russell (1905:182). Il corsivo mio. Qualcosa di analogo si pu trovare nei

    Principia, a proposito della questione dellambito di un simbolo descrittivo: Illinguaggio ordinario naturalmente piuttosto vago e fluttuante su questo punto;ma, assoggettata al requisito di determinatezza, la nostra convenzione sembramantenersi il pi vicino possibile al linguaggio ordinario. (Whitehead e Russell,1910: 71.)

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    Possiamo infatti immaginare che Paolo incontri per stradaPompidou e dica Questo grasso. In tal caso, secondoRussell, sar senzaltro corretto affermare che Paolo ha dettodi Pompidou che grasso, mentre sarebbe per lo meno dub-bio affermare che Paolo ha detto che Pompidou grasso(potrebbe infatti darsi che Paolo non sappia che luomo che

    ha incontrato Pompidou). Viceversa una differenziazionesimile non sembra aver luogo nel caso di

    (12) Paolo dice che questo grasso

    (13) Paolo dice di questo che grasso.

    Infatti, il dubbio sollevato sopra si dissolve qui completa-mente, dal momento che, essendo loggetto del discorso diPaolo al centro di una conoscenza diretta, effettivamente eattualmente data, io ho in un certo senso la garanzia dellatotale aderenza del nome usato (e cio questo) alloggetto

    stesso. Ci implica non solo che (12) e (13) risulterannologicamente equivalenti, ma anche (fatto per noi interessan-te) che non ci sar un divario fra il contenuto esistenziale di(12) e quello di (13). In altri termini: se uso (11) per riporta-re unasserzione di Paolo, io sembro credere implicitamentenellesistenza di Pompidou, mentre non si pu dire esatta-mente lo stesso nel caso io usi (10); viceversa, il fatto che ioutilizzi (12) o (13) per riportare lasserzione di Paolo sem-bra del tutto indifferente dal punto di vista del contenuto esi-stenziale da me sottinteso, grazie appunto a quellagganciodiretto che, secondo Russell, unespressione come questosembra avere con la realt immediata.

    Ora, proprio su questo terreno che si opera quella salda-

    tura fra momento logico-linguistico da una parte e momen-to gnoseologico dallaltra cui ho accennato allinizio di 2.3.Il concetto di nome proprio, infatti, non pi definibile intermini puramente linguistici o sintattici (per esempio in ter-mini di semplicit o distribuzione), ma radicalmente con-dizionato da considerazioni circa la natura degli oggetticonoscitivi che i nomi designano, considerazioni che a loro

    42 LE DESCRIZIONI

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    volta sono legate al modo di concepire la struttura di entitextralinguistiche come fatti, giudizi, proposizioni, ecc.Questo spiega perch, mentre rimane immutato lorientamen-to riduzionistico della TD, pu a volte variare il dominio delleentit da ridurre. Come si diceva allinizio, la TD appuntouno strumento riduttivo, ma la scelta di che cosa ridurre

    dipende da assunti filosofici (o specificamente gnoseologici)che possono mutare. Vediamo cos che mentre nel saggio del1905 vengono considerati nomi propri sia questo, sia, peresempio, Scott (e in genere i nomi di cose o persone esi-stenti, in contrapposizione a nomi come Apollo o Cerbero,concepiti come descrizioni camuffate), in seguito, quando lecose o persone esistenti riceveranno lo statuto di mere costru-zioni logiche riducibili ad altre entit, solo io e questofigureranno come autentici nomi propri (ma allepoca della-tomismo logico anche la prima di queste due espressioni resi-due verr cancellata dal novero dei nomi propri).

    Daltra parte, mentre varia lambito delle entit che

    Russell disposto a considerare come oggetti di conoscenzadiretta, determinando cos la variazione dellambito degliautentici nomi propri, ci che rimane immutato e che giu-stifica il permanere dellobiettivo riduzionistico il pre-supposto che, perch una lingua sia logicamente perfetta, isuoi enunciati devono mantenere un rapporto di isomorfi-smo con i fatti che si intendono rappresentare. dunquechiaro che, sotto questo profilo,14 il modo di concepire lastruttura del fatto a orientare il modo di concepire la struttu-

    RUSSELL 43

    14 Questa espressione restrittiva dovuta al fatto che mi rendo conto che la miaaffermazione potrebbe, in un certo senso, essere rovesciata, dicendo che in realt un certo modo di concepire lenunciato di una lingua logica come quelli deiPrincipia a condizionare radicalmente il modo di concepire il fatto. (Cfr. peresempio Russell, 1918: 179). Indipendentemente da ci, tuttavia, il problema chesto qui considerando quello delle lingue naturali, e da questo punto di vista quel-lo che interessante notare che per rapportare gli enunciati di queste lingue allastruttura del fatto occorre prescindere dalla loro forma grammaticale e ricondur-li a una forma ideale isomorfa rispetto al fatto stesso. In altri termini, il mioobiettivo qui limitato: si tratta infatti non gi di chiarire quale sia per Russell lastruttura del fatto (e quindi, fra laltro, di vedere che rapporto intercorra fra questastruttura e certi assunti dei Principia), ma di mostrare come un certo modo di con-cepire il fatto sia allorigine di un atteggiamento riduzionista nei confronti deglienunciati osservabili, ossia della struttura grammaticale.

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    ra dellenunciato, e l dove, come nelle lingue naturali, sem-bra esistere un divario fra queste due strutture, non resta chericondurre la forma osservabile (o grammaticale) dellenun-ciato a una forma ideale che manterrebbe appunto ilrichiesto isomorfismo con il fatto. In breve, il riduzionismosul piano linguistico (ossia il progetto di ricondurre certe

    forme di enunciato ad altre considerate pi sicure) non faaltro che rispecchiare qui il riduzionismo sul piano conosci-tivo, volto a limitare lambito delle entit ammissibili.

    Queste considerazioni spiegano il motivo per il quale ilconcetto gnoseologico di acquaintance (o conoscenza diret-ta) viene ad assumere una funzione essenziale nella deter-minazione della classe degli autentici nomi propri. Ci chedobbiamo tenere presente, infatti, che quando un giudizio correttamente analizzato, gli oggetti che ne sono i costi-tuenti devono essere tutti oggetti di cui la mente [ ... ] haconoscenza diretta (1917: 167). Per semplificare le cose, ioparler di fatti anzich di giudizi e trasformer la precedente

    asserzione russelliana in questo modo: un componente di unfatto , necessariamente, qualcosa che esiste,15 cio qualcosadi conosciuto direttamente. Ma se, come diceva il punto (c)di 2.3., le espressioni componenti un enunciato logicamenteadeguato devono essere tali che i loro significati entrinocome componenti nel fatto espresso dallenunciato stesso,allora ne consegue che, dal momento che le descrizioni pos-sono denotare entit inesistenti, dobbiamo escludere ledescrizioni dal novero delle espressioni costituenti di unenunciato logicamente adeguato. Daltra parte, come sappena visto, il concetto di esistenza legato a quello diafferrabilit mediante conoscenza diretta, cosicch lesclu-

    44 LE DESCRIZIONI

    15 Cfr. per esempio Russell (1911:159): Nella analisi delle proposizioni conte-nenti descrizioni il principio epistemologico fondamentale il seguente: Ogni pro-posizione che possiamo capire deve essere interamente composta di costituenti dicui abbiamo conoscenza diretta. Pi precisamente, per quanto concerne il rappor-to fra esistenza e nomi propri, si veda Russell (1918: 248): Poich i costituentidelle proposizioni sono naturalmente gli stessi che i costituenti dei fatti corrispon-denti, e poich un fatto che lunicorno non esiste, perfettamente chiaro che lu-nicorno non un costituente di quel fatto, dal momento che se ci fosse un qualsia-si fatto di cui lunicorno un costituente, ci sarebbe un unicorno, e non sarebbevero che esso non esiste.

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    sione operata nel caso delle descrizioni dovr riguardareanche buona parte dei nomi propri: in particolare, quandocon latomismo logico lunica entit conoscibile direttamen-te viene a essere il sense-datum, tutti i nomi propri in sensocorrente (che si applicano a persone, montagne, citt, ecc.,cio a costruzioni logiche) sono esclusi, di modo che ci

    rimane come unico nome proprio in senso logico (cio cometermine singolare dotato di un significato autonomo) le-spressione questo. , questa, una conclusione forse inac-cettabile per chi non condivide le tesi dellatomismo logico,ma qui mi interessa sottolineare un altro punto: indipenden-temente dagli esiti dellatomismo logico, in generale las-sunto riduzionistico della TD a portare a conclusioni assaidiscutibili dal punto di vista della teoria del significato edella forma logica. Ed ecco la duplice considerazione chevorrei brevemente svolgere in proposito:

    a) Legando nel modo che abbiamo visto il concetto dinome proprio a quello di acquaintance, Russell rende per lo

    meno labile il concetto stesso di nome proprio. Infatti, se ilsignificato di un autentico nome proprio deve essere qualco-sa di conoscibile direttamente, non si pu fare a meno dipensare che se io conosco direttamente Pompidou ma ilmio interlocutore non si trova nella stessa posizione privile-giata, allora lespressione Pompidou nellenunciato

    (14) Pompidou grasso

    sar per me un nome proprio, mentre non lo sar per il miointerlocutore. Ed effettivamente Russell sembra accettarequesta discutibile conseguenza16 (discutibile, perch sembraprivare i nomi propri di un autentico valore comunicativo e

    interpersonale), n si pu dire che essa viene meno assu-mendo come unico nome proprio lespressione questo, dalmomento che in tal caso lesito solipsistico ne risulta anzipotenziato: infatti, ci che un sense-datumper me non pu

    RUSSELL 45

    16 Cfr. per esempio Russell (1917: 157-158), dove a proposito del nomeBismarck si parla addirittura dei gradi di immediatezza conoscitiva in cui datalentit nominata dal nome.

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    necessariamente esserlo per il mio interlocutore, cosicch, insenso stretto, luso di un nome proprio non pu che essere

    privato.b) Come abbiamo visto a suo tempo, le definizioni conte-

    stuali ci permettono di passare da enunciati che contengonodescrizioni o nomi propri spuri ad altri che non li contengo-

    no. In un certo senso, possibile vedere nel definiens di (9)la forma logica del definiendum, ossia ci che ne esprimele condizioni di verit. Ora, un corollario per lo meno biz-zarro di a) che la forma logica degli enunciati sembravariare da parlante a parlante. Infatti, sempre ammettendoche io abbia una conoscenza diretta di Pompidou ma nonlabbia il mio interlocutore, dovremo concludere che per melenunciato (14) ha effettivamente la forma logica Ga(dove a una costante), mentre per lui avr la forma (x)ecc.: come dire che io e lui assegneremmo condizioni diverit diverse alla medesima occorrenza di un enunciato!17

    46 LE DESCRIZIONI

    17 Lo stesso accade se ci limitiamo al caso dellunico nome proprio questo. Delresto, Russell non sembra respingere lesito totalmente solipsistico cui ho accen-nato. Cfr. Russell (1918: 198): Se potesse essere costruita, una lingua logicamen-te perfetta sarebbe non solo insopportabilmente prolissa, ma, per quanto concerneil suo vocabolario, sarebbe largamente privata, di un unico parlante. Vale a dire chetutti i nomi che essa userebbe sarebbero privati, di quel parlante, e non potrebberoentrare nella lingua di un altro parlante. Del resto questa posizione implicita-mente sostenuta anche nei Principia, dove si afferma che il criterio di riservare aun enunciato contenente un nome proprio spurio (come per esempio Apollo) lostesso trattamento riservato a un enunciato contenente una descrizione si applicaa molti usi dei nomi propri di oggetti esistenti, per esempio a tutti gli usi di nomipropri per oggetti noti al parlante solo di seconda mano, e non per una personaleconoscenza diretta (Whitehead e Russell, 1910: 31).

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    PARTE SECONDA

    PARLARE DI OGGETTI

    Ogni concetto pu venir considerato

    come un punto, il quale, come il punto

    di vista di un osservatore, ha il suo ori-

    zonte, costituito da una moltitudine di

    cose, che in base a tale punto possono

    venir rappresentate e, per cos dire,

    abbracciate con lo sguardo.Immanuel Kant

    Critica della ragione pura

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    3.

    RIFERIMENTO E PREMESSE COMUNICATIVE

    3.1. Nella sua critica della TD Strawson sostiene che ler-rore di Russell consiste nel non aver distinto fra (i) descri-zione, (ii) uso della descrizione, (iii) emissione della descri-zione, e, parallelamente, nel non aver distinto fra (i) enun-ciato, (ii) uso dellenunciato, (iii) emissione dellenunciato.Grosso modo, le osservazioni da fare a questo propositosono le seguenti: un enunciato, nel senso qui in questione, quellentit ideale che consideriamo invariante nonostante

    leventuale molteplicit (e variabilit) delle sue emissionifattuali. Se prendiamo per esempio lenunciato

    (1) Il presidente degli Stati Uniti un corruttore

    chiaro che questo enunciato pu essere emesso da personediverse, in tempi diversi, in luoghi diversi, che pu esserescritto o proferito oralmente, e in particolare che pu esserescritto con materiali diversi o pronunciato con toni di vocevariabili, ecc. ecc. Ora, tutte queste sono emissioni (ciooccorrenze fattuali) dellenunciato, la cui (eventuale) molte-plicit non ci impedisce per di parlare di un unico e mede-simo enunciato: quello che per Strawson appunto lenun-

    ciato. Daltra parte, un enunciato qualcosa che normal-mente emettiamo per fare asserzioni, e in ci possiamo indi-viduare luso di un enunciato. Per esempio, (1) pu essereemesso da me e da un mio amico il 3 marzo 1974, e in que-sto caso abbiamo due emissioni diverse ma un unico usodellenunciato, avendo entrambi asserito qualcosa circa lostesso personaggio (Richard Nixon); ma se consideriamo

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    lemissione di (1) che io ho fatto per esempio il 3 marzo1963, dobbiamo dire che, rispetto al caso precedente, qui cnon solo unemissione diversa dellenunciato, ma anche unuso diverso, dal momento che lasserzione risultante riguardaJohn F. Kennedy. Ora, questa distinzione fra enunciato, usoed emissione serve a Strawson per affermare, contro Russell,

    che non ha senso parlare del valore di verit di un enunciatotout court, mentre ha senso parlare del valore di verit diunasserzione per fare la quale usiamo un enunciato.

    Correlativamente, qualcosa di analogo vale per le descri-zioni. In questo caso, diremo allora che una descrizione nelsenso di (i) (cio come entit invariante ideale, come tipo)non qualcosa che in quanto tale si riferisce ad alcunch, ma qualcosa che usiamo per riferirci a un dato oggetto: nelnostro esempio, lespressione il presidente degli Stati Unitinon si riferisce in quanto tale a questo o quellindividuo,mentre luso che ne faccio grazie a una certa emissione, peresempio il 3 marzo 1974, mi permette di riferirmi a Nixon

    (a certe condizioni). In breve: Menzionare o riferirsi anon qualcosa che unespressione fa; qualcosa che pufare qualcuno usando unespressione a questo fine. Riferirsia qualcosa, o menzionarla, una caratteristica delluso diuna espressione [descrittiva], cos come il riguardare qual-cosa, e la verit e la falsit, sono caratteristiche proprie del-luso di un enunciato. (Strawson (1950: 204)

    Lidea di Strawson che il significato di una descrizionenon sia altro che un insieme di istruzioni generali riguar-danti luso della descrizione stessa per riferirsi a oggetti par-ticolari e, parallelamente, che il significato di un enunciatonon sia altro che un insieme di istruzioni generali riguardan-ti luso dellenunciato stesso per fare asserzioni vere o false.

    A partire da questa concezione del significato dellenuncia-to come insieme di regole duso, e ragionando in termini difunzioni, credo di poter caratterizzare la posizione diStrawson in questo modo:

    (a) il significato di un enunciato una funzione che, assu-mendo come argomenti unemissione dellenunciato e ilcontesto dellemissione, ha come valore unasserzione;

    50 PARLARE DI OGGETTI

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    (b) unasserzione a sua volta una funzione che, assu-mendo come argomento uno stato del mondo, ha come valo-re un valore di verit (il vero o il falso).

    Questo spiega perch limpostazione di Strawson ricalchi,in parte, quella di Frege. Come s visto, per questultimo unenunciato (di una lingua naturale) contenente una espressione

    descrittiva non implica logicamente lesistenza del descrip-tum, ma semplicemente la presuppone, nel senso che lesi-stenza di questa entit richiesta perch lenunciato stessoabbia un valore di verit. In modo non dissimile, anche se lacornice concettuale ovviamente diversa, secondo Strawsonnoi facciamo unautentica asserzione (che quindi, come tale, suscettibile di avere un valore di verit) solo se esiste log-getto sui cui verte lasserzione stessa: in caso negativo, fac-ciamo unasserzione spuria il cui valore di verit (vedi (b))risulta indefinito; come dire che essa non n vera n falsa.

    3.2. Una prima osservazione che vorrei fare a proposito

    della teoria di Strawson che essa assume la condizione diesistenza del descriptum in modo troppo esclusivo. Comevedremo, il concetto di esistenza non caratterizzabile senon in relazione a un dato universo del discorso, il cheimplica una certa liberalizzazione del dominio ontologicoassociato al linguaggio. In altri termini, vedremo per esem-pio che non solo sensato ma addirittura vero, relativamen-te allo spazio conoscitivo delineato dalla Recherche diProust dire che lenunciato

    (2) Il barone di Charlus un omosessuale

    vero.

    Viceversa, per Strawson, se il descriptum di una descri-zione non esiste nel senso corrente, allora non ci riferiamoad alcunch, cosicch non avremo fatto che unasserzionespuria, n vera n falsa.1 Ma chiaro che questa maniera di

    RIFERIMENTO 51

    1 Non sarebbe corretto in generale affermare che unasserzione riguarda il sig.X o il cos-e-cos, a meno che tale persona o cosa esista. (Strawson, 1950.) veroche nella ristampa (del 1956) di On Referring, Strawson sembra rendere pi sfuma-

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    privilegiare un certo concetto di esistenza, concetto che misembra strettamente imparentato con quello del realismoingenuo, ha come conseguenza una seria limitazione delcampo di ci che genuinamente asseribile.

    In secondo luogo, vorrei osservare che, nella teoria diStrawson, non sembra riconosciuta una funzione rilevante al

    sistema delle credenze e delle aspettative del parlante-ascol-tatore. La relazione di presupposizione fra unasserzione S eunasserzione S definita in questo modo in Strawson(1952):

    (3) La verit di S una condizione necessaria dellaverit o falsit di S,

    e in Strawson (1954: 217) possiamo leggere il seguentecommento: [ ... ] La definizione non fa alcun rifermento allecredenze dei parlanti o degli ascoltatori [ ... ]. Che S abbia omeno un valore di verit dipende da una cosa, ossia dal fatto

    che S sia o meno vero. Che per un parlante sia o meno cor-retto asserire S dipende da una cosa completamente diversa[ ... ], cio dal fatto che il parlante creda o meno che S. Ioritengo per che il sistema delle credenze e delle aspettativenon sia rilevante solo ai fini della correttezza (appropria-tezza) o meno di una data emissione di enunciato, ma ancheai fini del riferimento operato dal parlante e quindi ai finidellasserzione fatta (e quindi, in definitiva, del suo valore diverit). Avremo modo di vedere come questo aspetto delproblema sia legato al problema di convenzioni che rego-lano luso del linguaggio, e per il momento vorrei limitarmiad alcune brevi considerazioni circa il problema specificodel riferimento delle descrizioni. Sotto questo profilo, i dati

    di cui Strawson tiene conto nella sua teoria mi sembranoessenzialmente due: da un lato la propriet espressa dalladescrizione (per esempio, la propriet di essere lattuale re

    52 PARLARE DI OGGETTI

    ta la sua enunciazione, assumendo che non si dovrebbe pi parlare di uso spurioma di uso secondario di un enunciato. Tuttavia, a parte il fatto che questa modi-ficazione non sufficientemente