ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE DI POSEIDONIA

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE DI POSEIDONIA Author(s): Federico Russo Source: Aevum, Anno 82, Fasc. 1 (Gennaio-Aprile 2008), pp. 25-39 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20862047 . Accessed: 14/06/2014 15:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.96.115 on Sat, 14 Jun 2014 15:50:21 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE DI POSEIDONIAAuthor(s): Federico RussoSource: Aevum, Anno 82, Fasc. 1 (Gennaio-Aprile 2008), pp. 25-39Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20862047 .

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Aevum, 82 (2008), fasc. 1

Federico Russo

ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE DI POSEIDONIA

The vexata quaestio of the exact meaning of a famous Aristoxenos' fragment about Poseidonia's bar

barization ("[the Greeks of Poseidonia] became barbarous Etruscans or Romans") is here conside

red. The main problem focused by modern critics is the double and contemporary presence of Romans and Etruscans in Poseidonia at the end of fourth century B.C. But the lack of mention of another

people, the Lucans, is more remarkable. The historical context of South Italy at the end of the fourth century B.C. suggests a new interpretation of Aristoxenos' text: the alternative "Romans or Etruscans"

could conceal a reference to the alleged Pelasgic origin of the Romans.

1. Alessandro il Molosso fu chiamato in Italia da Taranto1 (in rappresentanza forse di tutti gli Italioti2), principalmente a causa della presa di Eraclea da parte dei

Lucani3, da collocare4 nel 333 a.C. Di tutta la vicenda del Molosso in Italia, qui interessa soprattutto sottolinea

re il trattato di pace, o alleanza, da lui stipulato con i Romani5 in funzione anti

sannitica, ed il contemporaneo deterioramento dei suoi rapporti con i Tarantini. Come ha ben spiegato Urso, "l'intesa con Roma in funzione antisannita era una chiara scelta politica... ed esprimeva chiaramente la volonta di sostituirsi ai Tarantini nel comando della lega italiota. Taranto non poteva accettare tale impo sizione, tanto piu che essa ribaltava l'impostazione filosannita della sua politica estera ed accettava il principio delPintesa con Roma, che invece i Tarantini indi viduavano come il vero pericolo della grecita italiota"6. La tensione tra Taranto e il Molosso si acui nel momento in cui quest'ultimo tento di spostare la sede della lega italiota da Eraclea, citta arnica di Taranto, a Turii. E evidente che nella

1 Aristotele fr. 614; Strabone, VI 3, 4; Livio, VIII 24, 2; Giustino, XII 1, 2 e XVIII 1, 2. 2 Due fonti non parlano di Taranto, ma dei Greci d'ltalia: Cron. Oxy. FGrHist 255, 6; Giustino,

XXIII 1, 5. 3 Per i Lucani, Livio VIII 24, 4 e Strabone VI 3, 4 (che menziona anche i Messapi). Aristotele (fr. 614) parla genericamente di "barbari", mentre Giustino menziona i Bruzzi (XII 2, 1; XVIII 1, 2) e poi gli Apuli (XII 2, 5). 4

Per la discussione del dato cronologico e delle fonti, rimando a G. Urso, Taranto e gli xenikoi

strategoU Roma 1998, 29-31, ivi bibliografia precedente. 5 Livio, VIII 17, 10 parla di pace, Giustino XII 2, 12 di alleanza.

6 Urso, Taranto, 35.

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26 F. RUSSO

concezione del trattato tra il Molosso e i Romani dovette giocare un ruolo impor tante l'idea di grecita d'ltalia, di cui il Molosso, tramite la guida della lega ita

liota, voleva essere riconosciuto Kpocxaxr\q, ed e per questa ragione che verosi milmente fu concessa a Roma Popportunita di essere citta greca7.

Prima di soffermarsi sull'uso del tema della grecita nei rapporti tra il Molosso e i Romani, e necessario definire il contesto in cui tale allineamento si verified.

In base alle fonti, non e immediatamente comprensibile il motivo per cui Roma scelse il Molosso come alleato. La Sordi8 fornisce una possibile risposta a

questo problema. Secondo la studiosa, che, come e noto, procede ad una forte revisione criti

ca della cronologia delle guerre sannitiche e dei fatti che ad esse fecero da corol

lario, l'impresa del Molosso e da considerare contemporanea allo scoppio della

guerra tra Roma e Napoli e conseguentemente allo svolgimento della prima san

nitica; Roma si ailed con il re epirota perche trovo nel Molosso il naturale allea to contro i Sanniti, che a loro volta ricevevano il sostegno dai Tarantini (sia a

Napoli che in Lucania). Rivediamo una sintetica sequenza delle imprese del Molosso in Italia dal 333

a.C. al 331/30, anno della sua morte: secondo Giustino, la prima guerra combat tuta dal Molosso fu contro gli Apuli (XII 2, 5), identificabili sulla base di altri dati con i Messapi (cfr. Livio, VIII 24, 4, che data la morte del Molosso al 326 a.C); dopo aver concluso velocemente la pace con questi (2, 11), e forse dopo l'occupazione di Siponto (Livio, VIII 24, 4), l'azione del re epirota si volse con tro i Bruzzi e i Lucani, che vinse piu volte (Giustino, XII 2, 12). Livio fornisce i nomi di alcune citta conquistate dal Molosso, tra cui figura anche Eraclea (VIII 24, 4). Dopo la conquista di Eraclea (collocabile al 332 a. C.) ed il foedus con

Metaponto (Giustino, XII 2), il re passo verosimilmente sulla costa tirrenica, dove

porto avanti due diverse campagne: secondo Urso, il Molosso, per ragioni stra

tegiche, prima intervenne in Bruzio (Livio, VIII 24, 4; Strabone, VI 1, 5), dove libero la citta di Terina, poi a Pesto9.

7 Urso, Taranto, 34-35. V. anche Licofrone 1444-1450, dove si menziona un A,vko<;, identifi

cato da alcuni proprio con il Molosso, amico dei Romani. Cfr. a questo proposito, G. Amiotti, Lico

di Reggio e I'Alessandra di Licofrone, ?Athenaeum?, 60 (1982), 452-60: 457-59; Ead., Alessandro Magno e il mito troiano nella tradizione occidentale, in Alessandro Magno tra storia e mito, a c. di

M. Sordi, Milano 1984, 113-21. In sintesi, V. Gigante Lanzara, Licofrone. Alessandra, Milano

2000, 431. 8 M. Sordi, Roma e i Sanniti nel IV secolo, Roma 1969, 22-36. 9 La presenza del Molosso a Pesto, cosi lontano dal teatro di guerra che altre fonti concorde

mente gli attribuiscono, ha indotto il Werner (e prima di lui altri) a ritenere che il passo di Livio in questione sia frutto di un fraintendimento gia liviano: Livio avrebbe frainteso la sua fonte greca che

parlava di Pandosia, non di Poseidonia. Giustamente Zevi si oppone a questa ipotesi, soprattutto in

virtu del fatto che l'operazione del Molosso a Pesto si inquadra bene e coerentemente nei rapporti di alleanza e pace intercorsi tra l'Epirota e Roma. Zevi ritiene anche che Porizzonte a cui il Molosso

si riferi per giustificare il suo avvicinamento ai Romani sarebbe stato quello troiano. Si noti pero che, sebbene questa teoria sia assolutamente possibile, alia fine del IV secolo l'idea delle origini troiane di Roma era ancora ben lontana dal suo completo assestamento. Le fonti infatti testimonia no una pluralita di versioni, molte delle quali non hanno nulla che fare con Troia o con Enea. Cfr. R. Werner, Alexander der Molosser in Italien, in Zu Alexander d. Gr. Festschrift G. Wirth, I, hrsg. W. Will, Amsterdam 1988, 335-90, ivi bibliografia precedente; F. Zevi, Alessandro il Molosso e

Roma, in Alessandro il Molosso e i condottieri in Magna Grecia. Atti del XLIII Convegno di Studi

sulla Magna Grecia, Taranto 2003, Napoli 2004, 793-832: 799-801.

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 27

L'intervento a Pesto sembrerebbe contemporaneo al foedus di amicizia con i

Romani, menzionato da Giustino (XII 2, 12) e Livio (VIII 17, 10), che perd parla di pace10. E stato ipotizzato, come si diceva, che l'alleanza tra Roma ed il Molosso abbia avuto prettamente funzione antisannita, forse perche era gia in atto lo scon tro diretto tra Romani e Sanniti.

In questa ricostruzione, che prevede l'anticipazione del periodo della "prima sannitica" (corrispondente, nella cronologia tradizionale alia "seconda sannitica", svoltasi, stando alle fonti antiche, tra il 325 e il 304 a.C, mentre la "prima san nitica" sarebbe avvenuta, secondo la cronologia tradizionale, tra il 343 e il 341

a.C), a mio avviso esistono due punti rimasti in ombra che e necessario eviden ziare. Se e vero che l'impresa del Molosso, e piu in particolare il suo intervento a Pesto, avvenne quando Roma era gia in guerra con i Sanniti, dobbiamo dedur re che anche Palleanza tra Romani e Lucani in funzione antisannita (Livio, VIII

17, 1; 25, 3), che le fonti associano appunto allo guerra sannitica, e che si sareb be dissolta a causa di un'azione proditoria dei Tarantini (VIII 27, 5), sia avve nuta proprio al tempo del Molosso11. Tuttavia, questa versione dei fatti non pud essere conciliata con la sequenza delle azione del Molosso. Come e possibile che i Lucani, gia alleati di Roma, abbiano accettato il fatto che quest'ultima si alleas se con il Molosso, loro acerrimo nemico? Evidentemente, l'alleanza romano-luca na dovette sciogliersi al momento in cui Roma si ailed con il Molosso, non poten do Roma essere alleata del re epirota e dei Lucani contemporaneamente.

Livio, unico testimone della rottura delPalleanza tra Romani e Lucani, for nisce per l'anno 326 a.C. una versione assai significativa dell'accaduto: lo stori co infatti menziona (VIII 27, 5) i tentativi dei Tarantini per strappare i Lucani all'alleanza con i Romani. II racconto di Livio e certamente aneddotico, ma non sono sicuro, come invece ritiene Urso12, che corrisponda a realta. Se infatti i Romani si erano alleati col Molosso, i Lucani non potevano continuare ad esse re allineati con i Romani; di qui la rottura del patto, forse in effetti gia rotto da Roma col suo avvicinamento al Molosso, e di qui la storia inventata da Livio, o dalla sua fonte, per presentare l'episodio sotto una luce antitarantina e filoroma na. Nella stessa prospettiva rientrerebbe anche l'imposizione da parte dei Sanniti di presidi nel territorio lucano (VIII 27, 10). Cid ovviamente non esclude che i Tarantini abbiano avuto un ruolo in questa dinamica, poiche, viste le azioni del Molosso, essi avranno senz'altro preferito accaparrarsi l'aiuto lucano contro even tuali mosse del re epirota.

Cid spiegherebbe per quale motivo il Molosso, risalendo da Pesto, si sia tro vato contro i Sanniti ed i Lucani (VIII 17, 9, sotto l'anno 332 a.C). L'intervento dei Sanniti a fianco dei Lucani si spiegherebbe dunque come risposta dell'alleanza in funzione antisannita tra i Romani ed il Molosso.

II foedus romano-epirota non e allora generalmente contemporaneo all'inter vento del Molosso a Pesto, ne successivo come afferma Livio; data la situazione

10 Come e concordemente riconosciuto, la notizia di Livio e sospetta, poiche non sono noti

attriti tra il Molosso e i Romani. Lo stesso Livio si contraddice quando afferma (VIII 3, 6): quod helium, si prima satis prosper a fuissent, haud dubie ad Romanos pervenisset. Urso, Taranto, 33 con

indicazioni bibliografiche. 11 L'episodio e contemporaneo alia guerra con Napoli, che la critica in parte antedata al 332 a.C.

12 G. Urso, Le fazioni Jiloromane in Magna Grecia dalle guerre sannitiche alia spedizione di

Pirro, in Fazioni e congiure nel mondo antico, a c. di M. Sordi, Milano 1999 (CISA, 25), 135-50.

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di preesistente alleanza tra Romani e Lucani, questo pud essere stato stipulato solo

prima che il Molosso, nuovo alleato dei Romani, muovesse contro i Lucani a Pesto. Accettando dunque la cronologia alta della cosiddetta "seconda guerra san

nitica" (che nella nostra ottica diverrebbe la prima guerra sannitica) proposta dalla

Sordi, ed in particolare la sincronizzazione dei fatti che fecero da corollario alia

guerra con Napoli, l'intervento del Molosso a Pesto, sicuramente non tollerato da

Taranto, ebbe come principali nemici Lucani e Sanniti. Questo stesso intervento, o meglio 1'alleanza immediatamente prima stipulata tra il Molosso e Roma, pro voco la fine dei rapporti pacifici tra Romani e Lucani, e contemporaneamente indusse quest'ultimi a riavvicinarsi ai Sanniti, a loro volta sostenuti dai Tarantini. Sembrerebbe dunque emergere una netta distinzione tra le due parti: da un lato

Taranto, Sanniti e Lucani; dalPaltra Alessandro il Molosso e i Romani. Questa situazione va messa poi in relazione ai fatti della lega italiota, su cui il Molosso sicuramente nutriva interesse. Si noti che i rapporti tra Taranto ed il Molosso andarono ulteriormente deteriorandosi proprio a causa del tentativo del re epiro ta di portare la sede della lega italiota da Eraclea a Turii (Strabone, VI 3, 4).

2. L'orizzonte ideologico delPimpresa di Alessandro il Molosso, cosi come quel lo dei suoi avversari Tarantini, si identified nel concetto di grecita e nella difesa della medesima, come dimostra un passo di Giustino (XXIII 1, 15): denique Alexander, rex Epiri, cum in auxilium Graecarum civitatum cum magno exercitu in Italiam venisset, cum omnibus copiis ab his deletus est.

Secondo Briquel13, Alessandro il Molosso, quando scelse di allearsi con i Romani (tra il 333 e il 330 a.C), giustifico quest'allineamento attribuendo ai Romani stessi una "patente di grecita", in particolare mediante il riferimento a comuni origini pelasgiche. Sono numerose le testimonianze (la piu antica delle

quali e quella omerica relativa a Zeus Pelasgico di Dodona, Iliade XVI 233) che

legano le origini dell'Epiro ai Pelasgi: il tessalo Cinea (collocabile tra il 355 e il 277 a.C.) attribuiva14 la fondazione di Ephyra ad un discendente di Pelasgo; il

primo re dei Tesproti e dei Molossi era stato Fetonte, compagno di Pelasgo15; secondo Strabone (V 2, 4), molti sostengono che gli Epiroti sono di origine pela sgica16. II monarca epirota, riallacciandosi ad un insieme di notizie che colloca vano i Pelasgi in varie parti delPItalia, avrebbe fatto sua l'idea di coyyeveia tra Romani ed Epiroti su base pelasgica.

Tre le testimonianze di varia epoca che collocano i Pelasgi alle origini di

Roma17, una in particolare colpisce l'attenzione: secondo Plutarco, Romolo 1,1, in opposizione alia tesi romulea e a quella troiana, To Liiya xfjq fPcb^r|<; ovolioc kcci 56^X1 8ict ti&vtcov &v0ptf)7tcov KexcopnKoq cup' otot) kcci SY tiv aixiav xf| noXzx yeyovev, ov% (bLioioynxai 7tapa xoiq a'oyypacpeOaiv, aXX' oi jiev UeXaoyovq, ini nXeicxa xr\q oIkodllevti^ nXavifievxaq av0p67ccov xe kXeigkov

Kpaxfiaaviaq, a\)x60i kcctoiktico:i, kcci Sia xr\v ev xoiq onXoiq 'Pcbjxriv om(oq

13 D. Briquel, Les Pelasges en Italie. Recherches sur Vhistoire de la legende, Roma 1984, 499-529..

14 Ap. St. Byz., s.v. "Ecpupa

= FGrHist 603 F 1. 15

Plut. Pyrrh., 1. 16

Per le altre fonti, cfr. Briquel, Les Pelasges, 71-76. 17 Esauriente discussione di queste fonti in Briquel, Les Pelasges, 499-515.

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ancora sulla barbarizzazione 29

6vop,aaoci ttjv koXiv. Dunque, secondo questa ipotesi, Roma da rhome; notiamo che in questo caso i Pelasgi sono considerati greci, dato che per spiegare il nome di Roma si ricorre ad un vocabolo greco. Briquel18 ritiene che la versione plu tarchea delle origini pelasgiche di Roma si differenzi da quella che troviamo in Dionigi, dove compaiono anche gli Aborigeni, ed anzi si collochi prima di que sta e piu in generate prima della sistemazione del filone troiano, alia fine del IV secolo. Si pud dunque ipotizzare che questa particolare versione delle origini di Roma, incentrata esclusivamente sui Pelasgi, sia nata in ambito epirota, in cui il riferimento a tale popolazione mitica poteva avere una funzione politica ed ideo

logica importante. Tramite la valorizzazione delle basi pelasgiche si sarebbe recuperato non solo

il concetto di grecita, ma anche il legame specifico con l'Epiro, e quindi con il Molosso.

Di sicuro, Taranto, quale che fosse il motivo per cui il Molosso poteva affer mare che i Romani erano greci, avra destituito di ogni fondamento tale idea: se accettiamo che l'elemento pelasgico fosse quello preso in considerazione (come vuole Briquel), capiamo bene come da parte della citta magnogreca fosse impossi bile accettare Pidea che i Pelasgi fossero greci, e come fosse invece piu semplice accreditare quella parte della tradizione che non affermava il carattere greco di que sta mitica popolazione. Ma anche senza il riferimento ai Pelasgi, e assolutamente

plausibile che il foedus romano-epirota si sia basato sul concetto di cvyyevexa, e che in questa ottica i Romani siano stati considerati come Greci. In questa stes sa direzione interpretativa si muove anche Urso19, secondo il quale "sono proprio questi gli anni in cui in cui si diffonde la tradizione che considera Roma come

noXxq eEA,A,r|vi<;; questa tradizione ci e nota da Eraclide Pontico... e fu probabil mente utilizzata dallo zio del Macedone, Alessandro il Molosso, durante la sua

spedizione in Italia, per giustificare agli occhi degli Italioti la sua alleanza con Roma e la sua rottura con i Tarantini".

Se questa fu la propaganda alia base dell'avvicinamento tra il Molosso ed i

Romani, da parte di Taranto, gia in rotta col re epirota, non si poteva certo ammet tere una situazione simile, soprattutto se, come pare desumibile dalle fonti, Pal leanza tra Romani e PEpirota ebbe primariamente una funzione antisannita20. A

questo proposito, e stato proposto che Taranto, per avocare a se il ruolo di baluar do della grecita in Italia, avrebbe diffuso la notizia della "spartanita" dei Sanniti, nota da fonti letterarie e numismatiche, visto che proprio il tema della difesa della

grecita era stato portato avanti dal Molosso21. In uno scontro tra molteplici realta, dove Pidea di grecita e la sua negazio

ne ebbero un ruolo di primaria importanza22, un famoso passo di Aristosseno, ancora oggi di dubbia interpretazione, potrebbe assumere un nuovo significato.

18 Briquel, Les Pelasges, 507-09. Lo studioso indica anche i vv. 1232-33 del poema di Licofrone

come possibili indizi di datazione. 19 G. Urso, Roma cittd greca, ?Aevum?, 75 (2001), 25-35.

20 Cfr. supra e Urso, Taranto, 33-36.

21 Urso, Taranto, 49-51. F. Russo, Pitagorismo e Spartanitd. Elementi politico-culturali tra

Roma, Taranto e i Sanniti alia fine del IV secolo a.C, Campobasso 2007, 13-31. 22

Per la possibility delPuso di questo concetto anche nel contesto della guerra con Napoli, e

piu in particolare da parte delle varie fazioni presenti nella citta, cfr. Urso, Le fazioni, 135.

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30 F. RUSSO

Nel frammento 124 Wehrli Aristosseno, parlando dei Greci di Poseidonia, afferma che essi si erano barbarizzati, "diventando Tirreni o Romani": olq cvve$r\ tcc; Liev e? ccpxfjQ "EXXxfnv ovaiv eKPepapPaptoaOai T\)ppnvot<; ti fPco[iaioi(;23. Sono molteplici i problemi che immediatamente si presentano a proposito di que sta testimonianza: prima di tutto colpisce la mancata menzione dei Lucani, gli unici a cui durante il IV secolo potrebbe essere imputata la "barbarizzazione" di

Poseidonia; parallelamente e problematica la menzione dei Tirreni e dei Romani, che ha spinto taluni ad intervenire sul testo, correggendolo in vari modi. La parte della critica24 che rifiuta il riferimento a Romani e Tirreni (o anche ai soli Romani), ritiene che il passo sia da emendare sia perche il controllo etrusco della zona

alPepoca (seconda meta del IV) era gia tramontato25, sia perche la deduzione della colonia latina di Paestum era ancora lontana da venire (273 a.C); sia infine per che Aristosseno avrebbe dovuto menzionare piu coerentemente i Lucani, non i Tirreni o i Romani (non poteva infatti ignorare i Lucani come vero fattore della barbarizzazione di Posidonia).

Secondo Fraschetti, che invece accetta il testo tradito26, la mancata menzio ne di Lucani non e dovuta tanto al fatto che di essi non si conosceva ancora nep pure Petnonimo, ma a precise cause storiche: Aristosseno, proprio perche parla della decadenza della musica in generale, non vuol indicare una parallela deca denza "fisica" di Poseidonia, connessa a fattori reali di conquista e politica. Piuttosto, il suo discorso si muoverebbe su un piano di egemonia e integrazione culturale. In questo senso, Passenza di Lucani diventa comprensibile e spiegabi le. Risulterebbe infatti difficile (o addirittura assurdo) ritenere che Aristosseno non conoscesse i Lucani, ne sapesse della loro presenza a Poseidonia. La pro spettiva "culturale" in cui andrebbe inserito il discorso di Aristosseno, dunque, giustificherebbe Passenza di quelli che di fatto avevano conquistato Poseidonia materialmente. Non sono certo i Lucani, ma gli Etruschi e i Romani i veicoli di

quel massiccio processo di barbarizzazione gia in atto ai tempi di Aristosseno27. La citazione di Aristosseno dunque andrebbe inserita in quel contesto di fine IV secolo che vide Roma ampliare il proprio controllo sulVager campanus e oltre28.

23 L'edizione Wehrli accoglie l'espunzione di ii 'Pcojiaioiq sulla base di una proposta di

Wilamowitz (Wilamowitz, in Athen. XIV 632a, ed. Kaibel). Tale espunzione e pero generalmente rifiutata, sia dal punto di vista filologico che storico. Cfr. S. Mazzarino, // pensiero storico classi

co, II/1, Roma-Bari 1966, 265. Per una discussione approfondita del problema, A. Fraschetti, Aristosseno, i Romani e la barbarizzazione di Posidonia, ?AION(Archeol)?, 3 (1981), 97-115.

Espunge entrambi gli etnici E. Wiken, Die Kunde der Hellenen von dem Lande un den Volkern der

Appeninenhalbinsel bis 300 c. Chr^ Lund 1937, 185. Stessa posizione anche in H. Riemann, in RE, XXII/1 (1953), 1232.

24 Indicazioni bibliografiche complete in Fraschetti, Aristosseno, 98.

25 Cfr. J. Heurgon, Recherches sur Vhistoire, la religion, et la civilisation de Capoue prero

maine, Paris 1970, 85-91. 26

Secondo Fraschetti, espungendo i due etnici, verrebbe a mancare il parallelismo con Pe

spressione k% apxfj<; "EAAnaiv otknv. D'altra parte, secondo lo studioso, non sarebbe meno pro blematic espungere i soli Romani: in che modo si sarebbe potuta inserire una glossa simile, in rela

zione alia presenza di Tirreni? (Fraschetti, Aristosseno, 99-100, 105-06). 27 In un simile quadro dunque non avrebbero senso i tentativi di negare fede alia testimonianza di Aristosseno, sulla base delle considerazioni svolte a proposito della produzione e delle esportazio ni poseidoniati della seconda meta del IV secolo. P. Zancani Montuoro, Sulla produzione ceramica

poseidoniate di IV secolo, in Popoli e civilta dell'Italia antica, II, Roma 1974, 254-70. 28

Fraschetti, Aristosseno, 109.

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 31

Per quanto riguarda la citazione di Tirreni e Romani come concause della barba rizzazione di Poseidonia, questa si spiegherebbe in due modi: da una parte, entram bi i popoli erano barbari agli occhi di Aristosseno, in contrapposizione ai Greci di Poseidonia (da qui l'uso della particella ii nel senso di "ovvero"); dalFaltra, sempre secondo Fraschetti, Aristosseno non poteva non sapere della presenza non

troppo lontana nel tempo degli Etruschi in Campania29, e per questo motivo li avrebbe citati insieme ai Romani.

La ricostruzione dello studioso ha trovato ampio credito soprattutto per quan to riguarda l'idea di lenta e graduale barbarizzazione, che avvenne soprattutto se non esclusivamente sotto il profilo culturale. Tuttavia, anche volendo vedere nella menzione dei Romani un riferimento alia contemporanea presenza di questi in

Campania30, cio che rimane ancora da spiegare e l'assenza dei Lucani dal passo aristossenico. Come ha indicato giustamente Zevi31, "sembra instaurarsi dunque, in apparenza, un contrasto con l'evidenza archeologica, che evidenzierebbe inve ce una citta in mano lucana da piu generazioni; restando comunque in piedi Pin

terrogativo sul come mai Aristosseno consideri come barbarizzatori i Tirreni e i Romani e non i Lucani, loro si insediati in citta da un secolo, e neppure nomina ti". Sempre secondo lo studioso, che accetta la lettura del passo liviano32 relativo a Pesto proposta da Mele, i Lucani contro cui il Molosso combatte, essendo ester ni alia citta, non sarebbero da identificare con i Lucani che si trovavano in citta, e che Livio sembrerebbe non menzionare. Tuttavia, il passo liviano, nella sua incer tezza e genericita, non sembra escludere un qualche intervento del Molosso a Pesto, prima della sua risalita (escensio) verso l'interno del paese dei Lucani; si noti anzi che Livio conferma che l'intervento dei Sanniti contro il Molosso e a fianco dei Lucani fu motivato dall'attacco che l'Epirota sferro contro i Lucani, un particola re che collima con quanto detto sopra a proposito della scissione dell'alleanza romano-lucana e dell'intervento sannita su probabile spinta tarantina.

Se dunque e vero, come afferma Zevi, che prima del Molosso a Poseidonia era ampiamente attestata la presenza dei Lucani33, e del tutto verosimile che

l'Epirota, la cui "missione" era appunto liberare la grecita d'ltalia dai barbari, si sia mosso proprio contro questa realta particolare. Quale che sia stato l'esito della sua azione, difficile da stabilire (l'archeologia34 non parla infatti di cesure o radi

29 Per la trattazione del problema, si veda Fraschetti, Aristosseno, 109-11.

30 D. Asheri, Processi di decolonizzazione in Magna Grecia, il caso di Poseidonia lucana, in La colonisation grecque en Mediterranee occidentale, Roma 1999 (Collection de PEcole Francaise de Rome, 251), 361-70; Zevi, Alessandro, 802. Gigante si e espresso contro la datazione alta del

frammento, e lo riferisce all'eta della deduzione della colonia latina (273): M. Gigante, La cultura a Taranto, in Taranto nella civilta della Magna Grecia. Atti del X Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1970, Napoli 1971, 75-76. Su queste posizioni, rimando alle osservazioni di G Pugliese Carratelli in Le genti non greche della Magna Grecia. Atti dell'XI Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1971, Napoli 1972, 100-01.

31 Per la questione dei Lucani, si veda Zevi, Alessandro, 812.

32 VIII 17, 9-11.

33 Vedi le varie e approfondite analisi di A. Pontrandolfo, Su alcune tombe pestane: propo

sta di una lettura, ?MEFRA?, 89 (1977), 31-98; Ead., Segni di trasformazione sociale a Poseidonia tra le fine del V e gli inizi del HI secolo a.C, ?Dialoghi di Archeologia?, n.s. I, 2 (1979), 27-50; Ead., I Lucani. Etnografia e archeologia di una regione antica, Milano 1985, in particolare 43-92. Ulteriore bibliografia in Zevi, Alessandro, 802-09.

34 In sintesi A. Pontrandolfo, Le necropoli dalla citta greca alia colonia latina, in Poseidonia Paestum. Atti del XXVII Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1987, Napoli 1988, 225-65.

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32 F. RUSSO

cali cambiamenti avvenuti a Poseidonia), e certo e che il Molosso ebbe dalla sua i Romani, che si accostarono dunque ad un eroe della grecita in Italia.

D'altra parte, anche per quanto riguarda la mancata menzione dei Lucani da

parte di Aristosseno, sostituita in modo assai problematico con quella dei Tirreni e/o dei Romani (difficilmente spiegabile con il "ricordo" di una passata presen za etrusca, come gia avvertito da Zevi), la spiegazione proposta da Fraschetti non risolve del tutto il problema: nell'ottica che si vuol attribuire ad Aristosseno, un'ot tica cioe che stigmatizzava la decadenza di una citta greca perche imbarbarita, l'assenza dei Lucani e un dato assolutamente di spicco, considerato che ai tempi di Aristosseno c'erano proprio i Lucani e non i Romani o gli Etruschi a Poseidonia, e soprattutto che, come si e detto, Alessandro il Molosso era stato chiamato dalle citta greche proprio, per difendersi da Lucani, oltre che da Taranto (cfr. supra). Se in positivo possiamo accettare l'ipotesi che spiega la presenza dei Romani, Paltra faccia del problema, e cioe la mancata menzione dei Lucani, deve riceve re ancora una spiegazione soddisfacente. Anche se fosse vera la situazione pro spettata dal Fraschetti o da altri, ci saremmo aspettati comunque la menzione dei

Lucani, un popolo che Aristosseno, al pari degli altri due, considerava certamen te barbaro.

A mio avviso, la presenza dei Romani e l'assenza dei Lucani costituiscono due fatti assolutamente coerenti e soprattutto intimamente legati. L'ottica in cui

questi due dati devono essere inquadrati e quella dello scontro tra Greci e non

Greci, in cui una parte molto importante fu rivestita proprio dal concetto di gre cita. II Molosso giunse in Italia a difendere una grecita minacciata, Taranto stes sa verosimilmente fece suo questo tema, inserendovi anche il suo allineamento

politico con i Sanniti, divenuti forse negli anni del Molosso dei semi-spartani (un tema questo che, se coniato in questi anni, tornd a circolare con forza nel conte sto delle guerre sannitiche35). Roma entra in questa complessa situazione non come citta barbara, ma come citta greca, verosimilmente promossa a questo rango dal Molosso stesso. Come si e detto, Taranto non pud certo aver sopportato l'av vicinamento tra il suo ex alleato e Roma, cosi come non poterono tollerarlo i

Lucani, che di fatti si allearono con i Sanniti contro il Molosso e contro Roma, i due rispettivi nemici di sempre. Se il tema della liberazione dai barbari fu fatto valere dal Molosso, Taranto senz'altro rovescid questo stesso tema a suo favore, sottolineando la barbarie di quel popolo, i Romani, che il Molosso aveva tratto dalla sua parte. Non ci sara a questo punto bisogno di ricordare i rapporti asso lutamente tesi che ci furono tra Roma e Taranto proprio negli ultimi decenni del IV secolo, e che si espressero verosimilmente piu di una volta nella contrapposi zione tra grecita e non grecita.

La frase di Aristosseno va dunque inquadrata in tale situazione: Aristosseno, tarantino, quando parla della barbarizzazione di Poseidonia, si riferisce non ad una vera e proprio decadenza ne alia presenza effettiva di una popolazione non

greca nella citta, che altrimenti avrebbe dovuto citare i Lucani. Vengono men zionati i Romani proprio per mettere in risalto l'assurdita della situazione pro dotta dal Molosso: l'Epirota, per salvare una citta greca dai barbari si allea con altri barbari, che risultano alia fine i veri barbarizzatori della citta, almeno a livel

35 Russo, Pitagorismo, 13-31.

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 33

lo teorico. Aristosseno allora non si riferirebbe ad una "reale" situazione della citta, ma al clima politico degli ultimi momenti degli anni 30 del IV secolo, quan do essa si trovo al centro di una disputa, gia esistente, tra i Tarantini ed il Molosso. I Lucani non sono menzionati non perche assenti da Poseidonia, cosa questa non

accettabile, ma perche facenti parte di quel fronte che al Molosso si contrappo neva e che trovava in Taranto il maggior centro propulsore. Non possiamo man care di sottolineare che cio che Aristosseno stigmatizza di questa barbarizzazio ne e il mutamento di lingua e di costumi dei Greci di Poseidonia, secondo un'im

magine tipica che accompagna spesso il concetto di barbarizzazione. Ad esempio Platone (Epist. VIII 353) scrive che a%e86\ eiq epr|Liiav xf\q 'EMnviKfjq q>g>v%; IiKeXia rcaoa, Ooivikcov ii 'Omiccav Liexa(3aXo0aa zxq xtva Swacxelav Kai

Kpdxoq. Secondo Dionigi di Alicarnasso (I 89, 4), molti Greci, vivendo tra i bar bari, perdono la loro grecita, arrivando a dimenticare la lingua greca e le usanze e culti greci36. Proprio il riferimento a motivi topici, quale appunto il cambia mento di lingua o la dimenticanza dei culti, potrebbe suggerire la non "storicita" delle parole di Aristosseno, nel senso che esse potrebbero indicare non tanto un reale stato della citta, ma un aspetto di una polemica piu ampia che si muoveva

appunto aH'interno del tema della barbarizzazione. Ha poi ragione Zevi a suggerire che quella notazione T\)ppnvoT<; il eP(D|iaioi<;

non indichi una vera alternativa, bensi una certa confusione della fonte per quan to riguarda la distinzione tra Romani e Tirreni: si pud anzi cogliere in questa frase una sfumatura di "disprezzo" verso questi popoli, sempre alPinterno del tema della barbarizzazione. Con cio non si vuol certamente dire che a Taranto non conoscessero la distinzione tra i due popoli; lo stesso Aristosseno in un altro fram mento (fr. 17) menziona solo i Romani, a dimostrazione che Petnico era corret tamente conosciuto. Mi chiedo pero se questa espressione particolare non vada

ricollegata alle oscillazioni di definizione che riguardavano proprio Roma, ora indicata37 come polis tyrrhenis ora come polls hellenis. Secondo Zevi, la testi

monianza di Aristosseno si riallaccia alia tradizione storiografica siciliana, facen te capo ad Alcimo, che presentava Roma come citta tirrena; la duplice menzione di Tirreni e Romani dunque non risalirebbe ad una scarsa conoscenza del Tarantino, ma alPambiguita che caratterizzava la percezione della citta di Roma, la quale poteva anche essere, nella definizione di Eraclide Pontico, polis hellenis. Le due facce della medaglia potevano essere valorizzate alternativamente: cosi, ad esem

pio, il Molosso avra sottolineato il carattere greco di Roma (su basi pelasgiche, come si e sopra ipotizzato, o su basi troiane, come vorrebbe Zevi), mentre Taranto avra ribadito la non grecita della sua avversaria, definendola appunto "tirrena".

Se poi accettiamo che fossero le comuni origine pelasgiche ad unire Roma

all'Epirota, declinate in senso ovviamente greco da un lato, in senso barbaro dal Paltro (Aristosseno, si e detto, doveva accreditare la versione barbara dei Pelasgi), potremmo scorgere dietro a quel T\)ppr|voT<; r\ 'PooLicdoiq un riferimento proprio a questo mito, poiche i Pelasgi, una volta giunti in Italia, divennero Tirreni.

36 Su questo aspetto, F. Russo - M. Barbera, Da 'Omicdg a Oscus: osmosi semantica ed evo

luzione lessicale, ?SSL?, 42-43 (2004-2005), 89-120. 37 Per le due tradizioni, peraltro non necessariamente incompatibili, rimando alia sintesi di

Fraschetti, Aristosseno, 97-115; A. Fraschetti, Eraclide Pontico e Roma citta greca, ?AION(Filol)?, 11 (1989), 81-95, G. Vanotti, Roma polis hellenis, Roma polis tyrrhenis. Riflessioni sul tema, ?MEFRA?, 111 (1999), 217-55.

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34 F. RUSSO

3. Abbiamo supposto che la possibile identificazione mitica Pelasgi-Tirreni Romani, che spiegherebbe la duplice menzione aristossenica, fosse nota anche a Taranto. Possiamo chiederci a questo punto se esistano dati della tradizione let teraria che suffraghino questa ipotesi.

Una testimonianza aristossenica colloca le origini di Pitagora non a Samo, bensi in un'isola dell'Egeo, occupata dai Tirreni38.

La questione e estremamente complessa, e merita di essere trattata in un con testo specifico, soprattutto a causa del fatto che il dato delle origini tirreniche di

Pitagora stride in maniera evidente con la menzione dei Tirreni come barbariz zatori di Poseidonia.

Al di la del problema strettamente pitagorico, cio che qui interessa sottoli neare e quanto Aristosseno (e quindi Taranto) identificasse i Pelasgi con i Tirreni. Dalle fonti infatti desumiamo che Aristosseno collocava i Tirreni esattamente nelle stesse isole in cui si trovavano i Pelasgi. Si veda ad esempio Neante, FGrHist 84 F 29 (Porfirio, Vita di Pitagora, 1-2): Aiyei 8' 6 NedvOrjt; frXXovq etvcci oi xov rcaxepa ainoO Tvpprjvov drcocpaivovxai xcdv xtiv Afjjivov ercoiKtiaavxcDv, evT?t)9ev 8e Kaxd npdfyv eiq ?d|iov eXdovxa Kata^eivai Kai daxov yeve aGar nXeovxoq 8e xov Mvrjadpxo'u eiq xf|v 'IxaAaav oviinXevoavxa xov

IIuGayopav veov ovxa Kop,i8fj ccp68pa ofiaav evSaiiiova Kai x60' ftaxepov eiq a\)xf|v anonXEvaai. KaxaAiyei S'avxoC Kai d8eA,(poi)<; 8\>o, Ettvoaxov Kai Ti)ppr|v6v, npzcfivxtpovq. Fa eco a Neante Diogene Laerzio, VIII 1: 'E7iei8r| 8e xf|v l(oviKf]v cpiA,oao(piav xf|v and 0aA,oO Kai xoix; ev xai>xr\ Siaye vopivo\)<; avSpaq d^ioXoyotx; 8ieA,r|X\)9a^?v, (pepe Kai Kepi xr\q lxaXiKr\q 8iaXdpco|iev, r\q fjp^e UvOayopaq Mvr|Gdp%oD SaKX'oXioyXtxpo'U &q q>r|aiv f,Ep^iK7co<; Sd(iio<;, f\ &q 'Apiaxo^evoq Tupprivoq, and \iiaq xa>v vfiacov aq ec%ov 'A0r|vaioi Ti)ppr|voi)^ EK^aXovxeq.

La testimonianza di Neante sembra fornirci piu chiaramente i contorni della notizia aristossenica. La Cuccioli Melloni39 si dimostra assai scettica verso le noti zie riportate da Neante, che considera lontane dalla tradizione aristossenica: essa sarebbe confluita in Neante solo dopo ampi rimaneggiamenti, diventando dunque impossibile riconoscerne i tratti originali. Tuttavia, recenti studi relativi ad alcuni

papiri di Ercolano hanno permesso di rivedere la datazione tradizionale dell'attivita di questo autore, anticipandola dal 200 a.C. circa alia seconda meta del IV secolo.

Una testimonianza di Filodemo40, nota dal papiro 1021, indica la fine del

38 Oltre alle fonti citate nel testo, cfr. Clemente Alessandrino, Stromata, I 62, 2: TLvQayopaq

Hiv ovv Mvncapxou Zocuio<;, ?<; qrnoiv 'InnofioToq, faq 8e 'Apiaxo^evoq ev xq> nvGayopov picp Kai 'Apiatapxo^ Kai 0eojtop,7to<;, TDppnvd<; fjv, dx; 8e NedvGri^. Z\)pio<; Tvpio^, ?axe eivai kccxcc xoix; tzXeiotoxh; xov nvGayopav P&ppapov to yivoq. 39

La studiosa infatti conserva il Cleante tradito, che invece e sostituito dagli altri editori con Neante. La correzione di Cleante in Neante e garantita dalla testimonianza di Clemente Alessandrino (Strom. I

62, 2 ) e Aristosseno, fr. 11 a-b Wehrli. Cleante non e altrimenti attestato come autore di opere di argo mento pitagorico. Per l'edizione del testo, E. Des Placet, Porphyre. Vie de Pythagore, Paris 1982; R. Cuccioli Melloni, Ricerche sul Pitagorismo. La biografia di Pitagora, Bologna 1969, 3-5.

40 Se ne veda l'edizione, la traduzione e il commento in T. Dorandi, Filodemo. Storia deifllo

soft. Platone e VAcademia (PHerc. 1021 e 164), Napoli 1991, in particolare, per la cronologia di

Neante, 30-38. Si veda anche K. Gaiser, Philodems Academica. Die Berichte tiber Platon und die Alte Akademie in zwei herkulanensischen Papyri, Stuttgart 1988. Piu conciso, ma essenziale, W.

Burkert, Neanthes von Kyzikos ueber Platon, ?MH?, 57 (2000), 76-80, in cui si ribadisce la neces

sity di scindere questo Neante da un suo omonimo, vissuto intorno al 200 a.C, e autore di una vita

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 35

quarto secolo come periodo di attivita di Neante, autore di un'opera "zwischen Historie und Paradoxographie41", in cui dovette trattare, tra gli altri, anche la vita di Platone (ed e infatti a questo proposito che viene citato da Filodemo). In una delle tre citazioni di Neante42, si dice che egli ebbe modo di sentire il racconto sull'ultimo giorno e sulPultima notte di Platone direttamente dalla voce di Filippo di Opunte, discepolo molto vicino a Platone.

In effetti, la critica piu recente ritiene di poter spiegare meglio il significa to di alcuni suoi frammenti se messi in relazione con le opere di Aristosseno.

Inoltre, se diamo ragione a Burkert43, Neante dovrebbe essere la fonte ultima uti lizzata da Diogene Laerzio per la vita di Pitagora, e abbiamo visto l'attendibilita di Diogene per quanto riguarda la versione aristossenica.

Da cio discende la conseguenza che la versione "tirrenica" riportata da Neante

possa essere molto vicina a quella aristossenica, se non esattamente coincidente. I due autori infatti si troverebbero ad essere quasi contemporanei, ed e assai vero simile che Neante si sia rifatto direttamente ad Aristosseno, o ad una fonte diret tamente derivante dal biografo di Taranto. In questo senso, verrebbe meno tutto

quel processo di trasmissione, interpretazioni e sovrainterpretazioni che separa Aristosseno da autori piu tardi (come nel caso, ad esempio, di Clemente

Alessandrino), e si fa strada progressivamente l'ipotesi che la versione di Neante

riproduca quella aristossenica. In questo senso ci spingono anche altre conside razioni: prima di tutto il fatto che la citazione da Diogene di Aristosseno sia per fettamente compatibile con la notizia riferita da Neante, per quanto riguarda il

particolare dell'isola indicata come una di quelle da cui i Tirreni furono scaccia ti per opera degli Ateniesi; in secondo luogo l'elemento della cittadinanza samia assunta dal padre di Pitagora, in connessione a quello della migrazione da Lemno

(dovuta secondo Neante a motivi di affari), costituisce esattamente quel trait-d'union necessario a coniugare due versioni altrimenti inconciliabili, un problema con cui sicuramente Aristosseno avra avuto a che fare, e che dovette crearsi al primo apparire della tradizione "tirrenica".

I nomi di Neante e di Aristosseno possono essere awicinati anche per altri moti vi. Infatti, la versione tirrenica delle origini del padre di Pitagora, con il particolare geografico dell'isola tirrenica in cui poi si stabiliranno gli Ateniesi, ricorre solo nella citazione di Diogene Laerzio e in quella riferibile a Neante, il quale, si ricordi, non fa propria questa versione, ma la cita solamente, poiche ritiene che Pitagora fosse

di Attalo I di Pergamo. Indicazioni in questo senso sono gia in W. Burkert, Pythagoreische Retraktationen: Von den Grenzen einer mdglichen Edition, in Fragmentsammlungen philosophischer Texte der Antike. Atti del Seminario Internazionale, Ascona 1996, hrsg. W. Burkert - L. Gemelli

Marciano - E. Matelli - Gottingen 1998, 303-19, in particolare per la cronologia di Neante, 309

e 315. Riferimenti anche in W. Burkert, Platon in Nahaufhahme. Ein Buck aus Herculaneum, Leipzig 1993. L. Zhmud, Wissenschaft, Philosophie und Religion im friihen Pythagoreismus, Berlin 1997,

47, che considera Neante fonte ultima di Timeo, e a lui di poco anteriore. Per la questione crono

logica, in sintesi M. Giangiulio, Pitagora. Le Opere e le testimonianze, Milano 2000, 75-76. Per il Neante biografo di Attalo, si vedano i riferimenti in F. Blass, Die Attische Beredsamkeit, II, Leipzig 1892, 451. F. Susemihl, Geschichte der griechischen Literatur in der Alexandrinerzeit, Leipzig 1891, 617-19.

41 nepi ?v86^cov dvSpcov. Un titolo differente e invece tramandato da Apollonio, Historia mira

bilium 13. 42

Dorandi, Storia, II 38, 35-37, 133. 43

Burkert, Neanthes, 76-77.

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36 F. RUSSO

un siriaco. Tutte le altre fonti invece si limitano a dire che Pitagora era tirreno, tagliando via qualsiasi altro elemento della storia e mal interpretando le parole del

biografo tarantino (che probabilmente non lessero nemmeno direttamente). Inoltre, solo in Neante ed in Aristosseno ricorre un particolare molto inte

ressante, che il resto della tradizione non sembra aver recepito: a proposito degli ultimi pitagorici, Neante44 dice: 5vo EKcpuyovxcov ek xfjq nvpaq, 'Apxircrco'd xe kcci AxxnSoq, cbq (prjai N?dv0r|q- a>v 6 ASaiq ev 'EXXabi &Kr\ce Kai 0f|Pa<; ?7ia)kt|a?v 'E7cafi?iv6v8a xe at)yy?yov?v, ov Kai 8i8aaKaA,o<; y?yov?v45; Aristosseno46 invece dice: xcov 8& 5vo x&v 7c?piaco9?vx(ov, dp.(pOT?pcov Tapavxivcov ovxcdv, 6 n&v "Ap%inno<; dv?xd)pr|a?v eiq Tdpavxa, 6 be, Avciq (iiafiaaq xfiv oAayoapiav ocKfipev eiq xfjv 'EXXada Kai ?v 'A%ata 8i?Xpi|5? xfi Il?Xo7covvr|aiaKfi, ?7C?ixa eiq ?fiPa? ^?xtpKiaaxo a7co\)8fi(; xivoq y?von?vr|<;* ovmp ?y?v?XO 'E7caji?ivcbv8a(; aKpoaxfiq Kai Tcaxfepa xov AOaiv ?KctA,?a?v. g)8? Kai xov (iiov Kax?axp?\|/?v. oi 8? JioiTcoi xov nD9ayop?i(ov d7t?axr)aav xfjq IxaXiaq 7rA,f|v 'Apx<)xo\) xov Tapavxivoa).

Anche se dette in parole differenti, e soprattutto con maggiori particolari nella versione aristossenica, e evidente che le due notizie coincidono, nel far di

Epaminonda un discepolo di Liside, a sua volta ex discepolo di Pitagora. Abbiamo poi un ulteriore elemento che ci permette di associare la figura di

Epaminonda alia tradizione aristossenica. Sappiamo che una delle fonti utilizza te con certezza da Aristosseno e il tarantino Spintaro, ai cui ricordi personali risal

gono gli aneddoti su Clinia e Archita (fr. 30 Wehrli)47. Egli non solo e indicato da una tradizione (fr. 1 Wehrli) come padre di Aristosseno stesso48 (notizia que sta per noi secondaria, ma che testimonia comunque un certo legame tra i due),

ma era a Tebe tra gli amici di Epaminonda, che aveva come educatore allora Liside. Chi meglio dunque di Aristosseno poteva diffondere la notizia del disce

polato di Epaminonda, dopo averla o inventata o trovata in una sua fonte, che

peraltro era di stretto ambito tarantino?

Questo particolare di storia pitagorica non e noto in altri autori, e contribui sce ad avvicinare Neante ed Aristosseno, gia contigui cronologicamente. Di con

seguenza, ritengo che il particolare di Epaminonda confermi la dipendenza di Neante dalPopera di Aristosseno, a cui il discepolato del Tebano presso un pita gorico e sicuramente da attribuire. Verosimilmente ci troviamo di fronte ad una notizia che ebbe una certa circolazione solo nella parte cronologicamente alta della tradizione, per poi venire successivamente dimenticata, tant'e vero che essa non ricorre oltre Neante.

La vicinanza tra Aristosseno e Neante e indicata poi da un altro elemento: secondo Porfirio (Vita di Pitagora, 1-2, FGrHist 84 F 29), Neante KaxaAiyEi 8' avxov Kai d8?A,(poi)<; 8<)o, Efivoaxov Kai Tuppryvov, rcpEap'OXEpo'ix;. A parte la

particolarita del nome di uno dei fratelli, che conferma il tema "tirrenico" relati vo alia stirpe di Pitagora, e chiaro che Neante sapeva di una fonte che attribuiva

44 Porfirio, Vita di Pitagora, 55, FGrHist 84 F 30. L'autore e espressamente menzionato.

45 Per il problema interpretative) di questo passo, si veda F. Prontera, Gli ultimi pitagorici. Contributo per una revisione della tradizione, ?Dialoghi di Archeologia?, 9-10 (1976-77), 267-332.

46 Giamblico, Vita di Pitagora, 248-52, fr. 18 Wehrli.

47 A Spintaro risalgono anche le notizie su Socrate, fr. 54a Wehrli. Per la figura di Spintaro, Prontera, Contributo, 287.

48 Per notizie biografiche su Aristosseno, fr. 1-9 Wehrli.

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 37

a Pitagora questi due fratelli, e che tale attribuzione doveva essere gia stabilita entro il IV secolo. Quindi, stando alia costruzione del testo di Porfirio, Neante, oltre a conoscere la versione tirrenica, sapeva anche di due fratelli.

Passiamo al testo di Diogene (VIII 1): ,E7cei8f| 8e xf|v layviKTjv (piA,oGoq>tav tfjv and QaXov Kai xovq ev xax>xr\ SiayevoLiEvoix; avSpaq d!;ioA,6yoD<; 8iEXT|X<)0a|JLev, cpepe Kai rcepi xf|<; 'IxaiiKfiq 8iaA,dpcoLi?v, fjq fjpE,e nuSayopaq vriadpxo'o 8aKTDXioyA,\xpOD &<; (prjGiv "Epiixnnoc,, XotLiioq, r\ 'Aptoxo^evoq Tupprrvoc;, anb \ixaq tcov vtjgcgv aq eaxov 'AenvaToi Tuppnvoix; eKPaXovteq. evioi 8' mov (xev etvai Map|idKOD xox* 'Innaaox) xov E\)8\)(ppovo<; xox> KXecovdllou qmydSoq ek Oaaowto*;, oIkeiv 8' ev Sdjicp xov Mdp^aKov, 60ev

Edixiov tov HoSayopav AiyEGSar GWtfivai 8' eiq AegPov eXBovxa 4>?p?k\)8T] hub ZcotXoa) xox* Geiov. Kai tpia itotfipia KaxaaKEDaodEvoq dpyvpd 8&pov diif|v?yK?v EKdctcp x&v kpEcov eiq Axyvnxov. egxe 8e Kai d8?A,<po<)q, 7cpe ap\)T?pov llev Ewoliov, liegov 8e T\)ppr|v6v Kai 8o\)A,ov ZdfioA^iv, & TExai

6<)oa)Gi, Kpovov volli^ovtec;, &q <pr|Giv fHp68otoq. Dopo aver citato Aristosseno e la versione tirrenica, abbiamo una piccola digressione dalla narrazione, in cui si parla della genealogia fliasa (notizia questa inconciliabile con la versione ari

stossenica), dopodiche riprende la narrazione. All'interno del secondo paragrafo si menzionano i fratelli maggiori di Pitagora, Eunomo49 e Tirreno.

Come nel caso del riferimento all'isola tirrenica, anche i nomi dei fratelli (in particolare "questi" nomi) ricorrono solo nei due testi sopra citati, entrambe le volte in relazione ad Aristosseno (implicita o esplicita). Senza contare che il nome di uno dei fratelli coincide perfettamente con la versione tirrenica delle origini del filosofo, ed anzi direi che solo all'interno di questa trova senso.

Ipotizzerei dunque che la presenza dei fratelli (di cui uno di nome Tirreno) vada collegata alia notizia delle origini tirreniche, e che risalga in ultima analisi ad Aristosseno. II fatto che essa ricorra in due contesti aristossenici sembrerebbe confermare tale possibility, e contemporaneamente avvicinerebbe Neante ad

Aristosseno, il quale appare sempre piu come fonte (avvicinata comunque ad altre

tradizioni) del primo. Da questa analisi, il ruolo e l'importanza della testimonianza dello storico di

Cizico risultano notevolmente rivalutate, soprattutto perche emerge la possibility che la notizia di Neante, oltre ad essere di derivazione aristossenica, sia addirit tura piu completa della sintetica citazione di Diogene Laerzio, pur non essendo nominato esplicitamente Aristosseno.

In altre parole, ritengo che quest'ultima altro non sia che un excerptum di un

piu ampio racconto, di cui testimone piu fedele e articolato e proprio Neante, che, come si e detto, dovette consultare l'opera aristossenica molto probabilmente di

prima mano (a differenza di autori piu tardi). II testo stesso di Diogene sembra essere una sintesi di una fonte piu ampia: lo dimostrerebbe ad esempio il fatto che non venga citato il nome dell'isola d'origine, e la costruzione sintattica, che ha indotto a pensare che Pitagora fosse uno degli esuli tirreni. O ancora, il fatto che non si parli del padre di Pitagora, ma solo del filosofo, facendone direttamente un

tirreno, e un ulteriore elemento che, se messo a confronto con la versione di Neante, indica la natura riassuntiva della citazione aristossenica in Diogene.

49 Ritengo ininfluente la variazione di nome di uno dei due fratelli, dovuta evidentemente ad

un errore di lettura nella tradizione.

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38 F. RUSSO

Paradossalmente, Neante cita Aristosseno, pur non nominandolo, piu com

piutamente di Diogene, che invece lo nomina. In altre parole, Diogene ci forni sce l'ossatura del pensiero aristossenico, Neante i particolari.

L'aver riavvicinato Aristosseno a Neante ci assicura del fatto che per il bio

grafo tarantino Lemno era l'isola originaria del padre di Pitagora, ed era l'isola

occupata dai Tirreni. L'isola di Lemno e associata nella tradizione antica anche alia presenza di

Pelasgi, identificati come Tirreni50. Come ha ampiamente dimostrato Briquel, prima che la teoria "lidia" di Erodoto si diffondesse, presso gli autori antichi era accre ditata Pidentificazione tra Pelasgi e Tirreni in ambito egeo, da cui poi i Tirreni sarebbero partiti alia volta dell'Italia: "Popinione corrente degli antichi dunque faceva concordemente giungere gli Etruschi dall'Oriente... discordando solo nel

collegamento ora con i Lidi, ora con i Pelasgi". Una tradizione, probabilmente derivata da Ecateo51, e per noi testimoniata da Ellanico52, Sofocle53, Tucidide54, Filocoro, Anticlide55 ed altri, identificava Pelasgi e Tirreni, collocandoli nel Mar

Egeo. La notizia dei Pelasgi espulsi da Atene, presente in Ecateo, ricompare in

Ellanico, che identifica i Pelasgi con i Tirreni, ma facendoli arrivare non a Lemno, bensi direttamente in Italia, a differenza di quanto affermato da Tucidide, che col loca i Tirreni a Lemno. Piu tardi, alia fine del IV secolo, Anticlide tentera di con ciliare la tradizione erodotea con quella pelasgica56, affermando che i Pelasgi ave vano abitato anticamente Lemno e Imbro, per poi emigrare in Italia sotto la guida di Tyrrhenos, figlio di Atys57.

La testimonianza aristossenica relativa alle origini di Pitagora, quale che sia

Pinterpretazione che se ne voglia dare, implica il collegamento non con la teoria erodotea delle origine lidie dei Tirreni, ma con quella che collocava i Tirreni a Lemno (o Imbro o Sciro), sovrapponendoli di fatto ai Pelasgi. Di conseguenza, al momento della codificazione di tale dato, non si poteva non tenere conto del Peventuale problema "pelasgico", nel senso che parlare in termini di Tirreni a Lemno implicava parlare anche in termini di Pelasgi.

Come e stato sottolineato58, nel V secolo i Pelasgi potevano essere conside red o barbari o greci, nel senso di primi abitatori della Grecia. Esemplificativa59 in questo senso la testimonianza di Erodoto, che oscilla tra due diverse posizio ni: da una parte afferma chiaramente che i Pelasgi erano barbari, dall'altra sostie ne che la stirpe attica era pelasgica, quindi certo non barbara.

Non toccheremo neppure questo problema, che troppo si discosta dalla pre sente indagine; noteremo semplicemente che Aristosseno, che operava a Taranto,

50 Tucidide, IV 109.

51 Cosi Briquel, Les Pelasges, 125-36, 140-43 con indicazioni bibliografiche. Per Ecateo, vedi

Erodoto, VI 137. 52 ap. Dionigi di Alicarnasso, I 28 = FGrHist 4 F 4.

53 ap. Dionigi di Alicarnasso, I 25 = fr. 248 Nauck.

54 Ibidem. 55

ap. Strabone, V 2, 4 = FGrHist 140 F 21. 56 Per l'analisi di questo passo, cfr. Briquel, Les Pelasges, 252 e 515-17. 57

Su altri tentativi di conciliare Tirreni di Lidia e Tirreni Pelasgi, Briquel, Les Pelasges, 251-52. 58 E. Luppino, I Pelasgi e la propaganda politica nel V secolo a.C, in Contributi dell'Istituto

di Storia Antica, a c. di M. Sordi, Milano 1972 (CISA, 1), 71-78. 59

Luppino, / Pelasgi, 12-1 A.

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ANCORA SULLA BARBARIZZAZIONE 39

se consapevole, come e verosimile, della contiguita Pelasgi-Tirreni, non poteva considerare i primi Greci, poiche in questo modo anche i Tirreni d'ltalia, che a lui senz'altro erano noti, avrebbero potuto ammettere tale defmizione.

Per altri versi, e importante sottolineare che la contiguita Pelasgi-Tirreni era un fatto certamente noto ad Aristosseno e quindi a Taranto, cosi come il dato della non grecita dei Pelasgi.

Ci possiamo allora chiedere se dietro quella falsa alternativa "Tirreni o Romani" si nasconda un riferimento, certamente complesso e mediato, alia sup posta origine pelasgica dei Romani. Due fatti emergono dalPanalisi delle fonti: a Taranto si sapeva che i Tirreni provenivano dall'oriente, e si sapeva anche della loro identificazione con i Pelasgi, a loro volta considerati non greci; si pud inol tre facilmente desumere che si sapesse anche che tale identificazione valeva anche

per il contesto italico. Affermare dunque che i Romani erano Pelasgi non era altro che affermare, in un'ipotetica ottica tarantina, che i Romani erano Tirreni, poi che quello era il nome con cui i Pelasgi erano noti a Taranto. Si ricordi infatti che Aristosseno sembra collocare direttamente i Tirreni su quelle isole su cui altre fonti collocano i Pelasgi, che diverranno Tirreni solo in un secondo momento. II che non faceva altro che ribadire il carattere barbaro dei Romani in due modi diversi: i Romani sono barbari sia perche i Pelasgi, con cui si vogliono riallac

ciare, sono barbari, sia perche i Tirreni, a cui i Tarantini polemicamente li avvi

cinano, altro non sono che un'altra popolazione non greca delPItalia.

Questa dialettica tra il concetto di grecita e quello di barbarie si ricollega perfettamente alle vicende che contrapposero Taranto al fronte formato dal Molosso e dai Romani, e che ebbero il corrispettivo ideologico proprio in questa polemi ca. La duplice menzione da parte di Aristosseno di Tirreni o Romani (si noti anco ra una volta che la fonte, significativamente, non parla di Tirreni e Romani, ma

propone appunto una sorta di alternativa denominativa) sarebbe la spia di questo particolare clima. Da una parte il Molosso, che, con l'aiuto dei Pelasgi-Romani, si erge a difensore della grecita d'ltalia; dall'altra Taranto, che si oppone al

Molosso e ai suoi alleati, mostrando come coloro che aiutano il Molosso in que sta sorta di impresa non solo non sono dei Greci (cosa che gia di per se svuota va di significato l'allineamento tra Romani ed Epiroti), ma sono a loro volta col

pevoli della decadenza di quella grecita che il Molosso voleva preservare. Che l'orizzonte pelasgico assicurasse ai Romani la grecita e indicato anche

dalla testimonianza sopra menzionata di Plutarco (Romolo 1,1), secondo cui, in

opposizione alia tesi romulea e a quella troiana, "alcuni ritengono che i Pelasgi, dopo aver vagato per gran parte dell'ecumene e aver esercitato il loro potere sulla

maggior parte degli uomini, si siano stanziati in quelle terre, e abbiano denomi nate la citta in questo modo, per ricordare la loro prestanza nelle armi". Due i dati interessanti di questa notizia: i Pelasgi sono giunti in Italia dopo lungo pere grinare; il nome di Roma proviene da rhome, un vocabolo greco che testimonia la grecita dei Pelasgi.

Notiamo ancora una volta l'esistenza, tra Roma e Taranto, di temi propa gandistici assai simili se non identici, declinati pero in maniera diametralmente

opposta dalle due parti.

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