Anatomia di una foto - maschiettoeditore.com · della cui presentazione a “Leggere per non...

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È morta una grande leader, Margaret Thatcher. Forse l'ultima rivoluzionaria del 900! 25 uesta settimana il menù è DA NON SALTARE Sacco a pagina 2 Q OCCHIO X OCCHIO Cecchi a pagina 7 Ciappi a pagina 7 Ponsiglione a pagina 9 Anatomia di una foto RIUNIONE DI FAMIGLIA L’armadio infinito di Giani a pagina 4 Sotto mentite spoglie Perché esiste la cultura Le declinazioni della pera GALLERIE&PLATEE FLANEUR Una passeggiata parigina Andrea Marcucci Senatore Pd su Facebook (punti esclamativi inclusi) 8 aprile 2013

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È morta una grande leader, Margaret Thatcher.Forse l'ultima rivoluzionaria del 900!

25uesta settimanail menù è

DA NON SALTARE

Sacco a pagina 2

Q

OCCHIO X OCCHIO

Cecchi a pagina 7

Ciappi a pagina 7

Ponsiglione a pagina 9

Anatomiadi una foto

RIUNIONEDI FAMIGLIA

L’armadioinfinitodi Giania pagina 4

Sottomentitespoglie

“Perché esistela cultura

Le declinazionidella pera

GALLERIE&PLATEE

FLANEUR

Una passeggiataparigina

Andrea MarcucciSenatore Pd su Facebook

(punti esclamativi inclusi)8 aprile 2013

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.2

Pierluigi Sacco è uno dei pochi espertiitaliani di cultura, e in particolare dieconomia della cultura, che ha unavisione strategica sull’argomento. Ne

ha scritto in molti suoi libri, fra i quali in-sieme a Christian Caliandro “Italia reloa-ded. Ripartire con la cultura” (nell’ambitodella cui presentazione a “Leggere per nondimenticare”, ciclo di incontri con gli autoricurato da Anna Benedetti, alla Bibliotecadelle Oblate lo scorso 10 aprile, ha svolto leconsiderazioni da cui abbiamo tratto questepagine), ma anche nella sua attività sulcampo di “progettista” di strategie sui beni ele attività culturali in Italia e all’estero.

Dobbiamo riflettere meglio sul senso cheha la cultura. La cosa che ferisce dellostato del dibattito e delle pratiche sullacultura in Italia, è il totale smarrimentodel senso del ruolo che la cultura deveavere in una società come la nostra. Ciòperché, se l’Italia ha dato un contributoimportante alla storia culturale delmondo, è proprio nell’aver dato una vi-sione potentissima di come essa possacostituire una vera e propria architetturaintangibile della società. Per cui, il fattoche proprio noi siamo precipitati in que-sto buio concettuale, è particolarmentegrave. Ripartiamo da questa domanda:perché esiste la cultura? Non è una do-manda bizzarra, anzi si pone all’internodi vari studi interessanti non per la lorovalenza accademica, ma perché fanno ca-pire il perché la cultura diventa così im-portante. In termini di evoluzioneculturale, il grande vantaggio che il genereumano ha avuto nello sviluppare la cul-tura è stato di due tipi. Il primo perché lacultura costituisce una grande possibilitàdi esperienza, di situazioni che non ab-biamo vissuto direttamente. La cultura èun meccanismo di apprendimento so-ciale estremamente sofisticato. Perché ciappassioniamo così tanto, ad esempio,alle vicende di Madame Bovary, un per-sonaggio fittizio? Perché dovremmo in-teressarci alla storia di qualcuno chesappiamo non essere effettivamente mainato? Ci sono ottimi motivi per farlo, chehanno a che fare con un complesso discelte e circostanze che in realtà di illumi-nano profondamente sulla nostra vitaquotidiana. Sono dei mondi possibili che,però, hanno un rapporto estremamenteprofondo con le scelte che dobbiamofare, per certi versi più rilevante e perti-nente con cose che accadono davvero. Inaltre parole la capacità di espandere con-tinuamente il proprio modello di appren-dimento, la propria visione del mondoattraverso la cultura produce nelle societàuna capacità di risposta rispetto a situa-zioni complesse incredibilmente impor-tante e sofisticato. Non a caso, in societàcon basso tasso di partecipazione cultu-rale si alza vertiginosamente il debitopubblico, perché uno degli effetti è che lepersone smarriscono anche il senso deldibattito sulla cosa pubblica: non parte-cipano e, se lo fanno, sono estremamentemanipolabili. In paesi dove le personesono più informate, sono capaci di stabi-lire meccanismi di pressione sulle deci-

di Pierluigi [email protected]

DA NON SALTARE

sioni politiche più pertinenti, questo di-venta molto più difficile. Lo smarri-mento del senso collettivo del valore dellacultura come spazio di esperienza rendepiù fragili le società stesse.Ma c’è un secondo aspetto. La cultura èuno strumento potentissimo di coopera-zione sociale. Il modo migliore di creareuna società è quello di far fare insiemealle persone delle cose che hanno unsenso. Se prediamo delle persone e le im-pegniamo insieme a fare un coro, esse as-sumono immediatamente un senso del“noi”, di comunità; si crea uno spaziocondiviso di esperienza, di significati incui tutti si possono riconoscere. Perderedi vista queste dimensioni è preoccu-pante perché si perde il senso di qualcosadi cui abbiamo estremamente bisogno.Il nostro paese, che non impara più daglierrori che fa e quindi li riproduce, fa unaenorme fatica a cooperare, a perseguireobiettivi condivisi. Attenzione, non che

che abbiamo bisogno di una cultura perrisolvere questi problemi, ma proprioperché viviamo, sentiamo il bisogno es-sere parte di un processo di produzioneculturale.Cerchiamo di affrontare il problema diquesta perdita di senso della cultura. Sifanno centinaia di convegni sulla culturain Italia e tutte le volte con luoghi co-muni, percentuali di patrimonio culturaledichiarate senza che nessuno si ponga ilproblema di verificare questi numeri ecerte dichiarazioni nella realtà. Ecco, que-sta attività non sposta minimamente lecose. Se qualcosa si può e si deve ancorafare, è provare a lavorare su delle proget-tualità che mostrano un altro modo dicostruire valore attraverso la cultura. E daqui si può anche costruire valore econo-mico: infatti è stupido pensare che tuttopossa dipendere dalla cultura, ma è altret-tanto stupido pensare che la cultura nonabbia delle potenzialità economiche.

L’intera filiera di settori culturali creativiè uno dei macro settori produttivi più im-portanti d’Europa e, ancor più nei paeseemergenti che si muovono con minorivincoli mentali dei nostri. Ad esempio stostudiando la Corea del Sud che è un ful-gido esempio di come si possa costruirenel giro di pochi anni, peraltro in unpaese che ha sperimentato rimozioni for-zate e imposte della propria identità cul-

turale, un processo di sviluppo econo-mico e culturale vertiginoso che dimo-stra come la cultura possa creare valoreeconomico, ma mostra altrettanto comela motivazione profonda di tutto ciò nonè nel creare economia in sé ma di co-struire una narrazione. Infatti, lorohanno un enorme bisogno di dire a sestessi e al mondo chi sono: hanno vissutouna condizione estremamente disagiatadal punto di vista della loro identità cul-tura, il loro patrimonio storico tangibileè stato quasi interamente distrutto, e al-lora vedere un Paese che riesce a riorga-nizzarsi per immaginare il futuroattraverso la cultura è una cosa esaltante.Poi questo produce anche un impattoeconomico molto forte: la Corea del Sudè il primo produttore dell’Oriente di serietelevisive, con grandi capacità tecnica einventiva.Questo ci dice che questi processi sonopossibili e il fatto che noi non riusciamoin questo momento a metterli in atto, rap-presenta per l’Italia un enorme handicap.E’ chiaro che noi non possiamo crescereattraverso i modelli di sviluppo culturaleche ci vengono suggeriti, però questonon vuol dire che non ce ne siano altriche non funzionano. Quello che sicura-mente non funziona è l’idea che la culturapossa creare sviluppo attraverso la “turi-cistizzazione” del paese. Questa è unaaberrazione, come dimostrano cittàcome Firenze che sta conoscendo unprogressivo decadimento dei tessuti con-nettivi del quadrilatero d’oro del turismo

dove praticamente non esiste più la cittàma un micro parco a tema, sempre piùdedicato al consumo turistico. Dove, pe-raltro, neppure più per loro si svolge unaesperienza importante; ma il turista devesolo provare che è stato lì, quindi l’espe-rienza diventa una sorta di feticismo dellapresenza.Per fare un esempio di ciò che potrebbefunzionare ma di come lo distruggiamo

Seoul

Perchéesiste

la cultura

mine di innovazione sociale partendodalla storia. Pensiamo ad esempio alS.Maria della Scala, in questo momentoun grande problema anche dal punto divista finanziario, la cui cubatura è similea quella del Louvre, ma la scala della cittàè assai diversa da Parigi. Come gestirla?S.Maria è nato come uno spazio ibrido:accoglieva i pellegrini lungo il percorsodella via Francigena, offrendo loro vittoe alloggio, da cui nasce tutto il sistemadella grance e i meravigliosi ambienti delpellegrinaio. Questa intuizione che risaleal Medioevo profondo, oggi la possiamoriscoprire in maniera nuova. Sappiamoche esiste un legame profondo fra parte-cipazione culturale e benessere della per-sona: maggiore è il livello di

partecipazione culturale delle persone,migliore è la valutazione che le personedanno del loro stato psicologico com-plessivo che tiene conto anche della per-cezione del loro stato fisico. Sappiamodai dati epidemiologici stabili soprattuttosviluppati nel nord Europa che tra chi haun elevato grado di partecipazione cultu-rale e chi non ce l’ha c’è una differenza diaspettativa di circa 2,5 anni e cambiamolto anche la qualità della vita, soprat-tutto nelle persone anziane, che si medi-calizzano e si ospedalizzano molto meno.Con implicazione anche economicheimportanti: con quei risparmi si potrebbepagare la cultura e facendo stare megliola gente! Questo è un esempio tipico diinnovazione sociale: lavorare sul rap-porto fra cultura e salute e ripensare par-zialmente il S.Maria come uno spazioculturale di tipo nuovo. Non abbiamo bi-sogno di fare altri musei, mentre ab-biamo bisogno di spazi dove le personepossono fare esperienze stimolanti.Anche creando nuovi percorsi di qualifi-cazione professionale e di innovazioneimprenditoriale perché per gestire questotipo di progetti sarà utile lavorare sullacreazione di un distretto dell’impresa so-ciale, legato alla coesione sociale, ai temidella disabilità, dell’accessibilità. In que-sto ragionamento non sto parlando digrandi mostre perché la Capitale europeadella Cultura non è come molti credonoun festival di grandi eventi; è invece unastrategia coerente per restituire alla cittàun percorso di sviluppo di fronte alle cri-ticità serie e reali e Siena è molto compe-titiva in tal senso. Il problema non èmettere in mostra i gioielli di famiglia,bensì mettere in mostra spietatamente leproprie debolezze per capire come la cul-tura può aiutare ad uscire da queste diffi-coltà. La scommessa è dare a Siena lapossibilità di rimettersi in pista attraversouna strategia culturale originale e farneuna esperienza che non si potrà ignorare,abbandonando le illusioni “petrolifere”.E’ importante capire che questo esperi-mento non è legato solo al destino diquella città e del suo territorio, bensì al-l’intera Toscana come modello di unaeconomia della cultura nuova.

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.3DA NON SALTARE

perché abbiamo nella testa questo mo-dello sbagliato, illustro l’esperienza cheho fatto a Vicenza, dove mi è stato chiestodi lavorare alla riprogettazione delle fun-zioni della basilica Palladiana, uno dei ca-polavori dell’architettura di AndreaPalladio, spazio centrale della città permolti anni in stato di abbandono e quindiin progressivo degrado, restaurato final-mente grazie ad un generoso contributodella Cassa di Risparmio di Verona. IlComune si pone il problema dell’utilizzodel bene una volta restaurato, inversione

logica, giacché la domanda deve essereposta prima del restauro, con effetti ne-gativi a valle perché il tipo di restauro puòcompromettere alcune funzioni. Noi ab-biamo ragionato così: se la cultura deveessere veramente una leva di sviluppo,deve diventare soprattutto una piatta-forma di apprendimento sociale. Unafunzione che cambia a seconda dei terri-tori. Vicenza è la terza provincia indu-striale d’Italia, con una forte presenza diaziende molto legate al design, che già unpaio di anni fa si trovava in una posizionedi forte pressione competitiva. Quindi lefunzioni che la basilica Palladiana, a no-stro avviso, poteva proporre dovevanoessere legate a questa realtà. Essa è statastoricamente soprattutto un luogo delpensiero: quell’architettura, prima ditutto, consente una esperienza dello spi-rito se non altro perché ti confronti condegli spazi che ti fanno pensare. Allora,abbiamo pensato che sarebbe stato inte-ressante che quegli spazi consentissero ditornare a pensare. Ad esempio, una dellefunzioni simboliche cui uno spazio delgenere può adempiere è quella di creareun incubatore di imprenditoriale creativagiovanile. Questo per noi è uno spazioche può rappresentare la capacità di unterritorio di inventarsi il nuovo attraversouna giovane generazione di imprenditoriche adoperano la creatività secondo latradizione del territorio, ma con una di-

versa modalità. E’ chiaro che fare un in-cubatore in un capannone dismesso èben diverso che farlo nella basilica Palla-diana. Peraltro, mentre si faceva questoprogetto il Congresso americano avevariconosciuto Palladio come padre dell’ar-chitettura americana perché, attraversoThomas Jefferson, il complesso di Mon-ticelli di ispirazione palladiana crea ilprimo nucleo di cultura architettonicadegli Stati Uniti. Questa idea consenteanche a delle aziende già esistenti sul ter-ritorio di confrontarsi per la prima volta

con il proprio patrimonio storico-arti-stico, con la vicina biblioteca Bertolianacon un archivio straordinario che può co-stituire un formidabile strumento di ri-cerca e di ispirazione per chi lavora inquesti campi. Inoltre la basilica per noipoteva essere uno spazio sociale per lepersone anziane che la mattina possonofruirlo come spazio di animazione cultu-rale, mentre nel primo pomeriggio po-trebbe essere utilizzata dai ragazzi dellescuole per fare attività di stimolo cultu-rale e la sera diventare un luogo di aggre-gazione dei giovani. Uno spazio culturalepolivalente, dunque, che può rafforzarela capacità propositiva del territorio incampi che non sono culturali. Alla fine hapoco interesse che la basilica Palladianastacchi i biglietti, perché questo non è ilsolo modo di rispondere ad una logicaanche economica. Abbiamo presentatoil progetto, facendolo condividere con gliimprenditori del territorio che conside-ravano anche di costituire un soggettoper condurre lo spazio in questa logica.Ma, a questo punto, la Fondazione Cassadi Risparmio di Verona si impunta e,dato che ha pagato il restauro, decide diutilizzarlo come sede di due mostre diGoldin, una sul ritratto e una sul paesag-gio. La prima è iniziata con il confrontoRaffaelle verso Picasso, che sembra unasemifinale di calcio per cui il vincitore di-sputerà la finale con il vincitore della se-

mifinale Matisse-Giotto. La mostra èstata fatta e dal loro punto di vista è stataun successo perché alberghi, ristoranti,negozi di souvenir hanno tratto vantaggiodal flusso di visitatori. Benissimo, perònessuno ha collegato il fatto che in questidue-tre anni il sistema industriale del vi-centino sta perdendo clamorosamentecapacità competitiva sul versante dell’in-novazione legata al design. L’effetto diquesta mentalità “petrolifera” della cul-tura è quello di perdere completamenteun’occasione strategica che avrebbe po-

tuto trasformare questo spazio in unavera e propria piattaforma d’innovazionedel territorio. Ma di questo non ci si ac-corge perché si è talmente immersi nel-l’altra logica, che l’alternativa non vieneneanche presa in considerazione.Ci sono altre strade possibili. E qui voglioaccennare all’esperimento regionale cuisto lavorando, la candidatura di Siena aCapitale europea della Cultura 2019. Sepensiamo a Siena in questo momentopotrebbe venire lo scoramento. Però,come altre città italiane, Siena ha una sto-ria che ha qualcosa da insegnarci sul ver-sante dell’innovazione sociale. Nel 1309Siena si dà il Costituto, il primo corpus dinorme in volgare che consentiva anche achi non conosceva il latino di capire checosa sono le leggi, addirittura di copiar-sele e di portarsele a casa: una innova-zione sociale straordinaria. A cavallo delMillennio nasce il complesso che diventail S.Maria della Scala, il primo spazio co-nosciuto che è stato allo stesso tempo unluogo di cura e uno spazio culturale.Anche le Contrade, con la loro comples-sità interna, sono un governo di parteci-pazione dal basso estremamenteinteressante che non ha equivalenti inaltre parti d’Europa. Questi esempi sonolegati al patrimonio, tangibile e non; maci dicono che possiamo guardare al patri-monio come ad una potente leva di inno-vazione. Che è esattamente il contrariodi quello che avviene nei nostri tempi.Per noi il patrimonio è la testimonianzainequivocabile del fatto che in un luogoquello di importante poteva accadere, ègià successo. E quindi, noi di questo pa-trimonio facciamo i guardiani notturni,ci limitiamo a gestirlo traendone la mas-sima rendita possibile. E’ un problemaparticolarmente grave in Italia, ma non èsolo italiano perché molte città d’arte eu-ropee tendono ad assumere questi tipodi atteggiamento. Praga oggi sembra unparco tematico di Kafka, oppure Brugessembra il parco tematico dello stereotipodella cultura fiamminga degli anni d’oro.L’idea su cui stiamo lavorando a Siena èquella di trasformarla in un vero e pro-prio laboratorio per sperimentare comeil patrimonio possa essere riletto in ter-

Un viaggio di Pierluigi Saccotra Seoul, Vicenza e Sienaper fare a menodei “petrolieri”

Fotodi A

.Frangioni

Care Sorelle Marx, su Il Corriere della Sera GianantonioStella fa un - ennesimo - impietoso ritrattodello stato dei musei italiani, andando aspulciare le melanconiche statistiche dei vi-sitatori e la selva selvaggia dei prezzi, ri-duzioni e gratuità dei biglietti. Concludeproprio con la Calabria, dove gli incassitotali del 2012 non raggiungono i 25 milaeuro e i costi per il restauro del Museo Ar-cheologico di Reggio Calabria si sono tri-plicati in tre anni, fino a oltre 33 milioni.E spera nel ritorno dei Bronzi di Riace perfar sì che “il sole, finalmente, faccia capo-lino sugli incassi reggini….” (ma queipuntini di sospensione finale credo sianovagamente ironici).Ora, care Sorelle, ho provato a fare un po’di esercizio creativo anch’io. E mi sonochiesta: ma invece di torturare quei duepoveri bronzi, far loro venire il mal dischiena stando sdraiati tutto il giorno, maperché non ripagarli con una bella tournéeinternazionale? In fin dei conti, sono tra imassimi capolavori dell’umanità, relegatiloro ai reumatismi e il resto del mondo anon conoscere la loro statuaria bellezzafino alla futura (o futuribile, visti i costi),apertura del Museo di Reggio Calabria.In fin dei conti, essere ammirati da tutto ilmondo gioverebbe al loro morale, ora inverità parecchio sotto i tacchi, alle italicheglorie e alle magre casse del Ministero. O è un’idea troppo rivoluzionaria?Cordiali saluti

Mimosa R. Luxemburg

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.4

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone siliani

redazionesara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchi

progetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

[email protected]

[email protected]/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LETTERE FAMIGLIARI

Come sapete, seguiamo da tempo lemirabolanti avventure dell’esimio prof.Silvano Vinceti, Presidente del Comi-tato Nazionale per la salvaguardia deibeni storici, culturali e ambientali. Perla verità ci risulta un po’ oscural’azione di salvaguardia dei beni sto-rici, culturali e ambientali in cui è im-pegnato il suddetto Comitato dalmomento che tutto sembra esaurirsinella ricerca delle spoglie di personaggistorici famosi... a meno di non conside-rare appunto i resti mortali di questipersonaggi beni storici da tutelare.Ognuno ha le sue fissazioni o i proprihobby.Vinceti è una star della comunica-zione, ormai: dopo lo scavo allaricerca delle ossa della Giocondache gli ha procurato gli onoridella cronaca mondiale, il Vin-ceti non riesce a darsi pace e nonv’è Grande della storia di cuiegli non annunci la ricercanecrofila. Però, confessiamo,

ci ha sorprese sfogliando una delletante riviste per signore in attesa dellanostra visita ambulatoriale dal dottoredi famiglia, dove solitamente ci sonosolo vecchie riviste, abbiamo letto, suGente di agosto 2012, che il Vincetiannuncia la riesumazione della salmadi Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei dueMondi, “esclusivamente per verificarnelo stato di conservazione”. Pare che leultime volontà di Garibaldi di esserecremato siano state dilazionate di ottogiorni perché il Presidente del Consi-glio di allora voleva la salma al Pan-theon o al Campidoglio: la salmarimase sul letto di morte per 8 giorni equesto rovinò l’imbalsamazione. E cosìil Vinceti dichiara di voler scioglierel’enigma. Noi, invece, abbiamo il so-spetto che, con impeto di studioso in-ternazionale, il Vinceti voglia in

verità scoprire se Garibaldi fudavvero ferito ad unagamba, secondo il vec-chio adagio popolare.

LE SORELLE MARX I CUGINI ENGELS

L’armadiodi GianiDobbiamo sollevarealto un grido di prote-sta a difesa di un eroe

del nostro tempo, Eugenio Giani, cui lastampa ha teso una volgare trappola. Neigiorni scorsi il Nostro è stato chiamato adesprimersi sulla polemica intorno alla let-tura del XV Canto del Paradiso a Firenzeil 9 maggio da parte del docente di lette-ratura ed ex BR Enrico Fenzi nell’ambitodelle “Lecturae Dantis” organizzata dallaSocietà Dantesca italiana. Il Giani è stato assalito dai cronisti: “cosane pensa di Fenzi che legge Dante?”. Lui èrimasto sulle prime interdetto. “Fenzi,chi?”. Ma è stato un attimo: indossata lasua giacca di Presidente Provinciale delCONI ha subito capito che si trattasse del“Fenzi”, noto stadio dove gioca il Guardi-stallo Montescudaio che milita nella 1°categoria, e di cui ha subito snocciolatoclassifica e formazione (un buon Presi-dente CONI deve, in fin dei conti, saperetutto sullo sport in provincia e oltre).L’infido cronista gli ha detto che non del“Fenzi” stadio di calcio si trattava e ilGiani, senza scomporsi, si è sfilato lagiacca del CONI e si è messo quella distorico delle cose di Firenze (si cita qui sol-tanto il fondamentale e imprescindibilesaggio “Firenze giorno per giorno”). Hacercato sul suo iphone e ha capito che siparlava dei Fenzi, famiglia di banchieried imprenditori, che ebbe il suo apogeonell’800. I Fenzi furono tra i protagonistidello sviluppo industriale e del trasportoferroviario nell’Italia preunitaria, con lacostruzione della ferrovia tra Firenze e Li-vorno. E, siccome Eugenio è anche consi-gliere regionale, si è meravigliato che nonlo avessero invitato alla inaugurazione diquesta fondamentale infrastruttura. E sìche avrebbe già predisposto il testo di unpregevole intervento! Ma il web gli haanche rivelato che tale Emanuele Fenzi èstato proprietario della Villa di Rusciano,oggi passata al Comune di Firenze. E lì siè incazzato di brutto: ma come, lui Presi-dente del Consiglio Comunale di Firenze,non è stato invitato ad inaugurare unevento culturale che si svolga in un immo-bile di proprietà del Comune?Quando ha letto che in questa Villa diRusciano aveva probabilmente lavoratoMichelangelo è andato su tutte le furie: siè ricordato di essere Presidente del museoCasa Buonarroti e come tale non potevaessere all’oscuro di un evento del genere.Ma qui l’infingardo cronista ha tentatol’affondo e gli ha ricordato che lui è anchePresidente della Società Dantesca Ita-liana e che quindi doveva essere a cono-scenza di un evento organizzato dalla suafondazione. Allora il Giani non ci ha vistopiù: “caro signore – gli ha detto con l’in-dice minaccioso sotto il naso – lei non puòinsinuare una simile villania: di qualsiasicosa si tratti, siccome io sono in ogni casoil Presidente , l’evento si terrà e, ovvia-mente, io sarò all’inaugurazione”. Che uomo, che Presidente!

Bronzidi Riaceon the road

Burp...

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

Sotto mentite spoglie

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.5OCCHIO X OCCHIO

In “Forme dell’impronta” il semiologoJean Marie Floch (1947-2001) esa-mina cinque famose immagini foto-grafiche, offrendo agli studiosi un

rigoroso esempio metodologico, applica-bile in altri casi ed in altri contesti. Laprima è la celebre immagine di RobertDoisneau (1912-1994) del 1953 dal ti-tolo “Fox Terrier sur le Pont des Arts”.L’immagine mostra quattro personaggiimmobili. Un pittore, in piedi di spalle,con cappello ed in maniche di camicia,davanti al cavalletto. Un passante visto dispalle, con cappello ed un lungo cap-potto, si sporge, da una certa distanza, perosservare il quadro, tenendo al guinzaglioun cane che guarda direttamente verso ilfotografo. Una modella seduta su di unapanchina è quasi interamente nascostadal corpo del pittore. L’immagine vieneesaminata sotto diversi punti di vista,nella struttura, composizione, rapportifra i personaggi, simbologia, etc. L’analisicomporta una serie di considerazioni e didomande. La donna nel quadro è nuda,Floch si chiede se anche la modella lo sia,e risponde che probabilmente non lo è,data la stagione fredda e gli alberi spogli. Andando a fondo nell’esame dell’imma-gine, e di altre immagini di Doisneau,Floch avrebbe scoperto una seconda im-magine scattata lo stesso giorno, sullostesso ponte, allo stesso pittore, il qualeha un nome ed un cognome, Daniel Pi-pard, mentre la modella indossa un lungocappotto. Avrebbe quindi capito come lascena, spacciata per una immagine coltaal volo, fosse una montatura, come nelcaso del famoso bacio davanti all’Hotelde Ville. L’immagine del pittore con lamodella, del resto, a saperla leggere, parlachiaro. Perché portare una modella in-cappottata su un ponte per dipingerlanuda? Doisneau è un bravo “metteur enscéne”, ha fotografato il violoncellistaMaurice Baquet con il suo strumento,mettendolo nelle situazioni più diverseed improbabili. E c’è un precedente, cheFloch non ignora. Nel 1948 Doisneaumette nella vetrina della Galérie Romi diRue de Seine un piccolo quadro rappre-sentante un nudo femminile visto dischiena, fotografando dall’interno le rea-zioni dei passanti, dal poliziotto imbron-ciato alla signora esterrefatta fino almarito che osserva senza farsi notare dallamoglie. Nel 1953 ripete il gioco met-tendo un pittore, una modella ed unnudo femminile stilizzato, nel bel mezzodel ponte, fotografando le reazioni deipassanti. Ma sul ponte non si devono es-sere fermate molte persone, forse solo ilsignore con il cane. L’immagine è unoscatto fortunato o il risultato di una regìaattenta? Sicuramente una combinazionedelle due cose, a meno che il passantenon sia una comparsa, ed il solo perso-naggio che non recita sia proprio il pic-colo fox-terrier, uno smooth fox-terrier,per essere esatti. Doisneau è un grandefotografo ed un grande manipolatore, e ciinsegna che, nell’analizzare un’immagine,è bene confrontarla con il resto della pro-duzione dello stesso fotografo. Talvolta siscoprono delle cose imprevedibili.

di Danilo [email protected]

Dalla serie “Un regard Oblique” di Robert Doisneau

L’occhiovuole

semprela sua parte

Floch, Doisneau e Pipard

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.6

Negli ultimi cinquant’anni varimovimenti artistici e culturalihanno saputo cogliere l’attua-lità, attraverso valori e modalità

che ricalcano un vero e proprio spiritointellettuale del presente in quanto pre-sente. Prima fra tutte la Poesia Visiva,esprimendosi in ogni ambito della vitaquotidiana, si è qualificata come porta-voce di una situazione socio-culturalenon ben definibile, colma di aporie econtraddizioni, che sopravvivono an-cora oggi grazie a inclinazioni e polaritàculturali rimaste pressoché identiche,nonostante gli sviluppi del progresso.Ne sono un esempio: la Poesia Tecno-logica fiorentina di Eugenio Miccini eLamberto Pignotti con Lucia Marcucci,Luciano Ori, Michele Perfetti, RobertoMalquori e Ketty La Rocca; le rifles-sioni e sperimentazioni verbo-visuali le-gate teoricamente alle esperienzelinguistiche di Nanni Balestrini, delGruppo 63, dei Novissimi; le sperimen-tazioni linguistiche del gruppo attornoa Luigi Tola e ad “Ana eccetera” di Mar-tino Oberto a Genova; le cancellaturedi Emilio Isgrò; la Nuova Scrittura diUgo Carrega; la linea napoletana di Lu-ciano Caruso e Stelio Maria Martini; lalinea internazionale del Gruppo deiNove con Sarenco, Paul de Vree, JeanFrançois Bory, Julien Blaine e altri; leesperienze verbo-visuali sonore, mate-riche e concrete di Mirella Bentivoglio,Arrigo Lora-Totino e Adriano Spatola;i poeti visivi brasiliani, il Gruppo Noi-gandres ed Eugen Gomringer in Sviz-zera; Henri Chopin, Jiri Kolar e i primiassemblages e collages poetico-visivi, le-gati alla musica degli artisti fluxus Giu-seppe Chiari e Sylvano Bussotti.In occasione del 50esimo anniversariodella nascita canonica della Poesia Vi-siva è lecito, in tal senso, dare unosguardo attento e vivo agli orienta-menti, alle proposte e alle dichiarazionipoetico-visive rimaste in secondo pianorispetto al movimento artistico che hacoinvolto a livello internazionale l’Artee la Cultura dagli anni Sessanta a oggi.Singole identità di un insiemecomplesso e pulviscolaresfuggente, capace di con-centrare l’operatività delsegno culturale – come azionesincretica di segno letterario esegno artistico – all’interno dellacomunicazione verbale e visiva, ti-pica della nostra attuale società me-diatica. Un tentativo, in sostanza, dilettura visiva, ironica, simultanea, at-tenta alle linee del caos politico-sociale,eversiva, simbolo di un risarcimentoestetico dal carattere democratico e po-polare. In poche parole, il riflesso di uncanone culturale che si è fatto estetico,operando al di là dell’arte e della lette-ratura, attraverso l’interazione di parolae immagine, di arte e vita, di creatività esocio-culturalità, che vale la pena risco-prire alla luce di una piena presa di co-scienza di un fenomeno socio-culturaleancora attuale e vicino al nostro sentirequotidiano.

di Laura [email protected]

REBUS

Aporiecontraddizionidelle parole

eLa Poesia Visivacompie 50 anni

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.7GALLERIE&PLATEE

“La semantica delle pere” èun piccolo saggio scrittoda Claudio Cosma per larivista letteraria Il Ponte e

pubblicato a puntate (come i romanzid’appendice) su Cultura Commesti-bile, settimanale on-line, con imma-gini commissionate a 14 artisti. Il testo che ha dato il titolo alla mo-stra, usa lo stile proprio alla criticad’arte ed è svolto nella forma del rac-conto letterario. L’arte contempora-nea ha da tempo interrotto quei fili,che per quanto esili, dopo le avan-guardie storiche del ‘900, permette-vano a tratti e con episodicheintermittenze di mantenere i due forticanali di interpretazione da semprepresenti nei linguaggi di tutte le arti.Queste due forme erano il racconto,la storia che ogni opera era in gradodi comunicare, e questa per esserecompresa da tutti, conservava unaforte componente descrittiva e unasintesi di immediatezza iconica edera ancora e sopratutto partecipe del“saper fare”. L’altra, più concettuale, hasempre mantenuto un registro se-greto, con simboli comprensibili adun ristretto gruppo di colti iniziati.Queste strade hanno, da tempo, co-minciato a divergere per arrivare, unalontano dall’altra, in un cul de sac.Questa mostra, col desiderio di riu-nire il piacere del racconto con la sa-pienza del saper fare, costituisce untentativo di esplorare gli ambigui con-fini di ciò che comunemente vieneconsiderato bello, per trovare un pos-sibile terreno comune e condivisibilealle emozioni ed al sentire che taletermine, l’abusato “bello”, fa scaturiredal nostro cervello per raggiungerezone talvolta sconosciute o ritenuteinaccessibili e segrete. Il risultato è una curiosa rassegna cherimane in bilico fra la contempora-neità delle idee e la omogenea co-stanza della collezione di “mirabilia”.Tale duplice effetto e contrasto, chepotrebbe suggerire la possibile e forsemeritata accusa di stravaganza, è po-tenziato dalla convivenza di questaesposizione con parte della mostraprecedente, contenente opere deglianni ‘80 unite a lavori di giovani arti-sti orientali entrati a far parte dellacollezione a partire dal 2010. Alcuni accorgimenti usati per instal-lare i lavori, uniti alla presenza di vasiantichi di cotto dell’Impruneta e al-l’inserimento di 30 piante in vaso dialberi di pero di varietà non più col-tivate intensivamente, sottolineano ildesiderio di creare una connessioneideale con la natura e il paesaggio,evocandolo nella forma addomesti-cata del frutteto e dell’orto botanico.Inoltre a far riflettere su quel valico in-certo che segna l’intervallo fra terri-tori diversi, contribuisce l’eccezionaleprestito degli esemplari ottocenteschidel frutto realizzati in gesso e resinada Francesco Garnier Valletti prove-nienti dal Museo della Didattica in

di Elena [email protected]

Agricoltura dell’Istituto TecnicoAgrario delle Cascine.Gli artisti: Sabrina Muzi, Silvia No-feri, Erique LaCorbeille, Virginia Za-netti, Ivana Spinelli, Virginia Lopez,Stefania Balestri, Alice Attanasio, Vir-ginia Panichi, Vairo Mongatti, AldoFrangioni, Donatella Mei, Lisa Batac-chi, Adele Török, Francesco GarnierValletti. Sensus Firenze, v.le Gramsci 42a dal 19aprile al 22 giugno 2013. Il venerdì e ilsabato dalle 18 alle 20Le

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la PeraPoirePearBirnePeraMadariPæreKörtePäärynäGellygen

Stefania Balestri, Sogno di una notte di mezza estate,2013. Still da video

Ivana Spinelli, Ceci n’est pas une poire, 2013. Acquerello e inchiostro su carta

Virginia Panichi, Decostru-zione asimmetrica di una

pera simbolica, 2013.Stampa lambda su dibond.

Quandosalvammo

la Pala Rucellai di Duccio

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.8

Anna Maria Petrioli Tofani èpersona talmente nota da nonavere bisogno di presenta-zioni, Direttrice della Galleria

degli Uffizi per moltissimi anni, dasempre impegnata, come lei stessadice, nella cura dei quadri per garan-tirne la sopravvivenza e renderli com-prensibili ai visitatori. Quasi inimbarazzo a sceglierne uno e definirlodel cuore, fra quelli della amata Gal-leria ha sempre avuto grande ammi-razione per la Madonna dal collo lungodel Parmigianino e per la forzaespressiva della sua eleganza e per ilsuo perpetuo offrirsi a studi che maia pieno penetrano il mistero dei suoicontenuti. Dice che di tutti i quadriche le erano affidati i prediletti sonostati sempre quelli che avevano biso-gno delle sue cure, fra i tanti di cui hadecretato e seguito il restauro ricordacon emozione l’esaltante esperienzadi quando, all’inizio della sua Dire-zione, affrontò la Pala Rucellai diDuccio da Boninsegna. Era appenaarrivata e il lunedì, a Galleria chiusa,i funzionari le fecero osservarequanto essa fosse compromessa. Unintervento appariva d’obbligo, eranocontinuamente necessarie nuove “ve-linature”, toppe di carta velina chetamponano i punti nei quali il colorepare staccarsi, ed ancora l’adesionedelle varie tavole lignee che costitui-scono l’enorme Pala era messa a duraprova da movimenti e cambiamentisubiti nel tempo. Il legno è materiaviva che risente di temperatura e umi-dità, la grande massa di visitatoristessa ne provoca variazioni. QuestaPala era stata per tanti anni a SantaMaria Novella ove c’erano candele ac-cese che la avevano annerita, le suoreper tenerla in ordine e pulita la spol-veravano strusciandola. Esaltante perlei decidere di intervenire subito perevitare l’ulteriore, irreparabile de-grado, ma anche di ansiogena respon-sabilità scegliere di impegnare unacifra molto elevata; la spesa ipotizza-bile per un lavoro così complesso eraalmeno dieci volte il budget annualedell’intera Galleria. Quindi si dovevacercare uno sponsor. Venivano poieseguite analisi scientifiche e chimi-che sul legno e foto-radiografichesulla superficie e sui colori per evi-dienziare eventuale presenza di altrepitture sottostanti. Fra i restauratoripossibili optò per il gruppo di AlfioDel Serra, noto esperto di tali opera-zioni, pretese che il lavoro fosse ese-guito nel Museo ove, in fondo alprimo corridoio, dietro una parete fit-tizia, fu approntato un cantiere prov-visorio. I lavori proseguirono per unanno e mezzo, tutti i giorni andava adare una controllatina. Lo sponsor fula Banca Toscana alla fine così soddi-sfatta del risultato e del ritorno di im-magine da contribuire al restaurodelle due Pale presenti nella stessaSala, di Giotto e di Cimabue. Comesi conviene fu fatto un ricevimento

Gli aretinidi Pietro Pancrazi

di Cristina [email protected]

di Franco [email protected]

Pietro Pancrazi (1893-1952) nacquea Cortona, dove trascorse la sua esi-stenza dedicandosi a studi su scrit-tori dell’Ottocento e del Novecento.Fu collaboratore del quotidiano“Corriere della Sera” e consulente dinumerose case editrici. Diresse le ri-viste letterarie “Pegaso” e “Pan”, que-st’ultima fondata da Ugo Ojetti.Oltre che critico fu autore di alcunitesti narrativi, come Donne e buoide’ paesi tuoi, e rifacimenti in chiavemoderna delle favole di Esopo(L’Esopo moderno, Firenze 1930).Un fondo librario a suo nome sitrova all’Accademia della Crusca.“Donne e buoi dei paesi tuoi” è untesto di viaggi e di osservazioni an-tropologiche dal gusto tipicamentetoscano, ricco di riferimenti classici,ambientali e folkloristici.Nel libro si passa da una visita allacasa di Machiavelli a un viaggio al-l’Isola d’Elba, da una vivace descri-zione del proprio contestoallargandosi fino al Casentino, al-l’Amiata, a Todi, Assisi e Pisa, perconcludere con più larghe escur-

ANTIQUARIUM

SPIRITI DI MATERIA

sioni in Calabria, in Sardegna e nelVeneto. E di ogni luogo viene rilevata la pre-senza di pittori, scrittori, poeti, chehanno dato lustro a quei luoghi, comesi nota in questo brano da Cosed’Arezzo.“Gli aretini si dividono in due grandicategorie: gli aretini morti e quellivivi. Se date retta ai cronisti e agli storici,cogli aretini vivi fu sempre difficileandar d’accordo. Dante li disse rin-ghiosi, ma se si ricordava l’Archiano,poteva aggiungere: che mordono. Di natura loro motteggevoli, più cheun tantino irrisori, i nemici naturalidegli aretini restano gli sciocchi; esempre Dante pensava che agli scioc-chi si dovesse talvolta rispondere “colcoltello”.Gli aretini però si contentano delmotto e deIla burla; non si rispar-miano e nonrisparmiano; spreca più ingegno unaretino in un giorno a canzonare, cheun genovese a comprare e a venderein un mese.Se questo è il fondo irascibile primige-nio, i secoli e il granducato ci hannoeducato su uno spirito più sopporte-

vole e accomodante. (…)-Ma insomma oggi gli aretini sonodolci o agri?Lasciateli stare; tanto, con quel carat-tere avranno sempre ragione loro. E secon gli aretini vivi è facile leticare, incompenso coi morti si va d’accordo.Ciascuno può scegliere l’aretinomorto che fa per lui: da Michelangeloa Piero della Francesca, dal Petrarca(salvando il salto) all’Aretino, pochecittà del mondo possono mettervi at-torno un pantheon così sonoro.”

(da Donne e buoi de’ paesi tuoi, Firenze, Vallecchi, 1930)

per festeggiare l’opera finita e pubbli-cato un libro che illustrava il percorsoseguito.Parlando di restauri impossibile perlei non ricordare l’orrore che le si pre-sentò dopo la bomba di via dei Geor-gofili, anche però la disponibilitàtotale ed illimitata di tutto il perso-nale che di fronte ad una ipoteticachiamata in aiuto di volontari si sentìdi affermare “la Galleria è nostra”, maquesta sarebbe un’altra storia...

ampia rispetto a quanto comunementeinteso in Italia.Specchiandosi nell’acqua del canale, lenuvole ce la mettono tutta per assomi-gliare ai colori del fango. Persino le ve-trine incorniciate in boiseries dipinte connuances tutte differenti tra loro sono av-volte dal grigiore e non riescono a squar-ciare la monocromìa imperante,rafforzata dall’atmosfera umida e tiepida.Fa eccezione la figura della donna afri-cana che, avvolta in una mantella gialloacceso, avanza in direzione opposta allamia: è uno dei pochi volti che incrocianoil mio sguardo nel passeggio semidesertoe sicuramente l’unico che ricordo. Chissà:se potessi guardare me stessa attraverso isuoi occhi, otterrei un effetto paragona-bile grazie al foulard rosso che ho avvoltotra i capelli?Proseguendo lungo il Quai de Valmy:L’apertura dello scrigno si concretizza fi-nalmente quando, superati i mesi di adat-tamento, inizio a respirare una

dimensione in cui si catalizzano idee,energie, opportunità tese a sviluppare evalorizzare le inclinazioni e le potenzialitàindividuali. Lo scrigno visto dall’esternosi trasforma in un ventaglio aperto discelte e di percorsi, tutti dotati di un pro-prio specifico valore in termini di arric-chimento personale. La stessa metropoliche si era inizialmente manifestata con ilsuo volto rigidamente normativo e rego-latorio mi mostra ora un’altra delle sue es-senze, declinata nei diversi elementi checoncorrono a determinarne la ricchezza.L’efficienza della rete metropolitana, chel’attraversa in maniera capillare e conti-nua, diventa il mezzo ed allo stesso tempola metafora di una quotidianità vissutaall’insegna della velocità e della curiosità,anzi oserei dire dell’avidità intellettuale edesperienziale che mi anima: interessi giàconosciuti e coltivati si affiancano a nuovistimoli a cui soltanto lo scorrere deltempo riesce a porre un limite. La dimensione parigina di quegli annicontribuisce a farmi vivere in modo deltutto inedito la mia golosità di luoghi e dipersone: a ripensarci mi si affastellanonella mente le immagini delle aule uni-versitarie, dei dibattiti nei bistrot, dei par-chi, dei musei e dei teatri sempre ricchi dinuove proposte, dei locali notturni e dellestrade che in estate si riempiono di mu-sica dal vivo, delle biblioteche aperte finoa sera tardi, già allora ben informatizzatee in parte digitalizzate, che diventano laseconda casa di tanti studenti e, più in ge-nerale, di tanti cittadini che decidono al-l’uscita dal lavoro di investire del tempolibero per incrementare il proprio baga-glio di conoscenze, gratuitamente e “ascaffale aperto”. Anche la realtà accade-mica appare molto diversa da quella ita-liana alla quale ero abituata: riscontrouno stimolo costante nelle diverse disci-pline all’approfondimento tematico e in-dividuale attraverso le fonti che,supportato da adeguati mezzi di indagineinformativa e di documentazione, miconsente di sperimentare e iniziare a for-

mare il mio personale metodo e stile diricerca. Negli stessi anni, l’università dame frequentata in Italia non aveva ancoraaperto la sua prima sala internet per glistudenti e le biblioteche erano ancora perla maggior parte consultabili solo in locoattraverso cataloghi cartacei.Valmy – Louis Blanc: Ecco apparire allamia destra un altro ponte sul Canale, piùgrande e trafficato dei precedenti… unanuova occasione di passare dall’altraparte… come accadde durante il mioprimo ritorno in Italia seguito all’Erasmuse alla preparazione della tesi. Il pensierocorre veloce allo choc da rientro provatonel 2001, alle vecchie abitudini che ritor-nano ad essere vissute sotto una nuovaluce e, il più delle volte, popolate di insod-disfazioni e di limitazioni. In Italia non ri-trovo lo scrigno o il ventaglio, assieme allemie radici; faccio fatica a districarmi nelreticolo gravoso del post-laurea ma poimi immergo in un triennio di studi didottorato che inaugurano la mia presenzain Toscana. Ma nel 2004, è di nuovo Pa-rigi a riaccogliermi con una nuova oppor-tunità professionale: un’esperienza diricerca all’Institut National d’Histoire del’Art (Inha).Quindi decido di non attraversare ilponte, tiro dritto, lungo l’ultimo tratto delCanal St Martin, ripercorrendo, anchequesta volta a flash, il mio secondo sog-giorno parigino: le indimenticabili gior-nate di ricerca dedicate alla museologia ealla storia del collezionismo nelle sale ri-servate della biblioteca Jacques Doucet,dove professionisti esperti supportano iricercatori non solo orientando la frui-zione di un notevole patrimonio librarioe documentario, ma anche offrendo ori-ginali spunti di approfondimento e chiavidi lettura. E ancora, la frequentazione as-sidua delle sale del Louvre che, nella suaimmensità, non può che essere messogratuitamente a disposizione dei ricerca-tori del settore per essere fruito nella mo-dalità migliore, a piccole dosi. Al di fuoridelle ore dedicate per i lavori all’Institut,anche questa stagione è popolata di co-noscenze e amicizie straordinarie e sti-molanti: non posso non ripensare allemie visite settimanali all’ultrasettantacin-quenne Beatrice S., collezionista e fineconoscitrice sempre curiosa delle novità,che decide di superare lo scoglio dellenuove tecnologie, da lei fino ad allorapoco praticate, chiedendomi di assisterlanella conoscenza dell’informatica appli-cata ai beni culturali. Una casualità perme fondamentale, perché apprendo da leimolto più di quanto possa trasmetterle.Ecco che fa capolino il presente, con l’in-combente fine dell’esperienza all’Institute quella proposta professionale in un am-bito del tutto diverso che, se accettata, miriporterà presumibilmente in manieradefinitiva in Italia. Respiro, allontano l’an-sia della scelta, so che quella passeggiataè stata risolutiva. All’orizzonte, ancora un’altra Parigi in cuidue realtà (le due sponde del Canal SaintMartin? I miei percorsi mentali tra Fran-cia e Italia?) si riuniscono giungendo de-finitivamente a sintesi: i ponti di ferro,scanditi dal ritmo dei bulloni, le luci dellevetrine, i fumi delle botteghe di place Sta-lingrad.

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.9FLANEUR

L’inizio di pomeriggio è di quelliplumbei, in una Parigi precoce-mente sorpresa dal caldo e restiaad abbandonare le sue gamme

di grigi. Uno scenario ideale per accen-dere e far fluire i pensieri, attraverso unacamminata che deciderà il mio rientro inItalia.Il ponte di fronte al Café La Marine:Quan-d’è stata la prima volta che ho attraversatoil “ponte sul canale”? A 21 anni, duranteun percorso universitario in lettere e sto-ria dell’arte: una banale storia tra le tante,nella folta schiera di studenti Erasmus de-siderosi di Francia, di nuove esperienze edi lasciarsi qualcosa alle spalle. Entusiasta,volenterosa, carica di aspettative, quantomai acerba.Mentre cammino, ripercorro i primi mesidel 1999, quando per la prima volta i mieiocchi scrutano la Ville Lumière privi delfiltro “da turista”: uno scrigno potenzial-mente ricco di un’infinità di opportunitàallettanti, a condizione di saper trovare eutilizzare la giusta chiave.All’apparenza, la chiave si identifica conil primo flash percepito di Francia che in-forma la mia mente e sembra identificarsicon la pomposa targa, completa di trico-lore, che campeggia all’ingresso dell’uffi-cio per il rilascio permessi di soggiorno,a Ile de la Cité.Un gigante della burocrazia, dell’ordine edelle regole che poderosamente abbrac-cia e si impone in ogni aspetto della miavita quotidiana: la scelta e la gestionedella mia casa, gli studi alla Sorbonne,l’accesso al lavoro temps partiel, persino lasemplice apertura di un conto corrente.L’Europa, nella vita civile, è evidente-mente ancora sulla carta: soltanto attra-verso un rigido disciplinare fatto di carte,documenti, certificati, registrazioni edogni sorta di formalità, è consentitoanche a me, citoyenne à durée déterminée,di entrare a far parte a pieno titolo dellametropoli, sotto l’egida benevola delmotto “Liberté, egalité, fraternité”.Eppure, superate le barriere della buro-crazia, mi accorgo di aver compiuto soloil primo passo per l’apertura dello scri-gno: ben più sottile è la progressiva com-prensione ed il personale adattamentoalle consuetudini che popolano le rela-zioni sociali, in una metropoli sì multiet-nica ma all’insegna di un tentativo diassimilation. Le numerose affinità cultu-rali e l’apparente somiglianza con i “cuginid’Oltralpe” rendono spesso insidiose al-cune differenze sottintese, nascoste nellepieghe delle convenzioni sociali.Il Quai de Valmy scorre lento davanti agliocchi e sotto i piedi, mentre ricordo an-cora lo stupore provato durante le primelezioni universitarie, nel notare che i gio-vani compagni di corso si rivolgevano tradi loro dandosi del Vous; oppure la sor-presa nel cogliere, dopo alcuni mesi dipermanenza, che la mia abitudine medi-terranea dello stare alla finestra ad osser-vare la vita che fuori scorre era spessopercepita come un’intrusione da parte dichi si sentiva osservato, in un contesto incui i concetti di riservatezza e di spazioprivato hanno un’estensione ben più

di Isabella [email protected]

6 maggio 2005Resocontosconclusionatodi soggiorni parigini

Passeggiandolungoil CanalSaintMartin

autunnoAutomne

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.10

Parigi d’autunno mi ha sempredepresso un poco. Forse peruna forma mentale, per unaspecie di abitudine. Si sa

come funzionano queste cose, les fe-uilles mortes, le spleen de Paris, Bon-jour Tristesse, e così via. Troppaletteratura, immagino, e digeritamale. Quando mi sono svegliato questamattina e non ho la trovata accanto ame non mi sono neppure stupitotroppo. Ero talmente rintronato daglianalgesici che avevo preso ieri notteper il dolore al naso che ho dormitoprofondamente fino alla mattinatainoltrata e non la ho sentita quandosi è alzata e se ne è andata. Dovrei an-dare a cercarla al ristorante dove la-vorava? Non credo proprio che latroverò là, ma posso provarci. O forseno. Forse se ne è andata in silenzioproprio perché non la cercassi. Forsenon vuole essere cercata né trovata.Né a Parigi né altrove. Dopo quelloche ho saputo su di lei, ha preferitochiudere una storia che rischiava didiventare difficile da gestire. Non loso, sono confuso. Ed anche legger-mente depresso. Piove, come nellamigliore tradizione letteraria pari-gina, il pleure dans mon coeurcomme il pleut sur la ville. Che bana-lità, n’est ce pas? Si è portata via ilcomputer e tutti i dischetti che ave-vamo raccolto. Non ha lasciatoniente, solo la traccia del suo pro-fumo nel letto. Insieme a molti ri-cordi ed a qualche rimpianto. Mi èrimasta in tasca anche una delle fotodi sua figlia, quella con lo sguardoduro, determinato, cattivo. Una coin-

di Danilo [email protected]

PARIGI VAL BENE UNA FOTO

di Cristina [email protected] Il rebus del lucchetto

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Lucchetto a combinazione, fine ‘800,probabilmente di origine francese, èformato da sette ruote in bronzo, conincise su ogni ruota dieci lettere, lacombinazione per aprirlo è sicura-mente un nome o una parola compo-sta. Rossano: “per mesi ho tenuto il luc-chetto tra le mani, girato e rigirato leruote, sperando in una miracolosaapertura. Alla fine ho contattato Vitto-rio Cavalli, fondatore del museo dellucchetto a Cedogno (Parma) che,con molta franchezza, mi ha del tuttodisilluso: senza conoscere la fatidicaparola vista l’infinità delle combina-zioni è più facile vincere al Superena-lotto che aprire questo lucchetto.Non mi arrendo però: la prossima tele-fonata al capo... della Banda Bassotti!"Il gusto della collezione è una specie digioco passionale dice MauriceRheims ne “La Vie étrange des ob-jects”. Gioco, passione, curiosità e... unpo’ di dipendenza, in fondo sono glioggetti che scelgono noi, non vice-versa, direbbe Jean Baudrillard!

cidenza? L’ennesima. O forse è stataproprio lei a lasciare questa fotoprima di andarsene. Come simbolo,come segnale. Anche questa è unadelle cose che non saprò mai. Un maestro zen diceva che non biso-gna ostinarsi a cercare la veritàquando non c’è nessuna verità da tro-vare. Un altro maestro zen diceva chenon bisogna affannarsi a cercare laverità quando essa è già sotto i nostriocchi. Non riuscivano a mettersid’accordo neppure fra di loro, questimaestri zen.

(liberamente tratto da Jed Ced Zeddi Danilo Cecchi)

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.11

Ad alta voce di Susanna [email protected]

Aprile 2013

PUÒ ACCADERE

ICON

Al Louvre di Parigi è conservato undipinto di Théodore Chassériaudel 1850 intitolato Othello Desde-mona in Venice. Esso però non

rappresenta il volto scuro del Moro, o l’uc-cisione di Desdemona, bensì un mo-mento che nella piece non è mostrato, masolo evocato. L’episodio senz’altro piùdolce e sentimentale, ma che mette inmoto i meccanismi della tragedia: il cor-teggiamento di Otello mentre Desde-mona lo ascolta rapita.Nel dipinto vediamo il Moro stringere lamano di Desdemona su una terrazza cheda sui canali veneziani. Il fatto che Otello,nella fantasia di Chassériau abbia preso lamano della sua amata fa senz’altro presup-porre di essere in presenza delle battuteconclusive del monologo che egli fa du-rante la terza scena del primo atto davantial Doge e ai senatori per rendere conto delsuo affrettato matrimonio con la bella fi-glia di Brabanzio. Proprio quest’ultimocon la sua curiosità per le gesta del Morosembra essere stato l’involontario promo-tore di questa passione :“Suo padre mi di-mostrava molto affetto/ e m’invitavaspesso a casa sua. / Ogni volta voleva sen-tire da me il racconto della mia vita, annoper anno / Conoscere le battaglie da mecombattute”. Dal racconto di Otello sem-bra dunque che sia stata la curiosità di Bra-banzio verso la sua provenienza esotica adargli libero accesso alla sua casa e allacompagnia di sua figlia, la quale, nonmeno interessata del padre “ascoltava an-siosamente il mio racconto / quando po-teva / perché i lavori di casa la tenevanomolto occupata” . Dunque è falsa e infon-data l’accusa di stregoneria che vienemossa ad Otello poche battute prima. Eglinon ha affatto sedotto la ragazza “conl’aiuto di qualche potente mistura […] ocon un filtro stregato”, ma è lei che è natu-ralmente andata verso di lui, attratta ed in-curiosita da questo straniero gentile. Èdalla curiosità dunque che parte il ge-nuino interesse di Desdemona che va su-bito dopo incontro ad un altrosentimento, la compassione “più volte lavidi piangere sulle sventure che m’avevanocolpito nella giovinezza” passando dallanemesi “desiderava che Dio l’avesse fattanascere al posto di un uomo simile” finoad arrivare all’amore: “si era innamorata dime/al racconto di tutti i miei pericoli/e iol’amavo per la pietà che m’aveva dimo-strato”.Quello che più disturba i presenti nel-l’unione tra la bianca Desdemona e il neroOtello è l’accettazione totale di ciò che èestraneo, diverso e lontano. È questo cherende questa tragica eroina una delle piùcoraggiose e forti figure femminili di tuttoil canone shakespeariano. Non accettandouna qualche unione di convenienza è lei ascegliere e a sposare Otello, rivendicandouna libertà del tutto inusuale, da molti cri-tici definita rinascimentale e umanista; edè con queste parole che si congeda dalDoge e da suo padre per andare a Ciprocon il suo sposo, ancora ignara del destinoche l’attende: “Ho imparato a conoscere ilvero volto di Otello e al suo valore ho con-sacrato il mio cuore e la mia felicità”.

di Caterina [email protected] E’ Desdemona

sceglie

Otello

che

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.12RIVISTE NON VISTE

Scum è una pubblicazione curiosaper molti aspetti, primo non si sacon certezza dove sia possibile re-perirla, ogni tanto, se sei fortu-

nato, come è capitato a me, ti ci puoiimbattere… Magari in un frequentato lo-cale fiorentino come la Citè, in Borgo SanFrediano oppure in una nota galleria d’artemilanese come quella di Giovanni Bonelli,recentemente inaugurata nei locali dell’exBinario Zero. Ancora più misteriosi sono gli autori chesi celano nel più totale anonimato, oltre avarie incertezze Scum annovera anchequalche punto fermo, la rivista sembre-rebbe, infatti, avare alcuni elementi co-muni che ritornano di numero in numero.Come il poster centrale da colorare, chenel numero zero è di artista anonimo maascrivibile alla scena dei comics under-ground; nel primo numero è una molto ri-visitata pianta di Firenze a firma G.P. 1968e nel secondo un’opera del pittore RaffaeleBueno. Anche le puntate del fumetto diBruto, sull’ultima pagina, dalle storie diOsvaldo Licini, firmato Marco con unsimbolo della pace, sono elemento chesembra essere seriale. Parrebbe pure che ogni numero, nel suocaos creativo, sia dedicato a un tema spe-cifico, nel numero uno sono riscontrabili

riferimenti, attraverso immagini e testi, alconcetto, coniato dall’antropologo fran-cese Marc Augé, del non-luogo, così comenel numero due una bottiglia di Tequila eun fotomontaggio di uno (sconosciuto?)a tavola con Bukowski sembrerebberosuggerire un tema alcolico.. Il mantra che campeggia sotto le foto dicopertina, Bacon a braccetto con WilliamBurroughs su un numero, una perfor-mance di Gianni Pettena su un altro è: vo-mita colore sopra la noia, concetto cheritorna con il poster centrale che sembrainvogliare chiunque, anche neofiti ad ar-marsi pastelli e/o pennelli e suggerire con-temporaneamente la possibilità che siapossibile fare arte anche attraverso un’atti-vità a volte erroneamente ritenuta margi-nale come è quella della colorazione. Altrospunto interessante che Scum sembra sot-tendere è quello di spingere a guardarel’arte senza sapere con precisione chi ne sial’artefice, questo aiuta ad azzerare glispesso troppo diffusi preconcetti e a pro-durre un prezioso quanto raro spirito cri-tico.Nella progressione dei numeri si nota unafila di formiche che lentamente si avvicinaalla scritta Scum per eroderla, non sap-piamo quanti numeri siano ancora a di-sposizione prima che le formiche lafacciano sparire… il consiglio? Affrettatevia cercarla.

di Elisabetta [email protected] La feccia

della cartastampataSc

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.13NUVOLETTE

www.martinistudio.euLe storie di Pam

Pregate precari

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.14

nita, alla fine la vettura pesava unatonnellata più di ogni altra in circola-zione e per tanto... non era in gradodi muoversi!Compendio importante e pieno dibuon senso, per intelletti esigenti e(in ogni senso) resistenti, “Regolesemplici” assume la logica econo-mica come canone della produzionenormativa. Dovrebbero ben leggerlocoloro che in questi giorni si sbrac-ciano chiedendo l’ennesima leggeanti-corruzione e la centocinquante-sima riforma del lavoro.

ODORE DI LIBRI

Alla contrapposizione “sempli-cità-complessità” si può acco-stare per convincenteanalogia quella di “legge-

rezza-peso” che apre le “Lezioni ame-ricane” di Italo Calvino. E un innoalla semplicità, audace e suggestivo,ci arriva dal libro del giurista newyor-chese Richard Epstein (“Regole sem-plici per un mondo complesso”, pp.XVI+480, 22 euro) edito da Liberili-bri. Il bersaglio è qui la complessitàdelle leggi, frutto di un’iper-regola-zione che pretende di accompagnarcidalla culla alla bara generando unamarcata deresponsabilizzazione. Per avere semplicità nel diritto non ènecessario andare lontano: si ripren-dano i testi del diritto romano e si diaun bel calcio al mito della giustiziaperfetta. Del resto “quanto possiamoprendere sul serio un ordinamentogiuridico che dedica la fetta maggioredel suo impegno (...) a identificare ecorreggere i fallimenti del mercato ri-sultanti da un’informazione asimme-trica e imperfetta nei rapporti dilavoro, piuttosto che a contenere laviolenza nelle strade”? Non v’ènorma che possa assicurare l’au-mento degli stipendi reali e delle op-portunità di lavoro!L’alternativa è lasciare le iniziativeche possono derivare dalla coopera-zione tra individui alla gestione pri-vata - presumendo che la maggiorparte delle persone conosca bene leproprie preferenze - piuttosto che alcontrollo pubblico. La complessitàdelle norme disloca il potere decisio-nale “nelle mani di altre persone a cuimancano le informazioni essenziali eche sono indotte dall’interesse perso-nale a usare quelle poche che hannoin modi socialmente distruttivi”. GiàLudwig Von Mises aveva affermatoche per la burocrazia il risultato è laconformità formale dei propri attialle norme, non già l’efficacia dellasua azione in termini di benessere edi sviluppo economico. Pragmatico e realista, Epstein bollacome utopico l’obiettivo di una so-cietà senza governo, mentre consi-dera primario quello di una societàcon meno governo. L’insistenza sul-l’autonomia della persona e sul pre-dominio della proprietà privata suquella collettiva “non è un tentativoche mira a promuovere comporta-menti avidi o egoistici”; all’opposto èmolto più sensibile a qualsiasi preoc-cupazione comunitarista che non lesoluzioni collettive solitamente sban-dierate. Metafora dell’iper-regolazione (edello Stato onnisciente e onniprevi-dente) è la “Babcock mobile”, dalnome dell’ex-responsabile dell’uffi-cio legale della General MotorsCharles Babcock, che l’aveva co-struita incorporandovi tutti i requi-siti dettati dalla giurisprudenza suidifetti di progettazione. Peccato che,con tutte le sicurezze di cui era for-

di Paolo [email protected]

di Marco [email protected]

FAVOLA DELLE PAROLE

Nella sua provvidenza la mano invi-sibile del mercato non ha mancatodi onorare e sviluppare l’ora et la-

bora benedettino. Anzi, ha reso piùefficace il motto della regola di SanBenedetto. Non il pregare e il lavo-rare; non prima l’uno e poi l’altro;ma addirittura il secondo solo e sol-tanto attraverso il primo. Il precarioe la precaria possono lavorare solose pregano.Suggerimento alla pittura religiosae sociale in crisi di soggetti: i pre-cari e le precarie sono i nuovi orantiin attesa del responso favorevoledel santo oracolo che intercede o,se ha potere, fa anche qualcosa dipiù. I precari devono pregare persperare di ottenere un lavoro e, so-prattutto – efficacia della provvi-denza e della cura che il mercato haper la fede –, devono continuare apregare per continuare ad averneuno. E se la preghiera non funzionaè perché la mano invisibile dellaprovvidenza deve dare spazio adaltri postulanti della preghiera. Èper avere nuovi fedeli che il mer-cato sacrifica quelli vecchi - loro infondo ce l’hanno ormai la fede esanno come pregare. (Ma quando

perdono o non trovano un lavoro,forse imparano anche a imprecare).Se non l’età dello spirito, come vo-leva Gioacchino da Fiore, questa ècerto l’età della fede. La fede nelchiedere al di là di quello che ci sipuò aspettare (credere di credere),con un ottimismo che gonfia comeuna bolla di sapone ogni preoccu-pazione per il futuro (e la bolla sale,sale, sale…), nel cercare di ottenerecredito prima di sapere quello chesi può fare: tutto nella previsioneche per rendere al massimo devestabilire il meno possibile.Dove c’è così tanta fede, dove siprega di continuo per ottenerequalcosa c’è anche molta incertezzache è infatti il significato più cor-rente di precarietà. Ma la provvi-denza del mercato è davveroinfinita se si pensa che anche perl’incertezza ha stabilito, se non unrimedio, almeno una guida: i padrispirituali delle agenzie di rating chegiudicano l’affidabilità e quanto an-cora dobbiamo pregare per conti-nuare a farlo.

Il dirittodella semplicità

La “lezioneamericana”

di RichardEpstein

Fa impressione il successo che riscuoteoggi Albert Camus, morto 53 anni fanel 1960, Premio Nobel nel 1957, di luisi parla e si scrive oggi come se i suoilibri fossero di stringente attualità. Libriche hanno un felicissimo impatto suilettori, soprattutto giovani, e infattiCamus morì giovane, a 47 anni - eranato nel 1913- e giovane lo era semprestato. Come dimostra il suo romanzopostumo, Il primo uomo, uscito nel1994 e subito tradotto in Italia e cheBompiani ha ristampato l’anno scorsoin edizione economica mentre uscivanelle sale il film di Gianni Amelio. No-nostante fosse, quando fu ritrovato nelbagaglio di Camus nella macchina del-l’editore Gallimard nel mortale inci-dente avvenuto il 2 gennaio 1960, unmanoscritto anzi un brogliaccio incon-dito privo perfino di punteggiatura, ri-sulta oggi uno dei suoi libri migliori.Esso è l’autobiografia romanzata diCamus, la storia delle sue origini.Siamo nell’Algeria dei francesi poveri, ipieds noirs, emigranti più poveri deglialgerini stessi. Tale era la famiglia di

Camus, che non poté conoscere suopadre, morto all’inizio della guerra 14-18. Il bambino viene tirato su dallanonna materna, che secondo il co-stume vigente ha un potere assoluto infamiglia, e da una madre dolcissima chenon ha nessun potere in casa e deve tol-lerare le punizioni corporali che il bam-bino riceve dalla nonna. Il libro ci fatoccare con mano le incredibili depriva-zioni che sono all’origine della vita diCamus. Ma esso ci racconta soprat-tutto- e con straordinaria efficacia- laformazione di un ragazzo che dalla fa-miglia e da un maestro lungimirante eumanissimo che ebbe la fortuna di in-contrare, ha ricevuto la possibilità diabbandonare, a costo di sacrifici duris-simi, la condizione di paria fino a diven-

tare uno dei grandi della letteratura delNovecento. Egli dovette fare tutto da sé,imparare a vivere da sé. E ci ha lasciatoil rimpianto, per la sua morte precoce,di aver perso un intellettuale che forse,nonostante avesse scritto libri come Lostraniero, aveva ancora molto da darealla letteratura.La madre era una donna bellissima eanalfabeta. Il padre, morto appena ini-ziata la guerra, subì il destino atroce diservire la Francia e morire per essa dallaquale non aveva ricevuto niente, es-sendo egli solo “carne da cannone”,nato in una condizione di servitù e chedalla Francia di cui non sapeva nullaebbe solo l’ordine di andare a moriresulla Marna. Albert adulto- così comin-cia il romanzo- va a visitare la tomba

Il primouomo

L’ultimoCamus

CCUO

.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.15SCENA&RETROSCENA

di Sara [email protected]

20anni di Fabbrica Europa“non invano passati, de-dicati a raccogliere ciòche di più forte e origi-

nale respirava sulla scena internazionalee condividerlo”, recita il programma.Torna il festival delle arti contempora-nee di Firenze, dal 16 aprile al 19 giu-gno, cambiando faccia e lasciando il suonido abituale, ovvero la Stazione Leo-polda di Firenze, per diffondersi in tuttala città. Dal teatro di Peter Brook e LucaRonconi, alle riflessioni sull’architetturadell’archistar milanese MassimilianoFuksas, un programma che si dilatanello spazio e nel tempo, in teatri e spaziche da Firenze si estendono in parte alterritorio toscano (il Teatro Era di Pon-tedera, il Teatro Cantiere Florida,CanGo Cantieri Goldonetta, la Sta-zione Leopolda, il Teatro della Pergola,l’Istituto Francese, il Rondò di Bacco, lospazio OMA – Officina MovimentoArte). Ad aprire la kermesse sarà la rap-presentazione di Brook, Un flauto ma-gico, ispirato a Mozart, che andrà inscena al teatro Era di Pontedera il 16 eil 17 aprile; lo studio su Pirandello Incerca d’autore, di Luca Ronconi, sarà in-vece sul palco della Stazione Leopoldadal 3 al 5 di maggio. Sempre alla Leo-polda, il 9, si terrà la conferenza di Fuk-sas intitolata One day, one project. Spazio,

di Leandro [email protected]

LETTERE&LETTERATI

tra le varie arti rappresentate nel festival,anche alla danza, con l’allestimento diVirgilio Sieni delle Sonate Bach - difronte al dolore degli altri, 11 coreografieispirate da altrettanti momenti tragici ed

e m b l e m a t i c idella recentestoria (Sarajevo,Kigali, Srebre-nica, Tel Aviv,Jenin, Baghdad,Istanbul, Beslan,Gaza, Bentalha,Kabul). E poiTakahiro Fujitae Chiharu Shi-noda dal Giap-pone, PanaibraGabriel Canda

dal Mozam-bico, Bou-c h r aO u i z g u e ndal Marocco,S i o n e d

Huws dal Galles, Eszter Salamon daUngheria/Francia, il canadese BenoitLachambre e il tedesco Egbert Mittel-stadt. L’idea del 20° Fabbrica Europa èinsomma un adeguamento agli scenarieuropei, che cambiando e diramandosiportano in noi la necessità di una nuovafisionomia e di nuovi incroci tra arti epensiero. Perché abbiamo bisogno diuna pausa che ci rigeneri, prima di ve-leggiare verso nuovi lidi .

militare in cui è sepolto il padre, quelpadre morto giovane in un’età inferiorea quella in cui il figlio si mette alla suaricerca. “Lui di anni ne aveva quaranta.L’uomo che giaceva sepolto sottoquella pietra, e che era stato suo padre,era più giovane di lui…era una cosafuori dell’ordine naturale, e in effettinon poteva esserci ordine, ma solo fol-lia e caos, dove il figlio era più vecchiodel padre”. (pagina 30).L’intelligente maestro Bernard ha evi-tato a Camus di abbandonare la scuolae di lavorare fin da ragazzo come sa-rebbe stato suo naturale destino. Quelmaestro si era preso a cuore l’avveniredi Albert ed era pieno di ammirazioneper sua madre. “La tua mamma èquanto di meglio ci sia al mondo” erasolito dirgli. Da questo romanzo Gianni Amelio hatratto nel 2012 un film dallo stesso ti-tolo. Ha scritto un finale per un’operache non l’aveva compiendo un’opera-zione quanto mai felice. L’autore de Illadro di bambini era sicuramente il regi-sta più idoneo, per la sensibilità da sem-pre dimostrata nell’interpretare i traumidell’infanzia, a portare sullo schermoquesto romanzo bello e sconvolgente.

Benoit Lachambre, Snakeskin. Foto di Christine Rose Divito

VersonuovilidiTornaFabbrica Europa

ICON

La Galleria Il Ponte di Firenze presentail lavoro di due giovani artisti trentenni:Aleksandra Zurczak e Francesco Chiac-chio, attraverso un nucleo di loro operelegate dal filo rosso del segno come rac-conto. Entrambi lavorano su carta attra-verso il fondamentale uso del bianco enero e sono legati dalla passione per illibro “illustrato”.Nel procedere forte e inciso della fusag-gine di Aleksandra Zurczak, matassedense e intricate si organizzano a defi-nire forme che rimandano a elementinaturali. Il loro apparire quasi contrastae si contrappone alla densità di un mate-riale segnico che, travalicando la bidi-mensionalità, talvolta trova spazio informe scultoree: elementi esterni che in-teragiscono con la superficie. Nelle immagini che prendono forma esi stagliano su fondali di carte vissute –recuperate da una loro precedente esi-stenza – si delineano i “personaggi” diFrancesco Chiacchio. Legati al ritmo:musica, movimento, suono; grandi sil-houette nere, marcate dai grumi di pa-stello a olio, vi affiorano, emergendodalla nostalgia di un lontano passato.Zurczak nasce a Konin, Polonia, nel1983. Si cimenta nella grafica, nella scul-tura, nel disegno, nella pittura e in formedi installazioni originali che ci portanoin un altro mondo alla ricerca della veradimensione della libertà. Diplomata inarti grafiche all’Accademia di Belle Artidi Poznan (Polonia), nel 2007 svolgeuno stage presso la University of Ten-nessee a Knoxville (USA) praticandografica e pittura. L’anno successivo vinceuna borsa di studio in Ungheria in colla-borazione con l’Accademia di Belle Artidi Budapest e nel 2009 ottiene unaborsa di studio per accedere al bienniospecialistico di pittura e scultura all’Ac-cademia di Belle arti di Firenze, città

Zurczak e Chiacchio: il segno come

raccontodove vive attualmente. Tra le mostrepersonali in Italia e all’estero si segna-lano Passaggio, Galleria Il Ponte, Firenze(2010); Bastione, Galleria Lamelli, Cra-covia (2009); C’era una montagna, Gal-leria MAMU, Budapest (2008); Centrodi gravità, Galleria Enter, Poznan(2007); Comunità?, Galleria Fluore-scent, Knoxville – USA (2006).Francesco Chiacchio nasce a Fiesole nel1981, vive e lavora a Firenze. La suaopera va dal collage al disegno. Illustralibri - segnaliamo Germinal, di EmileZola, Eli Readers (2013); Rimosauri, diChicco Gallus, Motta Junior (2011);Dall’Atlante agli Appennini, di MartaAttanasio, Orecchio Acerbo (2008); 90secondi all’inferno - storie jazz, di Mas-simo Basile, Gianluca Monastra, VanniEditore (2007) - dischi e disegna fu-metti. Dal 2010 al 2012 illustra le pagineculturali del quotidiano nazionale LaRepubblica. Nel 2009 realizza lavori peril progetto multimediale “X, Suite perMalcom”, composto dal sassofonistaFrancesco Bearzatti per il suo quartetto“Tinissima”, eseguito in Europa e negliStati Uniti. Riguardo le installazionimultimediali, segnaliamo il lavoro per leproiezioni live nelle collaborazioni conValentino Griscioli e Antonio Vanni perMonk’n’roll, composto da FrancescoBearzatti per il quartetto Tinissima.Riguardo le mostre, segnaliamo la suapresenza alla Fiera di arte moderna econtemporanea Armory Show di NewYork (2013); Il segno come racconto,Galleria Il Ponte, Firenze (2013); Suitefor Malcom, Palazzo Martinengo, Son-drio (2011); Suite for Malcom, Audito-rium Parco della Musica, Rome, eFuturo Anteriore, Castel Sant’Elmo, Na-poli (2010).

a cura di Aldo [email protected]

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.16IN CIELO&IN TERRA

di Marco [email protected]

Fede religiosa, educazione e poli-tica in Lorenzo Milani ed Erne-sto Balducci si sono intrecciatedando vita a itinerari che ancora

oggi suscitano ammirazione e contra-sti,  ispirano progetti e dunque sonoancora memoria viva. Meno nota è lascaturigine artistica dei loro percorsiche ha in modo non secondario con-tribuito a quello che avrebbero por-tato avanti negli anni successivisoprattutto a Firenze. Poesia e pitturain modo particolare e la riflessione re-ligiosa che in queste arti si è espressahanno caratterizzato un momentocruciale delle loro esistenze iscritte inuna fase di passaggio della storia ita-liana che si avviava alla fine diun’epoca e si apriva, con il dopo-guerra, non soltanto al superamentodel fascismo, ma anche a quello che èstato definito come un vero e propriocambiamento antropologico della so-cietà.Una mostra documentaria intitolata Ilprologo di un tempo nuovo e organiz-zata dalla Fondazione Ernesto Bal-ducci e dal Gabinetto ScientificoLetterario G. P. Vieusseux (pressol’Archivio Contemporaneo A. Bon-santi, via Maggio 42 a Firenze, fino al24 aprile 2013) giunge ora ad illumi-nare quel momento di cambiamentoche per Milani e Balducci comportaanche la decisione di interrompere e,in un certo senso, di far confluire piùdirettamene le energie profuse nel-l’arte e nella poesia nella confessionedi fede e nelle attività sociali in cui siimpegneranno per la loro vocazione.Tale scelta non vorrà dire affatto cheMilani e Balducci smetteranno di farsentire la loro presenza intellettualecome testimoniano il loro scritti e, inmodo particolare, la grande atten-zione per  Lettera a unaprofessoressa della scuola di Barbiana.  Non si interrompe invece l’itinerarioartistico e poetico del terzo ospitedella mostra con dipinti, disegni epoesie e cioè Michele Ranchetti le-gato agli altri due sia da rapporti di co-noscenza personale sia dallaprovenienza da un analogo contestodi fede e interrogazione religiosa chenon si risolve, nel caso di Ranchetti,nella vocazione sacerdotale. In Ran-chetti, il prologo artistico e poetico sisvilupperà in un percorso intellettualemolto ricco e variegato di esperienzeche lo porteranno all’insegnamentodella storia della chiesa a Firenze, aconfrontare il cristianesimo con altrediscipline, prime fra tutte la psicoana-lisi, con la filosofia di Wittgenstein eBenjamin, con la traduzione di PaulCelan e Rainer Maria Rilke e soprat-tutto a continuare con la grafica e l’il-lustrazione oltre che con la tardapubblicazione di raccolte di poesie(La mente musicale, Verbale, Poesie ul-time e prime) tra le più importantidella fine del secolo scorso e l’inizio diquello odierno.Al di là dei documenti (dipinti, dise-

Il prologo di un tempo nuovo

gni, autografi, libri, fotografie, filmati,oggetti), la mostra ha il merito di re-stituirci una componente importantedella vita intellettuale e religiosa del-l’Italia attraverso tre figure la cui ere-dità, benché in alcuni casi in modocarsico, opera ancora nella culturanon soltanto religiosa del nostropaese.

Don Milani,Ernesto Balducci

e MicheleRanchettiin mostra

Aleksandra Zurczak, antonimo2bSotto Francesco Chiacchio Contrab-bassista

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.17ALTRI MONDI

Enduring Freedom. Appare cosìparadossale, quasi scabroso, ilnome della prima fase dell’ope-razione di guerra lanciata dagli

Stati Uniti contro l’Afghanistan unmese dopo gli attacchi dell’11 settem-bre 2001. Di libertà in Afganistan nonse ne conosce il profumo inesorabil-mente sopraffatto da bombe, mine,lanci di missili, il ronzio minacciosodei droni. Il numero dei morti delconflitto, che ormai dura da dodicianni, è alto, tra le dieci e le ventimila,civili e soldati. A gennaio di que-st’anno, le vittime delle forze armatealleate erano oltre le tremila unità: ditutte le nazionalità presenti sul terri-torio gli italiani hanno registrato 52perdite. Il silenzio mediatico sembraessere calato su queste aree, l’Iraq ap-partiene ormai a un ricordo lontano,l’AFghanistan ogni tanto rientra neiquotidiani a forza con stragi e atten-tati. Un conflitto che dopo tutto que-sto tempo non vuole rassegnarsi aconsegnare alla storia un perdente.Dei perdenti di questo conflitto, di si-curo, ci sono però: gli afgani che nonpossono immaginarsi una vita di ga-ranzie e sicurezze ne politiche ne eco-nomiche. “La società civile rimanel’unica vittima di questo conflitto” cidice così Najeb Khaja, giornalista da-nese di origine afgana, freelance e re-gista, nel presentare il suo potentedocumentario a Kabul di fronte alleorganizzazioni non governative cheancora operano lì (My Afghanistan, lifein a forbidden zone). Najeb Khaja vo-leva fare un documentario in cui nonfossero giornalisti embedded a rac-contare la vita quotidiana dei soldatialleati ma degli afghani e farlo, in unadelle regioni che non ha mai vistopace in questi ultimi dodici anni: Hel-mand ombelico mondiale della pro-duzione di oppio, la cui capitale ha unnome legato alla guerra dato che La-shkar Gha significa “caserme”. Il docu-mentario nascegrazie ai cellulari,strumenti quotidiani che non desta-vano sospetti e che hanno trasformatoun quarantenne, una vedova, una ra-gazzina di quindici anni, un medicoprofugo, un giovane studente cora-nico in testimoni diretti del conflitto.Najeb Khaja ha iniziato a occuparsi diAfghanistan, professionalmente, tardi,dal 2004 e da allora e diventato pianopiano sempre più interessato al futurodella popolazione del luogo tanto dadiventare un attivista noto nel suopaese d’origine: la Danimarca.“Quello che ho capito in questi anniè: non c’è un solo Afghanistan eognuno ha velocità diverse. C’è un Af-ghanistan più aperto che sta al Nord,uno più chiuso che sta a sud. Dallecittà alle campagne tutto cambia.Quello che non cambia è l’incredibiledisturbo da stress postraumatico incui è immersa la popolazione civileche non si può nemmeno più definireesausta delle bombe, degli attacchi,degli spari, della mancanza di lavoro,

di Isabella Mancinisoloconlamiatesta.wordpress.com

La guerra infinitaIntervista con il giornalistadanese Najeb Khaja sul futurodell’Afghanistan

delle minacce.” A Najeb Khaja ab-biamo chiesto che futuro avrà l’Afgha-nistan secondo lui al momento in cuile truppe dell’ISAF si ritireranno. “Lasituazione attuale è drammatica. Nontanto attorno a Kabul ma le forze go-vernative non sono in grado di con-trollare il territorio. La mappa che neviene fuori è assolutamente a macchiadi leopardo lasciando così tanti spaziaperti per la guerriglia da renderel’idea di uno stato di diritto talmenteastratta che la fisica quantistica al con-fronto è pragmatismo puro. Quelloche so è che la strada scelta fino ad oraè folle. Si continua a non capire che italebani altro non sono che una partedella popolazione, armata, e determi-nata a liberare il paese dall’occupa-zione, che non sono una minoranzama sono una maggioranza fluida.Anche se quello che pensano non cipiace sono una parte con cui ci si deveconfrontare. Non c’è un’alternativa auna escalation di violenza che porteraa una nuova guerra civile – dice an-cora Khaja- a meno che non si inizi acoinvolgere da ora gli afgani nell’ela-borazione di un tavolo di dialogo. Gliafgani sono persone molto testardema anche molto pragmatiche e sonoabituate a confrontarsi anche con chila pensa profondamente in modo di-verso. Se i paesi della coalizione nonsi decideranno a scegliere realmente iltavolo del confronto e del dialogo lastrada verso la guerra civile è segnata.”Ma ci sono alternative sul campo?“C’è una crescente società civile, unafitta rete di intellettuali, associazioni efermento culturale in questo paese fra-stornato: si devono trovare gli interlo-cutori per il dialogo in questa fasciadella società. Gli stranieri hannoormai perso la faccia e sono poco cre-dibili ma si possono trovare dialoga-tori afgani efficaci e bravi: qui sta lachiave di volta del futuro del paese”.Info sul My Afghanistan dal sito webhttp://myafghanistan.dk

Willow Glen, San Jose 1972

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.com sabato 13 aprile 2013no25 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

Una tranquilla zona re-sidenziale di San Jose,California. L’inquadra-tura mostra l’accessoalla casa di famiglia dimia moglie AnnaMarie. Il padre, Domi-nic Speno, classe 1905,era figlio di emigrati ca-labresi giunti negli StatiUniti alla fine dell’800.La famiglia si era poitrasferita dal Missouriin California negli anniventi del ‘900. Dotatodi un’intelligenza e diun’umanità decisa-mente fuori dal co-mune ha portato avantiper anni un’attività bellae non facile, quella del“farmer”. Proprietario diun frutteto nella SanJoaquim Valley e rima-sto vedovo con un figliosi è poi risposato conun’altra giovane cala-brese. Dal nuovo matri-monio sono nati miamoglie e suo fratello.L’auto parcheggiata difronte alla casa era lasua preferita, una “Che-velle”, non moltogrande per gli standardamericani e anche piut-tosto giù di carrozzeria.Io me ne sono comun-que invaghito perché,abituato com’ero alleFiat 500, questa misembrava un’astronavee mi facevadavvero pro-vare dei brividicon tutta la suapotenza. Avevain dotazioneanche il cam-bio automatico,lo stereo e ilmangianastri. Echi le aveva maiviste queste cosesulla 500?

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