anarchismo 34

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  • ANARCHISMO anno VII- n 34- 1981 Direttore responsabi1e: Alfredo M. Bonanno Redattore responsabile: Franco Lombardi Redazione e amministrazione: FRANCO LOMBARD! -C.P. 33-47100 FORL- Tel. (0543) 26273 Una copia L. 1.000 - Abbonamento annuo ordinario L. 10.000 - Abbona-mento sostenitore L. 20.000- Estero ordinario L. 15.000- Estero per via ae-rea L. 20.000 - L'abbonamento puo decorrere da qualsiasi numero. Arretrati L. 1.500.

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    Reg. Trib. di Catania n 434 del 14. I.I 975 -A ut. PP.TT. di Massa n 08860/GG del 15.1!.80-Sped. in abb. post. gruppo 111/70%. Stampato presso La Cooperativa Tipolitografica a.r.l.)), via S. Piero 13/a, Carrara.

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    D. Tarantini-Redazione Collettivo Autonomo Kampo di Trani Stormo prigioniero Jonathan Livingstone A.M. Bonanno T Bignami

    Uncompagno P.P. Goegan Collettivo comunista di S. Vittore P.L. Porcu M. Maraschi * * *

    Rivoluzione, propaganda e altre cosette Contributo alla discussione

    Comunicato dello stormo prigioniero Jonathan Livingstone del kampo di Trani Chiese, idoli e tab Lettera aperta del pariigiano Torquato Bignami ai giudici Dai carcere militare di Forte Boccea Berlino pre sa a sassate I comunisti non sono grane/li di po/vere ...

    Ancora su stato e terrorismo Sul dibattito in corso Libert immediata per Franco Malan ga

    In questo numero non pubblichiamo il bilancio, poich, ancora una volta per motivi tecnici, non siamo in grado di fornire le cifre esatte. Siamo comunque in grado di dirvi che, a grandi linee, il deficit rimane quello pubblicato sul numero precedente, forse con un lievissimo miglie>-,1.men-to, che non fa comunque testo. In effetti, durante questo mese i eumpa-gni distributori hanno pagato le copie ricevute con maggior regolarit e questo lascerebbe ben sperare peril futuro (a parte quei pochi incam-ti che continuano a non pagare ... ). Ma non bisogna dimenticare ciK .r- mai sta per finire il periodo di inizio anno, nel quale gli abbonamenti sono particolarmente numerosi e dunque I'unica possibilit che abbiamo di non finire troppo sott'acqua si basa sulla regolarit con cui gruppi, compagni e librerie ci faranno pervenire il ricavato delle copie distribui-te. Senza dimenticare, ovviamente, che sempre aperta una sottoscri-zione ..

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    D. Tarantini- Redazione

    rivoluzione, propaganda e altre cosette

    I dibattiti, le conferenze e soprat-tutto gli interventi sono cose che non arno, e cerco di starmene lonta-no. Non li arno perch non riesco a liberarmi del fastidio, anche fisico, che mi d il parlamentarismo>>, vale a dire quella giostra che fatalmente riesce a travolgere perfino chi vi s'av-venturi con misura e consapevolezza. Questa la ragione che mi fa amare il silenzio, cio la non partecipazione al gioco delle parole. Accade talora, pero, che la non partecipazione, il si-lenzio, ti mette in uno stato d'incer-tezza, di dubbio. A che vale - mi do-mando talvolta - leggere e sottrarsi caparbiamente all'invito a un dibatti-to? Questo mi accade quando il di-battito su contenuti concreti, e vie-ne promosso da compagni ai quali non si puo disconoscere chiarezza di propositi e sincerit, in una parola se-riet. Ora, Anarchismo , senza dub-bio, a mio parere, il periodico pi coerente, chiaro e fermo nei suoi pro-positi che sia mai apparso nell'area anarchica negli ultimi trentacinque anni, dall'avvento del regime demo-cratico ad oggi. Questo mio giudizio non riguarda i terni - o il tema - che Anarchismo ha privilegiato. Riguar-da il rigore, la decisione, il taglio, che ha caratterizzato il suo discorso poli-tico fin dai suo primo numero; un ri-gore, una decisione, un taglio che non gli sono venuti mai meno. Se qualcu-no, un giorno, traccer il profilo della pubblicistica anarchica italiana del nostro tempo, tutto potr dire di Anarchismo; ma non potr discono-scere i tratti fondamentali della sua fisionomia. Che sono quelli che ho appena rilevati.

    Ora, come tacere, se i compagni della redazione di questo periodico invitano ad un proficuo dibattito su questioni essenziali, anzi tragica-mente essenziali, del giorno che tutti stiamo vivendo? Io non so se le picco-le cose che vorrei dire potranno dare un contributo proficuo alla discus-sione. So che queste picco le cose sono concrete. Susciteranno disappunto tra i compagni della redazione? Su-

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    sciteranno qualche dubbio in chi vor-r leggerle? Forse. Anzi, me Jo au-guro. A che serve, infatti, un inter-vento, se non a gettare il dubbio in chi legge? Non il dubbio per il dub-bio, cosa meschina (oltre che sterile). Ma il dubbio capace di suscitar rea-zioni, quindi partecipazione, quindi vita. Nascita e circolazione di idee. Del resto, nessuno ha verit rivelate da smerciare.

    Scrive la redazione di Anarchismo (n. 31, pag. 3) che stiamo assistendo ad un tentativo di restaurazione poli-tica e sociale, guidato dai sehQri che potremmo definire tradiziona!Nella classe dominante, il grande padrona-to e le forze politiche di centro, il re-legamento del Partito Comunista al ruolo di opposizione.

    A me sembra che questo giudizio sia fondamentalmente errato. Non sta accadendo nulla di questo genere. Sta accadendo, invece, l'opposto: continua la valorizzazione - mai in-terrotta - del ruolo dirigente del par-tito comunista nel nostro paese. Il

    dibattito

    picci indispensabile al potere - alla borghesia del capitale. Esso fa parte a pieno titolo della classe politica che gestisce gli interessi del capitale, mul-tinazionale e nostrano. Il picci non all'opposizione: al potere. Possibile che si debba ripetere questo (non sono il solo che Jo va scrivendo, da anni), ancora oggi? Possibile che certi compagni, tutt'altro che disattenti, non colgano cio che avviene sotto i nostri occhi in Italia? Ma non vedete Jo spazio che il Corriere della Sera -il massimo organo della propaganda bellica della borghesia - d al partito di Gramsci e di Togliatti? Non ve-dete come sono aperte agli intellet-tuali del picci le pagine dei giornali e dei periodici che la borghesia del ca-pitale nutre e mantiene? E perch mai la borghesia darebbe nei suoi giornali spazio al picci e collabora-zione ai suoi intellettuali e a quelli che gli sono vicini? Una collaborazio-ne ben retribuita, si capisce. (Leonar-do Sciascia - che da pi parti viene ritenuto, chiss perch, il maggior

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    scrittore vivente del nostro paese -non s' vergognato, proprio in questi giorni, di rivelare pubblicamente che i giornali ai quali collabora Jo pagano all'eccesso.) Ma i giornali non ba-stano. E' forse un segreto la nutrita presenza di giornalisti e intellettuali del picci in quella mostruosa macchi-na di propaganda ch' la radiotelevi-sione italiana? Ora, a chi appartiene codesto mostro, se non alla classe che ci domina? E se appartiene a codesta classe, com' possibile ch'essa accol-ga oppositori, vale a dire professio-nisti dell'informazione e intellettuali del picci? Da quando in qua un nemi-co, o semplicemente un avversario, offre a chi contro di lui la possibili-t d'utilizzare i suoi organi d'infor-mazione, cio di propaganda politica e di guerra? In verit, la situazione italiana tale, oggi, che il fatto che il picci non fa parte del governo una pura formalit: la cosa vera, inconte-stabile, che il picci non fuori della gestione del potere al servizio della borghesia del capitale. La sua opposi-zione una pura finzione, un gioco delle parti, teso alla sua naturale con-clusione: l'ingresso ne! governo uffi-ciale. Tutti Jo sanno. Ma se Jo fa in-tendere perfino la Civilt Cattolica -la rivista dei gesuiti, ch' il termome-tro che da un secolo segna la tempe-ratura del corpo sociale e politico del paese? E' vero, il picci dice ch' fuori del potere. Ma siccome Jo dice il pic-ci, dobbiamo dirlo anche noi? La ve-rit che non c' opposizione nel

    ' parlamento italiano al disegno della classe dominante. Ci sono i fascisti, certo, ma la !oro un'opposizione anticomunista, l'offerta del ricam-bio della dittatura formale e sostan-ziale alla dittatura democratica. L'opposizione, quella vera, fuori delle aule di Montecitorio e del Sena-to.

    Considerazioni analoghe vanno fatte per quello che Anarchismo chia-ma tentativo di restaurazione politi-ca e sociale, che la borghesia stareb-be operando. Questa restaurazione stata pienamente operata dai capita-le, e non da ieri: risale al 1944, con la definitiva scelta della collaborazione con la borghesia da parte del picci. Il resto non che altalena, va e vieni picci-diccl.

    La classe dominante - leggo ancora in Anarchismo - sul fronte sociale tende a consolidare i meccanismi di dominio e di controllo sull'antagoni-smo proletario, sottoponendo tutto il territorio ad una crescente militarizr zazione e, ne! contempo, acquisendo un potere sempre pi reale sul mec-canismo di produzione - distribuzio-ne - consumo. Mi piacerebbe sapere se c' mai stato, e quando, un mo-mento in cui la borghesia del capitale ha avuto un potere meno reale sul meccanismo di produzione - distribu-

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    zione - consumo. Codesto potere stato, sem pre pi reale>>, non ha mai lasciato spazio, neppure minimo, al controllo del proletariato. In quanto, poi, alla militarizzazione, essa crescente solo per il fatto ch' pi vistosa e grossolana. Oppure dobbia-mo dimenticare le gesta della polizia e dei carabinieri durante le lotte con-tadine del dopoguerra, con le auto-blindo, le mitragliatrici, e tutto il re-sto? Dobbiamo dimenticare le citt industriali assediate dalle forze mili-tari, le sparatorie ad altezza d'uomo, e i morti? In realt, il paese stato, ed , sempre militarizzato. Non c' stato, prima, un generale Dalla Chie-sa - tutto qui. Ma le ragioni della sua invenzione le conosciamo tutti.

    E che cosa significa pretese di do-minazione sempre pi totalizzante? Il dominio della borghesia pieno, totale, e, appunto, totalizzante. Non , quindi, una pretesa: una realt. La borghesia del capitale eser-cita il suo potere con grande capacit, una capacit che le viene dall'espe-rienza e dalla cul tura.

    E quale mai storico fiasco sareb-be quello della scalata alla cogestio-ne del potere da parte del picci e dei sindacati? Che cos'altro significa por-tare dieci milioni di voti proletari (operai e contadini, e impiegati) dove li porta il picci, e l'assenso di milioni di lavoratori (operai) al padronato sotto la guida dei sindacati? Che co-s'altro, se non cogestire il potere? Certo, non tutto il potere, perch una parte, il nucleo centrale che garanti-sce la continuit del dominio, la bor-ghesia se lo gestisce da s, diretta-mente. Tutto cio che puo fare, il ca-pitale lo sta facendo. Anche questo va chiarito una volta per sempre. Com-pito nostro non ripetere cio che altri vanno dicendo. Compito nostro de-mistificare cio che demistificare si deve. Del resto, voi stessi scrivete -sempre nell'articolo succitato - che picci e sindacati sono ormai parti integranti dell'apparato dello stato e invischiati sino al collo nella melma rivoltante della politica antiproleta-ria.

    Ma veniamo ad un altro tema, la militanza rivoluzionaria.

    Voi dite che la militanza rivolu-zionaria non puo in nessun caso assu-mere l'aspetto di un fatto episodico e separato, ma deve escludere ogni aspetto di alienazione e di divisione all'interno dei soggtti che la scelgo-no, investendo per !oro la totalit del-la propria esistenza quotidiana. Francamente, questo discorso mi sconcerta. Dunque, siamo alla rivo-luzione come professione, come me-stiere? Se siamo a questo, siffatta pro-fessione mi lascia freddo, anzi mi fa paura. La rivoluzione come mestiere si sa dove comincia e, per fortuna, si sa anche dove finisce. Da parte mia,

    anarchismo

    cio che cerco non la rivoluzione per la rivoluzione, ma la rivoluzione ne! suo farsi, continuo. Con tutto cio che comporta, e in primo luogo il contat-to con gli altri. Il rivoluzionario di mestiere non puo stare in mezzo agli altri. E' fatalmente un estraneo. Non un portatore di idee, un trascinatore alla lotta: un freddo operatore della rivoluzione. Un rivoluzionario di questo genere corre un rischio gravis-simo, il pi grave, a mio parere: quel-Jo del suo totale (e totalizzante) smarrimento fuori dell'anarchia. E, giacch ci siamo, vorrei dire che per me l'anarchia non la fine di cio che voi chiamate categorie astratte (la vita personale e la vita politica>>) destinate sin da oggi a sparire dai mondo del reale. Una delle due , si, destinata a sparire: la politica, o vita politica, come la chiamate. Perch qui l'imbroglio, la politica stru-mento di dominio e di morte. La vita personale no, la vita personale de-stinata a trionfare, e il suo trionfo, autentico e vero, non potr aversi che nell'anarchia. Nell'anarchia, una so-ciet in cui la guerra non avr inter-ruzione. Non ci sar pace nella socie-t anarchica, perch la pace morte, la fine dell'individuo. Ma la lotta, l'antagonismo -la guerra -, sar pos-sibile e vivibile non come militanza rivoluzionaria, bensi come vita per-sonale. D'accordo, bisogna arrivare ad essere la negazione continua del-l'esistente, e quindi sovversivi. Ma tra l'essere sovversivi e l'essere mili-tanti di mestiere, c' un abisso. Cio che rifiuto, non altro che cio che voi chiamate totalit rivoluzionaria (Anarchismo, n. 32, genn. 1981). A me il totalitarismo fa paura. Non solo, o non tanto, per quello che con-tiene, ma per la carica di contenuto che chi usa codesta parola le mette dentro. Io rifiuto di dare la totalit di me stesso alla totalit rivoluzio-naria. Io non voglio distruggere me stesso per la rivoluzione, per code-sta totalit rivoluzionaria. Io vo-glio vivere ne/la rivoluzione, non per la rivoluzione. Proprio perch sono, e voglio rimanere quello che voi chia-mate (da Stirner) l'io proprietario. Il mio io proprietario non vuol combattere fino all'ultima goccia di ,;mgue. Il mio io proprietario vuoi vivere, cerca la vita, non la mor-te. Il fatto, poi, che la vita consape-volezza e scelta, questo gli d ancor pi desiderio di viverla. Sotto ogni aspe! o. In tutti i suoi contenuti, rivo-luzione compresa. Non lo spirito bottegaio di cui scrivete, non il sogno feroce della distruzione dei mondi. Io non voglio distruggere nessun mondo. Io voglio contribuire a costruire nuove condizioni di vita. Un nuovo mondo, se vi piace dire cosi. Ma voglio farlo per me stesso. Cio a cui non sono disposto, al sa-

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    crificio di me stesso. Io non ho la vo-cazione al martirio. Martirio e marti-ri li lascio al cristianesimo. alla chie-sa cattolica, e a tutte le altre chiese. Martirio e martiri sono un fenomeno religioso. E la dimensione religiosa non fa parte dei miei pensieri, della rnia vita personale. Per questo, se qualcosa ho mai dato, sia pure solo parole, l'ho dato innanzitutto e so-prattutto, anzi soltanto, per me stes-so. Che poi altri possano a ver trovato qualcosa in cio che posso aver dato, bene- questo mi d gioia. Sono un ri-voluzionario ne! vero senso della parola)), come voi dite? Non me ne importa nulla. A parte il fatto, che bi-sognerebbe vedere che cos' mai un rivoluzionario del genere.

    Siamo grati al compagno Tarantini per il suo intervento ne! merito del dibattito da noi proposto. Gli siamo grati (ovviamente) non tanto per gli elogi che egli fa al lavoro che abbia-

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    mo fin qui svolto con questa rivista, che quelli anzi li pubblichiamo con un certo imbarazzo, ma piuttosto perch ci fomisce l'occasione percer-care di sottrarci a un rischio che sempre presente quando il rapporto con altri compagni costretto a pas-sare per la mediazione della carta stampata.

    Parliamo del rischio che certe po-sizioni di fondO)), magari scritte e ri-scritte, lette e rilette, oppure sempli-cemente immaginate, vengano date per definitivamente acquisite da en-trambe le parti (di chi scrive e di chi legge), cosi che ci si accontenta di rammentarle appena, o addirittura si tralascia di ripeterle, convinti che or-mai sia cosa superflua. E invece si sbaglia, come evidentemente ci siamo sbagliati noi, convinti di aver esposto ormai con sufficiente chiarezza certe cose, ed anche, probabilmente, il compagno Tarantini (o tanti al posto suo), sicuro di aver capito esattamen-te cosa intendavamo dire.

    L'impressione di un equivoco di questo tipo ci ha colti pi volte, esa-minando le obiezioni da lui mosse a certe nostre atfermazioni e siamo dunque ben lieti di poter avere l'oc-casione per chiarire ulteriormente quelle affermazioni. Per di pi, i suoi spunti critici ci consentono anche di soffermarci almeno un poco su certi problemi di ti po, per cosi dire, perso-nale, che troppo spesso vengono tra-lasciati, di fronte all'apparente pre-ponderanza dell'analisi sociale, men-tre invece ogni nostro intervento avrebbe ben poco senso se non partis-se da un'attenta considerazione pro-prio di quanto ci riguarda individual-mente e pi direttamente. Si tratta di questioni che anche su Anarchi-smm) sono quasi sempre rimaste tra le righe di quanto veniva detto, facen-do capolino qua e l solo di sfuggita e rischiando dunque di venire ignorate o fraintese.

    Cercheremo dunque di spiegare meglio il nostro modo di vedere, prendendo in considerazione gli spunti critici che il compagno Taran-tini ci fomisce, con lo stesso ordine ne! quale egli li elenca.

    La prima questione affrontata ci pare essere quella dell'attuale ruolo del PCI ne! gioco politico del potere e in questo caso, tanto per smentire su-bito quanto appena detto, pi che di un equivoco ci pare si possa trattare di una diversa metodologia seguita ne! fomire un supporto analitico al nostro intervento.

    Noi crediamo che non ci si debba mai innamorare a tai punto delle proprie tesi da sposarle, perch guar-diamo con poca simpatia qualsiasi rapporto che dovrebbe durare finch morte non sopravvengiD), anche se si tratta solo di un rapporto intellettua-

    dibattito

    le. Per essere pi espliciti, diremo che noi non abbiamo pensato di negare che il PCI (e il sindacato, ovviamen-te) facciano parte a pieno titolo del-l'apparato di dominio, che i suoi uo-mini abbiano occupato numerosi po-sti chiave di questo apparato e che una parte notevole delle speranze di perfezionare tale apparato siano ripo-ste proprio ne! ruolo che vi potranno giocare i sedicenti rappresentanti dei lavoratori)). Cosi come non ci sia-mo mai sognati di dimenticare che lo stato e il potere sono sempre e co-munque militaristi, reazionari e anti-proletari. Il fatto pero che la co-scienza di questa parte di realt non ci basta, il fatto che vogliamo spin-gere pi nel concreto e ne! contingen-te la nostra analisi, perch se ben poco di nuovo c' da scoprire o da di-scutere sullo scenario generale in cui si gioca la lotta tra r.voluzione e rea-zione, ben maggiore attenzione e ca-pacit critica (e a volte, magari, auto-critica ... ) necessaria per saper co-gliere l'evoluzione dell'intreccio di questa lotta e i frequenti scambi di ruoli che vi avvengono, da una parte e dall'altra.

    Per questo limitarci a ripetere le analisi e i discorsi fatti anche solo 3 o 4 anni fa ci sembrerebbe una facile sciocchezza, perch ne! frattempo sono successe non poche cose e se la classe dominante ha un'abilit inne-gabile proprio quella di sapersi ade-guare molto pi velocemente dei suoi nemici rivoluzionari ai repentini cambiamenti della situazione sociale.

    Riaffermiamo dunque che, secon-do noi, qualunque sia il numero di deputati che fa sedere in parlamento o di mezzibusti che fa parlare in TV, il PCI attualmente relegato ad un ruolo di comprimario, di spalla di al-tri settori della borghesia e questo proprio in virt dello storico fiasco che tutta l'ala riformista ha conosciu-to nel 77178, quando ha dimostrato che le sue pretese di controllo politi-co egemonico sul proletariato italia-no non erano altro che un misero bluff. E' ovvio (e qui il compagno Ta-rantini ci permetta di pensare che in questo caso la sua citazione fosse fat-ta solo per comodit di polemica ... ) che l'opposizione che attualmente il PCI gioca non ha un bel niente a che vedere con l'opposizione reale ai pia-ni della borghesia, ris petto ai quali, Jo ripetiamo, si limita perora a svolgere un ruolo di fiancheggiamentO)) criti-co, non avendo momentaneamente proposte credibili da spendere n al tavolo dei padroni, n a quello degli sfruttati.

    Ma quello che ci sembra inutile ostinarsi a negare che lo scontro in-temo alla classe dominante vede oggi l'ipotesi socialdemocratica)) o eu-rocomunistro) o come accidenti la vo-

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    gliamo chiamare, soccombere di fronte ad altre proposte e ad albi set-tori, sempre, naturalmente, tutti in-terni alla logica del potere vigente.

    Crediamo, in questo caso, di aver gi spiegato a sufficienza, in prece-denti interventi, il nostro punto di vi-sta e ci limiteremo dunque ad aggiun-gere che ci pare pericoloso acconten-tarci di avere colto il dato di fondo, se poi non ne sappiamo cogliere con al-trettanta prontezza il successivo arti-colarsi a seconda del mutare delle condizioni e ci limitiamo ad osservar-lo come ipnotizzati in una staticit del tutto irreale. Perch se siamo d'accordo che sono schiaffoni che bi-sogna dare, dobbiamo anche sapere con precisione a chi e pi utile darli (anche se saranno comunque ben dati, a chi tocca tocca!). E non ci tur-ba minimamente il fatto che certi ter-mini usati nelle nostre analisi venga-no usati anche da altre forze che han-no una visione del processo rivolu-zionario completamente diversa dalla nostra, proprio perch quello che ci qualifica non tanto l'astratta purez-za della terminologia, quanto la chia-rezza delle nostre finalit. E su que-ste, ci permettiamo di dire che non dovrebbero esserci dubbi ...

    Pertanto, non ci basta l'affermazio-ne che la restaurazione risale al 1944 e il resto non che altalena, va e vieni picci-dicci. Per essere effi-caci nelle nostre lotte ci serve anche conoscere chi in quel momento se-duto sull'altalena e chi invece deve li-mitarsi a spingerla.

    E' possibilissimo che moiti compa-gni (non solo certo Tarantini) non siano d'accordo col nostro particola-re modo di vedere la situazione attua-le, e in questo non vediamo assoluta-mente nulla di male; preferiremmo pero che ci venissero opposte obie-zioni pi articolate e concrete per di-mostrarci che abbiamo torto, evitan-do di sentirci sempre ripetere le gran-di analisi di fondo sulle quali presu-miamo di essere ormai tutti d'accor-do. 0 c' ancora qualche anarchico che pensa che il PCI sia al di fuori dell'apparato di potere?!?

    Passando alla seconda parte del-l'intervento del compagno Tarantini, dobbiamo invece pensare di esserci spiegati davvero male, se abbiamo . fatto sorgere tali equivoci sul nostro modo di intendere la militanza rivo-luzionaria persino in un compagno che ci segue da sempre con costante attenzione. Cercheremo dunque sta-volta di essere il pi chiari ed espliciti possibile e cominceremo col dire che se c' una cosa che all'opposto del nostro modo di pensare e di essere proprio la rivoluzione come profes-sione, come mestiere.

    Diremo di pi: la frase citata dai compagno Tarantini ( ... investendo

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    la totalit della propria esistenza quotidiana) voleva significare esat-tamente l'opposto di cio che lui ne ha dedotto e, anche se a quanto pare non poi cosi chiara, quella frase ci sen-tiamo pi che mai di sottoscriverla, nella sua sostanza. Proprio perch pensiamo che il rischio di trasforma-re la rivoluzione in ((mestiere derivi da quella che abbiamo chiamata la divisione e la separazione all'intemo dei soggetti rivoluzionari.

    Possiamo percio condividere di huon grado tutto quanto il compagno Tarantini scrive a questo proposito, anche perch abbiamo la presunzione di ritenere che le nostre personali esperienze di individui, di militanti rivoluzionari, vadano proprio ne! senso di negare questa separazione tra ((mestiere politico e ((Vita priva-ta, pur fra i mille ostacoli che un percorso del genere presenta. La no-stra esperienza ci ha portati a pensare che per separazioni di quel genere non possa esserci posto in campo ri-voluzionario, ma solo in quello dei politicanti ipocriti, qualunque sia l'e-tichetta ideologica che amano appic-cicare al loro vuoto ciarlare. E siamo pronti a ribadire che l'anarchia sar la fine delle categorie astratte proprio perch (come afferma il nostro inter-locutore) vedr la sparizione dello spettacolo politico e la ricomposizio-ne dell'individuo in tutti gli aspetti della sua umanit. In questo caso non ci riesce proprio di affermare in cosa potesse stare la diversit di vedute.

    Ancora meno dubbi abbia1no sul fatto che (On ci sar pace nella so-ciet anarchica, perch la pace mor-te, la fine dell'individuo. Noi non avremmo saputo dirlo in modo mi-gliore. Pare dunque, caro Domenico, che si parta da presupposti per lo meno molto simili. Ma il dubbio del-l'equivoco toma a farsi strada in noi quando cerchiamo di comprendere le tue conclusioni. Proprio perch non viviamo affatto la rivoluzione come qualcosa di estemo, di estraneo al no-stro essere di tutti i giomi, come un ((mestiere o una ((professione e nemmeno come un ((giorno del giudi-zio in cui redimere tutti i propri peccati, proprio perch il nostro esse-re rivoluzionari essere per noi stessi (e non riusciamo ad immaginare altra maniera di esserlo), non abbiamo al-cun problema nel cercare di esserlo con la totalit di noi stessi.

    Ovviamente cio non vuole e non puo significare che ci riteniamo esen-ti da contraddizioni o vaccinati una volta per tutte contro le mille trappo-le che la realt del dominio pone sul-la nostra strada, ma semplicemente che non vogliamo operare alcuna se-parazione tra una parte della nostra individualit, della nostra vita, che per la rivoluzione (e dunque, per noi stessi) ed un'altra ipotetica parte che

    anarchismo

    dovrebbe essere ... non si sa bene per cosa o per chi. Se cosi fosse, allora si, cadremmo nel masochismo della vo-cazione al martirio, oltre che nei drammi della falsa coscienza.

    Con questo, non riteniamo di pos-sedere alcun ((Codice di comporta-mento del rivoluzionario (el vero senso della parola. E' semplicemen-te quello che anche tu chiami ((io proprietario che in ogni aspetto del-l'esistenza, nei suoi rari momenti (pici come nelle innumerevoli ba-nalit di ogni giorno, ci suggerisce di scegliere di lottare per la distruzione dello stato di cose esistente, e dunque di essere rivoluzionari e anarchici.

    Il che comporta, come tutti ben sappiamo, l'inevitabile necessit di scontrarsi con quell'apparato di pote-re che, qualunque sia la forma in cui preferiamo analizzarlo, non ci con-sentir mai pacificamente di essere contro di lui e di lottare per abbatter-lo. E dunque si accanir contro di noi nei pi svariati modi, sino a cercare di eliminrci fisicamente, per caso, con una ((pallottola vagante>> o un ((incidente sul lavoro>>, o volutamen-te, con un ((malore al quarto piano della questuriD> o un colpo alla nuca. E in questo c'entra forse qualcosa quella vocazione al martirio di cui tu parli (equivocando grossolanamente, stavolta)?

    0 non c' forse tanta pi vocazione al martirio nell'accettare supinamen-te di farsi sfruttare, per finire poi ma-gari vittime di un cosiddetto omicidio bianco, o nellasciar soffocare la pro-pria esistenza in un insensato susse-guirsi di rituali massificati o addirit-tura nell'incolonnarsi distrattamente su un'autostrada che porta al mare, per finire stupidamente stritolati in un ammasso di rottami?

    E scegliere la propria morte non forse ancora un modo di essere ((pro-prietari della nostra vita?

    La redazione di Anarchismo

    Il compagno Roberto Gemignani, a causa di un trasferimento, ha smarrito l'indirizzo di una compa-gna di Palermo con cui era in cor-rispondenza e non dunque in grado di risponderle. La compa-gna, che si chiama Paola, dovreb-be percio comunicarglielo al pi presto. Roberto, attualmente, si trova presso il carcere delle Mu-rate di Firenze (via Ghibellina), e vi rester per tutta la durata del processo contro Azione Rivolu-zionaria, cio probabilmente, fino ai primi di aprile.

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    Collettivo Autonomo Kampo di Trani

    contributo alla discussione.

    Vogliamo subito entrare pun-tuali nel merito d'un giudizio sul-la battaglia di Trani che, senza peli sulla lingua, affronti nell'im-mediato e ponga con decisione sul tappeto una serie di problemi di dibattito politico sul circuito carcerario e sulla sua riflessione -uso da parte dello Stato sul socia-le che ci vede completamente op-posti per quello che siamo stati nei nostri percorsi soggettivi pre-cedenti, oggi fortemente destabi-lizzati dall'iniziativa del nemico; percio che vogliamo ridefinire in questa fase Senza pregiudizi organizzativi alla pratica tutta testarda e sclerotizzata dell'es-sere soggetto politico del C.D.L.

    Noi pensiamo che sia avvenuta negli ultimi due anni, sul territo-rio produttivo e sul territorio del-la riproduzione sociale, un attac-co estremamente pesante da parte dai capitale e dello Stato, volto a spezzare-separare sia gli elementi residuali della rigidit proletaria, della composizione politica di classe precedente, sia gli elementi di cooperazione, ridefinizione-trasmissione dell 'informazione, aggregazione ed organizzazione dei processi interni di autovalo-rizzazione proletaria che la classe ridefinisce, a fronte della vasta e profonda ridefinizione del cielo di produzione - riproduzione -circolazione della merce, messa in atto negli ultimi anni dai capi-tale a seguito della crisi di co-mando generata dalle lotte del ci-elo dell'operaio massa che negli anni '60 e parte dei '70 aveva de-terminato come capacit di riap-propriazione di reddito, tempi e carichi di lavoro. Crisi di coman-

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    do come crisi pi vasta e necessi-t di ridefinizione da parte capi-talistica di una nuova forma di dominio sull'intera societ civile a fronte della resistenza proleta-ria al processo di ristrutturazione dell'uso della guerra a cui pie-gare-confrontare i processi di ri-definizione degli istituti di domi-nio-repressione e dell'intero cielo della merce in una situazione in-temazionale affogata nel dipana-re i tentativi di controllo di pro-blemi estremamente delicati come l'energia, l'inflazione, la di-sponibilit-circolarit sui mercati finanziari dei capitali-valute, le materie prime, le nuove tecnolo-gie ad alto tasso di inserimento nella macchina, il trattamento automatico dell'informazione. Se vero che oggi i processi di ri-strutturazione hanno frammento-segmentato e disperso nei mille e mille circuiti produttivi dispersi sul- territorio strati enormi di classe, determinando in pratica l'esistenza dell'esercito industria-le di riserva all'interno d'una estrema mobilit territoriale del mercato della forza lavoro, mobi-lit che nello stesso tempo im-permeabilit politica tra territo-rio e territorio della circolazione dell'informazione, della solida-riet di classe, ottenuta con la ri-gidit sul controllo politico-militare degli assi stradali su cui la merce si muove con una pre-senza massiccia dell'arma dei c.e. (posti di blocco, potenzia-mento della presenza delle stazio-ni). Se vero che oggi sull'intero cielo sociale si determinata una notevole capacit-attacco da par-te capitalistica di controllo su ogni comportamento antagoni-sta-deviante ed una pratica erosione in termini di reddito smangiato dai mille usi dell'infla-zione e dalla costrizione a mag-giori carichi e tempi di lavoro erogato all'interno della giornata lavorativa sociale, se assistiamo inoltre alla ridefinizione-aggrega-zione di un nuovo ceto politico di comando che attraversa trasver-salmente vari strati e che speri-menta aggregandoli o scompo-nendoli in nuove forme la capaci-t di ridefinire globalmente nuovi istituti di dominio-comando come capacit-tentativo in tem-pi reali di controllare, grazie al circuito informatico, ogni aspetto dell'intera giornata lavorativa so-

    documenti

    ciale, costringendo tempi, modi, forme e luoghi d'espressione del-l'antagonismo proletario a misu-rarsi con una nuova realt in cui i processi di autovalorizzazione devono confrontarsi con le leggi della guerra. Comunque avve-nuta in questi ultimi anni una profonda modificazione del cielo di produzione e valorizzazione della merce che ha determinato scomposizione e nuova ricompo-sizione di classe tale per cui ve-nuta a modificarsi radicalmente l'intera capacit-percorso di au-tovalorizzazione proletaria, per cui oggi ci troviamo-scontriamo di fronte a un laboratorio in cui la classe sperimenta e deter-mina ruoli non ancora definiti e codificati in istituti di ridetermi-nazione della propria rigidit del-l'antagonismo, di capacit di ri-determinare processi e percorsi organizzativi, forme e tempi delle lotte, canali di comunicazione dell'informazione che stravolga-no i vecchi concetti sedimentati dell'operare politico delle avan-guardie e dei ceti politici soggetti-vi che generano un bisogno ai po-tere, di comunismo come necessi-t, bisogno, desiderio, di essere soggetto attivo di percorso di li-berazione che travalica e immise-risce le forme precedenti storica-mente date dell'organizzazione proletaria e del rapporto con le soggettivit organizzate, non ne-gandole ma superandone i limiti angusti che ne sono limite. Pro-cesso e percorsi di ridefinizione che hanno la necessit di tempi medio-lunghi per verificarsi e se-dimentarsi, che devono operare in una situazione in cui non pos-sono permettersi di evidenziarsi al nemico pur nella non-contrapposizione tra pubblico e celato, e che scontrati con una in-capacit-inadeguatezza delle fun-zioni soggettive organizzate ad af-frontare - analizzare - produrre teoria, modificare tempi e modi del lavoro politico che ha deter-minato quella crisi di identit soggettiva come fenomeno non ristretto che ha permesso al capi-tale e allo stato di aprire falle nel-la solidariet di classe e nei fatti organizzativt individualmente rotti, sviliti e traditi. A Trani ci siamo trovati di fronte ad una ini-ziativa che seppure ci trovava d'accordo sulle tematiche di lotta al circuito delle carceri speciali e

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    della differenziazione e che co-munque ci ha trovati come com-ponente attiva all'interno della stessa, ha mostrato di nuovo, se pure ce n'era necessit, tutti i li-miti presenti in questa fase all'in-terno dell'operare politico del C.d.L.. Noi pensiamo che ele-mento centrale oggi della batta-glia politica all'interno del carce-rario sia da un lato la messa in atto che dipani, evidenzi e superi i termini dell'esperienza del mo-vimento comunista degli ultimi anni; dall'altro sia in grado di ap-prontare un percorso di coopera-zione che sappia mettere a frutto tutte le condizioni materiali volte alla liberazione. Nell'ultinio anno nelle carceri sono entrati un migliaio di compagni, avanguar-die di lotta dell'intero tessuto di classe, ceto politico attaccato ed in parte spezzato dall'iniziativa dello stato: iniziativa che modifi-ca profondamente l'uso carcera-rio come elemento deterrente volto a scomporre ulteriormente il tessuto proletario che opera nel sociale, come vero e proprio stru-mento di attacco alla classe, come unica prospettiva da parte capitalistica allo sviluppo ed or-ganizzazione dell'antagonismo, il carcerario come strumento di guerra usato e blandito verso ogni forma deviante dai processo di ri-strutturazione capitalistica sia una espansione di progettualit comunista o del proletariato extralegale. Il C.d.L., rimesso in piedi dopo alcuni mesi dallo scio-glimento che noi valutavamo po-sitivamente in quanto mostrava la volont di affrontare le necessi-t politiche di fase presenti supe-rando vecchi modi di fare politi-ca, di rapportarsi al tessuto carce-rario in termini di pura informa-zione-sovradeterminazione di progettualit di partito, arrivava alla rivolta negando ogni percor-so di cooperazione sia come bat-taglia politica su questa, sia come possibilit d'impostazione di per-corso di liberazione, obbedendo solamente ad una logica strumen-tale di cassa di risonanza rispetto all'operazione D'Urso. Ritenia-mo da un lato profondamente scorretto rapportarsi in questo modo rispetto ad una componen-te non omogenea del campo, dal-l'altro, pensiamo vi sia stata da parte delle B.R.Coll.la sottovalu-tazione-incapacit dei termini

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    che all'interno dell'operazione alzavano notevolmente il livello dello scontro posto in atto, rispet-to alla possibilit della forza mili-tare che a Trani veniva messa in campo, col risultato d'iniziare la rivolta, arrogandosi il diritto po-litico di rappresentare tutto il campo, e di poterlo difendere mi-litarmente, cosa poi non avvenu-ta nei fatti. Sottovalutazione della necessit da parte dello Stato di rispondere comunque pesante-mente alla rivolta, dando quindi la possibilit all'intero assetto istituzionale di vincere militar-mente su un livello di fuoco da parte nostra non accettabile e di ricompattarsi politicamente fa-cendo quindi pesare questa scon-fitta non solo all'interno del cam-po ma all'interno dell'intero cir-

    anarchismo

    cuito carcerario. Nello stesso tempo veniamo

    investiti con il comunicato N" 8 delle BR della funzione di giudi-ci rispetto a D'Urso, cosa che noi non abbiamo accettato, per-ch la critica al diritto come ele-mento della nostra storia in que-sti anni rifiuta e nega la forma del processo del tribunale del popo-lo, altre sono le strade e gli isti-tuti del decreto proletario che in parte sono vissuti nelle lotte o nei percorsi dell'antagonismo; come pure ci sono estranei la pratica del riconoscimento-legittima-zione da parte del nemio e dei suoi canali di comunicazione.

    Affermiamo in primo luogo la nostra disponibilit a porre in atto ogni forma possibile di coo-perazione senza esclusione d'al-

  • anarchismo

    cuna componente, volta alla pro-duzione di scienza di liberazione. Nello stesso tempo non tollerere-mo pi, d'ora in avanti, e cio fa parte del nostro percorso autocri-tico, alcuna sovradeterminazione di partita, come pratica di suici-dio politico-militare e d'immise-rimento del dibattito e dell'inizia-tiva politica. Non ci interessano le intitolazioni di decine di co-munisti e della loro storia ad al-cuna colonna o brigata di partita.

    DERIVOLTA

    Riteniamo, innanzitutto, dover chiarire una volta per tutte, al di-fuori dei luoghi comuni, dagli usi strumentali di chi per noi ha dato risonanza al Collettivo Autono-mo, quale sia la reale composi-zione, quale sia il programma che s'impone e quali siano le condi-zioni teorico-politiche sulle quali si aggregata questa area infor-male di comunismo.

    Il C.A. nasce sulla spinta della nuova composizione di classe che si venuta sedimentando nei campi - gennaio '80 -, sia come fronte del rifiuto di una prassi e di un programma legati all'ini-ziativa dei C.d.L. nel carcerario, sia come aggregazione informale di tutti quegli spezzoni di sogget-tivit organizzata, micro-formazioni di movimento, singoli compagni, la cui prassi vissuta all'interno del movimento comu-nista in questi anni e che rifiuta di essere codificata dentro dina-miche di partito che crediamo non possano in alcun modo rac-chiudere la variegata ricchezza di questo schieramento di trasfor-mazione sociale e politica.

    Il C.A. nasce come ricerca di una nuova forma progettuale che riesca ad esprimere le molteplici tensioni che vivono in questa area di aggregazione, qualifican-do la sua iniziativa intorno alla centralit della liberazione, come percorso che affonda la sua conti-nuit nella volont proletaria d'una societ libera, senza galere, con pieno diritto all'autodetermi-nazione collettiva, nella progres-sione storica di quella critica al diritto che, insieme al rifiuto del-la delega, ha permeato la nostra cosciente negazione dello stato attuale delle cose.

    Un programma che include la

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    mobilitazione di uno schiera-mento di forze politiche rivolu-zionarie e sociali contro i carceri di massima deterrenza, contro la differenziazione, la ghettizza-zione della ribellione e ogni isti-tuto di comando e di controllo per la legittima lotta per l'utopia pi concreta: IL BISOGNO DI CO MUNI SM O.

    Cio significa vivere le nostre regole di guerra, interne al con-flitto tra capitale e classe, sempre pi come funzione dei processi di autovalorizzazione e dei percorsi di liberazione, in quella separa-tezza dalle dinamiche capitalisti-che di produzione e riproduzione che sa ricercare la nuova e pi alta qualit della liberazione, svi-luppando, anche, il massimo di-spiegamento di scienza bellica che il movimento puo esprimere per la sua attuazione, avvalendosi della conoscenza dei suoi percor-si ed errori, verificando la limita-tezza delle sue forme attuali d'or-ganizzazione ela necessit di ren-derle atte alla radicalit dello scontro.

    Tutto cio all'interno della bat-taglia politica che ci vede con-trapposti all'ipotesi che tenta di imbottigliare questa molteplice frammentaria potenza in istituti di potere rosso, legati ad una progettualit che fa della guerra uno scontro fra apparati, rele-gati ad una esternit che non riesce a comprendere il bisogno di liberazione, e fuori dalla matu-rit degli spezzoni di classe.

    ELEMENTI DI AUTOCRITICA

    La rivolta di Trani conclude una fase politica di un fronte del-lo scontro tra rivoluzione e con-trorivoluzione - il carcere -, che va dalla nascita delle carceri spe-ciali -luglio '77 - ad oggi. Fase in cui l'esecutivo costretto a regi-strare l'incrinazione ed il limite del suo progetto politico d'an-nientamento delle avanguardie rivoluzionarie e dei proletari pri-gionieri. Questo segmenta del proletariato metropolitano, il P.P., ha saputo sviluppare meto-di e forme di lotta sempre pi in~ cisive contro la strategia della dif-ferenziazione, i cui momenti si-gnificativi vanno dalla settima-na rossa>> del '78 alla battaglia dell'Asinara dell'ottobre '79 a

    documenti

    Fossombrone, Favignana, Termi-ni Imerese, fino a Milano, Volter-ra, Nuoro, infine alla rivolta di Trani del 28-29 dicembre '80.

    E qui, come parte attiva di questo movimento dello schiera-mento proletario comunista, rite-niamo necessario ridimensionare le valutazioni trionfalistiche date dai compagni del C.d.L..

    Mentre il nostro interesse quello d'individuare gli elementi positivi che queste lotte hanno espresso e che vanno assunti come momenti costitutivi di or-ganizzazione e cooperazione per la produzione di scienza di libe-razione effettiva del P.P. (cosa che a Trani non stata neanche presa in considerazione dai com-pagni che hanno ideato 1 'azio-ne ... ).

    Per contra dobbiamo criticare come complessit del C.A. tutti quei comportamenti di incertezza da parte di alcuni nostri compa-gni, che pur vivendo material-mente la lotta, non hanno saputo contrastare la linea avventurista del C.d.L. nelle sue conclusioni e sottovalutazioni dei rapporti di forza dati in questo scontro con un nemico quanto mai agguerri-to.

    Paradossalmente forze guerri-gliere si sono fatte attaccare con sorpresa dal nemico senza avere preventivato la portata politico-militare dello scontro con le forze dell'antiguerriglia. C' stata una inversione delle leggi della guer-riglia: l'azione di guerriglia l'han-no fatta i G.I.S. anfetaminizzati. 1 limiti del C.A. sono a carico dei compagni e proletari che lo com-pongono, e non certo di altri; li-miti sintetizzabili nella mancan-za di progettualit di una consoli-data pratica organizzativa. Certo, sono limiti non imputabili a sin-goli compagni, ma a ciascun compagno e alla incapacit corn~ plessiva di determinare forzapo-litica. E la rivolta di Trani ha messo, per la prima voita, questa area informale di comunismo alla prova nella lotta.

    D'altra parte i limiti specifici, le difficolt alla socializzazione ed alla omogeneit riscontrati in questi mesi all'interno dell'area del C.A. discendono direttamente dai limiti che si registrano nel di-battito politico generale di movi-mento.

    Il Collettivo utonomo ha as-

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    sunto come dato positivo la ric-chezza delle esperienze e dei per-corsi comunisti del movimento. Ma ancora oggi i mille fiori dei nostri comportamenti si presen-tano troppo spesso come separa-zione, come frammentariet, come singole residualit di una fase politica oggi percorsa da !"a-dicali mutamenti. da profondi sommovimenti e alterazioni. Pro-gettualit puo darsi quindi sola-mente in un serrato confronta politico, per una risoluzione omogenea di elementi d'analisi di fase che rendano possibile un rea-le compattamento delle nostre molteplici tensioni.

    La lotta di Trani ci impone al-lora un passaggio, un salto: il C.A. non puo pi essere un sem-pliee ambito di dibattito, ma deve necessariamente diventare

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    da collettivo-aggregazione collet-tivo-politico, centra di analisi teorica e prodotto di scienza or-ganizzata che si leghi al territorio con tutta la sua potenzialit di li-ber/ Azione.

    Il dibattito di questi giomi si indirizzato in questo senso, anche per superare le arretratezze ri-spetto al movimento dei P.P., il quale ha vissuto in questi ultimi sei mesi un carico di tensioni po-sitive nelle lotte contro la diffe-renziazione e per la liberazione. Ed proprio sfruttando questa di-sponibilit immediatista ed em-pirica che stato possibile al C.d.L. - ricostruito fittiziamente all'uopo, dopo la frettolosa lique-fazione del precedente - condurre questa operazione che doveva servire come cassa di risonanza per l'operazione D'V rso.

    anarchismo

    ELEMENTI DI CRITICA

    Elaborare un bilancio della ri-volta e della sua conduzione poli-tica significa partire da una criti-ca complessiva al progetto ed alla pratica politica del C.d.L., non ch criticare l'intendere la rivolu-zione come una dinamica mecca-nicistica dello scontro, pensare che caratterizza teoria e prassi dei compagni delle B.R..

    Senza nulla togliere all'espe-rienza dei C.d.L. come embrione di organizzazione dei proletari incarcerati e come motore e sti-molo di diverse lotte che hanno inciso nella realt del carcere, ci sembra che solo partendo dall'at-tuale crisi che attraversa il pro-getto C.d.L., nella maggioranza dei campi, si possa capire la ge-nesi e l'epilogo della rivolta di Trani.

    Infatti una nuova composizio-ne si venuta sedimentando al-I 'intemo del carcerario e questa, unitamente alla nuova, pi alta e diffusa coscienza della radicalit delle scontro in atto che percorre vasti strati sociali nelle metropoli e nel carcerario, impone il supe-ramento di ipotesi organizzative ormai insufficienti e carenti sotto moiti punti di vista.

    Abbiamo sempre criticato l'i-potesi dei C.d.L. come organismi legati ad un modello organizzati-vo specifico, B.R., e di conse-guenza subordinato ad una pro-gettualit in cui non ci ricono-sciamo. Oggi si esemplifica anco-ra di pi la limitatezza di questa ipotesi che non riesce a raccoglie-re, fare proprie e far vivere in una pratica di programma, le tensioni sempre pi ricche ed articolate che percorrono il P.P. e che non sono comprimibili in un organi-smo di massa, per la sua stessa struttura rigida, ed incapace di val0rizzare le molteplicit del ,. P .. L'i,;capacit dei compagni che 1

  • anarchismo

    l'unico campo che potesse assu-mersi questo ruolo. Cio per la composizione del campo, gli alti livelli di agibilit raggiunti, la in-capacit da parte del C.A., che pure si muoveva nel campo su una sua progettualit, di pesare politicamente, non potendo cosi deviare nella giusta direzione le tensioni reali che vivevano nel campo stesso.

    Ma il percorso dei C.d.L., cali-brato su tempi e scadenze ester-ne, oltre ad operare una sovrade-terminazione sui contenuti reali del dibattito esistente nel campo, che alludevano a percorsi di libe-razione improntati a cooperazio-ne tra le varie componenti, ha si-gnificato anche un'ulteriore com-pressione dei bisogni proletari per fini d'organizzazione, conti-nua allusione ad una mediazione di partito. Percorso che non rie-sce a bilanciare l'immagine effi-mera politicamente, ma pesante sul piano bellico dello stato che impone i termini della guerra er-roneamente fatti propri, scambia-ti per livelli di combattimento proletario, riducendo lo scontro a mera contrapposizione tra appa-rati, accetando cosi i livelli che lo stato impone.

    Noi crediamo invece, che solo la potenza del programma prole-tario puo dare liberazione. Libe-razione che significa un percorso che affonda nell'autodetermina-zione della classe, nei mille rivoli dell'antagonismo sociale.

    Significa schieramento proleta-rio di guerra, propagine di orga-nizzazione degli ambiti dell'ille-galismo diffuso nel suo approccio concreto alla riappropriazione di reddito in ogni istanza metropoli-tana della ribellione sociale, che si rivolga contro le carceri, la dif-ferenziazione, e le mille catene del comando e del controllo capi-talista.

    Dentro questo schieramento ri-conosciamo al P.P., alla sua in-telligenza, la pi ampia autono-mia nel creare strumenti propri di organizzazione, percorsi pro-pri di autoliberazione.

    E la sconfitta sta proprio qui. Nel continuo rimandare a livelli di forza estemi, operato come de-lega rispetto alla pratica dei biso-gni, a presunte avanguardie auto-legittimatesi tali. Una lotta che devia le corrette tensioni di classe facendole sfociare nella spettaco-

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    larit della trattativa, e non la esprime in pratiche di liberazio-ne, per noi un fallimento politi-co. Proprio lo sviluppo strumen-tale e funzionale a tale progetto ha condotto la gestione della ri-volta e della trattativa in un vico-lo cieco che ha prodotto una ulte-riore sovradeterminazione ed una enfatizzazione dello scontro. L'incapacit di valutare l'enorme peso dello scontro in atto, il non capire che la posta in gioco era troppo alta, rispetto alla forza messa in campo da parte nostra, il non capire che i termini della mediazione, rappresentati dalla forza espressa dai movimento di classe negli anni passati, sono sta-ti bruciati dalle continue forzatu-re e dall'imposizione, da parte dello Stato e dell'organizzazione

    documenti

    B.R., di livelli di scontro che la classe non ha fatto propri, ha squilibrato la trattativa ed ha im-pedito che tutta la lotta raggun-gesse obiettvi politici vincenti.

    L'apertura di fratture nel fronte nemico, il fatto che abbiamo im-posto al potere un salto di qualit nella risposta al carcerario, non ci sembrano punti che ci permet-tano di valutare positiva la con-clusione della rivolta. Ci interessa aprire fratture e disarticolare il fronte nemico nel momento in cui siamo anche capaci d'intro-durci in queste spaccature per co-struire organizzazione proletaria in una corretta dialettica con i reali livelli della nuova composi-zione di classe e con gli istituti del contropotere proletario.

    Gennaio '81

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    comunicato dello stormo prigioniero jonathan livingstone del kampo di trani

    La causa per cui si celebra que-sto processo non una cosa a se stante, che non ha nulla a che vedere con quanto accaduto nel carcere di Trani dal dopo-blitz a oggi, ma invece diretta conse-guenza degli avvenimenti e quin-di parte di questa piccola storia non ancora conclusa. In partico-lare parte della pronta risposta che i proletari prigionieri hanno saputo dare al terrorismo instau-rato dalla direzione del carcere e dai vertici dello stato. Quindi, parlare qui di quanto accaduto e ancora avviene nel carcere di Trani (e non solo li) pi che at-tinente: doveroso!!

    Da qualche tempo capita di leggere sui giomali fiumi di paro-le su un argomento trito e ritrito e mai risolto: che cos' la libert di stampa?. A noi non interessa certo ingrossare gli argini di que-sto fiume, pero crediamo che qualche parola vada spesa. Vo-gliamo farlo senza risalire fino alla nascita del fiume (che co-munque dovrebbe aggirarsi intor-no alla prima apparizione pub-blica della carta stampata), per-ch non questo l'argomento principale che vogliamo affronta-re. Recentemente ci capitato di leggere su alcuni quotidiani un feroce attacco verso chiunque (giomali, gruppi, associazioni e singole persone) metta in dubbio il prestigio e l'onest dello stato e delle sue istituzioni, facendo cir-colare notizie false e tendenzio-se. Fra le tante a noi interessa il pestaggio a sangue nel carcere di Trani dopo il blitz dei GIS, per-ch questo pestaggio lo abbiamo subito sulla nostra pelle e sulle nostre ossa e perch cio provato da numerose cartelle cliniche e ricoveri in ospedale che parlano

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    di ferite da arma da fuoco, frattu-re e contusioni varie. Ci sono i radicali che, pur essendo venuti in visita per chiss quali scopi, non hanno potuto fare a meno di rilevare cio che neanche un cieco avrebbe potuto non vedere; e ci sono anche i nostri famigliari ai quali, per ovvie ragioni, siamo stati mostrati (e basta) quando si era gi in fase di miglioramento e che, nonostante questa precau-zione, non hanno potuto fare a meno di denunciare l'accaduto, essendo ancora evidenti sui nostri corpi i segni del massacra.

    Ma qual' l'opinione dei soliti quotidiani su questi testimoni oculari? E' chiaro, sono dei men-daci, dei nemici dello stato che cercano di screditarlo; quindi vanno anche perseguiti. Non c' che dire, i pennivendoli non si smentiscono mai, fanno persino a gara per provare al padrone mag-giore servilismo. Che cos' dun-que per questi vermi schifosi la verit sulla quale deve basarsi la libert di stampa? E' forse cio che trova conferma in riscontri ogget-tivi, in dati inconfutabili? No, la verit quella emanata dallo sta-to loro signore e padrone. Ecco quindi che nel caso specifico di Trani la verit che i GIS e gli agenti di custodia hanno condot-to una battaglia a colpi di armi umanitarie e sparando proiettili di gomma. Poco importa se i pro-iettili erano ben lungi dall'essere di gomma (tanto vero che han-no provocato feriti anche fra gli agenti di custodia) e se le armi

  • anarchismo

    celle di isolamento - facendogli fare il tragitto a suon di calci e pugni - e poi lasciato completa-mente nudo per due ore in una cella priva di riscaldamento. Co-munque da questo braccio di fer-ro siamo sempre usciti vittoriosi, perch i compagni sequestrati sono sempre tornati subito con noi. I prigionieri di Trani hanno dimostrato anche di essere dispo-sti, per raggiungere illoro obietti-vo, a mettere in pratica il livello pi alto di lotta oggi possibile. Primo obiettivo dei prigionieri di Trani non pu essere che l'elimi-nazione del giro di vite fatto ne! dopo-blitz, passando anche, se necessario, per la distruzione del kampo e quindi, inevitabilmente, per i trasferimenti in altre carceri.

    Su questo non possibile aleu-na mediazione. Siamo anche con-vinti che un eventuale ricambio completa dei soggetti prigionieri qui a Trani, non toglierebbe af-fatto alla direzione la patata bol-lente che ora ha fra le mani, per-ch l'obbiettivo di qualunque al-

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    tro proletario pngwniero non pu essere che lo stesso. Da lune-di 19 gennaio la politica del trat-tamento differenziato da parte della direzione ha avuto un'ulte-riore conferma, se ce ne fosse sta-to bisogno. Infatti improvvisa-mente un centinaio fra guardie e carabinieri in borghese (coordi-nati dai noto maresciallo Manfra) hanno trasferito forzatamente una parte di noi nell'unico piano finora riattivato dei due che era-no stati resi inagibili. Non che noi siamo contro il ritorno in se-zione, ma siamo contro il ritorno a gruppi cosi avvenuto.

    Stormo prigioniero Jonathan Li-vingstone del kampo di Trani

    Passione e tensione di ogni gab-biano aiutare tutti gli uccelli a uscire dalle gabbie sociali. Trani, 27 gennaio 1981.

    Comunicato letto al tribuna/e di Trani in occasione del processo a Sandro Meloni.

    documenti

    il processo di firenze

    Si sta svolgendo a Firenze il processo contro 26 compagni ac-cusati a vario tito/o di essere stati coinvolti nel/'attivit del gruppo clandestlno Azione Rivoluziona-ria. Anche se le imputazioni spe-cifiche possono essere ritenute minori (si tratta di qua/che ra-pina), questo processo riveste una partico/are importanza perch il primo in cui dei compagni ver-ranno giudicati in quanto appar-tenenti ( o presunti tali) alla ban-da armata denominata Azione Rivoluzionaria.

    Sull'andamento del dibatti-mento potremo riferire in un prossimo numero, quando le di-verse prese di posizione dei vari compagni si saranno chiarite pi a fondo. Qui vorremmo solo rile-vare come le risu/tanze po/itiche di questo fatto presentino caratte-ri piuttosto interessanti per ta-stare il po/sm> al movimento anarchico ne/ suo insieme. In/at-ti, varr appena il caso di ricor-dare come quasi tutti gli imputati siano militanti anarchici ben co-nosciuti e dunque come tutto il movimento anarchico venisse in qua/che modo chiamato in causa. Quello che accaduto che se da una parte la partecipazione di numerosi compagni al processo ha testimoniato che il tentativo statale di iso/are i compagni bol-landoli come terroristi non riuscito, dal/'altro lato quasi tutta l'ufficialit del movimento anarchico (federazioni, comitati di difesa, riviste .. .) ha mantenuto sull'argomento un si/enzio che non sapremmo se definire pru-dente o imbarazzato. Confidando di poter tornare in seguito su tut-ta /'argomento, vorremmo ne/ .frattempo invitare tutti a riflettere su questo fatto, sperando che si passa arrivare a un pi fattivo li-vello di solidarit militante.

  • interventi

    A.M. Bonanno

    chiese, idoli etab

    Extra ecclesiam nu/la sa/us Fuori dalla Chiesa non c' sal-vezza. Tutto l'anarchismo si compendia in una dura ed appas-sionata critica di questo luogo co-mune del potere. Da nessuna par-te sono arrivate parole altrettanto chiare di denuncia nei confronti di ogni organizzazione ( chiesa, Stato, partito, corporazione) che pretende imporre se stessa agli in-dividui in nome di obiettivi e va-lori ritenuti superiori ed assoluti.

    Ma spesse volte, se la critica facile sul piano delle astrattezze, diventa difficile quando scende sul terreno della pratica, per esse-re poi difficilissime sul terreno della pratica quotidiana.

    Gli anarchici sono stati molto efficienti e chiari nella loro criti-ca del partito autoritario, allar-gando l'analisi dai partito di stampo fascista fino al partito di stampo leninista, indicandone le costanti che legano questa forma organizzativa della politica ben al di l delle illusioni ideologiche.

    U na minoranza di anarchici ha anche, abbastanza efficacemente, indicato un ulteriore grado di pe-netrazione estendendo questa cri-tica non solo partito (e quindi non solo allo Stato, in alto, e alla famiglia, in basso) ma anche a quelle forme organizzative rivo-luzionarie che si presentano come negazioni del partito (stia-mo parlando delle diverse forme che l'anarchismo ha scoperto per strutturarsi come organizzazione politica). Si cosi trovato che non basta l'etichetta per essere esenti dai cancro della chiesa, e che il partito puo ricostruirsi sotto forme nascoste e striscianti e presentare pericoli altrettanto consistenti e causare danni altret-tanto considerevoli.

    Quello che non ci pare sia stato fatto, almeno non con quella

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    chiarezza che argomenti del ge-nere rendono indispensabile, un ulteriore approfondimento di questa critica. La chiesa puo ri~ costituirsi al di l del rifiuto del partito, appunto, in forme orga-nizzative che presentano gli stessi schemi sia pure in aspetti pi simpatici; ma puo anche ricosti-tuirsi al di l della critica a queste stesse forme organizzative; puo cio ricostituirsi sul piano delle idee, dei luoghi comuni, delle co-stanti che accettiamo per definiti-ve in ogni singolo aspetto della nostra vita di tutti i giorni. Ecco quindi che ci pare urgente porta-re la riflessione critica anche al-l'interno di quei tabernacoli che di regola non vengono violati se non con grave scandalo. L'in-sieme di questi tab inviolabi-li, di questi idola>> che restano immobili da secoli davanti ai no-stri occhi pur cosi critici; l'insie-me di questi ostacoli sul cammi-no della liberazione, costituisce un'ulteriore chiesa, la chiesa definitiva e pi insidiosa, la chiesa da cui per tutti diffici-le uscire se non con fatica e dolo-re.

    Non solo, ma quanto pi ra-dicali siamo stati nel portare alle estreme conseguenze la criti-ca di ogni mamma organizzati-va (partito, forme strutturate ca-muffanti realt partitiche, ecc.), tanto pi siamo legati a questa chiesa>> ultima, tanto pi tenia-mo a garantire il senso di prote-zione e di sicurezza che ci viene da questi tabernacoli che difen-diamo a costo della nostra stessa libert. Il nostro atavico senti-mento di schiavi si risveglia e ci induce a dipingere di rosa quelle ultime catene che proprio perch pi sottili sono pi subdule di quelle grosse catene che attirava-no l'attenzione critica di tutti i benpensanti.

    Prima di fare un elenco, neces-sariamente approssimativo, di questi idola dobbiamo dire un-'ultima cosa: essi si presentano tutti indistintamente sotto l'a-spetto allettante di valori, e, considerati per quel che potreb-bero essere - una volta liberati dalla sacralit>> che li avvolge -costituiscono effettivamente un programma di valorizzazione, solo che proprio perch diventati sacri, quel programma si or-mai in essi cristallizzato deposi-

    anarchismo

    tandosi sotto forma fideistica e acritica. La distruzione della chiesa delle idee, di quest'ulti-mo, subdulo, baluardo del potere, non riguarda pertanto la messa in causa del programma di valoriz-zazione che attraverso questi punti di riferimento si puo realiz-zare, quanto riguarda l'elimina-zione del deposito religioso che ha costruito la chiesa delle idee, molto pi forte della chiesa storica.

    Il primo tab che possiamo considerare come elemento coor-dinatore di questa struttura chie-sastica delle idee, dato dai con-cetto di dialogo, con tutto l'ampio corredo di concetti colla-terali e dipendenti: democra-zia, permissivit, progresso, riforma ecc. Certo potr sem-brare strano che consideri ancora vivo e vegeto questo tab che tutti noi avevamo dato per defun-to - ridendoci sopra - tanti anni fa. Eppure credo che questa mia preoccupazione non sia infonda-ta. Certo abbiamo sepolto la for-ma ufficiale del dialogo, quella che avevamo mutuata da una certa chiesa pi intelligente che voleva camuffare le proprie incapacit di potere con aperture e discussioni; ma in ognuno di noi stessi non morta del tutto la fede nel dialogo, la speranza che possiamo convincere con le chiacchere chi non si lascia con-vincere, e la carit che ritenia-mo di -dovere verso i nostri nemi-ci. Queste tre virt teologali as-sillano la nostra concezione pa-leolitica della liberazione. Parlia-mo spesso con una certa aria che non vorrebbe dare importanza a quello che diciamo, rimandando a fatti>> che da soli dovrebbero mettere a tacere le nostre chiac-chere, ma, in fondo in fondo, cre-diamo alle nostre parole, il loro suono ci affascina ancora, la loro sacralizzazione verbale, nell'anti-co senso del verbo cristiano, non smette di occupare le nostre fantasie. E allora sogniamo possi-bili discorsi definitivi, a tutti comprensibili perch chiari, ci illudiamo nella fabbricazione di strumenti di informazione e con-troinformazione, che da questi poi dovrebbere nascere chiss cosa, come Minerva dalla testa di Giove. E strilliamo, altamente strilliamo, quando il potere ci minaccia o ci tappa la bocca, o

  • anarchismo

    viene meno alle sue regole da borsaiuolo riguardanti la libe~a circolazione del pensiero. Spesso, quando l'urgenza dello scontro ci fa essenzializzare il discorso, quando dai vano sperare>> si passa al disincantato operare, aUora quasi abbiamo paura di queilo che stiamo per dire, pro-prio perch questo dire si avvici-na drammaticamente al fare: ab-biamo quasi una reazione di pau-ra davanti al pericolo che fa chiesa delle idee si possa fran-tumare sia pure per poco. L'equi-voco educazionista si nasconde anche dietro alcune di quelle azioni che, pparentemente, ri-sultano pi estreme, anche dietro la lotta armata e quell'insieme di aspettative che, pi o meno legit-timamente, essa lascia in piedi: ucciderne alcuni per educarne moiti. Strano modo davvero di ri-trovare le illusioni quantitative del riformismo partitico. Non mi pare si sia riflettuto abbastanza sul fatto che il senso dell'azione (anche armata) deve ricercarsi at-traversa la funzione che essa as-solve all'interno dello scontro di classe e non nel rapporta diretto che essa costretta a fissare nei termini spettacolari imposti dai potere. Per cui, inseguenclo que-st'ultimo filone di comunicabili-t, specie nei momenti in cui l'al-tro, quello che passa attraverso la reaie corrispondenza con le lotte sociali in corso, affievolito o troncato; si ricostituisce l'illusio-ne tipicamente chiesastica del si-gnificato che ci viene dall'esterno e che ci significa (noi e le nostre azioni) e su cui non abbiamo nul-la da dire se non ripetere all'infi-nito una lezione appresa a me-moria. Illusione quella che ci porta a credere nel potere di con-vincimento delle parole, ed illu-

    . sione quella che si porta a cre-clere nell'identico potere di con-vincimento della pistoia. Le due case, come qualsiasi altro mezzo, sono mute quando non parlano attraverso il senso pi ampio e ri-voluzionario che d loro illivello dello scontro di classe in atto.

    Il seconda tab costituisce l'elemento strumentale della chiesa delle idee ed data dai concetto di ragione, da cui de-rivano i collaterali concetti di razionale, ragionevole, lo-gico e cosi via. Noi ci poniamo come rivoluzionari distruttori del

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    monda della morte e del potere, ma vogliamo che questo progetto di distruzione sia conseguente, incanalato, ragionevole, com-prensibile; non ci accorgiamo, spesso, che la chiave della sua comprensibilit ci viene forni-ta proprio da tutto quello che in-tendiamo distruggere,. per cui man mano che questa distruzione avanza, cresce in noi il panico perch non riusciamo pi a capi-re quello che succede. I fatti so-pravvanzano di gran lunga agni nostra previsione, anche la pi estrema, con l'aggravante che noi siamo la nostra stessa previsione, per cui ci facciamo sempre co-gliere alla sprovvista in quanta nessuno puo pensare il non pen-sabile e l'avvenire sempre quai-casa che non poteva essere pensa-ta, quindi qualcosa di diverso dalle nostre eperienze e dalle no-stre regole della logica e della ragione. Quando la rivoluzione chiede tutto e subito, travol-gendo al suo passaggio agni pro-getto ragionevole di noi tutti, benpensanti dell'estrema decisio-ne, restiamo spiazzati, affrettan-doci subito ad adeguarci dimenti-cando che il nostro ruolo dovreb-be essere proprio quello di pre-carrere i tempi delle distruzione, di accelerarla e non di restare sbalorditi davanti alle sue mani-festazioni. In fondo siamo tutti degli accaniti collezionisti del quantitativo: vogliamo continua-mente misurare quello che fac-ciamo, mettere ordine nelle no-stre cose, nella nostra proprie-t. All'interno del piccolo (o grande) pareo delle nostre illusio-ni e delle nostre speranze, siamo i ragionieri di noi stessi. Guai poi quando il giacobino che sonnee-chia in ognuno di noi pretende presentare il suo conto alla storia erigendo tribunali e patiboli. La strada critica per mettere in luce gli aspetti deleteri di questi ta-bernacoli irta di ostacoli. Sa-rebbe infatti un banale passaggio da un tabernacolo ad un altro il gettare alle ortiche la ragione per bruciare incenso sull'altare della

  • repressione

    lette ra aperta del partigiano torquato bignami (guido) ai giudici

    - 1926: mi iscrissi in quell'anno al partito comunista in una ceBu-la di via S. Croce. Era il periodo del regime fascista. Ogni volta che avvenivano retate di compa-gni il regime riusciva, tramite mi-lizia, polizia e magistratura a far parlare i compagni pi deboli. Se ti arrestava la milizia, ti portava nella caserma di via Mascarella dove per diversi giorni, prima di essere consegnato agli organi in-quirenti, venivi sottoposto a tor-ture. Per diversi giorni n parenti n avvocati erano a conoscenza di dove eri stato portato. Cosi come succede adesso, in moiti casi. - 1930/32: furono gli anni neri della repressione. Il periodo in cui numerosi furono i compagni che accettarono di collaborare con il regime: possiamo conside-rarli i primi pentiti nella storia della lotta di classe in italia. Mi ricordo in particolare, in un pro-cedimento giudiziario a mio cari-co del '32 un tai Trombetti Bru-no che collaboro pienamente col regime. Oggi Trombetti Bruno, gi segretario degli ambulanti come rappresentante comunista, uno dei pi fedeli gorilla del servizio d'ordine del partito. Sono stato in galera una decina di volte.

    Nel '31 ero corriere della stam-

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    pa clandestina del partito dalla Francia all'Italia. Nel '32 ero se-gretario della federazione giova-nile comunista di Bologna. Nel '32, nella fabbrica Weber fondai una cellula che esordi con un lan-cio di manifestini clandestini il 1 maggio che denunciavano la po-litica guerrafondaia del regime. Fu l'unica cellula che si salvo a Bologna.

    V enni arrestato solo io dietro la denuncia del Trombetti, ma nessun altro della mia cellula. Con dan nato a 10 anni di galera venni in seguito amnistiato. Nel '33, uscito dai carcere, fui licen-ziato. - 1934: fui assunto come operaio da Drusiani dove fondai, su ordi-ne del partito, un'altra cellula. - 1937: sono stato costretto a cer-carmi un lavoro a Reggio Emilia per i continui arresti cui venivo sottoposto a Bologna. Li mi legai alla cellula della fabbrica O.M.I. Il 6 gennaio vengo arrestato e condannato a due anni (siamo nel 36) di controllo speciale con gli obblighi di firma. Sono gli anni in cui dirigo le cellule del quar-tiere Malpighi legato ai compagni Fontana e Mario Pelloni. Lavo-rando all'officina Tartarini/Ma-sotti fondo un'altra cellula, dopo-dich apro una officina meccani-na a Casalecchio di Reno e mi lego alla Resistenza locale. - 26 luglio 1943: apprendo della caduta del fascismo, chiudo l'offi-cina e con altri compagni siamo alla testa degli operai che vanno in piazza a manifestare. Dopo 2 o 3 giorni vengo arrestato e con-dannato a 2 anni e 4 mesi di re-clusione. Uscito dai carcere, per l'amnistia concessa dai regime che aveva soppiantato Badoglio, iniziai la mia vita clandestina: per il regime divenni quindi un bandito a tutti gli effetti. Dopo i primi lavori con i GAP di Calca-ra, vengo inviato prima a Spilam-berto e poi in montagna, nel mo-denese, dai partito. - 1944: alla costituzione della Repubblica di Montfiorino so-stituisco provvisoriamente il compagno C.G. Osvaldo Poppi (Davide), in seguito comandai la IVO Divisione Carlo Scarabelli. Dopo la battaglia di Montefiori-ho (agosto '44) assumo la carica di commissario generale della brigata Antonio Ferrari. Era alle mie dipendenze in quel periodo

    anarchismo

    Leandro Monti, comandante di una brigata, padre di quel Mauro Monti che oggi mi ha arrestato. In seguito vengo nominato com-missario generale del gruppo bri-gate Est Giardini con il compi-to di liberare Bologna. Costretti a passare il fronte ci riuniamo con le forze del Comandante Arman-do (Mario Ricci) a Lizzano in Belvedere dove vengo nominato commissario generale della divi-sione Modena. - 25 aprile 1945 1 la Liberazione. - 1946: sono costretto ad espa-triare a Parigi in seguito a denun-ce contro i partigiani per fatti di guerra. L apprendo che sono stato accusato di essere il man-dante dell'omicidio di un medico di Spilamberto, segretario del MSI del luogo. Emigro in Ceco-slovacchia dove resto per circa quattro anni come rifugiato poli-tico in un ex campo di concentra-mento. - 1950: dopo la mia assoluzione torno a Parigi dato che in Italia avevo perso tutto: casa, lavoro, officina. L'anno dopo nasce mio figlio Maurice. - 1964: torno in Italia dove resto disoccupato fino al 1968; questo perch in base alle informazioni nessuno accettava mai di assu-mermi. - 1968: riesco ad ottenere il pa-tentino di conduttore di caldaie a vapore e vengo assunto dai Co-mune di Bologna. E' li che, attra-verso una lotta sindacale io e altri nelle mie condizioni otteniatno di entrare in ruolo. Cio avviene nei primi anni settanta alla giova-ne et di 63 anni dopo una vita spesa al servizio del proletariato.

    Divento operaio specializzato e passo in officina. Il partito aveva formato un gruppo modello come esempio agli altri operai sul lavoro. Da parte mia posso affer-mare di aver fatto il mio lavoro (ed altri che non mi competeva-no) con il massimo impegno, mentre altri personaggi, quali Marcello Mazza ed i suoi accoliti si sono imboscati per far carriera nel partito sottraendosi persino ai loro compiti di operai. -1977: al convegno indetto a Bo-logna contro la repressione dai movimento denuncio i dirigenti del partito nelle persone di Zan-gheri e Paietta dichiarando che negavano spudoratamente la vio-lenza perpetrata dallo stato con-

  • anarchismo

    trq i lavoratori e gli studenti e che avevano portato all'assassinio del campagna Francesco Lorusso. Da quel momento rinuncio alla tessera del partita ritenendone la linea politica contraria agli inte-ressi dei lavoratori. - 1978: vengo operato per un tu-more all'intestino. Nel settembre mio figlio Maurice viene accusa-ta dall'Unit di essere un terrori-sta ed io lo consiglio di emigrare in Francia per non essere arresta-to. Da allora, purtroppo, non l'ho mai pi vista. - 15 ott. 1980: vengo arrestato dai dott. Mauro Monti, figlio del partigiano, con l'accusa, falsa, di associazione sovversiva e banda armata in quanta avrei affittato per mio figlio un appartamento a Sorrento. E in seguito, dai guidici Vigna e Chelazzi di Firenze, ven-go accusato di aver costruito ma-teriale esplosivo per l'organizza-zione Prima Linea. Questo in se-guito a rivelazioni di due pentiti: Viscardi e Fagioli.

    Ritengo necessario a questo punta dare una valutazione su tutti questi fatti e, pi in genera-le, sulla situazione politica con-tingente.

    Per quanto riguarda il regime attuale:

    Anche il regime fascista si di-chiarava democratico. Ma al di l di qualsiasi giudizio politico quello che contano sono i fatti: - Nel 1945, dopa 24 anni di fa-scismo, i detenuti che si dichiara-vano prigionieri politici erano ol-tre 3000: venivano chiamati ban-diti. Ma il giorno dopa la libera-zione vennero considerati non solo politici, bensi eroi nazionali e liberatori dall'oppressione.

    Nel1980, dopa oltre trent'anni di democrazia antifascista oltre

    3000 detenuti che si dichiarano prigionieri politici vengono chia-mati delinquenti e terroristi. La questione del riconoscimento po-litico diventata un fatto di rilie-vo intemazionale! i movimenti di liberazione in tutto il monda chiedono con sistemi e forme di lotta sulle quali non vaglio espri-mere giudizi, questo riconosci-mento. Un data certo: non si tratta di quattro pazzi isolati ben-si di movimenti ben pi estesi che nascono dalla situazione eco-nomico-sociale in cui ci troviamo a vivere. Un altro data altret-

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    tanta certo: quando un regime pensa di risolvere questo grave problema stravoigendo lo stesso ordinamento sul quale si basa (vedi leggi speciali, carceri spe-ciali, licenza di uccidere ai suai organi di polizia ecc.) vuol dire che dar ulteriormente fiato e spazio al malcontento popolare e di conseguenza ad una opposizio-ne anche di carattere violenta e armata. Ancora: il regime dimo-stra l'incapacit strutturale a ri-solvere i problemi economici e sociali di cui sopra.

    Che casa si puo aspettare uno stato che ha legalizzato la truffa e i ricatti, come dimostrano le que-stioni relative ai vari Sindona, Caltagirone, scandalo petroli, Pc-corelli, scandali edilizi, mercasto clandestino d'arroi, appalti e cosi via? Che casa si puo aspettare

    repressione

    uno stato che prepara le pseudo alternative politiche attraverso le stragi di cittadini (da piazza Fon-tana al 2 agosto di Balogna) nelle quali sono palesemente coinvolti i massimi dirigenti politici e mili-tari che lo stato stesso dovrebbero tutelare? Ma Andreotti, Rumor, Casardi, Miceli, Maletti, La Bru-na per chi lavoravano? Ma i ser-vizi segreti lavoravano per questo stato o per chi?

    Se chi si oppone quindi a que-sto stato (non mi interessa a que-sto punta se armato o no) viene definito delinquente, quale infa-me aggettivo dovremmo trovare per chi sta ai vertici di questo sta-to? E di conseguenza quale mi-gliore prova di innocenza, di fronte al giudice che ti grida col-pevole di una prova di colpevo-lezza?

  • repressione

    Per quanto riguarda i cosiddetti pentiti:

    ho gi detto come nella mia vita, durante il regime fascista, ho visto e saputo di centinaia di per-sone e compagni che non solo hanno parlato ma hanno anche denunciato degli innocenti sotto le pressioni e le torture degli in-quirenti di allora. La storia si ri-pete, ma mai uguale: la differenza con oggi che allora la collabora-zione veniva gestita a livello delle tradizionali confidenze degli in-fami, oggi invece, con la garan-zia democratica di una legge ap-positamente creata, l'infame non pi un uomo che vende un'al-tro uomo ma un uomo che si pente: lui il nuovo patriota e tutto quello che dice o che gli fanno dire viene ritenuto vero.

    Sono convinto che questa legge olt re che un 'infamia dai punto di vista morale si configuri giuridi-camente come una vera e propria istigazione a delinquere. Essa ri-duce infatti la pena anteriormen-te alla commissione di una reato. Essa considera infatti il delitto, l'omicidio come un sacrificio ne-cessario per smantellare le orga-nizzazioni sovversive. Ma la legge fatta da quello stesso Stato che preferisce lasciar morire un ostaggio nelle mani brigatiste piuttosto di riconoscere l'esisten-za di un'opposizione politica fuo-ri dalle istituzioni. Mi sono sem-pre chiesto: quanto sangue si sa-rebbe risparmiato accettando la trattativa durante il sequestro Moro?

    Per quanto riguarda l'(ex) Partito Comunista

    E' a parer mio il maggior re-sponsabile della situazione di guerra che si venuta a creare nel nostro paese. Perch ha crimina-lizzato ogni forma di dissenso sulla quale non riuscito ad orga-nizzare controllo politico arri-vando al punto di bollre come fascisti anche i fautori della non violenza come i Radicali appunto perch ad esso non soggetti. Ra-dicali che rappresentano d'altra parte a parer mio l'ultima coper-tura democratica che questo Sta-to cerca di darsi. La direzione at-tuale del partito comunista il grande partito dei pentiti: pentito della sua opposizione al regime, pentito delle sue origini marxiste, pentito che a dirigerlo fossero sta-

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    ti inizialmente degli operai, pen-tito delle forme di lotta anche ar-mata che ha usato, pentito delle promesse fatte alla classe operaia! si, pentito, ma pentito a tai punto da diventare di fatto il poliziotto pi feroce nei confronti della nuova opposizione, del nuovo movimento di autonomia prole-taria.

    Hanno ragione i compagni che hanno scritto: Dai PiCi al PECI: storia di una tendenza. (di Ugo Pekkiolo).

    A parte questa amara battuta sono fiero di avere appartenuto a questo partito cosi come sono coerentemente fiero adesso di non fame pi parte perch di co-munista non ha pi nulla. Io sono sempre quello di una volta: per questo oggi mi ritrovo, da marxista conseguente, come allo-ra, in galera, mentre Donat-Cattin nonostante sia dimostrato che lui ha aiutato suo figlio, fa carriera.

    Per quanto riguarda 1 'istruttoria di Bologna:

    Anche oggi, come allora, non va in galera solo chi combatte apertamente il sistema, ma anche tutta l'area di coloro che non vo-gliono stare con questo Stato, di coloro che pur non appartenendo ad organizzazioni combattenti, ne denunciano i crimini, gli scan-dali e le nefandezze.

    Ma la repressione non si ferma qui. Con una pratica tutta suda-mericana, da regime scoperta-mente fascista, sequestra nelle de-mocratiche carceri di questo Sta-to gli amici e i parenti dei ricerca-ti come arma di ricatto. Jo sono in galera perch padre di Mauri-ce. Mi hanno chiesto di invitare mio figlio alla resa, di dire dove si trova o dove si potrebbe trovare inventandosi false accuse a mio carico per rendere pi credibile questo ricatto. Usano oggi, come allora, come in Cile, come in Uruguay gli infami pi immondi costringendoli a false dichiarazio-ni con la carota della legge Fioro-ni. Vermi come Viscardi, che uc-cidono un compagno chiamando-lo delatore (W accher) e poi non solo fanno a loro volta i delatori; ma sono anche disposti ad inven-tarsi le accuse perch hanno il terrore della galera. Lui, il duro della P.38 che arriva a denuncia-re il medico che lo ha salvato dai-

    anarchismo

    la morte quand'era ferito. L'istruttoria condotta a Bolo-

    gna dall'uomo che ha sostituito Catalanotti come strumento del PCI dentro la magistratura la prova di quanto ho appena detto. Monti, un uomo sul quale a tem-po debito potro fare rivelazioni relative alla sua condotta palese-mente in violazione delle leggi che dovrebbe invece servire ed applicare. 1 compagni incarcerati da questo magistrato sono dentro senza alcuna prova se non la vo-lont, come nel '77, di colpire l'a-rea della insubordinazione socia-le che a Bologna ovviamente di-venta principalmente rivolta con-tro il PCL

    Alcuni sono gi usciti: Brunet-ti, Andriani, Rocco Fresca. Sono la prima prova delle menzogne dei pentiti. Anche Brunetti, di nuovo, assurdamente riarrestato con le medesime accuse, non po-tr che essere scarcerato. La Ga-briella Dalla C, Alessandra Marchi, Nicoletta Mazzetti, Car-lo Catellani, Ciano, Paolo Azza-roni, Valerio Guizzardi, Tiziano Cardetti, Gabriella Gasbrielli, W ain er Burani, usciranno anche loro, alla spicciolata, '\:orne sem-pre. Perch il clamore dev'essere grande quando uno entra ma ine-sistente quando uno esce. E il giudice Monti, il figlio del mio compagno partigiano Leandro, fi-nir inevitabilmente per capire qual' il destino che tocca ai Ca-talanotti o ai Calogero di turno: prima sugli allori e poi, quando non servono pi alle ortiche.

    Forse saro io l'unico che non potr vedere quest'epilogo perch credo che il decorso della mia malattia sar pi breve del tempo necessario sia al giudizio del tri-bunale del regime che a quello del tribunale rivoluzionario.

    V ado alla fine della mia esi-stenza con la coscienza che nes-suno mai riuscito a piegare la mia dignit di uomo e di comuni-sta. E questo per voi giudici, per voi Monti, D'Onofrio, Vigna, Che-lazzi, e i nuovi che si aggiungeran-no sar un cancro ben pi terribi-le di quello che mi sta consuman-do, Bologna, Carcere di S. Giovanni in Monte, addi 29 dicembre 1980

    il partigiano Torquato Bignami

    (Guido)

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    anarchismo

    Uncompagno

    dai carcere militare di forte boccea

    Siamo stati travolti da una nuova ondata di arresti che ha letteralmente riempito queste maledette celle che una volta ospitavano i cavalli del Vaticano e forse qualcuno non si ancora accorto che ora ci si trovano delle persone e non delle bestie!! Natu-ralmente buona parte del merito di questo nuovo affollamento se lo porta a casa il nostro integerri-mo magistrato a morte-i-tossicodipendenti.

    Ad aumentare il disagio e la precariet delle nostre condizioni di vita si aggiunta l'acqua, o meglio, la mancanza d'acqua. Ca-pita, infatti, spesso e volentieri che dai rubinetti non scenda una goccia. Certo, fa un freddo cane, siamo sotto lo zero, le camere sono pressoch all'aperto (?), ma nonostante questo resta la grossa responsabilit della direzione che ha dimostrato soltanto disorga-nizzazione e inefficienza, per non essere troppo cattivi, e dire, me-nefreghismo. E' da una settimana e pi che facciamo ripetutamente presente la situazione precaria in cui siamo tenuti, ottenendo sol-tanto parole che non servono pero, purtroppo, per lavare in terra, i piatti, il cesso, ... per la-sciare perdere il riscaldamento che ... ce lo siamo scordati l'ulti-ma volta che abbiamo sentito i caloriferi accesi!

    Cosi, scocciati e spazientiti per tante promesse abbiamo deciso di forzare un po' la mano. Oggi a mezzogiorno invece di rientrare siamo usciti tutti facendo presen-te, nuovamente, la situazione che

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    non eravamo pi disposti a subi-re. Dopo a ver avuto l'assicurazio-ne che questa sarebbe stata la volta-bona, siamo rientrati e ... l'acqua ha ricominciato a scende-re dai rubinetti. Da notare: ave-varna chiesto, tenuto presente le difficolt oggettive (ma, col senno di poi, fino a che punto erano og-gettive?), che ci venissero date delle taniche, secchi o che altro, con una scorta sufficiente di ac-qua. Meglio cosi! Comunque, speriamo solo che l'acqua conti-nui a scorrere!!

    Da questi giorni ne nata una piccola riflessione-conferma, che fa rabbia! Fa rabbia constatare che per avere un elementare di-ritto che non poi neanche un diritto, si debba arrivare a questi punti, a minacciare di non rien-trare in cella, per poter essere ascoltati. Non dovrebbero esiste-re st storie ma appunto siamo qua ancora a scrivere dovrebbe-ro!!! Cosi che cose per noi sem-plici, chiare, elementari, per altri non lo siano, e si sia costretti a lottare per ottenerle! Come sem-pre. E forse non forzare troppo il discorso dire che la stessa lo-gica ottusa che ci butta e ci fa marcire in galera, in una catena di montaggio, in uno squallido appartamento-dormitorio di an-cora pi squallidi quartieri popo-lari nati in funzione della produt-tivit delle fabbriche, senza nem-meno pensare che chi ci dorme-vive-muore sono delle persone umane e non bestie!!!

    Cosi, come sempre, per salva-guardare la nostra vita, il nostro diritto alla vita, e non solo alla pura sopravvivenza, siamo co-stretti a metterla in gioco, a ri-schiarla, a lottare, a finire in gale-ra. E non potrebbe che essere cosi perch la vita in certe condizioni non pu essere tale ma diventa piena di significato appena tu ti dai da fare per riscattarla, per pretendere di essere il protagoni-sta delle tue azioni e non un ese-cutore di ordini altrui. ln galera questo significa, come del resto da qualsiasi altra parte, mettere e mettersi in discussione, riuscire a superare quella paura che ti deri-va dai ricatto che subisci ogni giorno e che qui dentro ti pesa di pi che da qualsiasi altra parte perch lo vivi direttamente, lo vedi, lo senti, lo puoi toccare. Il ricatto di altra galera, di beccarti

    documenti

    una denuncia, di vedere allonta-narsi il giorno in cui potrai libe-ramente sdraiarti su un prato, cosa altrettanto semplice che ti viene negata. Ed anche senza ar-rivare a questi punti, la paura di vedere messa a soqquadro la tua vita qua dentro che ti sei costrui-to giorno dopo giorno: un prov-vedimento di censura sulla posta, una perquisizione, il trasferimen-to interno alle celle, o in un al-tro carcere con tutto quello che ne consegue, la non concessione di un colloquio o di una telefona-ta... sono moiti gli strumenti di ricatto in mano a chi pretende e si prende il potere di decidere per e su di te. Ma anche qui, come fuori, non lottare per paura del-le conseguenze significa subire fin da subito le stesse conseguen-ze. Con questa convinzione vai avanti, cercando ogni volta la ri-sposta migliore da dare ad una realt violenta come il carcere, per non farsi schiacciare ma anzi per crescere, per alimentare una rabbia che non sfoci nella dispe-razione ma nella determinazione ad andare avanti, con pi lucidit e coscienza degli ostacoli da su-perare, e quindi con pi forza.

    Un abbraccio fortissimo a pun-go chiuso.

    Un compagno Forte Boccea, l 0 gennaio 1981

    PANTAGRUEL rivista anarchica di analisi sociale, economica, filosofica e metodologica

    N. 1 Editoriale T eoria e azione Il banditismo sociale Di alcuni errori molto diffusi sul problema della lotta di liberazione nazionale Lo Stato dei monopoli e le forme del potere capitalista. Analisi ideologico funzionale del bilancio statale Gli equivoci della scarsit e dell'abbondanza

    una copia L. 4.000- ab b. annuo L. 12.000 redazione e amministrazione: A. M. Bonanno- C.P. 61 -95100 Catania

  • lotte sociali

    P.P. Goegan

    berlino pre sa a sassate

    Wir brauchen keine che ft (non abbiamo bisogno di capi). Kreutzeberg, quartiere preso di mira dalla speculazione e dalla demolizione, concentra su di s l'attenzione e l'attivit di tutta la citt. Favorisee l'emergere e l'im-porsi di tanti collettivi di lavoro e di solidariet che danno nuovo respira ad un movimento berline-se di nuovo vivo, la cui matrice si riconosce pienamente nella para-la d'ordine che riempie un locale del Menringhof.

    BERLINO OVEST

    L'orso, casco in testa, scudo e manganello alle mani, assurto, suo malgrado, a rappresentante di Berlino Ovest e segnatamente del Senato della citt nelle figura-zioni che lo mostrano salutare il... resto del Mondo, esprime nella sua semplicit immediata i due termini, entro i quali com-prendere gli avvenimenti che, a partire dai dicembre scorso, han-no posto l'ex capitale tedesca in sintonia con il movimento di contestazione giovanile europea e i